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OTTAVA SERIE

AVVERTENZA

l. Questo volume, undicesimo della serie ottava, racchiude il materiale relativo al periodo che dal l o gennaio giunge al 22 maggio 1939, giorno in cui è sottoscritta l'alleanza italo-tedesca nota come Patto d'Acciaio. Viene così completata la serie ottava con la saldatura al volume XII, il primo della raccolta ad essere pubblicato nel lontano 1952.

La distruzione dello Stato cecoslovacco, a metà marzo, è l'avvenimento più importante di questo periodo, per la gravità della crisi cui dà luogo e, ancor più, per la sua rilevanza in quella catena di fatti che porta allo scoppio della seconda guerra mondiale. Le reazioni che provoca a Roma sono note da tempo attraverso il Diario di Ciano, che in questo caso risulta particolarmente prezioso. Il materiale che qui si pubblica fornisce altri elementi interessanti.

Innanzitutto, è confermato che i dirigenti italiani sono colti completamente di sorpresa. L'ambasciata a Berlino, dopo il discorso pronunciato da Hitler al Reichstag il 30 gennaio giudicato «tranquillizzante», ha segnalato più volte i sintomi di una tendenza meno aggressiva o addirittura pacifica nella politica tedesca. D'altra parte, né da Berlino si è preavvertiti di quanto si sta preparando, né dalla rappresentanza a Praga sono giunti dei segnali che lascino prevedere la crisi. Nemmeno l'accentuarsi del separatismo in Slovacchia ha destato particolare allarme, certo non è stato visto come il preludio di un'iniziativa tedesca che abbia per obbiettivo la distruzione dello Stato cecoslovacco.

Anche nella fase esecutiva dell'azione tedesca, Roma è scarsamente informata, mai consultata. Le comunicazioni che l'ambasciatore Attolico fa giungere a Palazzo Chigi in quei giorni cruciali consentono di seguire nei particolari i tentativi che, a partire dall' 11 marzo, Attolico compie con von Ribbentrop e presso gli uffici della Wilhelmstrasse («dove tutti si sono resi irreperibili») per essere messo a conoscenza della situazione e delle intenzioni del governo tedesco: solo nella notte tra il 13 e il 14 marzo l'ambasciatore è in grado di comunicare, dopo un altro colloquio con von Ribbentrop, che Berlino ha deciso di appoggiare l'indipendenza della Slovacchia e di dare mano libera agli ungheresi nella Rutenia Subcarpatica (della sorte riservata alla Boemia non gli viene detto niente di definitivo). Così, Roma non solo è messa ancora una volta di fronte al fatto compiuto ma deve constatare la chiara volontà da parte tedesca di evitare qualsiasi forma di consultazione, certo per non avere intralci nell'esecuzione dei piani fissati ma anche perché si vuole affermare, anche nei confronti de !l'Italia, che spetta solo a Berlino decidere le sorti della Cecoslovacchia come parte di una zona dell'Europa di competenza esclusiva della Germania.

Le rappresentanze diplomatiche e consolari italiane segnalano ampiamente le fortissime reazioni provocate dal colpo di forza tedesco, il diffuso timore di nuove aggressioni, l'indignazione profonda e l'avversione sempre più forte nei confronti della Germania nazista che nei vari Paesi si manifesta anche a livello di governo. Ad alimentare queste reazioni -si fa notare -sono soprattutto due punti che vengono indicati subito come fondamentali. Innanzitutto, il fatto che, per la prima volta, la Germania nazista si è impadronita di territori non abitati da popolazione tedesca e lo ha fatto-dichiaratamente -in base al principio dello «spazio vitale», che risponde ad una logica di dominazione e che per la sua indeterminatezza non consente di identificare i futuri obiettivi del Reich. Secondo punto: Hitler ha distrutto non la Cecoslovacchia creata dai vincitori al termine della Prima Guerra Mondiale ma la Cecoslovacchia che lui stesso aveva contribuito a ridisegnare con gli accordi di Monaco e con l'Arbitrato di Vienna. Hitler, dunque, non ha rispettato gli impegni che aveva preso pochi mesi prima: la sua parola non è più credibile.

È dall'ambasciata d'Italia a Berlino che-come è naturale-giungono i rilievi di maggiore interesse. Sia l'ambasciatore Attolico, sia l'addetto militare, generale Marras (che nei suoi rapporti va ben al di là degli aspetti tecnico-militari), sottolineano il significato antipolacco dell'azione tedesca: in caso di conflitto la Germania è ora in grado di attaccare il territorio della Polonia su un fronte molto più ampio, mentre sul piano politico Berlino rafforza la sua capacità di pressione in appoggio alle richieste circa Danzica ed il transito attraverso il Corridoio. È evidente -fanno notare -che la Germania ha accantonato le rivendicazioni in materia coloniale, per concentrare il suo dinamismo nell'Europa Orientale ed è quindi prevedibile che tomi a porre con maggior forza le rivendicazioni nei riguardi della Polonia. Ma Attolico e Marras sono concordi nel ritenere che, per il momento, Hitler non arriverà fino a provocare una guerra, soprattutto perché -lo sottolinea in particolare Marras -le Forze Armate tedesche hanno bisogno ancora di qualche tempo per completare il loro programma di riarmo. E questa previsione sembra trovare subito conferma in ciò che lo stesso Hitler dice adAttolico il20 marzo, in un'udienza che ha come scopo principale proprio di far presente agli italiani l'opportunità di evitare, per ora, un conflitto con la Francia in modo da consentire alla flotta tedesca di portare a termine la sua preparazwne.

Ma Attolico fa pervenire anche un quadro -pieno di ombre -della situazione considerata dal punto di vista dei rapporti tra Roma e Berlino e lo fa in un rapporto scritto con coraggiosa chiarezza all'indomani degli avvenimenti, il 18 marzo. Non è lecito -scrive -che Berlino abbia posto nel nulla le decisioni di Monaco, di cui l'Italia era stata «il fattore determinante», tanto meno che abbia distrutto l'Arbitrato di Vienna, di cui l'Italia era stata «la forza preponderante». E non è lecito che sia stata data via libera agli ungheresi nella Rutenia Subcarpatica senza nemmeno informare Roma, così da far risultare che le aspirazioni ungheresi sono soddisfatte grazie al placet della sola Germania, con gli inevitabili riflessi sulla posizione di Budapest, fino a quel momento orientata verso Roma più che verso Berlino. Occorre dunque chiarire, conclude Attolico, e prima di stringere ulteriormente i legami tra le Potenze dell'Asse con un'alleanza, quale valore viene assegnato dai tedeschi al più elementare dei doveri reciproci, quello dell'informazione e della consultazione. E chiarire, altresì, se l'Italia deve considerarsi estromessa dai Balcani, «essendole riservata solamente l'acqua del Mediterraneo».

Il rapporto è subito trasmesso a Palazzo Venezia da Ciano (che condivide molte delle perplessità e delle riserve dell'ambasciatore) ma Mussolini-che pure sottoli

nea il documento nei suoi punti più significativi -non ne è indotto a riconsiderare la linea di piena solidarietà con Berlino.

Sui fattori che determinano questo suo atteggiamento, la documentazione diplomatica fornisce delle indicazioni che, pur non consentendo di rispondere a tutti gli interrogativi, presentano un certo interesse. È confermato che l'attenzione di Mussolini resta centrata costantemente -e pressoché esclusivamente --sulle sorti della Croazia che si teme possa ora cadere sotto l'influenza del Reich come logica conseguenza della sua accresciuta presenza nel Bacino danubiano. Ne consegue che, una volta ottenute da Berlino delle assicurazioni in proposito, Mussolini non prende iniziative volte a fronteggiare, in una prospettiva di tempo maggiore, la pesante egemonia germanica e i pericoli che ne derivano per gli interessi dell'Italia. Dalla documentazione non emergono, infatti, degli elementi a confermare l'ipotesi, avanzata in sede storiografica, che Mussolini assuma un atteggiamento di attesa con il chiaro disegno di riequilibrare poi la posizione dell'Italia attraverso un riavvicinamento alle Democrazie. Piuttosto è da ritenere che, a parte le considerazioni di politica interna che hanno certo il loro peso, per Mussolini abbia valore decisivo la convinzione che in Europa non esistono delle forze in grado di contrastare con successo l'egemonia germanica.

Sorge a questo punto il dubbio che, sul momento, il capo del governo italiano sottovaluti la svolta avvenuta in Gran Bretagna (come sembrerebbe confermato dalla scarsa attenzione attribuita alla lettera che Chamberlain gli invia il 20 marzo). Tra l'altro, durante tutta la crisi, l'ambasciata a Londra si limita a trasmettere il testo dei discorsi di Chamberlain e di Halifax e le rassegne della stampa britannica senza aggiungere una riga di commento a sottolineare certi aspetti che forse possono, se non sfuggire, essere sottovalutati a Roma: primo fra tutti il fatto che il nuovo corso della politica britannica è accompagnato da una reazione di opinione pubblica tanto forte ed estesa da eliminare il dubbio, più volte espresso da Mussolini, che in Gran Bretagna non vi sia la volontà e la forza morale di opporsi alla politica tedesca di aggressiOne.

Con il discorso agli squadristi del26 marzo-rivolto all'interno non meno che all'estero -Musso lini conferma la linea di piena fedeltà all'Asse e si chiude ogni prospettiva di mutamento nata dalla crisi.

Un secondo avvenimento di grande portata si ha il lo aprile quando ha termine la guerra civile spagnola. Le ultime vicende militari e politiche della guerra sono seguite da Roma con preoccupata attenzione. L'andamento delle operazioni in Catalogna è decisamente favorevole ma si teme che Franco non sfrutti a fondo il successo, specie dopo che i governativi, con una mossa che ha avuto più volte successo in passato, hanno lanciato un attacco diversivo sul fronte di Còrdoba. E si teme altresì che Franco possa prestare ascolto alle offerte di mediazione e agli appelli per una pace di compromesso che giungono da più parti.

La pressione che Roma esercita sul Generalissimo è, in questa fase, molto forte. È lo stesso Mussolini a «scongiurarlo» di dare un carattere risolutivo al successo delle operazioni sul fronte catalano, mentre da Roma si ribadisce la necessità di porre fine alla guerra con una vittoria senza compromessi, unica soluzione che risponda ai sacrifici sostenuti e che possa assicurare la governabilità del Paese. E di fronte alle voci di un possibile intervento francese, si avverte Londra e Berlino che in tal caso è già deciso l'invio in Spagna di reparti regolari italiani, anche a costo di provocare un conflitto generale.

La conclusione della guerra fa sorgere altre preoccupazioni. Da Roma si guarda con estrema diffidenza ai segni di miglioramento nei rapporti fra Francia e governo spagnolo che trova espressione nell'invio a Madrid, quale ambasciatore, di un personaggio come il maresciallo Pétain e nella conclusione degli accordi Jordana-Bérard. L'allarme è tale che Ciano accoglie con soddisfazione la notizia della prossima conclusione di un trattato di amicizia tra Spagna e Germania che si presenta simmetrico -anche se meno impegnativo nella sua formulazione -al trattato italo-spagnolo del novembre 1936. Servirà ad arginare le manovre francesi verso la Spagna, spiega. Le conseguenze negative che, anche per gli interessi italiani, possono venire da un 'ulteriore crescita dell'influenza tedesca sono messe in secondo piano di fronte allo spettro di un riavvicinamento tra Parigi e Madrid.

È in questo quadro che va vista anche l'iniziativa di chiedere l'immediata adesione della Spagna al Patto Anticomintern che, presa dal governo tedesco verso la metà di gennaio e sul momento accantonata come prematura, viene posta nuovamente sul tappeto da parte italiana non appena si profila imminente la caduta di Barcellona. Le resistenze del governo spagnolo, che chiede di rinviare la firma a dopo la conclusione della guerra, fanno sì che l'accordo venga sottoscritto solo il 27 marzo e con l'impegno di mantenerlo, per il momento, segreto. Ma le pressioni italiane e tedesche riprendono già alla vigilia della resa di Madrid e costringono il governo spagnolo -apertamente riluttante -ad accettare che il protocollo di adesione venga pubblicato.

La documentazione italiana non fornisce elementi circa la traccia lasciata nei dirigenti spagnoli da pressioni condotte in modo così pesante e che li obbligano a subordinare gli interessi della Spagna a quelli delle Potenze dell'Asse. È un aspetto che avrà il suo peso sull'atteggiamento successivo del governo spagnolo ma che sembra essere trascurato a Roma come a Berlino.

Il materiale relativo all'azione italiana in Albania, terzo avvenimento di spicco di questo periodo, è stato qui pubblicato con ampiezza, così da fornire il maggior numero possibile di elementi, sia sul processo attraverso il quale matura-fra molte esitazioni e ripensamenti -la decisione di agire, sia sugli aspetti politici connessi all'esecuzione, sia, infine, sui riflessi che si hanno sul piano internazionale, così come sono visti e valutati da Roma.

Il «problema albanese» viene posto sul tappeto da Ciano poco dopo la metà di gennaio, in occasione della sua visita in Jugoslavia: l'amicizia della Jugoslavia è considerata a Roma, troppo preziosa perché si pensi dimetterla in pericolo con un'azione realizzata senza previo accordo con il governo di Belgrado. Ciò che Ciano offre nei suoi colloqui con Stojadinovié è la spartizione dell'Albania nel quadro di una politica di stretta collaborazione che prevede anche l'appoggio italiano alle mire jugoslave su Salonicco. E Stojadinovié approva, in linea di massima, il progetto italiano che, si concorda, verrà poi negoziato al di fuori dei canali diplomatici normali.

La caduta di Stojadinovié, il 4 febbraio, segna una svolta nella questione. L'idea di un'azione concordata con Belgrado viene abbandonata, mentre si ritiene vi siano

motivi per accelerare i tempi ed agire prima che un diverso orientamento di politica estera del nuovo governo assicuri maggiori appoggi alla Jugoslavia da parte delle Potenze occidentali. Ma ad agire con rapidità spingono anche altri elementi che sono messi in luce dalla documentazione qui pubblicata.

C'è, innanzitutto, l'allarme suscitato a Roma dalle notizie di tentativi di penetrazione economica tedesca in Albania. Di fronte alle fortissime reazioni italiane -«l'Albania è un affare interno dell'Italia» -le smentite e le assicurazioni della Wilhelmstrasse sono perentorie ma non convincono del tutto, anche perché l'allarme si ripete e a Roma non si riesce ad accertare se ci si trova di fronte alle iniziative di qualche funzionario tedesco di second'ordine troppo solerte o se non si tratta invece di mosse partite da più alto livello.

Ad agire con rapidità spingono poi le notizie che da tempo invia da Tirana il ministro Jacomoni sulla debolezza del regime di Re Zog e sull'atteggiamento della popolazione albanese che -dice-non solo non è ostile all'Italia ma attende con impazienza l'arrivo degli italiani. Sono notizie che fanno ritenere un'azione in Albania di rapido successo sul piano militare e più «presentabile» sul piano internazionale e che vengono accolte con interesse a Roma (questi documenti sono sempre sottoposti a Musso lini che ne sottolinea le frasi più ottimistiche).

Ma nonostante il ministro Jacomoni faccia presente a più riprese che una situazione tanto favorevole non può prolungarsi molto, e nonostante le pressioni di Ciano, Mussolini vuole prima aspettare la vittoria definitiva di Franco in Spagna e la conclusione dell'alleanza con la Germania e ancora agli inizi di marzo conferma questa sua posizione di attesa.

A cambiare il quadro della situazione è il colpo di forza germanico sulla Cecoslovacchia: è da lì -risulta confermato -che viene la spinta decisiva ad agire.

La storiografia ha messo in evidenza, a questo proposito, il desiderio dei vertici fascisti di dimostrare che l'Asse non funziona esclusivamente a vantaggio della Germania. È un aspetto legato anche ad esigenze di politica interna, ora divenute più pressanti per le reazioni negative che il colpo di forza tedesco in Cecoslovacchia ha provocato nell'opinione pubblica italiana, dove cresce il timore di essere coinvolti in un conflitto a causa della solidarietà con la Germania. Ma ad agire spingono anche altri elementi. In primo luogo il timore che la Germania, come sviluppo logico della posizione dominante ottenuta nell'area danubiana, effettui ora una spinta verso l'Adriatico. In questa prospettiva, il pieno controllo dell'Albania non ha lo scopo di rilanciare la politica balcanica dell'Italia ma costituisce piuttosto una estrema mossa difensiva volta ad impedire che l'influenza tedesca si estenda all'immediato retroterra adriatico.

Naturalmente, un'azione in Albania è poi vista a Roma anche in relazione all'incerta situazione jugoslava, di fronte alla quale l'orientamento del governo italiano non è ancora definito. Uscito di scena Stojadinovié, si guarda ora con interesse ad una eventuale dissoluzione dello Stato jugoslavo che, oltre ad eliminare una minaccia da oriente in caso di conflitto con la Francia, consentirebbe l'annessione del Kossovo ali' Albania e soprattutto darebbe la possibilità di creare una Croazia indipendente sulla quale si conta di avere un'influenza esclusiva (è in questa prospettiva che sono avviati e sviluppati i contatti con gli indipendentisti di Macek di cui si dà qui documentazione). Ma a Roma si ha anche la consapevolezza del pericolo che a trarre maggiori vantaggi da una crisi dello Stato jugoslavo possa essere la Germania. Ciò che appare chiaro è che, qualunque possa essere lo sviluppo degli avvenimenti, il pieno controllo del territorio albanese offre vantaggi di tutto rilievo. lnnanzitutto, dal punto di vista militare perché consente di controllare l'imboccatura dell'Adriatico e -in caso di conflitto con la Jugoslavia -di aprire un secondo fronte a sud. E poi sul piano politico, come condizionamento sul governo di Belgrado che si vedrebbe costretto ad abbandonare ogni velleità di riavvicinamento alle Democrazie occidentali e ad allentare i suoi vincoli con l'Intesa Balcanica.

Sulla decisione di agire subito in Albania influisce, infine, la sottovalutazione di Mussolini e di Ciano delle reazioni che si sarebbero avute da parte britannica. Ciò è dovuto, in parte, al fatto che dall'atteggiamento dell'ambasciatore Perth Ciano trae l'impressione che Londra guardi «con comprensione» ad un rafforzamento della posizione italiana in Albania. A far ritenere che le reazioni britanniche sarebbero tutto sommato limitate è anche il tono della stampa britannica: quando, da Tirana, il ministro Jacomoni prospetta l'opportunità di chiarire a Londra gli obiettivi dell'azione italiana ad evitare che il governo britannico possa incoraggiare Re Zog alla resistenza, Ciano, come risposta, gli telegrafa un riassunto degli articoli pubblicati dai giornali britannici che tutti sembrano considerare senza allarme l'ipotesi di un protettorato italiano sull'Albania.

In realtà, l'azione in Albania ha ripercussioni importanti sul piano internazionale anche per il momento in cui si situa: non è trascorso un mese dalla distruzione della Cecoslovacchia e solo pochi giorni prima c'è stata la vittoria dei nazionalisti spagnoli che pone interrogativi circa i suoi possibili riflessi sull'equilibrio mediterraneo (l'annuncio della adesione della Spagna al Patto Anticomintern, 1'8 aprile, rende questi interrogativi ancora più preoccupanti). Il tentativo che Ciano compie attraverso le ambasciate a Londra e a Parigi di presentare l'azione in Albania come volta a contrastare l'avanzata della Germania nei Balcani (ciò che in parte è vero) non ha nessun successo. Al contrario, come segnalano le rappresentanze italiane, si diffonde la convinzione che ora anche Roma si muova secondo la logica dello «spazio vitale» ed abbia agito, d'accordo con Berlino, nel quadro di una operazione che mira a realizzare il controllo del sud balcanico da parte delle Potenze dell'Asse.

In questa situazione, le reazioni che si hanno da parte britannica sono-contrariamente alle previsioni di Palazzo Chigi-molto forti. Perché l'azione in Albania non costituisce soltanto una violazione dei Patti di Pasqua, ma segna il fallimento di tutta la politica seguita da Chamberlain nei confronti dell'Italia. Fino a quel momento, il Primo Ministro britannico aveva sperato di indurre Mussolini a differenziare, sia pure nell'ambito dell'Asse, la posizione italiana da quella della Germania e ad esercitare un'azione frenante su Berlino. E ancora il 20 marzo gli aveva inviato una lettera per chiedergli di intervenire su Hitler perché ponesse fine alla sua politica di aggressioni, segno che persisteva in lui la distinzione tra i due dittatori e che Mussolini era pur sempre considerato un interlocutore valido. Ma ora Chamberlain si sente «tradito» nelle sue attese ed è esposto agli attacchi dell'opposizione e degli uomini del suo stesso partito che da tempo auspicano un atteggiamento di fermezza di fronte agli Stati totalitari. Le sue reazioni sono durissime e vengono in luce quando da Roma viene proposto, per attenuare la tensione, di annunciare il prossimo ritiro dei legionari dalla Spagna. La proposta -fatta pervenire a Chamberlain attraverso il «canale segreto» dell'avvocato Dingli e di sir J. Ball-riceve una risposta che indica come ormai sia venuta meno ogni fiducia verso Mussolini e il suo governo: l'annuncio del ritiro immediato potrebbe essere utile, la semplice indicazione di una data futura è irrilevante. E quando da parte italiana ci si dichiara disposti ad un ritiro immediato purché Chamberlain si impegni a non ostacolare l'unione delle Corone d'Italia e di Albania, la risposta è seccamente negativa.

Il nuovo atteggiamento britannico ha la sua manifestazione più significativa il 13 aprile con l'annuncio della garanzia alla Grecia. Proprio il giorno prima il governo italiano aveva reso pubbliche le assicurazioni date ad Atene di rispettare l 'integrità territoriale della Grecia: la garanzia alla Grecia indica che da parte britannica non si annette più credibilità agli impegni presi dall'Italia. L'azione in Albania ha davvero impresso una svolta ai rapporti tra Roma e Londra.

L'azione italiana è poi connessa all'origine di un altro avvenimento che, anche per il suo indiretto collegamento con la garanzia britannica alla Grecia, si ripercuote sull'equilibrio politico e strategico del Mediterraneo: la dichiarazione anglo-turca del 12 maggio. Entrambi gli avvenimenti si basano sulla convinzione che l'azione in Albania non sia da considerarsi fine a se stessa ma costituisca la prima fase di un'operazione più vasta che l'Italia intende condurre, per conto suo o d'intesa con la Germania, con l'obiettivo di mettere sotto controllo il sud della Penisola balcanica. È una convinzione che si ha ad Atene, dove è ritenuto non solo probabile ma imminente un colpo di mano sulle Isole Jonie, così come ad Ankara, dove la diffidenza nei confronti dell'Italia-radicata da tempo-fa ora ritenere che l'Italia si appresti ad un'offensiva in direzione dell'Egeo. Ipotesi, questa, -come segnala l'ambasciata ad Ankara -che viene avvalorata dalla presenza in Albania di forze militari italiane molto superiori alle esigenze di controllo del territorio (non si sono trovati elementi che chiariscano i motivi di questo spiegamento di forze che suscita allarme anche a Londra e in altre capitali). D'altra parte, le assicurazioni che, su pressione di Berlino, Ciano dà all'ambasciatore di Turchia, anziché tranquillizzare sono motivo di inquietudine per Ankara dove si osserva che ad esse non è stato dato quel risalto pubblico che vi è stato invece nel caso delle assicurazioni alla Grecia. In questa situazione, i dirigenti turchi decidono di abbandonare la linea di neutralità fin lì seguita per sottoscrivere con la Gran Bretagna la dichiarazione del 12 maggio che impegna i due Paesi all'assistenza reciproca nel caso di un'aggressione che porti la guerra nel Mediterraneo. È una svolta della politica di Ankara-sulla quale, peraltro, ha avuto grande influenza anche la pesante ipoteca che la Germania ha posto sulla Romania con il trattato economico del 23 marzo -che, mentre fa considerare più credibile e concretamente efficace un aiuto britannico alla Grecia, in pratica chiude all'Italia l'Oriente mediterraneo.

L'inizio dell'anno 1939 coincide con l'avvio della trattativa per l'alleanza italotedesco-giapponese, che, a maggio, si trasformerà poi in un rapido negoziato a due, italo-tedesco, una volta costatato il carattere considerato troppo limitato degli impegni che, almeno per il momento, Tokio è disposta ad assumere.

La documentazione relativa all'intera trattativa contenuta nell'archivio del ministero degli Esteri italiano è nota da tempo attraverso lo studio di Mario Toscano sulle origini diplomatiche del Patto d'Acciaio e le ricerche ora effettuate, dopo il riordino delle carte di Gabinetto, non hanno portato alla luce nient'altro di particolarmente importante. Ma il materiale qui pubblicato consente di definire meglio il quadro generale entro il quale si svolge il negoziato così come è visto da Roma e di meglio comprendere i motivi della posizione assunta dal governo italiano in alcuni momenti della trattativa.

La documentazione sulla fase conclusiva del negoziato lascia tuttavia senza risposta alcuni interrogativi di non poco conto.

In primo luogo risulta sorprendente l'improvvisa decisione di Mussolini di proporre un'alleanza a due mentre, il6-7 maggio, è in corso a Milano l'incontro di Ciano e von Ribbentrop. È una soluzione, quella dell'alleanza a due, che Mussolini ha già mostrato di preferire ma, in precedenza, il capo del governo italiano ha anche ribadito, e a più riprese, che occorre prima definire con la Germania le rispettive sfere di interessi e fissare nello spazio e nel tempo gli obiettivi di ciascuna delle due Potenze. Ciò che sorprende non è dunque la scelta dell'alleanza a due ma il fatto che Mussolini rinunci ad un chiarimento di cui ha tanto sottolineato l'importanza e che ora si presenta ancor più necessario di fronte al dilagare dell'influenza germanica nell'Europa danubianobalcanica. La documentazione d'archivio non fornisce, infatti, alcun elemento dal quale emerga il delinearsi di un orientamento nuovo su questo punto da parte di Mussolini. Resta la spiegazione, accolta in sede storiografica, che una decisione di così grande portata sia stata presa da Mussolini come reazione agli articoli apparsi nella stampa francese circa un indebolimento dei rapporti tra le due Potenze de li'Asse e circa presunti disordini avvenuti a Milano in connessione con l'arrivo di von Ribbentrop.

In secondo luogo, risulta difficilmente comprensibile l'atteggiamento di Ciano che, una volta deciso di concludere l'alleanza a due, rinuncia a preparare un suo progetto e ne affida il compito a von Ribbentrop, senza nemmeno concordarne le linee generali. È una decisione che determina una svolta nel negoziato perché i tedeschi ne approfittano per presentare un testo dal contenuto assolutamente anomalo-un'alleanza offensiva e difensiva, erga omnes e di durata illimitata -che, dopo alcune modifiche introdotte su richiesta degli italiani, che comunque non ne alterano le caratteristiche essenziali, diventa il Patto d'Acciaio.

A quanto sembra-ne è conferma qualche accenno di Ciano all'ambasciatore tedesco, von Mackensen -da parte italiana ci si aspetta di ricevere un documento che nelle sue linee generali ricalchi i precedenti progetti di alleanza tripartita. Una previsione sorprendente perché è invece del tutto prevedibile -del resto, l'ambasciatore Attolico lo fa subito presente-che un'alleanza tra le due Potenze dell'Asse avrà carattere ben diverso da un'alleanza con la partecipazione del Giappone di cui è emersa la limitata disponibilità ad impegnarsi. L'inerzia di Ciano risulta poi tanto più inspiegabile perché in un trattato a due possono -e devono -trovare posto delle disposizioni a tutela di specifici interessi italiani (prima fra tutti una solenne riconferma della frontiera comune) ed è evidente che una trattativa in proposito si presenterà molto più difficile se condotta sulla base di un progetto redatto da Berlino. Sta di fatto che negli archivi italiani non si è trovato, a questo proposito, nessun documento interno di carattere preparatorio.

Infine, la documentazione d'archivio non dà indicazioni circa le reazioni che si hanno a Roma una volta posti di fronte ad un progetto di alleanza così diverso da quello che ci si era attesi.

Non c'è comunque indizio che venga presa in considerazione l'ipotesi di chiedere delle modifiche sostanziali del testo proposto dai tedeschi: arrivati a questo punto, la richiesta equivarrebbe ad un rifiuto e avrebbe ripercussioni laceranti all'intemo dell'Asse. Il fatto è che Mussolini e Ciano appaiono prigionieri di una situazione che essi stessi hanno creato: una trattativa volta a limitare il carattere offensivo e «totalitario» dell'alleanza non è più possibile per il solo fatto che, al termine dell'incontro di Milano, è stata pubblicamente annunciata -su richiesta di Mussolini l'imminente sottoscrizione di un'alleanza tra i due Paesi dell'Asse ed un ritardo darebbe corpo e credibilità alle voci di dissensi tra Roma e Berlino più volte messe in circolazione dalla stampa francese e britannica.

D'altra parte, la documentazione d'archivio conferma l'importanza che da parte italiana viene assegnata a due elementi.

Innanzitutto, il fatto che a più riprese entrambe le parti si sono dichiarate d'accordo sulla necessità di evitare un conflitto per un periodo di tre (o quattro) anni: Mussolini nelle istruzioni date a Ciano in vista dell'incontro di Milano sottolinea questo punto fino a farlo apparire come una premessa e von Ribbentrop conferma a Ciano di essere pienamente d'accordo in proposito. In realtà, questa concordanza si basa su un equivoco: gli italiani intendono escludere qualsiasi conflitto, i tedeschi si riferiscono, invece, ad una guerra con le grandi Democrazie e non escludono un conflitto localizzato, come ritengono possa restare quello tra Germania e Polonia. Nell'incontro di Milano, l'equivoco non è chiarito, ne esce anzi aggravato e l'alleanza continua ad essere vista, dagli italiani, nella prospettiva di alcuni anni di pace.

In secondo luogo, da parte italiana si assegna un'importanza particolare all'impegno di consultazione contenuto nel progetto di alleanza che è redatto secondo una formula notevolmente ampia (impegno delle parti a restare permanentemente in contatto su tutte le questioni relative ai loro interessi comuni e alla situazione generale europea). A Roma, si è ancora sotto l'impressione di quanto è accaduto in occasione della recente crisi cecoslovacca e non sono state dimenticate le volte in cui Berlino ha informato delle sue intenzioni a decisione presa o addirittura quando già era passata all'azione: l'impegno di consultazione-si pensa-dovrà porre al riparo dal ripetersi di quelle situazioni. Non solo. Attraverso la consultazione permanente si conta di poter esercitare un'azione moderatrice su Berlino e di giungere alla formazione di una politica comune che sia una vera politica dell'Asse. L'influenza che in questo momento decisivo i due elementi -prospettiva di un periodo di pace, impegno di consultazione-hanno sull'atteggiamento di Mussolini e di Ciano appare indiscutibile.

L'insieme di queste circostanze fa sì che le aggiunte e le modifiche al progetto tedesco di alleanza siano limitate. Tra queste, il richiamo al carattere definitivo della frontiera comune, suggerito da Attolico, pur se inserito nel preambolo e non in un articolo a sé, risulta senza dubbio importante, anche perché un silenzio in proposito avrebbe potuto consolidare la convinzione, diffusa non solo tra gli altoatesini ma anche in alcuni ambienti del partito nazista, che la frontiera del Brennero sia suscettibile di modifiche e ciò proprio quando da parte italiana è stata posta sul tappeto una soluzione radicale del problema deli'Alto Adige da attuarsi -come aveva prospettato a suo tempo Hitler -mediante un trasferimento di popolazione. Assai modesto nelle sue conseguenze pratiche è invece il fugace accenno al rispetto degli interessi reciproci, inserito anch'esso nel preambolo, certo lontanissimo da quel chiarimento

XVII

tante volte indicato come necessario da Mussolini. Data l'esigenza di concludere rapidamente, non si ritiene possibile andare più in là di un'enunciazione generica ma così il problema resta irrisolto, mentre, una volta conclusa l'alleanza, la forza negoziale de li' Italia viene a ridursi.

2. I documenti qui pubblicati provengono nella quasi totalità dall'Archivio Storico del Ministero degli Affari Esteri e più precisamente dai seguenti fondi: raccolta dei telegrammi in partenza e in arrivo serie R. e P.R., compresi i telegrammi Gabinetto segreto non diramare; telegrammi Ufficio Spagna (che costituiscono una serie a sé); archivio di Gabinetto serie 1923-1943; archivio Affari Politici serie 19311945; archivi delle ambasciate e legazioni; «archivio De Felice» (carte Grandi). Alcuni documenti sono tratti dali'Archivio Centrale dello Stato, dali' Archivio dell'Ufficio Storico dello Stato Maggiore dell'Esercito e dell'Archivio dell'Ufficio Storico della Marina Militare (come di consueto, in questo caso la loro provenienza è stata indicata in nota).

Come già è stato osservato nei volumi precedenti, una lacuna grave di questa documentazione è data dalla mancata redazione da parte di Ciano di promemoria relativi ai colloqui da lui avuti. In questi casi si è rinviato, quando possibile, ai corrispondenti documenti pubblicati nelle raccolte ufficiali degli altri Paesi e sono state riportate anche le annotazioni in proposito contenute nel Diario di Ciano, di solito molto sintetiche ma indicative degli aspetti di un colloquio considerati da lui come i più interessanti. Al Diario di Ciano si è fatto altresì riferimento quando -in stretta connessione con la documentazione qui pubblicata -ne vengono delle indicazioni circa la posizione di Mussolini e di Ciano, i loro orientamenti ed i motivi alla base delle loro iniziative, elementi difficili da accertare altrimenti anche per l'estrema scarsezza di «documenti interni» (appunti di funzionari, promemoria degli Uffici, ecc.) contenuti nell'archivio.

In questo volume, come già in quelli immediatamente precedenti, sono state riprodotte le sottolineature fatte sui documenti da Mussolini, qui indicate da una riga al di sotto delle parole, esattamente come nell'originale.

Come già segnalato nel volume precedente, è stato ritrovato nelle Carte di Gabinetto un fascicolo contenente gli elenchi dei documenti che -scelti personalmente da Ciano -venivano inviati giornalmente in visione a Mussolini, i cosiddetti «Rapporti al Duce». Per il periodo qui considerato, il fascicolo presenta molte lacune (vi sono 71 elenchi su 142 giorni). Si è ritenuto utile segnalare in nota quando un documento qui pubblicato è compreso in quegli elenchi.

In questo volume, come ultimo ad essere pubblicato nella serie ottava, sono state aggiunte due appendici. La prima contiene alcuni documenti che non sono stati rintracciati in tempo per essere inseriti nei volumi precedenti di questa stessa serie. La seconda contiene un gruppo di documenti relativi ai contatti avvenuti -fino al 31 agosto 1939-con gli ambienti croati.

3. Il dottor Andrea Visone, direttore d eli'Archivio Storico del Ministero, ha dato la sua preziosa collaborazione per la scelta archivistica di base. La dottoressa Rita Luisa De Palma ha svolto ulteriori ricerche nell'Archivio Storico del Ministero degli Esteri, ha effettuato le ricerche presso I' Archivio Centrale dello Stato e I' Archivio

XVIII

dell'Ufficio Storico della Marina Militare, ha redatto l'indice sommario, la tavola metodica e l'indice dei nomi, curato le appendici III, IV e V e realizzato la messa a punto del volume per la pubblicazione. La dottoressa Francesca Grispo ha condotto le ricerche presso l'Archivio dell'Ufficio Storico dello Stato Maggiore dell'Esercito. La signora Andreina Marcocci è stata di grande aiuto nella decifrazione e trascrizione dei molti documenti danneggiati dall'umidità e ha collaborato alla redazione dell'indice dei nomi. A tutti esprimo il mio vivo ringraziamento.

GIANLUCA ANDRÉ

RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI

Actes = Actes et Documents du Saint Siège relatifs à la seconde guerre mondiale, vol. l, Le Saint Siège et la guerre en Europe, mars 1939-aoùt 1940, Città del Vaticano, Libreria Editrice Vaticana, 1965.

BD = Documents an British Foreign Policy 1914-1939, serie terza, London, Her Majesty's Stationery Office, 1946-1984.

CiANO, Diario= G. CIANO, Diario 1937-1943, Milano, Rizzoli, 1980.

DDB = Documents diplomatiques belges, 1920-1940, Bruxelles, Académie Royale de Belgique, 1964-1966.

DDF = Documents diplomatiques français (1932-1939), serie seconda, 1936-1939, Paris, Imprimerie Nationale, 1963-1986.

DDT=Akten zur Deutschen Auswartigen Politik 1918-1945, serie D, 1937-1941, Baden Baden, Imprimerie Nationale, poi altri, l 950-1970.

DP = Dez anos de politica externa (1936-1947). A Naçao portuguésa e a segunda guerra mundial, Lisboa, lmprensa Nacional, 1964-1980.

DU = Diplomaciai iratok magyarorszag Kiilpolitikajahoz 1936-1945, Budapest, Akadémiai Kiad6, 1962.

L 'Europa verso la catastrofe =L 'Europa verso la catastrofe, 184 colloqui ... verbalizzati da Galeazzo Ciano, Verona, Mondadori, 1948.

FRUS = Foreign Relations of United States. Diplomatic Papers, Washington, Govemment Printing Office, 1861 e seguenti.

LB = Les relations polono-allemandes et polone-soviétiques au cours de la période 1933-1939. Recueil de documents ojjìciels, Parigi, Flammarion, 1940.

MARTENS = Nouveau recueil général de traités et autres actes relatifs aux rapports de droit international, serie terza, Leipzig, Dieterich, poi altri, 1909-1969.

MussoLINI, Opera omnia =B. MussOLINI, Opera omnia, Firenze, La Fenice, 1951-1963, voli. 36.

Relazioni Internazionali= Relazioni Internazionali. Settimanale politico, 1938, Milano, l.S.P.I., 1938.

Trattati e convenzioni = Trattati e convenzioni fra l 'Italia e gli altri Stati, Roma, Ministero degli Affari Esteri, 1872 e segg.

A.O.I.

c.a.

c.m. - D. - E. -V. perv.

C.T.V

p.v. - R. -

s.a.

S.d.N.

S.l.M.

S.M.

s.n.d. - T. -

u.s. VE. vol.

vs.

ELENCO DELLE ABBREVIAZIONI

= Africa Orientale Italiana

= corrente anno

= corrente mese

= Comando Truppe Volontarie

=documento

=documenti

=edito

= Eccellenza Vostra

=pervenuto

= prossimo venturo

=Regio

= scorso anno

= Società delle Nazioni

= Servizio Informazioni Militare

= Stato Maggiore

= segreto non diramare

= telegramma

= telespresso

=Ufficio Spagna

= ultimo scorso

= Vostra Eccellenza

=volume

= Vostra Signoria

XXIII


DOCUMENTI
1
1

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, ALL'INCARICATO D'AFFARI A BERLINO, MAGISTRATI

T. 8/1 R. Roma, 1° gennaio 1939, ore 22,30.

Vostro telegramma n. 61 71•

Sono in massima d'accordo con desideri Ribbentrop.

In occasione mia visita a Budapest2 sia presidente Consiglio che ministro Esteri ungherese ebbero a fornirmi assicurazioni che Ungheria sarebbe uscita da Ginevra nel maggio venturo. Ho quindi telegrafato a Vinci perché interessi Csaky a fornire a Ribbentrop le assicurazioni desiderate3 .

Circa il n. 6 del vostro telegramma, mi sembra che il miglior modo di ottenere i risultati voluti sia quello di attenersi all'art. 2 del Patto del 25 novembre 19364, che letto anche in relazione con l'art. 2 del Protocollo del 6 novembre 193 75 , fa già una distinzione tra Potenze originariamente firmatarie e Potenze invitate.

2

L'AMBASCIATORE AD ANKARA, DE PEPPO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. SEGRETO 1/1. Ankara, 1° gennaio 1939 (perv. iliO).

Telespresso ministeriale del20 dicembre '38 n. 242119/o.1 . Non dubito che quanto ha detto von Neurath ad Attolico rispecchi le impressioni riportate in Ankara dall'ex Ministro degli Esteri germanico magari attraverso con-

2 Del 19-22 dicembre precedenti. Vedi serie ottava, vol. X, D. 582, nota l.

3 T. 911 R. del l 0 gennaio. Riproduceva il telegramma da Berlino di cui alla nota l e il testo del

presente telegramma fino a questo punto. 4 Accordo tra Germania e Giappone contro l'Internazionale Comunista del 25 novembre 1936 e protocollo segreto aggiuntivo. Testo in DDT, serie C, vol. VI, DD. 57 e 58. 5 Protocollo tra Italia, Germania e Giappone contro l 'Internazionale Comunista del 6 novembre 1937. Testo in Trattati e Convenzioni, vol. LI, pp. 391-395. 2 1 Ritrasmetteva il D. 529 del precedente volume.

versazioni avute con elementi dirigenti. Che in questi ambienti politici permanga uno stato di sospetto e di timore nei riguardi dell'Italia è sicuro, e basterebbero a confermarlo le indiscrezioni e confidenze fattemi da molti miei colleghi alcune delle quali sono state oggetto di segnalazioni a codesto Ministero. Aggiungo che, a mio modesto avviso, questo stato di preoccupazione da parte dei Turchi a noi non può che giovare. Perchè nel momento in cui (e questo momento dura già da un pezzo) Inglesi, Tedeschi, Francesi, Russi fanno a gara per accaparrarsi la Turchia o le sue simpatie con prestiti in denaro, convenzioni commerciali, cessioni territoriali e dichiarazioni altosonanti, l'Italia non ha altro modo d'influire sulla politica turca se non esercitando un salutare timore.

E tuttavia qualcosa vi è nelle dichiarazioni di von Neurath che mi lascia perplesso sulla sua scrupolosità nel riferire quanto ha udito e sopratutto sulle intenzioni che possono averlo indotto ad aprirsene con il R. Ambasciatore d'Italia a Berlino. Così, per esempio, mi sembra da escludere che Saracoglu, Ministro degli Esteri da pochi giorni, direi quasi da poche ore, al momento in cui von Neurath si trovava ad Ankara e persona piuttosto riservata di natura, abbia detto al Capo della Delegazione Tedesca: «La Turchia ha particolare interesse a tenersi da conto l'Inghilterra, in quanto unico Paese che potrebbe, al caso, difenderla dall'Italia, che essa considera come il proprio nemico».

Ugualmente non sembra molto verosimile che secondo «il giudizio di Ankara» al crollo del regime staliniano possa nascere un pericolo nuovo per la Turchia e cioè la possibilità che l'Italia prenda piede sulle coste del Mar Nero. Il giudizio di Ankara, o per meglio dire il timore di Ankara, è che l'Italia volga la sua attenzione a qualche settore della costa anatolica mediterranea, né gli armamenti di Castellorizzo preoccuperebbero chi si attendesse lo svolgersi di una nostra azione al di là degli Stretti.

Infine, nessuno meglio degli uomini politici turchi dovrebbe sapere che il riarmo degli Stretti è ancora in massima parte allo stato di progetto.

Al di fuori poi di queste considerazioni ve n'è un'altra, forse la più importante: se è vero che la Turchia cerca di stringere sempre più i propri rapporti con i nemici presumi bili d eli 'Italia e sopra tutto con l 'Inghilterra. altrettanto vero è che essa va stringendo come non mai i rapporti con la Germania. una delle Potenze dell'Asse; e che qui, qualunque osservatore anche superficiale capitando magari solo di passaggio sentirà dire da tutti e da ognuno che la Turchia fa affidamento sull'Inghilterra sopratutto per proteggersi dall'eccessivo accaparramento tedesco.

Quello che è esatto al cento per cento in quanto ha riferito von Neurath è che la partecipazione inglese ai funerali di Atati.irk è stata la più appariscente e la più coreografica di tutte, ma ho ragione di credere che ciò sia avvenuto più per desiderio dell'Inghilterra che per volontà o richiesta turca2 .

3.

L'AMBASCIATORE A MOSCA, ROSSO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 23/4. Mosca, 2 gennaio 1939 (perv. il 9). Mio telespresso n. 4792/1933 del28 novembre 1938 1 .

Mentre sono in corso i negoziati per un accordo commerciale fra U.R.S.S. e Polonia, non è ancora possibile valutare con sicurezza la portata pratica delle dichiarazioni polacco-sovietiche del27 novembre u.s. 2 , né è agevole prevedere gli sviluppi che potrà avere nel campo politico l'accordo di massima consacrato dalle dichiarazioni stesse.

L'assenza da Mosca dell'Ambasciatore Grzybowski, che da quasi un mese si trova in congedo a Varsavia, mi preclude la possibilità di assumere informazioni dirette da fonte polacca, mentre riuscirebbe perfettamente vano, per ovvie ragioni, tentare di attingere notizie alle fonti sovietiche. Mi pare tuttavia interessante di segnalare l'affermarsi, attraverso l'atteggiamento della stampa dell'U.R.S.S., di una sempre più marcata distensione dei rapporti fra i due Paesi. Significativi in proposito sono stati gli articoli pubblicati dai giornali di questi ultimi giorni in occasione dell'anniversario della costituzione della Repubblica federata della Russia Bianca, specialmente se si fa un raffronto con quelli apparsi qualche tempo fa per l'analogo anniversario della Repubblica Ucraina. Celebrando l 'ingresso di quest'ultima nell'Unione delle Repubbliche sovietiche, la stampa si era sfogata in violenti attacchi contro la Germania, deridendone gli smodati appetiti espansionistici e proclamando a gran voce la fedeltà dell'Ucraina russa, pronta in ogni momento a combattere col resto dell'Unione per respingere eventuali aggressioni.

Nulla di simile è stato stampato a proposito della Russia Bianca nei confronti della Polonia, sua confinante. Nessun accenno a pericoli di aggressione da parte del Paese vicino, che questo silenzio ha evidentemente voluto presentare all'opinione sovietica sotto veste di amico. Ciò contrasta singolarmente col tono degli stessi giornali negli scorsi anni, quando la Polonia era regolarmente indicata come il «nemico pubblico n. l».

Sincera o no, questa attitudine sovietica mostra in modo chiaro che le direttive della politica dell'U.R.S.S. tendono decisamente-almeno pel momento-a consolidare e sviluppare le buone relazioni colla Polonia, nell'intento probabile di attirarla in quel blocco anti-germanico al quale ritengo che, nonostante Monaco, Litvinov non abbia ancora rinunciato. Ho anzi l'impressione che gli odierni contrasti italo-francesi abbiano fatto rinascere a Mosca la fiducia di riuscire ad inserirsi in una coalizione politica che qui si spera sempre possa un giorno formarsi sotto l'insegna dell'antifascismo.

l 1 Vedi serie ottava, vol. X, D. 607.

2 2 Il documento ha il visto di Mussolini.

3 1 Vedi serie ottava, vol. X, D. 476. 2 Sul contenuto e sul valore da assegnare a quella dichiarazione si vedano le osservazioni dell'ambasciatore Rosso nel telespresso di cui alla nota precedente.

4

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI TEDESCO, VON RIBBENTROP

LETTERA SEGRETA2 . Roma, 2 gennaio 1939.

Nel colloquio che ebbe luogo a Palazzo Venezia il 28 ottobre u.s. 3 , il Duce, pur dando l'adesione di massima al progetto da Voi presentato per trasformare in Patto di assistenza militare l'accordo tripartito Anticomintem di Roma, fece una riserva sul momento in cui tale fondamentale atto politico avrebbe potuto effettivamente aver luogo. Del pari si espresse recentemente co !l'Ambasciatore del Giappone a Berlino, Generale Oshima4 , cui precisò inoltre che una decisione definitiva sarebbe stata da lui presa nel mese di gennaio. Ritengo che il Generale Oshima vi abbia riferito quanto sopra. Adesso, sciogliendo la riserva, il Duce ritiene che il Patto possa [venire] firmato e propone come epoca della firma l'ultima decade di gennaio. Lascia a Voi la scelta del luogo della cerimonia, nonché di stabilire la procedura relativa e di concertarvi, come avete fatto per il passato, col Generale Oshima. In questa decisione del Duce di procedere fin da ora alla stipulazione del Patto di assistenza da Voi proposto, è da escludere qualsiasi riflesso delle nostre relazioni politiche con la Francia. Le rivendicazioni italiane verso i francesi sono di due nature. Le prime, di carattere contingente, si riferiscono a quelle questioni che formarono, almeno in parte, oggetto degli accordi del 19355 , da noi ora denunziati, e che sono lo statuto degli italiani residenti nel Protettorato di Tunisi, la concessione di un porto franco a Gibuti e l'esercizio della ferrovia Gibuti-Addis Abeba, la partecipazione italiana all'amministrazione del Canale di Suez. Noi riteniamo che tali questioni possano essere risolte attraverso normali negoziati diplomatici, dei quali però non intendiamo prendere l'iniziativa. Le altre rivendicazioni sono di carattere storico, riguardano quei territori che geograficamente, etnicamente, strategicamente appartengono all'Italia ed ai quali noi non intendiamo rinunciare in modo definitivo. [Ma] questo è un problema di altra portata, che richiederebbe per la sua soluzione misure di ben diversa natura e che pertanto noi, adesso, non poniamo sul tappeto. Ma fin d'ora si può affermare una cosa sicura: la tensione italo-francese ha reso molto più popolare in Italia l'idea dell'alleanza con la Germania, e questo è già, ai n[ostri _f)ini, un risultato positivo e concreto. Le vere ragioni che hanno indotto il Duce ad accogliere in questo momento la Vostra proposta sono le seguenti:

0 ) la ormai provata esistenza di un patto militare tra la Francia e la Gran Bretagna;

2°) il prevalere della tesi bellicista negli ambienti responsabili francesi;

3°) la preparazione militare degli Stati Uniti che ha lo scopo di fornire uomini e soprattutto mezzi alle democrazie occidentali in caso di necessità.

2 Minuta autografa.

3 Vedi serie ottava, vol. X, D. 344.

4 Nel colloquio del 15 dicembre sul quale si veda serie ottava, vol. X, D. 580, nota 2.

5 Vedi serie settima, vol. XVI, D. 403.

Ciò premesso, il Duce considera ormai necessario che il Triangolo Anticomunista diventi un sistema e l'Asse potrà fronteggiare qualsiasi coalizione se avrà nella sua orbita e legati [al suo] destino i Paesi che lo possono in Europa rifornire di materie prime e cioè, principalmente, Jugoslavia, Ungheria e Romania.

L'accordo, come Voi stesso ci proponeste, dovrà venire presentato al mondo come un Patto di pace, che assicura alla Germania e all'Italia la possibilità di lavorare in piena tranquillità per un periodo abbastanza lungo di tempo.

Vi prego, caro Ribbentrop, di voler considerare assolutamente confidenziale questa decisione del Duce, così come converrà mantenere segreta la stipulazione del Patto fino al momento stesso della firma.

Poiché Voi verbalmente mi accennaste al desiderio che la firma abbia luogo in Berlino, Vi informo che dal giorno 23 gennaio, data in cui sarò di [rito]rno da Belgrado, alla fine del mese potrò, qualora Voi lo desideriate, recarmi nella Vostra Capitale. Ma su tutto ciò avremo l'opportunità di concertarci in seguito più specificamenté.

4 1 Ed. in L 'Europa verso la catastrofe, pp. 392-394.

5

L'AMBASCIATORE A TOKIO, AURITI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 37/2 R. e 36/3 R. Tokio, 3 gennaio 1939, ore 18 (perv. ore 5,40 de/4).

Chiusura secondo anno guerra, giapponesi trovansi possesso quasi 600.000 miglia quadrati territorio cinese con le maggiori città che fino anno passato erano ancora mani Chiang Kai-shek. Benché gli stessi non siano riusciti costituire nuovo governo centrale, si è qui convinti che terzo anno sarà quello in cui conflitto finirà, pur non prevedendone ancora tempo e maniera. Rimarranno difficoltà maggiori per proseguire ordinamento nuovi territori, alcune derivanti dalla guerra stessa, altre dalle preesistenti condizioni di cose. Basta rammentare secolare banditismo che potrà sparire solo mediante uso forza, con lento miglioramento condizioni economiche e retta amministrazione. A tuttociò conviene aggiungere scarsa capacità dei giapponesi acquistarsi simpatia anche da affini, specie ove ne siano dominatori. Sfruttamento cinese richiede capitali stranieri e giapponesi sembrano non disperare ottener! i specie dali'America. Bisognerà, però, che grandi democrazie perdano prima qualsiasi residua speranza in Chiang Kai-shek, il che non pare imminente se si considerino nuovi prestiti recentemente concessigli o in via di

concessione1 . Tokio ha fatto ripetutamente intendere essere necessario esse rinunzino Trattato Nove Potenze2 e ammettano collaborare con premessa preminenza Giappone. Affermazione tali principi è stata fatta questo anno con molta maggiore decisione che non nello scorso, pur nei limiti delle possibilità per un popolo orientale di parlare linguaggio realistico, libero da quella dicitura vaga e involuta che è nella tradizione della sua cultura. Affermazione preminenza giapponese Estremo Oriente, la quale adduce altre derogazioni anche solo de facto Trattato Nove Potenze come perdita di privilegi dell'extraterritorialità e delle concessioni e stabilimenti, è una delle più importanti della storia dei rapporti internazionali degli Stati Occidentali in questa parte del mondo. La fine del loro predominio può considerarsi un elemento decisivo della nuova situazione che è in corso di svolgimento non solo in Asia ma anche in Europa e Africa ove ha fatto e continuerà a far sentire suoi effetti. Anche come conseguenza del perdurante conflitto cinese e relativa politica economica di vari grandi e piccoli Stati d'Occidente, nonché della persuasione di un fatale non lontano scontro con Russia, si è andato diffondendo in questa opinione pubblica nel corso dell'anno convinzione utilità patto Italia e Germania, sì che non solo in privato ma anche e per la prima volta da membri del governo è stato pubblicamente affermata necessità suo rafforzamento. Dimissioni ministro Esteri U gaki3 dopo pochi mesi dalla nomina sono state considerate come uno dei nuovi segni tangibili del prevalere di tale volontà su quella degli inguaribili anglofili. Si dice vi saranno presto altri parziali mutamenti Gabinetto e ciò significherà verosimilmente un maggiore accentuarsi tendenze.

Conflitto cinese ha avuto effetti anche su politica interna in quanto l 'ha obbligata a volgersi tutta al conseguimento vittoria ed a subordinare a questa qualsiasi altro scopo. Giappone è stato posto gradualmente su base stato guerra mediante successiva applicazione legge mobilitazione. Lotte gruppi parlamentari hanno avuto tregua e si sono svolte in tono minore pur non riuscendo del resto costituire quell 'unico partito di cui giornali hanno spesso parlato e che avrebbe affrettato trasformazione vita politica secondo principii totalitari. Economia, quantunque con gravi perdite, ha mostrato alle attonite prefiche democratiche di sostenere straordinario sforzo guerra e popolo ha provato una volta di più suo amore patrio combattendo eroicamente in Cina e sopportando all'interno con dignità, spirito sacrificio e disciplina dolori e danni conflitto.

n. 6256/2629 del 19 dicembre 1938).

2 Trattato di Washington del 6 febbraio 1922 concluso tra Stati Uniti, Belgio, Impero Britannico, Cina, Francia, Italia, Giappone, Paesi Bassi e Portogallo per adottare una politica concordata negli affari cinesi (testo in MARTENS, vol. XIV, pp. 323-331 ).

3 Il 29 settembre 1938.

Italia dando nuova prova leale amicizia senza ipocrita divergenza tra parole e fatti ha rafforzato anche meglio sua posizione politica. Con accordo economico4 , cui stipulazione molto giovò spiritualmente visita missione fascista, ci si è positivamente avviati verso meno scarsi reciproci traffici, mentre promesse datemi fanno sperare possibilità di una qualche collaborazione in Cina almeno nel campo aviazione. Con nostre borse di studio premi (cui Giappone si prepara rispondere con altri premi) con istituzione Società itala-giapponese nelle quattro maggiori città e con prossimo inizio costruzione Casa itala-giapponese Tokio (per la quale privatamente Giappone ha già dato più di un milione 800.000 lire) si sono promossi anche quei rapporti di cultura che prima non erano esistiti quasi affatto e che elevandosi su base amicizia politica contribuiscono rafforzarla.

All'inizio nuovo anno può asserirsi con fondamento anche più ampio e solido di prima essere Italia Potenza che ha in Giappone migliore posizione morale. Comunicato Roma e per conoscenza Shanghai.

4 6 A proposito di questa lettera vi è nel Diario di Ciano la seguente annotazione, sotto la data del 2 gennaio: «La lettera per Ribbentrop è approvata [da Mussolini]. Domani la consegnerò ad Attolico insieme ad alcune istruzioni su quanto dovrà dire ai tedeschi, specialmente in relazione ai rapporti commerciali tra i due Paesi e all'Alto Adige. Sarebbe bene dar corso al progetto di Hitler per ritirare i tedeschi che vogliono partire».

5 1 Circa la concessione da parte della Gran Bretagna di un prestito di cinquecentomila sterline alla Cina, l'incaricato d'affari a Londra, Crolla, aveva fatto notare: «Non vi è dubbio che le più recenti manifestazioni dell'attività giapponese in Cina ed in particolare le restrizioni imposte a Tsingtao e sullo Yangtse nei riguardi della marina mercantile e del commercio britannici, confermando le preoccupazioni circa le intenzioni del governo di Tokio di costituirsi un virtuale monopolio del commercio estero cinese, hanno valso, oltre che ad irrigidire l'opinione pubblica inglese nei confronti del conflitto in Estremo Oriente, anche ad indurre il governo di Londra ad esaminare in forma positiva i mezzi per salvaguardare gli ingenti interessi finanziari britannici in Cina. Allo stesso tempo, la relativa esiguità dell'importo di cui si tratta-esiguo non solo nei confronti delle ben più vaste necessità del governo di Chiang Kai-shek ma altresì nei confronti del recente credito di 25 milioni di dollari concesso dagli Stati Uniti-attesta l'incertezza di pensiero che tutt'ora informa l'atteggiamento dei circoli responsabili inglesi» (telespresso

6

L'AMBASCIATORE PRESSO LA SANTA SEDE, PIGNATTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. S.N.D. PER CORRIERE 97/l R. Roma, 3 gennaio 1939 (perv. !'8).

Ho dato lettura al Cardinale Segretario di Stato della nota dettatami ieri dal Duce 1 . Il porporato mi ha assicurato che ne riferirà al Papa ma ha soggiunto che le parole dedicate, dal Pontefice, al Duce avevano un inequivocabile significato di alta

«i) In certi ambienti cattolici si è fatta dell'ironia sulla parola del Papa che mi riguarda.

2) Deploro l'attacco al Partito fatto dal Papa, attacco su cui si è fatta una speculazione in tutta Europa.

Conclusione: è convinzione di Musso lini, in base a elementi fomitigli dalla Polizia, che l' Azione Cattolica è la maschera di un vero e proprio partito politico a carattere antifascista, che ostacola in quasi tutti i campi l'attività del Regime, con organizzazioni anche a carattere sindacale (medici, scrittori cattolici). C'è poi un'organizzazione centrale d'Azione Cattolica che non dovrebbe esistere perché gli accordi del '31 stabiliscono che "l'Azione Cattolica è essenzialmente diocesana"».

La nota di Mussolini traeva spunto dal discorso che, il 24 dicembre, Pio XI aveva rivolto al Sacro Collegio (vedi in proposito serie ottava, vol. X, D. 591), in cui, tra l'altro, il Pontefice, riferendosi all'opera svolta per la Conciliazione del 1929, aveva chiamato Mussolini «incomparabile ministro», dando l'impressione a molti-e allo stesso Mussolini-di voler dare un significato ironico alle sue parole.

Circa il colloquio del 2 gennaio nel corso del quale Musso lini dettò all'ambasciatore il testo della nota, vi è questa annotazione nel Diario di Ciano: «Colloquio Duce-Pignatti. Il Duce ha detto all'Ambasciatore, perché ripeta in Vaticano, che è scontento della politica della Santa Sede specialmente per quanto riguarda l'Azione Cattolica. Ha parlato anche dell'opposizione del clero alla politica dell'Asse, nonché a quella razziale. Non si illudano sulla possibilità della Chiesa di tenere sotto tutela l'Italia: le forze ecclesiastiche sono imponenti, ma più imponenti sono quelle dello Stato e in specie di uno Stato come quello fascista. Non vogliamo l'urto: ma siamo pronti a sostenerlo, ed in tal caso susciteremo tutti i sopiti rancori anticlericali: il Papa ricordi che l'Italia è ghibellina. Pignatti si è comportato bene. Ha detto che da parte del Vaticano molti errori sono stati fatti, ma che il Papa è in buona fede e che è colui che la pensa più di ogni altro prelato italianamente. Gli ho dato istruzioni di agire con molto tatto. Nonostante Starace, voglio evitare l'urto col Vaticano, che considero molto nocivo».

stima ed insigne apprezzamento dell'opera Sua. Il Santo Padre aveva redatto, da solo, senza consigliarsi il Suo discorso al Sacro Collegio, ma ne aveva poi parlato con lui (cardinale Pacelli) e con altri ed aveva chiarite e precisate le Sue parole. Era, dunque, fuori dubbio che il Papa aveva voluto segnalare al Mondo, le Alte Personalità-e fra esse principalmente il Duce -che avevano avuto una parte eminente nel preparare e attuare la Conciliazione.

Il cardinale Pacelli, riferendosi al terzo punto segnalato dal Duce, e dicendo di non volere interferire sulla risposta che darà il Papa, ha tenuto ad affermare subito di non credere che l'Azione Cattolica serva di copertura a un partito politico a carattere antifascista.

Ho replicato di non potere condividere il suo punto di vista. Da troppi segni era ormai manifesto che illaicato d'Azione Cattolica assumeva ogni giorno più atteggiamenti avversi al Regime, dando mostra di mal sopportare di dovere contenere la propria attività nei limiti concordati nel 1931 2• Circa l'appunto mosso all'esistenza di un organo centrale d'Azione Cattolica in contrasto con il carattere diocesano dell' istituzione, il cardinale ha obiettato che la mancanza di un organo centrale di direzione, metterebbe in pericolo l'esistenza stessa dell'Istituzione. Ho replicato che a dirigere l'Azione Cattolica sembravano più adatti dell'organo centrale, i vescovi se essi erano capaci, come di fatto lo sono, a rappresentare il Papa nelle diocesi rispettive e a dirigere, in Suo Nome, la Chiesa la quale, con l'insieme delle sue multiformi attività, è qualcosa di ben più complesso e importante dell'Azione Cattolica.

In esecuzione agli ordini impartitimi, ho intrattenuto, poi, il Cardinale Segretario di Stato sull'Asse e sulla questione della razza senza provocare da parte sua replica alcuna. Immagino ch'Egli non abbia inteso entrare in argomento, in attesa di riferirmi il pensiero del Papa.

Da ultimo, ho dichiarato al Cardinale Segretario di Stato, con molta calma ma con altrettanta fermezza, che il Governo Fascista, mentre aveva dato prove indubbie, e ripetute, di rispetto e di riguardo nelle questioni religiose, non ammetteva e non era disposto a tollerare una tutela della Chiesa Cattolica sull'Italia. Ho pregato il cardinale Pacelli di dare la maggiore attenzione alla mia dichiarazione che consideravo d'importanza capitale per le future relazioni fra l'Italia e la Santa Sede. Il Duce-ho precisato-non era disposto ad ammettere per nessuna ragione e sotto nessuna forma, un'intromissione della Chiesa negli affari dello Stato ch'Egli intendeva dirigere e regolare in piena libertà, all'infuori di qualsiasi ingiustificata ingerenza. Tutto andrà bene--ho concluso-se la Santa Sede si regolerà con l'Italia come con la totalità degli altri Stati verso i quali dà prova di una tolleranza encomiabile, ispirata a sensi di opportunità politica.

Il porporato mi ha garantito che riferirà al Papa le mie parole ed ha soggiunto che le intromissioni per le quali il governo fascista dimostra intolleranza sono il più delle volta originate dal fatto della vicinanza dei due Poteri, la qual cosa accentua il carattere increscioso di determinati avvenimenti.

Ho consegnato al cardinale Pacelli i documenti rimessimi dal Duce3 e, a proposito dell'inaugurazione di una Casa d'Azione Cattolica, a Faenza, ho osservato che noi condividevamo interamente il pensiero del Papa il quale, impartendo ordini al cardinale Pizzardo, ebbe a dirgli: «L'Azione Cattolica in sagrestia». Noi pensiamo, infatti, che

la casa adatta per l'Azione Cattolica sia la sagrestia. Qualsiasi altra sede sarebbe in opposizione con gli Accordi del 1931.

Ho dichiarato, infine, al Cardinale Segretario di Stato-parlando in mio nomedi avere la netta impressione che le relazioni fra l'Italia e la Santa Sede si trovino a una svolta che può diventare pericolosa. Faceva d'uopo che la Santa Sede cessasse dall'osteggiare la politica estera dell'Italia. La Chiesa avrebbe messa a un grosso rischio la sua posizione, il giorno che fosse manifesto ch'essa attraversava la politica italiana sul terreno internazionale.

L'atteggiamento della Santa Sede nella questione della razza non aveva giustificazione; né il Governo Fascista era disposto a mutare strada. La Santa Sede aveva tutto l 'interesse di tacere e di lasciare fare. Agli ebrei non era torto un capello e il trattamento ad essi fatto dal governo fascista (titoli al 4% contro proprietà immobiliari) veniva invocato come un'àncora di salvezza da proprietari italiani di fondi rustici del Sud della Francia (Dipartimento di Tolosa), angariati dal fisco e da esosi debitori.

Il Papa doveva rendersi conto, inoltre, che il Duce non accettava di essere vincolato o comunque ostacolato nelle sue iniziative politiche sia di carattere interno che internazionale.

Considero questo mio primo colloquio come una preliminare entrata in materia. Riprenderò la conversazione dopo che il Cardinale Segretario di Stato avrà le istruzioni del Pontefice e procurerò di arrivare a concreti risultati4 .

5 4 Accordo fra l'Italia, il Giappone e il Manciukuò del 5 luglio 1938 per regolare gli scambi commerciali ed i relativi pagamenti fra l'Italia da una parte ed il Giappone e il Manciukuò dall'altra (testo in Trattati e convenzioni, vol. LIII, pp. 177-190).

6 1 La nota era del seguente tenore:

6 2 Riferimento all'accordo del 2 settembre 1931 tra Italia e Santa Sede che regolava l'attività dell'Azione Cattolica. L'accordo era stato reso subito di pubblica ragione. 3 Si riferisce, forse, a rapporti della polizia. Non rintracciati.

7

L'INCARICATO D'AFFARI A WASHINGTON, COSMELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 351/62. Washington, 3 gennaio 1939 (perv. il 26?).

La Conferenza panamericana di Lima ha concluso i suoi lavori, come era previsto, il 24 dicembre. Dalle capitali sud-americane più direttamente interessate, e particolarmente da Lima stessa1 , l'E.V. sarà stata tenuta al corrente del modo come si sono svolti i lavori,

delle fasi più salienti, di quello che è stato il duello Argentina-Stati Uniti, e delle ben modeste conclusioni raggiunte.

Quest'Ambasciata, attraverso il telegramma Stefani speciale, ha informato codesto Regio Ministero delle reazioni quotidiane della stampa e dell'opinione pubblica nord-americana, la quale, dopo aver seguito con una certa irritazione !'impasse prodottasi a Lima, e di cui ha voluto attribuire, naturalmente, il merito e la colpa, a noi ed ai tedeschi, ha finito, non si sa poi come, col trovarsi, all'ultim'ora, abbastanza concorde, nel riconoscere che la conferenza aveva costituito un successo per gli Stati Uniti.

Con questo mio rapporto, mi limito, pertanto, a consegnare agli atti, alcune osservazioni riassuntive del modo come i problemi sollevati alla Conferenza di Lima si siano presentati e si presentino, visti da Washington.

La politica panamericana dell'attuale amministrazione democratica è passata attraverso due fasi, abbastanza bene identificabili con i due quadrienni del governo Roosevelt.

Nella prima fase (1932-36) attraverso l'enunciazione e la pratica della politica del buon vicinato gli Stati Uniti si sono sforzati, in ottima buona fede, di cancellare presso gli Stati centro e sud-americani le diffidenze che, per oltre mezzo secolo, essi avevano seminato con la cosiddetta «diplomazia dei dollari».

Nella seconda fase, tutt'ora in sviluppo, iniziatasi nel 1936 con la Conferenza di Buenos Aires, essi hanno cercato di valorizzare questa loro politica di abbandono, ottenendo attraverso l'amicizia e la collaborazione degli Stati dell'America Latina, quello che prima suo levano ottenere, con l 'uso o la minaccia della forza.

La politica del buon vicinato è diventata, perciò, sotto questo impulso, subcosciente, del loro imperialismo storico, un'edizione riveduta e corretta della dottrina di Monroe. Si potrebbe anche dire: una edizione democratica della vecchia dottrina di marca repubblicana.

A Buenos Aires nel dicembre 1936 essi si presentarono con un programma molto concreto; e cioè: a) ottenere la costituzione di un comitato permanente che assicurasse, in tutte le contingenze, una linea di condotta comune di tutti gli Stati americani; b) fare adottare a questi ultimi le stesse norme sulla politica della neutralità, già in vigore agli Stati Uniti. Non è chi non veda come la concretizzazione di un tale programma avrebbe, loro, assicurato, di fatto, la direzione politica di tutto il continente.

Il tentativo, però, fallì nonostante la presenza a Buenos Aires dello stesso Presidente Roosevelt. Gli Stati Uniti dovettero accontentarsi di un patto di consultazione a carattere non permanente ed adattarsi, in pari tempo, a rinunciare, anche contrattualmente, all'esercizio della dottrina di Monroe.

Quanto accadde a Buenos Aires non differisce sostanzialmente da quanto è accaduto a Lima. Anche allora vi fu un duello Argentina-Stati Uniti. Anche allora gli argomenti, sostenuti dalle Potenze del!'America Latina, furono analoghi a quelli sostenuti a Lima.

Gli è che esistono delle cause permanenti che dettano l'attitudine di diffidenza degli Stati del!' America Latina verso la grande nazione anglo-sassone del nord. Le ragioni che hanno indotto gli Stati Uniti, anche questa volta, a ripetere gli errori di Buenos Aires, più che nella persistente tenacia del Segretario di Stato, sono

da ricercarsi nell'idea che essi si sono fatta della loro posizione rispetto agli avvenimenti mondiali di questi ultimi due anni.

Nella divisione ideologica del mondo in due campi, gli Stati Uniti si sono sinceramente convinti di costituire l'ultima trincea della democrazia, nella lotta contro gli Stati totalitari. Dopo il «tradimento di Monaco», essi sono addirittura nell'atteggiamento di chi, avendo visto cadere le difese più avanzate, si attenda, da un momento all'altro, il nemico alla porta di casa.

Di qui la montatura del «pericolo fascista», che attraverso le tendenze e le affinità di alcuni Paesi dell'America Latina, rischierebbe di impiantarsi anche nel continente americano, minacciando la stessa libertà interna degli Stati Uniti.

In altra sede quest'Ambasciata ha già esaminato quanta sia la parte dell' emozionalità e quanta quella della realtà a determinare questo atteggiamento. Non è quindi il caso di riparlarne.

Lima si presentava, quindi, agli occhi degli Stati Uniti come una sede solenne dalla quale impartire un vigoroso avvertimento agli Stati totalitari e come quella più appropriata per concretizzare, con la collaborazione democratica delle stesse nazioni minacciate (politica del buon vicinato), un'azione di difesa della propria influenza nei Paesi dell'America Latina (dottrina di Monroe).

***

Il piano di lavoro cui si è ispirata la Delegazione americana redatto, affrettamente, soltanto durante la traversata da New York a Callao, sembra essere stato il seguente.

Ottenere, prima, attraverso un impegno di solidarietà continentale, una dichiarazione ostile ai regimi totalitari; dare, poi, forma concreta a tale solidarietà, riprendendo il progetto di Buenos Aires del Comitato di consultazione, permanente, fra i ministri degli Affari Esteri. Qualcuno pretende che, ove l'atmosfera dei lavori fossesi dimostrata favorevole, avrebbe potuto parlarsi di qualche vago accordo militare, riesumando il vecchio progetto, di così infausta memoria, del prestito di cacciatorpediniere al Brasile.

Sul terreno, sempre presente, della politica interna, la riuscita della conferenza avrebbe offerto il vantaggio di rimuovere una parte delle obiezioni che il Congresso non mancherà di fare quando verrà chiamato a pronunciarsi sul nuovo imponente programma di armamenti, che si ha in animo di varare.

Appena iniziatisi i lavori di Lima è apparso subito evidente che, mentre gli Stati dell'America Latina erano unanimi nel riconoscere l'esistenza di fatto della loro solidarietà continentale di fronte ad ogni eventuale pericolo esterno, da qualunque parte esso si presentasse (quindi anche da parte degli Stati Uniti), essi non credevano, tuttavia, alla esistenza concreta del cosiddetto «pericolo fascista». Non volevano, quindi, prestarsi, senza serie ragioni, al giuoco di Washington.

Da questo terreno specifico, il divario si è, mano a mano, allargato, mettendo in luce, ben più di quanto non sia apparso a Buenos Aires, e certamente contro ogni interesse degli stessi Stati Uniti, le fondamentali divergenze esistenti fra essi ed i Paesi deli'America del Sud. N i ente di più istruttivo, a questo proposito, che il raffronto dei discorsi dei principali uomini di Stato sud-americani, con quelli del Segretario di Stato, signor Hull.

Due concezioni assolutamente diverse del Panamericanismo.

Il Panamericanismo anglo-sassone nordamericano, animato da una tendenza insopprimibile a ripetere sul terreno continentale e contro l'Europa (ieri con la dottrina di Monroe, oggi con l'ideologia democratica) l'opera di unificazione politica, economica, spirituale realizzata fra gli altri Stati dell'Unione. Il panamericanismo latino degli Stati sud-americani, fondato sulla conservazione politica e spirituale delle varie individualità statali, sulla esaltazione della loro origine europea, latina e cattolica, sulla difesa gelosa della loro indipendenza e libertà di decisione, presente e futura, soprattutto di fronte alla invadenza degli Stati Uniti.

Se la Conferenza non è arrivata ad una rottura, così come la cosa ha potuto per un momento apparire possibile, lo si deve, forse, unicamente, alla pazienza ed alla perseveranza di cui ha saputo dar prova il Segretario di Stato, signor Hull, che, per nulla impressionato della opposizione argentina, ha saputo accontentarsi, con abbastanza buona grazia, di portare a casa soltanto un granellino di sabbia. Come ha detto il noto giornalista del New York Times, signor Krock, il Segretario di Stato è uno di quegli uomini al quale, la tenacia, permette di capitalizzare anche i più modesti risultati. La sua sarebbe una politica fatta un poco come sub specie aeternitatis, di fronte alla cui persistenza tutte le opposizioni finirebbero col trovarsi, prima o poi, disarmate. Nell'osservazione c'è qualche cosa di vero.

La formulazione, per quanto vaga, delle risoluzioni adottate a Lima e lo scopo ed il contenuto di alcune di esse, hanno, in definitiva, costituito una concessione -anche se di pura cortesia-al punto di vista dottrinario degli Stati Uniti.

Fra le varie decine di documenti di carattere economico, culturale, politico che sono stati votati, soltanto alcuni meritano un cenno particolare.

l) Il più importante di essi, quello su cui si è giuocata tutta la Conferenza, è la cosiddetta Dichiarazione di Lima che è un'affermazione di solidarietà continentale, nella quale ha dovuto sacrificarsi all'unanimità, ogni sapore di concretezza.

Essa ribadisce la solidarietà di tutti gli Stati americani contro ogni intervento esterno (gli argentini non hanno voluto si dicesse extra-continentale) di qualunque natura esso sia per la difesa di quel patrimonio, repubblicano, (alcuni Stati fra cui il Brasile si sono finanche rifiutati di usare la parola democratico) che si esprime nella loro personalità, sovranità, indipendenza ecc.

La dichiarazione riconferma l 'impegno di consultazione di Buenos Aires, stabilendo una nuova forma di consultazione «a rotazione» di cui, però, le pratiche modalità contraddicono completamente la sostanza e lo spirito. È infatti detto che i ministri degli Affari Esteri o persone da essi delegate, potranno riunirsi nelle varie capitali su iniziativa di uno qualunque di essi quando sarà ritenuto necessario. Ciò significa, che se uno dei ministri degli Affari Esteri, prende l'iniziativa di una consultazione, gli altri colleghi possono farsi rappresentare, per esempio, dal proprio ambasciatore, cioè, in altri termini, pregare il ministro convocante di consultarsi attraverso le normali vie diplomatiche.

Questa formulazione così dubbia riflette la preoccupazione, anche di prestigio, dell'Argentina, del Cile, e di altri Stati sud-americani, di evitare di vedersi convocati telegraficamente a Washington.

È chiaro che questo nuovo documento non apporta nulla di nuovo al patto di consultazione continentale già sottoscritto a Buenos Aires; e se esso contiene alcune frasi molto prudenti invocanti la pace, la tolleranza religiosa e razziale, che possono considerarsi come intenzionalmente rivolte agli Stati totalitari, per il modo generico con il quale è redatto, può considerarsi come intenzionalmente destinato a condannare ed impedire, anche, l'esercizio attivo della dottrina di Monroe, da parte degli Stati Uniti.

Il Wall Street Journal, per esempio, ha fatto notare, come, d'ora in poi qualunque atto degli Stati Uniti tendente ad esercitare una pressione, anche soltanto economica, sul Messico, per costringerlo a pagare il prezzo dei terreni petroliferi espropriati, sarebbe una violazione dello spirito e della lettera della Dichiarazione di Lima, e potrebbe, pertanto, provocare da parte di un qualunque terzo Stato americano, la messa in moto del meccanismo di consultazione.

2) Una risoluzione sulla riduzione delle barriere doganali con la quale gli Stati americani, facendo propri i ben noti concetti del signor Hull sulla libertà degli scambi commerciali, si raccomandano, vicendevolmente, di non praticare in materia di tariffe di scambi commerciali, di controlli valutari, di formalità doganali ecc., precisamente tutti quei sistemi che essi praticano da anni, nonostante questa, e le analoghe risoluzioni delle due precedenti conferenze panamericane, anch'esse ispirate dal Segretario di Stato nord-americano.

3) Una «dichiarazione dei principi americani» nella quale vengono riaffermate, come costituenti un codice della morale internazionale, parte di quelle stesse norme che formarono l'oggetto della comunicazione circolare che nel luglio 1937 la Segreteria di Stato degli Stati Uniti rivolse a tutti i governi del mondo2 .

4) Esistono, inoltre, due altre dichiarazioni di cui questo Dipartimento di Stato non ha pubblicato ancora il testo, per non averlo ancora ricevuto da Lima; ma sulle quali questa stampa ha fatto un certo rumore.

La prima tenderebbe a scartare dal continente americano ogni forma di persecuzione razziale e religiosa; la seconda ad impedire agli stranieri residenti in America l'esercizio collettivo di certi diritti politici in relazione con la loro appartenenza alla loro patria d'origine. Trattasi sopratutto dell'esercizio del voto, ali' estero, in occasione di analoghe votazioni che hanno luogo in patria.

È evidente, nonostante l'ottimismo esteriore di questi circoli governativi e di gran parte della stampa, che la Conferenza di Lima ha sottolineato certe stridenti contraddizioni della politica panamericana degli Stati Uniti, e che nonostante il prestigio di cui gode, per la rettitudine e la continuità delle sue intenzioni, lo stesso Segretario di Stato ne esce, alquanto, diminuito. Non è quindi da escludere che possa prossimamente prodursi un mutamento di metodo della politica panamericana di Washington, nel senso di un maggiore realismo. Il ragionamento che sembra già farsi strada, e di cui esiste qualche sintomo ufficiale, precursore della stessa Conferenza di Lima, è il seguente.

Spogliata di ogni superflua emozionalità, la minaccia all'influenza degli Stati Uniti nell'America Latina, se di minaccia può parlasi, si riduce, soprattutto, alla concorrenza economico-commerciale di alcune Potenze europee, cioè gli Stati totalitari e la stessa democratica Inghilterra.

Tale concorrenza si svolge con successo, perché i primi offrono il vantaggio del sistema degli scambi bilanciati, mentre la seconda è favorita dalla possibilità di assorbire grandi quantità di materie prime. Su questo terreno più che l'arma ideologica o l'eventuale corsa agli armamenti la battaglia va ingaggiata con le stesse armi, cioè l'offensiva economica. Gli Stati Uniti sono ricchi abbastanza di mezzi finanziari, per farlo con successo, ed il New Dea! offre già esempi concreti che si potrebbero trasportare sul campo esterno.

Resta tuttavia da vedere come potrà conciliarsi questo pragmatismo che da più parti si invoca, con il dottrinarismo !iberista del Segretario di Stato il quale non è uomo da rinunciare facilmente ai suoi principi.

Allego, ad ogni buon fine, i principali documenti riguardanti la Conferenza3 , così come essi sono stati pubblicati da questo Dipartimento di Stato.

6 4 Sul documento vi è il timbro: «Visto dal Duce». Per il seguito si veda il D. 25.

7 1 Il ministro a Lima, Farai! i, aveva riferito sui risultati della Conferenza (con te l espresso 4796/1476 del26 dicembre) osservando che, nel complesso, era stata l'Argentina ad apparirne la trionfatrice, «non tanto per il suo apporto costruttivo quanto per il successo del suo risoluto atteggiamento inteso ad impedire che la Conferenza assumesse un carattere nettamente antieuropeo e che si addivenisse alla conclusione di patti continentali che vincolassero la politica estera dei singoli Stati americani». Gli Stati Uniti non avevano presentato progetti di natura politica ma avevano molto insistito nel richiamare l'attenzione sull'incombente minaccia fascista, ciò che aveva portato all'approvazione di alcune dichiarazioni in cui si ribadiva la fedeltà ai principi democratici ed il ripudio delle persecuzioni razziali o religiose. Si trattava-osservava il ministro Farai! i -di dichiarazioni sostanzialmente platoniche ma che potevano «avere dei riflessi nella politica interna dei singoli Stati dove le correnti di sinistra cercheranno di approfittarne per esigere una più vigile difesa contro la cosiddetta invasione delle ideologie fasciste». Quanto alla Dichiarazione di Lima -concludeva il ministro Faralli -essa «in sostanza non comporta nessun nuovo impegno (il sistema delle consultazioni risale alla Conferenza di Buenos Aires) e lascia ognuno libero di partecipare o meno ad azioni collettive, di giudicare se vi è o no aggressione».

7 1 Riferimento alla dichiarazione del Segretario di Stato, Hull, del 16 luglio 1937 (testo in FRUS, 1937, vol. I, pp. 699-700).

8

IL MINISTRO A BUDAPEST, VINCI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 35/3 R. Budapest, 4 gennaio 1939, ore 1,14 (perv. ore 6, l O). Telegramma di V. E. n. 11•

Ministro Affari Esteri mi ha comunicato quanto segue. Mentre è pronto a fare anche al governo tedesco, non appena ne sarà da esso richiesto, stessa dichiarazione fatta a V. E. fornendo assicurazione negli stessi termini circa uscita de li'Ungheria dalla Società delle Nazioni, vorrebbe però sapere in che dovrebbe consistere desiderato «impegno interno». 2) Quanto alla dichiarazione pubblica circa Patto Anticomintern, è pronto appoggiare adozione presso Reggente Horthy e Consiglio dei ministri, nel senso desiderato, se anche governo tedesco gliene esprimerà desiderio. Egli penserebbe in caso provocare interpellanza al Parlamento (che si apre il 22 corrente) rispondendo con tale dichiarazione. Nel corso della conversazione ha aggiunto: non gli era gradito adesione contemporanea a Manciukuò, che l'Ungheria stava ora facendo pratiche per riconoscere; studiava anche egli formula adesione; si preoccupava soprattutto non suscitare suscettibilità tedesca2 .

2 Il giorno successivo, il Segretario di Stato von Weizsacker precisava all'ambasciatore ATTOLICO che l'espressione «impegno interno» sulla quale Csaky aveva chiesto chiarimenti significava che l'assicurazione di voler uscire dalla Società delle Nazioni doveva essere data dal governo ungherese nella forma di «una promessa confidenziale e non pubblica» (T. per corriere 65/05 R. del 5 gennaio). Il ritiro dell'Ungheria fu notificato al Segretario Generale della Società delle Nazioni l'Il aprile successivo.

Autografo di Ciano del doc. 4.

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9.

IL MINISTRO A BUCAREST, GHIGI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

RAPPORTO 73/21. Bucarest, 4 gennaio 1939 (perv. iliO). Riferimento: rapporto 1593 del 28 dicembre u.s. 1•

Secondo il desiderio a suo tempo espressomi (mio rapporto in riferimento) di ritornare meco sull'argomento delle relazioni italo-romene, il signor Gafencu mi ha oggi invitato a casa sua, e si è intrattenuto con me in un lungo colloquio, al quale assisteva anche il nuovo Segretario Generale per gli Affari Politici, signor Cretzianu.

Il signor Gafencu mi ha detto sostanzialmente: la Romania, come gli altri Paesi, cerca in Europa la sua nuova via. Vecchi sistemi, vecchie ideologie, sono crollati per sempre nella realtà e nello spirito dei dirigenti romeni.

La Romania desidera sommamente la pace, e spera nell'accordo delle quattro Grandi Potenze, tutrici della civiltà europea.

Ma la Romania intende altresì tener conto delle nuove entità politiche ed economiche: desiderosa di mantenersi con le quattro Grandi Potenze in buoni rapporti, essa però aspira a stringere con l'Asse Roma-Berlino relazioni sincere e profonde. Essa sa che l'Asse è una solidissima ed inscindibile realtà; ma nondimeno essa vi scorge due volti: quello di Berlino e quello di Roma; e se si adopera per intrattenere con Berlino i migliori rapporti, le sue simpatie ed i suoi interessi la spingono soprattutto verso Roma.

Il governo romeno perciò desidera di svolgere nei riguardi dall'Italia una politica analoga a quella dell'alleata Jugoslavia. onde costituire con essa. «la mano nella mano». un sistema politico ed economico. appoggiato all'Asse Roma-Berlino. che costituisca elemento di pace e prosperità nella regione danubio-balcanica. aprendovi largamente le porte all'influenza italiana. ritenuta dal governo romeno sommamente desiderabile.

Il signor Gafencu avendomi poi chiesto se desideravo che, a complemento delle considerazioni da lui svolte, egli mi chiarisse determinate questioni, l'ho pregato di voler indicare a me, nuovo giunto in Romania, il suo pensiero circa alcuni punti (altri forse mi si sarebbero in seguito presentati) che ad un primo esame della questione mi apparivano presentare particolare interesse per i rapporti fra i due Paesi. Ho quindi accennato ai seguenti argomenti.

Scambi commerciali. Fra i due Paesi è stato firmato un trattato di commercio considerato soddisfacente, a quanto mi constava. Ricordavo peraltro che Re Caro!, a Sinaia, mi aveva detto di attribuire valore relativo al trattato in sè, ma bensì di considerare di grande importanza il modo e lo spirito con cui sarebbe stato applicato. Mi sembrava che l'osservazione di Sua Maestà fosse molto giusta: ritenevo che la crea

zione di scambi commerciali veramente considerevoli fra Italia e Romania, oltre che corrispondere alla situazione geografica ed economica, fosse base essenziale per l'intensificazione dei rapporti politici fra i due Stati. E molto poteva a ciò contribuire sia indirettamente che direttamente il governo romeno, rivolgendosi all'industria italiana per tutti i suoi acquisti per forniture.

Stampa. Dalle prime letture dei giornali romeni non potevo non rilevare che, ad esempio nella questione dai rapporti franco-italiani, l'atteggiamento dei giornali romeni, non tanto nei commenti quanto nei titoli e nella evidenza data alle notizie di fonte parigina, fosse nettamente filo-francese, e quindi, per forza di cose, ostile all'Italia. Mi sembrava che l'atteggiamento della stampa, specialmente in un regime come quello romeno, avesse più valore e contrastasse con la linea di condotta che il governo romeno si propone di adottare.

Oltre a questi punti, interessanti direttamente i rapporti italo-romeni, mi permettevo di domandargli, sempre per mia personale informazione, quale fosse la situazione delle relazioni della Romania con l 'Ungheria (circa le quali il signor Gafencu conosceva certamente il nostro punto di vista), nonché con la Germania e con gli altri Stati vicini.

Il Ministro degli Esteri ha risposto:

-al primo punto, che condivideva pienamente il mio pensiero e che avrebbe fatto di tutto, sicuro di avere l'appoggio del Re, per sviluppare le reciproche relazioni economiche;

-al secondo punto, che il giorno stesso aveva dato ordine alla stampa di mantenere assoluta imparzialità nei riguardi della vertenza italo~francese.

Le simpatie per la Francia-ha ammesso il mio interlocutore-sono realmente molto profonde e diffuse in Romania. Esse però non possono né debbono pesare sulle questioni politiche.

Il dissidio italo-francese è considerato con dolore in Romania, sia per ragioni sentimentali, perché i Romeni amano sia la Francia che l'Italia, sia per ragioni politiche, perché si teme qui che il problema mediterraneo distragga l'Italia dal settore danubiano dove la Romania ha interesse e desiderio di vederla assumere una parte preponderante; l'accordo fra Roma e Parigi sarebbe perciò accolto con gioia in questo Paese. Malgrado tali considerazioni. la tensione dei rapporti fra i due Stati non impedisce affatto al governo romeno di desiderare. proprio nell'attuale momento. di avvicinarsi intimamente ali 'Italia.

Venendo quindi alle relazioni fra Romania e Ungheria, il signor Gafencu mi ha detto che la situazione è rimasta immutata, internazionalmente, dopo Bled2 , perché gli accordi parafati in tale occasione non furono firmati in attesa che una soluzione intervenisse con la Cecoslovacchia. Essi però sussistono nella forma alla quale giunsero a Bled, e per parte romena hanno avuto una prima applicazione con l'istituzione del Commissariato per le Minoranze. Il Ministro degli Esteri ha affermato di essere apertamente fautore di una politica di riavvicinamento con l'Ungheria, e di crederla possibile. Tale suo modo di vedere era già noto prima del suo arrivo al potere ed in

tal senso egli si era espresso col Conte Csaky, che aveva visto recentemente a Budapest. Tanto è vero che la stampa ungherese si è mostrata molto cortese in occasione della sua nomina e che il Pesti Hirlap ha scritto un articolo elogiativo su di lui.

Per quanto riguarda le minoranze, il signor Gafencu, ha aggiunto che questo governo sta iniziando una politica diretta a dare ampia soddisfazione alle aspirazioni degli interessati. Egli sta attualmente ricevendo i vari capi delle minoranze magiare e rendendosi conto personalmente dei loro desiderata. Intanto il nuovo regolamento del Fronte per la Rinascita Nazionale ha sancito la possibilità, per i vari gruppi etnici, di riunirsi per nazionalità allo scopo di difendere i loro diritti. Il signor Gafencu mi ha poi anticipato che il Ministro degli Interni annuncerà in un prossimo discorso nuove importanti concessioni nel campo scolastico e in altri campi.

Circa i risultati di tale politica il signor Gafencu ha ammesso di rendersi conto delle molteplici difficoltà da superare, dato che molti Ungheresi non che appagarsi di una sistemazione dei loro connazionali che vivono entro gli attuali confini romeni, aspirano all'annessione di parte dei territori che sono entrati, dopo la guerra, a far parte della Romania. Ma egli ritiene irrealizzabile una revisione territoriale. Non vi sono presso la frontiera, territori in maggioranza magiari. In qualunque zona si facesse un plebiscito, i Romeni sarebbero vincitori. Vi sono, sì, delle città in prevalenza ungheresi, soprattutto contando fra loro numerosissimi Ebrei di lingua ungherese, ma la maggioranza è ovunque romena, come lo stesso Gafencu ha constatato quando era deputato nazional-tzaranista nella zona ove i magiari sono più numerosi, vincendo le elezioni contro una coalizione ungaro-governativa. Esiste, bensì, un nucleo compatto e numeroso di Ungheresi, molto più al sud, ma lontano centinaia di chilometri dalle frontiere, nel cuore del Paese. Dunque. impossibile la revisione! Il Ministro degli Esteri tuttavia spera che attraverso una politica saggia e conciliante verso le minoranze. nonché mediante l'intensificazione delle relazioni economiche con l'Ungheria alla quale la Romania è legata da molteplici interessi. sarà possibile giungere ad una intesa. Egli ritiene che se il governo di Budapest non sarà sospinto dal di fuori ad un atteggiamento di intransigenza revisionista --ciò che egli crede di poter escludere anche per assicurazioni ricevute da Roma e da Berlino -non potrà mancare di rendersi conto del vantaggio che tanto l 'Ungheria quanto le minoranze oltre frontiera ritrarranno da una intesa di Budapest con Bucarest come con Belgrado, nell'orbita dell'Asse Roma-Berlino, sotto gli auspici e la «protezione» dell'Italia.

I rapporti con la Germania -ha continuato il Ministro degli Esteri -sono stati buoni fino a qualche tempo fa. Con la Germania, come con l 'Italia, la Romania è desiderosa di stringere eccellenti relazioni politiche -così come economiche riprendendo una tradizione di intima collaborazione nei due campi.

Nel suo recente viaggio in Germania, sebbene non fosse ancora Ministro degli Esteri, il signor Gafencu ha avuto molti colloqui ed ha constatato identità di vedute da parte tedesca a questo proposito. Egualmente il Re nelle sue conversazioni con le personalità politiche del Reich.

Il signor Gafencu ha però ammesso che recenti avvenimenti interni, anteriori alla sua venuta al potere, hanno causato un raffreddamento. «Comunque si vogliano -come uomo -giudicare tali avvenimenti» egli ha aggiunto, «noi riteniamo che i rapporti tra Germania e Romania, come fra Romania e altri Stati, debbano intercorrere tra governo e governo, non fra partito e partito o fra governo estero e partito romeno. Se un partito o movimento romeno riesce vincitore, diventerà governo ed avrà diritto di trattare con governi esteri, ma non prima.

Questo è essenziale per ogni Paese che tenga alla sua dignità e particolarmente per dei nazionalisti quali noi siamo, e voi ci potete meglio di tutti comprendere.

Oggi nel nuovo Fronte per la Rinascita Nazionale sono entrati quasi tutti gli uomini che sono stati esponenti dei passati partiti o hanno avuto cariche di responsabilità nella vita del Paese: noi crediamo che quando il governo del Reich si sarà reso conto che il Fronte per la Rinascita Nazionale costituisce un regime forte e stabile. un elemento di ordine e di durata. non mancherà di ridarei la sua fiducia e la sua amicizia.

Noi siamo prontissimi e desiderosi di riaverle e contraccambiarle: solo desideriamo che siano salvaguardate la nostra dignità e la nostra indipendenza e sia rispettata quella Royauté attorno alla quale si stringono le forze del Paese e che tanto si adopera per il bene della Romania.

Né ci nascondiamo che molto potrebbe ottenere, sia nei riguardi dell'Ungheria che nei riguardi della Germania, l'opera degli amici che abbiamo in Europa».

Il signor Gafencu mi ha quindi intrattenuto sui rapporti con i Soviet -che sono di buon vicinato nel senso che non esistono attriti fra i due Paesi i quali però, malgrado la lunga frontiera comune, hanno ben poche relazioni fra loro -e con la Polonia, che sono migliori dopo un periodo di relativo raffreddamento. È infine passato a parlare della questione della Commissione Internazionale del Danubio, sulla quale mi riservo di riferire a parte.

Sin qui il signor Gafencu, il quale ha concluso il suo dire con la speranza che la nuova politica della Romania verso l 'Italia possa trovare comprensione e corrispondenza ed ha anche accennato ali 'influenza che forme ed istituzioni del fascismo hanno esercitato ed eserciteranno sul nuovo regime (uniforme. saluto romano. milizia. ordinamento comorativo. attualmente allo studio).

Ho creduto opportuno più che riassumere, parafrasare, le argomentazioni del Ministro degli Esteri, e chiedo venia se mi sono troppo dilungato, anche perché sia per avermelo egli stesso assicurato, sia per quanto mi ha detto il Re a Sinaia, sia per quanto ho direttamente o indirettamente appreso da personalità della Corte, del governo, nonché da qualche diplomatico filo-romeno, tutto quanto precede corrisponderebbe appieno al pensiero e all'intenzione del Re, a parte forse quanto concerne i rapporti con la Germania, dove il Gafencu è più pacato del Sovrano, preso nei passati giorni personalmente a partito-a quanto sembra-dalla stampa tedesca.

Per parte mia ho ringraziato il Ministro degli Affari Esteri delle sue parole aperte e cordiali, ho preso atto delle dichiarazioni ed intenzioni da lui formulate a nome del governo romeno, e dopo averlo calorosamente ma genericamente assicurato della mia buona volontà di collaborare al fine da lui desiderato, gli ho fatto intendere che l'importanza della materia richiedeva da parte mia un più approfondito esame delle varie questioni, data anche la mia brevissima permanenza in Romania.

E mi limiterò per il momento a non lasciar cadere proposte e profferte, in attesa di conoscere se Voi crediate, signor Ministro, di va/ermi impartire ulteriori istruzioni e direttive al riguardo.

Né vorrei, in vista di tale brevissima permanenza, inoltrarmi in considerazioni o previsioni eccessivamente azzardate.

Mi pare però indubbio, anche tenendo ben presente che il signor Gafencu è un facile ed intelligente parlatore e che l'eloquenza, more orientali, deve essere qui più corrente che l'azione, che vi è in questo governo nell'attuale momento una reale volontà, un vivo desiderio, e soprattutto, direi, un pieno riconoscimento della necessità, per la Romania, di fare una politica italiana.

Nell'enunciare tale prima impressione nel mio primo rapporto (citato in riferimento) inviato all'Eccellenza Vostra la scorsa settimana, aggiungevo peraltro di non vedere ancora sintomi che il governo romeno intendesse mettersi sulla sola via che possa condurre da Bucarest a Roma, quale Voi mi avete tracciato prima della mia partenza e quale più volte in passato è stata indicata a questo Paese.

Le parole dettemi dal signor Gafencu preludono veramente ad una reale e meditata intenzione di riavvicinamento con Budapest? Vedremo fra breve che cosa conterrà al riguardo l'imminente discorso del Ministro dell'Interno, e soprattutto che valore avranno, nella pratica applicazione, i provvedimenti già annunciati e quelli che lo saranno.

Ma le dichiarazioni fattemi dal Ministro degli Esteri, e le informazioni pervenutemi in questi ultimi giorni da altre parti, non escluso anche l'entourage del Re, mi inducono a pensare che, pur di giungere ad una intesa con l'Italia, questo governo sarebbe, nell'attuale momento, disposto a qualche più serio tentativo di accordo con l'Ungheria.

Ma il governo di Budapest, d'altra parte, è in disposizioni propizie per accogliere eventuali avances romene, per constatare con occhio obbiettivo un eventuale effettivo miglioramento delle sorti dei Magiari in Romania, per entrare nell'ordine di idee di un'eventuale intesa?

La risposta a tale quesito esce naturalmente dalla mia competenza: ho già riferito all'Eccellenza Vostra un mio recente colloquio con questo Ministro d'Ungheria (mio telespresso n. 1597 del30 dicembre u.s_)3 e mi riprometto di sentire a suo tempo le sue impressioni sui provvedimenti sopra accennati.

Un altro punto importante-un'altra incognita-risiede infine nella situazione interna, nella stabilità o meno del regime. E su questo punto mi riservo di riferire nonappena mi sarà possibile, all'Eccellenza Vostra, !imitandomi per ora a constatare che se ho trovato presso molte delle persone con cui ho parlato finora moltissima sfiducia circa la vitalità del nuovo «partito unico» e circa la fede e la sincerità dei suoi aderenti, e magari molto pessimismo circa l'avvenire più o meno lontano, non si riconosce, anche dai meno ottimisti, l'esistenza nel Paese di forze organizzate, che possano contrastare il potere al Re, che detiene la forza armata della polizia e dell'esercito.

Il Sovrano appare dunque oggi padrone della situazione né, a parte l'atto di violenza isolata, si prevedono, dai competenti, pericoli che lo minaccino seriamente all'interno, nell'avvenire immediato4 .

Il documento ha il visto di Musso lini.

10.

L'AMBASCIATORE IN CINA, TALIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 63/2 R. e 64/3 R. Shanghai, 5 gennaio 1939, ore 12 (perv. ore 4, l O del 6).

Miei telegrammi 440 1 e 442 2•

Circoli finanziari cinesi e britannici continuano ritenere che Generalissimo sia d'accordo con Wang Ching-wei per fargli riprendere quegli assaggi per la pace che stesso Generalissimo aveva tàtto tentare ad Hong-Kong alla fine di ottobre. Senonché trovatosi al fine libero, Wang Ching-wei ha agito per suo conto, prendendo netta posizione contro governo, col suo manifesto del30 dicembre3 .

Generalissimo non poteva far altro che separare sua responsabilità, giungendo però a farlo espellere dal Kuomintang soltanto in seguito alla pressione del gruppo comunista che vuole imporre per successore un uomo nuovo di sua fiducia.

Tuttavia elementi che qui sto vagliando proverebbero che, se questi tentativi di pace sono l'esito di una recente intesa tra Generalissimo e Wang Ching-wei, essi sono stati favoriti dall'ultimo con lo scopo principale di sfuggire alla stretta che diveniva mortale. Wang Ching-wei, riacquistata sua libertà, ha potuto mettere in atto quello che è stato sempre il suo divisamento, confermato ai primi di novembre (mio telegramma

n. 372 del 3 novembre)4 : di impegnarsi al momento opportuno e dare sua opera per suprema salvezza della Cina. Confidenze di funzionari giapponesi mi fanno ritenere che Wang Ching-wei resosi conto dopo perdita Hankow che accordo con giapponesi diveniva più che mai necessario e urgente, abbia avuto attraverso suoi agenti a Canton scambi di vedute col principe Konoye che hanno provocato le note dichiarazioni di lui.

Decisione di Wang Ching-wei ha qui grande ripercussione. Benché si cerchi con ogni mezzo di diminuirne importanza, si sconta già la dannosa influenza nel Paese e all'estero diminuita integrità della fonte [leggasi: del fronte] di resistenza che tutti i miei colleghi ritenevano granitica (mio telegramma n. 371 del 2 novembre)5 ... 6 ... dell'esodo dei moderati elementi di destra (tra cui i ministri degli Affari Esteri e della

1 O 1 T. 6539/440 R. del 23 dicembre. Riferiva che, mentre si prospettava la possibilità che Chiang Kai-shek trasferisse il suo Quartiere Generale nel Kan-su -ciò che avrebbe confermato la tendenza a rafforzare i legami con l'U.R.S.S.-Wang Ching-wei aveva lasciato Chung King in seguito a contrasti con il Generalissimo.

2 T. 6555/442 R. del 24 dicembre. Riferiva di avere appreso che Wang Ching-wei era partito per Hong Kong non per dissensi con Chiang Kai-shek ma perché incaricato dal Generalissimo di prendere contatto con le Autorità giapponesi in vista di trattative di pace.

3 Il 30 dicembre, Wang Ching-wei aveva rivolto, dall'lndocina francese, un pubblico appello a Chiang Kai-shek per invitarlo ad avviare delle trattative di pace con il Giappone sulla base delle proposte enunciate il 22 dicembre dal Primo Ministro nipponico, Konoye (per le quali si veda serie ottava, vol. X,

D. 593). Le proposte del governo giapponese erano state già respinte da Chiang Kai-shek il 26 dicembre. 4 Vedi serie ottava, voi, X, D. 356. 5 T. 5783/371 R. del l o novembre. Riferiva che, mentre l'ambasciatore di Gran Bretagna era

partito per incontrare Chiang Kai-shek al probabile scopo di accertare quali fossero le effettive possibilità di resistenza delle forze controllate dal Generalissimo, nelle sfere dirigenti cinesi si faceva sempre più strada l'idea che fosse necessario giungere rapidamente ad un accordo con il Giappone, nella convinzione che ogni ulteriore ritardo avrebbe aggravato il prezzo della pace.

6 Nota dell'Ufficio Cifra: «Gruppo indecifrabile».

Propaganda): si sconta soprattutto la grande influenza dei comunisti che già si manifesta in violentissimi attacchi. Non è possibile prevedere da Shangai gli sviluppi del gesto di Wang Ching-wei. Se Tokio lo crederà opportuno esso potrà costituire la prima fase di una [nuova] situazione. Nei circoli cinesi favorevoli al Giappone si dice tuttavia che Wei per il suo carattere incostante e leggero non potrà aver grande seguito nel Paese: invece il vecchio Maresciallo Wu Pei-fu, con cui Giappone tratta da mesi, potrebbe forse costituire il centro di riunione degli elementi stanchi e malcontenti. Ad ogni modo, Wei avrebbe intenzione di non lasciare nulla di intentato e di compiere il massimo sforzo per raggiungere uno stretto accordo tra la Cina e il Giappone pel tramite trattative italo-tedesche. Così, prima di partire il segretario del Consiglio politico si espresse ad Alessandrini, il quale, ad ogni buon fine, lo ha messo in contatto con il nostro console ad Hong Kong.

Comunicato Roma e Tokio.

7 3 Non pubblicati.

8 1 Vedi D. l, nota 3.

9 1 Riferiva di aver avuto dei colloqui con Gafencu, con il ministro degli Interni e con Re Caro!, dal quale era stato ricevuto per la presentazione delle credenziali, e di averne tratto l'impressione che da parte romena si desiderasse effettivamente un avvicinamento all'Italia, anche perché i rapporti con la Germania non erano soddisfacenti. Il documento ha il visto di Mussolini.

9 2 Riferimento agli accordi sulle minoranze parafati tra Ungheria e Romania e tra Ungheria e Jugoslavia il 23 agosto 1938, a margine della conferenza dei ministri degli Esteri della Piccola Intesa a Bled. Nessun accordo vi era stato in quella occasione tra Ungheria e Cecoslovacchia.

9 3 Non rintracciato.

11

L'INCARICATO D'AFFARI A BUENOS AIRES, SERENA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 3 1/9. Buenos Aires, 5 gennaio 1939 (perv. il 26).

La conferenza di Lima si è chiusa dopo diciannove laboriose giornate di discussioni che a momenti parevano foriere di vivaci battaglie.

I due campioni che più hanno agitato le acque durante le tre «settimane di passione americana», sono stati, come del resto previsto, il rappresentante dell'Argentina, signor Cantilo, e il rappresentante degli Stati Uniti, signor Cordell Hull: da una parte il Sudamerica che non vuoi rompere i ponti con l'Europa, dall'altra la grande democrazia nordamericana, nettamente an ti europea, desiderosa di attirare n eli' orbita della sua «politica dell'isolamento» le minori Repubbliche latine per poter meglio esercitare domani il suo dominio su tutto il continente.

Intorno a queste due tendenze si sono svolti i maggiori dibattiti della conferenza; tutti gli altri numeri del programma sono apparsi di secondaria importanza (c'era tra questi anche il tema scottante della Spagna) e sono passati agli atti. Non si può dire certo che a Lima si siano raggiunti gl'importantissimi risultati che la stampa tenta, per quanto non convinta, di magnificare, si potrebbe dir piuttosto che la montagna ha partorito il topolino, che ci sono state più chiacchiere che fatti concreti; piuttosto formule vaghe che risoluzioni definitive; ma ad ogni modo è interessante il modo con cui il Sudamerica, per bocca del rappresentante dell'Argentina, ha voluto chiarire la sua posizione di fronte agli Stati Uniti e nei confronti dell'Europa.

E la stampa locale come pure i ragionamenti che si sentono in giro in ogni ambiente, sottolineano il trionfo riportato a Lima dalla politica di Cantilo, che ha saputo opporre le ragioni dell'Argentina ai pericolosi progetti nordamericani, prevalendo nei risultati finali.

Il discorso più importante in questo senso è stato del resto proprio quello pronunciato dal signor Cantilo il giorno 9, nella prima sessione plenaria della Conferenza. Agli allarmismi del signor Cordell Hull che parlava di pericoli di minacce e di «ombre sinistre» che starebbero per offuscare il bel cielo delle pacifiche democrazie americane, e aggiungeva, con tono e linguaggio da profeta biblico, che «chi non vede questi segni fatidici ha chiusi gli occhi e la mente», il signor Cantilo rispondeva con molta serenità che in verità l'Argentina non li vede o li vede molto remoti. In quanto poi all'invito di unire anche le forze del Sudamerica a quelle degli Stati Uniti per salvare le istituzioni democratiche di questi beati Paesi, rispondeva ancora di non vedere nessuna necessità di patti speciali. Il patto se mai, egli chiariva, è nella nostra storia; una solidarietà americana c'è sempre stata fin dal tempo delle eroiche gesta del generale San Martin; ma questa solidarietà deve essere però a patto che ciascuno conservi la propria politica. «Noi, continuava, ci sentiamo strettamente solidali con l'Europa, per l'immigrazione che da essa abbiamo ricevuto e che tanto ha contribuito alla nostra grandezza e per i capitali europei che hanno fomentato la nostra produzione agropequaria, le nostre ferrovie, le nostre industrie». (Dove si vede che non è tutta tenerezza sentimentale quella che muove gli argentini a restar fedeli alla «vecchia Europa»; cuore latino, ma anche, e forse è quel che più importa, denaro inglese).

E più avanti: «Se alla madrepatria dobbiamo le basi della nostra letteratura, la cultura francese contribuì alla formazione della nostra vita intellettuale, tanto come l'Italia e la Germania in diversi e importanti aspetti della nostra evoluzione. È europea l'influenza che predomina nell'insegnamento superiore delle nostre Università, come europei sono in generale il piano e i metodi delle altre nostre scuole».

Giustamente poi il corrispondente della Naci6n F. Ortiz Echagiie, scrittore autorevolissimo ai cui articoli si è ispirata nei suoi commenti quasi tutta la stampa locale, scrivendo sul discorso di Cantilo, notava che, mentre il signor Cordell Hull parlava in nome di una poderosa nazione di 120 milioni di abitanti, che basta a se stessa e, se le piace, può professare la democrazia ad oltranza, con tutti i suoi rischi, il discorso del rappresentante dell'Argentina interpretava il pensiero e le norme tradizionali di un Paese che «non vuole conflitti, che non deve avere preferenze politiche, che aspira a vivere in armonia con tutto il mondo e dedicarsi al pacifico lavoro di conquistar mercati». Appunto per questo, «l'Argentina non vorrà fare mai nulla che possa essere interpretato come atteggiamento ostile verso i Paesi coi quali mantiene rapporti cordiali e vantaggiosi».

Il conflitto, ideale e pratico, fra Nord e Sud è stato insomma impostato a Lima nei suoi termini precisi e le successive giornate della conferenza sono state soprattutto impiegate a cercar la formula felice che, salvando la tesi nordamericana del patto di solidarietà, non urtasse i sentimenti e gli interessi dei Paesi latini del continente.

Si voleva poi, e su questo l'accordo fra le delegazioni era perfetto, che nelle decisioni di Lima ci fosse il consenso di tutti, ché se fossero perdurati i contrasti e le discordie, se cioè la conferenza fosse fallita, tanta brava gente unita dai vincoli della «fraternità» e della «buona vicinanza», avrebbe offerto all'Europa un ben triste spettacolo.

Ed anche su questo punto la tesi argentina, già da me segnalata, di allontanare dalla conferenza ogni problema scabroso perché la «solidarietà» appaia completa al cospetto del mondo, ha avuto il sopravvento.

La preparazione del testo definitivo della cosiddetta «dichiarazione di solidarietà» è stata pertanto oltremodo laboriosa. La stampa argentina fa notare che molto hanno ceduto gli Stati Uniti, e un poco ha ceduto l'Argentina; niente alleanza, niente impegni precisi, niente voti di ripudio o di condanna nei confronti di Paesi e di regimi stranieri; si sono evitati tutti gli scogli pericolosi, si sono aggirati gli ostacoli, si sono usate belle e solenni parole che non compromettono nulla e nessuno, si sono riaffermati, premio di consolazione per i delusi, i «principi democratici» sacri a tutti i Paesi americani.

Però, perfino in questi ambienti politici, si confessa che, in realtà, le cose sono rimaste come prima, come del resto era nei voti dell'Argentina. I politici americani hanno voluto mostrare alla «vecchia e turbolenta Europa» come si fa a mettersi d'accordo in famiglia senza urti violenti e senza baruffe; ma in fondo tutti sanno che nelle loro abilissime manovre c'è pur stato il bravo trucco.

Le parole della Dichiarazione di Lima suonano bene, accontentano il Nord ed il Sud; c'è stato il solito spreco di «libertà», «sovranità», «indipendenza», «pace e concordia universale», che hanno fatto versare fiumi di democratico inchiostro a questa stampa, fiera di aver combattuto ed in gran parte vinto contro la possente consorella del Nord.

Contenti sono poi tutti, in quanto la Dichiarazione di Lima permette a ciascuno di interpretarla come più gli piace e come più gli conviene.

Il signor Ortiz Echagtie ha detto anche che in questa circostanza l'Argentina ha dimostrato di essere il «Paese più europeo dell'America»; verissimo; ma è lecito anche domandarsi fino a quando la Repubblica del Plata potrà mantenersi in questa sua posizione, che è sì di fedeltà a modo suo al vecchio mondo, ma anche e soprattutto di difesa contro i pericoli dell'invadente imperialismo nordamericano. E la formula felice complessiva, che riassume il risultato della conferenza panamericana di Lima, rende bene l'ipocrisia di tale consesso.

È stata, come noto, escogitata dal peruviano Belaunde e suona: «La solidaridad de America es una coincidencia de soberanias».

12

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

LETTERA SEGRETA 92. Berlino, 5 gennaio 1939 1•

Faccio seguito al mio telegramma di ieri da Monaco2 , servendomi, per guadagnar tempo, del pilota tedesco.

Vidi dunque Ribbentrop a Monaco. Egli sapeva già del mio arrivo, come del contenuto sostanziale della lettera di V.E.3 . Aveva quindi già messo al corrente di tutto così il Ftihrer, come il generale Oshima, il quale a sua volta, da una parte si era messo subito in comunicazione col suo governo, dall'altra aveva fissato un incontro a Montecarlo col suo nuovo collega a Roma. Senonché, frattanto, si è prodotta la crisi

12 Manca l'indicazione della data di arrivo.

2 L'ambasciatore Attolico aveva telegrafato da Monaco (T. Pittalis 49/2 del 5 gennaio) di avere consegnato a von Ribbentrop la lettera di Ciano (qui come D. 4) spiegando bene i due punti addizionali (per i quali si veda D. 4, nota 6). Il documento era stato inviato in visione a Mussolini.

3 Della lettera a von Ribbentrop e del suo contenuto Ciano aveva informato l'ambasciatore von Mackensen il 3 gennaio (promemoria von Mackensen in DDT, vol. IV, D. 422).

nel Gabinetto di Tokio che -pur non implicando, presumibilmente, alcun cambiamento nella attitudine giapponese-potrà tuttavia esser ragione di qualche ritardo4•

Comunque, Ribbentrop, agisce perché tutto sia pronto per il 28 gennaio.

È inutile dire alla E.V. la soddisfazione di Ribbentrop per la decisione italiana che renderà possibile «uno dei più grandi fatti nella storia».

Ho quindi esposto a Ribbentrop i nostri due desiderata. Ho detto non trattarsi di condizioni, ma comunque di richieste il cui adempimento era considerato da parte nostra come «essenziale».

Maggiore correntezza nelle relazioni economiche. Ho fatto, dopo un quadro generale, il caso speciale della «punta». Ribbentrop ha replicato adducendo le note strettezze della Germania in fatto di divise. Questo, ho risposto, andrebbe bene se anche noi non ci trovassimo in una situazione perfettamente identica. Ribbentrop ha replicato dicendo che Goring era arrivato a domandare una riduzione del 20% nelle spese del suo Ministero all'estero. Egli aveva dovuto, proprio l'altro giorno, rivolgere in proposito una indignata protesta al Ftihrer.

Ho insistito che, la situazione dei due Paesi essendo uguale, essi avrebbero dovuto trattarsi con reciproca comprensione e non domandarsi scambievolmente ciò che sapevano benissimo di non potere né dare né avere. Chiedevamo forse noi il pagamento in oro dei salari dei nostri operai? Bisognava -del resto -avere il coraggio di stabilire fra di noi -di fatto -un regime preferenziale in confronto ai terzi. Qualora si ritenesse di dover ad ogni costo salvare le apparenze per non creare precedenti, era sempre possibile accordarsi con clausole segrete.

Ribbentrop ha assicurato che ne avrebbe parlato al Flihrer. Gli ho detto essere chiaro interesse reciproco, alla vigilia di sì importanti avvenimenti, toglier di mezzo tutto quanto fosse suscettibile di avvelenare le nostre relazioni. Ho annunciato, comunque, negli specifici riguardi della «punta» le precise istruzioni già date dal Duce e di cui la nostra Delegazione non defletterà.

Qualche mio accenno in materia di diritti dell'Italia alla penetrazione danubiana ha incontrato invece in Ribbentrop, almeno i[n ap]parenza, immediata comprensione. Alto Adige5• L'accordo, in principio, è fuori questione. Ma Ribbentrop pensa che la cosa richieda una elaborazione lunga e paziente. Impossibile e pericoloso l'improvvi

5 Con lettera n. 67 del 3 gennaio al ministro consigliere Magistrati, Ciano aveva inviato all'ambasciata a Berlino un «estratto di notizie» sulla situazione in Alto Adige nel periodo 6 dicembre l o gennaio. La situazione era così configurata nel documento informativo:

«L'esame delle notizie pervenute dalle usuali fonti sulla situazione in Alto Adige nelle ultime due settimane di dicembre conferma quanto è stato riferito nel precedente rapporto: si sta cioè in parte accentuando l'irrequietezza di quella popolazione allogena tra la quale torna ad aleggiare una mal celata speranza di un possibile ritorno al Reich. Il riafforarsi di questo stato d'animo sembra possa ascriversi a quattro ordini di motivi:

l a -i recenti successi tedeschi con la soluzione del problema sudetico; 2°-i sintomi di una ripresa dell'azione espansionistica germanica, che fa risorgere in quelle popolazioni la speranza di vedere un giorno posto sul terreno politico il problema alto-atesino; 3°-l'intensificata azione di gruppi di propaganda nazista;

sare. Non sarebbe peggio anche per noi se-facendosi intravedere un miraggio di rimpatrio -esso non potesse poi nella pratica venir realizzato? Bisognava studiare tutto un piano concreto, scegliere delle regioni, prepararle a ricevere i nuovi venuti etc. etc.

Ho risposto che convenivo in tutto questo ma che il semplice annunzio di una «politica» di rimpatrii avrebbe potuto mettere le cose definitivamente a posto, facendo comprendere l'inanità ultima di agitazioni e macchinazioni tanto più sotterranee quanto meno incoraggiate dal governo tedesco. Ho suggerito che un «annunzio» in questo senso potesse essere incluso nel gran discorso del Fiihrer al Reichstag del30 gennaio.

Anche in questo Ribbentrop mi ha detto che riferirà al Fiihrer. Mi ha promesso una risposta-data la parentesi Beck-per lunedì.

È mia impressione che tanto sul primo quanto sul secondo punto incontreremo delle forti resistenze. Per mia parte, ho già però fatto comprendere a Ribbentrop e ho ulteriormente sottolineato oggi col Segretario di Stato barone von Weizsiicker, che non ci potremo contentare di semplici, generici affidamenti6 .

12 4 Sulla posizione del governo giapponese nei riguardi dell'alleanza con le Potenze dell'Asse, Ciano aveva un colloquio--il 7 gennaio-con l'ambasciatore Shiratori. Negli archivi italiani non è stata trovata documentazione su tale colloquio ma nel Diario di Ciano vi è questa annotazione (alla data corrispondente): «Vedo l'ambasciatore del Giappone che mi parla dell'alleanza_ Teme che Arita, nuovo Ministro degli Esteri, sia piuttosto freddino mentre il Presidente è apertamente favorevole. Ciò non influirà sulla conclusione del patto, ma potrebbe ritardare la data della firma. Pertanto l'ambasciatore desidera essere ricevuto in visita di presentazione dal Duce per fare un telegramma di sollecito. L'ambasciatore è molto favorevole all'alleanza che considera strumento offensivo per ottenere dall'Inghilterra "le molte cose che deve a tutti noi"».

13

L'ADDETTO NAVALE A WASHINGTON, CUGIA, AL MINISTERO DELLA MARINA

FOGLIO 25. Washington, 5 gennaio 1939 (perv. il 17).

Ad onta che la stampa inspirata si adoperi ad interpretare le conclusioni della Conferenza di Lima come un primo passo verso la realizzazione della «solidarietà continentale», l'opinione pubblica, soffermandosi piuttosto sul tono e l'andamento dei dibattiti avvenuti, non nasconde il proprio disappunto per lo scacco inflitto alla diplomazia americana. Nel procedere dei lavori, il cardinale obiettivo cui aveva originalmente mirato il Presidente Roosevelt, cioè di riunire in un solo blocco gli Stati delle due Americhe contro pretese aggressioni di nemici oltre-oceanici, doveva subire inattese e non desiderate evoluzioni: infatti, la dichiarazione finale concertata dalle Potenze partecipanti, per quanto implicitamente, ammetteva tra i potenziali disturbatori della pace pan-americana

4°-l'impostazione della questione delle rivendicazioni italiane nel Mediterraneo che non ha mancato di avere ripercussioni anche negli ambienti intellettuali allogeni. Questi infatti affermano che l 'Italia non potrebbe risolvere il problema delle proprie minoranze all'estero senza avere prima risolto quello delle minoranze straniere nel Regno.

Tali elementi negativi sono, soltanto in parte, controbilanciati da un certo senso di smarrimento diffusosi in Alto Adige per le notizie provenienti da oltre frontiera sugli eccessi verificatisi recentemente in Germania nella lotta contro gli ebrei. L'elemento allogeno tende però a svalutare le accuse mosse al Reich in quella occasione, dando tutta la colpa degli eccessi commessi all'elemento comunista il quale si sarebbe infiltrato nelle file naziste all'unico scopo di intorbidare le acque».

6 A proposito di questo documento vi è nel Diario di Ciano questa annotazione sotto la data del 7 gennaio: «Attolico riferisce il suo colloquio con Ribbentrop. Si è mostrato entusiasta della nostra decisione. Però Attolico è andato troppo in là nel fare apparire quali condizioni dell'alleanza la questione economica e quella dell'Alto Adige. Mentre in realtà la prima ci interessa molto anche per i riflessi politici sull'opinione pubblica, la seconda deve essere liquidata tranquillamente, senza inutile ed eccessiva pubblicità. Basta che i tedeschi, i quali in questo momento hanno fame di uomini, si prendano quelli allogeni che non desiderano rimanere nel territorio italiano a sud della cerchia alpina. Ho telefonato a Magistrati in tal senso>>.

anche gli Stati Uniti, che si erano costituiti parte diligente nel promuovere misure difensive. Inoltre, spesso alcuni delegati ben chiaramente non avevano mancato di esprimere ragionevoli dubbi che minaccie esterne realmente esistessero o che fossero seriamente concepibili. Conseguentemente, prendeva consistenza illogico sospetto che la benevola figura di protettore, con tanta premura assunta dagli Stati Uniti, mascherasse invece il viso meno sorridente e paterno dell'imperialismo economico.

Ciò non pertanto, i negativi risultati di Lima, anziché contenere la politica estera degli Stati Uniti dentro forme isolazioniste, sembrano sospingerla, invece, verso mete che si profilano sempre più nettamente aggressive, come può essere provato da alcuni segni:

a) la bellicosa posizione diplomatica assunta nei riguardi della Germania, come originante dal discorso ad accesa tinta antitedesca tenuto dal Ministro degli Interni signor Ickes (18 dicembre) e dal secco rifiuto del governo degli Stati Uniti a prendere in considerazione la conseguente protesta del Reich2• Nell'opinione di alcuni circoli della capitale, anzi, il discorso del signor Ickes avrebbe fatto parte di una concertata insidia intesa a creare la «benvenuta» occasione per poter delineare senza ambagie il pensiero governativo;

b) il prestito di $ 25.000.000 concesso del governo degli Stati Uniti a quello Cinese ( 15 dicembre). Ministri ed uomini politici non si peritano di porre in evidenza come tale aiuto finanziario dovrà sovvenzionare l'acquisto di 1.000 autocarri mediante i quali, utilizzando le camionabili con la Siberia, la Birmania ed il Tonkino, la Cina potrà mantenere il necessario flusso dei materiali bellici ed alimentare la stancante lotta di guerriglia contro le armate nipponiche. La stampa esprime la opinione che sussidi economici del genere potranno risultare più efficaci a contrastare le operazioni militari giapponesi, che non note diplomatiche di protesta a getto continuo (l'ultima venne presentate il 31 dicembre)3 . Un simile atteggiamento sarebbe, del resto, consono con quello palesato da influenti parlamentari -es. il Senatore Pittman, Presidente della Commissione per gli Affari Esteri -e che dovrebbe esplicarsi con misure coercitive economiche (boicottaggio ed embargo);

c) nuove e rinvigorite espressioni di «solidarietà democratica» anglo-sassone, provocate dalla recente visita dell'ex Ministro Eden4 , e miranti sopratutto a suonare disapprovazione verso la politica «realistica» del signor Chamberlain5;

d) la marcata intonazione «antitotalitaria» del messaggio con il quale nella data del 4 gennaio il Presidente degli Stati Uniti inaugurava la 76a Sessione del Congresso. Il signor Roosevelt, mentre indicava la possibilità che gli Stati Uniti brandiscano

3 Si veda in proposito D. 21. 4 Eden si era recato in visita negli Stati Uniti «con il consenso e l'approvazione più completa del governo» ed il 13 dicembre era stato ricevuto dal Presidente Roosevelt.

5 Nota del documento: «A solo titolo di commento, si riporta la notizia secondo la quale il signor Eden aveva in un primo tempo rifiutato l'invito rivoltogli dalla National Association of Manifacturers di recarsi in America per tenere un discorso anti-totalitario, perché ritenne l'offerta fattagli (1.500 dollari di compenso, oltre il pagamento delle spese vive, viaggio, alloggio ecc.) troppo esigua. Ne accettò, invece, una successiva ascendente a 5.000 dollari, più il rimborso di ogni spesa».

nel futuro l'arma economica per sventare disegni di aggressioni contro «Nazioni sorelle», associava in termini interdipendenti e quasi indissolubili il successo del New Dea!, la difesa delle «istituzioni democratiche», e l 'urgenza di provvedere a formidabili armamenti.

Non mancano, tuttavia, indizi che correnti del pensiero popolare ed elementi delle due Camere stiano già organizzandosi per contrastare la realizzazione della «difesa continentale», come venne proclamata dall'Esecutivo.

Le tendenze negative si concentrano su fondamentali obiezioni: a) occorre che il Presidente indichi chiaramente contro quale Potenza è rivolta la politica di super-armamento; b) si dubita che i pericoli di «aggressioni» esterne contro le due Americhe abbiano basi positive di realtà o di probabilità;

c) si ritiene che le spese per il riarmo, più che essere determinate da ragioni di politica estera, lo siano invece da motivi domestici, intesi cioè a mascherare le ingenti spese inerenti al sollievo della disoccupazione, la quale ultima non accenna a diminuire.

13 1 Il documento è tratto dall'Archivio Centrale dello Stato, Ministero della Marina, Gabinetto.

13 2 In un discorso tenuto a Cleveland il segretario all'Interno Ickes aveva criticato Lindbergh per aver accettato una decorazione tedesca dalle mani di Hitler «un brutale dittatore che con le stesse mani derubava e torturava migliaia di esseri umani». L'ambasciata di Germania aveva protestato ufficialmente per l'offesa al Cancelliere del Reich (DDT, vol. IV, D. 515).

14

L'INCARICATO D'AFFARI A LONDRA, CROLLA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 58/3 R. Londra, 6 gennaio 1939, ore 0,24 (perv. ore 4,10).

Telegramma di V.E. n. 31•

Ho oggi stesso intrattenuto Cadogan sulla segnalazione fatta dal generale Franco al R. Ambasciatore a San Sebastiano e gli ho fatto presente che, qualora dovesse realizzarsi eventualità temuta da Franco circa intervento francese a favore dei rossi, l'Italia Fascista per ragioni evidenti sarebbe costretta alla luce delle nuove circostanze a riconsiderare il proprio atteggiamento nei riguardi della questione spagnola.

Nel prendere atto della mia comunicazione e nell'assicurarmi che ne avrebbe subito informato ministro degli Affari Esteri Halifax, Cadogan ha risposto che, se la Francia dovesse violare in maniera così aperta e massiccia gli accordi di non intervento, non si potrebbe disconoscere giustificazione dell'Italia nel fare onestamente cambiamenti. «Ma -ha soggiunto Cadogan -tutte le indicazioni e informazioni in possesso del governo nell'insieme portano ad escludere che una simile eventualità possa essere contemplata dal governo francese».

14 1 Ritrasmetteva il T. per corriere 39/0121 R. del 31 dicembre per il quale si veda serie ottava, vol. X, D. 610.

15

IL MINISTRO A BUDAPEST, VINCI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. URGENTE 67/8 R. Budapest, 6gennaio 1939, ore 12,15 (perv. ore 16,35).

Ministro degli Affari Esteri mi comunica stamane ore 3,40 reparti truppe regolari cecoslovacche hanno attraversato la frontiera attaccando in direzione Munkacs, raggiungendo, malgrado resistenza scarsissime forze ungheresi presenti, fiume Latoritsa. Ora reparti cecoslovacchi sarebbero già nei pressi città adoperando anche artiglieria: altre truppe si preparerebbero a scendere dalle vicine montagne.

Ministro degli Affari Esteri immagina che dato giorno festivo cecoslovacchi abbiano voluto fare colpo di mano su Munkacs, approfittando recente inizio amministrazione civile e conseguente ritiro truppe. Saranno dati ordini per invio rinforzi nel settore.

Ministro degli Affari Esteri mi ha detto aver elevato proteste a Praga e declinato ogni responsabilità sul seguito della cosa. Egli ha comunicato quanto precede anche al ministro di Germania1•

16

L'INCARICATO D'AFFARI A WASHINGTON, COSMELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 84/2 R. Washington. 6 gennaio 1939. ore 18.03 (perv. ore 2 del 7).

Richiamo l'attenzione dell'E.V. su risposta odierna sottosegretario Stato Affari Esteri, di cui Stefani Speciale n. 8, anche per segnalare ad ogni buon fine, che è qui tuttora appariscente in organi ufficiali tendenza a discriminare tra noi e Germania, con la quale situazione è invece stazionaria.

(T. 98/02 R. del 7 gennaio), Ciano aveva un colloquio con il ministro d'Ungheria, Villani, sul quale vi è nel suo Diario questa annotazione sotto la data del IO gennaio (negli archivi non è stata trovata documentazione in proposito): «Dalle informazioni che abbiamo, è ormai chiaro che la responsabilità dei conflitti di frontiera tra ungheresi e cechi non è tutta di Praga. Al contrario. L'atteggiamento magiaro non è simpatico. Il sabotaggio dell'arbitrato di Vienna è stato tentato da loro fino dai primi giorni. Politica sciocca, poiché irrita e la Germania e noi e non varrà certo a modificare la situazione. Ho parlato chiaro a Villani. Gli ho detto di invitare il suo governo ad una maggiore correttezza e di astenersi dal provocare incidenti nei quali non avrà la nostra solidarietà e tanto meno quella della Germania. Anche il Duce è molto risentito, tanto più che la stampa francese coglie l'occasione per svalutare l'azione e l'influenza dell'Asse in Europa Centrale. Ha detto: "Questi ungheresi cominciano a scadere nella mia simpatia. Non hanno avuto il coraggio di agire nel momento in cui potevano farlo, adesso si comportano da Gesuiti"». Sul colloquio Ciano-Villani si veda anche quanto riferiva il rappresentante ungherese in DV. vol. lll, D. 201.

15 1 In seguito a questi incidenti che, come comunicava successivamente il ministro Vinci, gli stessi ungheresi ritenevano fossero stati provocati da elementi ruteni stùggiti al controllo del governo di Praga

17

L'AMBASCIATORE A VARSAVIA, ARONE, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE l 03/03 R. Varsavia, 6 gennaio 1939 (perv. il 9).

Come ho più volte riferito a Vostra Eccellenza, uno dei punti di maggiore frizione nei rapporti polacco-tedeschi è costituito dalla situazione della Città Libera di Danzica che il governo di Berlino non intenderebbe di considerare ancora per molto tempo come regolata dallo Statuto dei Trattati di Pace. Appare specialmente anacronistica, secondo Berlino, la rappresentanza diplomatica che in base allo Statuto è deferita alla Polonia nelle relazioni della Città Libera con l'estero, quando è noto che il presidente del Senato di Danzica ed il Gauleiter F orster sono quotidianamente in contatto con la Wilhelmstrasse, dalla quale ricevono ispirazioni.

Un altro anacronismo, secondo i tedeschi, è rappresentato dall'Alto Commissariato della S.d.N., il quale deriva la sua autorità dall'istituzione ginevrina, che oltre a non essere riconosciuta dalla Germania, ha perduto ogni prestigio. Queste eccezioni di Berlino certamente appaiono logiche, ma non sembra che ad esse intenda circoscrivere la sua attenzione il governo del Reich. Pertanto, mentre non è da escludere a priori che su questi due punti possa essere raggiunta un'intesa con Varsavia, a patto di serie garanzie, è la tendenza tedesca, se pure finora larvata, a soluzioni più radicali che rende diffidente il governo polacco e lo trattiene dal fare delle concessioni.

Non vi è dubbio che il problema danzichese è stato tra gli argomenti più importanti che hanno formato oggetto delle conversazioni che il ministro Beck ha testè avute in Germania1 e dei cui risultati non è possibile per il momento formarsi un giudizio.

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IL MINISTRO A SOFIA, TALAMO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE l 06/02 R. Sofia, 6 gennaio 1939 (perv. il 9).

Ho avuto stamane con Kiosseivanov un lungo colloquio. Egli si è manifestato ansioso in merito al prossimo annunciato incontro di V.E. con Stojadinovié. Mi ha detto che se, come pensava, un reale avvicinamento ungaro-jugoslavo promosso dall'Italia non avrebbe potuto compiersi se non determinando un'attitudine favorevole di Belgrado verso le rivendicazioni ungheresi in Transilvania, ogni ulteriore soddisfa

D. 27, nota l.

zione data all'Ungheria a carico della Romania avrebbe prodotto un'immancabile reazione da parte della Bulgaria, che si sarebbe vista definitivamente sacrificata dagli amici come dai nemici nelle proprie aspirazioni nazionali sulla Dobrugia.

In tal caso, egli, Kiosseivanov, e non chiedeva di meglio, avrebbe lasciato il potere, ma al governo bulgaro non sarebbe rimasta altra possibilità che quella da lui sempre scartata nonostante le pressioni fattegli da Mosca, di un'intesa con i Sovieti, contro la Romania in previsione di una concorde soluzione del problema della Bessarabia e di quello dobrugiano.

Non ho nascosto a Kiosseivanov la mia sorpresa per il suo linguaggio. Gli ho chiesto cosa aveva fatto la Bulgaria, sia verso le Potenze da lui chiamate amiche, sia verso quelle ostili per pretendere dalle une o dalle altre una soluzione dei propri problemi nazionali. Se non altro, dal Convegno di Monaco in poi avevo atteso che la Bulgaria conformemente ai propri più certi interessi prendesse aperta posizione verso le Potenze dell'Asse, ma non avevo potuto constatare se non la continuazione di una politica bulgara pavida, incerta e poco chiara. Ora, nel precipitare degli avvenimenti che non sono se non un logico sviluppo del Convegno di Monaco, la Bulgaria fa la constatazione di un isolamento che non è se non la logica conseguenza della sua poco coerente politica. Stimavo che un 'intesa bulgaro-sovietica fosse, poi, da relegare nel campo delle fantasticherie giacché i Sovieti già verso Praga avevano dimostrato cosa valga il loro appoggio, mentre un indirizzo filobolscevico della Bulgaria non avrebbe potuto se non provocare gli ultimi disastri in questo Paese. Mi domandavo, infine, perché mai tutta la spinta del sentimento nazionale bulgaro fosse andata a polarizzarsi proprio su una soluzione così problematica come quella della Dobrugia.

Sotto l'impulso del discorso, Kiosseivanov a questo punto mi ha date delle spiegazioni interessanti. Mi ha detto che se era stato impostato il problema dobrugiano ciò era avvenuto perché proprio da parte romena erano state «assai autorevolmente se non ufficialmente» fatte delle aperture nel senso di una cessione di quel territorio contro un solido accordo bulgaro-romeno che garantisse alla Romania, nel grave momento politico che sta attraversando, la sicurezza della propria frontiera sud-occidentale. Per dimostrarmi quanto precise fossero state quelle aperture, egli mi soggiungeva che si era parlato di un patto di non aggressione venticinquennale e persino di uno speciale regime di extraterritorialità per Balcik, ove, come è noto, è deposto il cuore della defunta Regina Maria di Romania. Al tempo stesso, da parte turca Aras si era manifestato favorevole alla cessione della Dobrugia, e anzi disposto ad appoggiarla a condizione dell'accessione della Bulgaria all'Intesa Balcanica.

Senonché, quelle aperture, interrotte dalla partenza del Re Caro! per l'estero, non erano state più riprese dopo il ritorno di lui, né avevano avuto altro sviluppo, mentre anche le relazioni turco-bulgare non avevano segnato progressi: ciò che faceva pensare a Kiosseivanov che Re Caro! avesse potuto ottenere delle assicurazioni tranquillizzanti dall'Inghilterra, se non forse anche in parte dalla Germania, che avevano diminuito un più urgente interesse per la Romania di sistemare le proprie posizioni nei confronti bulgari. Che d'altra parte l'Inghilterra possa aver considerato meno favorevolmente una cessione della Dobrugia da parte della Romania, ne darebbe la riprova il fatto che da parte francese si era viceversa fatto sapere a Sofia che la Francia considererebbe favorevolmente tale cessione se l'Inghilterra vi aderisse e che invece a Londra i sondaggi bulgari al riguardo non avrebbero avuto finora esito positivo.

Ricordo, peraltro, a questo riguardo che ho già segnalato all'E.V. la particolare attività in questi ultimi tempi di questa legazione britannica e le significative attenzioni che si moltiplicano qui verso gli inglesi, sì che, come mi aveva in precedenza accennato Sua Maestà la Regina Giovanna, i Sovrani si sono anche recati ieri, cosa del tutto inconsueta, a pranzo alla legazione d 'Inghilterra. Ora, se è possibile che l 'Inghilterra non voglia impegnarsi per il momento in una revisione balcanica, non è neppure impossibile, come altra volta mi sono permesso di rappresentare a V.E., che, sopratutto se spinta dalla Francia, essa possa anche ravvisare ad un momento determinato la convenienza, nel proprio interesse, di una minore Monaco balcanica atta a farle riprendere parte delle posizioni perdute nella capitale bavarese nei confronti del sud-oriente Europeo, dando quindi all'Intesa Balcanica, con l'accessione bulgara e indipendentemente dalla presenza o meno in essa della Jugoslavia, una rinnovata funzione, già altre volte preconizzata.

Ho chiesto perciò a Kiosseivanov se aveva considerato l'opportunità di aprirsi verso Belgrado e verso Roma.

Verso Belgrado Kiosseivanov mi ha detto di averlo già fatto, ed è questa la prima volta che mi ammette qualche più specifico contenuto del colloquio di Nis1• Senonché Stojadinovié era stato molto evasivo e aveva lasciato intendere che comunque, se un'azione bulgara verso la Romania avesse dovuto assumere una condotta ostile, egli non sapeva fino a che punto si sarebbe trovato costretto dagli impegni del Patto balcanico. Ad ogni modo, in caso di ostilità una sua attitudine favorevole verso la Bulgaria non avrebbe potuto andare oltre una stretta neutralità, giustificata dall'esistenza dell'accordo bulgaro-jugoslavo di pace perpetua2 , in quanto successivo al Patto balcanico. Evasivo Stojadinovié era stato anche sulla questione tracica, lasciando intendere che essa avrebbe potuto trovare una soluzione nell'interesse bulgaro in concomitanza con una soluzione jugoslava per Salonicco ma che il problema di Salonicco non poteva ancora essere considerato attuale dalla Jugoslavia.

Pure sulla questione tracica Kiosseivanov mi ha parlato a lungo, dicendomi che egli personalmente stima la soluzione di quel problema a favore della Bulgaria con lo sbocco al mare a Kavalla e a Porto Lago anche più importante che non di quello della Dobrugia, a cui solo le circostanze suespostemi aveva fatto acquistare precedenza. La soluzione del problema tracico a favore della Bulgaria comporterebbe inoltre a suo avviso una concomitanza di interessi non solo con la Jugoslavia ma anche con l'Italia che potrebbe procurarsi la fedele collaborazione di una Bulgaria amica sulle sponde del Mediterraneo orientale.

Verso Roma tuttavia Kiosseivanov ha riconosciuto che l'attitudine bulgara non ha avuto finora nell'ordine politico alcuna presa di posizione concreta. Mi ha detto che era bensì convinto che solo da parte italiana la Bulgaria avrebbe potuto trovare comprensione e speranza di appoggio ma che stimava la situazione internazionale della Bulgaria ancora troppo incerta e pericolosa per potere assumere un'aperta posizione

prima di avere qualche maggiore sicurezza. Dopo qualche momento di meditazione mi ha detto in modo piuttosto esitante che gli pareva dovere attendere che sia avvenuto il convegno tra V.E. e Stojadinovié e indi a fine mese la riunione di Bucarest dell'Intesa Balcanica che di quel convegno avrebbe indubbiamente manifestato i risultati nei confronti dell'Intesa stessa, le cui sorti avrebbero valore decisivo per la Bulgaria.

La contraddizione fra premesse e conclusioni del discorso di Kiosseivanov non merita commenti. Egli vorrebbe orientarsi definitivamente verso di noi ma questa gente è dominata dalla paura.

17 1 Riferimento ai colloqui avuti il 5-6 gennaio da Beck con Hitler e con von Ribbentrop. Vedi

18 1 Riferimento all'incontro tra Stojadinovié e Kiosseivanov del 31 ottobre 1938. Vedi serie ottava, vol. X, D. 375. 2 Riferimento al trattato di amicizia tra Bulgaria e Jugoslavia del 24 gennaio 1937. Testo in MARTENS, vol. XXXlll, p. 647.

19

L'INCARICATO D'AFFARI A LONDRA, CROLLA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 132/67. Londra, 6 gennaio 1939 (perv. il 9).

Telegramma per corriere di V.E. n. 20243 del 22 dicembre u.s. 1•

Il pacifismo è un antico e tipico prodotto della mentalità inglese, che ripete le sue origini da quello spirito puritano che ha così profondamente informato alcuni atteggiamenti del popolo inglese nel corso degli ultimi tre secoli. Esso è stato raccolto dal movimento laburista, che ~soprattutto ai suoi primi albori ~era profondamente tinto di spirito umanitario e religioso. Esponenti del pacifismo furono infatti per lungo tempo quasi esclusivamente i capi del laburismo britannico.

Sommerso dalla conflagrazione mondiale, il pacifismo inglese è tornato a riapparire nel dopo-guerra con caratteri diversi, trovando alimento nel senso di stanchezza generale succeduto al conflitto e di sazietà territoriale derivante dalla vastità del bottino caduto in mano all'Inghilterra.

Sotto questo aspetto, accanto al vecchio nucleo del pacifismo tradizionale e dottrinario, ha cominciato a svilupparsi in Inghilterra un nuovo «pacifismo», che sotto la ipocrita vernice di una giustificazione morale, rappresenta sostanzialmente l'incarnazione ultima dell'imperialismo satollo che non vede più altro scopo dinanzi a sé che quello di conservare e tutelare la pax britannica. Questo nuovo pacifismo che~con un processo tipico della mentalità inglese ~congiungeva gli interessi britannici con una parvenza di ideologia morale, ha trovato subito un crescente favore in questa opinione pubblica, ed allargandosi oltre la sfera del partito laburista, è andato permeando i vari strati e settori sociali, dalle Chiese anglicane alle università e alle innumerevoli Associazioni di qualsiasi carattere, fino a raggiungere gli ambienti più gelosamente conservatori, e a diventare per un certo numero di anni, sotto la specie della

Società delle Nazioni e della «sicurezza collettiva», un comune denominatore di tutte le correnti politiche britanniche.

Occorre tener presente che questo pacifismo, che diremo «interessato», si reggeva quasi interamente sulla fede nella solidità della Società delle Nazioni e nella sua capacità di dirimere tutte le controversie internazionali senza ricorsi a soluzioni di forza. L'ingente numero di pubblicazioni sulla Società delle Nazioni, la vastità della propaganda svolta dalla League ofNations Union, l 'interesse appassionato con cui venivano seguite in Inghilterra le discussioni di Ginevra, testimoniano di questa fede ingenua nel miracolo societario, fede che trovava il suo alimento nel profondo desiderio e bisogno di veder mantenuto in piena efficienza uno strumento destinato -così si sperava-ad assicurare all'Inghilterra il tranquillo godimento dei benefici della pace privilegiata ottenuta a Versailles.

Mentre l'opinione pubblica si cullava in questo sogno, le classi dirigenti si compiacevano a loro volta di aver trovato, grazie al controllo esercitato dali 'Inghilterra sulla Lega, un docile e sicuro meccanismo ai fini degli interessi politici britannici.

A tal punto erano penetrate negli animi queste illusioni, da diffondere la convinzione che la guerra fosse ormai diventata un fenomeno appartenente alla storia del passato e da contribuire largamente a quello stato di «disarmo morale», da cui l'Inghilterra doveva risvegliarsi solo di recente, a seguito del crollo della Società delle Nazioni, nonché di una serie di crisi e di colpi sofferti dal suo prestigio e dalla sua sicurezza.

Dalla somma di queste idee, illusioni, calcoli politici ed elettorali, è scaturito nel 1935, e cioè due anni dopo la liquidazione della crisi mancese, il famigerato Peace Ballot che tanta influenza doveva avere sull'atteggiamento del governo britannico di fronte alla nostra conquista d eli 'Etiopia.

Il cosidetto «esperimento» delle sanzioni, fra le tante ripercussioni da esso prodotte, è stato anche il reagente di fronte al quale sono trasparse le reali correnti politiche che si nascondevano sotto la bandiera del pacifismo inglese. È avvenuta così la crisi interna del partito laburista che ha portato al ripudio dei «pacifisti integrali», fra cui maestri amati e rispettati, se non altro per la loro canizie e la loro buona fede, come Lansbury e Ponsonby. Le dimissioni di questi due leaders hanno a loro volta segnato la scissione fra la sparuta schiera dei veri pacifisti, ed i nuovi e tumultuosi «pacifisti societari» di marca democratica e antifascista; i primi condannati progressivamente a restringersi nel loro guscio filosofico-religioso; i secondi destinati invece a degenerare verso forme di attività sempre più aggressiva, fino ad identificarsi in qualche momento con i fautori della guerra preventiva.

Poiché costoro, nel normale linguaggio, non dovrebbero per nessuna ragione chiamarsi pacifisti, occorre rivolgere la propria attenzione ai superstiti e sinceri sostenitori del pacifismo vero e integrale e cercare di valutare la loro possibile influenza sulla politica britannica.

L'organo centrale del pacifismo inglese è il National Peace Council, fondato nel 1906, e che raggruppa e coordina quasi 150 associazioni pacifiste di vario genere e di diversa consistenza numerica. Il National Peace Council si proclama al di là e al di sopra dei partiti politici, ma le Associazioni che vi sono affiliate provengono da tutti i partiti e rappresentano tutte le possibili dottrine e tendenze del pacifismo: da coloro che si affidano al sentimento religioso o ali 'influenza di una determinata Chiesa per assicurare la pace, a coloro che invece ripongono tutte le loro speranze in qualche panacea economica, (redistribuzione delle materie prime, ecc.). Citiamo, fra le Associazioni affiliate al National Peace Council, le «Unioni di Insegnanti», i vari «Comitati delle Trade Unions per la pace», le Associazioni Quacchere e quelle del Clero Anglicano, e infine la Peace Pledge Union, che è l'unica ad avere reale importanza numerica, contando essa circa 120.000 membri. La grande maggioranza delle altre Associazioni è formata viceversa di nuclei locali di poche decine di persone.

A occhio e croce, il National Peace Council parrebbe quindi poter essere in grado di mobilitare un numero non indifferente di avversari della guerra. Ma anche qui non bisogna fermarsi alle apparenze. Il National Peace Council ha visto ingrossarsi le sue fila nel periodo aureo del pacifismo britannico, quando cioè essere un buon pacifista poteva significare essere anche un buon imperialista inglese. Per forza di inerzia sono rimaste anche oggi affiliate al Peace Council persone e associazioni che appartengono a quello che abbiamo chiamato il pacifismo societario e guerrafondaio. Vediamo ad esempio figurare tra le personalità più eminenti dell'ultimo Congresso del National Peace Council (maggio 1937) i nomi di Sir Arthur Salter, di Norman Angeli, ed una rappresentanza dell'lnternational Peace Campaign di Bruxelles, notoriamente collegata alle persone di Lord Ceci! e di Pierre Cot. Vediamo ancora nel 1938 il National P e ace Council collaborare colla League ofNations Union per l'organizzazione del «Padiglione della pace» all'esposizione di Glasgow. Cosicché dobbiamo concludere che in un Paese come l'Inghilterra, amante dei compromessi e degli equivoci, non è possibile individuare con certezza le forze del pacifismo genuino e sincero, perché anche in un organo come il National Peace Council che si auto-proclama «al di sopra della mischia» dei partiti e della politica, finiscono sempre coll'annidarsi o coll'entrare in collusione larghe schiere di politicanti e di partigiani, per i quali la pace è soltanto una comoda bandiera di richiamo, ed eventualmente di guerra.

Un'inchiesta sulla consistenza e sul peso attuale del movimento pacifista in Inghilterra non può dunque farsi sulla base di dati statistici, difficilmente apprezzabili, né col metodo semplicistico della lettura di etichette che vorrebbero contrassegnare il programma e la volontà di ogni gruppo o associazione. Si tratta piuttosto di affidarsi ad una valutazione diretta, ricavata dall'ambiente e dall'atmosfera, per ogni momento determinato; e in questa particolare atmosfera, ricercare e soppesare i genuini sintomi-se ve ne sono-delle tendenze sinceramente pacifiste.

Di questi sintomi genuini se ne sono viste negli ultimi tempi scarse traccie. Se un pacifismo vi era in Inghilterra, esso avrebbe dovuto manifestarsi in qualche modo -come non ha fatto -nel momento più acuto della crisi dello scorso settembre. Nella quale, se mai, la sola nota di pacifismo attivo e costruttivo è venuta non dalle associazioni che si ammantano di questo nome ma dalle correnti più tradizionaliste del Partito Conservatore e in primo luogo dal Primo Ministro Chamberlain.

Abbiamo visto viceversa, in questi ultimi tempi, parallelamente all'attuazione del programma di riarmo materiale, l'Inghilterra avviarsi progressivamente a quello che può chiamarsi il suo «riarmo morale». In questa nuova atmosfera, anche i partiti laburista e liberale si sono trovati costretti dalla pressione del!' opinione pubblica ad abbandonare la loro tradizionale ed intransigente opposizione all'idea del riarmo per dare il loro appoggio al programma governativo, e anzi a criticarne le deficienze. È di pochi giorni fa, e cioè del 30 dicembre 1938, la decisione del Consiglio Nazionale delle Trade Unions di impegnare le organizzazioni sindacali britanniche all'attuazione del nuovo progetto di «coscrizione volontaria» rappresentata dal National Service. Ancora più recente (3 gennaio 1939) è l'iniziativa della International Peace Campaign per una campagna diretta a richiamare l'attenzione sulle deficienze della difesa aerea inglese. Viceversa, salvo la voce di qualche isolato esponente del pacifismo ad ogni costo, come Lansbury e Maxton, non è stata registrata in questi ultimi mesi alcuna positiva manifestazione di quest'ultima tendenza.

Ciò non significa certo che il popolo inglese non sia profondamente desideroso di mantenere la pace, nella quale esso vede oggi il supremo interesse suo e del suo Impero. Significa però che esso si è progressivamente -e sia pure a malincuore -reso conto che potrà essere un giorno chiamato a difendere questa «sua» pace, e che in tal caso se vorrà difenderla, si troverà costretto ad affidarsi ad altri argomenti che non siano i tramontati sistemi della Società delle Nazioni e della «sicurezza collettiva» 2 .

19 1 Il telegramma, a firma del sottosegretario Bastianini, era del seguente tenore: «Il Duce desidera che codesta Ambasciata segua con particolare attenzione i diversi movimenti pacifisti in Gran Bretagna e riferisca in proposito. Interesserebbe in particolar modo conoscere lo sviluppo delle associazioni che raccolgono adesioni di persone a tutti i costi contrarie alla guerra».

20

IL MINISTRO A BUCAREST, GHIGI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. RISERVATISSIMO 74/22. Bucarest, 6 gennaio 1939 (perv. l'11).

A seguito del mio rapporto del 4 c.m. n. 21 1 mi onoro trasmettere il qui unito rapporto confidenziale indirizzatomi da questo R. Addetto Militare, Ten. Colonnello Conte della Porta, richiamando su di esso l'attenzione dell'Eccellenza Vostra.

ALLEGATO

L'ADDETTO MILITARE A BUCAREST, DELLA PORTA, AL MINISTRO A BUCAREST, GHIGI

R. CONFIDENZIALE. Bucarest, 6 gennaio 1939.

Ieri, 5 c.m. è venuto nel mio ufficio il signor Maruzov, capo dell'Ufficio della Polizia segreta romena, amico personale del Ministro Gafencu e confidente di Re Caro l. Mi ha subito detto essere la Romania fortemente preoccupata della tendenza espansionistica tedesca in Ucraina.

Il Maruzov ritiene che:

a) la Germania per conquistare l'Ucraina deve muovere guerra alla Polonia. Guerra che sarà lunga e non facile per essa specie se, come è prevedibile, Russia e Francia si schiereranno dalla parte della Polonia;

20 1 Vedi D. 9.

b) la Germania, povera di materie prime necessarie ad una guerra lunga, cercherà, in un primo tempo (che potrebbe anche essere nella primavera prossima), di spingere l'Ungheria a muovere contro la Romania, Paese che può fornire alla Germania quanto possa occorrerle (petroli, cereali, bestiame, ecc.);

c) la Germania, solo quando si sarà resa padrona delle risorse romene, affronterà il problema ucraino per la soluzione del quale sta attivamente lavorando. Queste aspirazioni tedesche ed inoltre il probabile ravvicinamento jugoslavo-ungherese, sempre secondo il Maruzov, rendono sempre più difficile la situazione della Romania. Essa quindi non vede altra salvezza, per sfuggire alla morsa tedesca, che in Roma. È solo battendo alle porte di Roma che la Romania può trovare la propria salvezza.

«Noi -mi ha detto Maruzov -dobbiamo avvicinarci a Roma. Riferite questo al Vostro Ministro e chiedetegli che cosa noi dobbiamo fare per arrivare a Roma». Queste ultime parole sono state pronunciate da Maruzov in tono supplichevole, alzando le braccia al cielo.

Mi ha infine aggiunto che la Romania è disposta ad inviare a Parigi una delegazione di alte personalità, amiche di uomini politici francesi, per implorare la pace fra Roma e Parigi perché da tale pace deriva anche la salvezza della Romania.

Il Maruzov mi ha fatto chiaramente comprendere di essere stato autorizzato dal Re a farmi questa visita e a dirmi quanto ho sopra riferito: è mia impressione anzi che egli mi sia stato personalmente inviato dal Sovrano.

19 2 Il documento fu inviato in visione a Mussolini.

21

L'INCARICATO D'AFFARI A WASHINGTON, COSMELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 141/24. Washington, 6 gennaio 1939 (perv. il I6).

Dopo l'ultimo rapporto del 13 dicembre u.s. n. 114041, si sono verificati, nei confronti della situazione in Estremo Oriente, alcuni fatti che meritano speciale segnalazione.

In primo luogo, due eventi di carattere finanziario e precisamente: un prestito di carattere commerciale accordato alla Cina dalla Import Export Bank, con il beneplacito del governo americano e la proroga dell'accordo finanziario già esistente fra il governo cinese e la Tesoreria americana per il trasferimento ed i pagamenti cinesi in America ed ali' estero. Il prestito è stato annunciato il 15 dicembre e la proroga dell'accordo il 20, dando luogo a svariati commenti e induzioni, anche per la loro quasi contemporaneità.

Dal punto di vista finanziario, l'operazione creditizia fatta dalla Import Export Bank, che del resto è un ente semi-statale, comporta un'apertura di credito di 25 milioni di dollari (circa mezzo miliardo di lire) a condizioni non note e

2! 1 Vedi serie ottava, vol. X, D. 544.

destinato all'acquisto di materiali agricoli e industriali nonché alla organizzazione di un migliore sistema di esportazioni dalla Cina agli Stati Uniti di certe merci interessanti questi ultimi. Circa i materiali da acquistare negli Stati Uniti si è parlato di automezzi, nonché di materiali ferroviari, questi ultimi destinati a facilitare l'istallazione e il miglioramento di linee ferroviarie nelle zone ancora sottratte all'occupazione giapponese.

Dato il momento in cui il prestito è stato annunziato, l'evento ha fatto correre una quantità di voci e di interpretazioni sul suo significato politico. Certamente, vi è stata la concomitanza con misure analoghe del governo britannico, come pure la voce messa in giro che il maresciallo Chiang Kai-shek avesse imposto la concessione di un tale prestito, senza il quale si sarebbe messo d'accordo col Giappone, ma è difficile controllare da qui tali informazioni, anche perché il prestito è stato trattato in sede, almeno formalmente, soltanto commerciale e bancaria e al Dipartimento di Stato si declina di commentarlo.

Malgrado il rumore fattovi intorno. appare tuttavia in realtà molto dubbio che tale prestito possa significare una nuova direttiva americana in Estremo Oriente e preluda ad un intervento più attivo.

È bensì vero che nella presente situazione del governo cinese l'impiego di capitali in quel Paese si presenta aleatorio, ma d'altra parte non è la prima volta che l'America ha fatto aperture di credito del genere alla Cina, il cui esito non è poi stato assolutamente fallimentare e, senza contare le cospicue somme che l'America ha speso e sempre spende in Cina per fini puramente umanitari, vi sono anche varie contropartite attive di carattere commerciale che diminuiscono i rischi.

Il prestito ha fatto anche sorgere la questione dell'applicazione della legge sulla neutralità, ma il Segretario del Tesoro ed in modo ineccepibile, dal punto di vista formale, ha dichiarato che la Cina non è un belligerante, che pertanto la legge sulla neutralità non è applicabile, e che il Giappone potrebbe, se lo ritenesse opportuno, cercare anche esso prestiti sul mercato americano, nessuna legge vietandolo.

Successivamente, a qualche giorno di distanza, è stato annunziato il rinnovo del già esistente accordo fra Cina e Tesoreria americana, per cui quest'ultima, contro garanzia dell'argento e dell'oro del governo cinese, trasferito qui anche per ragioni di sicurezza, mette a disposizione del governo cinese per gli acquisti di questo in America ed all'estero, tutte le somme in dollari o in valuta estera necessarie. La stampa con quella emotività e superficialità che la distingue, si è gettata nuovamente sopra tale notizia per trame chi sa quali conseguenze politiche. Basta analizzare la sostanza dell'accordo per vedere che si tratta di una misura di Tesoreria perfettamente garantita, in cui il governo americano non rischia un centesimo. Può darsi che, nelle presenti condizioni delle riserve americane, l'acquisto e l'accantonamento di ulteriore oro e argento non presenti per l'America eccessivo interesse, ma da questo a presentare l 'operazione come di particolare favore ed aiuto alla Cina corre un largo divario.

1\iel loro complesso. le due misure di ordine finanziario sopra accennate non sembrano mutare sostanzialmente la posizione dell'America verso la Cina ed il Giappone. Nella posizione del resto assunta dagli Stati Uniti verso le questioni dell'Estremo Oriente, qualche prestito, e neppure eccessivamente largo, e qualche facilitazione di Tesoreria sono forse il minimo che i cinesi si possono attendere.

Forse invece politicamente più importante per i germi di nuovi atteggiamenti che comporta. è la nota inviata il 31 dicembre da Washington a Tokio2 in risposta alla nota giapponese, precedentemente segnalata, del 18 novembre3 . Si allega ad ogni buon fine il testo di tale nota4 .

Il tono ne è particolarmente vivace; non nuova è la parte argomentativa sulla posizione di diritto del governo americano e di quello giapponese in Cina; circostanza nuova e precisa, verso cui del resto già da ultimi miei rapporti appariva come qui ci si andasse orientando, la quasi proposta di negoziare le modifiche da apportare ai trattati esistenti e un certo riconoscimento che qualche cosa in Cina è ben mutato.

Negli ambienti giapponesi di qui ha irritato la avvenuta pubblicazione della nota senza previa interpellazione e consenso da parte del governo giapponese, ma circa il merito della questione si pensa che, mentre è possibile arrivare un giorno a delle soluzioni convenzionali, la situazione cinese, suscettibile di ulteriori sviluppi, non è ancora matura per cristallizzare dei risultati in formule convenzionali.

A titolo di cronaca è da segnalare che anche qui si è voluto marcare un certo parallelismo di azione in Estremo Oriente fra America e Gran Bretagna, ma in sostanza non si vede ancora come e se l'America possa e voglia uscire dalla singolare posizione in cui si è andata mettendo di fronte alla situazione cinese.

Per quanto si insista a dire che la posizione di Chiang Kai-shek sia tutt'altro che disperata, e la partita cino-giapponese tutt'altro che chiusa, si vede sempre meno come l'America possa non tener conto dei fatti sempre più compiuti che il Giappone le presenta in Cina. Esclusa oggi come ieri la soluzione di forza militare, resterebbe ancora aperta per l'undicesima ora quella delle rappresaglie economiche. Il senatore Pittman le ha, giorni addietro, lasciate intravedere, il Presidente Roosevelt vi ha indirettamente quasi accennato nel suo messaggio di avantieri, ma nessuna eco concreta tali appelli hanno avuto finora nel pubblico e vi è molto ragionevole scetticismo a che si giunga a rinunciare al proficuo traffico giapponese-americano, ad un tangibile e potente interesse immediato con scarse probabilità di raggiungere alcuno dei risultati politici che tali misure economiche si proporrebbero.

Tuttavia, poiché vi è n eli'aria tutto un atteggiamento di maggiore fermezza verso i fronti totalitari, non è escluso che si possa giungere a qualche misura del genere. E questa mattina l'Ambasciatore del Giappone5 non mi nascondeva la preoccupazione che, per esempio, si vieti la esportazione dei rottami di ferro che provenivano finora quasi esclusivamente dagli Stati Uniti, senza gravame valutario, dato il forte assorbimento di merci giapponesi da parte degli Stati Uniti6 .

21 2 Testo in FRUS,Japan 1931-1941, vol. l, pp. 820-826. 3 Testo ibid., pp. 797-800. 4 Non pubblicata. 5 Kensuke Horinouchi. 6 Il documento ha il visto di Mussolini.

22

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

LETTERA SEGRETA 134. Berlino, 6 gennaio 19391•

I testi da me visti a Roma2 sono stati assoggettati a revisione. Ne invio qui unita alla E. V. la redazione nuova~ debitamente approvata dal Fiihrer ~insieme con una traduzione provvisoria letterale curata personalmente da Magistrati3 .

Le modificazioni apportate al l 0 documento sono in genere di pura forma.

Il 2° documento contiene invece elementi assolutamente nuovi, una Commissione principale, Sotto Commissioni di esperti (art. l), Commissioni speciali per informazioni e stampa (art. 2), etc. -Speciale attenzione merita naturalmente la Commissione principale (art. l), data la necessità di evitare che graviti e faccia centro esclusivamente su un punto. Si potrebbe pensare a tre Commissioni principali nello stesso modo che si è pensato a 3 Commissioni speciali per informazioni e stampa? Oppure ad alternare le sedi?

A parte questo, non sembra che l'art. 2, in confronto a tutto il resto, entri troppo nel dettaglio che potrebbe invece essere oggetto di regolamento ulteriore? In ogni modo, su tutto si attendono qui sia le eventuali osservazioni sia il placet della E.V. e del Duce.

ALLEGATO I

PROGETTO DI ACCORDO TRA ITALIA, GERMANIA E GIAPPONE

Sua Maestà il Re d'Italia Imperatore d'Etiopia TI Cancelliere del Reich tedesco Sua Maestà l'Imperatore del Giappone

Constatato che dopo la stipulazione del Patto Anticomintem del 25 novembre 1936 i rapporti amichevoli fra l'Italia, la Germania e il Giappone si sono rafforzati ulteriormente, persuasi che il Comintern minaccia in misura sempre crescente la pace in Europa e in Asia,

2 Riferimento al progetto di trattato di alleanza tripartita consegnato il 27 ottobre dagli addetti militari giapponesi (vedi serie ottava, vol. X, D. 337) e al progetto portato a Roma da von Ribbentrop nella sua visita del27-29 ottobre (vedi ibid., D. 343, nota 2).

3 La traduzione che qui si pubblica è invece quella redatta successivamente a cura del Gabinetto. In essa vi sono delle differenze di forma rispetto alla traduzione del consigliere Magistrati e vi è inoltre una modifica apportata al terzo capoverso del preambolo di cui è stata cancellata la frase iniziale «decisi a rafforzare la difesa contro lo sfacelo comunista». Tale modiftca venne richiesta da Ciano tramite Attolico (T. s.n.d. 32/15 R. deii'S gennaio; per le motivazioni si veda il Diario alla stessa data) e fu subito accolta da parte tedesca (T. s.n.d. l 05/12 R. del 9 gennaio di Attolico).

decisi a rafforzare la difesa e la protezione degli interessi comuni delle tre Potenze contraenti in Europa e in Asia, si sono accordati per stipulare a tale scopo un atto d'Alleanza ed hanno nominato loro Plenipotenziari:

Sua Maestà il Re d'Italia Imperatore d'Etiopia: ...

Il Cancelliere del Reich tedesco: ...

Sua Maestà l'Imperatore del Giappone: ...

i quali, dopo essersi scambiati i loro pieni poteri ed averli trovati in debita forma si sono accordati sulle seguenti disposizioni:

Articolo l.

Nel caso che una delle Potenze contraenti venga a trovarsi in difficoltà a causa dell'atteggiamento di una o più terze Potenze, le Potenze contraenti inizieranno subito una consultazione sulle misure da adottare in comune.

Articolo 2.

Nel caso che una delle Potenze contraenti sia minacciata da una o più terze Potenze, le altre Potenze contraenti si impegnano a fornire alla Potenza minacciata il loro appoggio politico ed economico, onde eliminare tale minaccia.

Articolo 3.

Nel caso che una delle Potenze contraenti sia oggetto di un attacco non provocato da parte di una o più terze Potenze, le altre Potenze contraenti si impegnano ad accordarle aiuto ed assistenza con tutti i mezzi a loro disposizione. In tal caso le tre Potenze contraenti stabiliranno immediatamente di comune accordo le misure necessarie per l'esecuzione di questo impegno.

Articolo 4.

Nel caso che le Potenze contraenti conducano una guerra in base al presente Patto, non concluderanno armistizio e pace se non di comune accordo.

Articolo 5.

Il presente Patto dev'essere ratificato e gli strumenti di ratifica devono essere scambiati con la maggior sollecitudine possibile. Il Patto entra in vigore il giorno dello scambio delle ratifiche. Esso resta in vigore da tale giorno per un periodo di dieci anni. Nel caso che non sia denunciato da una delle Potenze contraenti al più tardi un anno prima della scadenza, esso resta in vigore per altri cinque anni ed analogamente per i successivi periodi di tempo.

In fede di che i Plenipotenziari hanno firmato questo Patto. Fatto in triplice esemplare, in italiano, tedesco e giapponese, a Berlino il ...

ALLEGATO Il

PROTOCOLLO SEGRETO AGGIUNTO AL PATTO DEL ...

A complemento del Patto firmato oggi i Plenipotenziari delle tre Potenze contraenti si sono accordati su quanto segue:

22 1 Manca l'indicazione della data di arrivo.

1

Per l'esecuzione degli obblighi derivanti da questo Patto d'Alleanza sarà costituita una commissione permanente comune, composta dei tre Ministri degli Affari Esteri o dei loro rappresentanti. Subito dopo l'entrata in vigore del Patto la commissione permanente comune dei tre Ministri degli Affari Esteri esaminerà, per le singole possibilità di conflitto da prendere in considerazione, in qual modo e in quale misura le Potenze contraenti forniranno, ciascuna secondo la sua posizione geografica, il loro aiuto politico, militare ed economico. La commissione permanente comune dei tre Ministri degli Affari Esteri convocherà a scopo consultivo delle sottocommissioni comuni permanenti di esperti, delle quali essa stabilirà nei dettagli la composizione e l'attività.

11

Subito dopo l'entrata in vigore del Patto i tre Governi costituiranno altre commissioni permanenti, aventi sede a Roma, Berlino e Tokio, composte del Ministro degli Affari Esteri della rispettiva sede o del suo rappresentante nonché di un plenipotenziario di ciascuno degli altri Ministri degli Affari Esteri per le questioni delle informazioni e della stampa. Queste commissioni hanno il compito di adoperarsi con tutti i mezzi a loro disposizione per condurre una politica di informazioni e di stampa conforme allo spirito ed allo scopo del Patto per la difesa dagli od'ì di altri Paesi contro le Potenze contraenti nonché per illuminare attivamente l'opinione pubblica mondiale nell'interesse delle Potenze stesse.

111

Questo Protocollo Aggiunto, che è parte integrante del Patto, sarà tenuto dalle Potenze contraenti nel più stretto segreto.

23

PROMEMORIA DEL GOVERNO ITALIANO AL COMITATO DI NON INTERVENTO DI LONDRA

6 gennaio 1939.

Il Governo Fascista avendo esaminato attentamente il rapporto presentato dal signor Hemming circa la sua ultimata missione presso il Governo Nazionalista Spagnuolo, precisa come segue il proprio punto di vista al riguardo:

0 ) Il Governo Fascista condivide l'opinione espressa dal signor Hemming nel suo rapporto 1 , nel senso che qualsiasi progetto diretto a conseguire il ritiro dei volontari stranieri sarebbe destinato a insuccesso sin quando non venissero riconosciuti senza condizioni o riserve i diritti di belligeranza al Governo Nazionale Spagnuolo. Il Governo Fascista, confermando del resto a questo riguardo l'opinione da esso sostenuta sin dagli inizi del conflitto spagnuolo, considera che la richiesta del Governo Nazionale è pienamente giustificata in linea di diritto, in vista del fatto che il Generale Franco è il capo di un governo che ha tutti i requisiti richiesti a tal uopo dal diritto internazionale, e che, oltre controllare i due terzi del territorio spagnuolo, ha già ricevuto un riconoscimento, de jure o de facto, dalla maggioranza degli altri Stati. Una ulteriore giustificazione per il riconoscimento dei diritti di belligeranza è data, a giudizio del Governo Fascista, dal fatto che il Generale Franco ha già proceduto alla evacuazione di l 0.000 volontari stranieri, mentre d'altro lato, come viene spiegato ai paragrafi 6, 7 ed 8 delle Conclusioni presentate dal signor Hemming, le premesse e le considerazioni tecniche che erano a fondamento del piano del 5 luglio sono state nel frattempo superate dagli avvenimenti.

2°) Il Governo Fascista è d'opinione che un ulteriore viaggio del signor Hemming in Spagna non sarebbe, nelle presenti circostanze, suscettibile di condurre ad alcun risultato utile.

3°) Il Governo Fascista accoglie con favore le considerazioni espresse dal signor Hemming nel suo rapporto circa la possibilità di procedere ad una riduzione del costo dello Schema per il ritiro dei volontari. Esso anzi ritiene necessaria una radicale revisione e riduzione di questi costi nonché di tutti gli altri contributi mensili.

4°) Circa la procedura da seguirsi, il Governo Fascista ritiene che il rapporto del signor Hemming dovrebbe essere esaminato in uno scambio di vedute per via diplomatica tra le cinque Potenze che ebbero a conferire al signor Hemming il mandato di recarsi in Spagna.

5°) li Governo Fascista attribuisce la massima importanza alla continuazione della politica del non intervento alla quale per parte sua intende pienamente collaborare. Il Governo Fascista sarebbe dolente se altri Stati dovessero ritirarsi dal Comitato di Non-intervento. Qualora tuttavia vi fossero governi che ritenessero adottare una simile decisione, il Governo Fascista confida che i governi in parola vorranno ciò nonostante continuare a considerarsi impegnati dai principì del non-intervento.

6°) In vista della grande pubblicità data dalle autorità di Barcellona alla Commissione colà inviata dalla S.d.N. in relazione al ritiro dei volontari 2 , il Governo Fascista desidera fin da ora far presente che esso non potrà che declinare di accettare come base di discussione in seno al Comitato le conclusioni e i risultati raggiunti dalla predetta commissione. Il Governo Fascista considera la Commissione della Società delle Nazioni come non esistente e gli risulta che tale opinione è condivisa dal Governo Nazionale Spagnuolo.

2 La Commissione era giunta a Barcellona il 16 ottobre.

23 1 Riferimento al rapporto sulla sua missione in Spagna presentato il 21 novembre 1938 dal segretario del Comitato di non intervento. Sulla missione Hemming si vedano, da parte italiana, i documenti pubblicati nei volumi IX e X di questa serie.

24

IL CAPO DEL GOVERNO, MUSSOLINI, AL CAPO DI STATO MAGGIORE DEL C.T.V., GAMBARA

T. UFF. SPAGNA SEGRETO 341• Roma, 7 gennaio 1939, ore 14,30.

Scongiurate Franco di non cedere a motivi di carattere extrabellico che lo possano indurre a sospendere offensiva in Catalogna per correre ai ripari sul fronte di Cordova2. I rossi hanno ripetutamente dimostrato-ivi compresa la destra dell'Ebrodi non possedere forza penetrativa oltre il raggio tattico. Anche se, per dannata ipotesi, i rossi realizzassero un successo notevole in Andalusia, ciò non compenserebbe mai di fronte alla Spagna e al mondo la perdita della Catalogna. Sarebbe fatale errore fermarsi quando si vince3 .

25

L'AMBASCIATORE PRESSO LA SANTA SEDE, PIGNATTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. S.N.D. PER CORRIERE 96/3 R. Roma, 7 gennaio 1939 (perv. l '8).

Mio telegramma per corriere n. 1 del 3 corrente 1 .

Il Cardinale Segretario di Stato, nel riferirmi stamane la risposta del Papa, mi ha dichiarato che il Santo Padre aveva ascoltato, non senza esprimere qualche meraviglia, le lagnanze per il Suo discorso al Sacro Collegio, mentre, in un primo tempo, eragli stato comunicato, anche da persone bene informate, che il discorso stesso non era dispiaciuto e ne era stata riconosciuta la moderazione.

Il Pontefice, entrando, poi, nel merito degli appunti mossigli, aveva approvato pienamente la risposta a me data dal cardinale Pacelli, a proposito della frase dedicata al Duce. Il Santo Padre ha detto che se all'aggettivo da Lui impiegato (incompara

2 Il generale Gambara, nel riferire sull'andamento delle operazioni in Catalogna, aveva manifestato la sua preoccupazione per il fatto che il Quartiere Generale di Franco potesse rallentare o addirittura sospendere l'offensiva sul fronte catalano per fronteggiare l'attacco che nel frattempo i governativi avevano sferrato in Andalusia (T. Uff. Spagna 32/2663 del 7 gennaio).

3 L'S gennaio, Franco faceva pervenire a Mussolini una lettera in cui confermava la sua sicurezza in una vittoria a non lunga scadenza. «Il Duce -annotava Ciano nel suo Diario sotto la data del giorno successivo -ha risposto una cordiale lettera a Franco, incoraggiandolo a tirare diritto, fino alla soluzione integrale della guerra, senza accettare compromessi e mediazioni. Anche nei confronti della restaurazione monarchica ha suggerito di segnare il passo. Preferisce la Spagna unita e pacificata sotto la guida del Caudillo, Capo del Paese e del Partito. A Franco sarà facile governare se avrà prima conseguito il pieno successo militare. ll prestigio del Capo vittorioso in guerra è sempre indiscusso».

bile) poteva essere attribuito un doppio significato, era pure vero che, nell'uso comune ormai invalso, la parola in questione ne aveva uno solo, inequivocabile.

Riguardo alla deplorazione del Duce per l'attacco al Partito, attacco sul quale si era tàtta una speculazione in tutta Europa, il Papa ha dichiarato che Egli aveva detto quanto credeva di dovere dire. Quello che era stato stampato sul Suo discorso non lo riguardava e non poteva essergli imputato. Il cardinale Pacelli ha soggiunto che il Santo Padre si era, a questo punto, molto irritato e aveva precisato «che avrebbe avuto ben altro da dire e che alla Sua età non si ha paura».

Anche il rilievo concernente l'Azione Cattolica era stato accolto molto male dal Pontefice. Il Papa aveva ribadito il Suo ormai arcinoto punto di vista dicendo che l'Azione Cattolica è la pupilla dei Suoi occhi e che attaccandola lo si offendeva. Egli assumeva personalmente, ogni e qualsiasi responsabilità nei riguardi dell'Azione Cattolica. Aveva, poi, soggiunto che i cattolici in genere non fanno politica e che questo dirà anche a Chamberlain2 .

Ho domandato al mio interlocutore di precisarmi il pensiero del Papa, non riuscendo a capire come entrasse il Primo Ministro inglese in questa faccenda. Il Cardinale Segretario di Stato ha spiegato che nel corso della conversazione con il Papa, il discorso era caduto sull'atteggiamento dei cattolici nei vari Paesi. E siccome in Germania ed anche in Inghilterra, si fa l'addebito ai cattolici di fare della politica, il Papa si era proposto di parlarne al signor Chamberlain.

Il porporato, ritornando all'argomento, ha detto che il Papa non contestava che l'Azione Cattolica fosse diocesana, ma, come i Vescovi fanno capo a Lui, così l'Azione Cattolica, posta alla diretta dipendenza dei Vescovi, deve fare capo a Lui.

Ho replicato che v'era evidentemente un equivoco. II Duce, affermando che l'organizzazione centrale d'Azione Cattolica non dovrebbe esistere, non aveva avuto in mente di riferirsi all'autorità indiscussa del Pontefice sulla Chiesa e le sue Gerarchie. Egli aveva alluso, indubbiamente, all'Ufficio Centrale d'Azione Cattolica che, diretto da laici, svolge un compito che di fatto è più politico che religioso.

Però, di fronte all'atteggiamento di recisa intransigenza assunto dal Pontefice, ritenevo inutile di addentrarmi in una confutazione senza scopo e che avrebbe potuto essere considerata irrispettosa. C'era, però, qualcosa che non potevo tacere senza tradire i doveri del mio Ufficio ed era la mia convinzione che il Pontefice non fosse sufficientemente informato su quello che i laici facevano e tramavano all'ombra dell'Azione Cattolica. Non ignoravo che alla direzione dell'istituzione si trovava un Principe della Chiesa, ma i suoi poteri erano vulnerati dall'intraprendenza, a spunto politico, di laici, specialmente giovani, i quali non si erano peritati di indirizzare direttamente al Papa i loro reclami contro il cardinale Pizzardo e di farli accettare.

Se la polizia italiana aveva raccolto elementi che permettevano al Duce di affermare che l'Azione Cattolica ha assunto la fisionomia di un vero e proprio partito politico a carattere antifascista, bisognava crederlo, perché l'Autorità di P.S. ha a sua disposizione mezzi adeguati per fare la luce in questioni del genere. D'altra parte, da dichiarazioni recentissime a me fatte dal cardinale Pizzardo, risultava che i laici d'Azione Cattolica sono irrequieti, battaglieri e rimproverano al loro capo di essere ele

mento eccessivamente moderatore. Che vuoi dire tutto ciò? Che cova sotto tale fermento? Ho invitato il Cardinale Segretario di Stato di parlare con il cardinale Pizzardo e di provocarne le confidenze.

Il cardinale Pacelli ha risposto che avrebbe intrattenuto nuovamente il Papa e ha soggiunto a mo' di riflessione: «e dire che sarebbe così facile andare d'accordo!».

Ho replicato di esserne io pure convinto e ho proposto al Cardinale Segretario di Stato di riprendere spassionatamente l'argomento fra qualche tempo, con il fermo proposito di mettere pace. Ho soggiunto che per prima cosa si doveva esigere che l'Azione Cattolica smettesse dal fomentare una sorda ostilità contro il Regime.

Il cardinale mi ha detto, infine, di avere parlato al Papa degli altri argomenti da me svolti (razza, tutela), ma di non essere ancora in grado di dare una risposta. Ha accennato solo «a molti casi pietosi», dandomi l'impressione che, accontentando il Papa su alcuni casi che lo interessano in modo particolare, si otterrebbe una notevole distensione. Di uno di questi casi scriverò a parte all'E .V.3 .

24 1 Minuta autografa di Mussolini.

25 1 Vedi D. 6.

25 2 Sulla visita di Chamberlain in Vaticano si veda il D. 60.

26

L'AMBASCIATORE PRESSO LA SANTA SEDE, PIGNATTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. S.N.D. PER CORRIERE 95/4 R. Roma, 7 gennaio 1939 (perv. l '8). Mio telegramma per corriere n. 2 del 5 corrente 1 .

Il Cardinale Segretario di Stato, al quale ho riassunto per sommi capi la corrispondenza da Roma al Daily Mai!, mi ha dichiarato che non c'è niente di vero.

Il Papa non pensa a trasferirsi a Castelgandolfo. Da molto tempo egli non parla di Concistoro. Non c'è in preparazione nessuna Enciclica o altro documento contro il razzismo o «il paganesimo nazista».

Per quel che riguarda più specialmente l'Italia, il cardinale Pacelli, pure confermandomi formalmente che non si prepara niente, ha soggiunto che faceva d'uopo non trascurare la dichiarazione fattagli dal Papa giorni sono e da me riferita nel telegramma per corriere odierno n. 32 . Infatti, rispondendo al rilievo fattogli, d'ordine del Duce, per l'attacco al Partito nel discorso al Sacro Collegio, il Pontefice ha dichiarato al Suo Segretario di Stato «che avrebbe altro da dire e che alla Sua età non si ha paura».

Da parte mia debbo mettere quanto precede in relazione a una dichiarazione del Papa, di analogo tenore, da me riferitavi con telegramma per corriere n. 152 del 12 dicembre u.s. 3 .

2 Vedi D. 25.

3 Vedi serie ottava, vol. X, D. 539.

Il Pontefice disse, allora, al cardinale Pizzardo, che, prima di morire, avrebbe potuto fare cosa della quale l'Italia si sarebbe ricordata per un pezzo.

È ormai chiaro, dunque, che il Papa ha in testa qualcosa che giudica di grande efficacia.

Giova stuzzicarlo? Il cardinale Pacelli mi assicurava che il Papa si rabbonirebbe con poco. D'altra parte, ripeto quanto dissi al Duce in presenza di Vostra Eccellenza\ ed è che la questione dell'Azione Cattolica si risolverà di colpo, da sé, in un nuovo Pontificato. l Regi Prefetti avranno certo informato che la maggioranza dei Vescovi non è tenera per l'Azione Cattolica, così com 'è organizzata, sotto la direzione di laici. Da parte mia, posso garantire che l'Azione Cattolica gode scarsissime simpatie nel Sacro Collegio. Molti cardinali non approvano l'imbastitura che ne è stata fatta a gloria e profitto, quasi esclusivo, del cardinale Pizzardo il quale, a sua volta, è tenuto prigioniero e anche schernito, dai suoi subordinati laici5 .

25 3 Sul documento vi è il timbro: «Visto dal Duce».

26 1 T. per corriere 83/2 R. del 5 gennaio. Riferiva di avere indagato presso le Autorità vaticane per appurare quale fondamento avesse la notizia pubblicata con molta evidenza dal Daily Mai/ secondo cui il Pontefice intendeva trasferirsi a Castelgandolfo per tenervi un concistoro segreto «allo scopo di definire l'atteggiamento della Santa Sede verso il paganesimo nazista». La notizia gli era stata nettamente smentita.

27

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE l 00/07 R. Berlino, 7 gennaio 1939 (perv. il 9).

In attesa di ricevere da Ribbentrop notizie più dettagliate, invio intanto sull'incontro Beck-Hitler1 le seguenti informazioni preliminari avute questa mane dal barone von Weizsacker.

Come è noto, le relazioni polono-tedesche hanno ultimamente traversato momenti tali da far sorgere qualche dubbio sulla solidità dell'amicizia fra i due Paesi. Beck era al riguardo alquanto inquieto.

In primissimo luogo, quindi, il Fiihrer ha voluto dissipare questa inquietudine. Egli lo ha fatto con trasporto e cordialità. L'accordo del '342 è, e rimane, la base intangibile dei rapporti polono-tedeschi.

A sua volta, Beck ha tenuto ad assicurare Hitler che i recenti accordi con la Russia Sovietica3 rappresentano una semplice «normalizzazione di relazioni già tese».

5 Sul documento vi è il timbro: «Visto dal Duce».

2 Riferimento alla «Dichiarazione comune del governo tedesco e del governo polacco concernente le relazioni politiche tra i due Paesi» del 26 gennaio 1934 (testo in DDT, serie C, vol. II, D. 219).

3 Riferimento alla Dichiarazione polacco-sovietica del 26 novembre 1938 che riconfermava la validità del Trattato di non aggressione del 1932 e prevedeva l'incremento dei rapporti commerciali tra i due Paesi. In proposito si veda serie ottava, vol. X, D. 476.

Durante la crisi cecoslovacca la Polonia aveva dovuto dislocare verso la frontiera sovietica varie divisioni. Incidenti si erano prodotti. Non si poteva continuare così.

È stato quindi abbordato il grave problema dell'Ucraina. Al riguardo Hitler ha tenuto a dichiarare che, mentre considera l'Ucraina il tallone di Achille della Russia Sovietica e vi vede quindi delle possibilità rispetto alle quali gli interessi polacchi dovrebbero in fondo collimare con quelli tedeschi, egli Hitler non ha in Ucraina alcuna mira nazionale tedesca. Nessuno accenno specifico sembra essere stato fatto alla questione della Russia subcarpatica (Rutenia), questione che sarebbe quindi rimasta nei termini in cui si trovava prima.

D'altra parte, il Ftihrer mentre ha riaffermato le sue pretensioni su Danzica ha anche detto che egli realizzava, ed intendeva rispettare, l'esigenza polacca di uno sbocco al mare.

Un fugace accenno sembra essere stato fatto alla questione di Memel, senza per questo dare l'impressione che la Germania ritenga di dover per la sua futura azione al riguardo, ottenere il beneplacito di Varsavia.

Conversazione generale e di atmosfera dunque, alla quale delle conversazioni di dettaglio devono essere certamente seguite fra i due ministri degli Esteri delle quali però non si aveva ancora all' Auswartiges Amt notizia alcuna.

Mi informerò ulteriormente sia con Ribbentrop sia con Lipski4 .

26 4 Si riferisce al colloquio del 2 gennaio. Vedi D. 6, nota l.

27 1 Il ministro degli Esteri polacco, Beck, di ritorno da un viaggio privato in Francia, era stato ricevuto il 5 gennaio da Hitler a Berchtesgaden ed il giorno successivo aveva avuto un colloquio con von Ribbentrop a Monaco. Sul contenuto di queste conversazioni si veda DDT, vol. V, DD. 119 e 120 e LBP, DD. 48 e 49. Qui si vedano anche i DD. 33, 52, 58 e 62.

28

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 185/41. Berlino, 7 gennaio 1939 (perv. il l 0). Telespresso ministeriale n. 200404/c. del 5 corrente 1 .

In relazione al telespresso in oggetto, ritengo possa interessare alla E.V. di sapere che questo Ministro di Bulgaria ha avuto anch'egli occasione di fare qui dei sondaggi analoghi a quelli riferiti dalla R. Legazione a Sofia.

Parlando col Barone von Weizsacker, il Ministro signor Draganov avrebbe fatto osservare che l'attitudine di estrema riserva imposta finora alla Bulgaria dalle circostanze non era tuttavia affatto popolare nel Paese, il quale manteneva intatte le proprie aspirazioni nazionali. Queste, specialmente ora e data l'opera sapiente di rimpatri compiuta dalla Grecia, si dirigevano sopratutto verso la Dobrugia.

La Bulgaria, naturalmente, avrebbe per così dire coordinato le aspirazioni proprie con quelle degli altri e nella specie della Ungheria. In proposito il Ministro bulgaro domandava appunto a Weizsacker, se, di fronte ad eventuali ambizioni ungheresi sulla Transilvania, la Germania avrebbe parteggiato per la Romania o per l'Ungheria.

Il Barone von Weizsiicker ha risposto a questi approcci in maniera assolutamente vaga. osservando solo che la Germania non aveva in quella regione nessun interesse diretto che potesse spingerla a parteggiare per l'uno anziché per l'altro.

A parte il tenore della risposta ricevuta, gli approcci del signor Draganov sono interessanti come sintomo di un possibile destarsi di un revisionismo bulgaro2 .

27 4 Vedi D. 58. 28 1 Non rintracciato.

29

L'INCARICATO D'AFFARI A RIO DE JANEIRO, CASSINIS, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 58/30. Rio de Janeiro, 7 gennaio 1939 (perv. il 25).

Mio telespresso n. 2675/801 dell8 ottobre 19381•

II Presidente delle Repubblica, dottor Getulio Vargas, nel saluto radiofonico di fine d'anno al popolo brasiliano ha ricapitolato nuovamente le attività della sua gestione includendovi, questa volta, anche quelle svoltesi durante il periodo del governo provvisorio e del governo costituzionale. Nell'enumerazione delle opere compiute si è riferito, come in altre occasioni, al «ripudio sistematico delle ideologie estremiste e dei loro adepti convinti o stipendiati; alla lotta contro gli agenti di dissoluzione o di infiacchìmento delle energie nazionali ed alla proibizione del funzionamento, nel Paese, di qualsiasi organizzazione di attività nazionalizzatrici o legata da interessi politici stranieri».

Mentre si aspettava che egli stabilisse più nettamente le linee del suo programma futuro, e particolarmente accennasse alla realizzazione di una qualsiasi forma di suffragio popolare che legittimasse la Costituzione del novembre 1937, il Presidente si è limitato a fare affidamento sulla stessa fiducia, con la quale il popolo l'ha seguito fino ad oggi, per condurre a termine la difficile opere intrapresa.

Da ciò si rileva che il dottor Getulio Vargas va dando sempre forma più concreta alla sua dittatura personale, violando la sua stessa Costituzione che garantiva il Plebiscito a breve scadenza e trincerandosi, adesso, nella elastica interpretazione che gli omaggi popolari e l'entusiasmo con cui è stato accolto nelle sue visite ad alcuni Stati dell'Unione, equivalgono a vere e chiare espressioni plebiscitarie.

Di questo parere, però, non sono una buona parte dell'Esercito e gli antichi partiti di opposizione che, sebbene sciolti, continuano ad aspettare il momento delle rivincita. Tutta l'opinione pubblica sente che nell'esercito vi è una forte corrente che vorrebbe indurre il Presidente Vargas a concedere una nuova Costituente o, quanto meno, il Plebiscito, e lo sente in particolar modo attraverso una insistente campagna di stampa tendente alla esaltazione delle Forze Armate e del loro dovere di appoggiare l'opera ricostitutiva dell'attuale governo. La campagna di evidente ispirazione ufficiale-molti degli articoli vengono diramati dal Dipartimento Nazionale di Propaganda -è troppo insi

stente per non generare sospetti. E da parte degli amici più intimi del dottor Vargas non si nasconde, nelle conversazioni private, un malumore contro le classi armate, che interferiscono nella politica nazionale e non lasciano al governo la piena libertà d'azione.

Continua, pertanto, il giuoco che da due o tre anni si svolge fra l 'Esercito ed il Capo della Nazione. L'uno crede di aver prigioniero l'altro e viceversa: le Forze Armate con la minaccia di pronunciamenti, e il dottor Vargas con l'arma della corruzione e dell'astuzia.

Il più forte, sino ad oggi, è stato il secondo, collocando a riposo i vecchi generali che gli davano fastidio e promovendo a posti di responsabilità gli ufficiali che gli potevano essere riconoscenti. Ma nonostante i mezzi di intimidimento e di corruzione usati, non è riuscito a dominare quella sfiducia che nell'esercito si era formata contro di lui e che aveva indotto circa mille ufficiali ad aderire ali'Integralismo.

Nel mese di dicembre, la preoccupazione governativa di suscitare a suo favore simpatie n eli 'Esercito e nella Marina, ha promosso settimane di omaggi speciali in onore dell'uno e dell'altra con commemorazioni di antichi fatti militari, con la inaugurazione di monumenti ricordanti battaglie gloriose -vinte o perdute -e col proposito di creare uno spirito eroico e una disciplina patriottica nella gioventù brasiliana, la quale, nazionalista in teoria, non ha mostrato mai e non mostra, nella politica, la minore disposizione a sublimi sacrifici personali per la grandezza del Paese.

Vi è stata anche una cerimonia di «affratellamento» tra la Marina e l 'Esercito, e l'insistenza con cui si è parlato della solidarietà esistente fra di essi -quasi fosse concepibile che in un Paese organizzato potesse esistere un dissidio permanente tra le varie Forze Armate -ha tentato, senza dubbio, di cancellare le animosità che, nella Marina da Guerra si erano manifestate contro l'Esercito, all'epoca in cui la maggior parte degli ufficiali della prima, appoggianti risolutamente il movimento integralista, non vedevano di buon occhio l'astensione del secondo e che si erano acuite durante la repressione dei moti rivoluzionari del marzo e del maggio dell'anno scorso.

Insomma, si ha la sensazione di qualche cosa che turbi la tranquillità del Presidente della Repubblica e che potrebbe avere probabili sviluppi nel caso egli continui a non creare gli organi rappresentativi indicati nella Costituzione ed a chiedere su di questa il suffragio collettivo.

Ormai non soddisfano più le sue affermazioni in favore della democrazia, perché non v'è un brasiliano che, privatamente, non riconosca che il regime politico locale è di un assolutismo categorico. La volontà del Capo della Nazione continua a non avere il minimo controllo, e si esercita in una forma piena, rigorosa su tutta la vita politica, economica e sociale della Repubblica.

Praticamente non esiste più neanche l'antica autonomia degli Stati, perché il Presidente ne controlla ogni atto attraverso gli «lnterventori Federali» che sono appena esecutori d'ordini.

Un'atmosfera di «provvisorietà» pesa sulle attività di qualsiasi genere del Paese, poiché non si può prevedere quale sia lo scioglimento di questa situazione, che i cittadini avevano accettato rassegnatamente, nel novembre del 1937, ma che si illudevano di poter almeno attenuare il giorno in cui fossero chiamati a pronunziarsi sulle riforme costituzionali.

Tutto l'organismo statutario del Brasile, oggi, è basato sulla persona del Presidente della Repubblica, il quale, non facendo procedere alla nomina del Consiglio Nazionale, non ha ancora successori.

Nel caso egli dovesse sparire, si ritornerebbe automaticamente all'antica Costituzione, con la caduta quindi di tutti i decreti-legge emessi in questo periodo dittatoriale.

Intanto a nessuno riesce precisare gli obbiettivi della politica del Presidente.

È chiaro, però, che egli si appoggia particolarmente su di una azione restrittiva della libertà degli stranieri, in genere, per solleticare il nazionalismo locale e per indicare la necessità di una sempre più stretta unione nazionale allo scopo di combattere preventivamente le possibilità di mire straniere alla conquista di una parte del territorio, o comunque, di una posizione di predominio nella politica dei Paese. Il nazionalismo brasiliano è stato sempre sensibilissimo a queste manovre interne ed esterne che denunziano tendenze di stranieri a possibili conquiste del territorio nazionale; perciò il Presidente Vargas si avvale di questa sensibilità collettiva per atteggiarsi a salvatore della Patria.

Come fece al tempo della repressione comunista, sequestrando documenti che poi ritorse, con molta astuzia, contro gli stessi integralisti che glieli avevano messi nelle mani, così ora ha dato ordini segreti a tutti gli Interventori di raccogliere in originali o in fotografie qualsiasi documento che possa rivelare attività straniere contrarie agli interessi ed alla sovranità del Brasile.

Mi consta che molti documenti di tal genere sono già arrivati a Rio de Janeiro e si trovano presso i Ministeri della Giustizia e degli Affari Esteri. Evidentemente essi serviranno al Presidente Vargas per la sua tattica politica. Al momento opportuno se ne avvarrà per effettuare qualche gran colpo sulla emotività popolare. Non è da escludersi la possibilità che se ne serva il giorno in cui sia costretto a concedere il plebiscito sulla costituzione. Intanto egli fa dire dai giornalisti amici o da quelli che hanno bisogno di ingraziarselo che quanto è stato realizzato, sino ad ora, costituisce la base dello Estado Nova che dovrà avere i suoi naturali e grandi sviluppi.

Quali possano essere tali sviluppi forse non lo sa neanche il dottor Vargas, che continua a fare l'antitotalitario ad uso esterno, per non perdere i favori delle Finanze Nordamericane, ed il totalitario ad uso interno.

In ogni modo, bisogna riconoscere che il Presidente della Repubblica, coi provvedimenti tendenti ad amalgamare le varie razze nel Brasile, a sviluppare la responsabilità patriottica ed a distruggere i divisionismi regionali, è riuscito a creare un sentimento nazionale che, prima, non esisteva in questo Paese.

28 2 Il documento ha il visto di Mussolini.

29 1 Non pubblicato. Riferisce sulla cattura di Belmiro Valverde, evaso dalla prigione ed accusato di essere uno degli organizzatori e dei capi del movimento insurrezionale del!' Il maggio.

30

L'INCARICATO D'AFFARI A RIO DE JANEIRO, CASSINIS, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 63/31. Rio de Janeiro, 7 gennaio 1939 (perv. il 26).

Mio telespresso n. 2855/857 del l Onovembre 1938 1• L'atteggiamento del Brasile nella Conferenza di Lima è stato quale avevo previsto in precedenti rapporti: subordinato, in primo luogo a quello degli Stati Uniti; in seguito, quan

do si è manifestato il dissidio tra Washington e Buenos Aires, caratterizzato da una tendenza pacificatrice come era avvenuto in quasi tutte le precedenti Conferenze Fan-americane.

A questo proposito si dice che il Presidente della Repubblica prevedendo l 'urto fra la corrente nordamericana e quella argentina, abbia voluto che capo della Delegazione brasiliana non fosse il ministro degli Esteri, troppo compromesso a favore delle direttive rooseveltiane. Prescelse così, l'ex ministro Afrànio de Melo Franco, più calmo, con qualche ascendente nella politica peruviana e colombiana, per la parte da lui avuta nella soluzione della questione di Letizia e più abile alla schermaglia diplomatica.

Era intuitivo, dall'altro lato, che nonostante tutta l'adesione promessa dal ministro Aranha all'America del Nord, il Brasile non potesse approvare in pieno, così come era stata formulata in Washington, la Dichiarazione di Lima, perché in una delle sue clausole esulante dai motivi d'ordine della difesa continentale, era proposto che il cambiamento del regime democratico di uno dei Paesi firmatari dovesse essere considerato come lesivo dello spirito di solidarietà continentale.

Il Presidente Vargas che già ha subìto e subisce suggerimenti e pressioni da Washington nel senso di ripristinare le antiche forme rappresentative, concedendo almeno la Costituente, non avrebbe gradito compromessi limitanti lo sviluppo delle sua riforma costituzionale.

L'anticipo del viaggio del presidente della Delegazione brasiliana ebbe lo scopo di saggiare le opinioni dei governi dell 'Uruguay, dell'Argentina e del Cile, di modo che, ancor prima della Conferenza il signor Afrànio de Melo Franco potette preparare la proposta brasiliana di solidarietà che, mantenendosi nelle formule vaghe approvate nella precedente Conferenza di Buenos Aires, avesse potuto dimostrare la volontà concorde delle nazioni americane di difendersi reciprocamente in caso una di esse fosse oggetto di attacco, senza addivenire alle inopportune e pericolose precisazioni suggerite dalla proposta degli Stati Uniti.

La condotta dell'Argentina mise, certamente, in imbarazzo il governo del Brasile, che, sebbene desiderasse la soppressione nella Dichiarazione di solidarietà continentale [di] ogni accenno ad obblighi tassativi di quasi uniformità di regimi di politica interna, non poteva dimenticare che il Presidente Roosevelt e il Segretario Cordell Hull avevano giustificato la necessità di quell'impegno collettivo sulla continuata denunzia dell'immaginario pericolo a cui è esposta l'integrità continentale e la sovranità brasiliana da parte dei regimi imperialisti.

Tutta la propaganda fatta alla vigilia della Conferenza si era basata sulla Dichiarazione di Lima, che molti consideravano addirittura un guanto di sfida ali 'Europa. Si comprende, pertanto, la quasi generale delusione provata nei circoli giornalistici e politici, ove non si aspettavano la risolutezza del governo argentino perché avevano fatto affidamento sulle affermazioni panamericaniste del Cancelliere Cantilo, ali 'epoca della sua visita a Rio de Janeiro.

La delusione di questi circoli non si riferisce tanto al tenore della Dichiarazione, quanto allo smacco imposto dal governo di Buenos Aires anche ai propositi ... mediatori della Delegazione brasiliana.

Alcuni giornali hanno proclamato fortemente il fallimento completo della Conferenza di Lima; ma i commenti non hanno avuto maggiore sviluppo per intervento del Ministero degli Affari Esteri che ha fatto includere negli argomenti proibiti dalla censura le critiche ai risultati dell'assemblea panamericana.

Naturalmente, il capo della Delegazione, al suo prossimo arrivo sarà ricevuto come un trionfatore, per non venir meno alla tradizione.

Ma l'iniziativa del ricevimento è partita da una associazione letteraria, di cui il dottor Afrànio de Melo Franco è presidente e, come si prevede, avrà da parte delle sfere ufficiali appena una adesione di convenienza.

Intanto, per consolazione, i brasiliani affermano che la tesi alla quale principalmente tenevano è stata accolta dalla Conferenza, senza discussioni: la tesi sul non riconoscimento di minoranze nazionali nei Paesi del continente.

Con essa si doveva dare una approvazione panamericana alla politica del Presidente Getulio Vargas, nei riguardi della situazione degli stranieri e, in certo modo, inculcare il senso della necessità collettiva di adottare eguali misure, affinché non apparisse il Brasile come la unica nazione esposta al pericolo della possibile affermazione di «minoranze etniche».

Anche in questo punto, però, il tentativo brasiliano fu a metà frustrato dal discorso del ministro degli Esteri dell'Argentina, il quale mise nei termini abbastanza espliciti gli obblighi che il suo Paese ha verso le nazioni di Europa che gli hanno dato il loro generoso contributo di energie fisiche ed intellettuali.

La tesi brasiliana fu, poi, sostenuta a Lima dali' ex Presidente dello Stato di

S. Paolo, dottor Altino Arantes, uomo politico molto moderato, il quale, conoscendo la vera situazione e la condotta degli stranieri nella sua regione, che aveva ricevuto il maggior apporto immigratorio, non ritenne opportuno avvalersi degli spunti allarmistici che hanno caratterizzato i provvedimenti governativi contro gli stranieri.

Alcuni giornalisti hanno osservato, sebbene timidamente, che, in fin dei conti, la proposta brasiliana sul non riconoscimento delle minoranze etniche si riduceva ad uno sfondamento di porte aperte, in quanto la sensibilissima diminuzione delle correnti emigratorie dei Paesi che, prima, avevano dato il maggior numero di lavoratori al Brasile, riduceva di anno in anno il pericolo della formazione dei cosiddetti «cisti razziali», sia per la graduale scomparsa dei vecchi immigranti e sia per la circostanza che la maggior parte degli stranieri viene assorbita spiritualmente dal nazionalismo dei figli brasiliani.

E facevano osservare anche che, in ogni modo, il problema delle minoranze etniche avrebbe potuto essere piantato dalle nazioni europee nei riguardi di tutto il continente americano e non isolatamente nei riguardi di un solo Paese di esso.

La preoccupazione di evitare infiltramenti di elementi stranieri inassimilabili ha indotto il Brasile ad assumere a Lima, un atteggiamento decisamente contrario alle immigrazioni di profughi tedeschi e di altre nazionalità.

Il discorso della delegata brasiliana Rosalina Coelho Lisboa Muller -moglie del Vice-Direttore dell' United-Press-fu non solo una difesa della politica del Presidente Vargas ma addirittura un attacco alla debolezza di alcuni governi americani che, col loro sentimentalismo ultra-democratico, permettono la penetrazione nei loro territori di elementi sovversivi.

Quel discorso è stato conosciuto in Brasile soltanto a mezzo della versione fattane dali' Agenzia telegrafica tedesca Transocean. Le altre Agenzie hanno appena accennato all'opposizione del Brasile alla proposta cubana.

Soltanto un giornale ha trovato sconveniente il linguaggio aggressivo della signora Rosalina Coelho Lisboa Muller, ma l'ha fatto non tanto per criticare veramente la condotta di quella delegata, quanto per dare una punzecchiata indiretta al Presidente della Repubblica, di cui si conoscono le intimità con detta signora.

Si può dire che il Brasile, in quella sola questione assunse, in Lima, un atteggiamento indipendente, in corrispondenza di un vero sentimento nazionale che continua ad essere fermamente contrario all'aumento della collettività giudaica in questa nazwne.

Circa gli impegni sulla revisione della politica doganale dei vari Paesi del continente, i circoli politici ed economici del Brasile mantengono una certa riserva. Poiché il problema deve essere particolarmente studiato da una commissione di periti, aspettano forse, il momento opportuno per pronunziarsi.

Intanto, il giorno 23 corrente si riuniranno a Montevideo i ministri delle Finanze del Brasile, dell'Argentina e dell'Uruguay, per iniziativa del signor Charlone, vice-presidente di quest'ultima nazione, per deliberare principalmente sul bisogno di impedire il vasto contrabbando alle loro frontiere comuni e sulle loro relazioni commerciali e bancarie.

Si prevede che gli accordi di Montevideo non avranno influenza sulla revisione dell'attuale politica doganale americana, e saranno soltanto intese di dettaglio sulle relazioni già esistenti, anche perché essi non potranno riflettersi sulle discussioni del trattato commerciale fra il Brasile e l'Argentina. L'accordo principale avverrà sul contrabando e, pure in ciò, con una certa rassegnazione da parte del Brasile, dato che lo Stato di Rio Grande do Sul è stato sempre beneficiario del commercio contrabandiere.

Insomma, l'opinione pubblica brasiliana ha considerato l'insuccesso pratico e teorico della Conferenza di Lima, ma non vuole affermarlo chiaramente per una specie di pudore del suo sentimento panamericanista e, anche se sentisse la necessità di esprimere la sua delusione, non lo potrebbe fare per le disposizioni date alla censura dal Ministero degli Affari Esteri.

Si contenta, tuttavia, nell'ammettere che anche questa volta il Brasile ha disimpegnato la sua funzione mediatrice, come l'aveva fatta ali' Avana ed a Buenos Aires, e non si accorge che quanto più mette in rilievo questo suo compito pacificatore, tanto più dimostra la inesistenza di qualsiasi possibilità di un vero panamericanismo di cui Washington sia allo stesso tempo il cervello e lo stomaco.

Per diminuire la buona impressione che la condotta dell'Argentina potrebbe avere nell'animo di quei brasiliani che non sono troppo teneri per l 'incondizionata solidarietà di questo Paese con gli Stati Uniti, i portavoce ufficiosi, durante la Conferenza, insinuarono che l'Argentina era economicamente e finanziariamente legata all'Inghilterra e perciò impossibilitata a svolgere una politica strettamente panamencana.

Vi fu, però, un giornale A Gazeta de Noticias a chiedere se, a bilancio coscienzioso, includendovi anche il peso dei sentimenti americanisti, non era più libera e indipendente l'Argentina nei riguardi della Gran Bretagna, che non le chiede continui sacrifizi né interviene nella politica interna e internazionale di Buenos Aires, che il Brasile nei riguardi degli Stati Uniti, i quali assumono continuamente, a scopi inconfessabili, atteggiamenti di tutori e di orientatori e gli esigono direttive contrarie alle sue tradizioni ed ai suoi interessi morali e materiali.

30 1 Non rintracciato.

31

NOTA DI EDIZIONE

Nel Diario di Ciano vi è, sotto la data dell'8 gennaio, la seguente annotazione: «Col Duce, abbiamo esaminato a lungo l'azione da svolgere. Patto di alleanza a Tre. Intesa più stretta con Jugoslavia, Ungheria, Romania, e possibilmente Polonia ai fini di assicurarci le materie prime. Alleanza con la Spagna, appena vinta la guerra. Rivendicazioni verso la Francia. Niente Nizza e Savoia, perché fuori della cerchia alpina. Corsica: autonomia, indipendenza, annessione. Tunisia: statuto degli Italiani, autonomia del Bey, protettorato italiano. Gibuti: porto franco e ferrovia, amministrazione della Colonia in condominio, cessione. Canale di Suez: partecipazione forte ali' Amministrazione. D 'intesa con Belgrado liquidare l'Albania, eventualmente favorendo l'andata dei Serbi a Salonicco».

32

L'AMBASCIATORE A MOSCA, ROSSO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 136/60. Mosca, 8 gennaio 1939 (perv. il 16).

Scrissi recentemente, in un telespresso concernente i rapporti polono-sovietici', che Litvinov non aveva ancora rinunciato alla speranza di veder formarsi una coalizione di Paesi democratici aventi per obiettivo la lotta contro le Potenze fasciste. Voglio ora aggiungere che questa mia opinione è fondata, non tanto su fatti specifici od informazioni positive, quanto su impressioni generiche e su considerazioni di natura puramente induttiva. Credo comunque utile di chiarire il mio pensiero.

Subito dopo Monaco, si era avuta qui la sensazione che i dirigenti dell'U.R.S.S. giudicassero definitivamente perduta la battaglia ingaggiata da Litvinov a Ginevra per mettere in movimento il sistema della cosidetta «sicurezza collettiva». L'accordo raggiunto allora fra le quattro grandi Potenze occidentali e la generale soddisfazione con cui esso accordo era stato accolto, specialmente in Francia ed in Inghilterra, sembravano aver aperto la strada a quel «Patto a quattro» che significava l'esclusione dell'U.R.S.S. dalla partecipazione attiva al concerto europeo. La politica estera sovietica appariva cioè destinata a subire gli effetti dell'isolamento di Mosca ed obbligata quindi ad assumere una posizione puramente difensiva.

Gli avvenimenti degli ultimi mesi hanno tuttavia modificato le prime impressioni e gli ambienti sovietici appaiono oggi meno pessimisti. Anzitutto, essi notano con soddisfazione i progressi dell'opposizione sorta in Inghilterra, persino nelle file del partito conservatore, contro la politica estera di

Chamberlain, e contano sulla possibilità della caduta dal potere di chi è considerato come l'autore ed il principale responsabile della «politica di capitolazione».

L'opposizione tedesca contro le aspirazioni polacco-ungheresi per una frontiera comune avendo poi fatto nascere a Varsavia delle preoccupazioni per l'avvenire delle province ucraine, i dirigenti dell'U.R.S.S. ne hanno subito approfittato per operare un riavvicinamento con la Polonia.

Nei riguardi della Francia è il caso di notare che l'attitudine della stampa sovietica durante l'ultimo tentativo di sciopero generale è stato certamente favorevole al movimento operaio come manifestazione di malcontento verso la politica di Daladier. Sta di fatto però che da Mosca non sono stati dati incoraggiamenti decisivi né aiuti efficaci per trasformare lo sciopero in un movimento rivoluzionario; il che proverebbe che l'U.R.S.S. ha giudicato contrario ai propri interessi provocare in questo momento un indebolimento della compagine sociale e della potenza militare della Francia.

La stessa preoccupazione sembra ispirare oggi l'atteggiamento sovietico di fronte al conflitto italo-francese, quando Mosca palesemente incoraggia la resistenza della Francia alle rivendicazioni italiane e si compiace del successo del viaggio di Daladier in Corsica e Tunisia.

Finalmente, sono state accolte qui, con vivissima soddisfazione, le ultime manifestazioni della politica estera degli Stati Uniti: dichiarazioni di Hull alla Conferenza Panamericana di Lima2 , respingimento della protesta dell'Ambasciatore del Reich a Washington3, energica nota al Giappone4 e recentissimo messaggio di Roosevelt al Congresso5• È chiaro che a Mosca si spera che l'attitudine americana eserciti la desiderata influenza sulla politica inglese e favorisca un ulteriore avvicinamento fra Washington, Londra e Parigi, fino a provocare -in determinate circostanze -la formazione di quel «blocco democratico» nel quale l'U.R.S.S. si tiene pronta ad inserirsi appena vi sia invitata.

Che tale sia l'obiettivo-o per lo meno la speranza-del governo dell'U.R.S.S., mi pare intuitivo. Che poi esso prepari già oggi il terreno in vista di una possibile partecipazione più attiva alla politica internazionale, lo dimostrano a mio avviso taluni fatti piuttosto significativi. Uno di questi, già qui ricordato ed illustrato in precedenti miei rapporti, è il riavvicinamento con la Polonia. Un altro fatto pure sintomatico è il nuovo indirizzo della politica commerciale sovietica, la quale -sotto la direzione del nuovo Commissario del Popolo per il Commercio Estero, Mikoian -tende a sviluppare gli scambi con tutti gli Stati finitimi (Polonia, Finlandia, Lettonia, Lituania) con criteri miranti a migliorare nello stesso tempo i rapporti di buon vicinato.

3 Il21 dicembre, l'ambasciata di Germania a Washington aveva presentato una protesta formale per il discorso pronunciato tre giorni prima a Cleveland dal segretario all'Interno, Harold lckes (vedi D. 13, nota 2). Il sottosegretario di Stato Sumner Welles aveva rifiutato di ricevere la protesta e aveva dichiarato all'incaricato d'affari tedesco che il 99% degli americani condivideva le opinioni espresse da Ickes. In proposito si veda DDT, vol. IV, D. 515 e il promemoria Welles in FRUS, 1938, vol. Il, pp. 451-453.

4 Riferimento alla nota del governo degli Stati Uniti al governo giapponese del 30 dicembre 1938 circa i diritti e gli interessi degli Stati Uniti in Cina (testo in FRUS. Japan 1931-1941, vol. l, pp. 820-826).

5 Del 4 gennaio. Su di esso si veda il D. 76.

Altri fatti, per se stessi di importanza secondaria, rivelano a mio avviso lo stesso scopo: quello cioè di rafforzare la propria situazione internazionale eliminando le difficoltà coi vicini e cercando di creare all'estero una atmosfera più favorevole ali 'U.R.S.S. Ricordo, ad esempio, le speciali cortesie usate alla Delegazione finlandese venuta a Mosca per l'inaugurazione del nuovo edificio della Legazione di Finlandia. Segnalo pure che negli ultimi tempi le autorità sovietiche si sono mostrate più correnti nella trattazione dei diversi casi di espulsione di sudditi iranesi e che ne è risultata una certa distesa dei rapporti fra Mosca e Teheran.

Voglio tìnalmente citare un episodio significativo di questi ultimissimi giorni.

Un ingegnere inglese, che nel passato, aveva lavorato nell'U.R.S.S. ed aveva preso in moglie una cittadina sovietica, da molto tempo si sforzava dall'Inghilterra di ottenere lo svincolo dalla cittadinanza ed il permesso di uscita della consorte. Riusciti vani i suoi tentativi, nel novembre scorso egli si recò in uno degli Stati baltici, affittò un aeroplano e, pilotandolo egli stesso, scese-senza alcun permesso-nel territorio dell'U.R.S.S. Egli venne naturalmente arrestato ed in questi giorni ha avuto luogo a Mosca il processo a suo carico. Data la grave violazione di cui si era reso colpevole, tutti si attendevano una condanna severa. Invece, con meraviglia generale, l'ingegnere inglese è stato assolto e liberato; non soltanto, ma la moglie sovietica ha ottenuto subito il permesso di lasciare l'U.R.S.S. e la coppia è partita sere or sono per l'Inghilterra. Simile atteggiamento, eccezionalmente generoso ed umano, non può spiegarsi altrimenti che con l'intento di provocare commenti e reazioni simpatiche in Inghilterra ed altrove.

Tutti questi fatti mostrano, secondo il mio modo di vedere, che i dirigenti dell'U.R.S.S., contando su un inasprimento dell'ostilità dell'opinione pubblica dei Paesi democratici contro gli Stati totalitari, cercano in tutti i modi di far rivivere l'idea della sicurezza collettiva e si adoperano a creare all'estero un'atmosfera che sia favorevole al giuoco sovietico nella lotta contro il fascismo.

32 1 Vedi D. 3.

32 2 Riferimento al discorso pronunciato il 24 dicembre precedente da Hull alla Conferenza panamericana di Lima in cui il Segretario di Stato aveva indicato, come maggior risultato della Conferenza, la realizzazione di un fronte comune degli Stati americani contro qualsiasi minaccia esterna alla pace e alle istituzioni democratiche esistenti nell'Emisfero.

33

L'AMBASCIATORE A VARSAVIA, ARONE, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 114/8 R. Varsavia, 9 gennaio 1939, ore 21,30 (perv. ore 0,15 del l O).

Dalle prime informazioni mi risulta che colloqui di questo ministro degli Affari Esteri con il Cancelliere germanico e Ribbentrop 1 sono stati mantenuti su linee generali, rinviando trattazioni singole questioni al normale tramite diplomatico.

I colloqui si sarebbero svolti su un tono di sincerità e le due parti avrebbero riconosciuto utile mantenere rapporti fra Germania e Polonia nello spirito degli accordi dell9342•

2 Vedi D. 27, nota 2.

D'altra parte, non sembra che siano stati fatti progressi importanti verso la soluzione dei problemi che interessano la Polonia. A tale riguardo mi risulta in via riservatissima che questi ambienti governativi non siano oltremodo soddisfatti dei risultati delle conversazioni di Beck in Germania. Ciò spiega tono reticente del comunicato pubblicato in seguito colloqui stessi, malgrado qualche breve nota ottimista e il riserbo del maggiore numero dei giornali polacchi.

33 1 Del 5 e 6 gennaio. Vedi D. 27, nota l.

34

L'INCARICATO D'AFFARI A WASHINGTON, COSMELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 115/7 R. Washington, 9 gennaio 1939, ore 18 (perv. ore 5 dellO).

Segnalo ad ogni buon fine che questa ambasciata d'Inghilterra tende dare in questi ambienti impressione che attitudine conciliante Chamberlain verso Germania, diversamente che con l'Italia, avrebbe già raggiunto limite e non potrebbe ulteriormente esercitarsi.

35

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

LETTERA 203. Berlino, 9 gennaio 19391•

Ti invio nel suo originale un appunto preparatomi da Magistrati sopra una intervista da lui avuta con Oshima, a proposito del noto Patto di alleanza. Come vedrai, anche per questo, e anzi a più forte ragione data l'importanza dell'Atto, l'ambasciatore giapponese prevede qualche ritardo.

ALLEGATO

IL CONSIGLIERE DELL'AMBASCIATA A BERLINO, MAGISTRATI, ALL'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO

Berlino, 9 gennaio 1939.

A seguito delle istruzioni ricevute dall'E.V., ho visto stamane l'ambasciatore del Giappone, generale Oshima, allo scopo di conoscere quali comunicazioni egli abbia fatto e ricevute, in questi giorni, dal suo governo, circa la nota trattativa.

2 Il documento è stato danneggiato dali 'umidità.

L'ambasciatore mi ha detto che, allorché il ministro von Ribbentrop ebbe a recare a Roma, alla fine dello scorso ottobre, il primo progetto di Patto3 , egli inviò copia del documento a Tokio, dove esso è giunto però solamente il 13 dicembre. Il governo giapponese è naturalmente completamente d'accordo sulla sostanza e sull'utilità che si venga ad una conclusione al più presto possibile, vedendo esso la grande importanza che l'annuncio di una tale stipulazione può avere sull'andamento della questione cinese.

Quanto alle formalità, l'ambasciatore però vede alcune difficoltà di trasmissione e interpretazione, capaci di far andare le cose un po' per le lunghe. Si è parlato della possibilità di una conclusione alla fine di questo mese di gennaio. Egli non tralascerà di sollecitare in ogni modo il suo governo perché tutto sia fatto nel più breve tempo possibile e, a tale scopo, si limiterà a telegrafare a Tokio le sole variazioni esistenti tra il nuovo ed il vecchio testo. Ma evidentemente, per la Costituzione giapponese, occorrerà che il progetto sia sottoposto al Consiglio segreto e passi attraverso altre formalità. Non è escluso quindi che tutta la documentazione giapponese non sia pronta per la fine di gennaio.

Aggiungo per conoscenza di VE., che subito dopo la mia conversazione con il generale Oshima, ho avuto occasione di parlare con il signor Stahmer della questione. Il dottor Stahmer pensa che in ogni modo occorra con i giapponesi mantenere fisso un termine e cioè la fine di gennaio per obbligarli fin d'ora a rendere[ ............................................. .].

35 1 Manca l'indicazione della data di arrivo.

36

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. S.N.D. 124/15 R. Berlino, 10 gennaio 1939, ore 23 (perv. ore 0,20 dell'JJ).

Comunicazione telefonica V. E. del 7 corr. 1•

Von Ribbentrop, col quale ho conferito stasera, è perfettamente d'accordo per quanto riguarda secondo punto (Alto Adige). Egli inviterà anzi qui console generale tedesco a Milano, per iniziare con lui studio pratico problema.

Per quanto riguarda invece questione «punta» egli fa osservare non trattarsi affatto di voler usare differenza di trattamento, che nei nostri riguardi sarebbe inconcepibile, bensì di chiedere, e anche questo soltanto in parte, il rimborso delle divise estere di fatto incorporate nei prodotti tedeschi esportati. Ha aggiunto tuttavia che, pur senza grandi speranze, egli avrebbe, d'accordo con Funk, studiato possibilità di un eventuale «compromesso».

Riferirò ulteriormente2 .

2 Non è stata trovata nessun'altra comunicazione dell'ambasciatore Attolico circa questo colloquio con von Ribbentrop, se si eccettua la lettera-qui pubblicata come D. 46 -con cui trasmetteva la risposta di von Ribbentrop alla lettera di Ciano del 2 gennaio consegnatagli in quel colloquio.

Sul colloquio vi è invece un circostanziato promemoria di von Ribbentrop (in DDT, vol. IV,

D. 427) con allegata la nota consegnata da Attolico a proposito dei due argomenti-relazioni economiche, Alto Adige, che era stato incaricato di sollevare con il ministro degli Esteri tedesco.

35 3 Vedi serie ottava, vol. X, D. 343, nota 2.

36 1 Vedi D. 12, nota 6.

37

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 238/51. Berlino, 10 gennaio 1939 (perv. il 12).

Vari colleghi del Corpo diplomatico mi avvertono che all'estero prevalgono ancora preoccupazioni ed allarmi sopra quelle che potranno essere le pretensioni tedesche per il 1939.

La Germania nazista ha abituato il mondo a rivendicazioni e conquiste periodiche annuali. Possibile che la Germania non voglia far nulla per il 1939?

Questo senso di inquietudine è specialmente prevalente in Inghilterra, ove si pensa non solo a Danzica e a Memel ma all'Ucraina, e cioè ad obbiettivi ormai nettamente uscenti dall'ambito delle rivendicazioni nazionali. È bensì vero che l'esito favorevole dell'incontro Hitler-Beck1 dovrebbe servire a calmare queste apprensioni, ma tant'è: il grosso pubblico non si può persuadere che la Germania nazista non abbia appetiti nuovi da soddisfare.

A dar corpo a queste inquietudini si aggiungono notizie di richiami sotto le armi -di cui qualche collega mi dice esser sicuro -per il 15 gennaio.

Farò controllare ma non credo vi sia nulla di serio.

38

L'AMBASCIATORE A PARIGI, GUARIGLIA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 218/97. Parigi, 10 gennaio 1939 (perv. il 13).

Da alcuni giorni si è oltremodo accentuata nella Camera, nel Senato e nell'opinione pubblica l'offensiva contro il Ministro degli Esteri, Bonnet. Gli antichi ambienti societari riprendono le loro lamentele per l'abbandono della Cecoslovacchia e dei patti ginevrini.

Nella nota -di cui non è stata trovata copia negli archivi italiani -veniva chiesto di porre le relazioni economiche tra Germania e Italia su basi di assoluta parità di trattamento, senza operazioni preferenziali in valuta libera.

Circa la questione d eli' Alto Adige, si prospettava la necessità di risolvere il problema «pianamente e gradualmente, senza previe dichiarazioni ufficiali» e si indicava come «di primordiale e massima importanza» che il Reich cominciasse a preparare uno schema diretto a stabilire come e quando i sud-tirolesi che non desiderassero restare entro le frontiere del Regno sarebbero stati sistematicamente assorbiti dal Reich.

Le sinistre prendono di nuovo a pretesto l'asserita chiusura della frontiera dei Pirenei nel giugno scorso, i mancati -dicono -aiuti alla Spagna rossa e il riconoscimento dell'Impero italiano.

A questi vecchi avversari si aggiungono ora le destre. le quali accusano il Bonnet di debolezza verso l'Italia rivelatasi prima coll'aver negata la conoscenza della nota italiana per il cessato valore degli accordi del '35 1 e poi col non aver preso contro di noi un atteggiamento altrettanto drammatico come quello del Daladier2 .

L'unanimità francese formatasi contro l 'Italia si va formando dunque anche contro il Bonnet che si giudica impari alla situazione attuale ed a quella ancora più grave che potrà andarsi formando prossimamente. Lo si accusa di essere irresoluto e debole, timido, subdolo e chiuso: in una parola mediocre.

Si vuoi tàre di lui il capro-espiatorio di Monaco, da che Daladier si è rifatta una verginità patriottica con la sua gita mediterranea, e d'altra parte si vuole accentuare mediante la sostituzione del Ministro degli Esteri il carattere di comitato di salute pubblica per la difesa della patria in pericolo che il Daladier tende a dare al suo Gabinetto.

Alla riapertura della Camera è probabile che si inizi la battaglia aperta contro il Bonnet, il cui eventuale sacrificio da parte di Daladier potrà dipendere dall'andamento delle discussioni sulla politica estera e dal conseguente spostamento di voti che potrà venime al Gabinetto.

Poco importa se il Daladier sceglierà il successore del Bonnet fra i destri o i sinistri, se vedremo, come alcuni perfino giungono ad affermare, una reincamazione di Tardieu nazionalista o un ritorno di Boncour o di Delbos. Chiunque sia il nuovo Ministro degli Esteri -in caso di allontanamento del Bonnet -egli porterà per l'occasione la Coccarda del patriottismo. poiché è questa la sola alla moda. Oltre le rivendicazioni italiane, c'è ora anche l 'avanzata di Franco che preoccupa di nuovo tutta la Francia3 . E le destre e lo Stato Maggiore francese saranno lieti di poter unirsi ormai alle sinistre anche per osteggiare i nazionalisti spagnoli come prima non hanno osato farlo apertamente, ma come sempre hanno pensato che fosse interesse francese anche nei riguardi della politica francese contro l' Italia4 .

2 Riferimento ai discorsi, tutti ispirati a grande fermezza nella difesa degli interessi della Francia e del suo impero, pronunciati da Daladier nel corso della visita che aveva fatto dal 2 al 6 gennaio in Corsica, Tunisia e Algeria. Per il testo dei discorsi si veda Relazioni Internazionali, pp. 34-36.

3 A questo proposito, l'ambasciatore Guariglia attirava l'attenzione su una dichiarazione che un gruppo di deputati francesi, appartenenti a quasi tutti i partiti, aveva diffuso dopo una visita in Spagna, in cui si chiedeva di inviare aiuti ai governativi spagnoli che combattevano «per la salvaguardia degli interessi essenziali delle democrazie occidentali». «Tale dichiarazione parlamentare -osservava Guariglia-è un altro indice dello stato d'animo francese nei riguardi della questione spagnola. Non sono ormai più i soli social-comunisti a premere apertamente per un appoggio ufficiale alla Spagna rossa. La preoccupazione della frontiera dei Pirenei, prima preponderante solo negli ambienti militari, in quelli del Quai d'Orsay e nelle sinistre, sta ora sempre più penetrando in tutti gli ambienti e, insieme con la preoccupazione, la tendenza ad impedire con tutti i mezzi possibili la vittoria di Franco» (telespresso 184/82 dellO gennaio).

4 Il documento ha il visto di Mussolini.

37 1 Del 5-6 gennaio a Berchtesgaden. Vedi D. 27, nota l.

38 1 Vedi serie ottava, vol. X, D. 566.

39

L'AMBASCIATORE A SALAMANCA, VIOLA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. SEGRETO 148/48. San Sebastiano, 10 gennaio 1939 (perv. il 13).

In confidenziale colloquio con questo Ministro della Gobernaciòn, Serrano Sufier, il quale senza dubbio interpreta oggi più che ogni altro il pensiero di Franco, o forse meglio, in gran parte lo guida, e dal quale dipenderà molto probabilmente -se gli riuscirà a mantenersi-l'ulteriore orientamento della Spagna nel campo costituzionale e sociale, ho posto la conversazione sul tema della restaurazione monarchica, chiedendogli specialmente quale fosse la portata della recente legge di reintegrazione dell'ex-Sovrano nei diritti civici e patrimoniali: se essa-come si era supposto da più parti -volesse preludere a una restaurazione; e se realmente e in quale misura si fossero manifestate al riguardo due correnti. l 'una favorevole ad una restaurazione immediata come mezzo per affrettare non solo la pacificazione fra le due Spagne. ma altresì e fin d'ora l'unità fra le varie tendenze nella stessa Spagna Nazionale sotto il segno monarchico; l'altra che accetterebbe pure. in principio. la restaurazione ma come atto da decidersi liberamente da quegli organi nazionali che. dopo la totale vittoria militare e territoriale. rappresenteranno effettivamente il potere dello Stato.

Serrano Sufier ha mostrato di gradire l'opportunità di poter esprimersi in argomento e mi ha fatto le seguenti dichiarazioni:

«La accennata legge, voluta personalmente da Franco, non ha altro significato all'infuori di quello contenuto dalla lettera del suo testo, e cioè di un atto di giustizia e di riparazione. Per quanti errori e leggerezze possa aver commessi l'ex-Sovrano durante il suo regno, nessuno però può accusarlo di essere stato un "cattivo spagnuolo". La legge votata dalle Corti Costituenti il 26 novembre 1931 era stata iniqua perché se la Repubblica aveva logicamente la facoltà di dichiarare Alfonso XIII di Borbone Asburgo Lorena decaduto da ogni diritto e privilegio dinastico, non vi erano però elementi che giustificassero nei suoi confronti la privazione del diritto di cittadinanza e della capacità giuridica di possedere a titolo privato.

Il recente provvedimento del Consiglio dei Ministri non è dunque che un gesto riparatore ed ogni altra e diversa interpretazione o induzione va considerata come una delle tante speculazioni che si tentano all'estero, e nella stessa Spagna, per creare confusione e disgregazione nel blocco nazionale.

Noi -ha detto Serrano Sufier-siamo decisi a perseguire come nemici della Causa Nazionale anche coloro che cerchino di agitare prematuramente nel Paese il problema della restaurazione; ma, a dir vero, non si tratta di vaste correnti d'opinione, bensì di individui o di piccoli gruppi di interessati che non hanno il senso storico di questa grande tragedia nazionale e non sanno resistere al desiderio nostalgico di veder ricostituirsi posizioni, ambienti, interessi e privilegi che, comunque, sono spariti per sempre; si tratta di elementi sorpassati che non hanno peso e che la nuova società spagnola espellerà automaticamente dal suo seno se non sapranno adeguarsi ai tempi ed agli avvenimenti.

Abbiamo però dovuto rilevare che anche nei Paesi amici e segnatamente in Italia. data la presenza dell'ex-Sovrano e dell'Infante Don Juan. vi è stata notevole agitazione sul tema della restaurazione monarchica in Spagna. con anticipazioni ed impazienze poco opportune. Non parlo, evidentemente, né mi permetterei di parlare dei circoli ufficiali ma di alcuni ambienti sociali presso i quali è stato svolto un lavorìo di propaganda da parte di elementi spagnoli non autorizzati, che in Italia si danno l'aria di fiduciari del governo Nazionale e in Spagna si attribuiscono veste di interpreti dell'opinione ufficiale italiana. Tutto questo lavorìo è altrettanto inopportuno quanto inutile ed anzi contraproducente nell'interesse stesso della famiglia reale spagnola.

Parlo di ciò come di cosa passata, perché il governo Nazionale ha preso le sue misure contro tutti questi zelatori interessati, vagliando molto rigorosamente gli spagnoli che si recano in Italia e le ragioni del loro viaggio; mi permetto perciò di mettere in guardia gli ambienti ufficiali italiani contro quanti spagnoli tentino di svolgere nel Regno forme di attività politica senza averne avuta precisa ed espressa missione. previamente conosciuta ed autorizzata dal governo Fascista.

Circa i rapporti fra il governo Nazionale e la famiglia dell'ex-Sovrano la situazione è la seguente: i contatti sono mantenuti attraverso una sola persona, la sola autorizzata e di reciproca fiducia: a Don Alfonso è stato detto quello che gli doveva essere detto, anche nei riguardi della poca discrezione ed eccessiva loquacità di cui ha dato prova. Per ciò che lo concerne personalmente. il suo richiamo sul trono. è un 'impossibilità fisica e metafisica. Quanto a Don Juan, gli è stata tracciata la linea di condotta, nella sua posizione di pretendente, ed egli, che ha veramente delle solide e promettenti qualità, si considera un soldato disciplinato alla Causa Nazionale e al Caudillo, e pronto a fare il suo dovere quando sarà giunto il momento.

Che la restaurazione della monarchia costituisca la soluzione logica e necessaria, per la pacificazione e per l'avvenire unitario della Nazione, è cosa in principio accettata da tutti nella Spagna di Franco. Ma non bisogna dimenticare che un atto di tale sostanziale importanza per i destini del Paese non potrebbe essere deciso, e peggio imposto tempestivamente, senza tener conto dei combattenti e dei Capi militari che li guidano. Anzi, se non si vuoi ricadere negli equivoci e nelle debolezze del passato, occorre che la nuova monarchia sia essenzialmente innalzata sulla punta delle baionette che avranno il compito poi di difenderla come espressione prima ed intangibile dell'ordine ricostituito. Ora, se si eccettuino pochissimi Generali come Kindelan che è uno «snobista», Vigòn che è stato precettore del fu Principe delle Asturie, e Orgaz che continua a coltivare alcune sue sorpassate ambizioni personali, nessuno dei generali del gruppo cosidetto «eroico» cioè dei più giovani e più popolari (Alonso, Asensio, Aranda, Garcia Escamez, Garcia Sanchez, Garcia Valifio, Yagtie, Marzo, Solchaga, Varela, ecc.) sarebbe disposto ad accettare il fatto compiuto di una restaurazione monarchica decisa da un governo che non ha, né può logicamente avere, poteri costituenti, ma soltanto il compito di amministrare il territorio man mano riconquistato, e di coadiuvare lo Stato militare, impersonato dal Caudillo e Generalissimo, subordinatamente alle imprescindibili esigenze della guerra e al fine supremo della vittoria. E il Generalissimo è. e vuoi essere. coi generali. come primus inter pares» 1•

39 1 Il documento ha il visto di Mussolini.

40

L'AMBASCIATORE A MOSCA, ROSSO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 166/76. Mosca, l O gennaio 19 3 9 (perv. i/16).

Con un recente decreto della Presidenza del Consiglio Supremo dell'U.R.S.S. sono state introdotte delle importanti modifiche nel giuramento dei militari dell'Armata Rossa.

In primo luogo, viene stabilito che il giuramento deve essere assunto dai marinai e dai soldati singolarmente e con la firma della formula del giuramento stesso, mentre prima esso era prestato a voce e collettivamente in occasione delle parate militari del l o Maggio e del 7 Novembre.

In secondo luogo, il testo del giuramento risulta in vari punti modificato, e le differenze fra il vecchio ed il nuovo testo sono in realtà molto interessanti e sintomatiche. Infatti nella nuova formula non appaiono più le frasi che impegnavano il soldato dell'Armata Rossa a combattere per la difesa della rivoluzione mondiale; la recluta non dice più: «lo, figlio del popolo lavoratore ecc.» bensì: «lo, figlio dell'U.R.S.S.». Ripetutamente ricorre poi la parola «patria» che mancava nella formula usata fino a ieri.

In altre parole, mentre il vecchio testo appariva ispirato ai concetti del comunismo internazionale, quello nuovo ha un carattere marcatamente nazionalista. Il Comintern cede cioè il passo alla Patria sovietica.

Sto facendo procedere alla traduzione letterale dei due documenti e mi riservo di trasmetterli con maggiori segnalazioni basate su un più preciso raffronto1 .

41

L'INCARICATO D'AFFARI A WASHINGTON, COSMELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 137/8 R. Washington, Il gennaio 1939, ore 19,30 (perv. ore 1,45 de/12).

Richiamo attenzione di V.E. su dichiarazioni attribuite ieri ad ambasciatori Parigi e Londra dinanzi Commissioni Parlamentari per riarmo cui stampa dà grande rilievo1 come da Stefani Speciale odierno 12. Per quanto in ambienti ufficiali si declini commentare dichiarazioni e motivi tale inconsueto intervento, è ad ogni modo in atto campagna allarmistica per vincere resistenze tuttora notevoli in Congresso e pubblico per riam1o e soprattutto per conseguenze finanziarie e politiche del medesimo2 .

2 In proposito si veda anche il D. 80.

40 1 Il documento ha il visto di Mussolini.

41 1 La stampa aveva riportato con grande evidenza quanto era trapelato circa le dichiarazioni rese dai due ambasciatori alla Commissione affari militari del Congresso riunita in seduta segreta. Secondo le indiscrezioni, Kennedy e Bullitt avevano sostenuto la necessità urgente di un riarmo degli Stati Uniti per il pericolo che in Europa scoppiasse una guerra generale provocata da un'aggressione dell'Italia o della Germania.

42

L'AMBASCIATORE A TOKIO, AURITI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. RISERVATO 147/23 R. Tokio, 11 gennaio 1939, ore 18 (perv. ore 4,30 del 12).

Sembra metta conto che io riferisca quale mi appare qui la politica tedesca. Germania non vuole troncare traffico con Chiang Kai-shek, sia per il guadagno che ne ritrae, sia forse anche per quello che spera ritrarre in seguito se al Generale o al suo partito rimanga qualche potere su qualche provincia dopo definitivo regolamento questione cinese, il che potrebbe altresì spiegare sempre vivi desideri tedeschi di una pace di compromesso. Per di più, Germania sembra non voler almeno per ora vincolarsi maggiormente con Giappone se non altro perché vuole serbarsi mani libere specificamente verso l'Inghilterra perché teme forse incoraggiare quella politica indipendente da Berlino di cui Tokio ha già dato prova contro Cina e di cui potrebbe dare in futuro prove maggiori contro Stati o in epoca che alla Germania non convenissero.

Tenendo fermi soprascritti due punti, questa ambasciata di Germania si sforza offrire per il resto quanto più prove possa di appariscente cordialità. È con ricerca costante di piccole iniziative, di accordi secondari, di manifestazioni amichevoli con cui essa si adopera ad abbacinare e a nascondere quanto di sostanza non vuole fare e quanto altri fanno o sono pronti a fare.

Tutto ciò può solo abbagliare e solo frastornare masse, le quali d'altronde non hanno qui grande importanza in capitolo, specie presso circoli dirigenti. Costoro però, come ho già riferito, nel loro rancore non vedendo possibilità di altra scelta (Germania si fonda forse anche su ciò) sono costretti mostrare volto e dire parole diverse dal loro animo.

43

IL MINISTRO AD ATENE, BOSCARELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR.... 1 . Atene, Il gennaio 1939.

Da recenti conversazioni con colleghi balcanici e con uomini politici greci deduco: I-Il recente viaggio di V.E. a Budapest e l'annunzio di quello prossimo a Belgrado, hanno suscitato e suscitano qui la più viva attenzione come avvenimenti che

non mancheranno di avere importanti conseguenze pratiche nell'Europa Danubiana e Balcanica. Si ritiene infatti che l'influenza personale e l'azione da VE. svolta a Budapest abbiano indotto il governo ungherese a riconsiderare il problema dei rapporti ungaro-jugoslavi e non si esclude la possibilità che questi due Paesi giungano, sotto gli auspici dell'Italia, ad un accordo concreto.

II -Le elezioni jugoslave non sono state per Stojadinovié una vittoria così completa come -forse -si riteneva. Il Presidente jugoslavo deve pensare a risolvere la questione croata: per la soluzione di essa costituirebbe un'utilissima carta nelle sue mani il poter dire al Paese di avere, tacitando le rivendicazioni ungheresi, eliminato un altro nemico della Jugoslavia, ed annunziare all'Europa un accordo ungaro-jugoslavo analogo ali'accordo bulgaro-jugoslavo del 193 72 . Stojadinovié fautore della politica d'intesa con l'Italia, non mancherebbe di far risaltare che il nuovo accordo è una conseguenza dell'amicizia italiana e quindi un successo della politica da lui inaugurata.

III-L'accordo servirebbe a maggiormente svuotare di contenuto l'Intesa Balcanica, giacché, mentre le decisioni di Monaco e di Vienna hanno annullato le speranze che greci e turchi fondavano sull'accordo di Salonicco3 che doveva servire a rinvigorirla, un patto ungaro-jugoslavo farebbe cadere una delle ragioni che indussero la Jugoslavia ad aderire all'Intesa stessa. Stojadinovié, cui gli alleati balcanici hanno sempre fatto torto di agire da padrone in seno all'alleanza, finirebbe per considerare questa come un istrumento nelle sue mani, del quale si servirebbe e che terrebbe in vita se ed in quanto, utile ai suoi fini.

IV -Le rivendicazioni ungheresi, messe per il momento a tacere in direzione della Jugoslavia, si rivolgerebbero verso la Romania. Quest'ultima, che dovrebbe far fronte non solo alle rivendicazioni ungheresi, ma anche a quelle bulgare, appare già oggi molto inquieta e sembra volersi accaparrare in anticipo la solidarietà jugoslava sulla quale teme di non poter centrare appieno anche perché Stojadinovié, libero ormai dalle preoccupazioni che in altri tempi avevano spinto il suo Paese a legarsi coi patti della Piccola Intesa e dell'Intesa Balcanica e forte dell'amicizia italiana, potrebbe forse stimare opportuno di pagare con moneta romena la tranquillità e l'amicizia con Budapest e Sofia. L'invito del Re Carol al Principe Paolo ed il viaggio di quest'ultimo in Romania4 , avvenuto nel giorno del Natale ortodosso, sarebbero una prova di questo stato d'inquietudine del governo romeno.

V -Non minori di quelle romene sono le preoccupazioni e le inquietudini greche. In Grecia, come in Romania, la situazione estera è oggi aggravata da quella interna. Quantunque l'appoggio del Re e dell'esercito e la mancanza di possibili successori di Metaxas, non lascino per ora prevedere un cambiamento di governo, è innegabile che il malcontento contro l'attuale regime è assai grande. Metaxas credette ad un certo momento di potere sfruttare ai fini della sua politica interna, quelli che egli credeva che fossero i suoi successi esteri. Gli avvenimenti degli ultimi mesi non

gli permettono più tale giuoco. Esiste sempre -è vero -come caposaldo della politica estera greca l'amicizia pedissequa verso la Turchia, ma la morte di Ataturk e l'allontanamento di Riistli Aras, hanno per lo meno provocato una certa ansietà nell'animo dei governanti greci circa l'attitudine dei nuovi colleghi turchi. Inoltre, il famoso accordo di Salonicco, che nella mente dei suoi autori doveva eliminare i dissensi con la Bulgaria, è stato reso del tutto inoperante dopo la soluzione della crisi cecoslovacca e le decisioni di Monaco. Le rivendicazioni territoriali bulgare che con il predetto atto diplomatico si credeva di avere allontanato a tempo indeterminato, ritornano oggi di attualità, e quest'atmosfera di cordialità che si era sperato di far nascere fra Atene e Sofia, si è dileguata prima ancora di diffondersi. A quanto mi ha detto questo mio collega di Bulgaria, ancora non si è riusciti a risolvere neppure le questioni commerciali fra i due Paesi.

Dalle considerazioni che precedono si rileva la parte preponderante che, nella nuova sistemazione Sud-Europea e Balcanica in formazione, ha avuto ed avrà, nell'avvenire prossimo, la politica italiana.

La Piccola Intesa, creata a Parigi, in funzione antitaliana, è morta a Monaco. Sorte identica, o quasi, può essere riservata a Belgrado all'Intesa Balcanica che nacque con funzioni quasi identiche ad Atene. L'amicizia italo-jugoslava invece è una realtà vivente che ogni giorno più mostra la sua efficienza.

La Jugoslavia, l'Ungheria e la Cecoslovacchia sono già nell'orbita dell'asse Roma-Berlino. Non è molto lontano il giorno che anche altri Stati cercheranno d'entrarvi in maniera definitiva.

In realtà, quindi, i due raggruppamenti nati -dopo la guerra -contro l 'Italia sono oggi costituiti da un gruppo di Stati capeggiati dall'Italia. Anzi vi è chi -forse non a torto-ritiene che il nuovo gruppo, pur aderendo in principio alla politica dell' Asse, graviterebbe più verso Roma che verso Berlino.

43 1 L'originale da Atene di questo documento non è stato rintracciato. Si pubblica qui il testo ritrasmesso dal Ministero ad alcune ambasciate e legazioni con telespresso 201784/c. dell9 gennaio.

43 2 Vedi D. 18, nota 2. 3 Trattato tra Bulgaria, Grecia, Romania, Turchia e Jugoslavia del 31 luglio 1938 (testo in MARTENS, vol. XXXVI, p. 32). 4 Del 9 gennaio.

44

IL MINISTRO A BUCAREST, GHIGI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. RISERVATISSIMO 127/35. Bucarest, 11 gennaio 1939 1•

Mi onoro di qui unito rimettere copia di un rapporto inviato da questo addetto militare al R. Ministero della Guerra e concernente informazioni, di cui mi permetto pregare farne uso riservatissimo, fornitegli da questo addetto militare ungherese sui rapporti ceco-tedeschi.

ALLEGATO

L'ADDETTO MILITARE A BUCAREST, DELLA PORTA, AL MINISTERO DELLA GUERRA

R. 635. Bucarest, 9 gennaio 1939.

Questo addetto militare ungherese mi ha letto un rapporto proveniente dal ministro magiaro a Berlino, sulle relazioni tedesche-ceche-slovacche e sulle mire germaniche verso l'Ucraina. Data l'importanza dell'argomento, ritengo opportuno riassumerlo qui di seguito: la Germania vuole concludere un'alleanza militare con la Cecoslovacchia. Nel quadro di tale alleanza per la realizzazione della quale Berlino sta attivamente lavorando, l'esercito ceco o slovacco dovrebbe avere gli stessi compiti della Landwehr austriaca o degli Honweds ungheresi: esercito territoriale per la difesa del Paese.

Non dal punto di vista politico; ma dal punto di vista militare il territorio della ex Cecoslovacchia farà parte del Reich, nel senso che, se l'esercito ceco o slovacco non fossero sufficienti, la Germania si impegna a concorrere alla difesa delle frontiere del Paese alleato: comunque la Germania, con tale alleanza, garantisce solennemente le frontiere cecoslovacche. Lo Stato Maggiore tedesco, però, dovrà essere incaricato di preparare la difesa del territorio di queste ultime nazioni (copertura, radunata, fortificazioni, piani operativi).

Tale alleanza deve essere conclusa nel più breve termine: ciò torna anche a tutto vantaggio della Boemia, che vuole al più presto staccarsi dalla Slovacchia per non essere coinvolta, come lei, nella futura azione tedesca verso l'Ucraina.

La Germania intende realizzare, al più presto, la creazione dello Stato ucraino.

Per attuare tale piano, Berlino ha due direzioni:

l) attraverso la Rutenia contro la Polonia;

2) attraverso l'Ungheria contro la Romania.

La prima rappresenta la strada più breve ma più difficile per le difficili comunicazioni, per il difficile terreno e perché certamente porta ad un conflitto armato con la Polonia, con l'U.R.S.S. e con la Francia. A proposito dell'U.R.S.S., l'addetto militare ungherese a Mosca ritiene che Stalin, di fronte al dilemma «cedere l 'Ucraina o fare la guerra» opterebbe per la prima soluzione, perché una guerra significherebbe la fine del regime comunista.

La seconda direzione è la più lunga, ma più sicura, più ricca e più facile, perché tale direzione sboccherebbe in Romania.

In Germania esistevano i sostenitori dell'una e dell'altra tesi: ma dopo l'eccidio di Codreanu ha guadagnato molto terreno la seconda soluzione. La Germania infatti sta lavorando attivamente per guadagnare alla causa l'Ungheria la quale, secondo gli intendimenti di Berlino, deve:

l) rinunziare, per ora, alla regione subcarpatica;

2) riconoscere l'accordo militare futuro germano-ceco-slovacco;

3) appoggiare il piano per la realizzazione del piano ucraino.

Come premio la Germania promette all'Ungheria di realizzare il suo piano verso I'Ucraina agendo, in primo tempo, contro la Romania, nel senso di affidare agli ucraini della Bucovina e della Bessarabia lo stesso compito che fu affidato ai sudeti tedeschi: saranno cioè gli ucraini della Romania che dovranno iniziare il processo di decomposizione della Romania stessa, processo che sarà realizzato, anche con l'aiuto delle minoranze magi are e tedesche, per cui l 'Ungheria riceverà la fascia di territorio che da Timisoara va a Satu Mare2 •

44 1 Manca l'indicazione della data di arrivo.

45

IL MINISTRO A BUCAREST, GHIGI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 131/39. Bucarest, 11 gennaio 1939 (perv. il 17).

Il nuovo Ministro degli Affari Esteri Gafencu in un lungo colloquio con l'Agente Generale di Franco e amico suo personale, Marchese de Prat y Soutzo gli ha fatto delle dichiarazioni confidenziali abbastanza interessanti anche nel riguardo dei rapporti italo-romeni.

Il Gafencu ha detto al Prat di comprendere perfettamente, ad onta dei suoi antichi legami con la Francia, l'assoluta ed urgente necessità per la Romania di migliorare i suoi rapporti con l'asse Roma-Berlino giacché la Francia non è più in grado di esercitare alcuna influenza in questa parte d'Europa e l'Inghilterra avrebbe fatto chiaramente intendere quanto limitatamente essa voglia interessarsi a questo settore europeo.

Agli uomini politici tedeschi il Gafencu avrebbe quindi detto, durante il recente suo viaggio a Berlino prima dell'assunzione al potere, che la Romania vuole sinceramente intrattenere dei buoni rapporti con il terzo Reich e cercare una base d'intesa (per esempio per quanto riguarda la questione della Russia Subcarpatica il Gafencu non vedrebbe alcun inconveniente all'eventuale formazione di un grande Stato Ucraino satellite della Germania, purché la cosa sia fatta a tempo e messa a punto in modo che non ne scaturisca una guerra tedesco-sovietica attraverso la Romania ...).

Anche nei riguardi dell'Ungheria il Gafencu avrebbe ribadito al de Prat le idee conciliatrici e collaboratrici già da lui manifestate sul Timpul da semplice giornalista.

Circa l 'Italia il Gafencu avrebbe dichiarato ritenere essere essa il punto debole nella posizione diplomatica della Romania: «È quindi ad un riavvicinamento coll'Italia fascista che tenderanno tutti i miei sforzi ...».

Il signor Gafencu avrebbe infine accennato al vivo suo desiderio di potersi incontrare con Vostra Eccellenza 1 .

44 2 Lo stesso Il gennaio, il ministro Ghigi trasmetteva al Ministero (con telespresso 126/34) un rapporto del tenente colonnello Della Porta datato 7 gennaio, relativo ad un colloquio avuto con l'addetto militare ungherese. Il tenente colonnello Baitz, che era tornato allora da Budapest dove era stato ricevuto dal suo Capo di Stato Maggiore, gli aveva confidato che di recente il capo dell'Ufficio Informazioni Militari germanico, ammiraglio Canaris, si era recato a Budapest per istituire un servizio informazioni comune avente per obiettivo Polonia, Ucraina e Romania e che nel corso dei colloqui con i più alti gradi dell'esercito ungherese aveva detto che le intenzioni di Hitler circa il programma di espansione erano: «a) separare la Slovacchia dalla Boemia; b) fare della Boemia uno Stato vassallo della Germania; c) rendere autonome la Slovacchia e la Rutenia, le quali però dovranno unirsi ad uno Stato amico della Germania (Ungheria? Ucraina una volta divenuta Stato autonomo?); d) non cedere, almeno per ora, all'Ungheria l'Ucraina Subcarpatica, poiché quest'ultima deve servire di base di partenza per le future operazioni tedesche contro l'Ucraina polacca e sovietica; e) creare uno Stato ucraino, incorporando in un primo tempo gli ucraini della Polonia, in secondo tempo quelli soggetti all'U.R.S.S., in terzo tempo quelli soggetti alla Romania (Bucovina e Bessarabia). La Polonia deve accettare: se si sarà costretti a ricorrere alla forza, sarà segnata lajìnis Poloniae; f) spingere l'Ungheria a realizzare le sue aspirazioni territoriali ai danni della Romania, !imitandole però alla zona Satu Mare, Oradea, Arad, Timisoara. La Transilvania dovrà essere eretta a Stato completamente autonomo sotto il protettorato o della Romania o dell'Ungheria. Secondo il Canaris, il primo Paese che dovrà sfasciarsi sarà la Romania e tale fatto avverrà al più presto, forse anche nella prosstma pnmavera».

46

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

LETTERA 261. Berlino, Il gennaio 19391•

Accludo una lettera di Ribbentrop in risposta alla tua portatagli da me2 .

La risposta di Ribbentrop, che mi manca il tempo di far tradurre qui3 , non contiene nulla di particolarmente interessante. Che anzi. in due punti. essa è superata, in quanto: a) l'accordo fra Germania e Italia per quanto riguarda i testi è completo; b) la data del 28 gennaio rimane, a causa del Giappone, assai dubbia.

Tanto più, data la possibilità di un rinvio, Ribbentrop raccomanda quindi il silenzio più assoluto su tutto4 .

ALLEGATO

IL MINISTRO DEGLI ESTERI TEDESCO, VON RIBBENTROP, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

LETTERA.

Vi accuso ricevuta, coi migliori ringraziamenti, della vostra lettera del 2 gennaio, rimessami pel tramite dell'ambasciatore Attolico. Ho preso conoscenza del suo contenuto col più grande interesse e con particolare piacere. Anche il Fiihrer si rallegra vivamente del fatto che il Duce abbia adesso deciso di firmare presto il Patto. Tutto ciò che mi scrivete sulle ragioni che hanno determinato ciò trova qui completa adesione.

Ho fatto rimettere già da alcuni giorni all'ambasciatore Attolico, come pure all'ambasciatore Oshima, una esatta redazione del Patto e di un Protocollo aggiunto segreto5 . Ritengo che frattanto

2 Vedi D. 4.

3 Si pubblica in allegato la traduzione tàtta dagli uffici di Palazzo Chigi.

4 Sul colloquio von Ribbentrop-Attolico del IO gennaio si veda il D. 36.

5 Vedi D. 22, allegato.

questo abbozzo sia giunto nelle vostre mani e spero che stia per raggi ungersi sollecitamente, sia fra noi due come pure con l'ambasciatore Oshima, un accordo sul testo definitivo. In questo convincimento desidero proporvi di prendere in considerazione per la firma del Patto il 28 gennaio, e con la presente vi invito con la massima cordialità a venire a tale data quale ospite del governo tedesco a Berlino. e di rimanervi fino a quando ve lo permettano gli altri vostri impegni. In tal modo avreste anche occasione di festeggiare con noi il sesto anniversario dell'ascesa al potere6 .

45 1 Il documento ha il visto di Mussolini.

46 1 Manca l'indicazione della data di arrivo.

47

IL DIRETTORE GENERALE DEGLI AFFARI GENERALI, VITETTI, Al DIRETTORI GENERALI DEGLI AFFARI TRANSOCEANICI, GRAZZI, E DEGLI AFFARI DI EUROPA E DEL MEDITERRANEO, BUTI

APPUNTO 300676/c. Roma, 11 gennaio 1939.

Per opportuna conoscenza si ha il pregio di accludere copia della lettera che il Duce ha inviato al Presidente Roosevelt in risposta ad altra da questi indirizzatagli sul problema ebraico 1•

ALLEGATO

IL CAPO DEL GOVERNO, MUSSO LINI, AL PRESIDENTE DEGLI STATI UNITI, ROOSEVELT

LETTERA.

L'Ambasciatore Phillips mi ha consegnato, al suo ritorno da Washington, la vostra lettera e io ho discusso con lui i vari punti che in tale lettera e nel memorandum che vi era annesso, voi avete sollevato. Egli certamente vi avrà informato della nostra conversazione, e voi siete quindi già al corrente del mio punto di vista.

Per quello che riguarda l'Etiopia, non è possibile pensare a organizzare una emigrazione ebraica in quella regione. A parte qualunque altra considerazione, l'atteggiamento generale degli ambienti ebraici nei riguardi dell'Italia non è tale da consigliare il governo Italiano ad accogliere in un suo territorio una massa considerevole di emigrati ebrei.

Si tratta, d'altra parte, di problemi che non si presentano solamente nei riguardi della posizione degli ebrei in Italia o in qualche altro Paese, ma di problemi che sono di carattere generale, poiché la questione ebraica esiste, in forme diverse, in quasi tutti gli Stati d'Europa, e deve essere quindi considerata come una questione generale europea, per poterla risolvere su linee costruttive.

A mio avviso, i soli Paesi che possono accogliere e organizzare una considerevole emigrazione ebraica sono quelli che dispongono nel loro territorio nazionale di grandi estensioni scarsamente popolate e di grandi risorse che possono essere adeguatamente sfruttate e messe in valore. Solamente questi Paesi, nella vastità e nella ricchezza della loro struttura, possono dare effettivamente impiego ad una massa di ebrei, che intendano lasciare i Paesi d'Europa nei quali essi sono attualmente stabiliti. Mentre Paesi transoceanici più piccoli, e con risorse più limitate, potrebbero anche essi accogliere, nei territori disponibili, un certo numero di ebrei, qualora, per mezzo di accordi internazionali, questa emigrazione venisse razionalmente organizzata.

Ma quello che io ho sempre considerato e considero, come la soluzione più pratica è la creazione, in qualche parte del mondo, di un vero e proprio Stato ebraico. L'esperimento della Jewish Home in Palestina è fallito, per condizioni storiche che erano assolutamente sfavorevoli alla creazione di uno Stato ebraico palestinese, ma l'idea di creare altrove tale Stato non dovrebbe essere abbandonata. Anche se questo fosse territorialmente un piccolo Stato, gli ebrei avrebbero tuttavia in esso, come hanno tutti gli altri popoli, il loro centro e la loro base nazionale. Gli ebrei, divenuti cittadini di questo Stato, avrebbero così una nazionalità ed una posizione definita, e, anche se stabiliti in altri Paesi, troverebbero da parte di questo Stato quella normale assistenza e quella tutela, che hanno tutti gli stranieri. Solamente così il problema ebraico cesserebbe di essere in Europa il problema insolubile di una minoranza, la sola, che è priva di una nazionalità.

Queste sono le idee che ho esposto all'ambasciatore Phillips e che vi ho riassunto qui in breve. Io gradirò sempre da parte mia di studiare qualunque piano concreto che voi avrete intanto preso in considerazione, convinto come sono che una soluzione generale del problema ebraico sopra una base pratica sia altamente desiderabile.

Colgo questa occasione, caro Presidente, per ringraziarvi delle cortesi espressioni che nella vostra lettera mi avete dirette, e di inviarvi i miei migliori auguri e le assicurazioni della mia più alta considerazione.

46 6 Il documento ha il visto di Musso lini.

47 1 Il testo della lettera del Presidente Roosevelt -datata 7 dicembre -è in FRUS, 1938, vol. l, pp. 858-859. Come risulta da un annotazione del Diario di Ciano, la lettera fu consegnata dall'ambasciatore Phillips a Mussolini il 3 gennaio. Sul colloquio avvenuto in quella circostanza non si è trovata documentazione negli archivi italiani. In proposito vi è nel Diario di Ciano questa annotazione: «Dal Duce con l'Amb. di America latore di un messaggio di Roosevelt e di alcune proposte per la sistemazione degli ebrei emigrati. Roosevelt ha pensato ad una parte dell'Etiopia e delle colonie confinanti. Il Duce ha escluso questa possibilità ed ha detto che solo la Russia, gli Stati Uniti e il Brasile hanno la materiale possibilità di risolvere la questione ebraica dando agli ebrei una porzione di territorio. Si è dichiarato favorevole alla costituzione di uno Stato ebraico indipendente ed ha promesso un appoggio generico».

48

COLLOQUIO DEL CAPO DEL GOVERNO, MUSSOLINI, CON IL PRIMO MINISTRO BRITANNICO, CHAMBERLAIN

PROMEMORIA. Roma, 11 gennaio 1939.

Il Duce, dopo aver dichiarato la sua soddisfazione nel vedere il signor Chamberlain e Lord Halifax ospiti in Italia, dice di voler precisare alcuni punti fondamentali della politica italiana.

l) L'Italia vuole la pace e farà una politica di pace oltre che per motivi di carattere generale anche perché l'Italia vuole mettere in valore i suoi territori d'Oltremare.

2) L'Italia applicherà con la massima lealtà gli Accordi del 16 aprile.

3) La direttiva fondamentale della politica italiana è l'Asse Roma-Berlino. Tale Asse però non è di natura esclusiva e non ha impedito a noi di stabilire cordiali relazioni con l'Inghilterra né alla Germania di migliorare le sue relazioni con la Francia. L'Italia non esclude la possibilità di intese più vaste e permanenti fra le quattro Potenze occidentali, ma non intende assumere iniziative in materia.

4) I rapporti tra l'Italia e la Francia sono determinati dall'aver noi denunciato gli Accordi del 1935 2• Ciò prova in quali termini si debba porre la vertenza tra l'Italia e la Francia. Però c'è una questione che deve essere considerata come pregiudiziale. La liquidazione della questione spagnola che noi immaginiamo soltanto attraverso una completa vittoria del Generale Franco. È chiaro che l'Italia non ha nessuna ambizione diretta in Spagna: desidera soltanto che questo Paese trovi finalmente l'ordine e la pace sotto la guida di un governo forte. Da parte nostra non sono stati aumentati gli effettivi in Spagna in questi ultimi mesi, anzi sono stati ritirati, come è noto, diecimila uomini senza richiedere alcuna contropartita. I volontari italiani rappresentano soltanto il tre percento delle forze franchiste ed anche per quanto concerne le artiglierie e gli aeroplani, nessun aumento ha avuto luogo da parte italiana. Se però la campagna per l 'intervento in massa che alcuni organi di stampa e alcuni partiti stanno svolgendo in Francia dovesse determinare un grosso intervento francese, anche noi dovremmo esaminare ulteriormente la nostra politica e prendere nuove decisioni.

5) Poiché ogni tanto torna in discussione la questione del disarmo, è opportuno precisare che l'Italia non crede possibile giungere ad un disarmo etiettivo bensì ad una limitazione degli armamenti che potrebbe essere in un primo tempo qualitativa e in un secondo quantitativa. Ciò permetterebbe anche di fare degli accordi sulla umanizzazione della guerra.

Chamberlain è d'accordo sulla possibilità di raggiungere una intesa per la limitazione degli armamenti. Crede però che a tale intesa dovrebbe partecipare, oltre alle quattro Potenze occidentali, anche la Russia poiché in fatto di armamenti aerei e navali la non partecipazione di uno Stato rende impossibile l'accordo di tutti gli altri.

Il Duce si dichiara della medesima opinione. Chamberlain chiede al Duce se ha delle proposte o dei suggerimenti da avanzare in relazione alla questione dei rifugiati.

Il Duce, riferendosi al problema dei rifugiati ebrei, mette al corrente il signor Chamberlain del messaggio pervenutoGli recentemente da Roosevelt3 , nonché delle risposte da Lui date all'Ambasciatore americano4 e poi confermate nella lettera diretta al Presidente degli Stati Uniti5 . Il signor Chamberlain è d'accordo sulle conclusioni cui è giunto il Duce nonché sulla soluzione da lui proposta. Dice però che nel frat

3 Vedi D. 47, nota l.

4 Nel colloquio del 3 gennaio, quando l'ambasciatore Phillips aveva consegnato a Mussolini il messaggio del Presidente Roosevelt (vedi ibid.).

5 Vedi D. 47, allegato.

tempo bisognerebbe trovare un accordo per facilitare l'emigrazione dalla Germania degli ebrei. E però chiaro che nessuno Stato vorrà prendere questi ebrei se il governo tedesco non accetterà di sottoporsi a qualche sacrificio permettendo loro l'esportazione di una sia pur modesta quantità di denaro necessaria alla loro sistemazione.

Il Duce si dichiara d'accordo col signor Chamberlain e ritiene per parte Sua che il governo tedesco, intendendo risolvere in modo totalitario il problema ebraico, potrà fare qualche sacrificio per favorire il deflusso totale delle masse ebraiche dal territorio tedesco. Non bisogna però pretendere dalla Germania dei sacrifici troppo gravi perché il popolo tedesco ha molto sofferto a causa degli ebrei specialmente nell 'immediato dopoguerra.

Avendo il signor Chamberlain fatto anche un accenno alla questione degli emigrati politici, il Duce risponde che non vede per essa una soluzione pratica tanto più che la questione degli emigrati politici è sempre esistita nei periodi della storia poiché la vittoria di un partito ha sempre determinato l'allontanamento di una parte degli avversari.

Il signor Chamberlain desidera rispondere ai punti precisati dal Duce e ringrazia per quanto egli ha detto circa la necessità di svolgere una politica in favore della pace. Riconosce che essa è necessaria all'Italia per lo sviluppo dell'Impero e per il continuo progresso delle condizioni del popolo. Personalmente egli vede col più vivo rammarico spendersi da parte del governo inglese in armamenti quei denari che egli aveva accumulato attraverso una molto prudente politica finanziaria e che avrebbe voluto destinare a migliorare le condizioni di vita del popolo. Ringrazia anche per quanto il Duce ha detto circa la Sua volontà di applicare con assoluta lealtà i termini del Patto italo-britannico. Né Chamberlain, né Halifax hanno mai dubitato della buona fede del Duce.

Per quanto concerne l'Asse, egli è d'accordo che rappresenta la base fondamentale della politica italiana: non intende pe1ianto fare alcunché contro di esso, tanto più che l'Asse non interferirà nella cooperazione tra l'Italia e l'Inghilterra così come questa cooperazione non tende a diminuire l'intimità dei rapporti esistenti tra la Gran Bretagna e la Francia. In queste condizioni è necessario che le quattro Potenze facciano una politica di pace e attraverso una cordialità di relazioni stabiliscano le condizioni stesse di questa pace. Dopo la Conferenza di Monaco ritenne possibile impegnare nuove conversazioni con i tedeschi, ma purtroppo non poté ottenere nessuna effettiva corresponsione di amicizia da parte della Germania e nessun negoziato è stato iniziato. Nonostante gli incidenti che sono avvenuti, egli però conserva la buona volontà di migliorare le relazioni tra la Germania e la Gran Bretagna.

È con vivo rammarico che constata che le relazioni tra l 'Italia e la Francia sono difficili. Dopo il 1935, il governo inglese riteneva che non vi fosse più materia di controversia fra Roma e Parigi. Esiste è vero la questione spagnola, ma anche di questa il governo britannico desidera vedere una soluzione al più presto. Per quanto non sia possibile prevedere la durata della guerra civile spagnola, che già oggi è troppo lunga, il signor Chamberlain crede poter affermare che ormai non vi è più pericolo di bolscevismo in Spagna.

Il Duce dice che non è d'accordo su questa affermazione. Da notizie precise pervenuteGli dallo stesso Generale Franco Gli risulta che la Polizia russa ha il pieno controllo delle zone della Spagna rossa e che se non fosse la G.P.U. ad alimentare la resistenza, il conflitto sarebbe finito da un pezzo.

Il signor Chamberlain domanda al Duce se ritiene possibile adottare il piano del Comitato di non intervento6 una volta finita l'offensiva che attualmente si sviluppa sul fronte della Catalogna. Il signor Chamberlain si rende ben conto che in questo momento di così importante azione militare sarebbe vano chiedere a Franco di adottare il piano della Commissione di Non Intervento.

Il Duce risponde che a Suo avviso se l'offensiva della Catalogna potrà raggiungere il suo obiettivo più lontano, il conflitto potrà considerarsi sostanzialmente liquidato. Ritiene però egualmente che in tal momento si possa applicare il piano del Comitato di non Intervento purché il ritiro dei volontari stranieri venga controllato in forma sicura ed al governo di Franco siano riconosciuti i diritti di belligeranza.

Il colloquio ha termine alle ore 19,30 e verrà ripreso domani alle ore 17,307•

48 1 Ed. in L 'Europa verso la catastrofe, pp. 395-399.

48 2 Con la nota del 17 dicembre 1938. Vedi serie ottava, vol. X, D. 566.

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L'AMBASCIATORE A MOSCA, ROSSO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 165/75. Mosca, 12 gennaio 1939 (perv. i/16).

È venuto oggi a trovarmi il mio collega di Polonia, tornato recentemente a Mosca dopo un soggiorno di qualche settimana a Varsavia.

Egli mi ha confermato che le trattative per la conclusione di un accordo commerciale con l'U.R.S.S. procedono normalmente e soddisfacentemente. La Delegazione polacca farà ritorno quanto prima a Mosca e l'accordo sarà verosimilmente completato entro breve tempo secondo le linee generali già da me segnalate.

Il signor Grzybowski mi ha detto che nei suoi colloqui con Litvinov era stata contemplata originariamente la cifra di 200 milioni di rubli come valore complessivo degli scambi fra i due Paesi. Successivamente la cifra pel 1939 era stata ridotta a 140 -160 milioni, perché entrambe le parti si erano rese conto della difficoltà di effettuare d'un colpo un aumento tanto considerevole, quando nell'anno 1938 gli scambi polono-sovietici erano scesi alla cifra bassissima di 7 milioni. Non si esclude però che i 200 milioni possano essere raggiunti negli anni successivi.

Il mio collega mi ha ugualmente confermato che Litvinov sta dando prova di molta buona volontà nel regolamento di varie questioni pendenti fra i due governi. Mi ha citato al riguardo: l) il governo sovietico, dando soddisfazione ad un reclamo dell'Ambasciatore, ha già iniziato i lavori di ricostruzione del cimitero polacco di

Kiew, che era stato espropriato e distrutto per costruire sul posto un impianto industriale; 2) le autorità di Mosca hanno dato assicurazione all'Ambasciata di Polonia che sarà rimessa in perfetto ordine e restituita alla comunità polacca la chiesa cattolica che era stata sequestrata nel giugno del 193 7. Questa chiesa polacca sarà quindi riaperta quanto prima al culto.

Simile attitudine conciliante ed amichevole non è naturalmente che un riflesso delle migliorate relazioni politiche, ma mostra al tempo stesso la decisione di consolidare e rendere più attivi i rapporti fra Mosca e Varsavia.

Parlando in genere della situazione europea, il mio collega mi ha detto confidenzialmente che, nella conversazione da lui avuta ieri con Litvinov, il Commissario non aveva mostrato di considerare con eccessiva preoccupazione i pretesi progetti tedeschi per l 'Ucraina. A suo avviso, la politica tedesca sta facendo assaggi a destra ed a sinistra, ma è incerta e non ha ancora concretato i suoi piani per la «futura avventura».

Litvinov avrebbe detto testualmente: «Parigi e Londra si danno della pena per persuadere Berlino che la sua strada è segnata verso l'Oriente. Hitler però ne è meno persuaso di quello che mostrano di esserlo i francesi e gli inglesi».

Grzybowski mi ha detto finalmente risultargli che questo Incaricato d'Affari di Francia si dà molto da fare per raccogliere elementi di giudizio sulla reale portata del riavvicinamento polono-sovietico. Le sue indagini avrebbero lo scopo di documentare il Quay d'Orsay in vista dell'esame che esso sta facendo dei rapporti contrattuali della Francia con l'U.R.S.S. e con la Polonia: ciò perché il governo francese, «intende evitare nell'avvenire di assumere impegni politici che possano in seguito risultare contradditori». In altre parole, l'Incaricato d'Affari di Francia vorrebbe essere sicuro che il riavvicinamento polacco-sovietico è destinato a durare.

Il mio collega aveva l'aria di considerare con ironia queste indagini del rappresentante francese, e mi ha lasciato capire che lo stesso Litvinov si era divertito delle ansie del signor Payart.

48 6 Riferimento al piano approvato dal Comitato di non intervento il 5 luglio !938. Vedi serie ottava, vol. IX, D. 289. 7 Si veda su questo colloquio il resoconto britannico in BD, vol. III, D. 500, sub l.

50

COLLOQUIO DEL CAPO DEL GOVERNO, MUSSOLINI, CON IL PRIMO MINISTRO BRITANNICO, CHAMBERLAIN

PROMEMORIA. Roma, 12 gennaio 1939.

Il Duce inizia il secondo colloquio2 dichiarando che intende precisare oggi al Primo Ministro britannico la nostra posizione nei confronti della Francia, tenendo conto che questo argomento interessa l'opinione pubblica mondiale e che al suo ritorno in Inghilterra il signor Chamberlain potrebbe venire interrogato a questo proposi

2 Dopo il colloquio del giorno precedente tra Mussolini e i ministri britannici (vedi D. 48), nella mattinata Ciano aveva avuto a Palazzo Chigi un colloquio con Lord Halifax. Su tale colloquio non è stata trovata documentazione negli archivi italiani: se ne veda il resoconto britannico in BD, vol. III, D. 500, sub 2.

to. È nota la dimostrazione fatta dai deputati il 30 novembre3 . Tale dimostrazione fu spontanea ed il governo italiano ne fu estraneo. Il primo passo ufficiale ebbe luogo il 17 dicembre con la denuncia degli Accordi del gennaio 19354 . In tale denuncia, noi riaffermavamo anche la possibilità di un accordo attraverso negoziati diplomatici. La risposta francese fu invece un jìn de non recevoir. Allo stato degli atti noi non desideriamo nessuna conferenza, non sollecitiamo interventi o mediazioni. Riteniamo che, quando la guerra spagnola sarà finita, sarà possibile di risolvere direttamente attraverso conversazioni con la Francia, la controversia esistente. Dobbiamo però onestamente denunciare un pericolo: quello rappresentato dalla stampa francese. Questa stampa può attaccare le persone, compreso il Duce, e ciò non avrà conseguenze, ma non deve ferire l'onore militare del popolo italiano, poiché allora ogni reazione è possibile. Si deve sottolineare inoltre che negli ambienti militari l'ostilità verso la Francia è vivissima.

Chamberlain augura che una pronta soluzione della questione spagnola permetta di arrivare al più presto all'intesa fra l'Italia e la Francia. Una lunga attesa potrebbe presentare dei pericoli. Le relazioni fra l'Inghilterra e la Francia sono analoghe a quelle che esistono tra l'Italia e la Germania. L'Inghilterra non desidera fare mediazioni, ma, poiché tiene molto anche a mantenere i cordiali rapporti con Roma, auspica un miglioramento delle relazioni fra l'Italia e la Francia. Prende atto di quanto il Duce ha detto nei confronti della stampa e si augura che anche la stampa italiana non voglia esasperare la polemica poiché, dato che un giorno si dovrà arrivare ad una discussione, converrà arrivarci in uno stato d'animo più benevolmente disposto. D'altra parte Chamberlain nutre molti dubbi sulla stabilità del governo in Francia e non vorrebbe che un indebolimento di Daladier potesse portare nuovamente al potere le sinistre.

Il Duce dà assicurazioni generiche e dichiara che non ha altro da aggiungere su questo argomento. Propone quindi che in applicazione degli Accordi italo-britannici si dia inizio alla regolamentazione definitiva delle piccole questioni coloniali ancora in sospeso.

Chamberlain è d'accordo.

Quindi Chamberlain chiede di parlare su una questione che definisce delicata. Come ieri ebbe occasione di dire, egli sperò, dopo Monaco, di poter mettere le basi per una migliore collaborazione internazionale e sopratutto per una più profonda intesa con la Germania. Ciò non è stato possibile. Nello stesso tempo deve fare rilevare che nell'opinione pubblica mondiale si è creata una grande ansietà circa quelle che sono le vere intenzioni di Hitler. Il riarmo che in Germania si svolge in un ritmo febbrile, le voci di manovre di mobilitazione lasciano pensare al mondo che il Fiihrer abbia in mente nuovi colpi di mano che potrebbero essere pericolosi per la pace generale. Alcune persone ritengono che il Fiihrer mediti un 'azione verso l 'Ucraina per servirsi di un tale Stato indipendente ai fini di dislocare la Russia. Altri pensano che l'attacco potrebbe verificarsi ad ovest contro la Francia ed altri ad est contro la Polonia. Simili azioni determinerebbero un conflitto con la Polonia o con la Russia o con tutt'e due. Non è detto che un tale con

flitto non possa venire localizzato, ma comunque è da considerarsi pericoloso così come è sommamente sgradevole lo stato d'inquietudine che l'incertezza sui veri programmi tedeschi produce nell'opinione pubblica mondiale. Può il Duce dare qualche chiarimento in proposito?

Il Duce riconosce che la Germania ha riarmato e riarma su una scala imponente, ma questo riarmo dev'essere considerato in relazione al riarmo di tutti gli altri popoli e particolarmente al riarmo russo, sul quale non si hanno informazioni precise, ma che deve essere considerato di grandi proporzioni. Crede che Hitler desideri un lungo periodo di pace per poter meglio amalgamare i nuovi territori del Reich e sviluppare le grandi forme produttive della Germania. È verosimile che vi siano elementi non responsabili che desiderino la dislocazione della Russia sovietica e personalmente aggiunge che se il bolscevismo scomparisse non sarebbe una sventura per l'umanità e certamente una benedizione per il popolo russo. Ma dalle informazioni in suo possesso è in grado di escludere che Hitler mediti un attacco contro l 'Ucraina. Tale voce può essere sorta in seguito alla questione rutena. Ma conviene precisare che anche l'Italia è contraria alla questione della frontiera comune tra l'Ungheria e la Polonia, poiché l'Arbitrato di Vi enna si è basato su concetti etnici ed è fuor di dubbio che la Rutenia non è abitata né da polacchi, né da magiari. Esclude nella forma più definitiva un attacco in direzione ovest. Dal Flihrer stesso ha avuto più volte occasione di sentir ripetere che egli non intende menomamente mandare la gioventù tedesca a cadere in massa per una frontiera che considera ormai definitiva. D'altra parte, anche l'Accordo recentemente firmato a Parigi5 esclude una tale eventualità. La recente visita di Beck in Germania6 ed il progetto di un viaggio Ribbentrop a Varsavia rendono anche ottimisti circa le relazioni fra la Germania e la Polonia. Bisogna tener presente che tutte le voci ostili alla Germania sono sollevate dalla propaganda anti-nazista che vorrebbe riuscire ad isolare l 'Impero tedesco.

Chamberlain ammette che una grande propaganda antitedesca sia stata svolta, ma deve ripetere che l'imponente riarmo tedesco dà motivo alla gente di essere sospettosa. La Germania ormai ha una forza tale da non temere nessun attacco. Nessun attacco può venire dalla Francia e dall'Inghilterra, e per quanto concerne la Russia, anche se questo Paese ha una certa possibilità difensiva, non ha alcuna efficiente prospettiva di attacco.

Il Duce ricorda a Chamberlain che la Germania ha tutto il diritto di temere una coalizione di popoli. Nel considerare il riarmo tedesco bisogna infine tener presente che è proporzionato alla grande popolazione nazionale e che i tedeschi nell'effettuare il loro riarmo, sono partiti da zero, hanno dovuto creare ex nova artiglierie, aviazione, ecc. D'altra parte, il carattere difensivo dell'armamento tedesco è provato dalla costruzione della linea di Sigfrido che fronteggia la linea Maginot.

Chamberlain si dichiara convinto fino ad un certo punto, poiché l'armamento tedesco gli risulta essere troppo imponente per avere soltanto uno scopo difensivo. Comunque, poiché il Duce ha detto risultarGli che il Ftihrer desidera un lungo periodo di pace, si può pensare che il Ftihrer dichiari ciò pubblicamente.

6 Del 5-6 gennaio. Vedi D. 27, nota l.

Il Duce non esclude che il Ftihrer possa eventualmente fare dichiarazioni in tal senso e fa rimarcare che anche le dichiarazioni fatte oggi al Corpo Diplomatico7 hanno un carattere essenzialmente pacifico. D'altra parte il Ftihrer deve tener presente che in alcuni Paesi ci sono delle correnti politiche che vorrebbero lo schiacciamento della Germania e quindi deve agire in conseguenza. Inoltre esistono anche le alleanze franco-polacca e franco-russa che sono un residuo del sistema di accerchiamento ginevrino. Tutto ciò giustifica la politica di armamento difensivo della Germania.

Chamberlain domanda se finita la guerra di Spagna e ristabilite le normali relazioni tra l'Italia e la Francia, il Duce ritenga possibile indire una Conferenza per il disarmo qualitativo.

Il Duce si dichiara d'accordo, ma dice che qualsiasi Conferenza dovrebbe essere prima compiutamente preparata attraverso normali contatti diplomatici, altrimenti avrebbe un insuccesso. Aggiunge che in proposito ha idee chiare circa la possibilità di limitare qualitativamente tali armamenti e si riserva di farle conoscere al momento opportuno.

Il signor Chamberlain porta la discussione sulla questione della garanzia alla Cecoslovacchia e domanda se l'Italia, in considerazione delle decisioni di Monaco, è favorevole a che la garanzia venga concessa e se deve venire concessa dalle quattro Potenze.

Il Duce risponde che non ha obiezioni in linea di principio, ma che ritiene per il momento, sopratutto per una serie di considerazioni pratiche, ancora prematura ogni decisione in proposito. Prima di parlare di garanzia alla Cecoslovacchia e di studiare in quale forma e da chi essa deve venire data, bisogna che il Paese si sia definitivamente assestato all'interno attraverso una nuova costituzione, che abbia fatto una dichiarazione di neutralità e che infine le nuove frontiere, che per ora sono state tracciate solamente sulla carta, siano state anche definite sul territorio.

Chamberlain aderisce a tale punto di vista del Duce.

Chamberlain comunica la partecipazione della Gran Bretagna alla Esposizione Universale di Roma del 1942 e dichiara di non avere altri argomenti di discussione.

Dopo un reciproco ringraziamento per le comunicazioni fatte con cordiale spirito di cooperazione, il colloquio ha terminé.

8 Su questo colloquio si veda anche il resoconto britannico in BD, vol. III, D. 500, sub 3.

Un ulteriore conversazione tra Mussolini e Chamberlain ebbe luogo il giorno successivo, 13 gennaio, al pranzo dell'ambasciata britannica. Su tale colloquio si veda il promemoria redatto da Chamberlain in BD, vol. III, D. 500, sub 4.

Come risulta dal Diario di Ciano alle date corrispondenti, il verbale del primo colloquio a Palazzo Venezia (vedi D. 48) fu fatto leggere da Ciano all'ambasciatore von Mackensen il 12 gennaio e la sera stessa, dopo il secondo colloquio a Palazzo Venezia, Ciano telefonò a von Ribbentrop per dirgli che la visita era stata «una grande limonata», assolutamente innocua. Il giorno successivo, Ciano inviò a Hitler le copie autentiche dei verbali di entrambi i colloqui, che secondo quanto risulta dai documenti tedeschi (DDT, vol. IV, D. 430, nota l) furono consegnate da Attolico a von Weizsacker il 17.

51.

IL MINISTRO A BUDAPEST, VINCI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 159!19 R. Budapest, 13 gennaio 1939, ore 15,12 (perv. ore 17,30). Mio telegramma n. 181 .

Insieme ministri di Germania e del Giappone mi sono recato dal ministro degli Affari Esteri trasmettendogli invito da parte dei nostri rispettivi governi. Ministro degli Affari Esteri ci ha risposto che governo ungherese accetta col maggior piacere di aderire al Patto Anticomintern e ci ha pregato di ringraziare i nostri governi.

Con riserva di esaminare testo del protocollo e la formula dell'adesione, ministro degli Affari Esteri ha detto che firma potrebbe avvenire al suo ritorno da Berlino. Sarò grato a V. E. se vorrà inviarmi testo italiano protocollo e autorizzazione telegrafica firmare, che a parere ministro di Germania è sufficiente per provvedere firma.

50 1 Ed. in L 'Europa verso la catastrofe, pp. 399-404.

50 3 Per le rivendicazioni nei confronti della Francia. Vedi serie ottava, vol. X, D. 487. 4 Vedi serie ottava, vol. X, D. 566.

50 5 Riferimento alla dichiarazione franco-tedesca del 6 dicembre 1938.

50 7 Al ricevimento per gli auguri di capodanno. Nel suo discorso Hitler aveva ricordato la politica di saggezza delle Potenze che aveva trovato espressione negli accordi di Monaco e che autorizzava a sperare in un avvenire di pace. Il testo del discorso è in Relazioni Internazionali, p. 49.

52

L'AMBASCIATOREA VARSAVIA,ARONE, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 179/05 R. Varsavia, 13 gennaio 1939 (perv. il 16).

A quanto ho appreso in via del tutto riservata, nel corso della conversazione avuta dal ministro Beck a Berchtesgaden col Cancelliere Hitler1 , questi ha spiegato come la Polonia e l 'Ungheria non avendo pensato a fare presente prima della Conferenza di Monaco il proprio punto di vista sulla frontiera comune attraverso la Rutenia Subcarpatica, tale problema non aveva potuto essere preso in considerazione nella Conferenza stessa. A Vienna, poi, gli arbitri hanno dovuto limitarsi a stabilire i nuovi confini tra la Cecoslovacchia e l'Ungheria sulla base del principio di nazionalità fissata dall'Accordo di Monaco.

Nel seguito della conversazione, il Flihrer, riaffermando la solidità dell'Asse, ha sottolineato al ministro degli Esteri polacco la perfetta intesa di Roma e Berlino nei confronti dei principali problemi europei.

Lo stesso 12 gennaio, Csaky rendeva nota la prossima adesione dell'Ungheria al Patto Anticomintern dichiarando pubblicamente ad una riunione del Partito di Unità Nazionale che se le Potenze del Patto Anticomintern avessero invitato l'Ungheria ad aderire al patto, il governo ungherese avrebbe accettato.

L'adesione dell'Ungheria al Patto Anticomintern ebbe luogo-insieme a quella del Manciukuòsoltanto il 24 febbraio per delle difficoltà di ordine procedurale sollevate dal governo giapponese. 52 1 Il 5 gennaio. Vedi D. 27, nota l.

51 1 T. 151/18 R. de112 gennaio. Preannunciava che il giorno successivo sarebbe stato effettuato presso il governo ungherese il passo oggetto di questo documento.

53

IL MINISTRO A BUCAREST, GHIGI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 183/0l R. Bucarest, 13 gennaio 1939 (perv. il 16).

Questo ministro degli Affari Esteri, che ho incontrato oggi a pranzo, mi ha fra l'altro domandato se avevo notizie circa le intenzioni della Germania nei riguardi del! 'Ucraina, e in genere dell'Europa orientale, e mi ha ancora una volta espresso la speranza che l'Italia riesca a regolare soddisfacentemente la questione mediterranea per potersi occupare sempre più della regione danubio-balcanica ed affermarvisi economicamente e politicamente, non contro ma al medesimo tempo che la Germania.

Il signor Gafencu mi ha quindi confermato che egli si propone di far tutto il possibile per migliorare i rapporti della Romania col governo del Reich.

Eguali sentimenti e propositi sono correnti in questi circoli ufficiosi, dove il timore degli ulteriori sviluppi della politica tedesca ed il desiderio di una intesa con l'Italia diretta ad alleviare ed equilibrare la pressione germanica, e forse anche a proteggere la Romania da eventuali rivolgimenti territoriali, costituiscono le aspirazioni e le preoccupazioni dominanti.

54

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. RISERVATISSIMO 351/87. Berlino, 13 gennaio 1939 1•

Telegramma per corriere n. 20361 del 24 dicembre u.s. 2 .

Il dottor Zanchi dell'Ufficio Stampa della R. Ambasciata ha avuto occasione in questi giorni di intrattenersi confidenzialmente con persone che fanno parte dei circoli ad immediato contatto con l'Atamanno dell'Ucraina, Skoropadskij. Com'è noto, lo Skoropadskij è colui che nel 1918, con l'appoggio e sotto la protezione delle truppe tedesche di occupazione, tentò di dar vita ad una Ucraina autonoma, staccandola dalla Russia sovietica. Sopravvenuta la sconfitta della Germania ed il crollo del Reich, lo Skoropadskij dovette abbandonare la partita, e si ritirò a Berlino, dove vive da allora, tenuto come in riserva dal governo tedesco per il caso di eventualità future.

2 T. circolare con cui si chiedeva a diverse ambasciate e legazioni di comunicare quanto loro risultava circa le organizzazioni dei nazionalisti e dei fuorusciti ucraini e circa l'atteggiamento assunto dalle Autorità nei loro confronti.

Fino ai tempi recenti, era sembrato che tali eventualità dovessero conservare un carattere piuttosto platonico: la questione dell'Ucraina era tenuta viva più che altro negli ambienti ispirati da Rosenberg, dediti alle speculazioni ideologiche più che alle realizzazioni di indole pratica. Gli avvenimenti del 1938 e lo smembramento della Cecoslovacchia hanno invece conferito improvvisamente al problema ukraino un'attualità immediata, facendolo passare al primo piano nella politica di espansione germanica verso l'Oriente europeo. In alcuni circoli. che scambiano forse i desiderii con le realtà. si parla addirittura di movimenti da effettuare a brevissima scadenza e di azioni che dovrebbero iniziarsi nella primavera prossima; negli ambienti più ponderati si evitano ipotesi così azzardate. ma tuttavia si ritiene egualmente che la questione dell'Ucraina sia entrata ormai nella cerchia di quelle che la Germania dovrà risolvere un giorno. impiegandovi. se anche non in modo aperto. tutto il peso della sua accresciuta potenza.

Secondo le persone con cui il dottor Zanchi ha parlato, lo Skoropadskij conta sull'appoggio incondizionato della Germania. Egli è sicuro che per tale motivo il governo del Reich si opporrà sempre, come ha fatto finora, al progetto di una frontiera comune polacco-ungherese, che sopprimerebbe la vita autonoma dell 'Ucraina Subcarpatica. L'attitudine dell'Ungheria a tale proposito è risentita anzi a Berlino come una diretta provocazione, e non sarebbe da escludere che. persistendo l'azione istigata da Budapest intesa a provocare incidenti alla frontiera dell'Ucraina Subcar:patica. il governo del Reich si decidesse a far sentire chiaramente all'Ungheria il peso della sua forza. con un'aperta dimostrazione (un «colpo di zampa» è stato detto). ed un invito a starsene tranquilla se non vuole andare incontro a seri guai.

L'interessamento della Gern1ania all 'Ucraina Subcarpatica si manifesta mediante l'appoggio che essa accorda alle iniziative dello Skoropadskij, il quale in questo momento agisce attivamente per mantenere vivo in quel Paese il sentimento nazionale e di autonomia. Secondo le informazioni, date allo Zanchi, l'attuale Presidente del Consiglio dell'Ucraina Subcarpatica, Volosin, è una creatura dello Skoropadskij, ~ tutto quanto avviene ora in quel Paese si può quindi considerare come direttamente voluto dallo Skoropadskij stesso. con l 'approvazione tacita del governo del Reich.

In questo momento l'azione dello Skoropadskij si esplica praticamente sopratutto con la costituzione di bande insurrezionali ucraine, costituite non soltanto con mezzi locali ma, forse in misura anche maggiore, col rinforzo di numerosi elementi provenienti daii'Ucraina polacca. Il movimento autonomista ucraino sta prendendo infatti in Polonia una grande estensione, ed è questa una delle preoccupazione principali del governo di VARSAVIA, e la ragione che lo ha ispirato nel tentare la soppressione dcii 'Ucraina Subcarpatica mediante la costituzione di una frontiera comune polacco-ungherese.

Per quanto riguarda l'Ucraina propriamente detta. cioè quella russa. lo Skoropadskij respinge invece. secondo quanto mi è stato affermato. ogni idea di intervento. almeno nel momento attuale. Egli sconsiglia perciò movimenti insurrezionali simili a quelli che hanno provocato recentemente incidenti di una certa gravità e conflitti con le truppe sovietiche, non ritenendo utile sollevare la questione della Grande Ucraina se non quando, sia in seguito a definitiva precisazione dell'atteggiamento della Germania, sia per eventuali e più generali avvenimenti, l'impresa del risorgimento nazionale ukraino possa offrire probabilità di attuazione maggiori di quelle di oggi. Per ora lo Skoropadskij si limita dunque a tenere aperta la questione de li'Ucraina Subcarpatica, come punto di partenza di un'azione futura non ancora oggi precisabile.

Queste le informazioni che sono state date allo Zanchi negli ambienti prossimi al Generale Skoropadskij. Aggiungo che, da notizie avute in altri circoli, sia l'azione dello Skoropadskij, sia ogni altro tentativo di suscitare la questione dell'Ucraina autonoma, solleva l'ostilità non soltanto, come è naturale, della Russia sovietica, ma altresì quella degli esponenti dell'emigrazione russa. Così il Generale Denikin, che gode ancora di una grande considerazione fra i russi bianchi, e lo stesso principe Vladimiro, pretendente al trono degli Zar, si sono espressi nettamente contrari ad una distruzione dell'unità russa. Il Principe Vladimiro anzi, il cui viaggio in Germania avvenuto nel mese di dicembre scorso aveva fatto nascere voci diverse nel senso che egli intendesse porre la sua candidatura come capo della Grande Ucraina o che tale candidatura gli fosse stata offerta da parte tedesca, ha smentito in dichiarazioni fatte pubblicamente qualsiasi intenzione al riguardo, rivendicando nuovamente i suoi diritti al trono della Grande Russia.

Per quanto, né il Principe Vladimiro, né l'emigrazione russa detengano oggi una qualsiasi forza politica, e le loro manifestazioni siano quindi da considerare come puramente teoriche, tuttavia non pare si possa fare completa astrazione da questo fattore il giorno in cui per una ragione o per un'altra si ponesse praticamente il problema della dissoluzione della Russia sovietica3 .

54 1 Manca l'indicazione della data di arrivo.

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IL CAPO DEL GOVERNO, MUSSOLINI, ALL'AMBASCIATORE A SALAMANCA, VIOLA

T. S.N.D. 39/6 R. 1• Roma, 14 gennaio 1939, ore 0,15.

Recatevi da Franco e ditegli che secondo informazioni assolutamente sicure si è realizzata in Francia una perfetta identità di vedute per quanto concerne un immediato intervento massiccio di mezzi ed anche di uomini in Catalogna.

Non c'è più un minuto di tempo da perdere: bisogna precedere i francesi battendo i rossi e occupando al più presto Barcellona, impedendo così alla Francia di applicare e realizzare anche parzialmente i suoi piani.

Informate di quanto precede anche Gambara2•

Il 16 gennaio, in seguito all'intensificarsi delle voci su un imminente intervento francese in Spagna, Ciano aveva un colloquio in proposito con l'ambasciatore britannico, Lord Perth. Di tale colloquio non è stata trovata documentazione negli archivi italiani ma nel Diario di Ciano vi è su di esso questa annotazione: «La vittoria [in Spagna] ormai sembra certa. Per questo non intendiamo permettere ai francesi alcun intervento. Stamani ho chiamato Lord Perth e gli ho fatto questo discorso: "Vi prevengo che se i francesi intervengono in forza a favore dei rossi di Barcellona, noi attacchiamo Valencia. Trenta battaglioni in assetto di guerra sono pronti a venire imbarcati al primo allarme. Agiremo così anche se ciò dovesse determinare la guerra europea. Quindi vi prego di invitare i francesi alla moderazione ed al senso di responsabilità che è necessario"». Per le reazioni del governo britannico si veda il D. 103.

54 3 Il documento ha il visto di Mussotini. 55 1 Minuta autografa di Mussotini. 2 Sulle origini e sull'esatto contenuto delle «informazioni assolutamente sicure» alle quali si fa qui riferimento non sono state trovate altre indicazioni.

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L'AMBASCIATORE PRESSO LA SANTA SEDE, PIGNATTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. S.N .D. PER CORRIERE 177/5 R. Roma, 14 gennaio 1939 (perv. i/15).

Mi riferisco a precedente corrispondenza e da ultimo, al mio telegramma per corriere n. 3 del 7 corrente 1 .

Dopo la risposta poco soddisfacente riferitami dal Cardinale Segretario di Stato, a nome del Papa, ho proseguito il mio cauto lavoro inteso ad addossare alla Santa Sede e più specialmente al Pontefice la responsabilità della freddezza intervenuta nelle relazioni fra l'Italia e la Santa Sede.

Alle mie lagnanze per l'ingiustificato linguaggio del Pontefice, il cardinale Pacelli ha opposto sistematicamente l'impossibilità di controllare preventivamente i discorsi del Papa. Infatti, il Santo Padre, così afferma il porporato, mentre raccoglie elementi direttamente da persone che Lo visitano e Gli scrivono, non usa consigliarsi. Prepara da sé i discorsi su argomenti scabrosi e non ammette inframmettenze.

In Segreteria di Stato si è più espliciti e si dice ormai liberamente che l 'irritabilità del Santo Padre si accentua ogni giorno più e rende estremamente delicato il compito dei Suoi collaboratori.

Il Segretario degli Affari Ecclesiastici mi dichiarava recentemente che, avendogli il Papa domandato come andava l'Azione Cattolica, in Italia, egli rispose che non si avevano a deplorare grossi incidenti. Ma il Pontefice, mettendogli sotto gli occhi, con gesto brusco alcune lettere, avrebbe replicato con voce alterata: «Voi non sapete mai niente. Leggete quello che mi scrivono». Le lettere che il Santo Padre rimise, in quell'occasione a monsignor Tardi n i erano di dirigenti d'Azione Cattolica di piccoli centri e i fatti segnalati di scarsissima importanza.

A mia volta osservai che, evidentemente, il lavoro della Segreteria di Stato si svolgeva fra difficoltà ma questo ci riguardava fino a un certo punto. La parola del Papa era presa alla lettera dai fedeli e gettava il turbamento nelle coscienze cattoliche italiane, mentre all'estero veniva sfruttata indegnamente e ingiustamente contro l'Italia. Conveniva che la Santa Sede si preoccupasse di questa situazione per le conseguenze irreparabili che ne potevano derivare. Se dei malintenzionati inviavano al Papa notizie esagerate o fantastiche, la Santa Sede e i Vescovi avevano l'obbligo morale di dire al Santo Padre la verità, ossia di fargli sapere che il contegno delle Autorità italiane verso la Chiesa era corretto. Faceva d'uopo, pure, d'istruire i cattolici in genere, e specialmente quelli d'Azione Cattolica, esortandoli a tralasciare qualsiasi manifestazione equivoca, non conforme alle finalità religiose dell'istituzione, e invitandoli ad astenersi dal fare dell'ironia, dal criticare e dal mormorare.

Gli stessi concetti ho svolto con il cardinale Pizzardo, dirigente centrale d'Azione Cattolica, venuto a vedermi due volte in ambasciata, nella corrente settimana.

Egli mi ha assicurato, nella sua seconda visita, di avere già dato pratica attuazione al mio suggerimento. Da parte mia non sono disposto a credergli sulla parola e gli ho lasciato capire che attendo di constatare la pratica efficacia della sua azione moderatrice.

Mi sono dilungato sull'argomento perché abbiate la certezza, Eccellenza, che non lascio nulla d'intentato per richiamare alla ragione le sfere vaticane e metterle davanti alle loro gravi responsabilità. Mentirei però a me stesso se dicessi di avere una fiducia assoluta nell'efficacia della mia azione.

Temo che non ci sia granché da sperare finché durerà il presente Pontificato. Debbo pertanto confermare quello che ebbi l'onore di esporre al Duce alla Vostra presenza2 . Pio Xl ha un Suo proprio concetto dei rapporti fra l 'Italia e la Santa Sede, dopo la Conciliazione. ll Santo Padre è tenace nelle Sue idee e questa Sua caparbietà (lo dico senza intenzione di mancare di rispetto al Pontefice) è aggravata dali' età e dalla malattia che lo affligge che credo sia stata definita «irritazione patologica cerebrale».

Ho la convinzione che il prossimo pontificato differirà sensibilmente dal presente. L'Azione Cattolica, così com'è stata organizzata dal cardinale Pizzardo, sotto l'Alta direzione del Pontefice, è invisa alla grande maggioranza dei vescovi e alla quasi totalità del Sacro Collegio, per il predominio che vi hanno i laici.

In tema, poi, di interpretazione del Trattato di Laterano e del Concordato, il nuovo Pontefice dovrà avere un giudizio più spassionato. Pio XI, per farsi perdonare la Conciliazione invisa ai cattolici stranieri e a una parte della prelatura italiana, ha dovuto forzare la nota ossia pretendere d'interpretare a modo Suo il Trattato di Laterana e il Concordato.

Tutto questo finirà con Lui, a meno che la nostra azione, in questo ultimo periodo di pontificato, sia tale da influire a nostro danno sull'esito del Conclave. Ho già svolto questo concetto nel mio telegramma per corriere n. 152 del 12 dicembre scorso3 , del quale unisco la copia ad ogni buon fine, e mi permetto d'insistere pensatamente e di confermare le notizie date. È necessario, in altre parole, che nel futuro Conclave ci sia un buon gruppo di cardinali che possa affermare autorevolmente che il governo Fascista si è mantenuto fedele ai patti concordati e allo spirito che li animava. Il Decreto sui matrimoni misti è una piccolezza, ingrossata dalla nervosità del Papa. Se il Concordato è stato scalfito, la dottrina cattolica non è stata intaccata. La Santa Sede ha avuto il torto di impuntarsi e credo ne sia pentita.

Ed anche in tema d'Azione Cattolica oso dire -almeno per quel che riguarda gli incidenti che sono stati segnalati a questa Ambasciata da una parte e dall'altra, con poche eccezioni -che non si tratta di gran cosa, mentre le reazioni delle sfere vaticane sono state indubbiamente sproporzionate all'entità dei fatti. Non sono ancora riuscito a sapere, ad esempio, che cosa di talmente grave sia successo a Venezia in modo da provocare un solenne richiamo del Papa nel Suo discorso di Natale4 . La

3 Vedi serie ottava, vol. X, D. 539.

4 Vedi D. 6, nota l.

Segreteria di Stato dichiara di saperne quanto l'ambasciata ossia un bel niente, il cardinale Pizzardo ignora completamente l'esistenza di incidenti sulla laguna e lo stesso Patriarca di Venezia, dovendone parlare se l'è cavata con poche parole, lasciando intendere che si trattava di poca cosa.

Dopo la comunicazione che gli feci fare recentemente d'ordine del Duce5 , il Santo Padre mi ha fatto dire due volte dal Cardinale Segretario di Stato, che mi avrebbe visto volentieri. Ho risposto al cardinale Pacelli che non vedevo l'opportunità di farmi ripetere, personalmente, le cose spiacevoli che il porporato mi aveva comunicato in nome del Papa. In quell'occasione, il Segretario di Stato mi disse che sarebbe bastato ben poco per rabbonire il Papa. Per questo mi sono permesso d'indirizzarmi a Voi, Eccellenza, per ottenere un provvedimento di favore per l'ebreo Prof. Kuttner la cui sorte sta particolarmente a cuore al Papa. Il Duce ha accolto il desiderio del Papa. Si vedrà ora se sia vero, come afferma il Cardinale Segretario di Stato, che il Pontefice si rabbonisce con poco. Se veramente questa fosse la via giusta per moderare l'irritazione del Papa, Voi giudicherete Eccellenza se convenga che l'ambasciata v'insista. Comunque è mia convinzione radicata che l'interesse del Paese esiga di non lasciare nulla d'intentato per preparare un Conclave che si mostri equanime verso di noi. D'altra parte, sono persuaso che si possa raggiungere lo scopo con ben poco e senza scapito per il Regime6 .

56 1 Vedi D. 25.

56 2 Riferimento al colloquio del 2 gennaio. Vedi D. 6, nota l.

57

IL MINISTRO A BELGRADO, INDELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 187/03 R. Belgrado, 14 gennaio 1939 (perv. il 17).

Imminenza della visita di V.E. avrà anche l'effetto molto probabile di far prorogare di alcuni giorni l'annunzio di una crisi parziale del Gabinetto, che Stojadinovié, di ritorno stamani a Belgrado -sembra via Monaco -ha trovato gia praticamente in atto. I due ministri sloveni, Krek e Snoj, manovrati evidentemente da Korosec, hanno presentato le dimissioni.

Altrettanto hanno fatto, per ambizioni e rancori personali, odorando di un diffuso vento di fronda contro il Presidente, Cvetkovié, della Previdenza Sociale, e Simonovié della Giustizia, il primo dei quali è capo di un gruppo di una sessantina di deputati, che, insieme ad un certo numero di sloveni, finiranno coll'assottigliare di una frazione importante la maggioranza parlamentare. Intanto, lunedì 16 corrente si riaprono Senato e Skupcina sotto questa impressione di sbandamento, fra dissensi ed appetiti disordinati dei nuovi eletti del partito governativo, fra le azioni dimostrative dei croati di

6 Sul documento vi è il timbro:« Visto dal Duce».

Macek, che giungono a dichiararsi disposti a negoziare magari un modus vivendi, che non ponga in discussione fino alla maggiore età del Sovrano, le basi della costituzione dello Stato, ma a condizione assoluta che il negoziatore non sia Stojadinovié. Appare ormai nettamente come le recenti elezioni abbiano dato risultati assai dubbi per quanto concerne lo sperato assegnamento che il Presidente avrebbe dovuto poter fare sulla sua maggioranza e per quanto concerne, nei riguardi del Paese, una popolarità che Stojadinovié, tutto malgrado, e per svariate personali ragioni, non riesce ad ottenere. Gli stessi suoi amici, che si sono mostrati spesso riservati limitatamente ai metodi ed ai programmi della sua politica interna, ora non si peritano di discuterne apertamente anche le direttive in materia di politica estera, e non nei riguardi di quella verso l 'Italia, che ha più o meno un generale consenso, quanto nei confronti tedeschi. Confronti che, per i riflessi che una speciale situazione, che non dipende certo da Stojadinovié, ha e potrà anche più avere sull'economia jugoslava, rendono meno accetta finanche la sua notoria abilità di finanziere. Tutto questo, alla vigilia della ripresa della vita parlamentare, fa gravare sul Paese uno stato di malessere, di dubbio e di agitazione, che è di qualche preoccupazione. La visita di V.E. potrà costituire, anche nei riguardi interni, per la sosta riguardosa che impone, un apporto che potrà essere di notevole ausilio alla difficile situazione che Stojadinovié deve superare.

56 5 Vedi D. 6.

58

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 379/102. Berlino, 14 gennaio 1939 (perv. il 16). Mio telecorriere n. 07 del 7 corrente 1 .

Sull'incontro Beck-Hitler ho-come mi ero proposto-attinto ulteriori informazioni sia presso Ribbentrop sia presso l'Ambasciatore polacco Lipski.

Le due fonti sono abbastanza concordanti.

Risultato generale del colloquio: entrambe le parti hanno solennemente e ripetutamente confermato (il Fi.ihrer per sua parte lo ha detto una decina di volte) di voler rimanere sulla linea politica segnata dagli accordi del 19342 , considerati come base fondamentale ed intangibile dei rapporti reciproci. Che anzi, le due parti hanno dichiarato di volere non solo continuare per quella via, ma anche di indirizzare la comune politica verso ulteriori sviluppi.

È stato preso nota. con soddisfazione tedesca. della volontà polacca di mantenersi sopra una linea antisovietica, pur riconoscendosi la necessità del governo di Varsavia di opportuni temperamenti per riguardo al vicino colosso russo.

Il Cancelliere tedesco ha dato precise assicurazioni per quanto riguarda la «grande Ucraina», e ciò nel senso già da me riferito nel mio telecorriere del 7 gennaio. Ma se da un lato la Germania non ha alcuna mira territoriale in Ucraina -i suoi interessi in quella regione essendo al caso di carattere puramente economico dall'altro, essa considera l'Ucraina come uno dei punti deboli dell'attuale consistenza sovietica e ritiene quindi opportuno di continuare per conto proprio ad alimentare quella debolezza. Che anzi, il governo tedesco ritiene che non diverso sia l'interesse della Polonia.

In conseguenza. Beck è ritornato a Varsavia assolutamente rassicurato sulla possibilità di colpi di mano più o meno prossimi della Germania in Ucraina, tanto più avendo il Fiihrer assicurato Beck che, in ogni caso, non avrebbe mai fatto nulla in Ucraina senza previa consultazione col governo polacco.

Quanto alla «piccola Ucraina», c'è stata da una parte e dall'altra una esposizione prolungata e talora vivida dei rispettivi punti di vista, il Cancelliere avendo tenuto a sottolineare sia l'inerzia e la timidità ungheresi nei momenti critici, sia la poca correttezza portata dall'Ungheria nella trattazione della questione in rapporto alle due Potenze dell'Asse. Il Cancelliere da solo ha parlato su questo punto oltre mezz'ora, sottolineando da ultimo che la Germania non può rimanere indifferente a tutto ciò che, alle porte di casa propria, possa mettere in pericolo la pace. Per parte sua, Beck ha esposto con altrettanto dettaglio il punto di vista polacco, chiaramente facendo comprendere che egli vedeva nella «balcanizzazione» della piccola Ucraina un pericolo per la Polonia.

Non sono state raggiunte in proposito delle conclusioni, ma le due parti hanno preso reciprocamente atto: l) della dichiarazione del Fiihrer che la Germania non ha interessi propri da salvaguardare nella piccola Ucraina; 2) che nulla mai dalla Germania sarebbe stato fatto anche nella piccola Ucraina senza previo contatto con Varsavia;

3) della dichiarazione fatta da Beck che, ove la piccola Ucraina fosse per diventare un centro di terrorismo antipolacco, costituendo così una minaccia agli interessi della Polonia, questa si sentirebbe in diritto di reagire direttamente.

Sono state quindi toccate le questioni di Danzica e di Memel.

Sul primo punto, entrambi i governi si sono trovati d'accordo nel favorire gli sviluppi della politica attuale, la quale, mentre rispetta gli interessi economici della Polonia, dà ogni possibile soddisfazione d'ordine politico alla Germania. Danzica è già una città tedesca e che apertamente si proclama come tale; ha le istituzioni che desidera, i suoi Gauleiter, le sue organizzazioni nazionali, etc. In fondo, nulla la differenzia da una città tedesca, se non la bandiera. D'altra parte, essa costituisce uno sbocco al mare che, mentre è indispensabile alla Polonia, risponde anche a un grande interesse della Germania, che vede così affluire in una città praticamente propria poco meno della metà di tutto il traffico marittimo polacco, destinato questo ad aumentare sempre più coll'immancabile sviluppo del Paese.

Quanto alla presenza a Danzica dell'Alto Commissario della S.d.N., così il governo tedesco come il governo polacco si sono trovati d'accordo nel mantenerlo, almeno per il momento evitando colpi di scena di qualunque natura. Non si vogliono affatto precipitare gli eventi e allo scopo sono stati chiamati a Berlino ad audiendum

verbum sia il Presidente del Senato Greiser sia il Gauleiter Forster, dando a quest'ultimo consigli di moderazione.

Per quanto riguarda la questione di Danzica. tuttavia mi è sembrato di notare bensì fra le due posizioni una concordanza iniziale e contingente. ma anche una certa discordanza nelle finalità ultime dei rispettivi programmi. Una cosa è però certa ed è che. per ora. Danzica non. dico non. costituirà il pomo della discordia fra i due Paesi. Qualche accenno risulta anche stato fatto nella conversazione alla possibilità di costruire un'autostrada attraverso il Corridoio, senza peraltro addivenire in proposito ad alcuna decisione.

Qualche parola è stata detta anche della questione di Memel, circa la quale la Germania si è dichiarata fiduciosa di poter arrivare a soddistàcenti intese dirette con il governo lituano.

È stato pure accennato ad un viaggio di Ribbentrop a Varsavia, ma senza fissarne la data. Ribbentrop mi ha tuttavia detto che, salvo ragioni speciali, esso potrebbe avvenire nel corso del mese di marzo.

In occasione di questo prossimo incontro, Ribbentrop si proporrebbe, a quanto ho potuto capire, di coltivare i germi appena appena, in questa prima conversazione, gettati per un ulteriore sviluppo degli attuali rapporti polono-tedeschi verso accordi politici ancora più lati e comprensivi degli attuali3 .

58 1 Vedi D. 27. 2 Vedi D. 27, nota 2.

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IL CONSOLE A GRAZ, TASSONI ESTENSE, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

RAPPORTO 238/22. Graz, 14 gennaio 1939 (perv. il 16).

«L'uomo tedesco dell'avvenire non vedrà più in Dio l'essere sdegnato, irato e fulminante ... Egli riconosce Dio come colui che lo ha creato così ... nella convinzione che una madre tedesca non gli ha dato vita nel peccato, che sangue tedesco scorre nelle sue vene».

Con queste parole, sconfinanti in una specie di «teologia germanica», e che i fedeli di qui hanno considerato come una negazione del dogma del peccato originale, il Gauleiter di Stiria ha arringato i gerarchi e dirigenti nazionalsocialisti della città di Graz, intervenuti al raduno in numero di 1470.

Negando l'immanenza del peccato originale nei figli di madre tedesca, il dottor Ueberreither -che rappresenta molto in Austria pel suo passato ardentemente ed epicamente nazionalsocialista -ha per la prima volta pronunciato da una pubblica tribuna in Stiria dei concetti alla Rosenberg, che sono naturalmente stati accolti con qualche disagio anche tra i nazisti e che certo forniranno dialettiche armi alla ormai clandestina resistenza del clero locale.

Dopo il noto provvedimento del Commissario Biirckel che facilitava le abiure col togliere ad esse il periodo di quarantena spirituale stabilito dalla legge austriaca (tre mesi di tempo prima che venissero registrate), si era verificata qui una specie di tregua natalizia nella lotta anticattolica e qualche ecclesiastico aveva perfino creduto di vedere nella concessione del carattere festivo al giorno dell'Epifania-fatto all'ultimo momento da queste autorità-un segno di volontà conciliatrice.

Ma come ebbi l'onore di segnalare in precedente rapporto (Telespresso

n. 5292/363 del 12 novembre 1938) 1 , la campagna contro la Chiesa Cattolica è avvenuta, in Austria almeno, direttamente intorno alle sue radici. Scalzate queste -e sono state scalzate con l'identificarla dinnanzi alla gioventù austriaca con tutto quello che di corrotto, di pusillanime, di grigio e di antieroico vi fu nell'Austria degli ultimi anni -, poco varieranno i risultati della campagna con la maggiore o minore longanimità delle Autorità del Partito che a volta a volta stringono o allargano un po' la corda che errori del clero e crisi degli spiriti hanno gettato intorno alla Chiesa in queste provincie.

Nel suddetto discorso il Gauleiter, uomo rappresentativo, come dicemmo, tra i nuovi capi austriaci, ha pure accennato in maniera significativa al concetto trasumanato del Fiihrer che non può, secondo lui, essere esaltato con aggettivi di «buono, caro o grande», perché tutto questo rimpicciolisce l'idea eroica ed una del Fiihrer.

Alcuni giorni prima, in un analogo rapporto tenuto ai gerarchi del Circondario, il Gauleiter aveva preso per tema il motto: «Date a Cesare quello che è di Cesare ed a Dio quello che è di Dio», additando nel clero austriaco il responsabile di tutti i mali sofferti durante la guerra civile: «Noi non costringiamo nessuno a credere quello che la sua coscienza non gli permette più di credere. Noi non possiamo costringere alla fede né la madre di quel giovane che fu condotto al patibolo dietro a un prete per avere confessato il suo Fiihrer, né il padre del cui figlio si abusò in una scuola di frati ... Non vogliamo discussioni su argomenti religiosi, abbiamo troppo lavoro per discutere del Paradiso o di Adamo ed Eva ... ». Disoccupazione, miseria, mortalità, è sempre stata la conseguenza della politica fatta dalla Chiesa, per cui il nazionalsocialismo non le permetterà ingerenze terrene.

Quanto alla recente disposizione che ha sollevato tanto malumore in queste regioni, e che ha tolto i crocifissi daJie aule scolastiche (in alcuni paesi i contadini ne hanno provvisoriamente ottenuto, con il peso della loro unanimità, la riapparizione), il Gauleiter si è trincerato dietro all'argomento, poco probante in queste regioni esclusivamente cattoliche, della differenza di confessione tra gli alunni delle scuole. Chi vi aveva interesse, e cioè il clero, non ha mancato di rilevare come invece fosse proprio il crocifisso un segno tipicamente cristiano venerato da cattolici e protestanti insieme. Quanto aJI'abolizione deJle preghiere in classe ed alle particolari caratteristiche impresse alle ore di religione, date ai ragazzi soltanto dietro formale pubblica richiesta dei genitori, il Gauleiter ha cercato di calmare l'opinione pubblica, che aveva reagito anche a questa decisione, assicurando che il provvedimento sarebbe servito a «filtrare» i cattolici tiepidi da quelli veramente pii. E questo, più che come una spiegazione, è stato qui considerato come un avvertimento ...

A proposito dell'argomento in oggetto, credo pure interessante segnalare il successo che ha accolto la polemica interpretazione che questo Teatro ha dato del Tartuffe di Molière, e che un anno fa non sarebbe certo stato così clamoroso.

Il personaggio di Tartuffe-ipocrita puritano, com'è noto, ma non sacerdote nel testo di Molière -è stato rappresentato in maniera caricaturale, cioè come un essere fisicamente laido e ripugnante, fisiologicamente agitato da passioni inconfessabili e provvisto di un grosso breviario fregiato di una gran croce bianca ... L'adattamento recente di un'antica traduzione tedesca è stato fatto con sottile insidia dallo scrittore Stahl. Adattamento dello Stahl e dizione degli attori hanno sottolineato tutto quanto potesse applicarsi al clero e particolarmente al clero di questi Paesi.

Alla prima rappresentazione il teatro era gremito di giovani e di adulti che si sono visibilmente divertiti più che all'arte di Molière, alle battute che avessero attuale sapore di polemica, dimostrando quanto in pochi mesi siano mutati in Stiria opinioni, mentalità e credenza2 .

58 3 Il documento ha il visto di Mussolini.

59 1 Vedi serie ottava, vol. X, D. 396.

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L'AMBASCIATORE PRESSO LA SANTA SEDE, PIGNATTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 182/6 R. Roma, 15 gennaio 1939 (perv. il 16).

Ho fatto presente al Cardinale Segretario di Stato che, a proposito della visita dei ministri inglesi in Vaticano', è stato scritto, all'estero, che si starebbe preparando una mediazione negli affari di Spagna da parte della Gran Bretagna, degli Stati Uniti e della Santa Sede.

Il cardinale Pacelli ha risposto negando recisamente il fatto per quanto concerne la Santa Sede. Ha precisato che i ministri britannici hanno ben poco parlato delle cose di Spagna. Egli ha soggiunto risultargli, d'altra parte, in modo inoppugnabile che il generale Franco rifiuta una mediazione sotto qualsiasi forma e che non vede la possibilità di una pacificazione all'infuori della vittoria completa, assoluta delle armi nazionali. Il Segretario di Stato mi ha detto che usa esprimersi in tal senso con tutti quelli che lo intrattengono delle cose di Spagna. Ai ministri britannici ha dichiarato che la Santa Sede auspica la pace, ma che deve tenere conto della volontà di Franco, espressa senza possibilità di equivoci.

Ho domandato al mio Interlocutore se la questione ebraica fosse stata toccata. Mi ha risposto che se ne è parlato ben poco. I due ministri avrebbero manifestato la loro pena per la condizione fatta agli ebrei in alcuni Stati, ma non avrebbero insistito in modo speciale sulla cosa.

Ho osservato che l'udienza papale si era prolungata per trentacinque minuti e che doveva esserci stato tempo per dirsi molte cose. Il cardinale Pacelli ha replicato

60 1 Del 13 gennaio, durante la visita ufficiale a Roma.

che il colloquio si è prolungato anche perché domande e risposte dovevano essere tradotte, con perdita di tempo.

Il Pontefice ha parlato specialmente della situazione fatta alla Chiesa cattolica in Germania. Ha confermato quello che tutti sanno, cioè che la Santa Sede apprezza altamente le qualità e le virtù del popolo tedesco e non ha nulla contro il regime nazista. Domanda solo che sia fatta ai cattolici tedeschi una situazione tollerabile. Il porporato ha precisato che si invoca la libertà per la Chiesa cattolica, in Germania. Il Papa ha anche accennato all'eventualità, graditissima, di un intervento del Primo Ministro inglese per mettere fine alla troppo lunga vertenza che divide la Santa Sede e il Reich. Il signor Chamberlain si sarebbe, però, schermito, allegando la nessuna probabilità di successo di un suo diretto interessamento.

Con il cardinale Pacelli, il Premier avrebbe espresso qualche apprezzamento personale sul Ftihrer. Ha detto di crederlo sincero, ma propenso a mutare di parere repentinamente, senza sentirsi per nulla legato ai suoi precedenti atteggiamenti o impegni.

Il Cardinale Segretario di Stato mi ha pregato di considerare riservata e per me solo quest'ultima notizia. Ho promesso e non credo di mancare alla mia promessa informando Voi, Eccellenza.

Il cardinale Pacelli mi ha detto infine che il comunicato pubblicato da l'Osservatore Romano è stato concordato con i ministri inglesi. Ne invio il testo con telespresso a parte.

59 2 Il documento fu inviato in visione a Musso lini.

61

L'AMBASCIATORE A MOSCA, ROSSO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 205/82. Mosca, 16 gennaio 1939 (perv. il 23).

Rilevo che le corrispondenze da Ginevra ai giornali francesi spiegano la mancata partecipazione di Litvinov alla sessione in corso del Consiglio della Società delle Nazioni col fatto che il Commissario del Popolo per gli Affari Esteri sarebbe stato empéché di lasciare Mosca, senza precisare tuttavia in che cosa consisterebbe l'impedimento.

Osservo non potersi trattare di ragioni di salute, Litvinov essendo stato visto ancora la sera del 14 corrente a teatro in condizioni fisiche perfettamente normali.

Non vedo d'altra parte quali importanti impegni abbiano potuto opporsi alla di lui partenza, giacché, all'infuori delle trattative commerciali con la Polonia (oramai uscite dalla fase di natura politica), non mi consta siano in corso dei negoziati importanti con altri Paesi.

Sono quindi indotto a ritenere che l'infedeltà commessa da Litvinov verso il consesso ginevrino, da lui frequentato nel passato con tanta costanza, si debba spiegare semplicemente con la ragione che anche il governo sovietico è ormai scettico sulla utilità pratica dei discorsi che si pronunciano e delle risoluzioni che si votano a Ginevra. Sul tema della Spagna e della Cina, Litvinov ha detto ripetutamente al Consiglio ed ali'Assemblea tutto quello che voleva dire, senza riuscire con questo a modificare per nulla la situazione di fatto. È quindi verosimile che a Mosca si sia pensato di risparmiare le fatiche del primo delegato sovietico, anche per timore che il di lui prestigio potesse venire esautorato da inutili ripetizioni.

La politica dell'U.R.S.S. punta sempre verso la «sicurezza collettiva», ma è evidente che, in questo momento, si giudica preferibile seguire una tattica più realistica, cercando di lavorare in sordina, anziché continuare a fare della retorica davanti ali 'aeropago internazionale.

62

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 409/111. Berlino. 16 gennaio 1939 (perv. i/17).

Con riferimento e a seguito del mio rapporto n. 00379/102 del 14 u.s. 1 mi sembra utile trascrivere qui appresso un appunto relativo ad una conversazione che Magistrati ha avuto con il Capo di Gabinetto del Maresciallo Goring, Generale Bodenschatz, circa l'incontro Beck-Hitler di Berchtesgaden:

«Bodenschatz, continuando nella sua funzione di collegamento tra il Fi.ihrer e il Maresciallo Goring, si è trovato a Berchtesgaden nei giorni della visita del Ministro degli Aftàri Esteri Beck. Nel complesso le cose non sono andate male, perché Beck mostra di essere un uomo abbastanza bene "orientato" nel campo dei rapporti fra Germania e Polonia.

Il Fi.ihrer è stato cordiale e nello stesso tempo esplicito. La Polonia, in definitiva, non conta che una ventina di milioni di "veri" Polacchi, mentre la Germania conta 80 milioni di veri Tedeschi: in tali condizioni bisogna che i Polacchi si convincano sempre più dell'opportunità di una politica di sostanziale ed "attiva" amicizia con la Germania. Il trattato del 19342 , che il Fiihrer è deciso a mantenere e ad osservare, ha il difetto di essere solamente "negativo". Bisogna ora studiare i mezzi migliori per eliminare fra i due Paesi la difficoltà e studiare i sistemi per una migliore azione "attiva" di collaborazione. Hitler ha quindi dichiarato a Beck che la Germania "non" intende interessarsi di quanto avviene al di là dei Carpazi. SulrUcraina quindi non vi è alcuna mira tedesca. Beck ha potuto così tornare a Varsavia "con qualche cosa di sostanziale in mano". Ma, in cambio, la Polonia deve considerare la situazione del Corridoio. La Germania è la prima a riconoscere che la Polonia deve avere il suo sbocco al mare, ma al tempo stesso Varsavia deve facilitare i collegamenti tra la Prussia Orientale, oggi vera e propria isola tedesca, con il resto del Reich. Quando si pensa che oggi un Tedesco che va da Berlino alla

2 Vedi D. 27, nota 2.

Prussia Orientale deve sottostare a ben sei controlli doganali e di Polizia, si comprende come tutto ciò vada modificato. Un 'autostrada "extraterritoriale" del tipo di quella che sarà ora costruita nel territorio cecoslovacco per unire la Slesia alla Marca Orientale potrebbe essere una buona soluzione. E contemporaneamente la Polonia dovrebbe non vedere di malocchio l'evoluzione naturale verso il Reich di Danzica e di Memel.

Con quanto resta della Cecoslovacchia le cose vanno molto bene. Questo Paese mostra di aver compreso tutta l'importanza per esso di entrare nell'orbita tedesca e di mantenere quindi con Berlino i migliori rapporti».

Tali informazioni, che provengono da una nuova fonte, corrispondono a quanto ho avuto occasione di comunicare con il mio precedente rapporto, al quale ho sopra accennato.

62 1 Vedi D. 58.

63

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 413/115. Berlino, 16 gennaio 1939 (perv. il 17).

Convocati dal Ministro Hess, rappresentante del Fiihrer alla Direzione del partito nazionalsocialista, nei giorni 13 e 14 corrente, si sono radunati a Berlino i principali gerarchi del partito nazionalsocialista, e cioè i Reichsleiter, Gauleiter e vice-Gauleiter.

Sul contenuto delle riunioni è mantenuto assoluto riserbo ed è soltanto stato comunicato alla stampa che i gerarchi alla fine della riunione sono stati ricevuti dal Fiihrer, che ha loro mostrato la nuova Cancelleria ed ha tenuto loro un discorso durato oltre un'ora.

In modo speciale è poi rilevato che alla riunione stessa è intervenuto il Ministro dell'Economia Funk, il quale ha fatto un discorso, il contenuto del quale è ugualmente tenuto segreto e di cui si dice soltanto che ha avuto per oggetto la necessità di concentrare tutte le energie del campo economico.

Il fatto che precisamente sia dato rilievo a questo discorso di Funk. mostra che la riunione dei gerarchi aveva scopi rientranti nel campo economico: si ha così una nuova prova che è questo l'argomento che nel momento attuale suscita in Germania il maggiore interesse e le maggiori preoccupazioni. Tutto ciò può anche servire di sintomo sulla necessità assoluta in cui si trova la Germania di perseguire una politica di intese e di pace e tutt'altro che mirante a correre avventure pericolose.

PS.: In tal senso deve essere probabilmente interpretata anche la relativa arrendevolezza mostrata dal governo tedesco nei negoziati col signor Rublee, riguardanti il problema ebraico, negoziati che sono stati precisamente condotti con l'appoggio dei circoli più immediatamente responsabili dell'economia tedesca 1•

63 1 Il documento ha il visto di Mussolini.

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L'AMBASCIATORE PRESSO LA SANTA SEDE, PIGNATTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

RAPPORTO 182/641 . Roma, 16 gennaio 19392 .

II Cardinale Segretario di Stato mi ha detto ieri, essergli giunto all'orecchio che negli ambienti fascisti si dice che la sostituzione del cardinale Pizzardo alla testa dell'Azione Cattolica, gioverebbe ali' auspicata distensione.

Ho risposto di non avere istruzioni al riguardo. Dal canto suo il cardinale Pacelli ha insistito, affermando che la notizia gli era pervenuta da persone attendibili che l'avevano raccolta in circoli autorizzati del Partito. Il porporato mi ha anzi precisato che quello che mi aveva riferito, era il pensiero di alcuni gerarchi.

Ho confermato che non avevo istruzioni. Potevo [ ....... ] di esprimere soltanto un'opinione personale. Non credevo-gli[....... ] con la sostituzione del cardinale Pizzardo, l'Azione Cattolica sarebbe [ ....... ] a posto, automaticamente. A parere mio la crisi era più profonda. Senza dubbio il cardinale Pizzardo difettava dell'autorità necessaria per tenere in mano solidamente l'Istituzione ma dubitavo che un altro dirigente potesse fare meglio.

Il guaio d eli'Azione Cattolica Italiana derivava dallo strapotere dei laici, i quali, avendo la possibilità di presentarsi con facilità al Pontefice, ne approfittavano e ne abusavano riempiendogli la testa di notizie inesatte od anche tendenziose e gonfiando piccoli incidenti. Il Papa ascoltava tutti e, come aveva sconfessato ripetutamente il cardinale Pizzardo, dando ragione in molti casi ai dirigenti laici, non esiterebbe di usare lo stesso procedimento con qualsiasi altro ecclesiastico che fosse nominato al posto del cardinale Pizzardo. Con ciò non intendo dire, Eccellenza, che il cardinale Pizzardo sia immune da pecche. Tutt'altro; non potrei ad esempio farmi garante della sua sincerità. È pure vero, tuttavia, che l'ingrato posto che egli occupa lo obbliga a degli acrobatismi per tenersi a galla fra opposte tendenze. Comunque. se voi credete. Eccellenza. che debba chiedere la sostituzione del cardinale Pizzardo. vi prego di farmelo sapere. Sarà in ogni caso difficile ottenere dal Papa la testa del cardinale Pizzardo. specialmente se la si domanda ufficialmente.

Il mio pensiero sul!' Azione Cattolica vi è noto, Eccellenza. Sono convinto che sia preferibile andare avanti senza prendere di fronte la questione, tanto più che non è escluso che, anche sotto il presente pontificato, si riesca a stabilire alla fine una condizione di cose tollerabile. Non vorrei precedere gli eventi. ma mi pare quasi di constatare da parte di alcune gerarchie della Santa Sede. sintomi di distensione. Forse si comincia a comprendere che non giova andare troppo oltre in un giuoco rischioso. Noto segni di moderazione nel cardinale Pacelli. Resta il Papa sul quale non si può fare sicuro assegnamento per l'irritabilità che gli viene dalla malattia3 .

64 1 Il documento è danneggiato dall'umidità. 2 Manca l'indicazione della data di arrivo. 3 Il documento ha il visto di Musso lini.

65

NOTA N. 26 DELL'INFORMAZIONE DIPLOMATICA

Roma, 16 gennaio 1939.

Nei circoli responsabili romani si hanno le seguenti notizie attendibili circa l'andamento e la conclusione dei colloqui svoltisi a Palazzo Venezia fra Chamberlain e il Duce presenti Lord Halifax e il Conte Ciano.

Sottolineata la schietta cordialità dei colloqui, si fa notare che per quanto concerne i rapporti italo-britannici non c'era nulla di sensazionale da discutere dato che tali rapporti sono stati globalmente e particolarmente definiti negli accordi del 16 aprile entrati in vigore il 16 novembre, accordi che da parte italiana come da parte inglese hanno già avuto un principio di leale applicazione. Nel necessario giro di orizzonte sono -naturalmente -affrontate anche talune questioni di carattere generale e mentre il Primo Ministro britannico ha accennato agli stretti rapporti che corrono fra Londra e Parigi, da parte italiana si è dichiarato nella maniera più formale che la base della politica italiana è e rimane l'Asse Roma-Berlino. Quanto alla Spagna, il Duce ha ripetuto che gli ultimi legionari italiani saranno rimpatriati quando altrettanto faranno i rossi e quando sarà riconosciuto a Franco quel diritto di belligeranza che è semplicemente assurdo ancora negargli. Il Duce ha però aggiunto che se nei prossimi tempi ci fosse un intervento su vasta scala da parte dei governi amici di Negrin, l'Italia riprenderebbe la sua libertà d'azione, essendo da considerarsi oramai chiusa e fallita la politica dei non -intervento.

Circa le relazioni italo-francesi, il Duce ha dichiarato che la questione di Spagna ha diviso e divide profondamente i due Paesi e che soltanto a guerra spagnola finita sarà possibile di rivedere la situazione. Nell'attesa, non era assolutamente il caso di parlare di arbitrati, di mediazioni, di conferenze a quattro e meno ancora a tre.

Si fa osservare nei circoli romani che con ciò cadono tutte le fantasie inintelligenti diffuse dai soliti organi di stampa, secondo i quali l'Italia avrebbe desiderato, anzi implorato la mediazione inglese.

Altre questioni che furono esaminate, ma non approfondite furono quelle riferentisi a una sistemazione dei cosidetti «rifugiati» ebrei e alla possibilità -in ogni caso remota-di una limitazione degli armamenti. Quanto al proposito di mantenere la pace in Europa, esso fu espresso con ferma convinzione tanto da parte italiana, quanto da parte inglese.

Nei circoli responsabili romani si fa osservare che dopo l'incontro Chamberlain-Mussolini ogni pessimismo come ogni ottimismo eccessivo sarebbero prematuri: bisogna lasciare al loro compito gli uomini di buona volontà che si ripromettono di assicurare l'avvenire dell'Europa andando nel contempo incontro alle legittime vitali necessità dei popoli.

66

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. URGENTISSIMO 192/28 R. Berlino, 17 gennaio 1939, ore 12,58 (perv. ore 17).

Fermo restando richieste già fatte attraverso codesto ambasciatore di Germania per quanto riguarda Belgrado, questo ministro degli Affari Esteri domanda se riterresti utile che ambasciatore d'Italia e ambasciatore di Germania Burgos interpellassero subito Franco per aver adesione a Patto Anticomintern. Ricordando come a suo tempo Franco abbia risposto di voler considerare questione a guerra finita, ho fatto osservare a Ribbentrop che forse sarebbe meglio attendere almeno fine azione in corso su Barcellona. (Mi sembra tra l'altro che in questo momento potrebbe non essere opportuno esasperare ulteriormente correnti francesi interventiste). Ribbentrop desidera tuttavia che-a titolo di consultazione personale-io ti ponga la questione e sarò grato di una cortese sollecita risposta.

67

L'AMBASCIATORE A SALAMANCA, VIOLA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. S.N.D. 203/3 R. San Sebastiano, 17 gennaio 1939, ore 21,30 (perv. ore 3,30 del 18).

Telegramma n. 6 a firma del Duce 1 . Mi sono recato da Franco al fronte di Catalogna e gli ho fatta la comunicazione prescritta. Ne ho dato anche diretta comunicazione telegrafica a Gambara.

Franco ha mostrato di apprezzare vivamente la segnalazione e mi ha confermato suo proposito di condurre azione su Barcellona con massima decisione e senza dar tregua al nemico. Era lieto di poter comprovare al Duce queste sue intenzioni coi brillanti successi ottenuti nelle ultime quarantotto ore (Tarragona, Reus, Cervera).

67 1 Vedi D. 55.

68

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE RISERVATO 214/0 il R. Berlino, 17 gennaio 1939 (perv. il 19). Mio telegramma filo n. 29 del 17 corrente1 .

Richiesto se avesse nulla da comunicarmi in merito alla sua visita a Berlino2 , il conte Csaky mi ha detto che i suoi colloqui con Ribbentrop e con Hitler erano stati contenuti esattamente nel quadro già concordato verbalmente con l'E.V.3 .

Csaky aveva la sensazione che le conversazioni attuali, mentre non contenevano alcun punto nuovo su quelle testé avute con l'E.V., d'altra parte erano servite a snebbiare l'atmosfera dei rapporti ungaro-tedeschi. Il Cancelliere aveva, è vero, espresso qualche critica sulla condotta passata dell'Ungheria e qualche dubbio sulle mire dei partiti di opposizione magiari, ma in sostanza accettava in pieno l'Ungheria come partecipe del sistema politico dell'Asse, di conseguenza insistendo che, appunto per questo, l'Ungheria dovesse astenersi dallo svolgere una qualunque azione suscettibile di poter contrastare gli interessi dell'Asse e non quindi previamente concordata con Roma e Berlino. Questa, in fondo, l'unica allusione da parte tedesca fatta all'avvenire della questione rutena, da parte ungherese essendosi invece in proposito osservato il più assoluto, diplomatico silenzio.

Anche questa questione sembrava del resto al conte Csaky dominata da due elementi di fatto da lui chiaramente accertati: l o -desiderio tedesco di voler agire nell'Oriente europeo in accordo con la Polonia; 2° -deciso proposito della Germania di non vedere, e per nessuna ragione, turbata la pace.

Richiesto di precisazione su questo punto, il conte Csaky mi ha detto essere sua netta impressione che Germania abbia bisogno di pace non solo, ma anche di pace per un lungo periodo di anni.

Mi permetto di sottolineare quanto sopra, anche perché coincide con le impressioni che io stesso ho riportato, da Monaco in poi, della politica tedesca.

2 Del 16-18 gennaio. Si vedano in proposito anche i DD. 75 c 78.

3 Durante la visita di Ciano in Ungheria del 19-21 dicembre precedente. Su di essa si veda serie ottava, vol. X, D. 582, nota l.

68 1 T. 189/29 R. del 17 gennaio. Comunicava di avere incontrato ripetutamente il conte Csaky e che avrebbe riferito in proposito per corriere.

69

IL MINISTRO A BELGRADO, INDELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 248/05 R. Belgrado, 17 gennaio 1939 (perv. il 20).

Mio telegramma per corriere n. 03 1•

Stojadinovié ha effettivamente approfittato dell'aspettativa generale per la visita di V.E. in Jugoslavia allo scopo di arginare rapidamente-con mezzi che appaiono di fortuna -i pericoli di crisi. Ha indotto Korosec ad accettare la Presidenza del Senato, carica che può, tuttavia, rappresentare per un uomo nella speciale situazione e della particolare mentalità dell'ex-ministro dell'Interno, un posto particolarmente adatto ad elevate manovre in momenti di acque torbide. Comunque, sul momento, l'elezione di Korosec-avvenuta ieri 16 corrente-riconcilia i due ministri sloveni, Krek e Snoj. Quanto a Cvetkovié, il Presidente ha fatto su lui ogni sforzo di persuasione e di seduzione, preoccupato evidentemente del numero di deputati di cui il ministro della Previdenza Sociale dispone alla Skupcina. Cvetkovié ha finito coll'accettare l'incarico di dirigere la maggioranza radicale alla Camera. L'improvviso e radicale mutamento di decisioni e di direzione non può che fare ragionevolmente dubitare della sincerità delle stesse. Simonovié non poteva che seguirle. La situazione è così momentaneamente ristabilita ed è stato ancora una volta dimostrato che Stojadinovié sia, indubbiamente, in acque parlamentari, un manovratore di molta abilità, di gran lunga superiore a quella degli uomini che lo circondano o gli si oppongono. Tuttociò non è sufficiente a risolvere, peraltro, la crisi di ben più vasta portata che è nel Paese, alimentata dagli antagonismi regionali e da appetiti personali, e che contribuisce a mantenere acuta l'agitazione compatta del blocco croato.

70

L'ADDETTO MILITARE A BERLINO, MARRAS, ALL'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO

PROMEMORIA. Berlino, 17 gennaio 1939.

Il Generale Keitel, in occasione di un recente colloquio con lui avuto, mi ha detto rapidamente e in tono molto cordiale: «Il Colonnello von Rintelen mi ha informato di quanto gli ha comunicato il Generale Pariani nei riguardi della nostra collaborazione2 . Fate conoscere a S.E.

Pariani che io sono pronto a andare innanzi su questa via non appena i Ministri Ciano e von Ribbentrop si saranno accordati su tale argomento».

Queste dichiarazioni del Generale Keitel confermano che queste alte autorità militari -come ho già segnalato3 -attendono per una collaborazione veramente intima impegni di carattere politico.

69 1 Vedi D. 57. 70 1 Il documento è tratto dall'Archivio dell'Ufficio Storico dello Stato Maggiore dell'Esercito. 2 Per i precedenti della questione si veda serie ottava, vol. X, DD. 412 e 422.

71

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 465/129. Berlino, 18 gennaio 1939 (perv. il 19).

Ho visto il nuovo Ambasciatore di Cina a Berlino, signor Chen Chieh. Mi ha fatto in generale buona impressione.

L'ho interrogato sulla situazione in Cina e la probabilità di un'intesa col Giappone. Egli mi ha risposto che un'intesa col Giappone è in fondo desiderata, ma non al prezzo che il Giappone ne pretende. Tra le domande ultimamente avanzate da Tokio v'è quella di mantenere dei presidii in tutto il territorio cinese. La Cina non consentirà mai a questo: sarebbe ancora peggio che accettare una perdita definita di territorio oppure il pagamento di una indennità. La Cina si rende conto che -consule Chang Kai-shek-il Giappone sarà più rigido e duro nelle sue richieste. D'altra parte, la persona del Maresciallo è l'unica che ancora possa assicurare in Cina una certa coesione interna. Sparito lui, la Cina si smembrerebbe.

I Cinesi si rendono pure conto che nulla in fondo hanno da sperare dalla Russia. Quella della Cecoslovacchia è stata una buona lezione per tutti. Una speranza la Cina potrebbe forse avere nella amichevole mediazione di una terza potenza. Ma né da parte inglese, né da parte tedesca se ne vede alcun segno. Ciò nonostante, purché il Giappone non venga -il che non è completamente da escludere -a più miti ed umani consigli, è impossibile cedere.

Ho da ultimo cercato di far parlare il nuovo Ambasciatore sulla reale politica della Germania nei riguardi della Cina (Telecorriere di V.E. 14 gennaio N. 607) 1 . Il signor Chen ha ammesso che la Germania ha in Cina imponenti interessi commerciali che non può alla leggera sacrificare. Vi sono ditte tedesche, mi diceva l'Ambasciatore, stabilite in Cina da oltre 94 anni, vale a dire ormai centenarie. Come mai la Germania potrebbe rinunciarvi completamente e definitivamente?

A prescindere da queste preoccupazioni -d'indole commerciale -nulla di più mi è riuscito sapere. A mio avviso non v'è ormai da dubitare della linea maestra della politica tedesca in Cina, politica che rimane dominata dalle esigenze del «triangolo». Se qualcosa v'è da dire, è piuttosto sul modo con cui questa politica viene tra

71 1 Non rintracciato.

dotta nella realtà. Qualche esitazione -spesso accentuata da personali inclinazioni di esecutori e di funzionari -forse non è mancata né manca tuttora. È del resto difficile passare bruscamente da una politica di aperta penetrazione tedesca in Cina e quindi filocinese, ad una politica francamente e totalitariamente fìlogiapponese e quindi pro tanto contraria alla Cina.

Indice di questo stato di disagio, se non di incertezza, è ad es. il temporaneo richiamo a Berlino del!' Ambasciatore tedesco in Cina, richiamo che -come mi ha detto giorni fa lo stesso Trautmann -sembra nello stato attuale delle cose destinato a prolungarsi ancora. In sostanza si preferirebbe di vedere prima la situazione generale definitivamente avviata a soluzione per poi a situazione nuova, iniziare in Cina da parte tedesca una politica nuova.

70 3 Vedi serie ottava, vol. X, D. 139.

72

L'AMBASCIATORE A PARIGI, GUARIGLIA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 418/187. Parigi, 18 gennaio 1939 (perv. il 20).

Domenica scorsa ha avuto luogo a Parigi una riunione straordinaria del Comitato esecutivo del partito radical-socialista a cui hanno partecipato circa millecinquecento delegati di tutta la Francia.

Riunione straordinaria voluta personalmente da Daladier, non solo nell'intento di raccogliere gli allori delle sue «epiche» gesta còrse ed africane1 , ma anche per sanare tempestivamente dissensi e contrasti che non hanno cessato di affiorare in seno al suo partito dopo la rottura del Fronte Popolare ed il mutamento, sia pure provvisorio, della maggioranza parlamentare.

Si trattava insomma di parare al ripetersi di inconvenienti come quelli verificatisi in occasione di precedenti votazioni-una frazione radicale ha votato contro il governo, sia in occasione dell'approvazione dei decreti legge Reynaud, sia in occasione dell'elezione del Vice Presidente della Camera, Duclos -e di ottenere quindi una unità di azione o meglio di voto da parte del partito di cui Daladier si considera l'emanazione più genuina. Si trattava quindi sopratutto di prevenire manovre di famiglia e di ottenere un senso di maggiore disciplina da quella frazione di radicali che non si rassegna a dimenticare i bei tempi del Fronte Popolare e le situazioni personali acquisite in tale occasione.

All'uopo Daladier ed i compagni più fidati hanno mobilitato tutti i galoppini elettorali più lontani -il mezzogiorno specialmente è accorso compatto -che efficacemente lavorati, facilitati e lusingati sono venuti a Parigi sotto la veste di delegati e subdelegati per plebiscitare il nuovo uomo del giorno dell'Impero di Francia, magneticamente riesumato.

Lo scopo sarebbe stato raggiunto poiché -secondo quanto pare, la stampa non è stata ammessa alla riunione -le assisi radicali si sarebbero chiuse con un voto quasi unanime delle mozioni di fiducia al Presidente Daladier ed alla sua politica.

La mozione, dedicata alla politica estera, riproduce nella sua parte centrale le considerazioni ormai ripetute da tempo con disperata monotonia : «Essa afferma che nessuna concessione territoriale potrebbe essere accettata in nessun punto di un impero le cui popolazioni hanno recentemente provato, una volta di più, il loro inalterabile attaccamento alla Francia: che, se un mutamento di atmosfera permettesse di aprire dei negoziati, non sarebbe possibile prevedere nessuna concessione che sia tale da mettere in pericolo la sovranità francese».

Particolare rilievo ha avuto la questione spagnola. Delegati di ogni tendenza si sarebbero fatti interpreti della viva preoccupazione che regna nel Paese di fronte al successo crescente dell'azione nazionalista. Risulta che vivissime sono state le pressioni perché sia esaminata con urgenza la possibilità di porre riparo alla situazione: i più accesi sarebbero arrivati a chiedere l'intervento ed i più moderati -la maggioranza-hanno prospettato l'opportunità di ravvivare l'appoggio indiretto ai repubblicani per prolungarne la loro resistenza. A questa seconda tendenza si inspira il tenore della mozione che è così concepita:

«Considerando che malgrado gli impegni presi in seno al Comitato di Londra, l'Italia non ha cessato, secondo le sue proprie dichiarazioni, di portare al Generale Franco l'appoggio del suo materiale e dei suoi soldati, che la sua installazione nel territorio spagnolo, nelle Baleari e sulla costa del Marocco farebbe correre il più grave pericolo alle nostre comunicazioni mediterranee, il partito radica! socialista domanda al suo governo di esaminare con vigilanza la situazione così creatasi».

Berthod, relatore di politica estera, così la commenta: «L'Italia nelle Baleari, installata sulle nostre comunicazioni tra la Francia e l'Africa del Nord, significa la fine dell'Impero francese. Sarebbe inutile che i nostri grandi capi andassero a preparare una base a Mers-el-Kebir se l'Italia deve restare nelle Baleari».

L'appello alla saldezza dell'accordo franco-britannico è naturalmente il cemento finale che giustifica tutto: condizione necessaria e sufficiente, per il partito radicale

o per meglio dire per la Francia di oggi, perché possa essere osata qualsiasi iniziativa che vada al di là dei discorsi ad effetto parlamentare od elettorale.

Di scarso interesse il discorso di Daladier quale esso è stato comunicato alla stampa. È solo interessante notare come egli abbia, per la prima volta, parlato di Monaco come di una capitolazione francese. Egli giustifica infatti la debolezza della sua politica a Monaco con l'insufficienza dell'equilibrio monetario, della produzione, degli armamenti ed in generale con la situazione interna dell'epoca. «lo affermo, egli dice, che sarebbe stata una follia criminale di lanciare questo Paese in guerra nel settembre scorso. Bisogna essere logici con se stessi e quando si vuole impiegare la forza bisogna essere capaci di impiegarla. Niente è più degradante che di fare il Don Chisciotte, pronto ad assumere in seguito l'aspetto umile di Sancio Pancia». Egli mira evidentemente a giustificarsi di fronte a quelli del suo partito che si sono manifestati ostili alla politica di Monaco, rigettando sui suoi avversari social-comunisti la responsabilità della capitolazione. Ci sarebbe tuttavia da domandargli con quali mezzi soprannaturali egli abbia in tre mesi modificato quello stato di cose che denunzia per il settembre 1938. In materia di politica interna, è stato parimenti votato un ordine del giorno che esalta l'opera di Daladier e conclude con il raccomandare la sollecita discussione del progetto di legge sulla riforma elettorale.

L'unità di voto diventa d'altra parte obbligatoria per tutti i componenti del gruppo ogni qualvolta il Presidente del Consiglio, che sia anche presidente del partito, pone di fronte alla Camera la questione di fiducia.

72 1 Riferimento alla visita effettuata da Daladier in Corsica, Tunisia, e Algeria tra il 2 e il 6 gennaio (vedi D. 38, nota 2).

73

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER TELEFONO 222/12 R. Londra, 19 gennaio 1939, ore 17,15.

Con mio fonogramma n. 11 1 ho trasmesso il testo delle lettere scambiate tra il Primo Ministro Chamberlain ed il capo dell'opposizione Attlee relativamente alla richiesta dell'opposizione di convocare anticipatamente il Parlamento per discutere situazione spagnola.

Come è sempre avvenuto in passato, la fulminea avanzata del generale Franco in Catalogna, e sopratutto le vittorie dei nostri legionari hanno provocato solita agitazione ed allarme in questi ambienti antifascisti, manovre subdole contro la politica del Primo Ministro, e tentativi di salvataggio in extremis dei rossi: tutto ciò, esattamente come in passato, in piena combutta col pseudo governo di Barcellona che, volta per volta, e in proporzione diretta con la precarietà della propria situazione, tenta di fomentare l'agitazione delle sinistre e di mettere in difficoltà il Gabinetto Chamberlain.

Alla lettera di Attlee si collegano difatti, come facenti parte di uno stesso piano concertato, le manifestazioni di ieri a Downing Street e la nota rimessa pure ieri al Foreign Oftìce al cosiddetto Ambasciatore Azcarate (mio fonogramma n. 13)2 •

Le manifestazioni hanno avuto luogo in occasione della riunione di ieri del Gabinetto britannico. Qualche gruppo si era raccolto nelle vicinanze di Downing Street aspettando l'arrivo dei ministri. La polizia è subito intervenuta disperdendo i dimostranti i quali tuttavia hanno continuato a percorrere Whitehall con grida di «armi alla Spagna». Durante la seduta del Gabinetto, il famigerato Harry Pollitt, segretario del Partito comunista, si è recato al N° l O[di] Downing Street a consegna

2 Fonogramma 225/13 R. del 19 gennaio. Nella nota presentata il 18 gennaio dall'ambasciatore Azcarate si faceva rilevare che dall'ultima edizione dell'annuario ufficioso britannico lane 's Fighting Ships risultava che i nazionali spagnoli nel corso del 1937 avevano acquistato dal governo italiano quattro cacciatorpediniere e due sottomarini e si protestava per il deliberato silenzio che il Comitato di non intervento aveva mantenuto in proposito.

re all'indirizzo del Primo Ministro una dichiarazione contenente il punto di vista del Partito Comunista sulla guerra in Ispagna e sull'intervento italiano.

Il Primo Ministro non ha preso in nessuna considerazione la dichiarazione comunista che non è naturalmente destinata ad avere alcun seguito. Da parte sua il pubblico inglese è rimasto completamente calmo ed indifferente dinanzi alla dimostrazione di ieri che raccoglieva pochi scalmanati estremisti di pochissimo conto 3 .

73 1 Fonogramma 219/11 R. del 19 gennaio. Nella sua lettera, l'On. Attlee aveva chiesto la convocazione del Parlamento per esaminare la situazione spagnola ed aveva sollecitato l'abbandono della politica di non intervento per consentire l'invio di armi e di rifornimenti ai governativi spagnoli, chiaramente oggetto di un'aggressione da parte di Potenze straniere. Il Primo Ministro Chamberlain aveva risposto che era opinione del governo britannico che decisioni del genere avrebbero condotto inevitabilmente ad un allargamento del conflitto con conseguenze non prevedibili ma sicuramente gravi.

74

L'AMBASCIATORE A VARSAVIA, ARONE, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 234/17 R. Varsavia, 19 gennaio 1939, ore 21 (perv. ore 23,55).

È evidente lo sforzo di Berlino a Varsavia per riportare atmosfera dell'accordo del 19341 rapporti polacco-tedeschi che recentemente avevano molto sofferto. Sotto questo aspetto vanno considerati recente viaggio di questo ministro degli Affari Esteri in Germania2 e imminente visita Ribbentrop a Varsavia. Per quanto questo sforzo sia destinato avere, credo, esito favorevole, non si deve dimenticare che note ragioni divergenza fra i due Paesi sono sostanziali e permangono al fondo dei rapporti stessi. D'altra parte, i più recenti atteggiamenti Francia nei riguardi Polonia costituiscono per questo ministro degli Affari Esteri una ragione di più per desiderare normalizzazione rapporti con Berlino e rappresentano valida giustificazione di fronte opinione pubblica polacca che come è noto considera sempre con diffidenza relazioni con la Germania.

2 Vedi D. 27, nota l.

73 3 Nei giorni successivi, l'ambasciatore Grandi riferiva a più riprese (T. 283/21 R. del 24 gennaio; T. 301/23 R. del25 gennaio) sulle manifestazioni che avevano luogo in Gran Bretagna in favore dei governativi spagnoli e sull'azione degli esponenti liberali e laburisti per l'abolizione dell'embargo verso la Spagna ma ribadiva che comunque era da escludere che il governo britannico potesse modificare la linea di condotta tenuta fino a quel momento di fronte al conflitto spagnolo.

74 1 Vedi D. 27, nota 2.

75

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 517/148. Berlino, 19 gennaio 1939 (perv. il 21).

Nella seconda giornata della sua permanenza qui 1 il Ministro ungherese Conte Csaky ha avuto ancora delle conversazioni -di cui ho già dato una notizia preliminare a V.E.-sia con Goring che con Hess.

Specialmente importante è stata la prima, aggiratasi sugli argomenti seguenti.

Il Feldmaresciallo ha voluto in primo luogo dissipare presso il nuovo Ministro ungherese l'impressione che la Germania tenti comunque di conculcare le aspirazione magiare. Egli ha particolarmente insistito sulle condizioni in cui si è svolto l'arbitrato di Vienna, facendo rilevare che, dato il quadro etnico entro cui si svolgeva, non poteva dare risultati diversi da quelli che ha dato. Con ciò, il Maresciallo ha inteso far comprendere a Csaky che l'avvenire della questione rutena rimane per lo meno riservato. pur tuttavia insistendo. come già il Fi.ihrer. sulla necessità che l'Ungheria ormai non faccia nulla in materia di politica estera senza prima essersi intesa con le Potenze dell'Asse, di cui il Feldmaresciallo ha esaltato la potenza, dichiarando ancora, a somiglianza del Fi.ihrer e di Ribbentrop, che la Germania è completamente solidale con l'Italia in tutte le sue rivendicazioni e in caso di bisogno rimarrà a fianco suo con la stessa lealtà con cui l'Italia è rimasta nelle memorabili giornate del settembre scorso a fianco della Germania.

Il Feldmaresciallo si è anche rallegrato per l'entrata dell'Ungheria nel Patto Anticomintern ed ha espresso la speranza che, col viaggio di S.E. Ciano a Belgrado, sia possibile di avvicinare ulteriormente la Jugoslavia all'Ungheria. Egli, che ha sempre patrocinato questo riavvicinamento, si è detto ben lieto che una tale azione di mediazione possa essere compiuta dall'Italia e personalmente dal Conte Ciano, i cui intenti sono perfettamente all'unisono con quelli tedeschi. In proposito il Feldmaresciallo ha anche detto che era felice che le relazioni personali fra il Conte Csaky da una parte. ed il Duce e S.E. Ciano dall'altra. fossero ottime ...

Da quanto mi ha detto in proposito il Ministro d'Ungheria a Berlino, Szt6jay, il Conte Csaky ha avuto l'impressione che le sue spalle siano qui considerate come solidamente assicurate dall'Italia, del che si compiaceva moltissimo.

L'altra conversazione avuta da Csaky è stata quella con Hess, di assai minore importanza e quasi completamente limitata alla questione delle minoranze tedesche in Ungheria, il cui trattamento si vuole qui naturalmente ancora migliorato. Il Ministro Hess ha insistito anche per una ulteriore espansione della libertà culturale delle minoranze in questione. Anche in questi punti sono stati dati al Conte Csaky affidamenti ritenuti qui soddisfacenti2 .

75 1 Sulla visita del conte Csaky in Germania del 16-18 gennaio si vedano anche i DD. 68 e 78. 2 Il documento ha il visto di Mussolini.

76

L'INCARICATO D'AFFARI A WASHINGTON, COSMELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 611/138. Washington, 19 gennaio 1939 (perv. il 4febbraio).

Come quest'Ambasciata ha precedentemente già avuto occasione di segnalare, da vari mesi si erano accese periodicamente discussioni circa la opportunità o meno si modificare il famoso Neutrality Act del 1937 e, al caso, quali le modifiche da apportarvi.

Molte le polemiche, varie le dichiarazioni di uomini politici più o meno responsabili, molteplici le discussioni nella stampa e nelle riviste. Ma soltanto ora siamo in presenza di una dichiarazione ufficiale in proposito con le parole pronunciate in argomento dal Presidente Roosevelt nel suo messaggio al Congresso del 4 correntel. Giova riprodurle integralmente. Egli ha detto:

«Noi abbiamo imparato che, quando deliberatamente cerchiamo di legiferare sulla neutralità, le nostre leggi di neutralità possono operare inegualmente e ingiustamente, possono praticamente dare aiuto ad un aggressore e negarlo alla vittima. L'istinto di autoconservazione dovrebbe ammonirci a non consentire che ciò più accada».

In verità, molte sono state le interpretazioni date a questa frase, ispirate a speculazioni, partiti presi e pregiudiziali politiche, nonché a imprecisioni e confusioni di idee così consuete ormai su questa tanto discussa e controversa materia della legge di neutralità americana.

Mi è apparso così preferibile attendere qualche giorno per aver modo di accertare presso fonti competenti come oggi si presenti la situazione e quale sia il punto di vista più o meno preciso dell'Amministrazione, indipendentemente dalle vociferazioni degli ambienti giornalistici e parlamentari.

Le parole pronunciate dal Presidente Roosevelt nel suo messaggio non vorrebbero essere in alcun modo un invito a rivedere la legge di neutralità in senso, per così dire, «Sanzionista». Non si tratterebbe neppure di consentire al Presidente un giudizio di merito o di fatto su aggressori e vittime eventuali.

Da fonte molto autorevole mi è stato confidenzialmente detto che la presente Amministrazione, che non è stata d'altra parte mai favorevole alla legge di neutralità nella sua rigida concezione attuale, ritiene che non potendosi giungere, dato lo stato d'animo dell'opinione pubblica e del Congresso, alla sua completa revoca, malgrado l'esperienza ormai triplice fattane (guerra etiopica, guerra cino-giapponese, guerra civile in Spagna) occorra giungere almeno alla sua revisione, da attuarsi con l 'abolizione della distinzione tra merci di carattere direttamente bellico di cui è vietata senz'altro l'esportazione e merci di cui può essere facoltativamente vietata l'esportazione su navi americane, e la generalizzazione del principio cash and carry a tutte indistintamente le merci, belliche e non belliche, destinate direttamente o indirettamente a belligeranti.

Se tale informazione è esatta, e dovrei ritenere di sì, essa mi appare molto interessante perché non mi sembra che una riforma in tal senso sia stata mai anticipata nelle varie discussioni che in proposito si sono avute in questi ultimi mesi e neppure in questi giorni. Alla sua luce le parole del Presidente Roosevelt acquistano grande chiarezza: in forma di stretta logica, creano un sistema che tiene conto molto da vicino delle recenti esperienze fatte dagli Stati Uniti in materia, delle critiche che l'applicazione del presente Neutrality Act ha provocato in varii settori di questa opinione pubblica; risponde infine alla duplice preoccupazione del pubblico e del Congresso di non accordare al Presidente eccessiva libertà di azione per condurre il Paese alla guerra, e garantirsi contro le compromissioni verso l'estero.

Dal punto di vista politico e pratico, una eventuale formulazione della legge di neutralità nel senso sopra indicato apre prospettive nuove circa le conseguenze della sua applicazione: tutto il mercato americano rimane aperto a tutti i belligeranti, soltanto alla duplice condizione che paghino in contanti e provvedano con i propri mezzi al trasporto dai porti degli Stati Uniti.

Naturalmente si tratta per ora di propositi dell'Amministrazione, anzi di propositi iniziali e che precedono qualsiasi manifestazione più precisa e diversa di opinione da parte del Congresso, che abborderà soltanto in questi giorni la discussione della questione nei comitati del Senato e della Camera dei Rappresentanti. È infatti da tener presente che la clausola del cash and carry contenuta nel Neutrality A et del l 0 maggio 1937 va a scadere col l o maggio 1939 e quindi prima di tale data occorre in ogni caso provvedere ad una modifica dell'atto o ad una proroga della clausola. Era appunto questa necessità legislativa che ha fatto prevedere per l'inizio della presente sessione parlamentare il ritorno alla ribalta di una discussione generale dell'intero problema di politica interna ed estera connesso con il Neutrality A et.

Le prossime settimane potranno essere indicatrici degli umori del Congresso in argomento e come le eventuali nuove tendenze potranno concretizzarsi.

76 1 Testo in Relazioni Internazionali, pp. 50-52.

77

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, ALL'AMBASCIATORE A BER UNO, ATTOLICO

T. 47/30 R. Roma, 20 gennaio 1939, ore 15.

Tuo 28 1 .

Ringrazia Ribbentrop per sua comunicazione. Confermagli che a mio avviso conviene rimettere ad epoca successiva alla occupazione di Barcellona passi presso Franco relativi eventuale adesione Spagna al Patto Anticomintern.

77 1 Vedi D. 66.

78

IL MINISTRO A BUDAPEST, VINCI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 265/011 R. Budapest, 20 gennaio 1939 (perv. il 23).

Mio telegramma per corriere n. 05 del 15 corr.1 .

È tornato ieri da Berlino il ministro degli Affari esteri conte Csaky2 che sono andato anche io a ricevere alla stazione; egli mi ha subito espresso la sua soddisfazione per le accoglienze avute e per i risultati della sua visita. Stamane mi ha pregato di andare da lui e mi ha lungamente parlato delle sue conversazioni con i principali uomini politici tedeschi e specialmente con Hitler, Ribbentrop e Goring; mi ha detto anche di aver potuto informare il R. Ambasciatore a Berlino soltanto sulle sue prime conversazioni, mentre negli ultimi giorni gli scambi di idee erano stati forse più interessanti.

l) In primo luogo, era sua impressione che la Germania non ha intenzione attualmente di fare la guerra e che anzi vuole la pace; è però, pronta fino all'ultimo uomo, così hanno detto a Csaky tutti gli uomini politici tedeschi, ad appoggiare eventualmente l'Italia ove questa fosse minacciata, così come i tedeschi avevano la certezza assoluta che nel settembre scorso, se fosse stato necessario, l'Italia sarebbe stata a fianco della Germania.

2) Goring gli aveva detto che la Germania voleva che tutti gli Stati Balcanici fossero suoi amici perché «la Germania deve avere la tutela dell'ordine dell'Europa centrale e balcanica, mentre l'Italia ha la tutela dell'ordine nel Mediterraneo; questo compito l'Italia ha difatti con straordinaria efficacia assolto nelle più difficili condizioni ed assolve tuttora».

3) Csaky mi ha detto che i tedeschi non gli avevano chiesto nulla, mentre la stampa tedesca aveva già cominciato a cambiare il suo tono, recentemente molto poco amichevole verso l'Ungheria. Al principio Hitler si era largamente lamentato con Csaky per l'atteggiamento dell'opinione pubblica ungherese; Hitler ha detto che non poteva comprendere come mai l'Ungheria non mostrasse la sua gratitudine verso la Germania, gli ungheresi dovendo rendersi conto che se le frontiere fossero state fissate secondo quanto era stato stabilito a Monaco, cioè dalle quattro Potenze e non soltanto dalle due Potenze dell'Asse, l'Ungheria avrebbe certamente ottenuto molto meno. Hitler ha avuto delle parole molto violente contro l'opposizione ungherese e specialmente contro Bethlen e tutti gli uomini politici tedeschi si sono espressi molto vivacemente contro Kanya. Hitler ha rimproverato a Csaky che dopo Vienna il governo ungherese aveva informato di certe sue intenzioni «altri» senza invece, né informarlo, né nulla chiedere al governo germanico. Csaky mi ha detto che anzi Hitler gli aveva dato dei particolari a questo proposito che egli stesso non conosceva.

4) Senza che siano stati presi accordi di dettaglio e senza che ancora ne sia stata stabilita la forma, l'Ungheria che ha una notevole eccedenza di produzione agricola favorirà il commercio di esportazione specialmente di tali prodotti verso la Germania soprattutto contro forniture militari. Il conte Csaky non mi ha dato dettagli in proposito, dicendo che il ministro Nikl (delegato ungherese per le trattative economiche all'estero) sarebbe andato prossimamente in Germania; ha aggiunto che qualche cosa di analogo la Germania stava trattando anche con l'Italia e che del resto l 'Eccellenza Vostra è al corrente di questi principi, che ora sarebbero applicati.

Ho creduto comprendere che questo è uno degli argomenti più importanti trattati nell'incontro.

Quanto alle forniture militari, avendogli obiettato che molte di esse erano già fatte dall'Italia, mi ha citato il caso dell'aviazione in cui per esempio alcuni tipi saranno continuati ad essere fomiti da noi, altri dalla Germania. (A questo proposito il R. Addetto Aeronautico mi ha detto che si tornerebbe qui ora a parlare della fornitura del nuovo apparecchio da caccia tedesco).

5) Il conte Csaky ha l'impressione che i tedeschi non considerino del tutto chiusa la questione cecoslovacca e che non è improbabile, in progresso di tempo, assistere a nuovi sviluppi della questione, magari in unione con la Polonia e con l'Ungheria. J tedeschi non daranno garanzia per le frontiere cecoslovacche e se Hitler ha dichiarato che all'indomani della Conferenza di Vienna non si poteva risolvere la questione della Russia Subcarpatica come gli ungheresi desideravano, dato il principio etnico che era stato tenuto presente e data la sentenza arbitrale, secondo Csaky la questione rutena non era chiusa. Csaky ha attirato la mia attenzione anche sul recente invito del generale Prchala a Huzst, con lo scopo di verificare e controllare l'operato di Volosin.

6) Hitler e tutti gli uomini politici tedeschi avevano mostrato la loro più grande soddistàzione per l'adesione dell'Ungheria al Patto Anticomintem. Il FUhrer aveva di nuovo chiesto a Csaky quando l'Ungheria avrebbe lasciato la S.d.N. data la ferma intenzione della Germania di continuare ad indebolire la Lega senza darle la possibilità di risorgere, la S.d.N. rappresentando lo spirito di Versaglia ed essendo stata creata per proteggere gli interessi della Francia e dell'Inghilterra. Csaky aveva rinnovato le assicurazioni già date.

7) Come ho telegrafato direttamente a V.E. a Belje (mio telegr. n. l diretto alla R.Legazione a Belgrado e mio telegr. per corriere n. 08) 3 il conte Csaky mi ha poi detto che il governo germanico vede con interesse un riavvicinamento ungaro-jugoslavo ma non mostra lo stesso atteggiamento nei riguardi di un riavvicinamento dell'Ungheria con la Romania. Parlando della Romania i tedeschi gli avevano detto che Re Caro! aveva attribuito la difficoltà di concludere più favorevoli accordi economici con la Germania anche al fatto che l'Ungheria, che possedeva ora tutte le comunicazioni ferroviarie, si trovava sulla strada tra la

Ilo

Romania e la Germania. Alla obiezione tedesca che la Romania avrebbe potuto passare dalla Polonia, Re Caro! avrebbe detto che «anche l'amica Polonia vi avrebbe fatto difficoltà».

A proposito dei rapporti ungaro-romeni, anche in relazione all'attuale viaggio dell'E.V. in Jugoslavia, Csaky mi ha detto che, come aveva già avuto occasione di esporre recentemente all'E.V. a Budapest!, l'Ungheria è disposta nei noti termini ad un accordo con la Jugoslavia sul tipo di quello che la Jugoslavia ha concluso con la Bulgaria5 ; ma escludeva di poter essere disposta a fare altrettanto con la Romania, l'opinione pubblica ungherese essendo decisamente contraria. Egli non avrebbe mai voluto un secondo «accordo di Bled»6 . Mi ha accennato a questo proposito anche al recente articolo di Gayda7 datato da Belgrado alla vigilia della partenza dell'E.V. aggiungendomi che per quanto concerne i rapporti con la Romania egli non poteva condividere le idee che vi erano espresse.

In linea generale egli riteneva che un po' dello spirito della vecchia Vienna stava entrando nelle direttive politiche di Berlino, che sembrava ora riprendere le idee politiche della Ballhausplatz sulle tendenze verso il Mar Nero e l'Egeo; per l'interesse che la Germania annetteva alla Jugoslavia, essa certamente non avrebbe potuto tardare di appoggiarne le tendenze verso Salonicco.

Csaky aveva domandato a Goring quali erano le intenzioni della Germania verso la Croazia ed egli aveva escluso assolutamente che la Germania pensasse ad annetterla, come alcuni croati avrebbero chiesto al governo tedesco. Goring gli aveva detto che la Germania desiderava che tutti gli Stati dell'Europa Centrale e Balcanica si consolidassero nella loro forma politica e consistenza attuale e si mantenessero però in rapporti di amicizia con Berlino. Goring è stato più vago con Csaky a proposito di certi personaggi croati che si trovano in Germania. Dalle varie conversazioni avute a Berlino Csaky ha avuto confermata la sua impressione che Stojadinovié avrebbe allontanato Korosec dal governo per espresso desiderio del governo tedesco.

5 Riferimento al trattato di amicizia tra Bulgaria e Jugoslavia del24 gennaio 1937 (vedi D. 18, nota 2).

6 Vedi D. 9, nota 2.

7 Nell'articolo «Verso l'incontro di Belje» pubblicato su Il Giornale d'Italia del 18 gennaio, Gayda aveva scritto che i rapporti tra Jugoslavia e Ungheria erano avviati «verso una franca e rapida chiarificazione» come era indicato da alcune «significative frasi» dei discorsi che Ciano e Csaky si erano scambiati durante la visita a Budapest del ministro degli Esteri italiano. Italia e Jugoslavia-proseguiva l'articolo --potevano dare, poi, un prezioso contributo per un chiarimento dei rapporti tra Ungheria e Romania, ora che Bucarest, posta di fronte alla minaccia sovietica e con Francia e Gran Bretagna sempre meno presenti, poteva «riconoscere l'opportunità di una sistemazione danubiana e balcanica nel quadro di un'intesa con l'asse Roma-Berlino».

Gayda tornava sullo stesso argomento in un articolo dal titolo «Costruzione dell'Europa danubiana» pubblicato su Il Giornale d'Italia del 20 gennaio. Circa i rapporti tra Ungheria e Jugoslavia, vi si diceva che presto si sarebbe giunti «ad un patto di amicizia e di collaborazione intonato ai principi degli accordi italo-jugoslavi», fondato sul rispetto dei confini e dei diritti delle minoranze magiare. Il problema dei rapporti tra Ungheria e Romania-proseguiva l'articolo-richiedeva agli uomini di Stato buona volontà, coraggio e visioni realistiche del presente e dell'avvenire. «L'Ungheria e la Romania potevano riconoscere direttamente l'utilità di mettere i loro rapporti al riparo dei sommovimenti che si preparavano in Europa».

Nelle varie conversazioni Csaky aveva tratto l'impressione che Ribbentrop godeva attualmente la più grande fiducia del Fiihrer. Era sua impressione che Ribbentrop non teme l'Inghilterra; benché abbia detto il contrario tre o quattro volte e forse proprio perché aveva voluto insistere a ripeterlo, Csaky ha l'impressione che non sia invece analogo il suo sentimento nei riguardi degli Stati Uniti. Csaky ha tenuto a dirmi che le accoglienze avute a Berlino erano state delle più cordiali e che credeva veramente di aver chiarito i malintesi che erano sorti con la Germania. Gli uomini politici tedeschi si erano mostrati con lui anche più cordiali che con lo stesso Daranyi, forse perché sapevano che egli era stato durante i momenti più acuti della crisi un deciso fautore della «maniera forte e della guerra». Ribbentrop gli aveva detto che, se sarà necessario, è pronto a incontrarsi con lui in qualsiasi momento, magari a mezza strada fra Berlino e Budapest, a Monaco o a Salisburgo per fare più presto.

Ribbentrop verrà a caccia in Ungheria verso la fine di marzo.

Il conte Csaky non mi ha fatto parola delle eventuali facilitazioni, specialmente nel campo dell'insegnamento e delle scuole, che a quanto si mormora sarebbero accordate alle minoranze tedesche in Ungheria; e anzi ha insistito col dire che i tedeschi non avevano chiesto nulla agli ungheresi.

Mi riservo di controllare e approfondire questo punto8 e mi riservo pure controllare la voce, che corre qui e che riferisco ad ogni buon fine, secondo cui i tedeschi avrebbero dato assicurazione di un eventuale appoggio per le rivendicazioni ungheresi verso la Romania9 .

9 Secondo quanto risulta dal Diario di Ciano -negli archivi italiani non è stata trovata documentazione in proposito -il 24 gennaio Ciano ebbe un colloquio con il ministro di Ungheria, Villani, che si portò anche sul tema dei rapporti ungaro-romeni: «Colloquio con Villani. Lo metto al corrente di quanto ho fatto a Belgrado, particolarmente in relazione all'Ungheria. Raccomando moderazione nei confronti della Romania. Non capisco come un Paese preoccupato del germanesimo come l'Ungheria non veda tutto il pericolo di accentuare la crisi con la Romania verso la quale possono appuntarsi le più pericolose ambizioni di Berlino. Quale sarebbe la posizione magiara il giorno che dovesse trovarsi i tedeschi anche sulle frontiere della Transilvania?». Sul colloquio si veda anche il resoconto del ministro Villani in DU, vol. III, D. 259.

Due giorni più tardi, il ministro Vinci riferiva che, sulla base dei molti controlli fatti, si era indotti a concludere che effettivamente durante i colloqui di Csaky a Berlino i tedeschi, così come non avevano avanzato richieste in materia di minoranze, si erano astenuti dall'incoraggiare le rivendicazioni ungheresi nei confronti della Romania (T. per corriere 386/015 R. del26 gennaio).

78 1 T. per corriere 215/05 R. del 15 gennaio. Riferiva che il conte Csaky era partito per Berlino. 2 Sulla visita del conte Csaky a Berlino del16-18 gennaio si vedano anche i DD. 68 e 75.

78 3 Le dichiarazioni di Csaky riportate nel paragrafo 7 di questo documento erano state telegrafate dal ministro Vinci alla legazione a Belgrado perché fossero portate a conoscenza di Ciano, allora in visita in Jugoslavia. Di tale comunicazione il ministro Vinci aveva dato notizia al Ministero con il T. per corriere 267/08 R. del20 gennaio qui in riferimento.

78 4 Jn occasione della visita di Ciano in Ungheria del 19-21 dicembre precedente (vedi serie ottava, vol. X, D. 582, nota 1).

78 8 Il ministro Vinci riferiva successivamente di essere tornato sull'argomento con Csaky, il quale gli aveva confermato che durante i suoi colloqui di Berlino nessuno degli esponenti tedeschi, Hitler compreso, aveva avanzato delle richieste circa il trattamento della minoranza tedesca in Ungheria (T. per corriere 305/013 R. del 24 gennaio).

79

L'AMBASCIATORE A VARSAVIA, ARONE, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 202/67. Varsavia, 20 gennaio 1939 (perv. il 23).

L'adesione dell'Ungheria al Patto Anticomintern1 non può dirsi che sia stata accolta con soverchio entusiasmo in Polonia. Malgrado la attitudine di prudente riserbo di questi ambienti responsabili e la reticenza degli organi ufficiosi, non è difficile vedere un malcelato disappunto per la decisone adottata dall'Ungheria, non essendo essa conforme alle vedute di Varsavia in materia.

Da qualche tempo infatti il Patto anticomunista non è qui considerato soltanto quale uno strumento di lotta contro le influenze comuniste dirette dall'U.R.S.S., ma anche come uno strumento politico, nei piani della Germania, diretto contro la Russia. Ciò viene anche messo in relazione con le mire, che qui non si cessa di attribuire alla Germania, dirette a sollevare il movimento per la formazione di una «Grande Ucraina». Si spiega così una certa diffidenza che nell'attuale situazione suscita nelle sfere polacche l'allargamento ad altri Stati del Patto anticomunista. Si è portati acredere che anche la Cecoslovacchia finirà presto o tardi con l'aderire a tale accordo e si teme che pressioni tedesche in tal senso possano essere esercitate prima o poi anche sulla Polonia. A tale riguardo questa stampa non ha passato sotto silenzio una corrispondenza da Berlino al Times secondo la quale von Ribbentrop nella sua visita a Varsavia il 26 corrente terrebbe presente anche questo problema.

Negli ambienti polacchi non manca infine qualcuno che si domanda se non sarebbe convenuto all'Ungheria di valorizzare nei riguardi della Germania la sua adesione al Patto Anticomintern per cercare di attenuare la nota opposizione tedesca alla realizzazione della frontiera comune con la Polonia.

79 1 Preannunciata da Csaky il 12 gennaio. Vedi D. 51, nota l.

80

L'INCARICATO D'AFFARI A WASHINGTON, COSMELLI AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 645/154. Washington, 20 gennaio 1939 (perv. il 4febbraio). Seguito telespresso del 12 corrente, n. 381/791 .

Trasmetto ad ogni buon fine il testo del messaggio sul riarmo inviato al Congresso il 12 corrente dal Presidente Roosevelt2 come da preannuncio datone nel suo messaggio di carattere generale del 4 gennaio3 .

Dopo tanto discutere di astronomiche cifre che sarebbero state dedicate al riarmo, la richiesta del Presidente di 525 milioni di dollari circa, di cui soltanto 21 Oafferenti al bilancio l luglio 1939-1 luglio 1940, sono sembrati quasi modesti. Dal punto di vista tecnico VE. rileverà che il maggiore sforzo punta sull'aviazione. Si parla di 3000 aeroplani che aggiunti ai 3000 già votati, ai 2300, forza bilanciata ordinaria, ma di fatto non esistenti che parzialmente, dovrebbero portare con una certa rapidità le forze aeree, terrestri e navali degli Stati Uniti ad una forza di circa 8000 apparecchi.

Da un esame accurato dell'insieme del cosidetto programma di riarmo quale oggi si presenta sulla base degli elementi concreti, delle proposte e delle cifre di spesa, appare esagerato il clamore a base, come sempre, sensazionale di tempo addietro, come esagerata appare l'impressione attuale che si sia finito per passare a meno di un programma minimo. Bisogna dire che l'Amministrazione procede con maggiore calma e serietà di quanto non ne dimostrino i circoli politici e la stampa. Può darsi che le nebulose e talvolta astronomiche cifre di tempo addietro siano state lanciate appositamente dall'Amministrazione e dagli interessati, come alcuni dicono, non solo per saggiare l'umore del pubblico e del Congresso, ma come fumogeno per nascondere il programma vero che sarebbe per naturale reazione apparso di molto inferiore al previsto e pertanto di più facile varo. Può anche darsi che elementi vicini al governo, e sopratutto gli esponenti più accesi del New Dea!, si fossero gettati sul programma di riarmo come su un utile mezzo per combattere la depressione e la disoccupazione e sostenere le pericolanti sorti della Works Progress Administration, mentre sarebbe poi prevalso il criterio prettamente tecnico militare di limitare il programma a quello ritenuto dai competenti militari come utile e necessario. Sfrondato tuttavia dei soliti elementi di sensazionalità e di colore, il programma di riarmo appare procedere organico e ponderato.

Come ho accennato in precedenti rapporti, le costruzioni navali, già votate l'anno scorso, con le integrazioni successive, procedono con il ritmo consentito dagli impianti in essere e che anzi è inferiore al previsto e vi si sta rimediando. Per la parte

2 Non pubblicato. 3 Su di esso si veda il D. 76.

aerea si crea per la prima volta una vera e propria aviazione militare, dato che fino adesso poco più di 2000 apparecchi di cui solo un numero ridotto esistenti ed in servizio, con ridotto personale, scarse riserve istruite, inesistenti difese antiaeree, modeste installazioni militari, erano una forza sproporzionata al potenziale politico ed economico americano ed alla estensione territoriale del Paese.

Per la parte esercito, tenuto conto della limitatezza delle organizzazioni esistenti e della scarsità del materiale e delle riserve di munizionamento, non si provvede che alle necessità più urgenti.

A complemento poi delle misure più specifiche nel campo navale, terrestre ed aereo, un insieme cospicuo di mezzi dedicati al rafforzamento della difesa costiera, della zona del canale di Panamà, del sistema di basi. Dal quadro di tale programma che d'altra parte sarà spaziato in un certo numero di anni, si possono già trarre alcune deduzioni.

In primo luogo l'opinione pubblica è più consenziente di quanto alcuni si attendessero e di quanto non fosse certamente anni addietro all'idea che gli Stati Uniti debbano essere forti militarmente, in misura più proporzionale alla propria potenza ed economia.

In secondo luogo, malgrado le tante mormorazioni, il programma non presenta caratteri che svelino la intenzione di divenire direttamente complementari ed integratori delle forze militari di altri Paesi, e, secondo la terminologia corrente, dei Paesi democratici come la Gran Bretagna e la Francia. Evidentemente la esistenza di una forza militare a disposizione di un governo, di un Paese, rende impossibile la sua consociazione con le forze militari di altri Paesi, ove la coincidenza degli interessi politici conduca fino ad una cooperazione militare. Ma nessuna voce si è levata, anche dai più esaltati estremisti, per additare al rafforzamento militare degli Stati Uniti il compito di una diretta cooperazione con Paesi stranieri. Se se ne addita una funzione antigermanica, non è già per amore della Francia e dell'Inghilterra, ma perché si reputa che la Germania minacci interessi americani. Ciò dimostra la esistenza delle fondamentali concezioni autonomiste, isolazioniste, anche se oggi si tratterà di isolazionismo armato.

D'altra parte l'esame del programma di riarmo mostra anche la sua tendenza ad un rafforzamento di difesa. Esso tende a creare delle condizioni di maggiore sicurezza per ogni eventualità, trascurando le possibilità di interventi militari terrestri extra-continenta

li. È anzi forse questo carattere marcatamente difensivo che rende più facile la sua approvazione dal Congresso e meno ostico al pubblico la prospettiva di pagame il costo.

Malgrado quindi certe apparenze verbali e polemiche, anche dopo il messaggio del 4 gennaio, le impressioni generali qui prevalenti sono per una cauta politica di tutela di interessi strettamente americani meglio garantiti da Forze Armate proporzionate.

Le voci così pessimiste che circolano qui sull'Europa, talvolta con attribuzioni a personalità di primo piano, come è accaduto recentemente per le presunte dichiarazioni degli Ambasciatori d'America a Parigi e Londra Bullitt e Kennedy4, e che in complesso scontano per quasi inevitabile in primavera un conflitto europeo, non fanno che rafforzare la persuasione sulla necessità di essere pronti, per la tutela degli

interessi americani che fossero minacciati e non essere presi alla sprovvista come, ha anche ammonito il Presidente Roosevelt, è accaduto nel 1917.

Da osservare sotto questo aspetto anche la circostanza tuttavia che il programma americano ha una sua gradualità e almeno per ora non sconta, e del resto non so se sarebbe possibile, alcuna accelerazione in vista di interventi prevedibi1i.

80 1 Nel tracciare un quadro degli orientamenti politici all'interno degli Stati Uniti, l'incaricato d'affari, Cosmelli, aveva osservato, per quanto concerneva la politica estera, che il Presidente Roosevelt «si è ben guardato dal parlare di fronte unico con Potenze europee ed ha piuttosto asstmto una forma di rivendicazione autonoma americana dei principi democratici facendoli coincidere, non solo con un interesse americano, ma anche di difesa contro una presunta minaccia all'America da parte soprattutto della Germania, del resto mai nominata».

80 4 Vedi D. 41.

81

IL MINISTRO A BUCAREST, GRIGI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

RAPPORTO 255/110. Bucarest, 20 gennaio 1939 (perv. il 7 febbraio ? ).

In questi giorni ho avuto frequenti occasioni sociali di incontrare questo Ministro degli Affari Esteri il quale non ha mai mancato di approfittarne per intrattenersi meco circa la situazione internazionale e per manifestarmi le sue apprensioni e le sue speranze, apprensioni che attraverso ogni cortesia di forma e il massimo riguardo ed ogni considerazione per la Germania e per l'Asse, tendono a concentrarsi a Berlino; speranze che, almeno nelle conversazioni di Gafencu con me, si rivolgono calorosamente a Roma.

I timori che la nuova Germania, ingrandita di territori danubiani e protesa verso l'oriente europeo, suscita in questo Paese, sono ben noti a Vostra Eccellenza.

La Romania teme che Berlino sospinga l'Ungheria a precise rivendicazioni territoriali e la sostenga fortemente nella loro realizzazione; teme che gli asseriti progetti di far sorgere uno Stato ucraino, attraverso la Slovacchia, sotto l'egida tedesca, si traducano in realtà e per la minor resistenza offerta dalla Romania siano destinati a trovare proprio in Bucovina e in Bessarabia la loro prima realizzazione; teme infine, a prescindere da minacce d'ordine territoriale, di trovarsi isolata di fronte alla straripante potenza politica ed economica del Reich e di finire con l'essere politicamente ed economicamente asservita.

Sulle speranze, che -nell'ambito della bilateralità o pluralità dell'orientamento politico romeno -si rivolgono oggi a Roma, ho riferito di recente ali 'Eccellenza Vostra1 . E il signor Gafencu mostra di seguire con particolare attenzione ed interessamento ogni indicazione relativa all'atteggiamento italiano nei confronti della Romania. In modo particolare egli mi ha manifestato il suo vivo compiacimento per una recente comunicazione al signor Zamfirescu, relativa ad una conversazione da lui avuta con Vostra Eccellenza, aggiungendo che il Re Caro! da lui subito informato, ne era stato anch'Egli particolarmente lieto.

Accanto all'azione diretta a riavvicinarsi a Roma, il signor Gafencu continua d'altra parte ad affermarsi desideroso di svolgerne una parallela nei riguardi di Berlino. I rapporti del Reich con la Romania, per quanto possa giudicare, sono entrati in una fase meno

acuta, e non è forse del tutto senza significato il fatto che le minoranze tedesche siano entrate in blocco per prime nel Fronte per la Rinascita Nazionale. Ma l'atteggiamento del governo del Reich è ancora molto riservato e desta qui preoccupazioni. Dal punto di vista formale le rispettive Rappresentanze diplomatiche permangono sprovviste dei titolari i quali sono ambedue ufficialmente in congedo. Sembra, è vero, che il Ministro tedesco Fabricius debba rientrare qui fra breve, ma non si sa se sia per restare o meno. Per parte sua questo Ministro degli Esteri si propone di destinare ad altra Sede, probabilmente ad una delle ambasciate di nuova costituzione, il signor Djuvara, e di sostituir! o a Berlino col signor Crutzescu suo amico personale e uomo di sua particolare fiducia.

Circa infine i rapporti con l'Ungheria, non ho appreso nulla di particolare dopo quanto ho riferito col mio telegramma per corriere n. 02 del 13 gennaio2 . Parlandomi della visita a Berlino del Conte Csaky da lui seguita in questi giorni con una certa apprensione, il signor Gafencu si mostrava ieri relativamente se pur ... provvisoriamente, sollevato nel constatare che l'incontro si è concluso senza manifestazioni, almeno ufficiali o palesi, che indichino incoraggiamento germanico alle aspirazioni revisionistiche ungheresi.

Intanto le minoranze magiare sono entrate anch'esse in blocco nel Fronte per la Rinascita Nazionale, e tale avvenimento, se non vi si può attribuire, almeno allo stato delle cose, un valore particolare nel senso di una distensione della situazione, ne ha però almeno uno, dirò così, negativo, in quanto il mancato accoglimento delle organizzazioni ungheresi o il loro rifiuto di entrare nel Fronte, avrebbero certo avuto ripercussioni di notevole gravità.

Ho chiesto a tale proposito l'avviso del mio collega di Ungheria3 il quale non mi ha taciuto il suo scetticismo e il suo timore che la pratica applicazione delle disposizioni relative alle minoranze continuerà ad essere in contrasto con i testi scritti e con i propositi ufficialmente affermati. Egli ha bensì una alta opinione del signor Gafencu, e lo ritiene seriamente animato da buone intenzioni nei riguardi ungheresi, ma dubita che egli abbia sul Re e sul Ministro degli Interni, Calinescu, l'autorità e l'influenza necessarie per tradurre in pratica tali disposizioni di fronte ad una situazione di cose che richiederebbe, a suo avviso, anzitutto coraggioso riconoscimento degli errori passati e risoluto inizio di una politica minoritaria completamente mutata.

3 Ladislas de Bardossy.

82.

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. S.N.D. URGENTE 901/36 P.R. Berlino, 21 gennaio 19 3 9, ore 14,02 (perv. ore 15, 15). Telegramma di V. E. n. 51• Per Gabinetto.

Fino a questo momento non è giunta da Tokio alcuna precisazione circa approvazione progetto e quindi data eventuale. Questo mio collega giapponese sollecita in tutti i modi. Tuttavia, date difficoltà di carattere costituzionale, non sarebbe da escludere un qualche ritardo. Qui, come V.E. conosce, tutto, d'accordo con noi, sarebbe pronto e non si attende, ripeto, che risposta di Tokio per concretare ulteriori dettagli.

81 1 Vedi DD. 9 e 45.

81 2 T. per corriere 184/02 R. dell3 gennaio. Riferiva di avere appreso da Gafencu che il governo romeno aveva fatto un passo a Budapest per esprimere il suo desiderio di giungere ad un accordo tra i due Paesi ma che Csaky si era mostrato piuttosto riservato, esprimendo la preoccupazione che eventuali intese potessero dare l'impressione di voler creare un blocco e dispiacere a Roma e Berlino.

83

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. SEGRETO 565/164. Berlino, 21 gennaio 1939 (perv. il 24).

Ho avuto sulle dimissioni di Schacht1 delle notizie riservate che, data la assoluta serietà della fonte, credo doveroso riferire alla E.V.

Un altissimo funzionario dello Stato, parlando ieri sera con me presso comuni amici, mentre mi ha confermato le premesse dell'avvenimento (dissensi di metodi e di concezioni, etc.) mi ha detto che il fatto specifico che avrebbe fatto traboccare il vaso sarebbe l'ammonimento fatto da Schacht nell'atto in cui egli forniva i fondi per i bisogni correnti dello Stato per l'ultima decade che-continuando le cose di questo passo -egli non sarebbe stato più in grado di fare fronte alle richieste avvenire, tanto più che-egli presidente-si sarebbe rifiutato di ricorrere al comodo sistema della stampa di biglietti.

Avendo avuto occasione di vedere io stesso il dottor Schacht proprio oggi, ho voluto domandargli quale fondamento avessero le informazioni di cui sopra. Il dottor Schacht non le ha, né confermate, né negate; ha però detto che le ragioni vere del suo allontanamento vanno ricercate in cause ancora più generali e cioè nella lotta da lui sostenuta per tutto un nuovo programma economico-politico tedesco.

Or non è molto egli aveva esposto questo suo programma al Fuhrer per iscritto, auspicando un ragionevole allentamento del piano di autarchia, una ripresa di contatti

economico-finanziari con l'estero, ed anzi una tregua economica di qualche anno e ciò naturalmente entro un quadro di politica estera essenzialmente e patentemente pacifica, tale da poter convincere i circoli esteri delle vere intenzioni della Germania. In questo programma il dottor Schacht insisteva ritenendo dall'altra parte indispensabile sollevare il popolo tedesco da una tensione così continua da divenir ormai intollerabile. In caso di guerra. ammoniva il Presidente della Reichsbank, la Germania nazionalsocialista anziché trovarsi ad avere i sentimenti e la psicologia dell'anno 1914. si sarebbe trovata ad avere quella del 1917-1918.

Orbene, questo piano, pur patrocinato o almeno non ostacolato da Goring, non avrebbe, specie per quanto riguarda il programma di ricostruzione autartica della Germania che a detta di Schacht sta inghiottendo miliardi a non finire, non avrebbe incontrato l'assentimento del Ftihrer il quale si è perciò deciso a sostituime senz'altro il suo autore. Questi teneva a sottolineare non trattarsi affatto di dimissioni ma di vero e proprio allontanamento. Egli escludeva pure, ripeto, qualsiasi contrasto od incompatibilità fondamentale con Goring, il quale tuttavia, messo di fronte ad un preciso volere del Ftihrer, non esitava naturalmente ad inchinarsi.

Contemporaneamente alla nomina di Funk a Presidente della Reichsbank è stata annunziata la nomina di Brinkmann a Vice Presidente. Si tratta di un antidoto, Brinkmann essendo l 'uomo di Schacht e per quanto ora Segretario di Stato al Ministero dell'Economia, provenendo originalmente dalla Reichsbank. Posso anche aggiungere che lo stesso Funk. che pure ho visto oggi stesso. è tutt'altro che entusiasta della sua nuova nomina: ne sembra anzi preoccupatissimo.

A parte il valore anedottico di tutto quanto ho riferito, si deve concludere che il complesso della situazione che ne emerge è tutt'altro che incoraggiante e costituisce la conferma del penoso disagio in questo momento traversato dalle finanze tedesche.

È da notare che in una conferenza tenuta appena tre giorni or sono, il Ministro delle Finanze, Conte Schwerin von Krosigk, uomo anche egli della vecchia scuola, ha rivolto un severo monito a chi di dovere, richiamando tutti ali' osservanza dei sani principi economici che consigliano di coprire le spese unicamente coi mezzi correnti provenienti dalle imposte, od eventualmente dai prestiti, anziché coi numerosi ripieghi ora di uso normale nelle finanze tedesche. Egli aveva terminato invitando il popolo tedesco alla più stretta economia. Anche la posizione dello Schwerin von Krosigk si ritiene pertanto scossa.

Intanto si riparla dell'imminente applicazione di un prelevamento sul reddito, con modalità ancora da studiare, prelevamento che verrebbe coperto dalla denominazione di «Offerta del sacrificio per la Grande Germania»2•

84.

L'AMBASCIATORE A PARIGI, GUARIGLIA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 496/218. Parigi, 21 gennaio 19391•

Credo superfluo riferire a V.E., giacché dal quotidiano servizio Stampa di questa Ambasciata appare evidente, che l'irritazione dell'opinione pubblica francese contro di noi si è elevata in questi ultimi giorni a un diapason che da molti anni non era stato più raggiunto.

L'articolo del Tevere2 diffuso da questa stampa con la solita malafede, cioè senza menzionare che «io sputo sulla Francia» era la meritata risposta alle ingiurie rivolte dall'Ordre e dal Paris-Midi all'Esercito e alla Marina italiana, ha fatto imbestialire tutti i francesi. Non sono state neanche pubblicate le sdegnose risposte dei nostri combattenti al vigliacco insulto del Guyot, e così il gran pubblico francese è rimasto perfettamente convinto che noi tutti siamo stati presi ali' improvviso da un inspiegabile furore sadico di sputacchiare la Francia, la povera Francia che si era mostrata sempre tanto amica de li 'Italia e che tanto ci aveva aiutato in tutte le epoche della nostra storia.

Per la verità debbo dire che il solo giornalista che abbia messo in rapporto gli insulti dell'Ordre e del Paris-Midi con l'articolo del Tevere è stato il famigerato Sauerwein. Ma lo ha fatto alla fine di un lungo articolo che pochi hanno letto.

Ad ogni modo la realtà è che la massima parte dei francesi crede ora che fra l'Italia e la Francia è in giuoco l'onore nazionale. È un pericoloso tasto che i bellicisti toccano con gioia e con impegno perché così riescono a staccare da noi gli elementi amici o suscettibili di esserlo e fanno uscire dall'equivoco le destre, tradizionalmente sospettose e gelose di qualsiasi progresso italiano ed ancorate tuttora alle stesse concezioni che contrastarono in ogni momento la politica di Napoleone 111°.

La preparazione dell'opinione pubblica in senso antitaliano, la creazione di un'atmosfera a noi compattamente ostile può dunque dirsi compiuta con lo spunto preso dalla nota manifestazione alla Camera Fascista3 .

Quest'opera in cui si sono dati la mano governo e stampa, è stata facilitata da due fattori di carattere generale:

l) la perdurante mancanza di ciò che chiamerei «rispetto militare» dei francesi nei riguardi dell'Italia, mancanza oramai di vecchissima data e che deriva da una sottovalutazione dello spirito italiano tenacemente approfonditasi in questo Paese conservatore di opinioni come di ricchezze;

2) la convinzione che. malgrado il fiancheggiamento della stampa tedesca. la Germania non abbia l'intenzione di spingere fino in fondo il suo appoggio alle rivendicazioni italiane.

2 Si riferisce all'articolo «Francia da sputi» pubblicato ne Il Tevere, il 13-14 gennaio 1939. Come risulta da un'annotazione del Diario di Ciano (sotto la data del 14 gennaio), l'articolo era stato ispirato da Mussolini.

3 Del 30 novembre 1938.

Con tali premesse sembra ai francesi, qualunque sia il loro credo politico, che il momento si presenta favorevole per prendersi a nostre spese una rivincita di Monaco procurandosi un successo di politica estera che possa segnare in tutti i campi la ripresa dell'attività nazionale ed internazionale del Paese. La politica estera è dunque ora di moda a Parigi, e l'affare spagnuolo ne costituisce un'altra importante variazione. Il governo si trincera dietro argomenti di politica estera e ne fomenta la discussione in tutti gli ambienti e in tutte le occasioni, giacché è sicuro di poter trame sempre un motivo di proprio rafforzamento mettendo a tacere le questioni di politica interna.

Nulla di più significativo e forse anche di più ridicolo che il processo per calunnia intentato al deputato comunista Marty. All'udienza i testimoni d'accusa, tutte personalità di destra o di falsa sinistra, invece di attenersi ai limiti del processo, non hanno fatto altro che dimostrare la necessità dell'invio di un Ambasciatore francese a Burgos. Il Generale Duval, quello stesso del noto libro edito da Plon4 , ha creduto perfino di dover spiegare al Presidente del Tribunale che un tale invio era anche giustificato dal fatto che le truppe italiane erano antipatiche agli spagnuoli, mentre il deputato Montigny, senza che nessuno ne lo avesse pregato, ha riferito al Tribunale che anche l'Ambasciatore H erbette, uomo di sinistra, era d'opinione che si dovessero prendere contatti con la Spagna nazionalista.

Per quanto concerne il punto primo da me citato, cioè la scarsa considerazione militare nei riguardi del nostro Paese, attiro l'attenzione sugli articoli del Paris-Soir di René Maine, il quale vuole dimostrare che, malgrado il nostro attrezzamento bellico imponente, ciò che ci rende impossibile di condurre una qualsiasi guerra anche con una Francia isolata è la mancanza di petrolio e di oro per gli acquisti da fare dopo l'esaurimento degli scarsi stocks esistenti in Italia.

Altre considerazioni diffuse negli alti ambienti militari sono quelle esposte dal

R. Addetto Navale e che ampiamente ho riassunto a V.E. col mio rapporto n. 343/155 in data 14 corrente5 circa la possibilità di un'offensiva francese contro la Libia, data la diminuita importanza dei trasporti di truppe francesi dall'Africa del Nord alla metropoli.

Per quanto riguarda il secondo punto e cioè l'atteggiamento della Germania, aggiungerò che le persone più intelligenti in fatto di politica non mancano di riconoscere che ove noi entrassimo realmente in guerra con la Francia, la Germania non potrebbe fare a meno di sostenerci e di entrare in guerra al nostro fianco, non già per salvaguardare interessi italiani, ma perché il prestigio e gli stessi interessi tedeschi sarebbero minacciati da una guerra isolata tra l 'Italia e la Francia qualunque ne potesse essere l'esito. In altri termini, si riconosce che la Germania verso di noi si troverebbe nelle stesse condizioni in cui si trovò l 'Inghilterra nel 1914 verso la Francia, per cui dovrebbe o prima o poi marciare con l'Italia. Però non si crede che la Germania voglia favorire una tensione estrema dei rapporti italo-francesi appunto perché l'esasperazione di una siffatta tensione potrebbe determinare per essa Germania l 'inevitabilità della guerra.

5 Non rintracciato.

Per queste e per l'altra principale ragione che una eventuale ripetizione della crisi di settembre si eserciterebbe non più a danno di un quinto, ma di uno dei quattro, cioè la Francia, è da aspettarsi che le resistenze francesi nei riguardi delle rivendicazioni italiane saranno forti e decise, tanto da poter indurre eventualmente questo Paese a mettersi su di una via pericolosa6 .

82 1 Con T. s.n.d. 895/5 P.R. del 20 gennaio, Anfuso aveva telegrafato: «S.E. il Ministro mi telegrafa da Belgrado che desidera sapere d'urgenza se vi sono notizie circa data nota questione. Prego mettermi in grado di rispondere».

83 1 Schacht aveva presentato le sue dimissioni da presidente della Reichsbank il 20 gennaio, sostituito dal ministro dell'Economia, Funk.

83 2 Il documento ha il visto di Musso lini.

84 1 Manca l'indicazione della data di arrivo.

84 4 GÉNERAL DUVAL, Les leçons de la guerre d'Espagne, Parigi, Plon, 1938.

85

IL CONSOLE LANZA D'AJETA AL CAPO DI GABINETTO, ANFUSO

T. 260/3 R. Belgrado, 22 gennaio 1939, ore 22 (perv. ore 23,15 ).

Sua Eccellenza il Ministro, in relazione comunicato conclusivo conversazioni itala-jugoslave ha telegrafato quanto segue a Budapest:

«Mi riferisco al fonogramma odierno col quale vi ho dato comunicazione del comunicato conclusivo delle mie conversazioni col Capo del governo jugoslavo, che sarà dato alla stampa stasera alle sei2 .

Mettetevi subito in rapporto con Csaky e fate rilevare a mio nome la parte di detto comunicato che riguarda Ungheria. Comunicato parla di "recenti manifestazioni di Paesi vicini della Jugoslavia (Ungheria) che hanno trovato a Belgrado favorevoli ripercussioni". A V.S. non sfugge importanza questa dichiarazione in connessione con mia recente visita a Budapest3 .

Qui non si era ancora pronti a parlare di "favorevoli ripercussioni".

Si trovano insufficienti le dichiarazioni fatte finora da parte ungherese e lo si è fatto soprattutto per deferenza alla mia richiesta e per dare prova di buona volontà. Occorre ora che codesta stampa rilevi e commenti favorevolmente questa parte del comunicato (come pure la parte che riguarda l'asse Roma-Berlino e i riferimenti "all'ordine"), nell'attesa che codesto governo trovi l'occasione per rilevare esso pure simpaticamente la cosa; e si regoli in conseguenza nei suoi contatti con codesto governo. Telegrafate4».

2 Il testo del comunicato è in Relazioni Internazionali, p. 64.

3 Del 19-22 dicembre 1938. Vedi serie ottava, voi X, D. 582, nota l.

4 Si veda per il seguito il D. 86.

84 6 Il documento ha il visto di Musso lini.

85 1 Il console Lanza d' Ajeta si trovava a Belgrado al seguito di Ciano che dal 19 al 23 gennaio era in visita ufficiale in Jugoslavia (vedi D. 90).

86

IL MINISTRO A BUDAPEST, VINCI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 261/23 R. Budapest, 23 gennaio 1939, ore 2,40 (perv. ore 5 ).

Telegramma di VE. n. 3 odierno da Belje 1•

Ministro degli Affari esteri mi ha detto oggi che darà istruzioni alla stampa secondo il desiderio dell'E.V. Giovedì prossimo alla commissione per gli Affari Esteri in una dettagliata esposizione su stato attuale politica estera farà delle dichiarazioni effettivi favorevoli risultati viaggio dell'E.V. a Belgrado 2 , nuova tappa nelle relazioni fra i due Paesi, rilevando importanza funzione del patto italo-jugoslavo3 accanto asse Roma-Berlino, riconoscendo successo della politica di Stojadinovié. Mentre discorso sarà tenuto segreto, tale parte però apparirà anche nel comunicato alla stampa.

Riferisco dettagliatamente per corriere. Ministro degli Affari Esteri mi ha detto, però, di non aver fiducia nella possibilità di raggiungere gli sperati accordi con la Jugoslavia, dato che, secondo lui, principe Paolo avrebbe, su istanza di Re Carol, influenzato Stojadinovié per non addivenire ad accordi con Ungheria all'infuori della Romania. Secondo Csàky tale opinione sarebbe condivisa anche dalla Germania.

87

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 278/016 R. Berlino, 23 gennaio 1939 (perv. il 24).

Ribbentrop essendo stato occupato con Chvalkovsky 1 , ho fatto la comunicazione di cui a telegramma V. E. n. 30 del20 corrente2 al barone von Weizsacker.

Nell'occasione, questi mi ha comunicato, con preghiera di informare VE., che l'ambasciatore tedesco a Burgos aveva~ dichiarando di parlare a nome proprio e non a quello del suo governo ~fatto in una sua recente conversazione con il ministro degli Affari Esteri spagnolo un vago accenno alla possibilità di una adesione del governo franchista al Patto Anticomintern e che il signor Jordana aveva risposto la cosa parergli degna di considerazione, riservandosi di riparlarne prossimamente.

2 Del 19-23 gennaio. Vedi D. 90.

1 Riferimento agli accordi italo-jugoslavi del25 marzo 1937. Testo in serie ottava, vol. VI, D. 340.

2 Vedi D. 77.

86 1 Vedi D. 85.

87 1 In visita a Berlino il22-23 gennaio (vedi DD. 89 e 94).

88

L'AMBASCIATORE A SALAMANCA, VIOLA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 307/05 R. San Sebastiano, 23 gennaio 1939 (perv. il 26).

Da ieri corre insistentemente la voce che governo Barcellona si arrenderebbe non appena sia nota la prevista decisione francese di astensione dall'intervento in Catalogna.

Questi circoli ufficiali non si nascondono che, se tale soluzione non totalitaria rappresenterebbe una logica e vantaggiosa via d'uscita per i rossi, essa invece non sarebbe conveniente per la causa nazionale; ciò sopratutto nei suoi effetti sull'avvenire, perché favorirebbe il temuto «slittamento delle due Spagne» l'una verso l'altra. Perciò si cerca di accelerare al massimo il ritmo dell'avanzata. Se i rossi intendono opporre ancora una resistenza, ciò ormai sembra soltanto possibile nella stessa Barcellona; ma Franco vuole assolutamente evitare -come egli stesso mi ha dichiarato la battaglia nelle vie di Barcellona, sia per risparmiare la città e la popolazione, sia per non consentire al nemico la possibilità di una resistenza a sfondo eroico e drammatico che avrebbe ripercussioni patetiche presso le varie democrazie del mondo e costituirebbe comunque un elemento storico all'attivo dei rossi.

Intendimento di Franco-nel caso di una estrema resistenza-è quello di isolare completamente la città e costringerla a cadere per manovra. Intanto il governo ha già predisposto l'organizzazione politico-amministrativa della città designando a governatore militare il generale Alvarez Arenas, attuale sottosegretario di Orden Publico; ad alcalde Mateu, noto industriale e proprietario del Diario de Cataluiia; a presidente della Deputazione Milà y Camps, conde de Montseny (che già coprì tale carica sotto la dittatura di Primo de Rivera). In relazione con l'accennata organizzazione il ministro de Gobernaciòn, Serrano Sufier, si è recato a Tarragona.

89

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 599/177. Berlino, 23 gennaio 1939 (perv. il 25).

Ho assunto delle informazioni preliminari sulla visita a Berlino del Ministro degli Esteri cecoslovacco Chvalkovsky, avvenuta sabato 1• Come avevo preannunciato, essa è stata brevissima e si è svolta dalla mattina alla sera. Ha dato luogo ad una conversazione Ribbentrop-Chvalkovsky2 la mattina e

2 Vedi DDT, vol. IV, D. 159.

Hitler-Chvalkovsky3 nel pomeriggio, seguite da altri colloqui minori ChvalkovskyWeizsacker e Chvalkovsky-Ritter.

L'atmosfera nella quale le conversazioni si sono svolte non è stata delle più incoraggianti. Già fin dalla sera prima, sulla stampa tedesca era apparso qualche attacco molto vivace contro la Cecoslovacchia, alla quale sia il Berliner Tageblatt sia altri quotidiani rimproveravano di permettere la rinascita di quel patriottismo di marca ceca e di quella mentalità aggressiva ed antitedesca che il Reich aveva avuto motivo di lamentare in passato.

Effettivamente qui si è convinti, anche per informazioni evidentemente provenienti dalla Legazione tedesca a Praga, che l'antico elemento facente capo alla coalizione Bendi non ha deposto le armi e che anzi, dopo essersi piegato ed appiattato sotto il peso della raffica settembrina, abbia, a raffica passata, rialzato alquanto la testa. È appunto questa convinzione che ha dominato le conversazioni di sabato, nelle quali, più che mettere avanti delle proposte e domande costruttive così nel campo politico come in quello economico e finanziario, sono state piuttosto da parte tedesca enunciate delle lagnanze e fatta presente l'opportunità di portarvi un rimedio il più possibile pronto ed efficace.

Una delle esortazioni più forti e vivaci fatte dal Fiihrer a Chvalkovsky (la cui conversazione con Hitler si è risolta ad un semplice soliloquio -spesso assumente le forme di requisitoria -del primo) è stata quella di attivare la politica antiebraica. Sopra questo punto il Fiihrer ha insistito moltissimo. Egli ha infatti riconnesso l'attività ora svolta ai danni della Germania in America dall'antico Ministro cecoslovacco a Londra Masarik, con l'azione ebraica svolgentesi sia fuori sia dentro la Cecoslovacchia e ha fatto capire a Chvalkovsky l'urgenza di liquidare tutto questo.

Da parte tedesca è stato anche lamentato il trattamento fatto alle minoranze tedesche in Cecoslovacchia. Sembra che l'elemento di origine tedesca sia, nella vicina Repubblica, francamente boicottato. Uno degli esempi maggiori in questo senso sarebbe costituito dalla Skoda che, mentre da una parte sollecita delle ordinazioni e degli affari col governo tedesco, dall'altra manda via tutti gli impiegati e lavoranti di razza tedesca. Un trattamento di sfavore contro i Tedeschi sarebbe anche usato nell'Università di Praga, mentre d'altra parte si lamenterebbe un misconoscimento degli interessi culturali generali della Germania nelle scuole del Paese.

Uno speciale avvertimento sarebbe pure stato fatto al Chvalkovsky per quanto riguarda la Rutenia, invitando la Cecoslovacchia a mettere, un poco d'ordine in quelle regioni, ove sembrano accadere ogni momento incidenti di tutte le specie.

Ancora qualche giorno fa la popolazione locale sarebbe arrivata a volere interrompere il movimento sulle strade di grande traffico in Rutenia, tanto che era stato chiesto l'aiuto e l'intervento (con invio di camions, etc.) del governo tedesco, il quale naturalmente si è rifiutato di darlo.

Un accenno alla «garanzia internazionale» fatto da Chvalkovsky, è stato da parte tedesca lasciato nettamente cadere. In sostanza si è voluto, in questa visita, definita «visita di lavoro», dare a Chvalkovsky la chiara impressione che, per mettere sopra una base veramente amichevole e

definitiva i rapporti ceco-tedeschi, ancora molta via rimane da percorrere e che egli deve fare capire al proprio governo che questa via va percorsa presto. Ribbentrop si augura che ciò sia stato ben capito dalla Cecoslovacchia, e sarebbe anzi molto lieto di conoscere a suo tempo le impressioni riportate al riguardo dal nostro Ministro a Praga.

Particolare interessante. Ribbentrop non è andato a ricevere Chvalkovsky alla stazione come non è andato ad accompagnarlo. Informazioni ulteriori circa le conversazioni di sabato assumerò anche attraverso il Ministro Mastny4.

Chvalkovsky e Ribbentrop sono tuttavia rimasti d'accordo che conviene accelerare lo svolgimento delle trattative economiche ora in corso tra i due Paesi. Il Ministro del Commercio cecoslovacco è atteso quanto prima allo scopo a Berlino5 .

89 1 21 gennaio.

89 1 Vedi ibid., D. 158.

90

PROMEMORIA DEL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, SUL VIAGGIO IN JUGOSLAVIA DEL 18-23 GENNAIO 1939

In primo luogo desidero mettere in rilievo le eccezionalmente cordiali accoglienze ricevute in Jugoslavia sia da parte delle gerarchie come da parte della massa popolare. Mentre in occasione del mio primo viaggio del 19372 il ricevimento ufficiale contrastava singolarmente col gelido contegno del popolo, adesso l'atteggiamento della folla è apparso del tutto identico a quello del governo. Ovunque sono state rivolte calorose manifestazioni all'Italia e al Duce: in nessun Paese, compresa l'Ungheria dopo l'Arbitrato di Vienna, ho sentito scandire con tanta frequenza e con tanto calore il nome del Duce

Situazione interna. Ho parlato a lungo col Presidente Stojadinovié circa la situazione interna del Paese in considerazione anche delle molte voci allarmistiche ditiuse particolarmente dalla stampa francese. Stojadinovié ha dichiarato di essere assolutamente tranquillo circa la situazione interna e la sua posizione personale. È vero che le elezioni, fatte da Korosec con un sistema di esagerata, incomprensibile ed ingiustificata libertà, hanno dato dei risultati notevoli in tàvore delle opposizioni, ma bisogna tener presente che immediatamente dopo la votazione le opposizioni stesse si sono scisse nei 17 gruppi che le compongono, mentre gli elettori di Stojadinovié si raggruppano in un Partito unico che trova la sua maggiore forza nella vecchia Serbia e negli elementi più battaglieri e più decisi della gioventù nazionalista.

La questione croata esiste ed è di natura tale da non poter venire risolta in breve giro di tempo. Soltanto gli anni ed il succedersi delle generazioni potranno modificare uno stato di fatto che richiama alla mente l'attrito che per lungo tempo è esistito

89 ~ Vedi D. l 05. 5 Sulla visita di Chvalkovsky a Berlino si veda anche quanto riferiva il ministro Fransoni (D. 94). 90 1 Ed. in L "Europa verso la catastrofe, pp. 405-412. è Per la firma del Trattato di amicizia itala-jugoslavo del 25 marzo.

fra Prussia e Baviera, tra nord e sud d'Italia. Comunque Stojadinovié è convinto che nell'attuale situazione parlamentare, che gli consente un'assoluta libertà di azione, potrà prendere provvedimenti atti a migliorare anche questa situazione. Egli procede con la più grande energia alla costituzione e alla organizzazione del Partito radicale jugoslavo, modellato nel contenuto e nella forma sul Partito Nazionale Fascista. In occasione della mia visita alla sede centrale di Belgrado, ho potuto osservare attentamente le formazioni militari del Partito, tutte in uniforme, inquadrate come le organizzazioni italiane, con qualche elemento giovanile armato. Nella sede del Partito l'unica fotografia di personaggio straniero che appare è quella del Duce accanto a Stojadinovié alla manifestazione del Foro Mussolini. Le accoglienze ricevute alla adunata del partito sono state eccezionalmente calorose.

La Monarchia appoggia l 'azione di Stojadinovié. Il Principe Paolo parlando con me della situazione interna, mi ha detto che nonostante alcune difficoltà, egli la considera con molto ottimismo ed ha affermato che Stojadinovié è l'uomo politico serbo «di cento cubiti» più in alto di tutti gli altri.

Politica estera. Da quanto mi hanno detto il Reggente Paolo, il Presidente Stojadinovié, gli altri uomini politici e da quanto mi è stato dato di capire attraverso i contatti avuti con differenti ambienti, due sentimenti dominano l'opinione pubblica jugoslava nei confronti dell'estero: un senso di profonda soddisfazione per il consolidamento delle relazioni amichevoli con l'Italia, una diffusa e grave preoccupazione nei confronti delle mire prossime e remote dell'espansionismo germanico.

Stojadinovié parlandomi della situazione in generale, ha ripetuto che per la Jugoslavia è indispensabile mantenere relazioni di ottimo vicinato e di stretta collaborazione con la Germania. Ma, pur rendendosi conto di una tale necessità, il popolo sente il disagio della vicinanza tedesca, della pressione politica ed economica di una così paurosa massa di vicini, aggravata dalle frizioni che, assai spesso involontariamente, la politica tedesca determina nei vari ambienti jugoslavi. Questo sentimento è valso a spingere sempre più fortemente il popolo jugoslavo verso l'Italia. È da tutti compreso che non saranno mai, né la Francia, né l'Inghilterra, geograficamente lontane e militarmente di forza dubbia, a tutelare il popolo jugoslavo nei confronti della Germania. L'unico Paese che può fare questo è l'Italia. Questa convinzione, unita ad una naturale attrazione del popolo jugoslavo verso la civiltà romana, fa sì che si desideri un sempre maggiore rafforzamento dei legami con Roma, così che la Jugoslavia possa trovare, nel quadro della politica de li'Asse, il suo equilibrio e la sua sicurezza.

Questi sentimenti agiscono in modo che anche una distensione di relazioni con l'Ungheria sia vivamente auspicata. Pertanto, Belgrado salutò con profondo compiacimento l'accenno amichevole contenuto nei brindisi scambiati in occasione della mia visita a Budapest3 . Ma in pari tempo si deve sottolineare che da parte dell'Ungheria si mantiene sempre un contegno di ostile riserbo che non può incoraggiare il governo jugoslavo sulla via della definitiva ed aperta conciliazione. Comunque, Belgrado è disposta ad andare molto in là su questa via, e considererebbe con favore anche la possibilità di concludere un Patto di buon vicinato, collaborazione ed amicizia con Buda

pest, se da parte magiara non si accentuasse, particolarmente in questi ultimi tempi, l'ostilità nei confronti della Romania. Ciò impedisce la stipulazione di un Patto jugoslavo-ungherese: bisogna tener presente che la Romania è legata alla Jugoslavia da un Patto di alleanza4 e che un accordo diplomatico con l 'Ungheria, in questo momento, dopo lo sfasciamento della Piccola Intesa, apparirebbe agli occhi di tutti come un abbandono jugoslavo nei confronti del più vecchio alleato. Non è nella natura e nella morale del popolo jugoslavo agire in tal modo. Nessuno meglio del Duce, che ha dato prove esemplari ed indimenticabili di lealtà politica internazionale, potrà comprendere ed apprezzare questo punto di vista jugoslavo. In ogni modo, ai fini di quella distensione che appare indispensabile nel Bacino danubiano, anche se forse sopratutto, per resistere alla crescente pressione tedesca, la Jugoslavia è disposta a migliorare ulteriormente attraverso pubbliche dichiarazioni, magari concordate con Budapest, le sue relazioni con l'Ungheria nonché ad agire con ogni mezzo sul governo romeno affinché un migliore trattamento delle minoranze ungheresi permetta la distensione dei rapporti romeno-magiari. Ma se l'Ungheria metterà come condizione di una tale distensione la revisione delle frontiere, il governo jugoslavo deve sottolineare fino da questo momento che la sua buona volontà non potrebbe essere sufficiente a risolvere un tale problema, capace di creare le più gravi complicazioni. Stojadinovié ha inoltre e ripetutamente sottolineato l'importanza che per il sistema italo-jugoslavo ha l'amicizia romena: il Paese è ricco di quelle materie prime che ci sono indispensabili in pace e in guerra; data la situazione politica della Romania, è facile ottenere attraverso un'abile azione, dei vantaggi in misura estremamente rilevante.

Dopo avere fissato così i punti più importanti della politica nel Bacino danubiano balcanico, Stojadinovié, ha riaffermato le direttive di massima della politica jugoslava: avvicinamento sempre più marcato a Roma e quindi inquadramento nell'Asse; abbandono di fatto della Società delle N azioni ritirando a maggio la Delegazione che tuttora trovasi a Ginevra, non partecipando più alle sedute della Lega; esame con spirito favorevole della possibile adesione al Patto Anticomintern specialmente se anche da parte della Germania sarà fatto sapere alla Jugoslavia che una tale adesione sarà gradita a Berlino5 .

Albania. Avevo già alcuni giorni or sono fatto un cenno al Ministro Christié della situazione albanesé e quindi ho trovato il Presidente Stojadinovié già preparato a sentirsi parlare di un tale argomento. Gli ho detto che il disagio interno del Paese, l'odio che si accumula contro la persona del Re, le molte zone di ombra che si notano nella politica dello stesso Zog, ci inducevano a considerare con una certa preoccupazione l'avvenire del!' Albania. Tale preoccupazione era in noi resa più viva dali' imponente massa di interessi che si sono gradualmente creati in detto Paese, alcuni dei quali, come quello dei pozzi petroliferi, di fondamentale importanza per l'Italia fasci

5 A tale proposito vi è nel Diario di Ciano questa annotazione sotto la data del 17 gennaio: «L'ambasciatore di Germania a nome di Ribbentrop mi prega di fare qualche sondaggio a Belgrado per conoscere se Stojadinovié intende dare la sua adesione al Patto Anticomintem. Proverò. Ma a mio avviso ciò è prematuro. Nessun dubbio sulle intenzioni di Stojadinovié nei confronti dell'Asse: solidarietà aperta e piena. Personalmente vorrebbe andare anche più oltre. Ma mi domando se la situazione interna gli permette oggi decisioni di una tale natura e sono portato a rispondere di no».

6 Di questo colloquio non è stata trovata documentazione.

sta. Non intendevamo quindi lasciare tali nostri interessi alla mercé degli eventi e volevamo sorvegliare con la massima attenzione lo sviluppo della situazione.

Premesso che consideravamo il problema albanese un problema unicamente ed esclusivamente italo-jugoslavo e che eravamo certi che nessun'altra Potenza avrebbe potuto e voluto intervenire in tale questione, gli confermavo che il Duce non intendeva compiere il minimo gesto senza previo accordo con l'amica Jugoslavia. Stojadinovié mi diceva che anche i suoi informatori lo avevano messo al corrente del disagio che si è impadronito sempre più del popolo albanese ed ha parlato in termini sommamente spregiativi della persona di Zog, facendomi intendere che anche in tempi recenti ha fatto delle avances a Belgrado per mettersi al soldo della Jugoslavia anche contro di noi. Mi ha detto che a suo avviso Zog sarebbe capacissimo, se ben pagato, di servire Francia ed Inghilterra in un momento di crisi per l 'Italia. Quindi le nostre preoccupazioni erano assolutamente fondate. A suo avviso si presentavano due soluzioni : l) quella di sostituire con altra persona più degna Zog, ma egli stesso aggiungeva di non essere in grado di precisare con chi; 2) quella di procedere alla spartizione dell'Albania tra Italia e Jugoslavia, così come in altri tempi si era ventilato. Ha aggiunto, però, che sul momento non era preparato a discutere a fondo la questione non conoscendo nei particolari il problema. Gli ho risposto che anch'io non ritenevo doversi discutere immediatamente la cosa, ma che consideravo sul momento sufficiente questa presa di contatto. Avremmo al momento opportuno potuto metterei in comunicazione diretta e prendere le decisioni del caso. Stojadinovié ha approvato e ha specificato che una tale trattativa non desidererebbe farla passare attraverso le Legazioni, bensì attraverso agenti fiduciari e personali che abbiamo designato nelle persone del Ministro plenipotenziario Anfuso e del fratello dello stesso Stojadinovié. Stojadinovié si è preoccupato anche di quelle che potrebbero essere le reazioni delle altre Potenze, ma ha concluso riconoscendo che, se la Germania non farà obiezioni (egli è convinto che nell'intimo del loro animo i tedeschi vedranno con molto disappunto la nostra occupazione territoriale in Albania), l'operazione sarà relativamente facile. Gli ho detto quali vantaggi potrà avere la Jugoslavia da un tale evento: l) l'accordo per la smilitarizzazione delle frontiere albanesi; 2) un'alleanza militare con l'Italia che in quel momento sarà resa possibile e giustificata nei confronti della Germania dal fatto che anche noi diverremo Potenza balcanica; 3) alcune notevoli correzioni di frontiera nel nord dell'Albania; 4) la eliminazione di un centro nazionale albanese che fomenta di continuo le agitazioni del Kossovo; 5) infine la promessa dell'appoggio italiano il giorno in cui la Jugoslavia deciderà, attraverso la occupazione di Salonicco, di assicurarsi lo sbocco nel Mediterraneo.

Ho evitato di precisare con Stojadinovié quali zone potrebbero essere occupate dalla Jugoslavia e quali dall'Italia. Ma mentre egli ha parlato di spartizione albanese, io ho sempre parlato di correzioni di frontiere. Comunque il problema mi sembra avviato verso favorevoli soluzioni: lo stesso Stojadinovié che è apparso anche lusingato dall'idea di poter dare al suo Paese il concreto vantaggio di una espansione territoriale, mi ha pregato di far cenno della questione al Principe Paolo. Anche presso di lui ho trovato un'accoglienza favorevole. Anzi, ha mostrato di avere meno interesse di Stojadinovié per l'entità di territorio da assegnarsi alla Jugoslavia. «Ne abbiano già tanti albanesi nelle frontiere -così egli ha detto -e ci dànno tali fastidi, che non sento nessun desiderio di aumentarne il numero». Attraverso tali colloqui il ghiaccio che circondava il problema albanese è stato rotto e credo che allorchè il Duce giudicherà matura la situazione, la questione potrà venire affrontata in modo definitivo. Né credo che troveremo troppe difficoltà per la delimitazione di confini: in primo luogo perché non ritengo che gli jugoslavi abbiano pretese esagerate e poi perché non mi sembra per noi eccessivamente importante l'avere 1.000 chilometri quadrati in più o in meno di territorio albanese, bensì: fondamentale il fatto di installarci definitivamente, in una posizione, sopratutto strategica, nella Penisola balcanica.

Relazioni economiche e culturali. La frase nel comunicato ufficiale7 dato alla stampa che concerne lo sviluppo futuro dei rapporti economici tra l'Italia e la Jugoslavia, è stata voluta personalmente dal Presidente Stojadinovié e deve anch'essa giudicarsi in relazione a quanto prima esposto circa le preoccupazioni verso la Germania. La Jugoslavia rifiuta di avere un solo cliente e di essere cliente di uno Stato solo: anche in questo settore vede la via della salvezza nella collaborazione con noi e, se fosse possibile in modo anche più esplicito che nel settore politico, Stojadinovié ha ripetuto la volontà di stringere con l 'Italia legami indissolubili. A tal fine ha cominciato col concludere la fornitura di mezzo miliardo già precedentemente trattata, ma non definita, ed ha assicurato che dirigerà particolarmente verso l'industria italiana gli ordini dei Ministeri militari e dei trasporti e ferrovie.

Anche per quanto riguarda le relazioni culturali, l'azione verrà in tùturo intensificata. Mentre è allo studio il progetto di un accordo culturale che permetta la diffusione e la conoscenza della lingua in vastissima scala, si darà vita ad Istituti di cultura, ad invio di studenti, a Mostre, ad Esposizioni ed in genere ad ogni iniziativa atta a sviluppare l'interscambio spirituale tra i due Paesi 8 .

Il documento ha il visto di Mussolini.

Circa le reazioni di Mussolini, Ciano annotava nel suo Diario (sotto la data del 24 gennaio): «Ne è molto soddisfatto. Si interessa soprattutto al fatto che in Jugoslavia ho trovato un così diffuso sentimento antitedesco. Molto contento anche per quanto concerne l'Albania».

90 3 Del 19-21 dicembre 1938. Il testo del brindisi di Ciano è in Relazioni Internazionali, p. 876.

90 4 Riferimento al Trattato della Piccola Intesa del 16 febbraio 1933.

90 7 Testo in Relazioni Internazionali, p. 64.

91

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, ALL'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO

T. S.N.D. 49/35 R. Roma, 24 gennaio 1939, ore 12,30.

Avverti Ribbentrop che è nostro proposito, nel caso che i russi dovessero riprendere traffico marittimo per rifornimenti ai rossi in Spagna, ripigliare l'azione di siluramento nel Mediterraneo intesa ad impedire tali rifornimenti. A questo scopo sono state già prese disposizioni e opportunamente dislocati sommergibili1 .

92

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. S.N.D. URGENTISSIMO 287/41 R. Berlino, 24 gennaio 1939, ore 21.12 (perv. ore 22,40).

Mio telegramma n. 28 1•

Ribbentrop, che ho visto prima della partenza per Varsavia, mi avverte di aver fatto un accenno preliminare possibile adesione Spagna a Patto Anticomintern anche a questo ambasciatore di Spagna incaricandolo sondare ufficiosamente intenzioni suo governo.

Egli mi ha pure aggiunto di stare trattando un «accordo politico» con la Spagna di portata e contenuto che egli mi ha dichiarato minore di quello a suo tempo stipulato da noi2 e di cui mi ha promesso ulteriori particolari a suo tempo3 .

91 1 Con T. s.n.d. 285/40 R. dello stesso giorno l'ambasciatore Attolico riferiva di avere effettuato la comunicazione personalmente a von Ribbentrop. 92 1 Vedi D. 66. 2 Riferimento al Protocollo italo-spagnolo del 28 novembre 1936 (testo in DD!, serie ottava, vol. V, D. 504). 3 Il documento ha il visto di Mussolini.

93

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. S.N.D. 286/42 R. Berlino, 24 gennaio 1939, ore 21,09 (perv. ore 22,40).

Ribbentrop mi avverte che progettato incontro deve oramai, per ragioni già da me esposte precedentemente', essere necessariamente ritardato.

Scriverò domani per corriere2 •

94

IL MINISTRO A PRAGA, FRANSONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE RISERVATISSIMO 310/0 l R. Praga, 24 gennaio 1939 (perv. il 26).

Sciogliendo la riserva di cui al mio telegramma n. 23 in data di ieri 1 , riferisco qui, più dettagliatamente, circa gli argomenti trattati nei colloqui di questo ministro degli Esteri, a Berlino, col signor Ribbentrop la mattina di sabato scorso e col Fiihrer Cancelliere nel pomeriggio dello stesso giorno2 .

Con Ribbentrop la prima questione abbordata e più diffusamente trattata è stata quella relativa alla minoranza tedesca in Cecoslovacchia (circa 350.000 persone). Le richieste del ministro degli Esteri del Reich si identificano, in sostanza, con quelle che il deputato e leader di questa minoranza germanica, signor Kundt, dell'ex partito Henlein, ha in questi giorni formulato in sei punti e cioè: l o -pieno riconoscimento del gruppo nazionalsocialista tedesco in Cecoslovacchia; 2° -conservazione dei posti di lavoro dei tedeschi; 3° -autonomia e sviluppo delle scuole tedesche; 4° -esclusione degli ebrei nei rapporti fra tedeschi e ceki; 5° -buone relazioni culturali, economiche ed anche politiche dei ceki col Reich e con la nazione tedesca, ad esse fortemente essendo interessata la minoranza tedesca in quanto partecipe della vita del Paese; 6° -buoni rapporti dei tedeschi di Cecoslovacchia col governo locale allo scopo di pervenire ad una reale collaborazione. (Invio con rapporto n. 182114 P, in partenza con questo stesso corriere, il testo di detti sei punti, come apparso nella stampa locale).

2 Vedi D. 107.

2 Vedi DDT, vol. IV, DD. 158 e 159.

3 Non pubblicato. Il suo argomento è qui indicato.

Il ministro degli Esteri cecoslovacco, nell'attuale stato di cose del Paese e di rapporti internazionali, non vede che la necessità di acconciarsi alle richieste di Berlino e spera che, nelle trattative che ne seguiranno col deputato Kundt, questi dimostri comprensione più che rigidezza.

Avendo da parte sua chiesto la reciprocità a favore delle minoranze ceke in Germania, si ebbe risposta evasiva, pur con l'assicurazione che quelle minoranze, comportandosi con lealtà verso il Reich, godranno del miglior trattamento.

Chvalkovsky mi ha detto essere sua convinzione che il governo di Berlino, tra l'altro, o principalmente, vuole costituire nella presente occasione -a lui favorevole -un precedente da fare in seguito valere per le minoranze tedesche in altri Stati.

Ritornando poi io sulla questione del riconoscimento de jure del partito nazionalsocialista in Cecoslovacchia (n. l dei sei punti su citati), argomento che già avevo particolarmente sottolineato nella esposizione del ministro ed intrecciandosi quindi la conversazione con alcuni miei rilievi circa preferenze materiali mantenute a certi corrispondenti di agenzie straniere nei locali dell'agenzia ufficiosa telegrafica ceka per cui domandavo la parità nell'interesse del rappresentante dell'Agenzia Stefani, il signor Chvalkovsky, riferendosi all'argomento principale, apertamente mi dichiarò che intendeva che ogni concessione da farsi al Partito nazionalsocialista dovesse senz'altro essere estesa a favore del Partito Nazionale Fascista italiano in Cecoslovacchia. Ne ho preso atto.

Secondo argomento delle conversazioni berlinesi, sul quale Ribbentrop si sarebbe accalorato, è stato quello riguardante la situazione degli ebrei. La Cecoslovacchia deve liberarsi subito e con energia di tale elemento pericoloso per la vita della nazione e per i rapporti ceco-tedeschi. A considerazioni di Chvalkovsky sull' entità numerica degli israeliti nella Repubblica, sulla loro attività che ha finora interessato profondamente la vita economica del Paese, sulla repentinità con la quale il problema si era posto a questo governo, mentre, viceversa, il nazionalsocialismo ne era preparato anche prima dell'avvento al potere, il signor Ribbentrop rispose violentemente insistendo e ricordando quanto avviene in altri Paesi e perfino in America, ove l'antisemitismo comincia a farsi strada. «Lasciate gli ebrei alla Francia e all'Inghilterra, ha concluso, e non vi voltate da quella parte; in Germania li perseguiteremo e alla fine del 1939 non ve ne sarà più neppure uno». Chvalkovsky, che, come mi ha detto, è rimasto accablé da questa filippica, è persuaso che debbano qui essere intensificati ed affrettati i provvedimenti già presi, o decisi in via di massima, contro gli ebrei. Tali provvedimenti vogliono ispirarsi ai principi seguiti in materia dal Governo Fascista.

Continuando, il ministro Chvalkovsky mi ha informato, in modo strettamente confidenziale, della terza richiesta del signor Ribbentrop. Il governo del Reich chiede che siano diminuiti gli effettivi del!' esercito cecoslovacco che oggi, con la ferma di due anni, contano 120.000 uomini sotto le armi. A questo punto Ribbentrop ha accennato alla neutralizzazione della Cecoslovacchia che potrebbe in tal modo, come altri Paesi europei, grandemente diminuire le spese militari. È parso al signor Chvalkovsky, da questo e da altro, che Berlino non ha ancora piena fiducia in Praga, e che precauzioni vogliono essere conseguentemente prese, mentre dura la quarantena.

Dopo una serie di richieste e d'intese circa misure amministrative di varia specie riguardanti specialmente le zone di confine, si è passati alla parte economica. Il Reich desidera che le industrie perdute dalla Cecoslovacchia con la cessione dei territori non vengano sostituite; più adeguatamente le economie dei due Paesi si integreranno con un sistema di scambi misto-preferenziale. Ma non si è parlato di unione doganale. Inoltre, il governo nazionalsocialista vuoi comprare tutte le armi e materiale bellico prodotti dalle fabbriche cecoslovacche; forse perché altri non le compri, ha commentato, informandomene, Chvalkovsky. Altra richiesta, e molto gravosa, la seguente: col passaggio dei territori, la Germania è entrata in possesso di circa un miliardo e mezzo di buoni dello Stato cecoslovacco ed approssimativamente di eguale ammontare in banconote della Repubblica. Il Reich vuole servirsi di tali disponibilità per l'acquisto di merci in Cecoslovacchia. Non può questo Paese rifiutare la propria moneta ma si preoccupa del deterioramento che potrà subire la corona da questa forzata inflazione. Questo e gli altri problemi d'indole economica e finanziaria saranno trattati nel modo migliore possibile dal ministro del Commercio cecoslovacco che nella settimana si recherà ali 'uopo a Berlino.

Dato fondo a tutto questo, il signor Chvalkovsky ricordò la promessa delle garanzie per le nuove frontiere della Repubblica. Il signor Ribbentrop rispose osservando che l'unica garanzia è quella che può dare la Germania d'accordo (mi ha riferito Chvalkovsky) con l'Italia. Circa la garanzia della Francia, essa, avrebbe detto testualmente Ribbentrop, non vale un pfennig. Pel momento, però, nessuna assicurazione sulla garanzia tedesca ha potuto avere questo ministro degli Esteri, il quale si è reso conto che, come dicevo più sopra, la Cecoslovacchia è tuttora tenuta in osservazione o quarantena. Da rilevare che tra le più severe ... raccomandazioni fatte, nel corso della conversazione, dal ministro degli Esteri del Reich al collega cecoslovacco, vi è stata quella, insistente, di liberare, di pulire il Paese degli elementi benesiani radicati ancora un po' dappertutto, specie nella stampa, e molto dannosi -ha precisato Ribbentrop-per la Repubblica e per le sue relazioni con la Germania.

Il signor Chvalkovsky volle a questo punto far conoscere a Ribbentrop che il ministro d'Italia a Praga lo aveva già varie volte intrattenuto sullo stesso argomento e nello stesso senso e che, come ben volentieri si era già servito delle mie osservazioni presso i colleghi di Gabinetto, avrebbe ora approfittato delle raccomandazioni tedesche per far meglio valere e mettere in atto quella che costantemente era stata la sua intenzione nei riguardi degli elementi benesiani. È, però, da considerare che questo Paese, ha osservato Chvalkovsky, non ha molta gente preparata che possa senz'altro sostituire, nelle pubbliche amministrazioni per esempio, le persone sospette.

Nel corso del colloquio, il signor Ribbentrop ha avuto spesso occasione di parlare dell'Italia, e sempre si è espresso in termini estremamente amichevoli, ha notato Chvalkovsky, nei riguardi di Vostra Eccellenza sottolineando l'efficace, larga e confidente collaborazione italo-tedesca.

In materia di politica internazionale, il ministro Chvalkovsky, ha avuto a Berlino l 'impressione che il problema ucraino, di cui parla certa stampa e a proposito del quale si fanno correre molte voci, non sia considerato attuale dal governo del Reich. Questo sarebbe poi rimasto soddisfatto deli'ultima visita di Beck che ha potuto rischiarare l'orizzonte germano-polacco, già alquanto rabbuiato.

Nel pomeriggio dello stesso giorno, il ministro degli Esteri cecoslovacco è stato ricevuto dal Ftihrer che ebbe per il signor Chvalkovsky parole molto cortesi ricordando, fra l'altro, che quell' «incontro aveva forse evitato una sorte più triste alla Cecoslovacchia». Il Ftihrer accennò quindi ad alcuni argomenti già trattati da Chvalkovsky con Ribbentrop, e, parlando in seguito di cose generali, ad un dato momento esclamò: «La Francia farebbe un grave errore a sottovalutare la forza formidabile dell'esercito italiano. Conosco io-è Chvalkovsky che mi ripete ad un dipresso le parole del Ftihrer-cos'è l'armata italiana; in !spagna le nostre due aviazioni (bombardieri i tedeschi, caccia gli italiani) collaborano magnificamente ed i miei ufficiali sono entusiasti dei loro camerati italiani, magnifici per abilità, coraggio, temerarietà. I nostri due eserciti, e se occorre affiancati da quelli ungherese e polacco, possono affrontare oggi tranquillamente qualsiasi situazione». Riferitemi queste frasi, Chvalkovsky aggiungeva che esse erano state pronunciate dal Fi.ihrer con molta vivacità e con espressione di vera amicizia per l'Italia.

Alla fine di questa lunga esposizione e conversazione, di cui ho creduto doveroso informare l'E.V. alquanto dettagliatamente, Chvalkovsky ha emesso, spontaneo, il grido del cuore che ritengo molto significativo. Desidero vivamente, mi ha detto, che voi facciate sapere a Roma che io voglio mantenermi saldamente accanto all'asse Roma-Berlino. E quindi nulla farò contro Berlino perché sono convinto che questo è l'interesse del mio Paese; ma vi prego, dite a Roma che non allontani da noi il suo sguardo, faccia per noi quello che fa per altri piccoli Stati. Non ci lasci soli; non domandiamo di più o di meglio che di essere con l'Asse: con Roma e Berlino, cioè, non ... con la sola Berlino.

Il Chvalkovsky -dunque -è tornato dalla capitale del Reich alquanto preoccupato; di quello che gli hanno detto, di quello che non gli hanno detto, della sostanza e della forma di quello che ha visto e sentito. Le cortesie personali non gli sono state lesinate; ma accanto alle cortesie ha dovuto constatare anche altro. Il Ftihrer gli ha detto, come Chvalkovsky stesso ebbe a ripetermi, «spero che acquisterete sempre maggiore autorità nel vostro Paese». Il significato di questa frase mi è stato precisato poco fa dall'incaricato d'affari di Germania venuto ad informarmi, ha premesso, dei colloqui di Berlino. Secondo il signor Hencke, a Chvalkovsky sarebbe stato parlato principalmente e quasi esclusivamente della stampa che Berlino considera in modo veramente sfavorevole, e degli elementi benesiani che, tuttora numerosi ed attivi nelle Amministrazioni pubbliche e dappertutto nel Paese, rappresentano un pericolo di cui Praga non dovrebbe ignorare la gravità. Su questo tema è stato parlato forte al ministro cecoslovacco; anche molto forte: a mo' di avvertimento però, e non di minaccia, ha voluto precisare l'incaricato d'affari del Reich, aggiungendo: Berlino sa che Chvalkovsky è uomo di buona volontà e di buoni intendimenti ma lo considera debole, senza l'energia necessaria in questo momento e in questa situazione. Ecco la spiegazione dalla frase del Ftihrer.

L'incaricato d'affari di Germania ha finito affermando che, salvo piccole cose, nessun altro argomento è stato trattato a Berlino.

Si è mostrato sorpreso che io avessi già visto Chvalkovsky.

Naturalmente abbiamo commentato, trovandoci sempre d'accordo, i due argomenti che secondo il collega tedesco avevano formato oggetto dei colloqui berlinesi. Tutto il resto l'ha ignorato lui, e l'ho ignorato anch'io.

93 1 Vedi D. 82.

94 1 T. 272/23 R. del 23 gennaio in cui aveva elencato gli argomenti che erano stati trattati nei colloqui di Chvalkovsky con Hitler e con von Ribbentrop, riservandosi di riferire più ampiamente per corriere.

95

L'AMBASCIATORE A PARIGI, GUARIGLIA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 327/04 R. Parigi, 24 gennaio 1939 (perv. il 27).

Viaggio VE. in Jugoslavia1 è stato seguito con grande attenzione da questi ambienti politici e da stampa locale, che ha lasciato trapelare profondo disappunto per cordialità cui sono stati ispirati colloqui con Stojadinovié e altre personalità jugoslave.

Viaggio è stato messo in relazione con intensa attività delle Potenze d eli'Asse: viaggio ministro Esteri Ungheria, conte Csaky, a Berlino2 , colloqui Hitler-Beck3 e prossimi viaggi Ribbentrop4 e V.E. 5 a Varsavia. Tali contatti sono considerati non solo come volontà regimi autoritari consolidare influenza dell'Asse nell'Europa centrale ma come stadio di preparazione per ulteriori azioni di pressione più violenta contro Stati democratici per realizzazione espansione tedesca e rivendicazioni italiane contro la Francia.

Germania avrebbe compito attrarre Polonia n eli'orbita tedesca, mentre azione italiana si svilupperebbe nei riguardi Jugoslavia, determinando riavvicinamento con Ungheria. Punto di maggiore resistenza dovrebbe essere Romania. Viaggio ministro Esteri Italia avrebbe mirato quindi anche determinare azioni di pressione e di mediazione da parte jugoslava nei riguardi romeni.

Non sono mancate naturalmente insinuazioni malevole e tendenziose che hanno preteso mettere in rilievo sforzi italiani per equilibrare influenza tedesca in Europa centrale, tentando di conservare posizioni sempre più minacciate da espansione tedesca.

Disappunto con cui ambienti francesi seguono politica Stojadinovié è marcato sopratutto da rilievo che stampa francese dà a difficoltà di ordine interno cui andrebbe incontro Presidente Consiglio jugoslavo e ad agitazione crescente partiti opposizione croati e sloveni.

2 Del 16-18 gennaio. Vedi DD. 68, 75 e 78.

3 Del 5 gennaio. Vedi D. 27, nota l.

4 Del25-27 gennaio. Vedi D. 113, nota l.

5 Del 25 febbraio-3 marzo sul quale si veda il D. 252.

95 1 Del 19-23 gennaio. Vedi D. 90.

96

IL MINISTRO A SOFIA, TALAMO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 333/016 R. Sofia, 24 gennaio 1939 (perv. il 27). Mio telegramma per corriere O15 del 21 c.m. 1•

Oltre quelle riferite a V.E. con mio telegramma per corriere surriferito, altre voci circolano in questi ambienti politici trovando più o meno credito e dando il destro ai più svariati commenti.

Mentre la stampa annuncia che l'accordo commerciale greco-bulgaro è stato qui messo allo studio da parte di un'apposita commissione, si afferma che di alcune proposte si sarebbe reso interprete presso questo governo il direttore della Banca Nazionale Ellenica in occasione del suo recente passaggio da Sofia, di cui ho dato notizia a V.E. con mio rapporto del 18 u.s. n. 276/1332 • Si soggiunge altresì che l'aspetto politicamente più rilevante di tali proposte sarebbe costituito dall'offerta greca di realizzare la concessione di uno sbocco marittimo in Tracia a favore della Bulgaria.

Ho già riferito per l'addietro all'E.V. in merito alla questione che è, del resto, contemplata, se pure sotto l'aspetto economico, dall'articolo 48 del Trattato di Neuilly. Ho anche riferito come la Bulgaria abbia sempre rifiutato di addivenire alle sistemazioni relative, parse in vari momenti possibili, entro quei limiti, affermando che lo sbocco marittimo, se anche economico, andava politicamente, e per essere più esatti, territorialmente garantito.

Si pretende che ora le disposizioni elleniche si andrebbero riavvicinando al punto di vista bulgaro, ma che contropartita delle eventuali concessioni sarebbe l'accessione della Bulgaria ali 'Intesa Balcanica.

Anche questa volta riferisco a V.E. a titolo puramente informativo, in attesa di essere in grado di meglio controllare le voci corse: pure non posso impedirmi dal constatare che, per un verso o per l'altro, esse sembrino coincidere tutte nel prevedere, prescindendo dai legami bulgaro-jugoslavi, l'entrata della Bulgaria, dietro compensi più o meno importanti, nell'Intesa Balcanica.

A tale proposito segnalo a V.E. che in un lungo colloquio con l 'incaricato d'affari germanico, von Biilow, venuto ieri a trovarmi, questi mi ha detto che, senza potere affermare nulla di preciso circa concreti nuovi atteggiamenti bulgari, era ormai sua convinzione che la Bulgaria desideri in sostanza sottrarsi per quanto possibile a una maggiore influenza politica d eli' Asse. Mi ha soggiunto di credere

2 Non pubblicato.

che tale impressione sia condivisa a Berlino, dove si sarebbe seccati della indecisione dell'atteggiamento bulgaro, e che quanto a lui, von Biilow, riteneva che fosse ormai tempo di esercitare sulla Bulgaria una più risoluta pressione, sì che in questo senso aveva anche consigliato alla propria delegazione, in sede delle recenti trattative economiche bulgaro-germaniche, di non fare per ora concessioni alle domande bulgare.

Per mia parte, anche senza giungere ai limiti delle valutazioni espressemi dall'incaricato d'affari di Germania, sono più disposto a credere a un effettivo disorientamento che si rivela nelle riferite contrastanti voci e che già era stato reso anche troppo evidente dalle recenti dichiarazioni di questo presidente del Consiglio, di cui al mio telegramma per corriere n. 02 del 6 corrente3; disorientamento che in realtà potrebbe non improbabilmente far sì che questo governo finisca una volta o l'altra col risolversi a quell'anche occasionale partito che, col consentire qualche pronta se pure meschina soddisfazione alle aspirazioni nazionali del Paese, gli accordi oltretutto un po' di tranquillità interna. Tale partito, quale che esso possa essere, mi pare tuttavia voglia presumere in ogni caso un mutamento di cose che sostanzialmente divida la Jugoslavia dall'Intesa Balcanica.

Peraltro, insisto col dirlo all'E.V., crederei subordinatamente che dell'atteggiamento assai riservato, se non ritroso, che, come segnalai all'E.V., ho potuto constatare qui nell'imminenza del Convegno di Belje4 , occorrerebbe pur tenere qualche conto.

Può darsi che, come volle farmi intendere Kiosseivanov ai sensi del mio citato telegramma per corriere n. 02, tale atteggiamento fosse dettato da estrema prudenza e da protratta aspettativa: può darsi anche che abbia prevalso qualche diffidenza ad un riaccostamento ali' Asse in funzione di Belgrado. Le prossime settimane potranno forse rendere più chiaro il pensiero bulgaro.

Con mio telespresso odierno n. 422/1955 , segnalo all'E.V. le prime reazioni della stampa al Convegno di Belje. Su quelle dei circoli politici vorrei attendere a meglio pronunciam1i, di aver parlato col presidente del Consiglio, che, assorbito dai lavori parlamentari, non ho potuto ancora vedere in questi giorni.

Preliminarmente posso dire che le indicazioni del Giornale d'Italia sui risultati del Convegno6 diramate per comunicato D.N.B. del 22 corrente, e qui interpretate nel senso di un riaccostamento dell'Intesa Balcanica ali'Asse, tramite la Jugoslavia, hanno destato delle preoccupazioni per le sorti delle aspirazioni nazionali bulgare, le quali si ritiene verrebbero presumibilmente precluse da un riconsolidamento del Patto Balcanico, che prescinda dalle aspirazioni medesime.

4 Riferimento all'incontro Ciano-Stojadinovié nel quadro della visita di Ciano in Jugoslavia del 19-23 gennaio (vedi D. 90).

5 Non pubblicato.

6 Si veda in proposito il D. 78, nota 7.

97.

L'AMBASCIATORE A MOSCA, ROSSO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 381/129 R. Mosca, 24 gennaio 1939 (perv. il 30).

Mio telegramma per corriere n. 263/109 del 18 corrente1 . In una conversazione avuta ieri col vice-commissario per gli Affari Esteri, il signor Potemkin mi accennò, in modo generico, alla possibilità di negoziati fra

U.R.S.S. e Germania per aumentare gli scambi commerciali fra i due Paesi. Per controllare la notizia, ho interpellato in proposito questo incaricato d'affari di Germania. Il signor von Tippelskirch mi confermò che effettivamente il suo governo si preoccupa del marcato declino delle esportazioni tedesche nell'U.R.S.S. e desidera quindi rimediare a tale stato di cose. Aggiunse che finora non sono stati ingaggiati dei negoziati veri e propri, ma che sono già in corso degli «scambi di vedute» aventi lo scopo di preparare il terreno ad eventuali trattative più concrete. Ciò conferma dunque l'interpretazione da me precedentemente data alle voci giornalistiche circa una pretesa «collaborazione economica e militare» fra Germania e U.R.S.S.

Interessante rilevare che gli ambienti sovietici sembrano compiacersi del fatto che tali voci siano state messe in circolazione, il che mi fa chiedere se per avventura non possano essi stessi averle provocate, forse per creare in Francia ed Inghilterra delle preoccupazioni per un possibile avvicinamento politico fra Mosca e Berlino2•

2 L'ambasciatore Rosso telegrafava successivamente di essere stato informato dall'ambasciata di Germania che l'invio a Mosca del funzionario incaricato di condurre le trattative commerciali era stato sospeso, probabilmente a causa del diffondersi di voci circa un possibile riavvicinamento politico tra Germania e U.R.S.S. che avevano irritato Berlino ma di cui gli ambienti sovietici non sembravano malcontenti

(T. 412/8 R. del 31 gennaio). Questa interpretazione era confermata dall'ambasciatore Attolico, il quale osservava che quelle voci si erano ancor più diffuse dopo il discorso di Hitler del 30 gennaio nel quale non era stato inserito nessun attacco all'U.R.S.S. (telegramma del 4 febbraio ritrasmesso dal Ministero a varie ambasciate con te l espresso 204653 del 14 febbraio. Il documento da Berlino non è stato rintracciato).

96 1 T. per corriere 275/015 R., che è del 22 gennaio. Riferiva che a Sofia si andava diffondendo la voce che, qualora la Jugoslavia fosse uscita dall'Intesa Balcanica, sarebbe entrata a farne parte la Bulgaria, previa soddisfazione delle sue rivendicazioni sulla Dobrugia che la Romania, non più appoggiata dalla Jugoslavia, sarebbe stata disposta a sacrificare pur di ottenere una maggiore sicurezza di fronte alle aspirazioni ungheresi sulla Transilvania.

96 3 Vedi D. 18.

97 1 Segnalava la notizia, diffusa da alcune agenzie giornalistiche, secondo la quale Hitler aveva proposto a Stalin l'avvio di scambi di vedute in vista di «una collaborazione economica e militare», proposta che Stalin aveva accolto. Molto verosimilmente~ osservava l'ambasciatore Rosso~ si trattava di pura fantasia ma non era invece da escludere che i due governi iniziassero delle trattative per accrescere gli scambi commerciali che nell'ultimo anno erano diminuiti notevolmente.

98

L'AMBASCIATORE A MOSCA, ROSSO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 382/130 R. Mosca, 24 gennaio 1939 (perv. il 30).

Riferimento mio telegramma n. l del 7 gennaio corrente 1•

Ieri sera, ad un pranzo, il vice commissario Potemkin, parlando accademicamente delle relazioni italo-sovietiche, mi disse che S.E. il conte Ciano aveva giorni sono espresso all'ambasciatore Stein la «speranza in un possibile miglioramento dei rapporti fra i due Paesi, per lo meno nel campo economico».

Osservai a Potemkin che tale possibilità dipendeva esclusivamente dal governo sovietico, il quale dovrebbe mostrare la propria buona volontà rinunciando alle nuove pretese che avevano impedito la conclusione de li'accordo commerciale proprio quando tutto sembrava già regolato.

Potemkin disse allora che l 'unica difficoltà consisteva oramai nella questione dell'aumento di un dollaro per tonnellata sul prezzo della nafta e che egli era persuaso tale difficoltà poteva facilmente essere superata. Non volle -o non seppe dirmi però se il commissario del popolo per il Commercio Estero, Mikoian, sia o meno disposto a lasciare cadere la sua ingiustificata richiesta.

99

L'AMBASCIATORE AD ANKARA, DE PEPPO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 407/07 R. Ankara, 24 gennaio 1939 (perv. il 31).

Il recente viaggio di V.E. in Jugoslavia 1 è stato seguito in questi circoli politici con interesse assolutamente eccezionale, non scevro da preoccupazioni.

La Turchia vede che la Jugoslavia tende sempre più a fare una politica indipendente dai suoi associati balcanici; l'accordo con l'Italia era già scontato, adesso subentra il timore che dopo un riavvicinamento jugoslavo-ungherese, patrocinato dall'Italia, si giunga al riavvicinamento romeno-ungherese, patrocinato dall'Italia e dalla Jugoslavia. E ciò significherebbe la fine dell'Intesa Balcanica.

Siffatto stato d'animo traspare dalle righe dei commenti della stampa sui quali riferisco con telespresso a parte e risulta esplicitamente da una conversazione avuta

col ministro degli Esteri Saracoglu da questo ministro di Jugoslavia che me l'ha riferita. Saracoglu avrebbe chiesto a Adzemovié, con manifesta apprensione, quale ripercussione avranno sulla politica jugoslava nei riguardi del Patto balcanico il rafforzamento dell'intesa con l'Italia e i suoi possibili sviluppi. Adzemovié avrebbe risposto che l'Adriatico unisce l'Italia alla Jugoslavia così come l'Egeo unisce la Grecia alla Turchia e che nessuna preoccupazione deve nutrire la Turchia in proposito se anche essa è amica dell'Italia: gli amici dei miei amici sono miei amici.

Questi motivi verranno ripresi nella prossima conferenza dell'Intesa Balcanica che avrà luogo a Bucarest ill6 febbraio prossimo2 .

98 1 T. 27511 P.R. del 7 gennaio. Riferiva sui contatti in corso con l'Autorità sovietica in materia commerciale.

99 1 Vedi D. 90.

100

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 635/189. Berlino, 24 gennaio 1939 (perv. il 27).

Si assiste in questo momento ad una forte recrudescenza della campagna degli organi di stampa tedeschi contro il Vaticano. Notevole è a questo riguardo il fatto che quasi sempre le occasioni per gli attacchi vengono trovate in pubblicazioni dei giornali italiani ostili alla Santa Sede, dimodochè la Germania in questa sua azione tenta con grande abilità di tenersi in certo qual modo in seconda linea.

Nel solo mese di gennaio ben quattro volte sono stati citati dalla stampa tedesca gli articoli di Regime Fascista contenenti attacchi contro il Vaticano, il clero italiano e le pubblicazioni dell'Osservatore Romano. Nel numero del 22 corrente il Volkischer Beobachter reca poi anche un sunto dell'articolo che il Gauleiter della Franconia, Streicher, ha pubblicato in Regime Fascista sotto il titolo: «Il Vaticano e gli ebrei». Nel medesimo numero lo stesso giornale attacca aspramente la redazione de li'Osservatore Romano, che accusa di essere composta di elementi loschi e mentitori, che vi continuano la tradizione di Don Sturzo. Il giornale rileva come particolarmente astiosa l'azione che svolge in Vaticano Monsignor Kaas e cita il Daily Herald, secondo il quale uno degli scopi della politica vaticana sarebbe il sabotaggio della politica dell'Asse. Pure il Volkischer Beobachter pubblica, sotto il titolo: «Sobillatori in Vaticano», le fotografie dei Cardinali Pizzardo e Pacelli, di Don Sturzo e di Monsignor Kaas, mettendo sotto ogni ritratto quanto ha scritto in proposito Regime Fascista.

Oltre a questi riferimenti diretti alla stampa italiana, accade pure che gli attacchi provengano dagli ambienti tedeschi che rappresentano le tendenze più estreme, come quella che fa capo allo Schwarzes Korps, giornale delle SS. Nel suo numero del 5 corrente detto giornale recava, ad esempio, una vivace replica all'Osservatore Romano per gli attacchi da questo pubblicati contro la pretesa paganizzazione del Natale in Germa

nia. Nel numero del 19 corrente, esso polemizza contro il messaggio divulgato dalla radio vaticana in occasione del Capodanno ed in cui erano deplorate le persecuzioni dei cattolici in Germania. L'articolo nega che in Germania esistano persecuzioni religiose e cita esempi per confermare l'assoluta libertà di cui gode la confessione cattolica, come ad esempio l'accresciuto numero di sacerdoti e di appartenenti agli ordini religiosi.

L'Angriff di ieri attacca, poi, il Cardinale Verdier per il recente discorso da lui pronunciato contro gli Stati autoritari 1 e parla di un'alleanza tra la tiara ed il berretto frigio, notando come in tal senso agisca anche il partito radicale, compreso Herriot, che finora erano i maggiori esponenti dell'anticlericalismo. Crede che il Cardinale avrà da superare resistenze ancora minori nel mondo anglosassone, dove l'anticlericalismo è meno tradizionale, e cita alcune parole di grande deferenza per il Papa pronunciate recentemente dall'israelita Ministro della Guerra britannico.

I giornali di stamane rilevano infine come !'Osservatore Romano non abbia recato il testo integrale del passo del discorso del Duce2 accennante al presunto atteggiamento del Vaticano nei riguardi del dissenso italo-francese.

99 2 In realtà, il 20-22 febbraio.

101

IL MINISTRO A BUDAPEST, VINCI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

RAPPORTO 536/157. Budapest, 24 gennaio 1939 (perv. il 26).

Come ho riferito col mio telegramma n. 23 in data 22 corrente 1 non appena ricevuto il telegramma dell'Eccellenza Vostra n. 3 da Belgrado2 , mi sono recato dal Conte Csaky al quale ho letto il comunicato diramato a Belgrado dopo le conversazioni del! 'Eccellenza Vostra con Stojadinovié3 , commentandolo secondo le istruzioni.

2 Il 22 gennaio, nel ricevere a Palazzo Venezia i vincitori della «Battaglia del grano», Mussolini aveva pronunciato un discorso in cui aveva inserito un'estemporanea battuta polemica nei confronti della Francia col dire che se, come correva voce, un prelato francese aveva consigliato alla Francia di «tener duro» nei riguardi dell'Italia, ci sarebbe stato chi avrebbe detto agli italiani di tenere ancora più duro nei riguardi della Francia. Il testo del discorso è in MussoLJNI, Opera omnia, vol. XXIX, pp. 226-228.

IO! 1 Vedi D. 86.

2 Vedi D. 85.

3 Testo in Relazioni internazionali, p. 64.

Il Ministro degli Affari Esteri, che mi ha vivamente ringraziato della comunicazione, mentre mi ha dato assicurazioni nel senso desiderato dall'Eccellenza Vostra circa i commenti della stampa e la sua prossima dichiarazione alla Commissione Parlamentare per gli Affari Esteri, mi ha detto essere già stato informato dal Ministro d'Ungheria a Belgrado4 delle resistenze frapposte da Stojadinovié a riconoscere come «favorevoli» le recenti manifestazioni da parte ungherese.

Csaky mi ha detto che, come Vostra Eccellenza conosce, egli sarebbe anche disposto a dare garanzia delle attuali frontiere della Jugoslavia: non sa che cosa potrebbe offrire di più. Mi ha aggiunto però che secondo notizie in suo possesso il Principe Paolo, su istanza della Regina Madre di Jugoslavia a cui si era rivolto Re Caro!, aveva convinto Stojadinovié di non prendere impegni diretti con l'Ungheria all'infuori della Romania. Egli quindi non aveva troppo fiducia che si potesse raggiungere con la Jugoslavia il risultato desiderato e mi ha aggiunto che lo stesso scetticismo aveva constatato in Germania dati gli inutili tentativi che Goring avrebbe fatto nello stesso senso.

Nella lunga conversazione che è seguita egli è tornato a parlarmi del suo recente viaggio a Berlino5 e mi ha ripetuto di aver constatato la più perfetta unione fra Germania e Italia, la Germania essendo pronta a star al fianco dell'Italia come un uomo solo, che la saldezza dei legami è più forte che mai; che quindi --si parlava allora più particolarmente della stampa ungherese-egli era sempre pronto a seguire qualsiasi suggerimento dell'Eccellenza Vostra per illustrare, valorizzare e mettere in luce tutti quegli argomenti che interessano l'Eccellenza Vostra e l'Italia, anche se meno direttamente importanti per l'Ungheria, «tenendo sempre presente però di non urtare la suscettibilità germanica».

A questo proposito mi ha detto che per alcuni avvenimenti, come quello del prossimo viaggio dell'Eccellenza Vostra a Berlino, egli era perfettamente orientato: ma desidererebbe per esempio qualche direttiva per quando si tratterà di commentare il viaggio del! 'Eccellenza Vostra a Varsavia.

Pur comprendendolo Io spirito della domanda rivoltami dal Conte Csaky, sarei grato all'Eccellenza Vostra se lo crederà opportuno di fornirmi eventualmente glielementi necessari6 .

5 Del 16-18 gennaio. Vedi DD. 68, 75 e 78.

6 Ciano rispondeva (con T. 135/43 del 28 gennaio) che il suo imminente viaggio in Polonia rappresentava solo la restituzione della visita fatta da Beck in Italia nel marzo precedenti.

l 00 1 Il 21 gennaio, il cardinale Verdier aveva tenuto al Théàtre Marigny una conferenza in cui aveva sostenuto che la Francia doveva avere un ruolo importante nel fronteggiare quelle ideologie «nate al di là della frontiera» che si basavano «sulla violenza, l'odio, il dominio e una tirannia odiosa nei riguardi degli esseri umani appartenenti a razze o a religioni che non piacciono». La Francia, aveva affermato il cardinale, doveva costituire con la Chiesa «un asse» per difendere quei valori spirituali che erano il suo patrimonio e aveva concluso che la Chiesa, le grandi democrazie, la Francia con il suo impero erano i difensori dell'ordine cristiano nel mondo. Sulla conferenza dell'arcivescovo di Parigi l'ambasciatore Guariglia aveva già attirato l'attenzione del Ministero (telespresso 500/221 del 21 gennaio), tàcendo notare anche che alla conferenza erano stati presenti il nunzio apostolico, monsignor Valeri, e alcuni ministri e che tutti si erano congratulati con l'oratore.

101 4 Gyi:irgy Bakach-Bessenyey.

102

L'AMBASCIATORE PRESSO LA SANTA SEDE, PIGNATTI, AL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, BASTIANINI

LETTERA 259. Roma, 24 gennaio 1939 1•

Avrò presente la segnalazione da Voi fattami con la pregiata lettera del 22 corrente n. 5762 e non mancherò d'attirare l'attenzione della Segreteria di Stato sugli articoli dell'Osservatore Romano dei quali tratta l'informazione fiduciaria, comunicatami.

Condivido interamente la preoccupazione dell'informatore sulla sensibilità delle masse popolari in conseguenza della crescente freddezza delle Gerarchie Cattoliche verso il Regime.

Il Cardinale Piazza, Patriarca di Venezia, aveva dimostrato, in un primo discorso, comprensione nei riguardi dei noti problemi. Gli elogi, qualche po' esagerati, di alcuni giornali fascisti, hanno obbligato il Cardinale a precisare, in modo meno gradito per noi, il suo pensiero. Qualcosa di analogo si è verificato o minaccia di verificarsi, nei riguardi del Vescovo di Cremona e di Padre Gemelli, Rettore dell'Università Cattolica di Milano a seguito di loro manifestazioni oratorie. I due dignitari sono stati così elogiati da Regime Fascista da esserne compromessi.

Però è, secondo me, vera illusione la pretesa di mettere gli uni contro gli altri Alti Gerarchi cattolici. La Chiesa ha superato ben altre burrasche. Nessun prelato, per elevato che esso sia, oserà opporsi al Pontefice, se lo tentasse sarebbe schiacciato.

Non sono pochi coloro, nel grembo della Chiesa, che hanno opinione diversa da quella del Papa nella questione della razza e specialmente riguardo al problema ebraico. Ma tutti, ripeto tutti, i cattolici organizzati od anche soltanto osservanti seguiranno il Papa e Gli obbediranno. Solo un nuovo pontificato-l'ho già scritto ripetutamente -potrà adottare un indirizzo diverso, conciliante nella questione della razza.

2 Non rintracciata. Trasmetteva, probabilmente, una informazione fiduciaria datata 19 gennaio che in archivio si trova unita a questo documento. L'informazione, nel rilevare le «manifestazioni acatena» contro la politica razziale che si avevano da parte cattolica, segnalava l'omelia per la festa dell'Epifania pronunciata dal Patriarca di Venezia, cardinale Piazza, nella quale era contenuto un duro attacco contro «l'eccessiva esaltazione delle razze» da considerare «un rinnegamento della dottrina cattolica», ed un articolo apparso sull'Osservatore Romano del 19 gennaio con il titolo «La situazione religiosa nel Reich» in cui si diceva che tra la fede in Gesù Cristo e l'accettazione del nazionalsocialismo bisognava scegliere perché erano inconciliabili.

102 1 Manca l'indicazione della data di arrivo.

103

L'AMBASCIATORE DI GRAN BRETAGNA A ROMA, PERTH, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

PROMEMORIA. Roma, 24 gennaio 1939.

I duly passed on to my Govemment the substance ofyour communication to me on Monday, January 16th1 , and of our conversation with regard to it. Lord Halifax instructs me to say that h e cannot help feeling some surprise at the tenour of the communication made to me. After the exchange of assurances which took piace during the visit of Mr. Chamberlain and himself to Rome he is reluctant to believe that signor Mussolini is prepared to take action which he cannot but realise would involve danger to the peace of Europe.

Following on the assurances exchanged between the two Govemments His Majesty's Govemment hope that they may rely on the Italian Govemment in no circumstances taking any action to increase their intervention in such a manner as would not only alter the present situation in Spain but would also face His Majesty's Govemment with a «fai t accompli». In the interests of peace His Majesty's Govemment trust that they will be given both an opportunity of verif)ring the accuracy of any information upon which the Italian Govemment might propose to take action and time to enable them to exert their influence to avert a crisis which might involve great danger to European peace.

Ifthe Italian Govemment and His Majesty's Govemment are to cooperate effectively in the maintenance of peace and in preventing the Spanish problem from endangering European peace, it is essential that neither Govemment should determine in advance to take automatic action in hypothetical circumstances without consulting the other as and when the occasion arises2 .

2 Il documento ha il visto di Mussolini. Negli archivi italiani non si è trovata documentazione sul colloquio avvenuto tra Ciano e l'ambasciatore Perth per la consegna di questo documento. Nel Diario di Ciano vi è in proposito questa annotazione (sotto la data del 24 gennaio): «Vedo Perth in relazione a quanto gli comunicai prima della partenza sull'eventualità di un intervento francese in Spagna. A Londra si sono allarmati. Chiedono che non si faccia niente senza esserci consultati col governo inglese. In linea di massima do assicurazioni a Perth».

103 1 Vedi D. 55, nota 2.

104

L'AMBASCIATORE A PARIGI, GUARIGLIA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 328/05 R. Parigi, 25 gennaio 1939 (perv. il 27).

Borsa francese ha registrato ieri improvviso e marcato movimento di ribasso titoli francesi. Grandi valori nazionali hanno diminuito dal 5 al lO per cento ed alcuni del 12 per cento. Il Prestito Young ha tracollato da 339 a 260 franchi.

Tale violento ed improvviso movimento di borsa è considerato in questi ambienti finanziari come immediata ripercussione avvenimenti internazionali sabato scorso: l) dimissioni di Schacht1; 2) successo decisivo avanzata nazionalisti spagnoli e suoi ulteriori sviluppi nei riguardi italiani; 3) discorso del Duce agli agricoltori2 .

Particolare ripercussione ha avuto in Francia la sostituzione di Schacht, che è stata interpretata come volontà governo tedesco di persistere in una serrata politica di armamenti. Schacht veniva considerato come moderatore dei progetti nazisti in relazione alle reali possibilità finanziarie dell'economia tedesca.

Ambienti finanziari e bancari israeliti hanno visto nella sostituzione di Schacht segno evidente della decisa trasformazione d eli'economia tedesca in economia di guerra e presagio quindi di una prossima azione violenta d eli'Asse contro gli Stati democratici.

105

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 661/190. Berlino, 25 gennaio 1939 (perv. il 27).

Ho domandato sulla visita Chvalkovsky a Berlino 1 ulteriori particolari così a Ribbentrop come a Mastny. Tutto quello che essi mi hanno detto non ha fatto che confermare le informazioni preliminari che io avevo già ottenuto attraverso Weizsiicker.

Mastny, che aveva assistito personalmente alla conversazione con Hitler, ha solo aggiunto non sembrargli che il tono del Ftihrer fosse aggressivo, ma che anzi egli lasciasse intravvedere il desiderio del meglio [sic].

Mastny ha pure aggiunto che anche con Chvalkovsky (come del resto con tutti quelli con cui parla da qualche tempo a questa parte) il Ftihrer non ha mancato di sot

I04 1 In proposito si veda anche il D. 83.

2 Vedi D. 101, nota 2.

tolineare, con enfasi, la solidità dell'Asse e l 'attaccamento della Germania all'Italia.

Solo per smentire voci errate corse in proposito sui giornali dirò che nelle diverse conversazioni non si è parlato di adesione al Patto Anticomintern, né di ripudio di alleanze francesi o russe, come pure non si è neanche accennato al riconoscimento del governo di Franco.

105 1 Del21 gennaio. Vedi DD. 89 e 94.

106

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. SEGRETO 670/197. Berlino, 25 gennaio 19391•

Mio telegramma n. 41 del24 corr.2•

Ecco qui appresso le ulteriori precisioni che in merito all'accordo politico ispano-tedesco ora in negoziazione a Burgos, ho oggi attinto presso il Segretario di Stato, barone Weizsacker.

Premesso che la Germania aveva già il 20 marzo 1937-cioè, a parecchi mesi di distanza dall'accordo nostro3 -stipulato un «protocollo» a contenuto generico4 (di cui il R. Governo ha già copia) e che prevedeva la conclusione di un accordo politico più ampio verso la fine della guerra, il barone Weizsacker mi ha ricordato che la possibilità di un accordo del genere era già stata fatta presente a Roma in occasione della visita del Fiihrer. Noi ne avevamo preso atto 5•

Nei mesi scorsi sono state quindi annodate delle conversazioni col governo di Burgos, conversazioni che ora l'Ambasciatore Stohrer è stato incaricato di portare a termine.

Il testo dell'accordo ora in negoziazione contiene otto articoli, di cui qui appresso indico sommariamente il contenuto:

Art. l) prevede il contatto fra le due Potenze su tutte le questioni internazionali di interesse comune. In caso di pericolo, l'accordo contempla una consultazione sulle misure da prendere per farvi fronte;

Art. 2) precisa la necessità di contatti in tutte le questioni che riguardano la politica anticomunista (questo articolo sarebbe assorbito nel caso che frattanto la Spagna nazionale aderisse al Patto Anticomintern);

2 Vedi D. 92.

1 Riferimento al Protocollo itala-spagnolo del28 novembre 1936 (Vedi D. 92, nota 2).

4 Protocollo tra Germania e Spagna del 20 marzo 1937 (testo in DDT, vol. III, D. 234).

5 La circostanza non risulta dalla documentazione relativa alla visita di Hitler in Italia (vedi DD!, serie ottava, vol. IX, D. 56, nota l) ma nelle istruzioni per l'avvio delle trattative, subito inviate-il 7 maggio -all'ambasciatore von Stohrer, si accenna al fatto che von Ribbentrop aveva informato Ciano dell'accordo che si intendeva concludere e, a grandi linee, del suo contenuto.

Art. 3) in caso di minaccia, si stipula un reciproco sostegno diplomatico in vista di far fronte alla minaccia stessa;

Art. 4) visti i legami di stretta amicizia che uniscono la Germania da una parte con la Spagna e dall'altra con l'Italia. le due parti sono d'accordo di fare il necessario perché. nella esecuzione di quanto è previsto negli articoli precedenti. sia assicurata la collaborazione del governo italiano;

Art. 5) nessuna delle due parti concluderà con terze Potenze trattati o patti suscettibili direttamente o indirettamente di andare contro l'una o l'altra di esse;

Art. 6) in caso che una delle parti entri in guerra, con una terza Potenza, l'altra parte si obbliga di evitare tutto ciò che possa nuocere all'altro contraente o essere utile al suo avversario;

Art. 7) prevede dei contatti di cameratismo fra le due armate nonché scambi di esperienze militari;

Art. 8) le due parti sono d'accordo che le relazioni economiche reciproche dovrebbero possibilmente svilupparsi ed integrarsi secondo norme da precisarsi ulteriormente.

Da quanto mi risulta, il governo di Franco avrebbe già dato la sua adesione di massima al progetto di cui sopra6 .

106 1 Manca l'indicazione della data di arrivo.

107

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

RAPPORTO SEGRETO 660/ ... Berlino, 25 gennaio 19391•

Faccio seguito al mio telegramma di ieri n. 422•

La situazione espostami da Ribbentrop è la seguente.

Il governo giapponese, non ostante le sollecitazioni del!' Ambasciatore Oshima e pur essendo ormai in possesso di tutti gli elementi necessari fin dal giorno 8 gennaio, non si è pronunciato. Si tratta di un governo nuovo, diverso da quello che aveva a suo tempo preso, esso stesso, l'iniziativa della proposta; ha quindi bisogno-more nipponico -di ben ponderare ex nova tutti i lati della questione. Occorre inoltre consultare il Consiglio segreto, etc., etc. Anche in trattative precedenti si sono avute analoghe lungaggini, che peraltro non hanno compromesso-come non comprometteranno certo neanche questa volta -l'esito finale.

Intanto il Generale Oshima, nella supposizione che una qualche opposizione alla cosa possa esser venuta o possa venire dal suo collega di Londra, si appresta ad incontrarsi con lui a Parigi, sicuro di poterlo in definitiva tirare dalla sua. Egli aspetta

107 1 Manca l'indicazione della data di arrivo. 2 Vedi D. 93.

comunque da Tokio una risposta, per lo meno interlocutoria, per il27. In ogni modo, è evidente che la data originalmente contemplata non può esser tenuta.

In queste condizioni potrebbe, si domandava Ribbentrop, S.E. il Ministro Ciano desiderare di venire ugualmente a Berlino per assistere alla solenne seduta del Reichstag ed al gran discorso politico del Fiihrer del 30 corrente? Se sì, egli sarebbe cento volte il benvenuto e Ribbentrop teneva, con insistenza, a farlo sapere.

Ho assicurato Ribbentrop che io non avrei mancato di informarti di questa sua cortese insistenza ma che, a mio modo di vedere, dato che Tu avresti eventualmente dovuto poi tornare ancora a Berlino, dopo due o tre settimane, io presumevo che, non ostante il piacere che certamente avresti a venir qui in ogni caso, specie per assistere al discorso del Fiihrer, Tu preferiresti di ritardare.

Ribbentrop ha trovato ciò convincente, ma ha tuttavia insistito perché io Ti facessi ~come faccio ~presente, che Tu saresti accolto qui a braccia aperte sempre ed in ogni momento.

Ti sarei grato di un Tuo cenno in proposito3 .

106 6 Il documento ha il visto di Mussolini.

108

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

LETTERA RISERVATA 665/ ... Berlino, 25 gennaio 1939 (perv. il 27).

Desidero informarti che S.E. Farinacci, giunto stamane a Berlino, è stato, subito dopo la colazione offertagli da Goebbels, nel Ministero della Propaganda, ricevuto da Hitler. Questi, secondo quanto mi dice Farinacci, è stato particolarmente cordiale e le sue dichiarazioni possono così riassumersi:

«Ho desiderato vederVi senza indugio perché conosco bene quali siano le Vostre idee, quale il Vostro atteggiamento e quale la Vostra amicizia per la Germania nazionalsocialista.

Nel mio discorso del giorno 30 p.v. io farò una dichiarazione chiara e precisa nei riguardi della politica dell'Asse Roma-Berlino e del fedele attaccamento della Germania a questa politica. So troppo bene che il nostro destino è comune: la sparizione dell'uno dei due Paesi significa dopo breve tempo la sparizione dell'altro. Se qualcuno vorrà offrirmi delle colonie perché la Germania abbandoni questa politica. io le rifiuterò perché so benissimo che senza l 'Italia dopo due o tre anni sarei obbligato a cederle nuovamente.

La vittoria di Franco in Spagna è un grande successo per l 'Italia e per la Germania. Naturalmente è ancora più grande per l'Italia perché noi, per molte ragioni, e

Ciano rispose, con T. 63/45 R. del 28 gennaio, approvando la risposta data da Attolico ed incaricandolo di confermare a von Ribbentrop che in attesa di compiere il viaggio per la sottoscrizione dell'alleanza preferiva non recarsi a Berlino.

specialmente nel 193 7, non abbiamo potuto fare gran che per la Spagna nazionale. Ma il successo, ripeto, è comune perché è la vittoria delle nostre idee. Con una Spagna di sinistra la Francia, mentre avrebbe costituito per l'Italia un grande pericolo nel Mediterraneo, avrebbe potuto formare anche contro di noi un blocco di 60 milioni. Viceversa una vittoria di Franco fa sparire queste illusioni francesi e mentre libera Voi da quelle preoccupazioni mediterranee, alleggerisce di molto la situazione alla nostra frontiera occidentale».

Mi risulta che il Fiihrer ha cominciato effettivamente a scrivere il suo discorso del 30 gennaio, lavorando molte ore del giorno e anche della notte. Egli ha quindi sospeso, praticamente, ogni udienza ed ha fatto per Farinacci una vera eccezione1 .

Nelle carte di Gabinetto vi è, unita a questo documento, la seguente lettera di Farinacci a Ciano, che porta anch'essa il visto di Mussolini:

«Attolico ti informerà per conto suo, ma io sento ugualmente il bisogno di rifcrirti sull'interessante colloquio avuto oggi con Hitler.

Egli da tre giorni non riceve nessuno, ma si è atlrettato a farmi sapere che mi avrebbe visto volentieri per salutare un sincero amico suo e della Germania.

Mi sono recato nella sua sede e mi ha ricevuto nel salotto del suo appartamento privato. Ha voluto anche salutare i camerati che mi accompagnavano e che poi sono rimasti in fondo al salone in condizioni di poter udire distintamente il colloquio che ti riassumo così:

Farinacci: Vi ringrazio Fuhrer per l'onore che mi avete concesso.

Hitler: Sono io contento di poter ricevervi a Berlino dopo Norimberga. Quanti avvenimenti da allora...

Farinacci: Oggi si aggiunge la vittoria di Franco, che è una vittoria strepitosa della politica dell'Asse.

Hitler: Noi nel l 937 abbiamo potuto mandare poco, data la situazione internazionale. La vittoria di oggi è vittoria fascista e di conseguenza è una vittoria anche morale della Germania, che ha preso posizione a fianco dell'Italia e di Franco.

Farinacci: Sistemata la questione spagnola, sono sicuro che la politica della Francia muterà alquanto.

Hitler: Credo anch'io. In ogni modo noi possiamo sorvegliare meglio l'Ovest. Certo che la Francia ha subito una grave sconfitta. Quaranta milioni di Francesi, che io ritengo tutti nemici, volevano creare in Spagna altri venti milioni di antitàscisti, ma il loro sogno è svanito. L'Italia, sul Mediterraneo, avrà così degli amici.

Farinacci: Questa fraternità dei due popoli: questa identità di vedute dei due Capi ci porterà sicuramente verso nuovi orizzonti. Anche dopo la vittoria spagnola l'Asse dovrà rappresentare la politica dominante dell'Europa, specie dopo la messa a punto della Cecoslovacchia, e dopo il fallimento della Piccola Intesa.

Hitler: Certamente. Non attendo con ansietà che il 30 gennaio. Farò un discorso molto preciso che supererà i precedenti. Dirò che la Germania è legata all'Italia per la vita e per la morte. Che la morte dell'una-non occorre sapere chi potrebbe essere la prima-significherebbe la morte dell'altra.

Anche se mi offrissero tutte le colonie, al patto di rallentare la mia amicizia verso l'Italia, risponderei con un netto rifiuto: prima per una ragione di lealtà verso la fedeltà di Mussolini; secondo perché, senza l'aiuto dell'Italia, fra tre o quattro anni le colonie me le porterebbero via.

Queste parole sono state pronunciate con accento caloroso, al che ho risposto che di fronte alle sue atlermazioni io ed i miei camerati ci sentivamo profondamente commossi e che mai avevamo sentito come in quel momento l'entusiasmo di aver creduto ciecamente nei successi dell'Asse.

Questa sera il Partito mi ha organizzato una grande manifestazione allo Sportpalast, dove parleremo io e Streicher.

Naturalmente sarò molto caloroso, perché, e tu lo sai meglio ancora di me, i tedeschi meritano questo. Stamattina Goebbels, che lo si dava tino a qualche giorno fa per liquidato, è risorto e mi ha offerto una colazione in una delle sale del suo Ministero, colazione alla quale ha partecipato tutta la vecchia guardia rivoluzionaria di Berlino.

E per chiudere vorrei spaccare il muso a tutti quei fessacchiotti che in Italia fanno ancora dello spirito di «rapa» sull'Asse Roma-Berlino. Vive cordialità.

N.B. Mi è sfuggito di dirti che Hitler ha dichiarato che, dopo l'impostazione del problema ebraico da parte dell'Italia, lo spirito dell'Asse è completo. Jnoltre che la Germania è disposta a tutto e che oggi può contare su un numero stragrande di Divisioni».

l 07 3 Il documento ha il visto di Mussolini.

l 08 1 Il documento ha il visto di Mussolini.

109

L'AMBASCIATORE A PARIGI, GUARIGLIA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI , CIANO

LETTERA RISERVATISSIMA 620/256. Parigi, 25 gennaio 1939 (perv. il 28).

Fagiuoli ha avuto una conversazione interessante con il signor Baudouin, Governatore della Banca d'Indocina, e persona di fiducia nell'attuale Gabinetto francese.

Ho detto a Fagiuoli, che parte stasera, di chiederti udienza per metterti al corrente di quanto gli è stato detto.

Anche il Baudouin ha parlato a Fagiuoli del tono conciliante del discorso che farà Bonnet domani. Mi riferisco al mio telegramma odierno n. 13 1•

Nelle carte di Gabinetto vi è una relazione di Fagiuoli datata 27 gennaio in cui sono riportate le dichiarazioni di Baudouin: «Il signor Daladier e il signor Bonnet, coi quali io sono sempre più in amicizia, sono preoccupati della situazione nei confronti dell'Italia e, rendendosi conto di molte cose, vorrebbero venire incontro ai desideri del Duce, prendendo in esame fondamentalmente tre punti: a) Gibuti, b) Canale di Suez, c) italiani in Tunisia. Essi sono disposti, particolarmente il signor Daladier, a fare un po' di più di quel che possa loro attualmente permettere l'opinione pubblica francese, e sono disposti ad entrare in trattative. lo stesso, che ho partecipato alla redazione del discorso che verrà fatto domani alla Camera dal signor Bonnet, posso dire che esso sarà assai cortese e conciliante. Purtroppo disponiamo a Roma di un ambasciatore che non ha compreso e non comprende assolutamente niente e che non si ritiene sia in condizioni di trattare. In via segretissima, senza che il signor Poncet ne sia informato, io verrei a Roma per aver contatto eventualmente con persone non ufficiali come me, ma tali da poterrni dire chiare e nette le richieste italiane. lo verrei a Roma con un mio impiegato della Banca dell 'lndocina e corrisponderei con Parigi col nostro codice della Banca, che non è conosciuto da nessuno. Il signor Daladier desidera dare una grande soddisfazione al Duce e all'Italia ed il momento è opportuno.

Ho risposto al signor Baudouin che io non ero in modo alcuno qualificato per ascoltare un discorso come il suo: che io godo di qualche fiducia dai miei Gerarchi ma che essa è strettamente limitata al campo tecnico ed a certe determinate funzioni e che, in conseguenza, gli assicuravo il massimo segreto, ma tenevo le confidenze fattemi, come un'amichevole chiacchierata.

Il signor Baudouin mi ha detto che comprendeva la mia risposta e l'aveva prevista: che nessuno ignora come, quantunque vi sia un ambasciatore di Francia a Roma e uno d'Italia a Parigi, è come se ciò non fosse: che per non commettere errori è necessario sapere quanto e in che forma la Francia può dare all'Italia: come sia bene che, in un primo tempo, ciò venga fatto da persone che, pure non occupando cariche ufficiali, sappiano quel che possono dire, e possano preparare le basi dell'edificio di guisa che, se il lavoro preliminare non va, non solo si possa sconfessare l'opera, ma neppure ne rimanga traccia: che infine il signor Daladier aveva autorizzato lui Baudouin a parlare con me e che ne avevano parlato insieme a tre, Daladier-Bonnet-Baudouin: che di ciò nulla è stato né verrà detto sia al signor Poncet, sia agli uffici del ministero degli Esteri. Infine il Baudouin mi pregava di dirgli se io avrei accettato di mettere al corrente di ciò S.E. il Ministro degli Affari Esteri d'Italia». Sul documento vi è il timbro: «Visto dal Duce». Come risulta dal Diario di Ciano, la relazione fu consegnata da Fagiuoli il 28 gennaio. In proposito vi è nel Diario la seguente annotazione: «Ne ho parlato al Duce. Benché anch'egli sia molto scettico su questi ambasciatori clandestini, mi ha consigliato di far venire il Baudouin a Roma ed eventualmente parlargli».

A seguito di questi contatti, Baudouin, venuto a Roma, ebbe due colloqui con Ciano, il 2 e il 3 febbraio. Su di essi vi sono nel Diario di Ciano queste annotazioni:

2 febbraio «Ricevo il signor Baudouin. Ha l'aria di essere una persona discreta e per bene. Dichiara di aver avuto un colloquio domenica con Daladier e Bonnet e parla per loro ordine. Naturalmente egli non impegna né Parigi né Roma: può in ogni momento essere smentita la sua visita se così ci piace. Riassumo: Daladier non intende fare alcuna concessione territoriale aperta: se pretendessimo

109 1 Con T. 297/13 R. del 25 gennaio l'ambasciatore Guariglia aveva informato che forse Bonnet avrebbe inserito nel discorso che doveva pronunciare il giorno successivo alla Camera un accenno al valore del soldato italiano. La frase non doveva poi essere pronunciata.

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NOTA N. 27 DELL'INFORMAZIONE DIPLOMATICA

Roma, 25 gennaio 1939.

Negli ambienti responsabili romani è stata seguita con attenzione la discussione che si è svolta alla Camera francese in materia di politica estera. Fra i molti discorsi uno ha suscitato particolare interesse: quello pronunciato dal Deputato Xavier Vallat, ex combattente, di recente silurato al posto di Vice Presidente della Camera, posto che è stato assegnato ad un autentico negro. Il Vallat ha avuto il coraggio di dire la verità circa l'assoluta, indiscutibile, accertatissima priorità dell'intervento francese negli affari di Spagna, intervento voluto dal governo del Fronte Popolare, presidente Blum, ancora prima dello scoppio effettivo della guerra civile.

È verissimo che i primi aeroplani italiani furono mandati -su sua richiesta al Generale Franco molti giorni dopo l'arrivo degli aeroplani francesi. È verissimo, ed è ormai storicamente documentato, che i primi legionari italiani sbarcarono a Cadice nell'inverno del 1936-37, quando già da parecchi mesi numerose brigate di cosiddetti «internazionali», reclutate e inquadrate in Francia, avevano fatto le loro prove sui fronti di Catalogna e di Madrid.

Se l'intervento francese fu, dunque, primo nel tempo e primo nella sua entità di uomini e di mezzi, l'intervento sovietico ha assunto proporzioni spettacolose.

L'On. Vallat ha servito col suo coraggioso discorso gli interessi della verità e della pace. Non la stessa cosa si può dire del suo collega Izard, il quale «rilevando la parte essenziale e decisiva avuta dai volontari italiani nell'ultima offensiva nazionalista su Barcellona» ha insistito sul pericolo «rappresentato per la Francia dalla presenza dei volontari italiani sulla frontiera dei Pirenei».

territori sarebbe la guerra. Però è disposto a fare le seguenti concessioni: larga zona franca a Gibuti; partecipazione all'amministrazione del Porto; cessione all'Italia della ferrovia in territorio etiopico; appoggiare le nostre richieste per quanto concerne Suez; rivedere gli accordi del 1935 per ciò che concerne Tunisi purché non si intenda fare della Tunisia «i sudeti italiani». Ho precisato che per Tunisi noi chiediamo una cosa: il diritto agli italiani di restare italiani. Mi sono riservato una risposta dopo aver riferito al Duce».

3 febbraio «Riferisco al Duce il colloquio con Baudouin. Conviene nel ritenere le proposte interessanti. Allo stato degli atti non vi sono che due alternative: o trattare su queste basi, rinviando ad epoca più propizia la soluzione integrale del problema, o affrontarla subito. Ma allora è la guerra. Il Duce ha preparato una relazione al Gran Consiglio e me la legge. Sostiene la tesi dei negoziati diplomatici. Mi autorizza quindi a rispondere a Baudouin che consideriamo le proposte degne di considerazione. Preferisce che le trattative si svolgano tramite l'ambasciatore. «Se arriviamo in porto attraverso l'opera di un banchiere si solleveranno sospetti sul nostro conto d'ordine morale». Mi incarica inoltre di mettere segretamente al corrente di tutto von Mackensen.

Parlo con Baudouin. È commosso quando gli dico che la sua azione è valsa ad accendere il contatto, e si rende ben conto che non tocca a lui svolgere i negoziati successivi. Restiamo intesi che riferirà a Parigi e che il governo francese, salvo novità, ci farà ripetere ufficialmente da François-Poncet quanto mi ha detto ieri il signor Baudouin. Se vi saranno elementi ulteriori, mi scriverà tramite Fagiuoli. Ho raccomandato ancora la massima discrezione, poiché se la stampa si impadronisce di questo tentativo di intesa, tutto salta in breve tempo». Su questi colloqui Ciano-Baudouin si veda anche la relazione di Baudouin in DDF, vol. XIV, D. 46.

In esecuzione delle disposizioni ricevute da Mussolini, il giorno successivo Ciano mise al corrente l'ambasciatore von Mackensen dei contatti avuti con Baudouin. Sul relativo colloquio si veda, oltre all'accenno contenuto nel Diario, il circostanziato rapporto dell'ambasciatore tedesco in DDT, vol. IV,

D. 447 e per le conseguenze i DD. 185 e 335, nota 3. Il O1 Redatta da Mussolini.

Nei circoli responsabili romani si fa notare che tali timori sono veramente eccessivi e che se tutto ciò dovesse preparare un ulteriore intervento franco-russo negli affari di Spagna, le conclusioni, anzi le decisioni italiane sono già state anticipate in una precedente nota.

111

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, ALL'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO

T. 54/41 R. Roma, 26 gennaio 1939, ore 23.

Mio telespresso 249 del 23 maggio'.

Abbiamo già avuto occasione di segnalare costà il contegno tenuto dal ministro tedesco a Tirana nei nostri confronti e la attività da lui svolta assai spesso in contrasto coi nostri interessi.

Ti prego di ritornare nella forma [che] riterrai del caso su tale argomento, facendo presente che, tenuto conto della nostra speciale situazione in Albania, il governo tedesco non può che riconoscere la convenienza di far pervenire al ministro di Germania a Tirana opportune istruzioni affinché cessi dallo svolgere tale attività.

Potrai anzi far comprendere che ci tornerebbe gradito che egli venisse sostituito appena possibile2 .

112

L'AMBASCIATORE A TOKIO, AURITI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. SEGRETO 324/64 R. Tokio, 26 gennaio 1939, ore 8 (perv. ore 23,20).

In conversazioni di carattere personale con importanti capiservizio ministero degli Affari Esteri sono stati affermati seguenti tre concetti:

1) Giappone crede che Inghilterra, anche se con altro Gabinetto, compirà ogni sforzo per evitare partecipare a conflitto, sia Europa, sia Asia e che, fedele alla politica tradizionale, cercherà far fare le spese da altri;

2 L'ambasciatore Attolico comunicava successivamente che, su istruzioni ricevute da Berlino, il ministro di Germania a Tirana aveva avuto un'esauriente spiegazione con Jacomoni e che, a quanto gli veniva detto al!' Auswartige Amt, di ciò era stata già data conferma diretta a Ciano che aveva espresso la sua soddisfazione al!' ambasciatore von Mackensen (lettera O 1818 del 3 marzo; il documento ha il visto di Mussolini). Non si è trovata documentazione, né sulla comunicazione diretta a Ciano, né sul colloquio da lui avuto in proposito con von Mackensen.

2) non si teme qui ipotesi di una coalizione dell'Inghilterra e della Francia con l'America, sia contro Giappone soltanto, sia anche contro Italia e Germania, sempre che tre Stati si mantengano fortemente uniti;

3) Giappone non desidererebbe in massima prossimo conflitto con Russia ed è convinto che anche sovieti faranno di tutto per evitare inconvenienti conflitto, senonché decisioni giapponesi sono principalmente subordinate ai propositi tedeschi che però non appaiono qui finora ben chiari.

Prego V.E. tenere informazioni strettamente riservate.

lll 1 Vedi serie ottava, vol. IX, D.l47.

113

L'AMBASCIATORE A VARSAVIA, ARONE, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 320/22 R. Varsavia, 26 gennaio 1939, ore 22 (perv. ore 1,30 del 27). Visita Ribbentrop si svolge normalmente 1 .

Egli ha avuto stamane con ministro degli Affari Esteri un primo colloquio che sarà ripreso oggi pomeriggio. Ribbentrop ha veduto anche Maresciallo Smigly-Rydz. Brindisi scambiati iersera sono improntati a tono cordiale e confermano volontà parti sviluppare loro rapporti nello spirito dell'accordo d eli' anno 19342 . Intonazione stampa è in generale favorevole senza però soverchio entusiasmo. Qualche giornale osserva che patto orientale polacco non infirma validità accordi Polonia con altri Stati; non mancano infine in alcuni organi dell'opposizione (specialmente nazionalisti o conservatori) commenti stonati in cui si ritorna sul tema della grande Ucraina e sul recente ingrandimento territoriale della Germania che rendono più delicata situazione geopolitica della Polonia.

Per le altre notizie raccolte in proposito dall'ambasciatore Arane si vedano i DD. 117 e 124 e per quanto riferiva l'ambasciatore Attolico il D. 122. 2 Vedi D. 27, nota 2.

113 1 Il ministro von Ribbentrop era giunto il25 gennaio a Varsavia da dove sarebbe ripartito il27. Sui colloqui avvenuti in quella circostanza si veda il promemoria dello stesso von Ribbentrop in DDT, vol. V, D. 126 e, da parte polacca, il LBP, DD. 51, 52 e 53.

114

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, ALL'AMBASCIATORE A SALAMANCA, VIOLA

T. RISERVATO PER CORRIERE 56 R. Roma, 26 gennaio 1939.

Accludo copia di corrispondenza intercorsa fra questo Ministero e la R. Ambasciata a Berlino circa l'eventuale adesione della Spagna al Patto Antikomintern 1•

Come rileverete, la questione è stata finora presa in esame da Ribbentrop e da me in via del tutto personale e preliminare e da parte mia è stato espresso l'avviso di rimettere ad epoca successiva all'occupazione di Barcellona i relativi passi presso Franco.

D'altra parte il governo tedesco ha fatto conoscere che l'ambasciatore di Germania a Burgos in una conversazione con Jordana ha, a titolo personale, accennato recentemente alla questione2 .

L'occupazione di Barcellona essendo ormai un fatto compiuto, ritengo che sia giunto il momento che voi intratteniate Franco, prospettandogli l'opportunità dell'adesione della Spagna agli accordi contro l'Internazionale Comunista.

Informo di quanto precede la R. Ambasciata a Berlino3 in modo che codesto ambasciatore di Germania, col quale vi prego di tenervi in contatto, possa ricevere istruzioni analoghe.

115

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, ALL'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO

T. S.N.D. PER CORRIERE 57 R. Roma, 26 gennaio 1939.

Telegramma di V.E. n. 012 dell8 gennaio1•

Potete dire a Weizsacker che nelle conversazioni anglo-italiane di Roma non è stato fatto alcun accenno alla restaurazione monarchica in Spagna e che non intendiamo in ogni caso per ora interessarci a tale problema.

2 Vedi D. 87.

3 Con T. per corriere 55 R. del 26 gennaio, con cui l 'ambasciatore Atto h co era anche incaricato di informare von Ribbentrop.

114 1 Vedi DD. 66, 77, 87 e 92.

115 1 L'ambasciatore Attolico aveva riferito con T.s.n.d. per corriere 226/012 R. del 18 gennaio che von Weizsiicker gli aveva domandato se, come era stato informato da due diverse fonti, durante la visita di Chamberlain e Halifax a Roma si era parlato di una restaurazione monarchica in Spagna.

116

IL MINISTRO A BUDAPEST, VINCI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 346/25 R. Budapest, 27 gennaio 1939, ore 23,50 (perv. ore 0,10 del 28).

Mio telegramma n. 23 1•

Ministro Affari Esteri mi ha dato comunicazione di un telegramma ricevuto da codesto ministro d'Ungheria, circa una conversazione avuta con V.E.2 . Egli lo pregherà di far conoscere fra l'altro all'E.V. quanto segue:

l) Egli è pronto ad andare a Belgrado, ma se sarà invitato. 2) In questa occasione è disposto a fare una dichiarazione unilaterale, come Stojadinovié, affermante un amichevole riavvicinamento e una stretta collaborazione. 3) Non (dico non) desidera invece che Stojadinovié sia l'intermediario tra l'Ungheria e Romania; se mai, potrebbero esserlo solo le Potenze dell'Asse.

4) Egli informerà di quanto precede Ribbentrop, sapendo, del resto, che il governo jugoslavo tiene informato minutamente il governo tedesco. A questo riguardo mi ha espresso dubbi sull'eventuale appoggio del governo del Reich che da altri indizi sembrerebbe vedere poco di buon occhio le trattative dell'Ungheria coi vicini. Noto infatti che anche il ministro di Germania, parlandomi ieri dell'idea corsa di un viaggio di Csaky a Belgrado, mi disse che evidentemente non era vero, la cosa non essendo ancora matura.

117

L'AMBASCIATOREA VARSAVIA,ARONE, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 345/24 R. Varsavia, 27 gennaio 1939, ore 22 (perv. ore l del 28).

Mio telegramma n. 22 1•

Ho trasmesso con Stefani Speciale, sia testo brindisi scambiati tra Ribbentrop e questo ministro Affari Esteri, sia testo comunicato-stampa2 diramato oggi a conclusione visita Ribbentrop.

Sinora pubbliche dichiarazioni inducono a considerare visita stessa come un elemento positivo della politica tedesca nei suoi rapporti con la Polonia.

2 Vedi D. 78, nota 9. 117 1 VediD.Il3. 2 Testo in Relazioni Internazionali, p. 92.

Von Ribbentrop, al quale poi ho chiesto quale impressione riporta del suo soggiorno a Varsavia, mi ha detto che in complesso poteva dichiararsi abbastanza soddisfatto tanto più che la sua visita non si proponeva di risolvere le singole questioni che interessano i due Paesi ma di chiarire atmosfera delle reciproche relazioni. Mi ha detto poi (ed analoghe dichiarazioni egli ha fatto alla stampa polacca) che riteneva non esistere oggi tra la Germania e Polonia problema che non possa essere risolto nello spirito dell'Accordo del 19343 . Tuttavia, egli ha aggiunto, sarà necessario che i dirigenti polacchi si mostrino animati da spirito realista e si rendano conto che occorre compiere qualche atto per modificare alcune situazioni che non rispondono alle attuali condizioni.

116 1 Vedi D. 86.

118

L'AMBASCIATORE A TOKIO, AURITI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 347/63 R. Tokio, 27 gennaio 1939, ore 18 (perv. ore 3,30 del 28).

Uffici Ministero Affari Esteri continuano studiare con calma testo nota ameri

cana , inglese2 e francese3 circa Cina e non hanno ancora deciso, né contenuto, né epoca loro risposta.

Per nota americana è probabile si limiteranno ribattere concetti loro precedente risposta. Per nota britannica, che è la prima manifestazione scritta del pensiero inglese sull'assurdo problema cinese, è probabile che risposta sarà più ampia, sia per la parte giuridica, sia per i singoli quesiti di natura politica e pratica.

Nota francese, infine, è stata qui giudicata di tono meno forte e di contenuto essenzialmente giuridico e pertanto risposta giapponese si adeguerà a tale carattere.

È probabile che tre note giapponesi si fonderanno sui concetti:

l) di riaffermare nettamente che Trattato N o ve Potenze4 devesi considerare assente5 , sia per mutate circostanze politiche d'ordine generale in Estremo Oriente, sia per mutate circostanze interne della Cina;

2) di dichiarare che Giappone non acconsentirà mai a discussioni di carattere collettivo per revisione trattati precedenti o per stipulare nuovi patti internazionali relativi alla Cina e sosterrà invece necessità trattative dirette con Cina su base assoluta parità e piena sovranità;

\18 1 Presentata il 31 dicembre precedente. Testo in FRUS, Japan 1931-1941, vol. I, pp. 820-826.

2 Presentata il 17 gennaio. Testo in BD, vol. VIII, D. 431, allegato.

3 Presentata il 19 gennaio. Testo in DDF, vol. Xlii, D. 365.

4 Vedi D. 5, nota 2.

5 Sic.

3) di confermare intenzioni Giappone rinunziare a privilegi e concessioni e sostenere Cina in analoghe rivendicazioni verso terzi Stati, pur tenendo conto necessità che passi avvengano gradualmente e entro ragionevole termine.

Comunicato Roma e Shanghai.

117 3 Vedi D. 27, nota 2.

119

IL MINISTRO A BUCAREST, GHIGT, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 393/04 R. Bucarest, 27 gennaio 1939 (perv. il 30).

Questo governo, come ho riferito 1 , continua a preoccuparsi seriamente dell'atteggiamento del Reich nei confronti della Romania. Tali preoccupazioni, accentuatesi in vista dell'annunciato discorso del Fiihrer, hanno indotto il governo stesso a prendere l'iniziativa di conversazioni con questo incaricato d'affari di Germania.

Tali conversazioni sono state svolte dal Ministro di Corte Urdàreanu e dal ministro degli Affari Esteri.

In sostanza, da parte romena si è riaffermata la volontà di questo governo di riavvicinarsi alla Germania e sono stati anche fatti accenni a favorevoli disposizioni circa la questione ucraina.

Si è d'altro canto insistito sulla necessità che elementi del partito nazista si astengano dali' esercitare qualsiasi inframettenza nella politica romena e che il governo del Reich collabori col nuovo regime autoritario instaurato dal Re.

Tanto Urdàreanu quanto Gafencu hanno poi assicurato il signor Stelzer che i provvedimenti contro i membri della Guardia di Ferro, compresi quelli riferiti col telespresso odierno n. 349/153 2 , rientrano nelle necessità imprescindibili della repressione di un movimento rivoluzionario ostile al regime e non hanno alcun significato contrario alla Germania.

Di tali conversazioni ho avuto notizia, tanto da questo incaricato d'affari di Germania (che, peraltro non mi ha dato l'impressione di essere tenuto al corrente delle intenzioni di Berlino), quanto dal Ministro di Corte Urdàreanu. Questi mi ha anche detto che il Re spera vivamente di normalizzare i rapporti col Reich ma non potrebbe più molto a lungo celare alla opinione pubblica le ragioni che hanno determinato il raffreddamento delle relazioni con Berlino, e cioè le inframettenze tedesche a tàvore della Guardia di Ferro.

Ho potuto constatare che Urdàreanu, che è persona di fiducia del Re, si manifesta a tale proposito più reciso del Gafencu, evidentemente perché egli registra direttamente le emozioni del Re, il quale, suppongo, preferirebbe affrontare l 'inimicizia della Germania nel campo internazionale, piuttosto che consentire che i tedeschi diano appoggio e aiuto nel campo interno ai suoi irriducibili avversari.

2 Non pubblicato.

120.

L'AMBASCIATORE A SALAMANCA, VIOLA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. S.N.D. 364/36 R. San Sebastiano, 28 gennaio 1939, ore 19 (perv. ore 6,50 del 29).

Questo ministro Affari Esteri e questo ambasciatore Germania mi hanno dato, ciascuno per proprio conto, comunicazione verbale dichiarazione dell'Accordo politico segreto fra Burgos e Berlino che dovrebbe essere firmato prossimamente.

Risulta che comunicazione, secondo quanto mi viene riferito da Jordana, avrebbe dovuto essere fatta nel momento in cui il progetto fosse stato comunicato a VE. da codesti ambasciatori di Germania e di Spagna. Ma poiché von Ribbentrop ne ha già fatto parola ad Attolico1 , questo ministro degli Esteri non ha voluto tardare a darmene notizia.

L'Accordo è sul tipo del nostro Accordo con Franco del 28 novembre 19362 ma da una prima sommaria visione mi è apparso nel suo insieme molto più generico e molto meno impegnativo specialmente per quanto riguarda le clausole di natura essenzialmente politica3 .

119 1 Vedi D. 81.

121

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 775/233. Berlino, 28 gennaio 1939 1•

Ho letto nel Ternps di oggi che il Ministro von Ribbentrop avrebbe ricevuto ieri a Varsavia alle 12,15 l'Ambasciatore di Francia, Noel, avendo con lui un breve colloquio per metterlo, com'è da immaginare, al corrente delle sue conversazioni con gli uomini di Stato polacchi.

La cosa ha attirato la mia attenzione e ne ho quindi domandato al Barone von Weizsacker, il quale -premesso che egli ignorava se la visita avesse avuto effettivamente luogo-mi ha in ogni modo specificato che fin dal 24 corrente, data del suo ultimo colloquio col Conte Welczek2 , il signor Bonnet aveva annunciato di avere

2 Vedi D. 92, nota 2.

2 Sul contenuto di questo colloquio, l'ambasciatore Attolico aveva chiesto, per incarico di Ciano (T. l l 62/40 P.R. del 26 gennaio), delle informazioni a von Weizsacker, il quale gli aveva confidato che, tra l'altro, Bonnet aveva dichiarato di voler fare il possibile per migliorare i rapporti con l'Italia e di essere disposto a riprendere le conversazioni «sulla base del\' accordo Lavai» ma che bisognava prima creare il clima necessario perché «le domande brusche espresse ad alta voce» non potevano portare a nulla (T. 318/47 R. de\26 gennaio). Le espressioni usate in proposito da von Weizsacker sono identiche a quelle contenute nel telegramma inviato dall'ambasciatore von Welczeck sul suo colloquio con Bonnet (in DDT, vol. IV, D. 380).

dato istruzione a Noel di andare -in segno di deferenza -a salutare Ribbentrop quando fosse a Varsavia.

Nella sua parvità, la cosa mi sembra significativa del piano sul quale, da parte francese, si intenderebbe porre le relazioni con la Germania in conseguenza della dichiarazione franco-tedesca di Parigi del 6 dicembre3 .

Altro piccolo dettaglio, a mio parere anch'esso significativo nella stessa direzione, è che il signor Bonnet, sempre nel colloquio del 24, aveva tenuto a mettere Welczek preventivamente al corrente delle linee del discorso che egli si apprestava a fare alla Camera.

Da tutto questo mi sembra evidente che la Francia tenga adesso ad ostentare una certa intimità di rapporti con la Germania. Almeno fino ad ora, però, non mi risulta che la Germania sia animata dagli stessi propositi.

Ad ogni modo, mi sembra giunta a buon tempo la dichiarazione, fatta da Bonnet nel suo discorso 4 , arieggiante il mantenimento della «politica tradizionale della Francia nell'Europa Centrale». Una indicazione in questo senso era stata anch'essa data da Bonnet a Welczek nella famosa conversazione del 24, ma all' Auswartiges Amt non le era stato dato alcun peso, essendo in contraddizione con le dichiarazioni ripetutamente fatte da Coulondre qui, nel senso che ormai, dopo Monaco, la Francia avrebbe fatto nel Centro Europa una politica di grande Potenza imperiale, senza per questo riconoscersi in quelle regioni nessuna posizione di privilegio.

Comunque, è sintomatico che gli accenni fatti da Bonnet nel suo discorso alla politica tradizionale della Francia in Europa Centrale sono stati dalla stampa tedesca odierna subito opportunamente e nettamente rintuzzati. Non solo vari giornali, come il Volkischer Beobachter, la Deutsche Allgemeine Zeitung e la Borsenzeitung, hanno protestato nei loro commenti contro ogni possibilità di un ritorno della politica francese alle sue cosiddette tradizioni nell'Oriente europeo, ma il Deutsches Nachrichtenbureau ha voluto anche diramare una informazione ad uso della stampa estera, nella quale ha rilevato che negli ambienti politici tedeschi si è d'avviso che «se il discorso di Bonnet ha voluto indicare la possibilità di un ritorno della Francia a quella politica considerata tradizionale anche dopo la guerra che soleva costruire "bastioni" alle spalle della Germania, esso costituirebbe contemporaneamente l'annuncio di nuove delusioni per la Francia».

La messa a punto mi sembra opportunissima.

4 Tenuto alla Camera il 26 gennaio. Nel suo discorso, Bonnet aveva dedicato largo spazio all'esame dei rapporti con l'Italia per sottolineare i molti tentativi effettuati dal governo francese per migliorarli per poi ribadire che «La Francia non tollererà che si tocchi l'Impero edificato con il sangue e con il lavoro francese. Essa vi manterrà intatta la sua sovranità, così come essa ne manterrà intatto il territorio» (il testo del discorso è in Relazioni Internazionali, pp. 88-91).

120 1 Vedi D. 92.

3 11 documento ha il visto di Mussolini.

12 l 1 Manca l'indicazione della data di arrivo.

121 3 Vedi D. 123, nota 2.

122

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. URGENTE RISERVATO 776/234. Berlino, 28 gennaio 1939 (perv. il 30).

Ribbentrop mi ha telefonato egli stesso questa mattina subito dopo il suo ritorno da Varsavia1 , per dirmi che la visita da lui compiuta nella Capitale polacca non presentava granché che potesse particolarmente interessare l'E.V.

In sostanza, quella visita aveva per obbiettivo principale di rimettere per così dire in primo piano l'accordo Pilsudski-Hitler del 19342 , per tal maniera togliendo ogni valore alle intese paiono-sovietiche raggiunte dopo la crisi cecoslovacca3 . Questo scopo è stato evidentemente e, quasi automaticamente, raggiunto.

D'altra parte, il pochissimo tempo trascorso fra la visita di Beck a Berchtesgaden4 e quella di Ribbentrop a Varsavia non ha permesso di sviluppare ulteriormente quei germi di più vasto approfondimento delle relazioni germano-polacche che le conversazioni di Berchtesgaden avevano inteso di gettare. In proposito sono quindi previsti opportuni scambi di vedute attraverso le ordinarie vie diplomatiche.

Di fatti nuovi, quindi, in sostanza non ve ne sarebbe che uno solo, e cioè la decisione presa di costituire una «commissione mista polono-tedesca» per esaminare e trattare di comune accordo le questioni interessanti le rispettive «minoranze nazionali» di cui aveva formato oggetto la dichiarazione comune tedesco-polacca del novembre 193 75• La decisione presa della costituzione di questa commissione ha un puro valore psicologico nei riguardi delle minoranze. In fondo, né dali 'una, né dall'altra parte si attendono da essa grandi risultati concreti.

In fatto di politica estera generale, Ribbentrop avrebbe insistito sull'idea già svolta a Berchtesgaden che cioè tanto la Polonia, quanto la Germania non debbano per ciò che riguarda le questioni dell'Europa orientale fare nulla che non sia opportunamente discusso e concordato fra di loro. È inutile dire che questo punto di vista è stato pienamente accettato anche dalla Polonia, che vi trova una nuova garanzia contro possibili sorprese tedesche riguardanti la grande Ucraina, mentre d'altra parte la Germania ne trae a sua volta una assicurazione contro inopportune «iniziative» polacche per la «piccola Ucraina».

Ribbentrop mi ha poi pregato di avvertire espressamente V.E. che egli. pur non facendo alcuna offerta concreta alla Polonia in materia di «patto anticomintern». ha tuttavia. più volte. sfiorato nelle sue conversazioni questo problema. traendone la convinzione che. nonostante la necessità in cui la Polonia si trova -data la vastità delle sue frontiere con la Russia-di non stuzzicare il governo di Mosca. essa sareb

2 Vedi D. 27, nota 2.

3 Riferimento alla dichiarazione polacco-sovietica del 26 novembre 1938. Vedi D. 27, nota 3.

4 Del 5 gennaio. Vedi D. 27, nota l.

5 Testo in DDT, vol. V, D. 18.

be pronta -forse più di quanto non si possa credere -a far buon viso ad una comune attività in materia. Che anzi, a questo proposito Ribbentrop mi ha aggiunto ritenere molto opportuno di potere avere prima del viaggio di VE. a Varsavia qualche scambio di vedute con Roma. Mi ha quindi preannunciato ulteriori comunicazioni sull'argomento, nel frattempo domandandomi di dirgli esattamente quale è la data prevista per il viaggio medesimo.

Sarò grato a VE. di qualche cortese precisione in proposito6 .

122 1 Vedi D. 113, nota l.

123

L'AMBASCIATORE A PARIGI, GUARIGLIA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 705/298. Parigi, 28 gennaio 1939 (perv. il 31).

Tel espresso di VE. n. 201817 /c. del 19 gennaio u.s. 1•

Le preoccupazioni e gli allarmi accennati dal R. Ambasciatore a Berlino circa nuove pretese tedesche da sviluppare per il 1939 esistono anche in Francia. Preoccupazioni ed allarmi che la recente dichiarazione franco-tedesca2 non è riuscita a dissipare.

La causa di tale stato d'animo è da ricercarsi oggi in questo Paese nella connessione che viene fatta tra le rivendicazioni nazionali italiane ed il conseguente atteggiamento tedesco. Se fino a poco tempo fa si vedeva-e non senza senso di sollievo in molti ambienti -lo sforzo tedesco diretto verso l'Ucraina, i recenti colloqui Hitler-Beck3 ed il viaggio di Ribbentrop a Varsavia4 hanno fatto pensare che la questione ucraina sia rinviata e che su Danzica si sia arrivati o si arrivi ad un accordo. Viene invece di nuovo ventilata l'ipotesi della messa sul tappeto delle rivendicazioni coloniali in connessione con il nuovo equilibrio mediterraneo che si determinerebbe con il soddisfacimento delle rivendicazioni nazionali italiane.

La sostituzione di Schacht5 ha avuto d'altra parte in Francia sensibile ripercussione, come ebbi già a riferire con miei precedenti rapporti. Essa è stata interpretata come segno della volontà tedesca di continuare una politica serrata di armamenti e una conseguente trasformazione deli'economia della Germania in economia di guerra6 .

2 Riferimento alla Dichiarazione franco-tedesca del 6 dicembre 1938 (testo in DDT, vol. IV,

D. 369 e in DDF, vol. XIII, D. 45 sub l). 3 Del 5 gennaio. Vedi D. 27, nota l. 4 Del25-27 gennaio. Vedi D. 113, nota l. 5 Vedi D. 83. 6 Il documento ha il visto di Mussolini.

124.

L'AMBASCIATORE A VARSAVIA, ARONE, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 398/28 R. Varsavia, 30 gennaio 1939, ore 21 (perv. ore 0,50 del 31). Mio telegramma n. 24 1 .

Da una conversazione avuta stamane con questo ministro Affari Esteri ho avuto conferma di quanto ho riferito a VE. circa atmosfera favorevole nella quale si è svolta visita Ribbentrop e la volontà parti sviluppare propri rapporti nello spirito di accordo 19342 .

Questo ministro Affari Esteri mi ha detto poi di annettere molta importanza alle dichiarazioni fatte da Ribbentrop al Presidente della Repubblica per incarico speciale del Fiihrer nel senso che Germania intende considerare i problemi dell'Europa Orientale in collaborazione con la Polonia e non contro gli interessi polacchi come stampa internazionale aveva tendenziosamente affermato in questi ultimi giorni.

Un altro punto importante che questo ministro Affari Esteri ha tenuto a far rilevare è il modo come Ribbentrop considera situazione in Cecoslovacchia. Ribbentrop infatti aveva dovuto convenire come detta situazione non apparisse ancora stabilizzata; dal che Beck è indotto a ritenere che Germania non si affretterà a concedere garanzia frontiere nuovo Stato cecoslovacco.

Nel complesso, questo ministro Affari Esteri considera risultati visita Ribbentrop come positiva e la situazione dei rapporti polacco-tedeschi notevolmente chiarita e orientata nel senso ottenere una migliore comprensione interessi reciproci.

122 6 Il documento ha il visto di Mussolini. Si veda per il seguito detta questione il D. 200.

123 1 Ritrasmetteva il D. 37.

125

IL CAPO DI GABINETTO, ANFUSO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

APPUNTO. Roma, 30 gennaio 1939.

Le prime aperture per la conclusione di un Patto tra l 'Italia e il Giappone vennero fatte fin dall'agosto 1937 per il tramite dell'Ambasciatore Hotta (colloquio con

V.E. del 31 luglio)1 e tendevano alla realizzazione di: l) un'intesa a carattere anticomunista tra l'Italia e il Giappone, sul tipo di quella già raggiunta tra la Germania e il Giappone; 2) un accordo segreto di «collaborazione tecnica nel campo militare».

La successiva partecipazione dell'Italia al Patto Antikomintern modificò il carattere della progettata intesa italo-giapponese sorpassandone il concetto iniziale. Le trattative continuarono tuttavia con lo scopo di addivenire ad un accordo italo

giapponese concepito sulle seguenti basi: I) reciproco impegno di neutralità benevola in tutti i casi; 2) reciproco impegno di consultazione in alcuni casi specifici da stabilirsi; 3) intese tecniche tra gli Stati Maggiori terrestre, navale ed aereo dei due Paesi (telegramma di V.E. a Tokio in data 6 giugno 1938)2 .

II I 6 settembre I 938 il R. Ambasciatore a Tokio telegrafava3 che, ad un eventuale «singolo Patto a tre», sembravagli preferibile un duplice «Patto a due» (italo-giapponese e nippo-tedesco) in quanto ciò «darebbe maggior peso ed elasticità alla nostra azione e ci offrirebbe il modo di tener conto dei nostri particolari interessi per i quali credo che le clausole navali del Patto avrebbero più grande importanza delle militari».

Questo concetto veniva espresso anche in altro telegramma del 29 settembre4 , col quale S.E. Auriti, nell'informare che l'Addetto Militare Giapponese a Berlino stava discutendo con Ribbentrop un rafforzamento del Patto Antikomintem mediante un nuovo patto segreto militare tripartito, aggiungeva che gli ambienti militari giapponesi «si proporrebbero, oltre a ciò, di stipulare con gli Stati Maggiori italiani accordi segreti di carattere speciale rispondenti a varie e determinate ipotesi di guerre, i quali fossero uno sviluppo del patto anzidetto, ma discussi soltanto con noi».

Al riguardo può essere opportuno ricordare che tra Germania e Giappone esiste un accordo bilaterale che il Ministro von Ribbentrop, nel suo colloquio con V.E. del 22 ottobre I 9375 , definì una specie di gentlemen 's agreement con carattere generale antirusso e fiancheggiato da «contatti tecnici fra i militari dei due Stati Maggiori».

Il progetto di accordo inviato dal Comandante Giorgis 6 , costituisce il punto di arrivo, ad oggi, delle lunghe conversazioni svoltesi a Tokio tra i nostri Addetti Militari e gli ambienti militari giapponesi.

Nel frattempo l'elaborazione di un'alleanza militare italo-nippo-tedesca ha modificato la situazione nel senso che il progetto anzidetto appare superato dal più ampio e più sostanziale contenuto dell'alleanza militare tripartita.

Il progetto trasmesso dal Comandante Giorgis, infatti, si limita nei suoi tre articoli e nelle clausole supplementari a stabilire impegni di appoggi politici, economici e militari (progressivamente graduati secondo le tre ipotesi di conflitto diplomatico, minaccia di aggressione non provocata e aggressione) senza, tuttavia, prevedere il caso di un intervento armato altrimenti che a titolo di «eventualità». Viene anzi affermato che «gli appoggi si intendono spintijìno a/limite oltre il quale l'esercizio della neutralità benevola metterebbe la parte neutrale nel rischio di essere trascinata in un conflitto armato». II progetto contempla -infine -la formazione di un «comitato speciale militare».

L'alleanza tripartita, per contro, formula nettamente l'ipotesi della guerra in comune, in caso di aggressione non provocata, e stabilisce -nel protocollo segreto

3 Vedi serie ottava, vol. X, D. 41.

4 Vedi serie ottava, vol. X, D. 185.

5 Vedi serie ottava, vol. VII, D. 468.

6 Il rapporto con cui il comandante Giorgis trasmetteva il testo del progetto di accordo (rap

porto 3/S-S del 21 dicembre 1938) fu trasmesso a Ciano dal sottosegretario alla Marina, Cavagnari, con lettera n. 1398 del 29 gennaio. Entrambi i documenti, registrati in un elenco del Gabinetto, risultano mancanti; le ricerche effettuate presso l'Archivio Storico della Marina Militare e l'Archivio Centrale dello Stato non hanno dato esito.

aggiunto-la creazione di speciali organismi permanenti, politici e tecnici, per l'esame delle singole possibilità di conflitto e per la necessaria relativa organizzazione e collaborazione7 .

124 1 Vedi D. 117. 2 Vedi D. 27, nota 2. 125 1 Vedi serie ottava, vol. Vll, D. 154.

125 2 Vedi serie ottava, vol. IX, D. 20 l.

126

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. URGENTISSIMO 410/52 R. Berlino, 31 gennaio 1939, ore 22,20 (perv. ore 0,20 de/1 °febbraio). Mio telegramma n. 49 del 30 corrente1 .

Ribbentrop ha visto oggi Oshima il quale gli ha detto esser sicuro che il suo governo debba essere fondamentalmente d'accordo per invitare Spagna ad entrare n eli' Anticomintem ma che, quanto a una risposta definitiva, egli non riteneva di poterla avere immediatamente.

125 ì Sulla prima pagina del documento vi sono queste annotazioni: «Annotazione autografa di S.E. il Ministro: sospendere tutto» e «Comunicato al Capo di Gabinetto della Marina daAnfuso il2-2-39 XVII».

Un appunto di Gabinetto per Ciano in data 4 febbraio dice: «Il Gabinetto della Marina informa che il R. Addetto Navale in Tokio -al quale erano state date istruzioni di sospendere le trattative -ha assicurato che le trattative stesse, d'intesa con il R. Ambasciatore in quella sede, sono state già sospese da oltre un mese».

Nell'elenco di documenti relativi alla questione contenuti nelle carte di Gabinetto, sono indicati altresì i seguenti documenti, non rintracciati:

a) «Lettera segreta del sottosegretario alla Marina, S.E. Cavagnari, in data 27 febbraio 1939XVII n. B 3024 con allegato rapporto segreto del R. Addetto Navate a Tokio in data 23 gennaio n. 4/S-S relativo alla sospensione delle trattative itala-giapponesi».

b) «Lettera segreta del sottosegretario alla Marina a S.E. il Ministro in data 4 aprile 1939-XVII

n. B 4800 con allegato rapporto segreto del R. Addetto Navale a Tokio in data ]0 marzo 1939-XVI! n. 5/S-S, relativo alla sospensione delle trattative itala-giapponesi». Per il periodo immediatamente successivo alla conclusione del Patto d'Acciaio, risulta che erano contenuti nella stessa busta dell'archivio di Gabinetto i seguenti documenti:

a) «Rapporto segreto del R. Addetto Navale a Tokio n. 6/S-S del 30 maggio 1939, circa l'atteggiamento dell'Esercito e della Marina in relazione alle trattative italo-nipponiche e italo-tedesco-nipponiche» (qui pubblicato in Appendice l, D. 8);

b) «Telegrammi del R. Addetto Navale a Tokio dell'8 agosto, 13 agosto e 14 agosto 1939, relativi ad un 'eventuale ripresa delle conversazioni itala-giapponesi». Questi documenti non sono stati rintracciati.

In proposito vi è il seguente appunto di Gabinetto in data 18 agosto: «Il R. Addetto Navale a Tokio ha riferito che quel Ministro della Marina ha proposto che abbiano inizio gli studi previsti nella bozza del noto Patto itala-giapponese. Beninteso, le conclusioni diverrebbero impegnative solo quando ciò fosse stabilito da un patto politico. Si rimane in attesa delle istruzioni di Vostra Eccellenza».

Ciano rispose a Cavagnari con lettera 5719 del 21 agosto: «Ho preso visione dei due telegrammi del R. Addetto Navale a Tokio da te trasmessimi con lettere n. 10819 e l 0931 rispettivamente del 13 e 14 corrente. Ritengo che, per il momento, non sia il caso di iniziare le note conversazioni. La questione potrebbe eventualmente essere riesaminata fra qualche tempo».

Su nuovi approcci da parte giapponese per una ripresa delle trattative risulta aver riferito il comandante Giorgis con un telegramma del 30 agosto, non rintracciato. In proposito, si veda quanto comunicava l'ambasciatore Auriti in serie ottava, vol. XIII, DD. 434 e 436.

Ribbentrop riterrebbe allora utile tornare senz'altro all'idea annunciata dall'E.V. nel telegramma per corriere del 26 corrente n. 55 R.2 e quindi proporrebbe di:

l o -Incaricare ambasciatore di Germania Burgos -d'accordo con ambasciatore d'Italia-di invitare formalmente governo di Franco aderire Anticomintern. Invito dovrebbe essere preciso e non generico, dando anche sensazione che un rinvio «a fine guerra» non sarebbe ritenuto opportuno.

I due ambasciatori dovrebbero anche dichiarare che invito viene fatto praticamente di intesa con il governo Tokio, il quale non mancherà confermarlo per parte sua al più presto. Egli telegrafa ad ambasciata di Germania a Tokio informandola passo fatto a Burgos ed invitandola a fare confermare al più presto dal governo giapponese.

Ribbentrop ritiene di agire così per evitare lungaggine Tokio ed indurla a fare presto. Domanda tuttavia, prima di dar istruzioni conformi ad ambasciatori tedeschi a Burgos e Tokio, di sapere, possibilmente per telefono, parere di V.E.3 .

126 1 T. 396/49 R. del 30 gennaio. L'ambasciatore Attolico aveva comunicato che von Ribbentrop era «pienamente d'accordo» sull'iniziativa per un'adesione della Spagna al Patto Anticomintem ma che prima di dare le relative istruzioni all'ambasciatore a Burgos riteneva necessario informare il governo giapponese.

127

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, ALL'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO

T. PER CORRIERE 66 R. Roma, 31 gennaio 1939.

Accludo copia di un telegramma da Londra relativo ad un colloquio fra S.E. Grandi e Lord Plymouth sulla situazione del Comitato di non intervento dopo l 'occupazione di Barcellona 1•

Valendovi degli elementi in esso contenuti vi prego di intrattenere Ribbentrop allo scopo di accertare il punto di vista del governo tedesco al riguardo. Potete dire a Ribbentrop che, in linea di massima, ritengo che potrebbe essere inviata a Londra una risposta sulle seguenti basi:

0 ) il governo italiano conviene nella opportunità che la liquidazione del Comitato di non intervento avvenga in modo graduale e con la necessaria cautela. Ciò sempre che anche da parte delle altre Potenze interessate si osservi nei confronti del Comitato di Londra e della politica del non-intervento un analogo atteggiamento di responsabilità e di prudenza.

2°) Il governo italiano è pronto a versare le due quote mensili scadute l'otto novembre e l'otto dicembre u.s. a condizione che ciò venga fatto dalle altre tre Grandi Potenze interessate (mio telegramma per corriere n. 986 R. del 22 gennaio) 2 .

3°) Il governo italiano ritiene infine che, almeno per il momento, possa essere affidato a Hemming il compito di procedere in via amministrativa alla massima possibile riduzione di spese per quanto riguarda gli Uffici Centrali di Londra e gli schemi di osservazione terrestre e marittima. Quando tali riduzioni, sulle quali non è necessario interpellare il Comitato, saranno state effettuate, il governo italiano si riserva di esaminare nuovamente la situazione. Prego telegrafare.

l26 2 VediD.Il4,nota3. 3 Con T. 7!/52 R. del l o febbraio Ciano trasmetteva il D. 114 ed informava di aver invitato il governo giapponese a compiere un passo analogo a quello italo-tedesco.

127 1 Fonogramma 336/s.n. del 27 gennaio. Nel corso del colloquio, Lord Plymouth aveva dichiarato che per il momento il governo britannico riteneva opportuno tenere in vita il Comitato di non intervento e i suoi organismi «per operare con le minori possibili scosse il trapasso verso la normalità e i rapporti verso la nuova Spagna nazionale. Il governo britannico -aveva aggiunto Lord Plymouth -teme inoltre che una subitanea liquidazione della politica di non intervento e dei suoi vari organi proprio all'indomani della vittoria di Franco in Catalogna non mancherebbe di essere sfruttata dai soliti mestatori dell'opposizione per intensificare la loro agitazione contro Chamberlain. accusandolo di aver tenuto in piedi il non intervento quando funzionava (così essi pretendono) a svantaggio dei Rossi ma di abolirlo proprio nel momento in cui tale abolizione non può che far comodo a Franco».

128

L'INCARICATO D'AFFARI A BUDAPEST, FORMENTINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 435/027 R. Budapest, 31 gennaio 1939 (perv. il 2 febbraio).

Questo ministro di Jugoslavia 1 , con il quale ho avuto modo di parlare, occasionalmente ad un pranzo in casa sua, dello stato attuale dei rapporti ungaro-jugoslavi, mi ha smentito la notizia pubblicata dai giornali italiani di un viaggio del conte Csaky a Belgrado. Csaky, come è noto all'Eccellenza Vostra (telegramma di questa legazione n. 25 2), ha dichiarato di non potersi recare a Belgrado se non invitato, e, da quanto ho potuto comprendere, tale invito non gli verrà per il momento rivolto da Stojadinovié. Il ministro di Jugoslavia ha insistito esclusivamente sul noto punto che la Jugoslavia non può stringere accordi con l'Ungheria all'infuori della Romania alla quale essa è tuttora legata da vincoli politici e dinastici. Ho avuto poscia modo di parlare con il consigliere della legazione3• Egli mi ha detto essere suo parere, in base a notizie in suo possesso, essere fermo convincimento di Stojadinovié, che ne avrebbe ora maggiore forza anche, dal punto di vista della politica interna, di giungere ad un effettivo accordo con l'Ungheria e che intenda sormontare per gradi le difficoltà che vi si oppongono. A suo dire, sebbene non creda siano ostacoli insormontabili, dovrebbe anche essere tenuto conto che la situazione fra Romania e Germania, dopo un periodo di crisi, è attualmente migliorata e ciò farebbe ritenere a Stojadinovié meno opportuna una mossa che potesse dispiacere alla Romania rallentando i vincoli con essa. Ciò in relazione al fatto che il Reich manterrebbe ancora qualche riserbo circa la questione del riavvicinamento ungaro-jugoslavo, non avendo ancora precisa

1281 Svetozar Rasié.

2 Vedi D. 116.

3 Luka Lukovié.

mente scontato il vero scopo di tale unione sotto l'egida dell'Italia. Avendogli spiegato che tale unione non poteva essere in alcun modo diretta contro nessuno, egli mi ha detto esserne pienamente convinto ma di avermi solo voluto accennare ad una impressione che, secondo lui, esiste in Jugoslavia.

Egli mi ha anche aggiunto che era viva I'impressione prodotta in Jugoslavia dal fallito colpo magiaro in Rutenia4 che, se riuscito, avrebbe riportato nelle frontiere ungheresi delle popolazioni di razza slava. Egli ha concluso dicendo che era certo che Stojadinovié avrebbe lottato per giungere allo scopo considerando quanto sopra più che delle reali difficoltà, dei malintesi da eliminare.

Avendo avuto occasione di parlare circa l'argomento anche con questo direttore generale degli Affari Politici, egli mi ha confermato quanto già era stato riferito ali'Eccellenza Vostra dal R. Ministro con suo telegramma per corriere n. Ol I del 20 gennaio u.s.5 .

127 2 Ritrasmetteva il T. 246/17 R. del 20 gennaio da Londra con cui si comunicava che il segretario del Comitato di non intervento aveva sollecitato il versamento delle quote dovute al Comitato dalle «quattro grandi Potenze interessate» (Francia, Gran Bretagna, Germania e Italia). Il governo italiano -aggiungeva Ciano -era favorevole ad eftèttuare i pagamenti ma desiderava sapere quale fosse la posizione del governo tedesco in proposito.

129

L'AMBASCIATORE A MOSCA, ROSSO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 479/188 R. Mosca, 31 gennaio 1939 (perv. il 6 febbraio).

Mi è stato riferito che in occasione di una colazione intima offerta da questo ambasciatore di Turchia con la partecipazione di Litvinov, questi avrebbe lanciato l'idea di un «Patto del Mar Nero» cui potrebbe aderire, oltre gli Stati rivieraschi (U.R.S.S., Romania, Bulgaria e Turchia), anche la Grecia.

Secondo il mio informatore, l'ambasciatore di Turchia1 ed il ministro di Grecia2 avrebbero mostrato interessamento per l'idea di Litvinov, mentre il ministro di Romania3 avrebbe manifestato una marcata freddezza.

Il ministro di Bulgaria\ che non aveva partecipato alla colazione, mi ha detto che nessuno lo ha finora informato di questi asseriti «assaggi» del commissario per gli Affari Esteri.

Sto facendo indagini per accertare la veridicità delle informazioni fornitemi e mi riservo di riferire ulteriormente.

Non mi pare del tutto da escludere che Litvinov possa effettivamente pensare di far rivivere quello che credo essere stato originariamente un piano del suo amico Titulescu e che quindi egli abbia voluto lanciare qualche sondaggio. Le circostanze in cui egli avrebbe rivelato il suo pensiero mi rendono tuttavia incline a pensare che si

2 Spiridione Marchetti.

3 Nicolae Dianu.

4 Nicolas Antonov.

sia trattato più che altro di una conversazione accademica, come se ne fanno spesso attorno alla tavola imbandita5 .

128 4 Riferimento all'azione di forza progettata dagli ungheresi nel novembre precedente. In proposito si vedano i documenti pubblicati nel volume decimo di questa serie. 5 Vedi D. 78.

129 1 Zekai Apaydin.

130

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 862/254. Berlino, 31 gennaio 19391•

Con fonogramma n. 50 di questa notte2 ho riferito all'E.V. le mie prime impressioni nei riguardi del grande discorso politico pronunciato ieri sera al Reichstag dal Cancelliere Hitler3 , in occasione del 6° anniversario d eli' assunzione al potere del Nazionalsocialismo.

Mi sembra utile aggiungere ora qualche maggiore dettaglio.

Le sedute del Reichstag sono, com'è noto, limitatissime: si può dire che praticamente il Parlamento tedesco non si riunisca che una sola volta all'anno,-sempre in occasione di avvenimenti importanti -per ascoltare le dichiarazioni del governo e per ricevere dal Fiihrer il motto d'ordine per l'anno nuovo. L'ultima seduta era stata quella del 19 marzo, nella quale era stata proclamata ed esaltata l 'avvenuta unione dell'Austria al Reich tedesco.

L'annunzio quindi che, dopo un periodo di nove mesi, il Fiihrer aveva prescelto il 30 gennaio per fissare le linee di azione del 1939 aveva suscitato interesse vivissi

Il T. 479/188 dell'ambasciatore Rosso era ritrasmesso dal Ministero a diverse ambasciate e legazioni con T. per corriere 1790 P.R./c. del 7 febbraio.

Da Atene, il ministro Boscarelli rispondeva che anche al ministero degli Esteri greco risultava che Litvinov aveva parlato di quel progetto di patto «come di uno strumento diplomatico che avrebbe dovuto rimpiazzare-sotto l'egida russa-la "defunta" Intesa Balcanica>> e al quale la Grecia avrebbe potuto aderire «in considerazione dei suoi stretti rapporti con la Turchia>>. Ma-aggiungeva il ministro Boscarelli-al ministero degli Esteri si dichiarava che il progetto non era preso in seria considerazione (T. per corriere 622/008 R. del 15 febbraio).

Da Bucarest, il ministro Ghigi riferiva che il segretario generale del ministero degli Esteri, Cretzianu, gli aveva dichiarato di non aver ricevuto un'apertura in proposito da parte sovietica ma che la stampa romena dava notizia di sondaggi sovietici in vista di un patto tra U.R.S.S., Romania, Turchia e, forse, Bulgaria e Grecia «destinato a costituire un sistema di sicurezza collettiva contrastante l'espansione tedesca verso Oriente>> (T. 610/30 R. del 15 febbraio).

Da Sofia, l'incaricato d'affari, Daneo, telegrafava che Kiosseivanov gli aveva dichiarato di non aver ricevuto nessuna proposta da parte sovietica circa una partecipazione della Bulgaria ad un «Patto del Mar Nero>> e che comunque un progetto del genere era contrario all'indirizzo generale della politica bulgara perché avrebbe avuto carattere antijugoslavo (T. per corriere 764/025 R. del 22 febbraio).

Per quanto veniva riferito in proposito da Ankara, si veda il D. 205.

2 T. 395/50 R. del 30 gennaio, non pubblicato.

3 Testo in Relazioni Internazionali, pp. 77-86.

mo, sia negli ambienti tedeschi sia in quelli internazionali ed aveva fatto affluire a Berlino numerose personalità da tutte le provincie del Reich e dall'estero molti giornalisti stranieri, tra i quali non pochi francesi, inglesi ed americani, con alla testa il Sauerwein ed altri.

La seduta è stata tenuta, secondo il solito, nel Teatro del Kroll: in avvenire, secondo quanto è stato già annunciato, sarà invece rimesso in ordine e riaperto il grande edificio del Reichstag, rimasto fino ad oggi-dopo l'incendio del 1933-inutilizzato.

II governo era al completo. Presenti anche i Rappresentanti della Marca Orientale e delle Terre Sudetiche, con alla testa Seyss-Inquart e Henlein. Riapparso, per l'occasione, von Papen.

Gremita la tribuna del Corpo diplomatico: erano presenti gli Ambasciatori d' Italia, del Giappone, di Spagna, di Francia, di Polonia, di Russia, del Belgio, vale a dire tutti quelli presenti a Berlino. Assisteva alla seduta anche la delegazione della nostra Polizia guidata dal Gr.Uff. Palma, venuta qui per presenziare le cerimonie della festa della Polizia tedesca.

Dopo la rielezione, all'unanimità, del Maresciallo Goring alla Presidenza dell'Assemblea e dopo brevi parole del Ministro degli Interni Frick il quale, nella sua qualità di antico Capo della frazione nazionalsocialista parlamentare, ha proposto il prolungamento della legge dei pieni poteri per il governo fino al 1943, ha preso la parola il Cancelliere.

Il discorso è durato esattamente due ore e 20 minuti. È stato pronunciato con molto calore. con vivaci battute ironiche e con tono di voce elevato. senza soste: il Cancelliere non ha dato il minimo segno di stanchezza ed è apparso a tutti in ottima forma.

Dopo una prima parte, dedicata agli avvenimenti del I 938 che hanno portato alla creazione del grande Reich tedesco -nella quale non ha mancato di ricordare, per quanto riguarda la crisi austriaca, il suo incontro con Schuschnigg a Berchtesgaden4 e, per quanto riguarda la crisi cecoslovacca, la famosa giornata del 21 maggio5 -Hitler ha, per oltre 40 minuti, rievocato i principi essenziali del Nazionalsocialismo ed il valore della Volks-gemeinschafl e della Fiihrung: nulla di particolarmente nuovo ma solo la conferma del carattere popolare e della larga base sulla quale poggia il movimento.

Il Cancelliere ha, nell'occasione, accennato nominativamente -in un brano che risulta inserito in un secondo momento e quindi forse a richiesta o suggerimento altrui -alla collaborazione, da lui apprezzatissima, fornitagli da Goring e da von Ribbentrop. Se non è la prima volta che il Cancelliere in un suo discorso menziona il Maresciallo. è viceversa nuovo l'accenno al ministro degli Affari Esteri, circostanza che dà un certo risalto al silenzio sotto il quale sono stati passati i nomi degli altri collaboratori. a cominciare da quello del Capo della Propaganda. dottor Goebbels. L'accenno ai due uomini ha dato luogo a una dimostrazione di particolare, direi profonda, simpatia per Goring; anche l'applauso per Ribbentrop non è naturalmente mancato, ma non certo paragonabile a quello indirizzato al Feldmaresciallo.

A questa parte teorica e vorrei dire filosofica è seguita una approfondita analisi del problema economico nel quale si dibatte l'odierna Germania: popolo di ottanta

5 Sulla crisi del20-22 maggio 1938 si veda serie ottava, vol. IX, DD.124, 133, 139, 145, 146 e 178.

milioni, contenuto in un territorio limitato, senza possedimenti d'oltremare e sprovvisto di molte materie prime e sufficienti prodotti del suolo.

Qui il Cancelliere è stato molto chiaro e le sue parole sono apparse inequivocabili: o il popolo tedesco potrà trovare i mezzi per vivere. attraverso la possibilità di esportare e quindi di acquistare. o altrimenti dovrà morire. E qui Hitler. fra gli applausi dell'Assemblea. ha affermato che il Popolo tedesco non morrà.

È la lotta di classe, la questione sociale che, agitata finora nella cerchia delle singole nazioni, ora incomincia a posarsi sul terreno internazionale fra nazioni e nazioni e finirà col mettere di fronte in un forse non lontano domani i Paesi che beatamente possiedono contro quelli che invano e lungamente attendono.

È questa la parte forse più interessante del discorso di Hitler di ieri e che determina e condiziona la stessa concezione della pace germanica. Hitler auspica, ha detto, una lunga pace, ma una pace che permetta alla Germania di vivere, cioè di procurarsi col suo lavoro, attraverso gli scambi ed i commerci, quello che le manca.

Il Cancelliere è poi passato alle due questioni di carattere interno che attraggono maggiormente l'attenzione dell'Estero: la situazione degli ebrei e quella delle Chiese.

Circa gli ebrei, Hitler ha avuto parole molto dure allorchè ha condannato certe ingerenze straniere le quali, sotto la scusante di voler difendere, per ragioni umanitarie, gli israeliti, mirano in definitiva ad indebolire la nuova Germania. E ha qui fatto intravedere la possibilità, qualora talune campagne straniere di stampa dovessero continuare ai danni della Germania, di nuove misure repressive e di rappresaglie propagandistiche.

Anche sulla questione religiosa, Hitler è stato severo, ma più nella forma, però, che nella sostanza. Si può anzi dire che, in questo campo, il discorso ha avuto intonazioni maggiormente difensive che non offensive, in quanto che, pur condannando nettamente il clero «politico», egli ha riaffermato la volontà del governo nazionalsocialista di lasciar vivere in pace le Chiese, di cui ha dimostrato, a norma di statistiche debitamente fornite, che esse sono state e sono largamente sovvenzionate dallo Stato.

Non troppo felice, in questo campo, sono apparse le parole relative alla pederastia e alle aberazioni sessuali di taluni membri del Clero, e ciò dati l'ambiente e l'elevatezza ed il tono del discorso. E anche perché ormai si tratta di roba sorpassata. È da tempo che non si lamentano più fatti del genere. 11 rievocarli mostra quasi la coscienza di un bisogno di difesa.

Il Cancelliere ha infine dedicato l 'ultima parte del suo discorso alla politica estera e ai rapporti della Germania con i vari Paesi: parte che è stata nettamente dominata dalla dichiarazione relativa all'amicizia tra l 'Italia fascista e la Germania nazionalsocialista e all'esaltazione dell'opera compiuta dal Duce.

Come ho tàtto notare con il mio fonogramma, la netta. precisa. inequivocabile affermazione che. nel caso di una guerra scatenata contro l'Italia. l'aggressore si troverebbe di fronte anche la Germania ha sollevato una grande. entusiastica dimostrazione dei Deputati e del pubblico. dimostrazione che è stata una delle maggiori se non la maggiore di quante ne siano avvenute durante tutto il discorso. che pure è stato molte volte sottolineato da insistenti applausi. Molto significativo nei riguardi dell'Italia che nel testo definitivo divulgato questa notte dal Deutsches Nachrichten Bureau la parola «ideologica», che figurava inserita nella frase riguardante la solidarietà della Germania in una guerra «ideologica» scatenata contro l'Italia, è stata sop

pressa. E questo dovrebbe essere, per le persone in buona fede, il suggello disingannatore definitivo. Cordiali le dichiarazioni relative ai rapporti con la Polonia il cui avvicinamento alla Germania Hitler ha fatto risalire all'azione e alla volontà del Maresciallo Pilsudski.

Circa l'Inghilterra, la solita affermazione che la Germania non intende offendere gli interessi inglesi e che una distensione dei rapporti fra i due Paesi ha grande importanza per la pace del mondo.

Affermazione questa ripetuta, del resto in termini brevissimi e quasi incidentalmente, anche per la Francia, i cui rapporti con la Germania, a seguito dell'Accordo franco-tedesco di Parigi, sono stati peraltro passati, circostanza molto significativa da tutti rilevata, sotto assoluto silenzio. Silenzio che è stato mantenuto poi anche nei confronti della Russia sovietica e delle questioni dell'Oriente europeo (questione ucraina, Rumania, etc.).

Del resto, in linea generale, tutti gli accenni ai Paesi stranieri -se si fa eccezione, ripeto, dell'Italia e, per quanto in termini molto minori, del Giappone, del quale il Cancelliere ha ricordato la funzione anti-bolscevica in Estremo Oriente sono stati brevissimi, intonati ad un certo vago ottimismo e senza, assolutamente, alcun particolare significato.

Solo con gli Stati Uniti sono da rilevare non poche battute polemiche per il contegno tenuto dagli uomini di governo americani nei confronti della Germania: contegno attribuito però dal Cancelliere agli intrighi d eli' ebraismo internazionale.

La perorazione del discorso è stata indubbiamente molto efficace, con la rievocazione del contributo apportato dai grandi uomini tedeschi, alla storia del Popolo germanico, e ha sollevato una calda dimostrazione di consenso.

La seduta si è chiusa, secondo le tradizioni, con il canto degli inni nazionali.

Il discorso, di vastissima mole, è apparso bene impostato e bene inquadrato. Esso è stato in sostanza, specie in rapporto all'uomo e ai suoi discorsi precedenti, moderato. Tranne che per la questione ebraica, in cui ha mostrato il chiaro intendimento di liquidarla definitivamente, Hitler non è stato eccessivo in niente. Per quanto riguarda la Chiesa, si può dire che egli ha fatto l'anticlericale ma non l'antireligioso. Persino nei riguardi dell'America la polemica non è stata smodata. Il nome di Roosevelt non è stato fatto. Della Russia non ha parlato. Tranne che nel caso di una difesa dell'Italia, il Fiihrer non ha mai parlato di guerra. Anzi, più volte, ha parlato di pace. La sua impostazione del problema economico-politico della Germania è tale da dare la sensazione che lo stesso Hitler non si attende una soluzione immediata del problema. Egli ha fatto comprendere al popolo tedesco la difficoltà della situazione esortando a tirar diritto e durare, allo stesso tempo dando la netta visione che niente è ora possibile a colpi di bacchetta magica. Altrettanto per le colonie, di cui ha anche specificato che non costituiranno motivo di guerra.

Nessuna mèta immediata, quindi, per ulteriori avanzate, nessun programma per l'anno in corso, se si eccettua quello di sviluppare ulteriormente le attività produttive del Paese e di elevare la specializzazione della mano d'opera adeguandola alle crescenti esigenze della tecnica. Si può dire che, per la prima volta, il Cancelliere, ha fatto un bilancio ed ha messo un punto. Non ha precisato, ripeto, una linea di marcia su nuovi obiettivi di realizzazione immediata. Evidentemente, comincia ora il lavoro di assestamento per la Nazione, lavoro che, secondo le stesse, ripetute, dichiarazioni di Hitler ha bisogno di un certo periodo di pace e di uno sforzo compatto e concorde della grande collettività tedesca. Un sogno millennario è stato raggiunto, quello della formazione del grande Reich: ora bisogna mantenerlo e mantenere gli ottanta milioni di tedeschi che vi sono dentro. A questo scopo Hitler invoca in tutti i campi -quello commerciale in primissima linea -la comprensione e la cooperazione di tutto il mondo, per conto proprio dichiarando, che, se gli altri si occuperanno dei fatti loro, anche egli è disposto ad occuparsi solo dei suoi.

Quelli, quindi, che oltre frontiera credevano di trovare nel discorso del 30 gennaio 1939 i germi ed i segni di nuove «avventure» dovranno convenire che, dopo tutto, il discorso del Ftihrer è, tenuto conto ripeto dell'uomo, un discorso pacifico6 .

129 5 L'ambasciatore Rosso comunicava successivamente (con T. per corriere 478/192 R. del 1° febbraio) di avere appreso dal ministro di Bulgaria, Antonov, «che effettivamente Litvinov, parlando all'ambasciatore di Turchia e ai ministri di Romania e di Grecia, ha lanciato l'idea di un patto del Mar Nero. Egli ha espresso l'opinione che la vecchia Intesa Balcanica abbia oggi perduto parte del suo valore a causa della defezione di fatto della Jugoslavia, la quale si appoggia all'Asse Roma-Berlino. A suo avviso, l 'Intesa Balcanica potrebbe utilmente essere sostituita o completata da patto fra gli Stati rivieraschi del Mar Nero, includendovi Grecia>>.

130 1 Manca l'indicazione della data di arrivo. Il documento fu inviato in visione a Mussolini il2 febbraio.

130 4 Del 12 febbraio 1938. Si veda in proposito serie ottava, vol. VIII, DD. 143, 147, 148, 153, 157 e 165.

131

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 861/253. Berlino, 31 gennaio 1939 (perv. il 2 febbraio).

Ho già riassunto e commentato in altro rapporto 1 le linee generali del discorso del Ftihrer. Qui desidero sottolineare che quel discorso si distingue dai precedenti anche in quanto il suo autore, pur riaffermando la predominanza dei valori ideali, non esclude l'influenza che nella vita dei popoli assumono i fattori e gli interessi materiali ed economici. Perciò egli ha considerato nelle sue dichiarazioni la possibilità di una collaborazione internazionale sulla base del riconoscimento dei diritti comuni alla esistenza, indipendentemente dalla diversità dei regimi in cui vivono i differenti Stati. Più che di essenza morale, i problemi vitali la cui soluzione si impone ai dirigenti tedeschi, sono ora, egli ha proclamato, di ordine materiale.

«Il Nazionalsocialismo-dice ulteriormente il Ftihrer-è dominato dalla brutale energia volitiva di abbordare i problemi che debbono essere risolti, e di risolverli in una maniera o nell'altra. E, date le circostanze di fatto, noi dobbiamo sostituire i mezzi materiali che ci mancano con un 'infinita diligenza e con un 'estrema concentrazione della nostra energia di lavoro».

Queste parole si riferiscono evidentemente alla volontà già dichiarata da Hitler di potenziare al massimo l'apparato produttivo della Germania. Tale volontà si è estrinsecata col recente incarico affidato al Ministro dell'Economia di avvisare [sic] ai mezzi opportuni per aumentare al massimo il valore della produzione, sia centralizzando la direzione di quest'ultima, sia sfruttando nuovi metodi ed applicando nuovi processi tecnici. A questo scopo sono diretti anche gli sforzi che tendono al miglioramento qualitativo della mano d'opera tedesca. Mentre finora infatti la preoccupazione maggiore era stata quella di occupare il maggior numero possibile di lavoratori, il problema che ora si presenta è quello di ottenere da essi un maggiore e

131 1 Vedi D. 130.

migliore rendimento. Vi è quindi certamente da attendere che l'industria tedesca entri per questo in un nuovo periodo che sarà caratterizzato da uno sforzo supremo per aumentare e perfezionare il rendimento della mano d'opera.

Come ho detto altrove, il discorso del Ftihrer e Cancelliere del Reich è stato nel suo complesso moderato ed intonato ad un senso di buona volontà e di pacificazione. La Germania, le cui energie sono tutte occupate nell'esecuzione del vasto programma di ricostruzione interna, sente infatti la necessità di vivere tranquilla per un certo tempo. Ciò ha voluto esprimere Hitler quando ha manifestato la sua fede in un lungo periodo di pace.

Questo non significa tuttavia che tale vivo desiderio della Germania sia senza limiti e senza condizioni. Il Cancelliere, tralasciando le lunghe escursioni che egli suoi fare nel campo ideologico, si è piuttosto soffermato questa volta sulla esposizione dei motivi economici che determinano in modo decisivo l'azione politica tedesca. Questi motivi trovano la loro origine sostanzialmente nel diritto di esistenza di un grande popolo di 80 milioni di abitanti, costretto a vivere in uno spazio limitato. ntrasferimento che il Cancelliere ha fatto del problema della migliore distribuzione delle ricchezze dai limiti nazionali al piano internazionale costituisce, in realtà, l'elemento caratteristico del discorso di ieri, ed ha conferito a questo un'impronta attuale e significativa.

Hitler ha posto come base della sua argomentazione il seguente interrogativo: come si può assicurare una partecipazione equa e ragionevole di tutte le grandi nazioni alle ricchezze del mondo? La difficile situazione in cui si trova la Germania a tale riguardo, ha detto egli, può essere fronteggiata in due maniere: l) mediante un'importazione complementare di derrate alimentari e quindi con un adeguato aumento delle esportazioni di prodotti tedeschi; 2) mediante l'ampliamento dello spazio vitale del popolo tedesco. Questa seconda soluzione per ora non è possibile, data la persistente attitudine negativa delle altre Potenze, e quindi non rimane alla Germania se non esportare di più per poter comperare all'estero quanto le abbisogna per la sua esistenza. Qui il Filhrer ha avuto chiare parole all'indirizzo delle Potenze occidentali e degli Stati Uniti, facendo loro comprendere innanzi tutto l'opportunità di rinunciare a metodi di accerchiamento economico della Germania, e d'altra parte invece l'utilità, nell'interesse reciproco, di accordi commerciali, che presentino per il Reich il vantaggio di facilitare il collocamento all'estero dei suoi prodotti, e gli permettano di aumentare nello stesso tempo i suoi acquisti di materie prime.

In un modo o nell'altro tuttavia il problema vitale del popolo tedesco, che ormai è posto in tutta la sua ampiezza ed in tutta la sua gravità, dovrà essere risolto. Sarebbe un grossolano errore, ha aggiunto ancora il Ftihrer, quello di pensare che in Europa popoli come il germanico e l 'italiano possano sparire per l'eternità dalla storia quali elementi capaci di aspirare a diritti eguali, a sparire non tanto come energie passive, ma quanto come forze attive plasmatrici di vita. Ritenere che Dio permetta ad alcuni popoli di appropriarsi prima con la violenza [di] un mondo intero, e di difendere poi il loro furto accampando teorie morali, è cosa certo tranquillizzante e soprattutto comoda per i possidenti, ma di nessun rilievo, priva di qualsiasi interesse e quindi non impegnativa per i non abbienti.

Impostata così la questione, si spiegano e si giustificano gli sforzi della Germania per assicurarsi una migliore partecipazione alla ripartizione dei beni della terra. In questa azione il Reich si trova naturalmente a fianco dei Paesi anche essi diseredati, come l'Italia ed il Giappone. Questa tesi, in sostanza non nuova, è tuttavia stata esposta ieri dinanzi al Parlamento in termini che la pongono al primo piano dell'attualità politica.

E questo forma in fondo, a ben considerare, il nocciolo delle dichiarazioni del Ftihrer nella loro portata pratica, poiché in esse è racchiusa tutta la filosofia della storia di domani.

Ciò premesso tuttavia, devo confermare che il discorso del Fuhrer non crea allarmi, né pone questioni immediate. Egli fa comprendere che, se si vuole evitare soluzioni violente, bisogna pur dare ad ogni Paese e nella specie alla Germania le possibilità di vita, ma, legando il problema della pace a quello economico dei mezzi di sussistenza per il suo popolo, conferisce alla guerra il carattere non di un programma e di una politica di governo, bensì quello di una ineluttabilità storica debitamente spaziata nel tempo e che, distanziando il pericolo, dà una sensazione di respiro e di pace.

130 6 Il documento ha il visto di Mussolini.

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L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 680/304. Londra, 31 gennaio 19 3 9 (perv. il 3 febbraio). Telegramma di V.E. n. 1040 del24 gennaio1 .

Le voci giornalistiche raccolte dalla R. Ambasciata a Mosca circa supposti scambi di vedute fra la Germania e l'U.R.S.S. in vista di una possibile collaborazione economica, e perfino militare, hanno dato esca al noto antifascista Vernon Bartlett per pubblicare sul News Chronicle due articoli, uno del 28 gennaio intitolato «La Russia potrebbe essere spinta tra le braccia della Germania», l'altro del 30 gennaio intitolato «Come la Gran Bretagna ignori la Russia». La tesi sostenuta, come i due titoli indicano, è che la politica di Chamberlain, tendente a trascurare la Russia come fattore politico europeo, e culminante con l'Accordo di Monaco, pone in realtà l'U.R.S.S. in condizioni tali da costringerla a cercare di intendersi con la Germania, creando così un pericolo per le democrazie occidentali.

Questa attività giornalistica di Vernon Bartlett non viene qui presa sul serio dal punto di vista dell'obiettività delle informazioni su cui essa si fonda, ma appare chiaramente intesa a rivendicare le vecchie tesi del News Chronicle (come del resto anche di tutti gli altri giornali di sinistra) sulla necessità per l 'Inghilterra di non allentare i suoi rapporti coi Soviet.

È sopratutto in questa luce, e cioè come opportunità di parare uno dei soliti attacchi contro la politica di Chamberlain, che vanno letti oggi i trafiletti del Daily Telegraph e della Yorkshire Post, che mi risultano ispirati dal Foreign Office, in cui si informa che, nel presentare le sue credenziali al governo sovietico, il nuovo ambasciatore britannico a Mosca, Sir William Seeds, avrebbe accennato -parlando con Kalinin e con Litvinov -al desiderio del governo britannico di discutere col governo sovietico «tutte le questioni correnti di importanza internazionale, in vista di una collaborazione per il mantenimento della pace nel mondo».

132 1 Ritrasmetteva il T. per corriere 263/109 R. da Mosca per il quale si veda il D. 97, nota l.

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L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 418/32 R. Londra, JOfebbraio 1939, ore 1,45 (perv. ore 5,10).

Come V.E. avrà potuto rilevare dalle mie stesse segnalazioni stampa, attesa discorso Fiihrer iersera1 aveva raggiunto negli ultimi giorni forma di autentico isterismo non solo negli ambienti politici ma anche in seno alla massa del pubblico britannico.

Pretese indiscrezioni sul contenuto discorso avevano progressivamente portato opinione pubblica ad uno stato di morbosa ansietà, quasi di fatalistica convinzione che scoppio guerra europea doveva considerarsi inevitabile e imminente.

Hanno graficamente illustrato questo stato d'animo isterico fluttuazioni della borsa di Londra la quale ha registrato, soprattutto nel corso passata settimana, la progressiva caduta di tutti titoli maggior interesse.

In verità, la responsabilità di questo fenomeno di pessimismo collettivo è in parte da attribuire allo stesso governo britannico che, conformemente a rinnovati attacchi delle opposizioni per deficiente preparazione militare Paese, si era preoccupato di inscenare negli ultimi tempi una serie di manifestazioni pubblicitarie relative riarmo inglese ( campagna per A.R.P. oppure per «servizio volontario», pubblicazione sensazionali progressi riarmo) nonché di mettere frettolosamente in opera una serie di ostentate misure attinenti alla difesa popolazione civile (distribuzione materiale sanitario, esperimenti estinzione incendi, distribuzione posti medicazione in tutti gli alberghi e luoghi pubblici ecc.).

Né le dichiarazioni rassicuranti di Hoare giovedì scorso e di Chamberlain sabato (miei telegrammi 252 e 27 3), con le quali governo si era adoperato per correggere questo fenomeno di psicosi, erano riuscite dissipare senso allarmismo che tutte codeste manifestazioni e misure avevano alimentato nel pubblico inglese. Come sempre accade in questi casi, pendolo opinione pubblica è passato stamane dal più nero pessimismo ad un senso di facile e sproporzionato ottimismo. Inghilterra ha preso atto della solenne affermazione e dell'impegno di solidarietà italo-tedesca contenuto nel discor

2 T. 339/25 R. del 27 gennaio. Nel suo discorso del 26 gennaio a Swansea, Sir Samuel Hoare aveva affermato che l'Impero Britannico era invincibile per l'importanza decisiva che in un conflitto avrebbe avuto il fattore economico, per i formidabili progressi del suo armamento e per il rinvigorirsi che vi era stato nello spirito nazionale.

3 T. 369/27 R. del 29 gennaio, che trasmetteva il testo del discorso senza commenti. Il 28 gennaio, Chamberlain aveva pronunciato a Birmingham un discorso in cui aveva sostenuto la validità della politica di pace da lui seguita. «li mantenimento della pace nel settembre scorso -aveva detto a questo proposito Chamberlain -fu reso possibile soltanto dagli avvenimenti che lo precedettero, dallo scambio di lettere fra me e il signor Mussolini nell'estate del 1937 e dalla conclusione dell'accordo anglo-italiano dell'aprile dello scorso anno. Senza il miglioramento delle relazioni fra il nostro Paese e l'Italia non avrei mai potuto ottenere la cooperazione del signor Mussolini e senza questa cooperazione non credo che si sarebbe potuto salvare la pace». Chamberlain aveva però sottolineato che fino a quando non si fosse giunti ad eliminare la tensione internazionale occorreva essere in condizione di opporsi ad una aggressione «contro il nostro popolo o contro i principi di libertà dai quali dipende la nostra esistenza di democrazia» e si era lungamente soffermato sugli imponenti risultati del riarmo britannico e sugli sviluppi ancora maggiori che era previsto dovesse avere. Il testo del discorso, per la parte relativa alla politica estera e al riarmo, è in Relazioni Internazionali, pp. 86-88.

so del Fiihrer che viene unanimamente interpretato in questi ambienti politici come una conferma di alleanza difensiva militare fra i due regimi e le due Potenze fasciste. Allo stesso tempo, frasi discorso Fiihrer più suscettibili di rassicuranti interpretazioni (in particolare i riferimenti alla possibilità di una soluzione pacifica dei problemi coloniali ed al desiderio di un amichevole riavvicinamento con la Gran Bretagna e gli Stati Uniti) sono raccolte in tutti gli ambienti con una avidità alla quale le prudenti riserve dei relativi commenti non riescono a togliere l'impressione di profondo sollievo. Contemporaneamente, la City ha registrato un corrispondente rialzo in tutti i valori.

Per questo effettivamente discorso del Cancelliere germanico è destinato rafforzare considerevolmente posizione personale di Chamberlain, soprattutto in vista odierno dibattito politica estera alla Camera dei Comuni che le opposizioni si ripromettevano impegnare sulla loro nota tesi della intransigenza in qualsiasi modo alla politica di Chamberlain di accordo [con gli] Stati totalitari.

Da persona vicina Primo Ministro apprendo che in occasione dibattito di oggi Chamberlain, riprendendo temi già svolti nel suo discorso di Birmingham, farà nuovi riferimenti alla sua recente visita a Roma per esprimere propria soddisfazione per le accoglienze riservategli e per i preziosi risultati raggiunti nei suoi colloqui con il Duce e con V.E.4 .

133 1 Vedi D. 130.

134

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 422/36 R. Londra, JOfebbraio 1939, ore 13,50 (perv. ore 19,10).

Impressioni raccolte personalmente iersera e stamane in questi circoli politici mi confermano quanto ti ho telefonato ieri dopo la seduta ai Comuni 1 .

Era molto tempo che io non assistevo ai Comuni ad una seduta che marcasse un netto successo di Chamberlain nei confronti dell'opposizione liberale e laburista e sopratutto dell'opposizione subdola e assai più pericolosa rappresentata dall'azione disgregatrice dei conservatori di sinistra in seno alla maggioranza conservatrice.

Successo di Chamberlain è stato, come ho detto, netto e pieno. Al suo apparire nell'aula egli è stato salutato da un applauso nutrito e ogni qual volta che Chamberlain ha rintuzzato vivacemente urla e interruzioni dell'opposizione antifascista, la maggioranza conservatori, questa volta e finalmente, ha sostenuto Primo Ministro galvanizzandosi e contrattaccando a sua volta gli antifascisti.

Allo stesso modo tutti i passaggi del discorso Chamberlain contenenti riferimento amichevole e caloroso al Duce e ali 'Italia, sono stati salutati da applausi; le immancabili invettive antifasciste e anti-italiane, specie sul tema spagnolo e Barcellona, sono state sempre rintuzzate e coperte dalle proteste della maggioranza.

Tentativo dei liberali e dei laburisti di inscenare ieri alla Camera dei Comuni una delle solite sgradevoli chiassate contro Chamberlain sul tema della sua visita a Roma e sulla presa di Barcellona per opera dei legionari italiani, si è risolta in uno smacco antifascista e in un successo personale di Chamberlain.

Prova più evidente di ciò è data dal fatto che, né Churcill, né Eden, né Lloyd George, i quali si erano iscritti a parlare e i cui discorsi erano avidamente attesi, non hanno osato alla fine prendere la parola.

Posizione di Chamberlain esce dalla giornata ieri rafforzata e consolidata. Tutto ciò è diretta conseguenza (il che naturalmente nessun inglese ammetterebbe) di due fatti determinanti: la visita di Roma e la nostra vittoria fascista di Barcellona.

133 4 Sulla seduta ai Comuni alla quale si fa qui riferimento, si veda il D. 134.

134 1 Nella seduta del 31 gennaio ai Comuni, Chamberlain aveva pronunciato un discorso interamente dedicato alla sua visita a Roma dell'll-13 gennaio. Chamberlain aveva elencato i punti salienti delle conversazioni e si era soffermato sulle assicurazioni date da Musso lini e spontaneamente ripetute da Ciano che l'Italia non aveva mire territoriali su una qualsiasi parte dei territori spagnoli. Sulla questione spagnola erano centrati anche il successivo intervento del capo dell'opposizione, Attlee, e la replica di Chamberlain (il testo di questi discorsi è in Relazioni Internazionali, pp. l 05-1 08).

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IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, ALL'AMBASCIATORE A SALAMANCA, VIOLA

T. 72/25 R. Roma, ] 0 jebbraio 1939, ore 23.

Mio telegramma per corriere 56 R. del 26 corrente 1 .

In seguito ulteriori contatti con governo tedesco2 è stato concordato procedere senz'altro passi presso governo spagnolo per sollecitarne adesione Accordi contro Internazionale Comunista, senza attendere fine guerra.

Prendete contatto con codesto ambasciatore di Germania e d'intesa con lui procedete comunicare al generale Franco invito dell'Italia e della Germania. Potete aggiungere che governo giapponese è già stato informato decisione italiana e tedesca e procederà certamente a prendere anch'esso contatto con governo spagnolo.

Bisogna inoltre far presente al governo spagnolo che l'adesione al Patto di Roma è di grande utilità per la Spagna stessa, perché attraverso un tale gesto viene sempre più ad impegnare Italia, Germania e Giappone in favore della causa nazionale. Dopo una tale adesione, un insuccesso di Franco rappresenterebbe anche un insuccesso del sistema: le Potenze suddette, non potendo ciò permettere, sosterranno più apertamente la causa franchista.

136.

L'INCARICATO D'AFFARI A WASHINGTON, COSMELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 432/28 R. e 433/29 R. Washington, ] 0 febbraio 1939, ore 20,04 (perv. ore 6,30 del 2). Stefani odierni 42 e 45 1 .

Indiscrezioni su dichiarazioni che avrebbe fatto Presidente ieri a Comitato affari militari Senato, completamente inaspettate, risollevano allarmi elementi isolazionisti, forse più per metodo che per sostanza.

Opposizione, pertanto, che sembrava esaurita in polemiche di dettaglio giorni scorsi su forniture francesi, risolleva questione generale direttive politica estera. Tuttavia concetto di aiutare indirettamente così detti aggrediti con esclusione guerra già accennato in messaggio 4 gennaio2 ha guadagnato consensi.

Circa riforma sistema neutralità implicitamente mercanteggiata [sic] mi riferisco al mio rapporto n. 611 del 19 gennaio3 su cui richiamo particolare attenzione.

Con esclusione intervento bellico in Europa e prospettiva lucro di forniture pagate in contanti, molti settori opinione anche isolazionista vengono tacitati e disarmati.

È impressione che, salvo sviluppi parlamentari e di opinione, presenti precisazioni superino significative manovre interne Congresso circa vari programmi riarmo, cui approvazione in forma ridotta ora presentata è da pochi ritenuta acquisita [sic].

A precipitare attuale presa di posizione hanno dato contributo decisivo più recenti informazioni su aggravarsi situazione europea, azione personale ambasciatore Bullitt e in parte Kennedy'\ valutazione propagandata da questi che apporto America in limiti consentiti da pregiudiziali ancora esistenti in questa opinione contribuisca efficace opera pacificazione europea.

Sobrio commento nostra stampa a pessimismo guerrafondaio del Presidente ha qui oggi efficace ripercussione.

Ulteriori possibilità rafforzamento atteggiamento delle correnti isolazioniste anche in relazione modifica legge neutralità, possono essere eventualmente offerte da rievocazione vicende neutralità americana durante la guerra mondiale, azioni personali e dittatoriali organi esecutivi e agenti tipo colonnello House, interessi gruppi bancari industriali interessati forniture, facile slittamento da intervento economico a bellico, probabile esistenza accordi segreti ignorati da congresso.

2 Vedi D. 76, nota l. 3 Vedi D. 76. 4 Vedi DD. 41 e 81.

Per quanto attuale atteggiamento abbia un contenuto più specificamente antigermanico, sono sfumate in queste ultime settimane speranze su azione isolata e moderata Italia, connessa con vicende Monaco5 .

135 1 Vedi D. 114. 2 Vedi D. 126.

136 1 I due telegrammi stampa riportavano la notizia e i molti commenti dei giornali americani su una indiscrezione sensazionale secondo la quale, in una riunione segreta della Commissione affari militari del Senato, il Presidente Roosevelt aveva dichiarato che gli Stati Uniti dovevano essere pronti a rifornire di armi le democrazie europee qualora fossero state aggredite dalle Potenze dittatoriali, lasciando capire che in proposito esistevano già degli accordi, ed aveva poi affermato che «in caso di guerra, le frontiere degli Stati Uniti sarebbero state in Francia».

137

IL MINISTRO A BUCAREST, GHIGI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 484/06 R. Bucarest, l 0 febbraio 1939 (perv. il 6).

Ho visto ieri il ministro germanico Fabricius testè rientrato dal lungo «congedo» politico. Parlandomi delle relazioni con Bucarest, egli mi ha detto che l'opinione pubblica tedesca ha vivamente riprovato l'eccidio di Codreanu 1 e la persecuzione di elementi nazionalisti verso cui andavano le simpatie del nazionalsocialismo; che il Fiihrer è rimasto indignato per il modo e il tempo in cui l'eccidio si è verificato; che, sebbene le cose siano un po' migliorate, i sentimenti sopraccennati permangono ancora e la Germania guarda tuttavia con sospetto forze antitedesche e antinaziste all'opera in Romania, ed attende dal governo e dal Re qualche gesto che dimostri con i fatti e non con le parole le loro amichevoli intenzioni.

Avendogli io chiesto in che cosa dovrebbe consistere tale gesto, il signor Fabricius ha accennato a uomini politici ostili al Reich ed a uomini di finanza legati all'alta banca ebraica, l'influenza dei quali è contraria e dannosa agli interessi tedeschi. Il mio collega di Germania ha concluso il suo dire affermando che le relazioni commerciali fra i due Paesi vanno molto bene ed aggiungendo che la sua missione in questo Paese ha scopi essenzialmente economici.

Mi è sembrato in sostanza di comprendere che il governo di Berlino intende mantenere, per ora, verso Bucarest un atteggiamento piuttosto riservato, che non elimini completamente le sue preoccupazioni e lo tenga in un certo stato di disagio e si propone di sviluppare intanto le naturali e già fiorentissime relazioni commerciali, cercando di eliminare in pari tempo dal campo politico e da quello economico gli elementi maggiormente ostili.

La realizzazione integrale e unilaterale di questo programma porterebbe, per forza delle cose, a far coincidere l'affermarsi della potenza economica tedesca con la scomparsa delle tendenze contrarie al Reich, cosicché la Romania verrebbe ad essere gradualmente ma totalmente assorbita nell'orbita della Germania.

I 36 5 II documento ha il visto di Musso lini. In una conferenza stampa del 3 febbraio, il Presidente Roosevelt dava poi una versione ufficiale delle sue dichiarazioni alla Commissione del Senato per gli affari militari. Roosevelt precisava che la politica estera non era mutata e non sarebbe mutata, escludeva la conclusione di alleanze ed esprimeva la simpatia degli Stati Uniti «per il mantenimento pacifico dell'indipendenza politica, economica e sociale di tutte le nazioni del mondo».

Questo governo che ben se ne rende conto, vede attualmente il migliore correttivo alla preponderanza germanica nella desiderata amicizia con l'Italia alla quale questo governo vorrebbe -a quanto afferma -riservata una parte notevole nel campo economico ed una anche più considerevole in quello politico ed in quello culturale2•

137 1 Riferimento all'uccisione del capo delle Guardie di Ferro romene, Codreanu, e di tredici suoi seguaci avvenuta il 30 novembre 1938.

138

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. S.N.D. PER TELEFONO 434/53 R. Berlino, 2febbraio 1939, ore 10,20.

Ho visto ieri sera tardi Ribbentrop.

In una conversazione di due ore da lui avuta nel pomeriggio col generale Oshima questi gli ha comunicato che il proprio governo è d'accordo in massima ma chiede delle modifiche di dettaglio a concretare le quali un'apposita Commissione marinaro-estera è già in viaggio per Berlino ove dovrebbe arrivare il 28 corrente'. Si è creduto evitare comunicazioni telegrafiche per ragioni segretezza.

Ribbentrop ha risposto essere assolutamente impossibile attendere così a lungo, tanto più in presenza qualche indiscrezione già verificatasi. Ha quindi invitato il generale insistere presso proprio governo per comunicazioni immediate telegrafiche su modificazioni domandate sì da rendere possibile conclusione definitiva negoziato fine febbraio primissimi giorni marzo2 .

139

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, ALL'AMBASCIATORE A SALAMANCA, VIOLA

T. 78/26 R. Roma, 2febbraio 1939, ore 21,45.

Fate comprendere opportunamente a Franco la convenienza che egli non accetti alcun riconoscimento ufficioso da parte francese attraverso la nomina di un Agente, ma insista perché la Francia lo riconosca ufficialmente e nomini un rappresentante regolarmente accreditato presso il governo Nazionale'.

138 1 Vedi D. 161. 2 11 documento ha il visto di Mussolini. 139 1 Per il seguito si veda il D. 149.

137 2 Il documento fu inviato in visione a Mussolini.

140

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 902/268. Berlino, 2febbraio 19391•

Come è noto, specie da parte francese si era ricorsi ad ogni sorta di distinzioni, di arzigogoli e di cavilli onde attenuare la portata ed il significato delle espressioni pronunciate dal Fiihrer per definire la solidarietà italo-tedesca. Una quantità di voci -sempre della stessa fonte -erano state fatte circolare nel senso che, ancora prima del discorso, l'Ambasciatore di Francia era stato preavvertito di non prendere troppo al tragico le dichiarazioni che sarebbero stata fatte sull'Italia; che in ogni modo si intendeva sempre parlare di solidarietà in guerra difensiva, etc.

Questi tentativi e queste voci. giunte all'orecchio di Ribbentrop. hanno indotto questi a dare istruzioni perché a chiunque domandasse spiegazioni ed interpretazioni. fosse risposto nel senso più esplicito e totalitario possibile.

Ciò è stato fatto da Weizsiicker nei riguardi dello stesso Ambasciatore di Françill, al quale è stato chiaramente detto che era inutile decomporre e ricomporre ciò che il Fiihrer aveva detto, questo avendo un solo significato: «lmaginez vous une guerre en Europe et vous trouverez l' Allemagne à còté de l'Italie».

Mi è stato pure assicurato che la traduzione francese era stata opportunamente riveduta, sopprimendo anche in essa la parola idéologique. Anche con questo del resto, osservava Weizsiicker, la traduzione in francese non è felice.

Ho fatto a mia volta notare a Weizsiicker che quella italiana lo era ancor meno3 .

141

L'AMBASCIATORE A PARIGI, GUARIGLIA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 830/346. Parigi, 2febbraio 1939 1•

I risultati decisivi dell'azione nazionalista che fanno prevedere imminente la vittoria totale di Franco, hanno determinato in Francia una netta evoluzione nella valutazione dell'atteggiamento da seguire nei riguardi spagnoli. Man mano che è svanita ogni speranza nella resistenza rossa, è affiorata e sempre più si è definita l'aspirazione ad entrare in contatti con il nuovo regime nazionalista, per tentare, come

2 Nel discorso del 30 gennaio. Vedi D. 130.

3 Il documento ha il visto di Musso lini.

unica via di salvezza per il nuovo equilibrio mediterraneo, di controbilanciare l'influenza italiana o comunque frenare ogni ulteriore sviluppo dell'atteggiamento della nuova Spagna che renda pericolosa per la Repubblica l'esistenza di una nazione ostile alla terza frontiera.

Nei giorni scorsi si è costituito in seno alla Camera un gruppo parlamentare franco-spagnolo, con il compito specifico di patrocinare il riavvicinamento tra la Francia e la Spagna nazionalista. Animatore ne è l'ex Presidente del Consiglio Flandin; ne fanno parte sopratutto deputati di destra e qualcuno del centro.

Una delegazione del nuovo gruppo è stata ricevuta ieri da Daladier e da Bonnet. I delegati hanno messo in rilievo la necessità per la Francia di essere regolarmente rappresentata presso il governo di Franco che essi consideravano come il governo legittimo di Spagna. Hanno chiesto nel contempo che delle misure siano adottate senza indugio per impedire rigorosamente l'accesso in Francia alle truppe rosse che scappano di fronte all'avanzata nazionalista.

Daladier avrebbe risposto alla delegazione in maniera evasiva, lasciando tuttavia comprendere che la questione era oggetto di esame da parte del governo, solo competente per giudicare sull'opportunità di arrivare alla decisione richiesta.

Pare confermato comunque che la tesi dell'invio di un Ambasciatore a Burgos abbia decisamente guadagnato terreno nel giudizio del Presidente del Consiglio francese che finora si era mostrato al riguardo ostile per non disgustarsi le sinistre.

Il problema si presenta però oggi più complicato di ieri, poiché, secondo quanto pare, Franco non accetterebbe un Ambasciatore di Francia se non a condizione che esso implichi il riconoscimento del regime nazionalista come unico regime spagnolo. Si tratterebbe quindi di ritirare l'Ambasciatore presso i rossi, attuando in tal caso un troppo brusco voltafaccia che susciterebbe reazioni delle sinistre e darebbe motivo a campagne di ogni genere di nemici e di pseudo-amici contro un Gabinetto già di per sé non molto solido per la sua instabile piattaforma parlamentare.

In seno allo stesso Consiglio dei Ministri sembra tuttavia che la questione sia stata già esaminata e che dei dissensi si siano anche manifestati al riguardo tra i vari membri del Gabinetto; tra gli oppositori vi sarebbero Zay, Campinchi e Mandel.

In questi circoli politici, comunque, la voce continua a circolare e si fanno al riguardo i nomi più disparati. Dal cardinale Baudrillart, rettore dell'Istituto Cattolico di Parigi, a Malvy, Mistler, Frossard. L'ultima candidatura accreditata è quella del generale Catroux, comandante le Forze Armate in Algeria, vecchio coloniale, noto specialmente per la sua partecipazione alle campagne della guerra marocchina. Questi avrebbe intrattenuto in tale epoca ottime relazioni con il Governatore del Marocco spagnolo di allora.

Si tratta sempre ripeto però finora di voci e di mormorii che fanno ricordare l'analoga situazione di cose che si era creata in Francia lo scorso anno prima del riconoscimento del nostro Impero.

Comunque, il desiderio del governo francese di entrare in contatti con il governo di Franco è confermato dal viaggio a Burgos del senatore Bérard, da me segnalato con telegramma n. 20 del 2 corrente2 , viaggio al quale viene attribuito semplice

carattere informativo e che viene sopratutto messo in relazione al problema dei rifugiati spagnoli che affluiscono in Francia dalla Catalogna. Il viaggio di Bérard risponde senza dubbio alle aspirazioni di quel gruppo parlamentare che ho precedentemente segnalato; esso è tuttavia compiuto con l'approvazione del Quai d'Orsay e dovrebbe mirare a preparare il terreno per una qualsiasi intesa che permetta alla Francia di riannodare delle relazioni con la nuova Spagna3 .

È annunziata inoltre la partenza per Burgos del deputato Taittinger e del cardinale Baudrillart. Tutti viaggi di carattere privato, si dice, di uomini che avrebbero la pretesa di far dimenticare alla nuova Spagna la responsabilità che la Francia ha nei lunghi anni di guerra e di sofferenza del popolo spagnolo.

Segnalo da ultimo come sintomo di questa evoluzione che si è creata in seno alla maggioranza parlamentare, che n eli 'ultima riunione della Commissione degli Affari Esteri, una proposta di mozione comunista che invitava il governo ad aprire le frontiere nei riguardi della Spagna rossa, è stata respinta con 15 voti contrari, 2 astensioni e 7 favorevoli (social-comunisti).

140 1 Manca l'indicazione della data di arrivo.

141 1 Manca l'indicazione della data di arrivo.

141 2 T. 443/20 R. del 2 febbraio. Dava notizia della partenza per Burgos del senatore Bérard. Il documento fu inviato in visione a Mussolini.

142

L'AMBASCIATORE A SALAMANCA, VIOLA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 6641154. San Sebastiano, l febbraio 1939 (perv. il 6).

Giungerà domani dalla frontiera di Irùn il senatore francese di Unione Repubblicana Léon Bérard 1 già ministro-salvo errore-di Giustizia e di Istruzione Pubblica con Poincaré. Scopo del suo viaggio sarebbe di rendersi conto della situazione della Spagna Nazionale e del reale stato d'animo nei riguardi della Francia. Ma, secondo quanto mi viene riferito a questa Direzione distaccata del Ministero Esteri, egli si recherà certamente a Burgos ad insistere presso quegli ambienti ufficiali, dove pare conti delle amicizie, per l'accoglimento di un Agente francese presso il governo Nazionale. Le insistenze francesi in tal senso si sono intensificate dopo la caduta di Barcellona.

Bonnet avrebbe posto a Burgos la questione nei seguenti termini.

Il governo francese, salvo alcuni dei suoi membri, sarebbe nella sua maggioranza disposto a riconoscere de jure il governo Nazionale e ad inviare un ambasciatore; ma il porre la discussione in Parlamento su questo programma massimo significherebbe il rovesciamento del Ministero Daladier e il ritorno a un Ministero Blum con le inevitabili conseguenze. È ciò preferibile per la Spagna di Franco, o non le torna invece più conto accettare la soluzione -parlamentarmente possibile in Francia

di un riconoscimento di fatto, sia pure più completo di quello inglese, e di un rappresentante quasi diplomatico?

Per parte sua il governo di Burgos -come mi è stato dichiarato anche recentemente da Jordana-non ha bisogno di prestarsi a queste combinazioni e rimane fermo nel suo atteggiamento, e cioè: non accetta ormai nessuna forma di rappresentanza francese se non dopo avvenuto il riconoscimento de jure, e tale rappresentanza dovrà quindi avere adeguata veste diplomatica.

141 3 Sulla prima missione del senatore Bérard a Burgos del 3-7 febbraio, si vedano i DD. 142, 166, 176, e 204. 142 1 Sulla prima missione del senatore Bérard a Burgos si veda il D. 141 e i documenti indicati ibid., nota 3.

143

L'INCARICATO D'AFFARI A WASHINGTON, COSMELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. l 066/251. Washington, 2febbraio 19391•

Questa Ambasciata ha avuto a più riprese l'occasione di segnalare lo stato dell'opinione americana nei confronti della guerra civile di Spagna e dei problemi di neutralità e di embargo che la medesima ha posto per gli Stati Uniti. Recentemente la caduta di Barcellona ha fatto nuovamente divampare, come segnalato, gli entusiasmi [sic] democratici di molti gruppi che si sono agitati e si agitano, spesso con interventi di personalità della politica e del mondo intellettuale assai rilevanti, con risultati tuttavia, dal punto di vista delle decisioni governative, assolutamente negativi.

Come ho avuto occasione di segnalare, il governo americano non ha mostrato, né mostra tuttora, intenzione di modificare la linea di condotta finora tenuta col mantenimento dell'embargo delle armi alla Spagna, tanto nazionale quanto rossa.

La caduta di Barcellona con la conseguente rotta delle forze rosse in Catalogna ha fatto anzi sorgere in un certo senso il problema di un eventuale riconoscimento più

o meno prossimo del governo del Generale Franco. Non pare tuttavia che per il momento la questione si presenti con caratteri di attualità ed è difficile prevedere che il governo americano precorra con un atto di tale portata politica il fatale svolgimento degli eventi che porterà alla vittoria definitiva delle armi nazionali.

Naturalmente la guerra civile di Spagna, a parte l'interesse sentimentale che fa appello a fondamentali concetti umanitari e democratici prevalenti nel pubblico americano, è stata, e viene, specialmente in questi ultimi tempi col profilarsi più deciso di una vittoria nazionale, considerata sotto l'angolo di vista più realistico degli interessi sostanziali americani.

In questo rispetto, ho l'impressione che non vi sia nessuna conclusione [leggasi: occasione] di collisione tra la vittoria nazionalista e l'interesse americano per quanto riguarda la Spagna propriamente detta, tuttavia con due caratteristiche riserve che sono venute apparendo soltanto recentemente in connessione coll'agitarsi del pericolo germanico in Sud America e le possibili velleità offensive germaniche contro gli stessi Stati Uniti.

Le due riserve concernono:

l) le ripercussioni che una vittoria nazionalista può esercitare sugli Stati spagnoli d'America, tanto per gli orientamenti di politica interna degli Stati sudamericani spagnoli, quanto per riflesso sulla ulteriore influenza sui medesimi degli Stati cosiddetti autoritari;

2) timore che la vittoria di Franco porti sia pure larvate parziali cessioni territoriali della Spagna alla Germania o all'Italia, con l'installarsi di queste in possedimenti spagnoli insulari mediterranei o atlantici come le Canarie. Per il caso delle Canarie si fa in realtà come nome del prospettiva [sic] occupante la Germania.

Com'è noto la prospettiva di un installarsi germanico in tali isole allarma le autorità militari e navali americane che dichiarano ufficiosamente che una tale eventualità non può essere considerata dall'America con indifferenza. È anzi, potrei dire, uno dei punti che completano il quadro di agitazione per le presunte velleità espansioniste della Germania ai danni e a minaccia diretta d eli' America.

Non ho l'impressione che per quanto concerne l'Italia vi siano così vibrate reazioni americane ad eventuali vantaggi territoriali italiani di carattere mediterraneo. Tuttavia, non posso non rilevare che da ultimo, quando presso questo Dipartimento di Stato mi è stato accennato a che cosa aveva riferito l'Ambasciatore Phillips sui colloqui romani del signor Chamberlain, mi venne particolarmente sottolineato che, a quanto aveva riferito l'Ambasciatore d'America, il signor Chamberlain aveva avuto tra l'altro rinnovata assicurazione che l'Italia non avrebbe cercato acquisti territoriali a spese della Spagna, a chiusura della guerra civile.

143 1 Manca l'indicazione della data di arrivo.

144

L'AMBASCIATORE A MOSCA, ROSSO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 453/IO R. Mosca, 3febbraio 1939, ore 15,35 (perv. ore 17, 05).

Annunzio della rottura relazioni diplomatiche con Ungheria diramato con odierno comunicato Agenzia Tass (cui testo suppongo sia stato trasmesso a Roma da agenzie telegrafiche) ha causato in questi circoli diplomatici forte sorpresa perché, nella conversazione avuta con ministro d'Ungheria 1 circa adesione di Budapest al Patto Anticomintern, Litvinov non aveva fatto alcuna allusione a simile eventualità.

Decisione sovietica ha scopo evidente di impressionare piccoli Paesi e prelude forse analoga rottura con Praga.

Impressione fra questi rappresentanti piccole Potenze è nettamente sfavorevole perché rottura con Ungheria viene giudicata come prepotenza verso Stato debole mentre U.R.S.S. non osa agire con uguale energia verso grandi Potenze che più o meno mostrano aperta ostilità.

144 1 Mihaly Jungerth-Amòthy.

145

IL MINISTRO A BUCAREST, GHIGI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. RISERVATO 448/201. Bucarest, 3 febbraio 193 9 (perv. il 7).

Il signor Avakumovié. consigliere di questa Ambasciata di Jugoslavia. in una conversazione avuta con un segretario della Regia Legazione, col quale è da tempo in relazioni di amicizia, gli ha detto fra l'altro:

«Sono convinto che il mio governo vedrebbe con molto favore un riavvicinamento italo-romeno che, alla stregua degli accordi di Belgrado, creasse fra l'Italia e la Romania quell'atmosfera che ora esiste fra i nostri due Paesi.

La Romania stretta fra l 'Ungheria e la Bulgaria, e con il maglio tedesco che sta scendendo nei Balcani non chiede che di avvicinarsi all'Italia.

Questo è un Paese ricco che ha bisogno di riorganizzarsi in ogni campo: esso perciò non può non interessare. Qualora Roma fosse disposta ad accogliere eventuali aperture romene, non bisognerebbe qui parlare di rettifiche di frontiere in Transilvania, né di trattamento delle minoranze magiare. Infirmereste i vostri contatti fin dall'inizio, né ciò vi converrebbe perché tanto. a mio avviso. Roma non può più contare su Budapest. L'Ungheria, se non è oggi sarà domani, ma deve entrare fatalmente nell'orbita tedesca. E così potreste cercare un compenso molto vantaggioso nella Romania, estendendo attraverso la Jugoslavia e la Romania la vostra influenza fino al Mar Nero».

Ho tenuto a riferire a Vostra Eccellenza tale colloquio anche perché il signor Avakumovié (che passa per filo-romeno e poco favorevole alla Germania) è ritenuto il vero elemento dirigente di questa Ambasciata di Jugoslavia il cui titolare è S.E. Ducié, ex Ministro a Roma 1•

146

L'INCARICATO D'AFFARI A WASHINGTON, COSMELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 1038/244. Washington, 3 febbraio 1939 (perv. i/17).

Il discorso pronunciato dal Fiihrer al Reichstag il 31 gennaio u.s. 1 ha riportato in primo piano dinanzi all'opinione pubblica americana il problema dell'espansione coloniale tedesca, presentato come problema di rifornimento di mate

146 1 Vedi D. 130.

rie prime e di territori di eventuale popolamento, tutto però piuttosto sotto la luce della restituzione delle ex-colonie germaniche, anziché dell'acquisto di nuovi territori coloniali.

Originariamente l'opinione americana, sia per la radicata ostilità concepita per il Trattato di Versailles, sia per ragioni di equilibrio generale ed equitative, non era contraria in modo deciso ad una benevola riconsiderazione del problema coloniale germanico.

Negli ultimi mesi la questione era stata messa a tacere e l'opinione americana si era piuttosto orientata a considerare, sulla scorta di certi passi contenuti nel Mein Kampf e delle tendenze manifestate dalla politica tedesca negli ultimi due anni, a considerare come indefinitivamente rimesso il problema coloniale tedesco: l'espansione germanica si sarebbe piuttosto indirizzata ad un compito europeo di penetrazione ed eventualmente colonizzazione orientale a spese sopratutto di Paesi slavi. Gli eventi austriaci e successivamente quelli cecoslovacchi apparvero come primi passi sulla realizzazione di tale programma di espansione continentale germanica.

Come sopra accennato, il discorso del 31 gennaio ha fatto riconcentrare l'attenzione sulla questione coloniale. L'atteggiamento, però, è sostanzialmente mutato. La posizione che è venuta assumendo nell'anno testè decorso l'opinione americana di fronte alla situazione interna germanica e ai metodi applicati per risolvere il problema austriaco e cecoslovacco hanno fatto assumere al problema un aspetto diverso: non si tratta cioè più tanto di una equa espansione germanica ma del problema di arginare uno Stato che in funzione della sua forza e ancor più in funzione della sua ideologia e dei suoi metodi, si paventa, tenda a delle forme ulteriori di violenta espansione e di egemonia mondiale, da contenere per ragioni ideali e ancor più, a torto o ragione, per ragioni di tutela di interessi specifici americani.

In complesso, quindi, scarsa rispondenza nell'opinione americana per una benevola considerazione delle richieste germaniche. Non mancano tuttavia delle voci che, riprendendo il motivo delle necessità germaniche di materie prime e di sbocchi colonizzatori, si esprimano nel senso che possa essere un interesse collettivo per il mantenimento della pace nel mondo l'accordare qualche considerazione alle necessità germaniche: ma anche queste ammissioni sono sottoposte a riserva in relazione alle ripercussioni che eventuali concessioni alla Germania possano esercitare sulla compagine politica e militare dell'Inghilterra e della Francia.

È superfluo ripetere i vari argomenti ben noti, che sono stati per l'occasione riesumati, per combattere il fondamento di cessioni territoriali alla Germania. Essi sono di provenienza sopratutto inglese e battono sul consueto argomento della passività economica di ogni colonia, del gravame che rappresentano per la madrepatria, della incapacità a risolvere il problema demografico e di materie prime della Germania, l'esperienza precedente alla guerra mondiale fatta dalla Germania stessa, ma in aggiunta a tutti questi triti argomenti primeggia ora uno che è nuovo e che trova un generale consenso: la impossibilità per il mondo civilizzato di consentire che la Germania estenda il proprio dominio politico a territori abitati da popolazioni a sviluppo arretrato, di carattere per così dire «minoritario», dopo le esperienze recenti del trattamento che la Germania è capace di infliggere alle sue stesse minoranze nazionali religiose e razziali.

145 1 Il documento ha il visto di Mussolini.

147

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

LETTERA RISERVATA PERSONALE 932. Berlino, 3 febbraio 1939 (perv. il 7).

Dal signor Markovié, Ministro di Jugoslavia a Berlino, testè recatosi a Belgrado a conferire, ho appreso che nei Tuoi colloqui con Stojadinovié si è parlato molto anche di Albania. Poiché non escludo che qualche notizia in argomento possa essere data dal Markovié anche ai Tedeschi, così gradirei per conto mio da Te qualche opportuna norma di linguaggio.

Nell'occasione Ti avverto, in relazione al Tuo telegramma del 27 gennaio n. 41 1 , che ho nuovamente richiamato l'attenzione del Barone von Weizsacker sulla condotta del Ministro tedesco a Tirana. Premesso che al signor von Pannwitz fu a suo tempo già dall' Auswartiges Amt parlato chiaro-ciò anche in relazione alla specialità della nostra posizione in Albania-il Segretario di Stato si è mostrato sorpreso che un individuo pressochè nullo come il von Pannwitz -che prima di essere Ministro a Tirana si era occupato solo di ammobigliamenti di Ambasciate -possa esser capace di procurare fastidi a chicchessia. È stato intanto scritto al von Pannwitz esortandolo ad avere-intanto -una franca, esauriente spiegazione col suo collega italiano.

Ho fatto già intendere che ove ciò non bastasse, sarebbe gioco forza ricorrere a provvedimenti più radicali.

In questa previsione, ritengo sarebbe utile che io fossi messo a conoscenza di qualche fatto specifico chiaramente dimostrante la condotta, contraria ai nostri interessi, del diplomatico tedesco2 .

148

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. URGENTE 461/56 R. Berlino, 4febbraio 1939, ore 14,36 (perv. ore 15,20).

Ribbentrop mi fa informare che ieri, ricevendo ministro di Jugoslavia a Berlino, lo ha incaricato di domandare al proprio governo quale attitudine esso sarebbe disposto a prendere nei riguardi di una adesione al Patto Anti comintern.

2 Sul documento è annotato a matita: «NO. S.E. il M. 10/2».

147 1 Vedi D. 11 l.

149

L'AMBASCIATORE A SALAMANCA, VIOLA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 470/8 R. San Sebastiano, 4 febbraio 1939, ore 23 (perv. ore 6 del 5). Telegramma di V.E. n. 26 1•

In attesa di essere ricevuto da Franco in Catalogna in uno dei prossimi giorni, ho intanto intrattenuto oggi Jordana a Burgos sulla questione del riconoscimento francese.

Jordana, che aveva parlato ieri in proposito col Generalissimo, mi ha confermato categoricamente che il governo Nazionale accetterà ormai soltanto da parte francese riconoscimento de jure con invio ambasciatore. Ciò tanto più che imminente occupazione totale della Catalogna toglie alla Francia anche possibilità giuocare più oltre sul ricatto apertura frontiera. Va perciò scartata qualsiasi informazione stampa che accenni a una diversa soluzione.

150

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 952/277. Berlino, 4 febbraio 1939 (perv. il 6).

Azioni dimostrative francesi a pro della religione.

È stata richiamata la mia attenzione sul fatto che, quest'ultima domenica, tutto il personale militare recatosi qui per il concorso ippico è stato fatto andare, a mezzo di autobus speciali, in uniforme alla messa. Si tratta probabilmente di persone che, mentre sono state così ostentatamente a messa qui a Berlino, non vi sono mai andate in Francia.

Il fatto. piccolo in sé. ha tuttavia un certo significato e si riallaccia a tutta una politica di dimostrazioni filovaticane in questo momento condotta in Francia'.

150 1 Il documento ha il visto di Mussolini.

151.

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 954/279. Berlino, 4 febbraio 1939 (perv. il 6).

Ribbentrop mi ha dichiarato di apprestarsi ad esercitare un'azione decisiva sulla Turchia, per sottrarla all'influenza della Gran Bretagna. Egli mi ha detto che l'assenza di un Ambasciatore tedesco ad Ankara si spiega solamente col suo desiderio di trovame uno particolarmente abile e preparato: in una rivista recentemente fatta col Fiihrer del personale a propria disposizione non era riuscito a trovare ancora la persona adatta.

Comunque, mi ha assicurato di avere molta fiducia nel futuro e di volere anche in questo campo cooperare con noi, dato che il sottrarre i Dardanelli all'influenza inglese costituisce anche per l 'Italia un interesse di primissimo piano, sia agli effetti dell'Inghilterra, sia a quelli della Russia.

Molto sfiduciato Ribbentrop si mostra invece nella Grecia, che egli ritiene completamente e definitivamente infeudata all'Inghilterra. Ho però constatato che per quanto riguarda la Grecia il pensiero dell' Auswartiges Amt è diviso, le maggiori diffidenze appuntandosi sulla persona del Re piuttosto che sul suo governo.

149 1 Vedi D. 139.

152

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 967/292. Berlino, 4 febbraio 1939 1•

Ho visto in questi ultimi tempi, in vari rapporti delle RR. Rappresentanze negli Stati balcanici, frequenti accenni a quella che potrebbe essere la politica della Germania di fronte a nuovi riassetti territoriali in quei Paesi.

Ho creduto perciò opportuno procedere in materia a qualche sondaggio, sia presso Ribbentrop, sia presso Weizsacker2 ed ecco quale per il momento mi sembra essere su questo punto il pensiero tedesco.

È mia impressione che la Germania, pur non avendo in principio granché da eccepire a riaggiustamenti di indole territoriale che avessero ancora luogo nella Balcania, tuttavia mette come limite a questo suo atteggiamento il pericolo di essere eventualmente coinvolta in avventure capaci di turbare pace europea e la

2 Sul colloquio con von Weizsacker si veda anche DDT, vol. V, D. 270, nota.

propria. Il Barone von Weizsacker mi diceva in proposito che i Paesi balcanici devono finalmente convincersi che non spetta più a loro di decidere della guerra e della pace in Europa. ma soltanto alle grandi Potenze. Se queste ritenessero di dover un giorno ricorrere alla guerra, dovrebbero esser loro a farlo, di iniziativa e per decisione propria, senza farcisi «trascinare», direttamente o indirettamente, dai Paesi balcanici.

Questo criterio della Wilhelmstrasse (che naturalmente trova più diretta ed immediata applicazione per i Paesi più prossimi alla Germania, specie la Cecoslovacchia) mi sembra in fondo dominare-per quanto in misura diversa a seconda dei singoli casi-tutta la politica tedesca nell'Oriente europeo, anche nei riguardi dei Paesi relativamente più lontani, come ad esempio la Bulgaria.

Circa quest'ultima. Ribbentrop mi ha annunziato di volersene d'ora innanzi occupare più da vicino. Egli si trova in buoni rapporti personali col Re di Bulgaria e ritiene di poter anche lì raggiungere risultati utili. assicurando un netto orientamento della Bulgaria a favore dell'Asse.

Richiesto da me cosa pensasse delle velleità revisionistiche, che sembrano ora manifestarsi in Bulgaria, egli mi ha detto non vedere la cosa di mal occhio, ma ritenere che la Bulgaria non possa e non debba subordinare, o comunque legare, il proprio riavvicinamento all'Asse ad una qualunque promessa di appoggio in materia revisionistica3 .

152 1 Manca l'indicazione della data di arrivo.

153

IL MINISTRO A BELGRADO, INDELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 465/20 R. Belgrado, 5febbraio 1939, ore 1,05 (perv. ore 2,20).

Mi riferisco situazione delineata nel mio telegramma per corriere n. 05 del 17 gennaio scorso 1•

Crisi di governo che visita di V.E. era riuscita ad aggiornare è improvvisamente maturata per imprudenti dichiarazioni fatte alla Scupcina da ministri dell'Interno e dell'Istruzione Pubblica sull'argomento estremamente delicato della questione croata che avrebbe richiesto energia di azione e non di parole. Latente congiura KorosecCvetkovié ha approfittato della situazione.

A questo ultimo che dispone di un gruppo di seguaci che circostanze tendono ad ingrossare è stato offerto formazione nuovo Gabinetto. Principe Reggente, che anche per influenze esterne è principalmente preoccupato di una conciliazione coi croati, dimostra non essere disposto alla lotta e fa dichia

!52 3 Il documento ha il visto di Mussolini. I53 1 Vedi D. 69.

razioni rinunziatarie. Sarebbero premature previsioni concrete circa soluzione della crisi che si presenta assai grave per il Paese2• Riservomi riferire ulteriormente3 .

154

L'AMBASCIATORE A SALAMANCA, VIOLA, AL MINISTRO DEGLl ESTERI, CIANO

T. 476/9 R. San Sebastiano, 5 febbraio 1939, ore 21,30 (perv. ore 3,30 del 6).

Telegramma di V.E. n. 25 1 e mio telegramma per corriere n. 0122• Questo ambasciatore di Germania avendo frattanto ricevuto istruzioni, ci siamo recati insieme da Jordana per invitare governo Nazionale aderire Patto Anticomintern.

Jordana, dichiarando interpretare pensiero di Franco (quest'ultimo infatti aveva ragione di credere la questione ... 3), ha ripetuto che Spagna intende certamente aderire al Patto ma preferisce attendere fine guerra. Ragioni varie addotte da Jordana possono riassumersi nel timore che adesione ufficiale di Burgos al Patto possa in questo momento determinare da parte degli Stati democratici complicazioni e ripresa aiuti con effetto ritardare vittoria definitiva. Appoggiato da von Stohrer, ho attivamente ribattuto argomenti di Jordana dichiarandogli che ad ogni modo desideravo conferire in proposito direttamente con Franco anche perché tali erano le istruzioni ricevute da V.E. È stato stabilito che von Stohrer ed io incontreremo Franco in Catalogna verso la metà settimana prossima.

Ho l'impressione che argomenti opposti da Jordana rappresentano soprattutto sua opinione personale conforme a sua mentalità. Da parte nostra potremmo forse riconoscere giustificata la preoccupazione di questo governo relativa alle attuali difficoltà di frontiera create dall'esodo profughi e milizie rosse. Perciò adesione Spagna al Patto potrebbe tutt'al più essere differita fino risoluzione di tale questione.

La crisi mi interessa non tanto per i rapporti con Belgrado che, almeno in un primo tempo, non subiranno forti scosse. Penso piuttosto all'Albania: ormai eravamo a buon punto. Comunque, col Duce, ci siamo lasciati su questa formula: marciare lo stesso. Con Stojadinovié, spartizione tra noi e Jugoslavia. Senza Stojadinovié, occupazione nostra senza la Jugoslavia e se del caso contro la Jugoslavia».

3 Vedi D. 156.

2 T. per corriere 448/012 R. del l o febbraio. Riferiva che in un colloquio con Jordana l'ambasciatore tedesco, Stohrer, aveva accennato nuovamente ad una adesione della Spagna al Patto Anticomintem. Il ministro degli Esteri spagnolo aveva risposto che essa era «nell'ordine naturale delle cose» ma che poteva essere presa più opportunamente in considerazione a guerra finita.

3 Nota dell'Ufficio Cifra: «Gruppo indecifrabile».

153 2 Circa le reazioni provocate a Roma dalla crisi jugoslava vi è nel Diario di Ciano questa annotazione sotto la data del 5 febbraio: «Ancora nessuna notizia precisa circa la crisi jugoslava. Il Duce dice che anche questo fatto prova che noi possiamo fare la politica con un solo Paese, la Germania, che presenta come noi la sicurezza di direttive costanti e di impegni sicuri. La posizione di Stojadinovié sembrava sicura. Egli stesso, quindici giorni fa, affermava che niente e nessuno avrebbe potuto eliminarlo dal potere. Adesso ...

154 1 VediD.l35.

155

RELAZIONE DEL CAPO DEL GOVERNO, MUSSOLINI, AL GRAN CONSIGLIO DEL FASCISMO

Roma, 5 febbraio 1939.

Questa relazione è scritta perché deve rimanere agli atti del Gran Consiglio quale documento orientatore della politica estera italiana a breve, a lunga, a lunghissima scadenza. La premessa dalla quale parto è la seguente: gli Stati sono più o meno indipendenti a seconda della loro posizione marittima. E cioè sono indipendenti quegli Stati che posseggono coste oceaniche o hanno libero accesso agli oceani; sono semi-indipendenti gli Stati che non comunicano liberamente cogli oceani e sono chiusi in mari interni; non sono indipendenti gli Stati assolutamente continentali che non hanno sbocchi né sugli oceani, né sui mari.

L'Italia appartiene alla seconda categoria di Stati. L'Italia è bagnata da un mare interno, che comunica cogli oceani attraverso il Canale di Suez, comunicazione artificiale che si può facilmente ostruire anche con mezzi di fortuna e attraverso lo stretto di Gibilterra, dominato dai cannoni della Gran Bretagna.

L'Italia non ha quindi una libera comunicazione cogli oceani; l'Italia è quindi realmente prigioniera nel Mediterraneo e più l'Italia diventerà popolosa e potente e più soffrirà della sua prigionia.

Le sbarre di questa prigione sono la Corsica, la Tunisia, Malta, Cipro: le sentinelle di questa prigione sono Gibilterra e Suez. La Corsica è una pistola puntata sul cuore dell'Italia; la Tunisia sulla Sicilia, mentre Malta e Cipro costituiscono una minaccia a tutte le nostre posizioni del Mediterraneo centrale ed occidentale. Grecia, Turchia, Egitto, sono Stati pronti a far catena colla Gran Bretagna e a perfezionare l'accerchiamento politico-militare de li'Italia. Grecia, Turchia, Egitto devono essere considerati Stati virtualmente nemici dell'Italia e della sua espansione. Da questa situazione la cui rigorosa obiettività geografica salta agli occhi e che tormentò anche prima del nostro regime gli uomini che vedevano oltre la contingenza politica immediata, si traggono le deduzioni seguenti:

l) Compito della politica italiana che non può avere e non ha obiettivi continentali d'ordine territoriale europeo, salvo l'Albania, è quello di rompere in primo luogo le sbarre della prigione.

2) Rotte le sbarre, la politica italiana non può avere che una parola d'ordine: marciare all'oceano.

Quale oceano? L'Oceano Indiano, saldando attraverso il Sudan, la Libia coll'Etiopia, o l'Atlantico attraverso l'Africa Settentrionale francese. Tanto nella prima, come nella seconda ipotesi, ci troveremo di fronte alla opposizione franco-inglese. Affrontare la soluzione di tale problema, senza avere le spalle

!55 1 Autografo. Il documento è tratto dall'Archivio Centrale dello Stato, Segreteria particolare del Duce.

assicurate nel continente è assurdo. La politica dell'Asse Roma-Berlino risponde quindi ad una necessità storica di ordine fondamentale. Così il nostro atteggiamento nella guerra civile spagnola.

Queste premesse sembrano lontane, ma mi portano diritto alla giornata del 30 novembre XVII, alla manifestazione della Camera fascista. Dopo Monaco la propaganda dei nostri avversari esterni ed anche interni fu condotta su queste linee: l o che il vero artefice della pace fu Chamberlain; 2° che l'Italia finse di mobilitare, data l'opposizione del popolo e della Corona, ma effettivamente non mobilitò; 3° che l' Asse aveva funzionato ancora una volta e funzionava esclusivamente a favore della Germania. Quest'ultimo punto fu il più insinuato e diffuso in Francia e di riflesso in Italia.

Le tre proposizioni suesposte sono false e falsa è sopra tutto l 'ultima. Nel Figaro del 13 gennaio 1939, lo scrittore Luciano Romier, uno fra i migliori, mette le cose a posto: «Tutti dicono, egli scrive, che la Germania è politicamente debitrice dell'Italia. Facciamo un po' i conti. La Germania ha annesso l'Austria e smantellato la Cecoslovacchia. Essa fu aiutata dall'astensione italiana nell'Europa centrale e dallo sbarramento di protezione che le veniva assicurato dali 'Italia al sud dei Paesi danubiani, sulle Alpi, l'Adriatico e il Mediterraneo. Ma d'altra parte l'Italia poté resistere alle sanzioni e conquistare rapidamente l'Etiopia, grazie alla Germania. Se la Germania, come le era stato domandato dall'Inghilterra, avesse applicato le sanzioni, il risultato dell'impresa italiana sarebbe stato più che dubbio. Ugualmente grazie alla pressione dell'Asse, cioè della Germania, l 'Italia ottenne che la sua conquista fosse riconosciuta e fosse sostituita nei suoi confronti una politica Chamberlain a una politica Eden».

Tuttavia poiché una politica deve tener conto degli stati d'animo anche se non giustificati dalla logica dei fatti, ma sopratutto per le ragioni vitali che ho esposto nella prima parte della mia relazione, io diedi ordine al Partito di cominciare a muovere le acque mediterranee, a rendere popolari questioni che sembravano accantonate, ma non lo erano state da parte del governo, come vi sarà dimostrato dal Ministro degli Esteri nella relazione che vi farà sull'attività svolta in Corsica e in Tunisia dai nostri organi ufficiali e dalle nostre cellule.

Questa propaganda doveva essere fatta, in un primo tempo, col sistema da bocca a bocca, da circolo a circolo e non doveva-sino a nuovo ordine-esplodere in pubbliche manifestazioni.

La seduta del 30 novembre.

Un regime autoritario e totalitario, cioè senza partiti di opposizione, deve avere il coraggio dell'autocritica. Dopo l'inattesa manifestazione del 30 novembre-manifestazione che era nell'aria, ma avrebbe potuto avere svolgimento diverso, qualora fosse stata preordinata-bisogna tracciare il bilancio dell'attivo e del passivo. Al nostro passivo stanno le seguenti voci: l o la manifestazione della Camera tolse rilievo, anzi fece passare in secondo ordine, tutta l'opera svolta dall'Italia prima e durante Monaco; 2° la manifestazione ha dato l'allarme: cosa che bisognava evitare, allarme politico e allarme militare, con conseguenti misure in Corsica, in Tunisia e a Gibuti; 3° le rivendicazioni non furono tutte intonate. Ora bisogna che la politica estera fascista stabilisca questo assioma: tutto ciò che è al di qua delle Alpi ci appartiene: tutto ciò che è al di là non è nostro. Questo dicasi per la Savoia. Quanto al nizzardo trattasi di una modesta rettifica di confine e di una città oramai completamente francesizzata; 4 o proprio nel giorno in cui -attraverso lo sciopero generale -la crisi della politica francese sembrava attingere il suo acme, la manifestazione dei deputati fascisti dava immediatamente una svolta alla situazione e ristabiliva una nuova «unione sacra» contro l'Italia. Non bisogna tuttavia credere a una durata eterna di questa «unione sacra» in un Paese come la Francia. Tanto è vero che nel Petit Bleu del 19 gennaio si leggeva quanto segue a proposito della incoerenza e della confusione parlamentare: «Tutti erano uniti ieri per opporsi alle rivendicazioni italiane: oggi ricominciano gli insulti e le divisioni a proposito della Spagna». Ma resta l'unione contro l'Italia; 5° la manifestazione fatta alla vigilia del viaggio di Ribbentrop, poté dare l'impressione che fosse un moto di dispetto per l'accordo franco-tedesco che io avevo approvato sin dall'ottobre e che fu definito da chi lo trattò «una grande limonata»; 6° la manifestazione pose in pericolo il viaggio a Roma di Chamberlain, viaggio desiderabile per ragioni troppo evidenti; 7° la manifestazione ha provocato il viaggio di Daladier in Corsica e in Tunisia nonché una esaltazione del neo-imperialismo francese. 8° Si dava al mondo l'impressione che la conquista dell'Impero ci aveva delusi.

All'attivo stanno le voci seguenti: l o impostazione del nostro problema mediterraneo innanzi al mondo, anche se in massima parte ci è ostile. Significativo a tale proposito l'articolo di Duff-Cooper; 2° fine dalla francofilia a base di sorelle latine, grazie anche ai sanguinosi insulti che la stampa francese ha rivolto alle nostre Forze Armate; 3° crescente popolarità dell'Asse dato il contegno di piena solidarietà della stampa di Berlino e grazie alle dichiarazioni del Ftihrer.

Il 17 dicembre.

La manifestazione della Camera non impegnava il governo, ma il governo fascista non poteva ignorarla. In data 17 dicembre, il ministro degli Esteri mandava una lettera all'Ambasciatore di Francia2 , nella quale dichiarava «non entrate in vigore» le convenzioni Mussolini-Laval del gennaio 1935.

La nostra tesi è, dal punto di vista strettamente giuridico, inoppugnabile. Nessuna delle clausole di quegli accordi è stata applicata: essi sono decaduti. Colla nota del 17 dicembre il governo fascista faceva il «punto» diplomatico della situazione, ma nello stesso tempo riconosceva i limiti delle nostre aspirazioni: aspirazioni non metropolitane, ma coloniali e cioè Tunisia, Gibuti, Suez. La Francia ha risposto praticamente con un <ifìn de non recevoir» sostenendo cioè la tesi opposta alla nostra. Da allora nessun contatto si è più avuto, né si avrà prima della fine della guerra di Spagna, come è stato dichiarato nella maniera più formale a Chamberlain.

Che cosa vogliamo?

Quantunque la Corsica non possa -in base alla nota del 17 dicembre -fornire materia di negoziati-quantunque la Corsica-bisogna riconoscerlo!-sia oramai profondamente infranciosata -noi non possiamo rinunciarvi, perché la Corsica -oltre ad essere geograficamente, storicamente, etnicamente, linguisticamente ita-

I55 2 Vedi serie ottava, vol. X, D. 566.

liana -rappresenta per noi un interesse strategico vitale. Il modus procedendi non può essere che il seguente: l o tempo: ravvivare le tendenze autonomistiche dei Corsi; 2° tendere all'indipendenza della Corsica; 3° annessione all'Italia.

Tunisia.

Rivendicazioni di carattere territoriale nei confronti della Tunisia, non potrebbero essere avanzate che in pieno accordo col mondo arabo. l 0 tempo, quindi, statuto degli italiani di Tunisi; 2° tempo: sostituire l'Italia alla Francia nel protettorato del Bey.

Gibuti.

Per quanto concerne Gibuti vi sono maggiori possibilità di negoziati, anche per il fatto che la Gran Bretagna non avrebbe a temere alterazioni nello statu qua del Mediterraneo. Qui si possono ottenere oltre che agevolazioni ferroviarie e portuali, cessioni di carattere territoriale, ma si tratta di vedere se la eventuale contropartita da dare alla Francia non sarebbe eccessiva.

Sviluppi prevedibili.

L'Italia può scegliere una o l'altra delle seguenti strade:

a) non dare ulteriore corso alla faccenda e attendere tempi migliori, rimettendo il tutto a una sistemazione generale di eventi che non tarderà. lnsabbiare, in altri termini, la questione. Ma dopo tanto clamore una soluzione del genere sarebbe considerata una brutta ritirata strategica, un «macchina indietro», equivalente a una sconfitta diplomatica. Fascisti e non fascisti potrebbero concludere che è bastato che la Francia ritrovasse un po' di «mordente» per soffocare «nel germe» le naturali aspirazioni del popolo italiano.

b) negoziare prendendo quale punto di partenza la nota italiana del 17 dicembre e cioè -statuto degli italiani di Tunisi, interessi italiani di carattere ferroviario e portuale in Somalia, tariffe del Canale di Suez, qualche rettifica di frontiera. Un accordo di questo genere non sarebbe l'ideale, ma presentato convenientemente al popolo italiano, finirebbe per incontrarne l'approvazione, anche per il fatto che allontanerebbe possibili complicazioni.

c) presentare al momento opportuno il nostro programma massimo alla Francia. Qui i casi sono soltanto due. La Francia accetta di discutere e allora si resta sul terreno diplomatico o la Francia respinge ogni proposta e allora non rimarrebbe che il ricorso alle armi.

Caratteri di una guerra franco-italiana.

Che a una prova di forza si debba giungere un giorno fra noi e la Francia, non v'ha dubbio, anche per il fatto che la Francia rispetta soltanto i popoli dai quali è stata battuta. Si tratta di sapere se il momento è propizio. Esaminiamo i caratteri che una guerra i tal o-francese potrebbe assumere. Dal punto di vista terrestre sulle Alpi, nessuna possibilità di decisione. Difficile per noi passare, altrettanto difficile per i francesi. In Libia i nostri apprestamenti difensivi e i loro non autorizzano a sperare una decisione su quel fronte. Unico fronte terrestre, ove le forze francesi potrebbero essere travolte, è il somalo, quantunque, oggi, la cosa sia già meno facile di prima. La guerra franco-italiana assumerebbe quindi un carattere aereo-marittimo. Qui possiamo considerarci se non superiori, almeno uguali in forze. Una guerra del genere può durare molto a lungo a meno che non intervengano altri fattori ad accelerarla o a meno che non assuma carattere europeo e mondiale.

Possiamo noi contare sulla solidarietà germanica? Dopo il discorso del Fiihrer, non è più possibile dubitarne.

Siamo noi oggi, febbraio del 1939, nelle condizioni «ideali» per fare una guerra? Nessuno Stato è mai nelle «condizioni» ideali per fare una guerra, quando si voglia con ciò intendere una sicurezza matematica di vittoria. Ogni guerra -anche la meglio preparata -ha le sue incognite. Ma non v'è dubbio che la nostra preparazione sarà migliore fra qualche anno e precisamente:

a) quando avremo rinnovato tutte le nostre artiglierie (1941-42); b) quando avremo in squadra le 8 navi da battaglia e un numero forse doppio dell'attuale di sommergibili (1941-42); c) quando l'impero sarà del tutto pacificato, potrà bastare a sé stesso e darci l'armata nera;

d) quando avremo realizzato almeno il 50% dei nostri piani autarchici;

e) a esposizione del '42 chiusa, esposizione che deve rinforzare le nostre riserve;

f) quando avremo fatto rimpatriare il maggior numero possibile di italiani dalla Francia. Questi sei-settecentomila italiani residenti in Francia costituiscono un veramente grave problema.

Allo stato degli atti, la diplomazia fascista lavorerà per ottenere la soluzione migliore di cui al numero due e nel contempo le forze armate affretteranno la loro preparazione onde essere pronte a fronteggiare qualsiasi evento.

156

IL MINISTRO A BELGRADO, INDELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 477/21 R. Belgrado, 6febbraio 1939, ore 0,45 (perv. ore 2,35).

Fino a stasera tentativi di Cvetkovié per formazione governo sono rimasti infruttuosi.

Peraltro è probabile che entro domani mattina, a costo di ricorrere ad uomini di secondo piano, egli comporrà un Ministero1 di fortuna che vedrà la luce fra lo scetticismo generale e fra il risentimento serbo per la concessione fatta alle imposizioni croate.

!56 1 Il nuovo ministero veniva costituito lo stesso giorno con Cvetkovié presidente e Cincar-Markovié, allora ministro a Berlino, ministro degli Esteri.

Sembra, del resto, che come era da prevedere Macek si rifiuti ali 'ultimo momento di impegnare nella combinazione il proprio partito.

Intanto va manifestandosi in favore di Stojadinovié una forte reazione suscettibile di renderlo arbitro di una molto prossima situazione. Appare ormai evidente che il principale artefice veramente deplorevole della congiura è stato Korosec che è riuscito con pazienti male arti influenzare il Principe Reggente contro Stojadinovié facendone apparire pericolosi gli orientamenti verso l'Asse e le direttive autoritarie e facendo balenare la chimerica speranza di un accordo coi croati quando fosse tolta di mezzo la sua persona2 .

Opinione pubblica è disorientata e depressa.

Riferirò ulteriormente3 .

157

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, ALL'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO

T. S.N.D. 83/55 R. Roma, 6febbraio 1939, ore 24.

Da informazioni confidenziali 1 risulta che noto generale Sereggi, Aiutante Campo di Re Zog, si sarebbe recato a Berlino in relazione a pratiche iniziate con legazione tedesca in Tirana da parte della Corte albanese che mirerebbe a sostituire in Albania influenza italiana con quella tedesca. Controllate se Sereggi è venuto effettivamente Berlino e, in caso affermativo, sorvegliate con la discrezione del caso e riferite2 .

3 Vedi D. 162.

2 L'ambasciatore Attolico rispondeva che dalle indagini fatte presso l' Auswartige Amt non era risultato niente a conferma d eli' informazione fiduciaria, mentre qualche sospetto nasceva dali' atteggiamento del generale che, una volta giunto a Berlino, si manteneva rigorosamente nascosto (lettera 01147 del 10 febbraio. Il documento ha il visto di Mussolini).

156 2 Sulle reazioni che la crisi jugoslava suscitava a Roma e le ripercussioni che aveva sui progetti circa l'Albania, vi è nel Diario di Ciano questa annotazione sotto la data del 6 febbraio: «Vedo il Duce a Palazzo Venezia. Ritiene che la liquidazione di Stojadinovié sia un vero colpo di Stato da parte del Reggente che ha voluto prevenire la stabilità della dittatura fascista in Jugoslavia. Espongo al Duce il mio punto di vista in materia albanese: accelerare i tempi. È d'accordo. Cominciamo subito a richiamare forze e a concentrare mezzi aerei. Intensifichiamo la preparazione rivoluzionaria locale. Epoca dell'azione: la settimana di Pasqua».

157 1 Si riferisce ad una nota fiduciaria del 4 febbraio in cui si dava notizia dei veri scopi che, secondo l'informatore, aveva la missione a Berlino del generale Sereggi, «considerato un fervente nazista», e si faceva notare come ciò fosse conferma che la Corte di Tirana cercava in tutti i modi di liberarsi dell'influenza italiana. La nota fiduciaria ha il visto di Musso lini.

158

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. SEGRETO 1008/299. Berlino, 6febbraio 19391•

S.E. Markovié. ministro di Jugoslavia a Berlino. ora prescelto a coprire il posto di ministro degli Esteri del suo Paese. è un saldo. sincero amico dell'Italia fascista. la cui cooperazione egli ritiene essenziale sia nell'interesse strettamente jugoslavo. sia in quello più lato dell'Europa.

Conosco il Markovié intimamente e posso rispondere di questi suoi sentimenti che -nella sua dirittura -egli porterà certo anche nelle sue nuove funzioni a guida della sua azione.

Fautore convinto della politica dell'Asse-considerata, per impellenti ragioni geografiche ed economiche, la sola che, anche al di fuori delle attuali congiunture politiche, convenga alla Jugoslavia-egli in cuor suo inclina in fondo più per l'Italia che per la Germania e considera potenzialmente una forte amicizia italo-jugoslava anche come una garanzia contro eventuali tendenze germaniche alla egemonia e alla strapotenza.

Io mi riservo di aver con lui, prima della sua partenza, una conversazione di indole generale onde accertare le sue posizioni sopra le specifiche questioni del momento. Tendenzialmente, io considero il Markovié come favorevole:

l) al riconoscimento del governo di Franco;

2) alla liquidazione della Piccola Intesa;

3) alla estirpazione dalla Intesa Balcanica di ogni punta originaria anti-italiana ed anti-bulgara;

4) favorevole persino ad un sincero riavvicinamento con l'Ungheria, a condizione peraltro che questa rinunzi, senza sottintesi, ad ogni velleità territoriale nei rapporti con la Jugoslavia.

Per guanto riguarda invece l'Anticomintern. non so se il Markovié sia maturo ad aderirvi. e ciò pur assumendo come postulato della sua azione la necessità di una collaborazione strettissima con le Potenze europee che ne fanno parte.

Può anche interessare V.E. di sapere che Markovié -che ha passato due anni a Tirana -conosce a fondo Re Zog e non ha per lui eccessiva considerazione, né come Monarca, né come uomo.

Il nuovo ministro degli Esteri è senza dubbio favorevole alla elevazione ad Ambasciata delle legazioni di Berlino e di Roma.

Il Markovié è intimo del Principe Paolo di cui possiede tutta la fiducia. Egli era dal Reggente chiamato spessissimo a Belgrado a conferire direttamente con lui ed è stato designato al posto di ministro proprio dal Principe Paolo.

Il nuovo ministro degli Esteri non ha -come diplomatico di carriera rimasto finora assolutamente fuori dalle competizioni politiche del suo Paese -alcun desiderio di ingerirsi in questioni interne di partito.

!58 1 Manca l'indicazione della data di arrivo.

Il Markovié ha passato l'anno scorso tutto il periodo delle sue vacanze in Italia. Conosce, per quanto non voglia parlarlo, l'italiano. È sposato ad una signora greca di Corfù che parla italiano quasi sempre ed è amicissima del nostro Paese. S.E. Markovié si tratterrà ancora qui a tutto giovedì corrente2•

159

L'AMBASCIATORE A PARIGI, GUARIGLIA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. SEGRETO 918/387. Parigi, 6febbraio 1939 (perv. 1'11).

Segnalo a V. E. l'accluso articolo apparso su L 'Homme Libre1 , organo ufficioso del ministro degli Affari Esteri Bonnet. (Mi riferisco a questo proposito anche al rapporto riservato del Regio Console a Nizza n. 1985 del 29 gennaio scorso )2 .

L'articolo rispecchia l'opinione che da qualche giorno a questa parte si va generalizzando negli ambienti ufficiali francesi e nella maggioranza del pubblico: occorre negoziare con l'Italia e farle le possibili concessioni purché queste non abbiano carattere territoriale.

Anche negli ambienti dello Stato Maggiore, a quanto mi riferisce questo addetto militare, tale opinione si è fatta strada. Si menzionano specificamente le seguenti possibili soluzioni:

l) porto franco a Gibuti;

2) cessione ferrovia dietro pagamento oppure controllo italiano della ferrovia stessa;

3) partecipazione nel Consiglio di amministrazione del Canale di Suez;

4) Statuto per gli italiani di T uni si sulla base della Convenzione del 1896.

Tutto ciò naturalmente è ventilato da persone irresponsabili, ma rappresenta l'opinione media che si va formando nei circoli politici e militari, animati dal desiderio di comprare la pace ad un certo prezzo purché non sia troppo caro.

Queste migliorate disposizioni francesi vengono messe anche in relazione col viaggio a Roma del governatore della Banca dell'Indocina, Baudouin3 .

In altri termini dal jamais e dalle qyalifiche di «stravaganti». «insultanti» e peggio date in un primo tempo alle nostre rivendicazioni. dall'irrigidimento assoluto già determinatosi nell'opinione pubblica stiamo lentamente passando ad una maggiore malleabilità motivata naturalmente dalle preoccupazioni militari. ma che esclude ancor sempre ogni cessione territoriale.

2 Non pubblicato.

3 Vedi D. 109.

È l'incertezza dell'avvenire che preoccupa tuttavia fondamentalmente i francesi, e che li rende ancora restii a comprendere la nuova situazione italiana: essi temono che ogni concessione da parte della Francia sia per noi solo una rapida tappa su di un piano inclinato.

Perciò, mentre pur si accentuano le buone disposizioni a trattare su certe limitate basi, prosegue con ritmo sempre maggiore l'attività degli armamenti e della difesa militare. Speciale attenzione viene rivolta da qualche tempo in qua alla frontiera svizzera, giacché si conosce l'intenzione tedesca di attaccare da quella parte in caso di guerra4 .

158 2 Il documento ha il visto di Mussolini.

159 1 Les si/ences de M Musso/in i su L 'Homme Libre del 6 febbraio. Non pubblicato.

160

L'INCARICATO D'AFFARI A SOFIA, DANEO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 651/306. Sofia, 6febbraio 1939 (perv. 1'11).

Dispaccio E. V. del 25 gennaio u.s. n. 202267le. 1•

Mi sembra assai strano che la Wilhelmstrasse non sia mai stata messa al corrente delle concrete aspirazioni bulgare e del crescente movimento per le rivendicazioni dobrugiane, dato anche, come giustamente osserva il barone von Weizsacker, la perfetta conoscenza dei problemi bulgari acquisita dal ministro Riimelin in oltre quindici anni di permanenza in questa sede.

Ritengo invece che l'atteggiamento della Germania, per quanto mi è dato giudicare da quello del suo rappresentante a Sofia, verso le rivendicazioni bulgare in generale e quelle dobrugiane in particolare, abbia subito una modificazione sostanziale da qualche tempo a questa parte.

Fino ai primi del novembre u.s., infatti, questa legazione di Germania aveva lasciato accreditare la voce, largamente qui diffusasi, di un atteggiamento di comprensione se non addirittura di attiva simpatia da parte tedesca di fronte al risveglio delle correnti nazionaliste bulgare specie verso la Dobrugia. Mi riferisco a questo proposito, fra l'altro, al telegramma filo di questa Regia Legazione n. 207 del 23 settembre u.s. 2 e particolarmente al rapporto dell'8 novembre n. 53683 .

2 T. 4876/207 R. del 23 settembre 1938, in cui si attirava l'attenzione sull'atteggiamento di aperta simpatia che il ministro di Germania, Riimelin, dimostrava nei riguardi delle agitazioni irredentiste in Bulgaria.

3 Vedi serie ottava, vol. X, D. 375.

A suffragare tale impressione in questi circoli politici e sopratutto nel pubblico, sono venute le dichiarazioni nettamente revisioniste che, secondo la stampa locale, il barone von Neurath avrebbe fatto al suo passaggio da Sofia in occasione del viaggio ad Ankara per i funerali di Atatlirk (telegramma filo n. 289 del 19 novembre u.s.)4 . Contemporaneamente i marinai dell'incrociatore Emden a Varna venivano festeggiati in modo particolare, e le manifestazioni in loro onore scivolavano, per effetto forse di un eccessivo entusiasmo collettivo dovuto alla preesistente tensione degli animi in quella città di confine, in dimostrazioni nettamente irredentistiche cui non rimanevano estranee le stesse autorità bulgare presenti sì da determinare un passo di protesta romeno (rapporti del21 novembre u.s. n. 5647/2173 e 5660/2183) 5 .

È in questo momento, e soltanto in questo momento, che il ministro Riimelin evidentemente dietro istruzioni ricevute da Berlino, ha creduto necessario porre un freno al dilagante entusiasmo bulgaro ed ha appositamente cercato, cosa insolita, il ministro d'Italia per comunicargli, a dieci giorni di distanza dalla loro pubblicazione, che le dichiarazioni del barone von Neurath, di cui nessuno aveva messo in dubbio l'autenticità, erano state alterate ed interpretate in modo estensivo. In seguito, in altre occasioni e per ultimo in un colloquio del consigliere della legazione del Reich con il ministro Talamo (rapporto del 7 gennaio n. 89/51 )6 , affiorava nettamente uno scetticismo ed una freddezza nei riguardi delle aspirazioni bulgare sulla Dobrugia che, in contrasto con quanto è stato riferito nella prima parte del citato telegramma 207, rende lecita la supposizione di un mutamento radicale dell'atteggiamento tedesco nella questione.

Ho ritenuto opportuno ricordare quanto sopra perché mi sembra strano che la Wilhelmstrasse non sia al corrente delle aspirazioni bulgare se non attraverso i modesti sondaggi del ministro Draganov (dispaccio V.E. n. 201295/c. del 14 gennaio u.s.)? il che d'altra parte verrebbe smentito anche dalle dichiarazioni del consigliere della legazione germanica in Atene (dispaccio V.E. n. 202405/c. del 25 gennaio u.s.)8 ; come pure mi sembra strana la sorpresa per gli atteggiamenti bulgari, sorpresa che mi pare provocata dalle dichiarazioni di Kiosseivanov sulla possibilità di un'intesa con i Sovieti contro la Romania (telegramma per corriere 02 del 6 gennaio u.s.) 9 , eventualità già da lui prospettata altre volte, sia pure a titolo di avvertimento (telegramma n. 306 del 29 novembre)10 e di cui ho motivo di credere che questo ministro di Germania sia al corrente.

5 Non pubblicati.

6 Nel corso del colloquio-aveva riferito il ministro Talamo-l'incaricato d'affari tedesco, von Biilow, si era dimostrato «assai freddo» circa le rivendicazioni bulgare in Dobrugia che aveva definito «non attuali». Von Biilow, invece, aveva fatto «esplicito accenno al profondo interesse tedesco nella questione ucraina, soggiungendo che anche verso la Polonia occorreva oramai sistemare meglio le posizioni germaniche».

7 Non rintracciato. Ritrasmetteva, probabilmente, il D. 28.

8 Non rintracciati.

9 Vedi D. 18.

10 T. 6208/306 R. che è del 30 novembre 1938. Riferiva su un colloquio con Kiosseivanov, il quale aveva accennato, tra l'altro, al parallelismo tra la questione della Dobrugia e quella della Bessarabia, facendo notare che in questo quadro acquistavano un particolare significato le infiltrazioni di elementi comunisti nel movimento nazionalista bulgaro.

161.

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

LETTERA SEGRETA l 003. Berlino, 6febbraio 19391•

Allo scopo di poterTi fornire, tempestivamente, ogni possibile notizia nei riguardi della nota, importantissima questione tuttora in sospeso, ho creduto bene di far opportunamente comprendere all'Ambasciatore giapponese, Generale Oshima, la necessità di intrattenere con questa Ambasciata collegamenti diretti e continuativi. Oshima ha dato le più ampie assicurazioni al riguardo.

Sono così in grado di infonnarTi che Oshima, il quale, a causa di malattia, non poté recarsi la scorsa settimana a Parigi per prendere contatti con i suoi colleghi residenti nelle Capitali occidentali ma dovette farlo a mezzo di persona di sua fiducia, ha deciso ora di attuare personalmente il suo primitivo programma. Egli partirà così questa sera per Bruxelles e per Londra dove avrà conversazioni con quegli Ambasciatori nipponici, tra i quali quello residente nella Capitale belga, per la sua anzianità ed autorità, appare essere elemento molto ascoltato a Tokio. Mentre questo stesso fatto rivela la presenza di resistenze diverse, Oshima continua a mostrarsi ottimista e dichiara che con ogni probabilità quei suoi colleghi -per quanto diplomatici di «vecchia scuola» non mancheranno di appoggiarlo nel porre sempre più in rilievo presso il governo la necessità di addivenire al più presto alla conclusione del progettato Patto.

Il testo del Patto (progetto n. 2)2 -egli ha aggiunto -venne telegrafato a Tokio fin dalla prima decade di gennaio ed il Consiglio privato ha potuto così già sottoporlo ad esame. Conseguenza è stata la partenza. via Shanghai. con il nostro Conte Verde di una piccola missione composta dall'ex ministro del Giappone a Varsavia e dai Rappresentanti dei Ministeri della Guerra e della Marina. missione che sbarcherà a Venezia il giorno 25 per recarsi immediatamente a Berlino allo scopo di consegnare personalmente e direttamente ad Oshima le istruzioni del governo di Tokio.

L'ambasciatore non esclude che in queste settimane il governo possa, a seguito delle sue sollecitazioni, fargli pervenire anche telegraficamente notizie e forse anche istruzioni. Ma pensa pure che nulla di conclusivo potrà avvenire prima dell'arrivo della missione (che viaggia nel più assoluto segreto) a Berlino.

Da tutto questo complesso di circostanze e dall'atteggiamento di Oshima, Magistrati, che ha avuto con lui in proposito una conversazione, ha tratto l'impressione che il governo di Tokio, pur essendo deciso a progredire nella via prescelta. intenda andare a passi lenti. pesando-il che spiega appunto l'invio in Europa di una missione tecnica -ogni circostanza ed esaminando ogni lato del problema. In conclusione, quindi, non sembra si possa, oggi ancora, parlare di una qualche data fissa per la conclusione.

Oshima sarà di ritorno a Berlino l'Il corrente e ha assicurato che senza indugio egli mi porrà in grado di fornirTi tutte le notizie circa le impressioni raccolte nelle

161 1 Manca l'indicazione della data di arrivo. 2 Vedi D. 22, Allegato.

Capitali che sarà per visitare e circa l 'esito delle conversazioni con i colleghi, cui ho sopra accennato 3 .

159 4 Il documento ha il visto di Musso lini.

160 1 Ritrasmetteva il telespresso 469/133 del 18 gennaio da Berlino nel quale l'ambasciatore Attolico riferiva di avere fatto cenno a von Weizsiièker della conversazione tra Kiosseivanov ed il ministro Talamo di cui al D. 18. Il Segretario di Stato alla Wilhelmstrasse si era mostrato molto sorpreso ed aveva osservato che il ministro di Germania a Sofia, pur essendo molto ben introdotto negli ambienti bulgari, non aveva mai dato notizia alcuna che potesse anche lontanamente far pensare ad atteggiamenti simili a quelli risultanti dalla conversazione riferita.

160 4 T. 6047/289 R. de119 novembre 1938. Riferiva che in occasione del passaggio delle delegazioni dirette ad Ankara per i funerali di Atatiirk, il capo della delegazione germanica, von Neurath, aveva dichiarato alla stampa che l'accordo di Monaco non sarebbe stato che «l'inizio di una definitiva sistemazione minoritaria».

162

IL MINISTRO A BELGRADO, INDELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. RISERVATO 491/24 R. Belgrado, 7febbraio 1939, ore 0,10 (perv. ore 3, 10).

Ho veduto oggi Stojadinovié. L'ho trovato amareggiato del complotto che è stato tramato contro di lui col consenso se non addirittura per ispirazione del Principe Reggente.

Egli lo esaspera col timore della sua crescente posizione centrale nella vita politica del Paese. Mi ha fatto un vago accenno a possibilità di reazioni del Principe dopo il convegno e le conversazioni di Belje1 . Su questo argomento che si è riservato di approfondire mi ha detto sarà più esplicito in seguito.

È perplesso sul suo atteggiamento futuro, nell'ipotesi abbia continue prove dell'aumentato favore dell'opinione pubblica. Da una frazione del partito gli viene consigliato un temporaneo ritiro dall'attività politica, da altri la lotta contro il nuovo governo, che sarebbe poi lotta contro il Reggente.

Ne abbiamo a lungo discusso. L'ho lasciato persuaso a rimanere fermamente alla testa del Partito in posizione di corretta vigilanza, che è quella che allo stato attuale delle cose più conviene per ogni riguardo.

Il nuovo governo non potrebbe prescindere dalle sue decisioni, tanto più che è composto da uomini di scarsa esperienza e di poco seguito che vengono al potere in situazione interna non chiara e sospetti all'opinione pubblica nei riguardi esteri.

Stojadinovié si è dimostrato grato dell'amichevole assistenza da noi dimostratagli nel difficile momento2•

Circa le reazioni di Mussolini alle notizie contenute in questo documento, vi è nel Diario di Ciano la seguente annotazione sotto la data dell'& febbraio: «Il Duce è scontento dei ritardi giapponesi per la conclusione dell'alleanza tripartita e deplora la leggerezza con cui Ribbentrop ha assicurato che il governo di Tokio era d'accordo. Sarebbe d'idea di concludere un'alleanza a due, senza Giappone, dato che essa varrebbe da sola a fronteggiare lo schieramento di forze anglo-francese e non avrebbe nessun sapore antinglese o antiamericanm>.

Circa le ripercussioni che le notizie pervenute da Belgrado avevano a Roma, vi è nel Diario di Ciano questa annotazione: «In serata vedo il Duce e parliamo a lungo della situazione. Confermo il mio punto di vista circa la necessità di stringere i tempi sulla questione albanese per le seguenti ragioni: l) gli jugoslavi sanno ormai che noi pensiamo alla cosa e la voce potrà circolare; 2) con l'andata via di Stojadinovié la carta jugoslava ha per noi perduto il 90 per cento del suo valore; 3) poiché la cosa non sarà più fatta con la Jugoslava ma senza di lei e forse contro di lei, non bisogna !asciarle il tempo di rafforzare sul terreno politico, diplomatico e militare i suoi contatti con la Francia e con l'Inghilterra. In linea di principio fissiamo col Duce la data dell'azione fra il primo e il nove aprile. Nel frattempo vedrò Ribbentrop e forse gli accennerò della cosa».

161 3 Il documento ha il visto di Mussolini.

162 1 Riferimento al colloquio avuto dal principe Paolo con Ciano durante la visita del ministro degli Esteri italiano in Jugoslavia de\19-23 gennaio precedente (vedi D. 90). 2 Il documento fu inviato in visione a Musso lini.

163

L'AMBASCIATORE A PARIGI, GUARIGLIA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 882/372. Parigi, 7 febbraio 19391•

Con miei precedenti rapporti ebbi occasione di riferire a V.E. sulle determinazioni adottate dali 'ultimo Consiglio dei Ministri perché fosse limitato l'afflusso in Francia ai soli profughi spagnoli inatti alle armi.

Tale determinazione si è rapidamente mostrata inattuabile. Gli stessi Ministri Sarraut e Rucart hanno riportato dal loro viaggio di ispezione alla frontiera, la convinzione dell'impossibilità di arginare la pressione di truppe disposte a tutto per scampare ali 'autorità del vincitore, se non con l'impiego di forti contingenti militari, risoluti per di più all'impiego delle armi. Tale risoluzione di forza è stata quindi senz'altro scartata dal governo.

Come al solito, nel mentre gli organi responsabili tergiversavano e si affannavano a ricercare una soluzione internazionale che permettesse di entrare in utili contatti con Franco-la missione di Bérard è maturata in tali contingenze-l'avanzata fulminea delle truppe legionarie e lo sbandamento immediato delle forze rosse ha posto il governo francese di fronte alla necessità di adottare una risoluzione che non fosse troppo in contrasto con la politica seguita finora nei riguardi della Spagna rossa e fornisse nel contempo dei mezzi di pressione sul governo di Franco per un favorevole negoziato nel senso auspicato dal governo francese. Fu così deciso in tutta fretta di ammettere in territorio francese le truppe che avevano ormai rinunziato ad ogni resistenza.

Secondo gli accordi presi con il governo Negrin, i reparti dovevano passare in Francia inquadrati con armi e bagagli per essere poi avviati nel campo di concentramento frettolosamente attrezzato ad Argelès-sur-Mer. I miliziani giunti alla frontiera dovevano deporre tutte le armi che sarebbero state prese in consegna dalle Autorità militari francesi. Analoga decisione fu adottata per tutta l'aviazione ancora in efficienza in Catalogna.

Tale risoluzione, ripeto, è stata adottata all'ultimo momento vista l'impossibilità di concertare una utile impresa preventiva con Franco. Quifiones de Leon mi ha assicurato che era rimasto d'accordo con Bonnet nel senso che non sarebbe stato permesso l'ingresso in Francia ai miliziani, ma solo alle donne, ai vecchi ed ai bambini. Poi è cominciata una campagna di giornali spagnoli nazionalisti (Diario Basco, ecc.) contro il governo francese, con aspri rimproveri alla Francia perché non permetteva l'entrata nel suo territorio delle truppe rosse in decomposizione.

In questi ambienti nazionalisti mi si assicura non comprendere gli scopi di tale campagna di stampa da parte di Franco, dato che questa enorme massa di miliziani che si trasferisce in Francia potrebbe costituire domani un pericolo per le stesse forze nazionaliste ed obbligare Franco a non sguarnire il confine catalano, quali che siano le assicurazioni che il governo francese possa dare sul disarmo e sul concentramento delle truppe che passano la frontiera.

L'unico plausibile motivo che viene attribuito a questo presunto desiderio di Franco è quello di evitare ulteriori spargimenti di sangue, ulteriori disperate battaglie contro delle truppe rosse poste con le spalle dietro una frontiera chiusa ed obbligate quindi a difendersi o ad arrendersi.

Il governo francese nell'addossarsi però il non lieve carico politico, militare e finanziario del concentramento di un'armata in sfacelo, potrebbe in un avvenire più o meno prossimo fare di questa enorme massa di soldati accolti nel suo territorio una contropartita per un qualsiasi negoziato con la Spagna nazionalista o con altre Potenze e perfino-nel caso di gravi complicazioni internazionali-ricostituire un piccolo esercito da utilizzare sotto la bandiera di un'ideologia antifascista contro lo stesso Franco.

Le truppe passate in Francia sono giunte infatti con tutti i loro armamenti -carri armati e artiglierie comprese. Circa 60 aeroplani di marca russa hanno atterrato negli aerodromi del sud-est francese e tutto è stato preso in consegna dalle Autorità militari in attesa, si dice, che sia definita la sorte dei rifugiati col nuovo regime spagnolo.

Il principale campo di concentramento è stato per il momento stabilito ad Argelès-sur-Mer per una capienza di circa l 00.000 uomini. Altri campi ausiliari verranno attrezzati entro un raggio di l 00 km. dalla frontiera spagnola.

Finora circa 70.000 uomini di truppa sono entrati in Francia ed altrettanti se ne attendono. I rifugiati civili ammontano già a circa 130.000 persone di modo che si calcola che ad evacuazione compiuta circa 300.000 spagnoli saranno passati sul suolo di Francia. La quota di rifugiati che ha chiesto di entrare in Spagna nazionalista è finora minima. La stampa dà notizia di circa 4.000.

Problema gravissimo quindi che preoccupa non lievemente gli organi responsabili e l'opinione pubblica, non solo per il carico finanziario che comporta, quanto per le conseguenze che si temono per l'ordine pubblico e la compagine sociale del popolo francese. Si tratta di elementi che, come è facile comprendere, portano in sé le stigmate del rivolgimento e del malcontento.

Già si prevedono le difficoltà a cui si andrà incontro per mantenere la disciplina tra 100.000 uomini racchiusi in un campo di concentramento, quando organizzazioni e gruppi politici di sinistra cominciano sin d'ora a strepitare perché sia concessa loro maggior libertà ed un trattamento più umano.

Scomparsa l'impressione dell'estenuazione e delle sofferenze da essi patite in queste ultime fasi di lotta, è facile prevedere che la loro irrequietezza potrà sboccare in possibili agitazioni e pretese che non sarà facile contenere in pochi ettari di terra. Vi è già chi parla dell'invio di contingenti in Africa del nord od in altri territori, se nel frattempo non sarà stato possibile arrivare ad una sistemazione definitiva della questione spagnola con Franco; ma certo l'installazione di un così grande numero di combattenti in Tunisia, in Algeria o in Marocco solleverebbe nuovi pericoli e maggiori difficoltà internazionali. Non è poi da credere che le pressioni che potranno essere fatte sugli Stati dell'America del Sud per accogliere i vinti di Spagna sortiranno esito favorevole, giacché malgrado le prevalenti simpatie democratiche dell'America latina verso i repubblicani di Negrin, nessuno Stato vorrà aprire loro così facilmente le porte.

Si è creato dunque un problema di eccezionale gravità, il quale potrà anche esorbitare dal campo dei rapporti franco-spagnoli per influire con tutto il suo peso sulla già difficile situazione europea createsi in questi ultimi tempi.

163 1 Manca l'indicazione della data di arrivo.

164

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, ALL'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO

T. S.N.D. 85/56 R. Roma, 8febbraio 1939, ore 16,15.

Fai sapere a Ribbentrop che noi vedremmo con simpatia il noto Patto tedesco spagnolo concluso al più presto. Informami1•

165

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. l 092/330. Berlino, 8febbraio 1939 (perv. il 10).

Il ministro Markovié ha fissato la sua partenza per venerdì sera. Egli ha già visto Ribbentrop avantieri, domani vedrà Goring, dopodomani rivedrà ancora Ribbentrop. Non vedrà il Fiihrer perché è fuori.

Della prima conversazione avuta con Ribbentrop, Markovié mi ha detto che è stata di carattere gratulatoria e politicamente piuttosto generica, il ministro tedesco avendo specialmente insistito sulla necessità che Germania e Jugoslavia continuino nell'attuale politica di stretta collaborazione ed amicizia e sulla opportunità che la Ju~oslavia entri nel circolo delle Potenze dell'Anti comintern.

Su questo punto Markovié non ha preso impegni di sorta. Quanto alla auspicata continuazione della politica di amicizia. egli ha invece dato tutte le assicurazioni possibili. alludendo anche ad una prossima visita in Germania (come in Italia) del Principe Paolo.

Nel corso della conversazione, d'altronde breve, Ribbentrop ha dichiarato che gli intenti della Germania sono puramente pacifici (questo sta diventando, dopo il discorso del Fiihrer, il Leitmotiv delle dichiarazioni di tutti gli uomini di Stato tedeschi).

Richiesto cosa pensasse delle relazioni italo-francesi, egli ha detto esser convinto che esse siano suscettibili, attraverso trattative diplomatiche, di non difficile appianamento. Nello stesso senso Ribbentrop avrebbe dichiarato di essersi espresso anche con lo stesso Ambasciatore di Francia signor Coulondre 1•

166.

L'AMBASCIATORE A PARIGI, GUARIGLIA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 917/386. Parigi, 8 febbraio 1939 (perv. i/13?).

L'Humanité odierno pubblica nel suo editoriale di politica estera la notizia secondo la quale le seguenti condizioni sarebbero state poste dal governo di Burgos al senatore Bérard1 per una ripresa di relazioni normali tra Francia e Spagna:

«Prendere atto della scomparsa del governo rosso, riconoscere la sua illegalità fondamentale e la sua impotenza a imporre la sua autorità.

Rinunziare a ogni riserva nella ripresa con la Spagna delle relazioni normali.

Convincersi che gli spagnoli non ammetteranno la buona fede di un Paese che, riconoscendoli, non accompagnasse l'invio di un Rappresentante diplomatico a Burgos con la restituzione di tutto ciò che questo Paese ha ricevuto dalla Spagna durante la guerra: oro, valori, quadri, navi, ecc.

Si sarebbe aggiunto che ogni tentativo che potrebbe esser fatto da altre Nazioni per influenzare la politica interna o esterna della nuova Spagna e soprattutto per separarla dai suoi alleati attuali, sarà respinta con ogni energia».

In questi ambienti nazionalistici mi si assicura che tale notizia corrisponde effettivamente alla realtà, secondo le ultime informazioni oggi ricevute dagli stessi ambienti della Spagna.

Il senatore Bérard, secondo notizie pervenute dalla stessa fonte, avrebbe consigliato al ministro degli Esteri francese l'accettazione delle condizioni poste dal governo di Burgos.

164 1 Questo telegramma fu ritrasmesso all'ambasciatore Viola con T. 88/36 R. del 9 febbraio, con la seguente aggiunta: «La conclusione del patto varrà infatti a neutralizzare l'impressione prodotta dai contatti che hanno avuto luogo recentemente tra la Francia e il governo nazionale».

165 1 Il documento ha il visto di Mussolini.

167

NOTA N. 28 DELL'INFORMAZIONE DIPLOMATICA

Roma, 8 febbraio 1939.

Nei circoli responsabili romani il discorso pronunciato da Neville Chamberlain circa la stretta solidarietà politico-militare franco-inglese non ha prodotto sorpresa alcuna. Una dichiarazione altrettanto esplicita fu fatta da Chamberlain a Roma e in altre precedenti occasioni alla Camera dei Comuni. Gli ambienti antifascisti francesi i quali -nel loro giubilo esagerato -parlano di una «costernazione» italiana di fronte alle dichiarazioni di Chamberlain sbagliano ancora una volta e di grosso.

L'Italia fascista è così poco costernata che non da ieri, ma da molto tempo, riconosce come assiomatica l'esistenza di una vera e propria alleanza militare franco-inglese. II carattere di questa vera e propria e regolarmente firmata alleanza militare franco-inglese è -naturalmente -difensivo, ma non bisogna illudersi troppo sul significato di questa parola. Che la vera e propria alleanza militare anglo-francese contempli una guerra preventiva o di aggressione contro gli Stati autoritari è da escludere, per il momento; altrimenti non si spiegherebbero gli accordi italo-inglesi del 16 aprile e quello franco-tedesco del 6 dicembre; tuttavia sarebbe temerario ipotecare il futuro. Nei circoli responsabili romani si ritiene che -pur continuando a seguire una politica di pace -l'Italia non può che trarre una conclusione da quanto sopra, e cioè che un ulteriore sforzo si rende necessario per accelerare e perfezionare la preparazione militare della Nazione. Questo sforzo sarà compiuto.

166 1 Sulla prima missione del senatore Bérard a Burgos si veda il D. 141 e i documenti indicati ibid., nota 3.

167 1 Redatta da Mussolini.

168

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. URGENTE 1876/60 P.R. Berlino, 9febbraio 1939, ore 21,49 (perv. ore 23,40).

Weizsacker mi ha informato essere imbastite delle combinazioni finanziarie germanico-albanesi per ricerca e sfruttamento giacimenti petroliferi Albania, esprimendo desiderio che io ne informassi V.E.

Ho risposto che io lo avrei fatto senz'altro, ma che tenevo ad aggiungere subito che la notizia mi sorprendeva dato che, a mia notizia, Italia aveva praticamente già ipotecato tutte le possibilità del genere in Albania.

Weizsacker mi ha detto allora che tanto più in vista di ciò gradirebbe conoscere, con cortese sollecitudine, pensiero V.E. sulla questione 1 .

168 1 Le reazioni provocate a Roma da questa comunicazione di Attolico sono così riportate nel Diario di Ciano sotto la data del IO febbraio: «Grande risentimento per il tàtto che la Germania vorrebbe mettere le mani sui petroli albanesi. Ci risulta da una comunicazione ufficiale fatta ad Attolico. Chiamo Mackensen e gli dico che noi consideriamo l'Albania come una qualsiasi altra regione d'Italia e che qualsiasi intervento tedesco varrebbe a creare un forte risentimento nel!' opinione pubblica italiana. Anche questo fatto prova che il bubbone albanese viene rapidamente a maturazione: i serbi hanno parlato, Zog è allarmato e si agita, potrebbe sorgere qualche manovra diretta ad impedire la nostra azione». Sul colloquio di Ciano con l'ambasciatore von Mackensen si veda anche: il resoconto del diplomatico tedesco in DDT, vol. IV, D. 449. Per il seguito della questione si veda il D. 175.

169

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. RISERVATO 525/61 R. Berlino, 9 febbraio 1939, ore 21,40 (perv. ore O, 15 del l 0).

Vengo informato 1 che, nel corso di un colloquio testé avuto con Ribbentrop, questo ambasciatore di Francia è tornato accennare rapporti franco-italiani 2 .

Rendendosi conto situazione solidarietà italo-tedesca, egli ha detto sentire appunto per questo il dovere di avvertire che, mentre Francia sarebbe pronta fare concessioni su questioni speciali come Gibuti, Suez, ogni pretesa di colonia e territori avanzata dall'Italia avrebbe praticamente significato la guerra.

Dichiarazioni di cui sopra sono state -ripeto -fatte nel corso di una conversazione avente per oggetto anche altre questioni (rapporti economici franco-tedeschi) senza rivestire carattere di «passo diplomatico».

Ribbentrop ha riposto confermando che tutto il mondo rendesi conto che in caso di guerra Germania sarebbe stata al fianco dell'Italia ma mostrandosi convinto possibilità di una soluzione pacifica mediante negoziati diretti fra le due parti a condizione tuttavia che Francia sia pronta a delle concessioni «in uno spirito largo».

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IL MINISTRO A BUCAREST, GHIGI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. SEGRETO PER CORRIERE 568/07 R. Bucarest, 9 febbraio 1939 (perv. il 13).

Riferimento: telegramma per corriere n. 06 1 e telegramma per filo n. 21 2 . Il mio collega di Germania mi ha detto, a titolo confidenziale, che questo ministro degli Affari Esteri al ritorno dalla sua visita a Stojadinovié lo aveva messo al cor

D. 382: le dichiarazioni di Coulondre circa possibili concessioni all'Italia a Gibuti e per il Canale di Suez risultano solo dal documento tedesco. 170 1 Vedi D. 137.

2 T. 474/21 R. del 5 febbraio con il quale il ministro Ghigi aveva riferito quanto gli era stato detto da Gafencu sul suo incontro con Stojadinovié del l 0 -2 febbraio a Belgrado. Secondo Gafencu, i dirigenti jugoslavi avevano dato assicurazione che la Romania non sarebbe stata lasciata sola di fronte all'Ungheria e che l'alleanza romeno-jugoslava era considerata sempre corrispondente agli interessi della Jugoslavia. Sostanzialmente diverse erano le notizie raccolte in proposito dal ministro Indelli: Stojadinovié gli aveva fatto sapere, tramite il ministro aggiunto agli Esteri, Andrié, che l'incontro con Gafencu aveva avuto scarsi risultati e che circa l 'Ungheria egli si era espresso «nel senso convenuto a Belje» con Ciano (T. per corriere 483/08 R. del 3 febbraio).

rente delle conversazioni di Belgrado e dell'intenzione colà manifestata di cercare di giungere ad una normalizzazione dei rapporti con l'Ungheria attraverso la messa in esecuzione degli accordi di Bled3 ed aveva in special modo insistito per conoscere l'avviso del governo germanico circa tale eventualità.

La risposta di Berlino non è stata peraltro conforme ai desideri del signor Gafencu (che del resto -come lo prova la sua stessa richiesta -si rendeva conto del probabile atteggiamento germanico). Il governo del Rei c h ha infatti testé fatto conoscere al signor Fabricius di non poter esprimere un avviso favorevole alla eventuale messa in vigore degli accordi sopra menzionati.

Nell'informarmi di tale risposta che egli si riserva di portare oggi o domani a conoscenza del ministro degli Esteri, il mio collega germanico ha aggiunto che il governo del Reich aveva bensì a suo tempo ritenuto gli accordi di Bled una necessità tattica in vista della soluzione della questione cecoslovacca, ma che essi sono ormai completamente superati dagli avvenimenti dello scorso autunno, dato che la Piccola Intesa è defunta e deve essere definitivamente considerata tale.

Il governo del Reich-secondo l'avviso del signor Fabricius-vedrebbe senza disfavore una distensione dei rapporti fra Budapest e Bucarest che fosse realizzata attraverso fatti concreti, quali un migliore trattamento delle minoranze magiare, e nemmeno forse si opporrebbe ad un'intesa che venisse realizzata-su basi diverse da quelle di Bled-direttamente fra i due Stati. Esso però crede impossibile, allo stato delle cose, la realizzazione di una intesa del genere e si rifiuterebbe comunque di esercitare attualmente pressioni in tal senso, sia a Budapest che a Bucarest, ritenendo che, in attesa di prendere posizione ben definita su tale problema come pure sugli altri concernenti il settore danubiano e balcanico, sia oggi preferibile lasciare ancora immutata una situazione di cose che non è ancora matura per decisioni realistiche consone agli interessi tedeschi.

169 1 In un colloquio con von Weizsiicker, vedi DDT, vol. lV, D. 386. 2 Sul colloquio tra von Ribbentrop e l'ambasciatore Coulondre del 6 febbraio si vedano il telegramma dell'ambasciatore francese in DDF, vol. XIV, D. 57 e il promemoria Schmidt in DDT, vol. IV,

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IL MINISTRO A TIRANA, JACOMONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

APPUNTO. Roma, 9febbraio 19391•

L'insofferenza del popolo albanese contro l'attuale regime sta raggiungendo il suo culmine. Data la preparazione ambientale, i capi locali del movimento insistono perché esso abbia luogo al più presto. Ove si dovesse tardare è da temere che essi perdano fiducia in noi e cerchino altre vie per giungere al loro scopo, rivelando eventualmente gli accordi con noi intercorsi per costringere Zog a modificare i suoi metodi di governo. Né

I 70 3 Vedi D. 9, nota 2.

I 7 I 1 Il ministro Jacomoni era stato convocato a Roma con T. I 820/9 P.R. del 7 febbraio ed il giorno successivo aveva avuto un colloquio con Ciano, il quale così annotava nel suo Diario sotto quella data: «Arriva Jacomoni, il quale conferma l'opportunità di agire presto. L'aria è elettrica in Albania. Ormai tutti i Capi sono con noi: ma per quanto tempo il segreto potrà essere tenuto? Studiamo a lungo i particolari dell'operazione».

ingiustificata è la preoccupazione da essi fortemente sentita che col tempo la congiura venga scoperta e che incarcerazioni od uccisioni rendano più aleatorio il successo.

Questi i motivi portati dai capi albanesi per far presto. A seguito del mutamento di governo in Jugoslavia, inoltre, ed alla nomina di Cincar-Markovié già ministro a Tirana a ministro degli Esteri, si pensa negli ambienti governativi albanesi a portare innanzi con maggior decisione le conversazioni già iniziate per la conclusione di un patto di amicizia con la Jugoslavia. Ciò potrebbe avere per noi conseguenze sgradevoli. Dato il mutamento imminente di titolare della Legazione jugoslava, l 'inizio di queste conversazioni è da prevedere non appena giunga il nuovo ministro, mentre il breve periodo precedente al di lui arrivo sarà caratterizzato da una diminuita attività e vigilanza da parte della Legazione jugoslava.

Altro elemento a favore di un acceleramento dei tempi è il fatto che i ritardati pagamenti di quote da noi dovute in base agli accordi del 1936 pongono oggi il governo albanese nella critica situazione finanziaria che era necessario creare, ma il protrarre troppo questi versamenti porterà a diffidenza verso la Legazione ed a maggior difficoltà di portare innanzi i contatti segreti.

D'altra parte un tale Uriewicz, ebreo polacco, rappresentante dei Joint Committee for jewis help (rue de Teheran 19, Parigi) ha promesso un aiuto di cento milioni di lire annue al governo albanese contro il diritto di sosta in Albania per diecimila ebrei all'anno. Il progetto è favorito dalla Regina e da Abdur Aman Mati, padrino del Re. Zog si mostra finora incerto, ma la critica situazione finanziata potrebbe spingerlo ad accettare.

La preparazione locale è ormai pressoché compiuta. Essa avrà raggiunto il suo culmine fra un mese circa; dopo di che essa non potrà che regredire per stanchezza degli animi. Le intese coi capi albanesi risalgono alla scorsa primavera e lasciar loro molto tempo a riflettere presenta il pericolo che, assuefattisi all'idea della scomparsa di Zog, essi vengano a sottilizzar troppo su quel che sarà il futuro regime dell'Albania.

Questo pericolo andrà crescendo col tornare in Albania di parecchi fuorusciti nel prossimo mese di aprile in base ad una amnistia recentemente concessa da Zog. I fuorusciti per lo più ardenti nazionalisti e vissuti in ambienti di maggior cultura, favorevoli prima anch'essi all'Unione Reale, accettano ora un Principe italiano come Re d'Albania ed una forma federativa, ma non vorrebbero andar oltre.

Non si è ritenuto di insistere con essi sull'Unione Reale. Telegrammi chiedenti l'annessione e l'Unione Reale vengono invece fatti firmare in Albania per dimostrare poi ai fuorusciti che il Paese nel suo insieme è di diverso avviso e vede un migliore avvenire per il nazionalismo albanese in una più stretta unione all'Italia, ma sarebbe opportuno che i fuorusciti e i loro seguaci in Albania non avessero tempo a far propaganda sul loro programma.

Nello stabilire la data dell'inizio dell'azione è da tener presente che ai primi di aprile è previsto il parto della Regina.

In un mese o quaranta giorni l'azione in Albania può essere pronta. Occorre solo che immediatamente prima del moto si possa disporre della somma totale già richiesta di quindici milioni di franchi oro. Una parte di questa andrebbe distribuita prima (un milione oro già nel mese di febbraio) il resto durante e dopo il movimento. Circa l'impiego di detta somma è da tener presente che, oltre a compensi per le maggiori personalità politiche aderenti all'azione, occorre prevedere un mese o due di stipendio per le bande assoldate.

Oltre al denaro è necessario poter disporre prima dell'inizio del moto di un certo quantitativo di armi per le bande sebbene esse siano già parzialmente armate e sia previsto l'assalto ai depositi militari. Occorrono in via di massima seimila fucili, un migliaio e mezzo di rivoltelle; duecento fucili-mitragliatrici; quattro mitragliatrici; duemila bombe a mano tipo Thevenot; dieci fucili lancia-bombe con relativo munizionamento; seicentomila cartucce per fucile. Naturalmente la distribuzione non avverrà se non appare strettamente necessario. Queste armi dovrebbero tuttavia essere al più presto concentrate in un porto adriatico, per esempio a Taranto per essere trasportate in Albania subito prima del moto o ali' inizio di esso secondo che verrà poi precisato.

A giustificare eventualmente un movimento di motovelieri a questo scopo sarebbe utile autorizzare subito la SO.RI.MA. ad iniziare senz'altro i lavori di ricupero di piroscafi a Valona e San Giovanni di Medua in base alla concessione già ottenuta.

Sarebbe anche necessario che l 'E.I.A.A. ricevesse ordini tassativi di mettersi a disposizione della Legazione per possibili sbarchi di armi a Capo Rodoni.

Per l'eventualità di comunicazioni urgenti o per la convenienza di far fuggire qualche personalità compromessa o di fare entrare in Albania qualche persona cui è vietato l'ingresso nello Stato, sarebbe opportuno poter disporre fin d'ora a Tirana di un aereo a disposizione della Legazione. Occorrerebbe che il pilota fosse persona di massima fiducia.

Per quanto il moto sia essenzialmente previsto come un fatto spontaneo del popolo albanese è necessario prevedere il rapido arrivo in Albania di truppe in parte aerotrasportate. A moto avvenuto sarà opportuno procedere ad una larga assistenza per le bande e le loro famiglie in gran parte poverissime.

172

L'ADDETTO NAVALE A TOKIO, GIORGIS, AL MINISTERO DELLA MARINA

FOGLIO 529. Tokio, 9 febbraio 19391•

Nei miei precedenti rapporti ho riferito sul «Bilancio normale» del Giappone (foglio 514/sM in data 18 gennaio 1939.XVUO) per l'anno fiscale 1939-1940, ed in particolare su quello della Marina (foglio n. 515/sM in data 18 gennaio 1939.XVIJIDf.

Come ebbi allora occasione di dire, tali bilanci debbono essere considerati come parziali dato che il grosso delle spese che lo Stato sostiene per il conflitto in corso, fanno parte di un temporaneo «Bilancio speciale di guerra».

Il diagramma a pagina seguente mostra l'ascesa subita dai due suddetti bilanci (normale e speciale) negli ultimi anni, con speciale riguardo alle spese che in ognuno di essi risultano devoluti all'Esercito ed alla Marina. (Il Bilancio speciale di guerra 1939-40 è ancora allo studio. La cifra riportata nel diagramma, 4600 milioni, è quella generalmente prevista).

II

Si potrebbe forse pensare che il vertiginoso aumento della spesa totale dello Stato giapponese sia in parte dovuto all'inflazione ed in parte ad una maggiore spesa amministrativa. Ciò in realtà non è.

L'inflazione a dire il vero è incipiente ma il governo, per così dire, non la riconosce ufficialmente mentre i l popolo giapponese l'accetta senza richiedere aumenti di salari. (Aumento medio generale dell'ordine del 5%).

Anche le spese amministrative generali dello Stato continuano ad essere mantenute a quel basso livello che è una delle caratteristiche giapponesi. L'apparato burocratico (impianti e personale) continua ad essere quello che è sempre stato: modesto per non dire povero. Ciò del resto è eloquentemente dimostrato dalle cifre. Nell'anno 1936-3 7 (precedente al conflitto cinese) le spese «amministrative» propriamente dette3 dello Stato ammontavano a milioni 568. Le stesse spese, per il 1939/40, sono previste in 955 milioni con un aumento cioè di 388 milioni. Ma di questi, 200 milioni circa sono preventivati per potenziare industria e commercio e per altre assistenze relative allo stato di guerra. L'aumento nelle spese amministrative si riduce perciò a 188 milioni, aumento in realtà minimo (33%) se si pensa che la spesa totale dello Stato è nello stesso periodo salita da 2282 a 8694 (aumento 390%).

III

Quanto precede porta quindi a concludere che l'enorme aumento della spesa generale dello Stato è per la quasi totalità assorbita dalle necessità inerenti al conflitto in atto. Non sarebbe tuttavia esatto concludere addossando senz'altro tale aumento alle sole operazioni belliche in corso.

L'iniziale «Incidente sino-giapponese» si è andato infatti man mano sviluppando e, prendendo forse la mano agli stessi giapponesi, li ha forzati ad uscire dal campo strettamente militare per abbordare l'intero problema della espansione giapponese in Estremo Oriente, della costituzione cioè di un «Nuovo ordine politico in Estremo Oriente».

Tale evoluzione è stata immediatamente registrata dal termometro finanziario. Le spese per le operazioni militari in Cina sono continuamente aumentate dal modesto ammontare richiesto per le operazioni intorno a Shanghai e Pechino (100 milioni votati nel luglio 1937), a quello necessario per distruggere completamente l 'Esercito

di Chiang Kai-shek, inseguendolo nell'interno della Cina, e per fronteggiare la guerriglia alle spalle delle forze operanti a grandi distanze dalle basi costiere (probabilmente 4600 milioni per il 1939/40).

Non solo, ma le nubi russo-anglosassoni, sorte all'orizzonte, hanno imposto al Giappone di aumentare gli armamenti terrestri e navali fino al limite necessario per poter fronteggiare in terra una guerra su due fronti (Russia e Cina) e per poter conservare in mare una potenzialità bellica tale da sconsigliare agli inglesi ed agli americani una ingerenza delle loro flotte in Estremo Oriente. Questi programmi di armamento, per quanto tenuti segreti nei dettagli, sono stati chiaramente annunciati dai Ministri responsabili alla Dieta, sono stati da questa approvati, formano oggetto di incessante propaganda nel Paese e verosimilmente sono già in corso di attuazione.

La cifra stanziata per questi armamenti, costituenti un «Bilancio supplementare 1939/40» è ancora da stabilire. Si parla di un totale di circa 1400 milioni (?) dei quali buona parte per la Marina.

Ma non basta. II Giappone ha perfettamente realizzato che il problema che vuoi risolvere non è solo di carattere militare. Per costituire il «Nuovo Ordine in Estremo Oriente» gli occorre non solo battere Chiang Kai-shek, non solo tenere a bada russi ed anglosassoni, ma anche formare un blocco, a base politica ed economica, tra la Cina rigenerata, il Giappone ed il Manciukuò, tale da resistere agli eventuali ritorni offensivi delle influenze occidentali scacciate e da rendere la costruzione solida e duratura.

Da qui la necessità per il Giappone di assicurarsi lo sfruttamento delle materie prime in Cina e di elevare la sua potenzialità industriale al livello necessario per fornire alla Cina gli impianti, i mezzi di trasporto, i macchinari indispensabili al suo sviluppo economico. Opera in verità grandiosa, chiaramente compresa ed impostata dai giapponesi, e che ha imposto nel campo finanziario un notevole contributo diretto ed indiretto dello Stato a favore del potenziamento industriale del Paese ammontante, insieme con l'assistenza bellica, a circa 200 milioni inseriti nel Bilancio normale.

Aggiungendo infine circa 300 milioni per il pagamento dei debiti pubblici contratti dallo Stato per far fronte alle suddette spese, si arriva alla conclusione che l'attuale crisi costa al Giappone, grosso modo 6.500 milioni di yen annui, portando il bilancio totale dello Stato ad un totale de li'ordine di l Omiliardi di yen.

IV

Il Giappone si trova praticamente solo per far fronte a questo onere finanziario. Nessun aiuto può infatti venirgli dall'estero: le Nazioni plutocratiche sono tutte contro di lui, quelle amiche non sono in condizioni di aiutarlo con prestiti di rilevante entità in denaro o in materiali.

Il Manciukuò è politicamente ed economicamente legato al Giappone. Lo sfruttamento delle sue ricchezze naturali è tutto in funzione delle necessità giapponesi. Ma nel campo finanziario, ben poco il Manciukuò può fare per il Giappone, dato che tutto il margine del suo bilancio è completamente assorbito dallo sforzo che il Manciukuò sta facendo per solidificare la sua struttura statale, per sviluppare le sue indu

strie e per gli apprestamenti militari. Questo degli armamenti militari mancesi, naturalmente antirussi, ed eseguiti secondo i precisi intendimenti dello Stato Maggiore Giapponese, è in realtà il solo aiuto finanziario che il Giappone riceve dal Manciukuò sia pure indirettamente. (Ad esempio, per i campi d'aviazione e le strade militari il Manciukuò ha preventivato per l'anno in corso 30 milioni di yen).

Quanto alla Cina, e cioè a quella parte della Cina già occupata e retta da governi provvisori ligi ai giapponesi, è prematuro parlare di una sua contribuzione alle spese di guerra benché tale argomento sia stato posto recentemente sul tappeto.

In conclusione è lo Stato giapponese che, in modo diretto e completo, sostiene l'onere finanziario della guerra e del programma di espansione.

v

Mi riservo di indicare in un seguente rapporto il modo come il Giappone fa fronte a questo onere.

Per quanto non sia, e tanto meno per il Giappone, il denaro che fa la guerra, è questo uno degli elementi necessari per giudicare la possibilità di resistenza del Giappone ed il suo potenziale bellico, non solo nei riguardi dell'attuale conflitto, ma anche di quelli che eventualmente potessero sorgere in un prossimo avvenire.

Gli avversari del Giappone, incapaci di opporsi alla sua espansione militarmente, è su questa presunta incapacità di resistenza economica che fondano le loro speranze e la loro politica4•

172 1 Il documento fu trasmesso dall'ambasciatore Auriti al ministero degli Esteri con telespresso 292/77 del l o marzo. 2 Non pubblicati.

172 3 Nota del documento: «Intendo per spese "amministrative" quelle che non si riferiscono ai Ministeri Militari, delle Finanze (interessi debiti pubblici) e delle Comunicazioni (che ha Bilancio attivo)».

172 4 Sulle ripercussioni economico-finanziarie dell'azione giapponese in Cina l'addetto navale tornava successivamente con R. 541 del20 marzo. Secondo il comandante Giorgis il Giappone sarebbe stato nella possibilità di sostenere per almeno quattro anni le necessarie spese di guerra per cui si poteva considerare ancora lontana dalla realtà una crisi finanziaria suscettibile di arrestare la marcia espansionistica del Giappone. «Ma nei riguardi della struttura economica di un Paese -faceva presente il comandante Giorgis -vi sono altri interrogativi, ben più importanti che non quelli puramente finanziari, ai quali occorre dare una risposta prima di formulare un giudizio conclusivo sulla sua possibilità di resistenza al logorio economico della guerra. Essi sono, per il Giappone, essenzialmente due: l 0 ) può il Giappone continuare ad avere disponibilità di viveri e di materie prime sufficienti per la guerra, anche in caso di assedio economico (sanzioni), o semplicemente di boicottaggio economico, da parte dei suoi avversari? Cioè, in una parola, è il Giappone sufficientemente "autarchico"? 2°) Ammesso che il Giappone sia costretto, sotto la pressione economica, a mutare radicalmente la sua economia di pace in una economia di assedio, ha esso una struttura politico-sociale tale che gli permetta di risolvere tutti i problemi connessi a tale profonda trasformazione senza che si creino scosse e squilibri distributivi tali da minare dall'interno la forza di resistenza del suo popolo?».

173

L'AMBASCIATORE A SALAMANCA, VIOLA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 529/12 R. San Sebastiano, 10febbraio 1939, ore 1,30 (perv. ore 6, 40).

Secondo informazioni che ho fatto preliminarmente assumere a questo ministero degli Affari Esteri ed a rettifica di qualsiasi diversa notizia ed interpretazione di stampa, confermo che visita del senatore Bérard1 ha avuto scopo puramente esplorativo.

Avendo egli parlato a Burgos di uno scambio di Agenti, gli è stato fatto presente che condizioni richieste per ripresa dei rapporti normali fra i due Paesi erano le seguenti:

l) riconoscimento de jure. Franco nomina rappresentante diplomatico regolare accreditato; 2) restituzione al governo Nazionale d eli' oro depositato dal Banco di Spagna in Francia e del materiale di guerra colà trasportato in seguito esodo milizie rosse; 3) sequestro preliminare dei depositi effettuati dai rossi in banche francesi all'inizio della guerra civile in attesa che siano accertate loro provenienze; 4) restituzione navi spagnole esistenti nei porti francesi.

Accoglienze fatte a Bérard non hanno sorpassato normali cortesie verso l'ospite di riguardo, considerando anche le numerose amicizie personali da lui godute in questo Paese e sua preminente posizione politica in Francia.

174

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 539/51 R. Londra, 10jebbraio 1939, ore 20,55 (perv. ore 1,55 dell'll).

Vittoria Franco e annientamento rossi di Catalogna hanno determinato, come era previsto, in tutta l'opinione pubblica inglese il più rapido e spettacoloso voltafaccia. Come sempre, l'Inghilterra dopo la sconfitta subìta corre a ingraziarsi il vincitore.

Questa subitanea trasformazione si è operata nel corso di pochissimi giorni.

Gli inglesi già si preparavano, sebbene a malincuore, ali 'idea di aver da fare con una Spagna Nazionale, ma erano ancora percorsi dagli ultimi sussulti dell'endoisterismo in favore antifascisti spagnoli. Al mio ritorno da Roma, avantieri, ho trovato un coro unanime e grottesco di lodi a Franco, di ansiose raccomandazioni al governo

britannico e al governo francese di riconoscere Franco de jure e accordarsi con lui, di calde insistenze ai «vecchi amici» rossi, Negrin e Miaja, di arrendersi a Franco e risparmiare così un inutile spargimento di sangue. Il coro si estende a tutti i giornali, a tutti i settori dell'ambiente politico e parlamentare inglese; e uomini e organi di estrema sinistra, che fino a ieri avevano vociferato contro il «ribelle» Franco e lo qualificavano «bandito prezzolato» e «traditore del suo Paese», sono stati i primi a mettersi in riga e con una stupefacente disinvoltura invocano oggi Franco pacificatore della Spagna.

Non mancano naturalmente qua e là le punte contro l'Italia e la Germania, le lusinghe e promesse di credito e aiuti finanziari, le puerili grottesche illusioni di poter staccare ali 'ultimo momento Spagna Nazionale dalle Potenze d eli' Asse alle quali esclusivamente essa deve il suo trionfo.

Ma questi in buona parte sono i soliti immancabili ingredienti della politica interna inglese, che servono a coprire la spudorata piroetta degli ultimi giorni, contrabbandandola, sia in veste umana, che in veste di premurosa ipocrita sollecitudine verso l'indipendenza spagnola.

Tutto questo non riesce nascondere sconfitta ancora una volta subìta dalla democrazia britannica.

173 1 Sulla prima missione del senatore Bérard a Burgos si veda il D. 141 e i documenti indicati ibid., nota 3.

175

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. URGENTISSIMO 545/66 R. Berlino, llfebbraio 1939. ore 15,30 (perv. ore 17,1 0).

Mio telegramma n. 60 del 9 corrente 1•

Ho veduto stamane -in presenza di Weizsacker -il Sottosegretario di Stato Keppler, specialista per le questioni economiche al ministero degli Affari Esteri del Reich, da cui promanava nota massima segretezza rispetto petroli albanesi.

La cosa si riduce a ben poco.

Come è noto, il Fiihrer ha regalato al Re Zog per le sue nozze una automobile Daimler-Benz. Quest'automobile è stata portata in Albania da un direttore della fabbrica. Nelle conversazioni più o meno gratulatorie seguite all'atto della consegna qualcuno, da parte albanese, ha fatto presente al professore Benz che forse vi sarebbe stata la possibilità di trovare in Albania nuove sorgenti petrolifere e domandava se ciò avesse potuto interessare Germania.

Ciò fu riferito al Sottosegretario di Stato Keppler il quale, dopo aver preliminarmente osservato che--in ogni caso-nulla sarebbe stato possibile in materia senza consenso dell'Italia, a sua volta ne riferì l'altro giorno al Comitato dei capi servizio

che si riunisce ogni giorno al ministero degli Affari Esteri tedesco sotto la presidenza del Segretario di Stato per gli Affari Esteri.

Questi, appena sentito trattarsi di una questione albanese, ha subito dichiarato che ne avrebbe parlato a me, cosa che ha fatto -con un senso, sia di perfetta lealtà all'Asse, sia di pieno riconoscimento della specialità della nostra situazione in Albania -il giorno stesso.

Stamane egli era quindi rimasto sinceramente dispiaciuto di vedere, attraverso il dispaccio inviato da Mackensen, che il suo atto di premura per l'Italia avesse invece potuto essere interpretato come una manifestazione di poco riguardo per i nostri interessi in Albania.

Ho creduto mio dovere di lealtà di rassicurare, al cento per cento, Weizsacker su questo punto, aggiungendo essere assolutamente sicuro di interpretare in ciò anche i sentimenti dell'E.V. È inutile dire che l'approccio albanese si intende con questo come senz'altro posto nel nulla.

175 1 Vedi D. 168.

176

L'AMBASCIATORE A SALAMANCA, VIOLA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 582/019 R. San Sebastiano, 11 febbraio 1939 (perv. i/14). Mio telegramma filo n. 121•

Circa la missione Bérard il generale Jordana mi ha ripetuto oggi con assoluta chiarezza che le condizioni da lui indicate al senatore Bérard, a nome del governo Nazionale, per lo stabilimento di relazioni normali, cioè diplomatiche, con la Francia, sono quelle riassunte nei quattro punti di cui al mio telegramma sopracitato. Ha aggiunto, anzi, che la Spagna esige anche la restituzione del naviglio mercantile e peschereccio che travasi in acque francesi. Per darmi poi un idea della distanza che corre fra le proposte portate da Bérard e le condizioni poste da Burgos, il generale Jordana mi ha riferito che il messaggero francese ha cominciato col proporre un semplice scambio di Agenti, chiedendo dal governo Nazionale assicurazioni contro l'eventualità di concessioni non solo territoriali ma altresì di preferenze di ordine politico ed economico a favore di «altri Stati». Al che Jordana si sarebbe limitato -per cortesia-a domandargli se intendeva scherzare.

Comunque, questo ministro degli Esteri mi assicura che Bérard, lasciando la Spagna, era ormai ben convinto che non era il caso di venire a Burgos a porre delle condizioni ma che la realtà della situazione era precisamente l'inversa.

Jordana si rende conto che Parigi non potrà facilmente, né in breve tempo, definire il suo atteggiamento sulla base delle risultanze della missione Bérard. Difat

ti egli non ha avuto, a tutt'oggi, notizia che il predetto senatore si disponga a fare ritorno a Burgos.

Nel Consiglio dei ministri tenutosi ieri a Saragozza, sotto la presidenza di Franco, sarebbe prevalsa l'idea di tener duro sulle condizioni poste per la ripresa delle relazioni diplomatiche prevedendosi che, una volta ristabiliti i rapporti, la Francia troverebbe modo di eludere o quanto meno di trascinare all'infinito-coll'ausilio di vari espedienti fomiti dall'armamentario giuridico-internazionale -la soluzione delle questioni relative alla restituzione dei vari beni spagnoli che indebitamente detiene.

176 1 Vedi D. 173.

177

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. SEGRETO 1201/352. Berlino, 11 febbraio 19391•

Il R. Addetto Militare Generale Marras mi riferisce di avere raccolto sull'attuale momento politico le seguenti impressioni di questo Stato Maggiore:

l) La Germania non affronterebbe volentieri n eli' anno in corso una guerra contro Francia e Inghilterra.

2) L'Italia potrà forse ottenere dalla Francia facilitazioni per il porto di Gibuti e per il canale di Suez, e concessioni nei riguardi dello statuto degli Italiani della Tunisia. Le trattative al riguardo potrebbero svolgersi soltanto dopo regolata la questione spagnola. Nessuna cessione territoriale potrà attenersi dalla Francia senza una guerra ma lo Stato Maggiore tedesco ha l'impressione che l'Italia non pensi a provocare una guerra.

3) Il cambiamento di governo verificatosi in Jugoslavia non è favorevole ali' Asse. Il rovesciamento di Stojadinovié è stato provocato dalle grandi Potenze democratiche, le quali devono avere agito anche con mezzi finanziari.

4) l risultati del viaggio di von Ribbentrop a Varsavia2 sono stati piuttosto scarsi; è stata semplicemente evitata una tensione che stava delineandosi. La Polonia viene tuttora considerata come elemento non sicuro nei riguardi della Germania3•

177 1 Manca l'indicazione della data di arrivo. 2 Del 25-27 gennaio. Vedi D. 113, nota l. 3 Il documento ha il visto di Mussolini.

178

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 1205/356. Berlino, llfebbraio 1939 (perv. i/14).

Ho visto oggi il signor Lugosianu, già ministro di Romania in Italia, che si trova qui per qualche giorno insieme alla sua signora.

Egli mi ha comunicato che il governo romeno ha deciso, visto il ritorno a Bucarest del signor Fabricius, di rinviare subito a Berlino un ministro proprio, nella persona dell'ex ministro a Praga. Questi, che sarà qui il 15 corrente, si ripete che rimarrà a Berlino per qualche mese per poi passare probabilmente ambasciatore ad Atene. Si spera ch'egli possa in questo breve tempo «normalizzare» la situazione.

Il signor Lugosianu mi ha detto che nelle conversazioni avute qui, specialmente con esponenti governativi del mondo economico, non gli è stato taciuto quali siano i piani della Germania nei riguardi dei Paesi dell'Oriente europeo. La Germania, si dice, ha bisogno di uno «spazio vitale». Essa deve divenire una unità economicamente completa come l'Impero britannico o gli Stati Uniti d'America. Orbene, questo spazio vitale la Germania lo può trovare solamente nei Paesi dell 'Oriente balcanico, i quali alla loro volta avrebbero interesse ad un'unione economica con la Germania nella complementarità della loro produzione. Si tratterebbe, naturalmente, di una unità economica di fatto e non implicante menomazioni di nessuna natura.

Lugosianu commentava che tutto questo è assai bello ma che non è detto che dall'unità economica la Germania un giorno non passerebbe poi a quella politica.

179

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

LETTERA 01210. Berlino, li febbraio 1939 (perv. il 15).

Ti ho comunicato questa mane con telegramma ufticiale 1 tutte le notizie che ho potuto avere circa gli approcci albanesi in materia di oli minerali.

Come Ti ho detto nel telegramma stesso, ho trovato Weizsacker molto rammaricato della interpretazione data al suo gesto. In sostanza. egli era preoccupato che. sia Ribbentrop. sia specialmente il Ftihrer vedendo il telegramma di Mackensen senza

conoscere i precedenti credessero ch'egli avesse fatto chi sa che in misconoscimento dell'Asse e della nostra situazione speciale in Albania.

L'ho rassicurato per parte mia dicendogli che avrei chiarito le cose anche con Ribbentrop. Egli effettivamente ha agito lealmente; se la cosa-piccola o no -è venuta a galla, è stato proprio per merito suo, della sua lealtà e della sua comprensione dei nostri interessi. Gradirei però potergli dire una parola in questo senso anche da parte Tua.

Ciò premesso, tuttavia, Ti dico che io sono lietissimo che Tu abbia parlato a Mackensen chiaro e netto. Era opportuno che una volta o l'altra certe verità fossero dette.

Di seguito a quanto ti ho comunicato con mia di ieri2 , posso aggiungerTi che altre fonti da me opportunamente sondate in merito alla presenza qui del Generale Sereggi non me l'hanno confermata. Non manco tuttavia di continuare le indagini3 .

179 1 Vedi D. 175.

180

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 635/02 R. Londra, 13 febbraio 19 3 9 (perv. il 17).

Come V.E. avrà potuto rilevare dalle mie segnalazioni stampa degli ultimi giorni, l'occupazione giapponese dell'isola di Hainan ha fatto oggetto in questi circoli politici di animatissimi commenti e di malcelate preoccupazioni. Non è infatti sfuggito a questi osservatori il carattere critico che la nuova fase del conflitto cino-giapponese va assumendo nei riguardi, tanto degli interessi imperiali britannici in Estremo Oriente, quanto di quelli della associata Francia, che avevano già subìto negli ultimi due anni perdite così severe in quel settore.

Questa opinione pubblica, che il grande allarme «continentale» dello scorso settembre e i successivi sviluppi della crisi spagnola e mediterranea avevano distolto in gran parte da preoccupazioni più lontane, viene ora di nuovo costretta dalla realtà dei fatti a considerare i suoi interessi orientali, gravemente minacciati dalla nuova tappa raggiunta dall'avanzata giapponese.

Mentre non si manca di elevare ancora una volta contro il fatto irrevocabilmente compiuto il solito fragile castello costituito da vecchi trattati e da impegni ormai superati, si sottolinea con trasparente amarezza e chiara preoccupazione l'importanza degli allestimenti militari già in atto ad Hainan per opera delle truppe giapponesi di occupazione, e la «ambiguità» delle dichiarazioni con cui a Tokio si sarebbe venuti anticipando quella che sarà la risposta ai preannunziati passi francese ed inglese.

3 Il documento ha il visto di Mussolini.

Sintomatica è anche la correlazione che viene da più parti additata tra i progressi dell'azione di conquista giapponese in Estremo Oriente e lo sviluppo della situazione politica in Mediterraneo, dominata dalle rivendicazioni italiane nei riguardi della Francia e dalla definitiva vittoria del governo nazionalista in Spagna.

Preoccupazione e perplessità, di fronte ai rapidi sviluppi della situazione e alla temuta possibilità di una politica concertata tra Roma, Berlino e Tokio, sembrano caratterizzare l'odierno atteggiamento britannico nei riguardi dell'attuale fase del conflitto cino-giapponese, atteggiamento di cui non mancherò di seguire attentamente e di segnalare a V.E. gli ulteriori sviluppi.

179 2 Vedi D. 157, nota 2.

181

IL MINISTRO A PRAGA, FRANSONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. RISERVATO 327/260. Praga, 13 febbraio 19391•

Con telegramma per corriere n. 01 del24 gennaio u.s. 2 ho riferito all'Eccellenza Vostra sui colloqui che questo ministro degli Affari Esteri aveva avuto a Berlino tre giorni prima, secondo quanto lo stesso Chvalkovsky, circa quei colloqui, mi aveva spontaneamente narrato. Alla distanza di qualche settimana da quel viaggio, sembrami ora utile gettare uno sguardo sulla situazione di questo Paese, considerandola appunto attraverso le cause ed i primi effetti delle conversazioni berlinesi.

Come si è potuto desumere dalle cose dettemi da Chvalkovsky e dalla conclusione cui egli arrivò nella nostra conversazione, non vi è dubbio che il ministro degli Esteri ceco-slovacco lasciò la capitale del Reich con l'animo trepidante per i problemi di fronte ai quali il suo governo ed il suo Paese venivano ormai a trovarsi. L'incaricato d'affari di Germania3 parlandomi a sua volta, come ho riferito, dei colloqui di Berlino, pur tacendo cose essenziali che avrebbero potuto maggiormente giustificare la sua osservazione, ebbe a dirmi che il Chvalkovsky «non poteva essere ritornato da Berlino molto soddisfatto».

In miei precedenti rapporti ho spesso fatto parola della volontà che uomini politici e stampa di questo Paese esprimono in favore di una stretta collaborazione in ogni campo e della fedeltà politica verso la Germania, come impone, sogliono ripetere, l'esemplare esperienza culminata nella crisi del settembre scorso. Ho anche a suo tempo riferito che, subito dopo gli accordi di Monaco, l'opinione pubblica di questo Paese, nella reazione determinata altresì dalla condotta degli alleati ed amici democratici, aveva bruscamente girato il timone verso la Germania che, nemica prima, è stata poi esaltata come indispensabile amica e protettrice di questo

2 Vedi D. 94.

3 Andor Hencke.

Paese. Quell'entusiasmo, d'occasione e di primo impulso nei più, si è andato però affievolendo? Bisogna, in realtà, dire di sì. Questo popolo non ha mai avuto simpatie molto spiccate per i Tedeschi e se in un certo momento anche l'ostilità concepita durante la recente vita nazionale ha potuto essere dimenticata per forza di cose e contrasto di sentimenti, la vera natura dei rapporti tra i due popoli riaffiora oggi prudentemente, cautamente, ma incontestabilmente. Fatti come quelli del settembre scorso non possono risolversi in un giorno, specie dal lato morale e psicologico, e mutevoli possono esserne le fasi di assestamento. Dopo il 30 settembre u.s., forte fu il dolore per la sorte subìta ed incommensurabile il dispetto e l'irritazione dei ceki verso coloro che a tale passo li avevano condotti. L'incontestabile vittoria degli Stati totalitari di fronte all'ignavia-si è qui apertamente detto -delle grandi democrazie, determinò, conseguentemente, quell'orientazione del popolo cecoslovacco che nella Germania -prima e maggiore interessata -vide il prestigio politico e militare ed ormai pure l'arbitra delle sorti future di questo Paese. Ma molti, se non proprio tutti, speravano in quel periodo che, passata la raffica, si sarebbero potuti raccogliere i panni all'asciutto rimanendo padroni della propria capanna. Questa sicurezza, nell'animo del pubblico, non vi è più; e sorgendo diffidenza sui veri intendimenti e sugli ultimi scopi che -a torto o a ragione -vengono attribuiti a Berlino nei riguardi della Cecoslovacchia, cova nell'intimo di questa gente un sentimento che fa pensare parecchio al passato.

È opportuno a questo punto esaminare, sia pure in modo breve e sommario, gli elementi di questa situazione.

I primi motivi di diffidenza trassero origine dalla estensione data, da parte della Germania, alla quinta zona di occupazione, di cui agli Accordi di Monaco. L'inesorabilità del Reich in quella circostanza. mentre costituiva una affermazione precisa della volontà tedesca di regolare le cose esclusivamente a proprio modo e comodo. generava di conseguenza qui. o rafforzava. il sospetto che al di là della liberazione dei Sudeti la Germania volesse ridurre a propria discrezione le restanti regioni cecoslovacche. Nelle difficoltà che per il regolamento delle questioni nazionali con gli altri Stati confinanti la Cecoslovacchia ebbe ad affrontare, la preoccupazione della minaccia germanica parve a volte attutita dalle necessità del momento, a volte lo stesso interesse tedesco parve giuocare a favore di Praga. Ma se in tali circostanze vi fu da parte ceca qualche alternativa di dubbi e di speranze, la pressione tedesca non rallentò però il suo ritmo così nel campo politico come in quello economico. Il mercato cecoslovacco, nelle condizioni in cui era stato ridotto, fu subito dominato da quello germanico, e per le necessità economiche naturalmente emerse dalla nuova situazione o provocate, e per la soggezione dei trasporti nei traffici internazionali. Politicamente ogni consiglio o desiderio di Berlino fu un ordine e consigli di tale natura non si fecero attendere in nessun campo dell'attività statale. Si osserva maliziosamente da qualcuno che anche i .... confini ad est sono stati tracciati per mezzo dell'autostrada extraterritoriale, Breslavia-Brno-Vienna. confini. s'intende. non tra la Cecoslovacchia ed il Reich. ma futuri confini centro-orientali della Grande Germania. Le richieste fatte a Chvalkovsky a Berlino il 21 gennaio scorso. come ho riferito. e che nei fatti che si vanno qui succedendo trovano piena conferma. parlano chiaramente un proprio e significativo linguaggio. Dirò come a me sembrino pienamente giustificate talune richieste ed esigenze tedesche; ma appunto perché tali richieste

sono state fatte e sono giustificabili, i timori ceki di una sempre maggiore soggezione alla Germania la cui natura potrebbe un giorno non trovare termini di definizione nel linguaggio di due Stati liberi ed indipendenti, potrebbero in realtà ritenersi altrettanto seri e giustificabili.

Se Versaglia inventò a suo tempo una Cecoslovacchia la cui funzione e la cui stessa esistenza politica non potevano essere giustificate, o mal giustificate, che da fallaci calcoli di egemonia altrui o da reali sentimenti di paura, la Cecoslovacchia di oggi non sembra, tuttavia, da vari punti, la correzione felice o definitiva di quel primo errore. Politicamente ed economicamente. per quello che ha subìto e si prepara a subire. il gruppo dei cosiddetti «Paesi storici» (la Boemia con la Slesia e la Moravia). appare ormai talmente scosso nella sua efficienza statale da non dare molto affidamento di resistenza e vitalità. Questa resistenza appare ancor più problematica quando si considera l'appendice fastidiosa e costosa della formazione statale, rappresentata dalla Slovacchia e dalla Russia Subcarpatica. La serietà storica consentirà per molto tempo ancora un governo autonomo della Slovacchia ed un altro della Rutenia, così come oggi essi vogliono o s'illudono di funzionare? Non voglio entrare in un campo troppo pantano so ed incerto di supposizioni ed ipotesi sull'avvenire di questo settore europeo; ma !imitandomi al più ristretto e modesto orizzonte credo di poter affermare che, come soluzione minima ed indispensabile, debbasi prevedere quella -non volendo considerare, ripeto, eventi di altra portata -di una ripresa di effettivo controllo da parte di Praga sulle due predette regioni che, etnicamente a sé come e quanto si voglia, non hanno però oggi possibilità economica, intellettuale, organizzativa, preparazione di nessun genere per governarsi in forma autonoma. Ne hanno solo la pericolosa presuntuosaggine.

Dopo quanto precede, mi sia consentito di ritornare sulle richieste tedesche, nell'intento di prospettare le posizioni delle due parti, come da qui si vedono, in relazione appunto ai colloqui di Berlino.

Ho anticipato che talune di dette richieste mi sembrano giustificabili, in quanto si riferiscono e contemplano stati di fatto esistenti. Ha la Germania il diritto di occuparsi della politica interna di questo Stato? Se così è, a qualsiasi titolo o sotto qualsiasi forma che non credo debba io qui discutere, bisogna riconoscere che sono giustificatissime le rampogne mosse a Chvalkovsky e .... i consigli categoricamente datigli per la rapida soluzione, per esempio, del problema riguardante gli ebrei ed il partito dell'ex presidente Benes. Nonostante gli sforzi fatti specialmente dal ministro Chvalkovsky. cui bisogna riconoscere molta buona volontà. le amministrazioni ed uffici statali conservano tuttora. al centro e nella provincia. abbondantemente i quadri del vecchio partito di governo. Lo spirito benesiano che è penetrato. come sottile veleno. durante venti anni. nella formazione ed educazione di questo popolo ha bisogno di rimedi drastici per essere distrutto e la sua presenza si sente ancora oggi. sorniona. un po' dappertutto. È una constatazione che può fare chiunque abbia una certa frequenza di contatti col mondo degli affari e degli uffici. Io stesso ho dovuto farlo rilevare spesse volte, per ragioni del mio ufficio, al ministro degli Esteri. Questa gente lavora come può e dove può contro il nuovo ordine di cose e naturalmente contro il governo per quello che questo rappresenta o afferma di rappresentare. Sono mondi di sospetto gli stessi membri del governo? Sarebbe delicata una tale disamina; ma se a questo proposito spesso ricorre il nome del Generale Syrovy, ministro della Guerra, e quello di altri ministri, come parimenti viene segnalato il Capo dell'Esercito, devo ritenere che le indicazioni non sono calunnie dal momento, per esempio, che persona bene al corrente della situazione mi confidava giorni or sono, che. dopo la visita di Berlino. è stato deciso l'allontanamento. con i dovuti riguardi di tempo e di forma. del Generale Syrovy e del Capo dell'Esercito. Ma occorrerà forse, e se ne sussurra già, un largo rimpasto dell'infida compagine ministeriale.

Tutta la banda di marca benesiana tiene la mano aspettando di poter giuocare la buona carta, e segue la partita in combutta con l'elemento ebraico col quale moralmente e politicamente si mescola e si confonde. Il giuoco è serrato, almeno nei desideri. Si punta, in folle speranza, su un conflitto europeo che dovrebbe determinare la sconfitta degli Stati totalitari ... ; di là il paradiso per le democrazie, la rivincita del mondo demo-massonico-giudaico; e Benes poi alla testa sfilando vittorioso sotto l'arco di trionfo. Si parla altresì della solita inevitabile catastrofe finanziaria della Germania. Sul lavoro di Jan Masaryk e adesso anche di Benes negli Stati Uniti molto affidamento si fa e pare per ora certo che in vari modi perviene qui dall'America abbondante propaganda antitotalitaria.

Da quando Chvalkovsky è tornato da Berlino, la macchina statale ha assunto un ritmo più celere verso i provvedimenti chiesti dal Reich, come con altri miei rapporti vado segnalando. Ma un freno, per quanto riguarda le misure antigiudaiche, è posto dal Presidente Hacha che trova contrario ai suoi principi e alla sua coscienza di giurista quanto ricorda le leggi di Norimberga. Molti particolari provvedimenti, di fronte all'ostinatezza del Presidente, in materia, pare infatti che abbiano dovuto essere presi in via amministrativa e con speciali cautele. Ma la strada da percorrere è ancora lunga e difficile, se il governo, il cui peso, tra l'altro, grava quasi esclusivamente sulla persona dell'attuale ministro degli Esteri, incontra, come ho accennato nel mio sucitato telecorriere, le più serie difficoltà per la sostituzione nei vari posti delle persone comunque infide e sospette, mentre d'altra parte ad esso pare che l'economia del Paese, già compromessa dalla stessa Germania, potrebbe ricevere danni irreparabili dall'allontanamento brusco e su vasta scala dell'elemento ebraico che finora ha avuto grande parte, e spesso essenziale, nella vita degli affari della Cecoslovacchia.

Il quadro che precede non sarebbe completo se non ricordassi che il secondo partito ufficialmente autorizzato ed operante in Cecoslovacchia, detto «partito nazionale del lavoro», raccoglie tutti coloro che aspettano e fremono. Non consta, tuttavia, che nella sede sociale vi sia anche il ritratto di Benes! Che non mancherà, però, nelle logge attualmente a porte socchiuse. Evidentemente, se il governo attuale di Praga è una cosa seria, non è di certo però un esempio di energia. Non si dimentichi che la stessa capitale è ancora amministrata dal famigerato amico di Benes, il molto onorabile compagno Zenkl.

Dunque sono fondati i rimproveri ed il malumore di Berlino. Ma consideriamo altresì l'altro lato della medaglia.

Un giorno mi diceva. scherzando, Chvalkovsky «sapete, io sono come la befana. tutti vengono a chiedermi qualche cosa. nessuno non mi dà nulla». La Cecoslovacchia si è trovata dopo Monaco e dopo il resto, come tutti sappiamo. La Germania e gli altri hanno voluto ottenere quanto giustamente consideravano di loro diritto, e nulla di meno. In qualche caso è parso anche che si fosse chiesto lo staio con la sopra-misura. Da vedere quali e quanti siano questi casi.

Che la Cecoslovacchia debba mettersi rapidamente ed esattamente in linea non vi ha dubbio. Che per ragioni storiche, per motivi politici, economici e sociali, questa gente abbia bisogno di qualche buon spintone per raggiungere il proprio posto nelle file, come la recluta un po' pigra, è anche fuori di dubbio. Ma potrebbe sorgere il dubbio se questo popolo e questo governo, o almeno chi fra essi è in buona fede, più che colpevoli non siano colpiti da un certo senso di scoraggiamento o di passivo fatalismo di fronte ad un avvenire visto sempre più incerto attraverso lo svolgersi della politica, dagli accordi di Monaco in qua. Che garanzie specifiche di sicurezza o assicurazioni in genere per la vita dello Stato siano date alla Cecoslovacchia quando essa avrà dimostrato di meritarle con la saggia sua condotta, o che non piuttosto una conseguita tranquillità di esistenza possa favorire la saggezza politica, sono queste alternative e considerazioni ugualmente sostenibili, in principio, ed ugualmente valevoli. Oggi sta di fatto, a ogni modo, che una crisi di fiducia si è qui determinata e si va aggravando. La propaganda ebraico-benesiana è sempre evidentemente disposta a soffiare nel fuoco e la situazione che potrebbe diventare fastidiosa non potrà essere dominata che da un governo forte che tale non potrà essere se non messo in condizione di prestigio anche da chi ne ha, fuori della Cecoslovacchia, interesse. Ma come in realtà guardano alla nuova Cecoslovacchia i governi esteri maggiormente interessati? Così non dura, si sente qui ripetere. Da due fonti diverse. ed autorevoli entrambe. ho sentito lo stesso racconto di sogni molto estivi. fatti in pieno inverno: ridare vita ad una nuova Austria-Ungheria: questa volta una Ceco-Ungaro-Romania. o ad un dipresso così. E se no. mi diceva uno dei due. deputato della maggioranza. non resta che acconciarsi. preferire anzi alle condizioni attuali. l'autonomia nell'ambito dello Stato germanico. Con l'annessione dei Sudeti, aggiungeva il mio interlocutore, l'economia del Reich non ci ha guadagnato, la Cecoslovacchia ci ha certamente perduto perché le due regioni si completavano insieme. Potrebbe Berlino riunirle di nuovo costituendo, secondo un'idea già altra volta sorta, un 'unica regione autonoma nei confini del Reich.

La seconda Repubblica non si sente evidentemente forte neppure nel cuore dei suoi uomini di governo. E non è forte 4 .

181 1 Manca l'indicazione della data di arrivo.

181 4 Il documento ha il visto di Mussolini

182

IL MINISTRO A BELGRADO, INDELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 588/27 R. Belgrado, 14febbraio 1939, ore 22,25 (perv. ore 24).

Nuovo ministro degli Affari Esteri Cincar-Markovié giunto a Belgrado ha chiesto oggi di vedermi.

Mi ha detto di ritenere che V.E. sia stato già messo al corrente dall'ambasciatore Attolico1 , col quale egli si è mantenuto costantemente in contatto nei giorni precedenti la sua partenza da Berlino, degli intendimenti coi quali egli si propone di agire a Belgrado.

Mi ha categoricamente confermato che crisi, determinata esclusivamente da motivi di carattere interno, ha lasciato del tutto inalterate le basi della politica estera jugoslava posta da Stojadinovié con generale consenso. È del resto convinto e non da ora che Jugoslavia non può necessariamente orientarsi verso le due grandi Potenze confinanti. Spera che gli faremo credito per poterei praticamente dimostrare tali sue direttive.

Si prepara a partire per Bucarest ben compreso dell'opportunità di adoperarsi affinché la situazione non continui ad ostacolare un utile miglioramento dei rapporti ungaro-jugoslavi. Del resto Andrié lo accompagnerà. In complesso la prima impressione che ho avuto del nuovo ministro è di persona ponderata, di vedute chiare e di volontà matura col quale deve essere possibile intendersi.

183

L'AMBASCIATORE A SALAMANCA, VIOLA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. S.N.D. PER CORRIERE 634/021 R. San Sebastiano, 14 febbraio 1939 (perv. il 17). Telegramma di V.E. n. 361•

Questo ambasciatore di Germania mi riferisce che è stato raggiunto il completo accordo sul noto patto ispano-tedesco e che perciò la firma ne è imminente.

Sarebbe stato però convenuto di non rendere pubblica per ora la conclusione del Patto. In queste condizioni, esso non servirebbe a produrre gli effetti di cui all'ultimo capoverso del telegramma in riferimento.

182 1 Vedi D. 165. 183 1 Vedi D. 164, nota l.

184

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, ALL'AMBASCIATORE A SALA MANCA, VIOLA

T. 112/46 R1 . Roma. 15 febbraio 1939, ore 23.

Gradirei sapere quanto è stato ulteriormente fatto per sollecitare adesione Spagna Patto Anticomintem. Anche ieri ho ribadito nostro punto di vista in colloquio con ambasciatore Conde2 . Noi riteniamo che adesione al Patto Tripartito è sotto ogni aspetto più che matura. Conviene agire ancora in tal senso.

185

L'AMBASCIATORE A PARIGI, GUARIGLIA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. l 049/430. Parigi, 15febbraio 1939 1•

Molti giornali danno grande risalto alla falsa posizione nella quale la cosiddetta «politica segreta» di Bonnet avrebbe messo l'ambasciatore di Francia a Berlino.

In seguito ad ordini del Quai d'Orsay, il signor Coulondre smentisce infatti nella stampa tedesca la notizia, riportata dalla Borsenzeitung, secondo la quale il signor Baudouin sarebbe andato a Roma per intavolare trattative sulle rivendicazioni italiane; il....§ig_nor Ribbentrop gli avrebbe allora fatto osservare che la notizia gli era invece stata confermata dal Vice-Presidente del Comitato Francia-Ge1mania. signor de Brinon. persona da anni in contatto con i circoli dirigenti tedeschi 2 .

Anche di tale pettegolezzo si valgono, naturalmente, i giornali interessati per combattere la pretesa politica conciliativa del signor Bonnet3 .

Il documento ha il visto di Mussolini.

186.

L'AMBASCIATORE A PARIGI, GUARIGLIA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 1084/440. Parigi, 15 febbraio 1939 (perv. il 17).

Mio telespresso n. 917/386 dell'8 corrente 1 .

Com'era da prevedersi, la soluzione adottata governo francese per quanto concerne i suoi rapporti con la Spagna nazionale è il forzato risultato delle divergenze manifestate in seno al Consiglio dei Ministri.

Tra coloro che volevano senz'altro l'invio di un ambasciatore e coloro che opinavano non potersi contemporaneamente riconoscere due governi e trovavano mostruoso l'abbandono della Spagna rossa, Daladier ha dovuto prendere una decisione ibrida che non contenta e non scontenta nessuno.

Questi circoli nazionalisti spagnoli, dal canto loro, rimproverano però al Generale Franco di aver accettato una soluzione che non risolve la questione di principio.

La maggior cura del governo francese, e, a quanto risulta da questa stampa, di quello inglese, appare quella di potere, di fronte alle opposizioni di sinistra, crearsi -con le decisioni rispettivamente di Londra e di Parigi -un valido alibi. Resta a vedere fino a qual punto, di fronte a Franco, tale preoccupazione inglese e francese sarà influenzata da quella di non mostrarsi rispettivamente al rimorchio della Francia e dell'Inghilterra.

Per quanto riguarda la Francia, però, data la politica estera non proprio indipendente esplicata da qualche anno a questa parte, non sembra che le preoccupazioni di carattere internazionale possano incidere sensibilmente su quelle di carattere interno.

187.

L'AMBASCIATORE A PARIGI, GUARIGLIA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. SEGRETO 1107/445. Parigi, 15febbraio 19 3 91•

Trasmetto l'unito rapporto di questo R. Addetto Militare che riferisce una conversazione da lui avuta con personalità politica francese a contatto con questo ministero degli Affari Esteri.

187 1 Manca l'indicazione della data di arrivo.

Secondo le notizie riportate dal Generale Visconti Prasca, questi ambienti politico-militari sarebbero favorevoli ad un prolungamento della guerra spagnola come mezzo che dovrebbe servire ad ostacolare gli Stati totalitari nei presunti propositi di porre in modo più definito la questione delle rivendicazioni nazionali e coloniali.

ALLEGATO

L'ADDETTO MILITARE A PARIGI, VISCONTI PRASCA, AL MINISTERO DELLA GUERRA

RAPPORTO SEGRETO 136. Parigi, 15 febbraio 1939.

Secondo una personalità politica francese, al contatto del Ministero degli Affari Esteri, il prolungamento della guerra in !spagna, verrebbe considerato attualmente da vari di questi ambienti politico-militari come un'eventualità vantaggiosa per gli interessi francesi.

Questi ambienti riterrebbero che finché duri la guerra in !spagna gli Stati totalitari siano riluttanti a porre, in modo perentorio, la questione delle loro rivendicazioni coloniali o al tre.

Sarebbe opportuno per la Francia, secondo quelle personalità, di prolungare per quanto è possibile la guerra spagnola facendola durare possibilmente fino all'estate, in modo da portare con trattative l'eventualità di un conflitto verso l'autunno quando lo scoppio delle ostilità sarebbe meno probabile in ragione delle difficoltà incontrate in quella stagione dalle operazioni militari.

Questo atteggiamento francese avrebbe determinato il governo rosso, rifugiatosi in Francia dopo la rotta catalana, a perseverare nella resistenza. Inizialmente vari membri di quel governo sarebbero stati disposti ad interrompere le ostilità, ma la pressione francese li avrebbe indotti a continuare la lotta.

Perciò è probabile che la Francia, anche se riconoscesse il governo franchista, continuerebbe ad aiutare di sottomano quello dei «repubblicani»2 .

184 1 Minuta autografa. 2 Di tale colloquio non è stata trovata documentazione. 185 1 Manca l 'indicazione della data di arrivo. 2 Circa le origini delle indiscrezioni si veda il D. 335.

186 1 Vedi D. 166.

187 2 li documento ha il visto di Mussolini.

188

IL MINISTRO A BELGRADO, INDELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 795/236. Belgrado, 15 febbraio 1939 (perv. i/19).

Mi onoro segnalare alla particolare attenzione dell'Eccellenza Vostra l'acclusa segnalazione del R. Console a Zagabria, a proposito di uno speciale interessamento tedesco alla questione croata, interessamento che, ove divenisse effettivo, sarebbe evidentemente suscettibile di conseguenze vicine e lontane di determinante importanza per questo Paese.

ALLEGATO

IL CONSOLE GENERALE A ZAGABRlA, GOBBI, AL MINISTRO A BELGRADO, INDELLI

TELESPR. 938.

Mentre è apparsa sempre durante il governo Stojadinovié un'attitudine tedesca molto riservata nei riguardi croati, si ha l 'impressione che la questione locale venga ora seguita con particolare interessamento.

Risulta che sono stati, in questi giorni, ricevuti dal dottor Macek due persone, provenienti dalla Germania, sotto veste di giornalisti, le quali hanno avuto col capo croato un lungo colloquio ripartendo immediatamente. Al termine della conversazione il dottor Macek appariva assai soddisfatto.

Ieri sera la Radio Vienna ha diffuso, durante un'ora, una emissione descrittiva e folcloristica sulla Jugoslavia con accenni rapidi su regioni e centri del Paese, soffermandosi in modo essenziale a tratteggiare la regione croata sotto il punto di vista di particolarità locali e specialmente di comuni legami storici.

189

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER TELEFONO 625/63 R. Londra, 16febbraio 1939, ore 20,30.

Rapporto questa ambasciata n. 63/3 7 del 2 gennaio u.s. 1 . Circoli politici britannici, che, sia pure a denti stretti, avevano accolto senza quasi manifestare malumore la decisione del governo del Reich di avvalersi piena

mente di tutti i diritti concessigli dali' Accordo navale anglo-tedesco del 1935 2 , circa il naviglio subacqueo e di incrociatori categoria A, si sono sforzati anche di dare una favorevole interpretazione al discorso del Fiihrer del 14 febbraio3 in occasione del lancio della corazzata Bismarck. Si è qui voluto perfino vedere nel nome della corazzata stessa un auspicio riconfortante e quasi il segno che il Terzo Reich si proponesse di riprendere a questo riguardo la politica del «Cancelliere di Ferro» che apparve allora ispirata al desiderio di raggiungere un possibile accordo navale con l'Inghilterra.

La notizia data ieri al pomeriggio dalla stampa con titoli sensazionali («La sorpresa di Hitler» e simili) della decisione del governo tedesco di allargare circa il doppio il canale di Kiel, è giunta qui a raffreddare queste interpretazioni troppo spinte nel loro ottimismo ed a dare agli inglesi la sensazione precisa delle intenzioni della Germania nazista di crearsi una flotta adeguata alla propria attuale e crescente potenza e alla propria funzione politica mondiale. Oggi, infatti, in questi ambienti politici e parlamentari e particolarmente negli ambienti dell'Ammiragliato è unanime il commento che la decisione del governo del Reich rappresenta un sintomo dei futuri propositi tedeschi di costruire navi superiori alle trentacinquemila tonnellate del Bismarck e delle altre tre navi sorelle già messe o da mettersi in cantiere, riprendendo così quella corsa agli armamenti navali che aveva caratterizzato gli anni precedenti alla guerra europea, e che gli inglesi si illudevano di avere eliminato dal campo delle immediate possibilità.

188 1 Manca l'indicazione della data di partenza e di arrivo.

189 1 Riferiva che la notizia di nuove costruzioni navali tedesche era stata accolta a Londra, dapprima con irritazione, poi con maggiore tranquillità nella convinzione che i progressi del riarmo britannico permettevano di considerare senza troppa preoccupazione il riarmo tedesco e la minaccia dell'arma sottomarina in particolare.

190

IL MINISTRO A BUCAREST, GHIGI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 68l/09 R. Bucarest, 16febbraio 1939 (perv. il 20).

Questo ministro Affari Esteri mi ha detto di essersi reso conto che la Germania non è per il momento favorevole ad una sistemazione dei rapporti della Romania con i Paesi vicini e specialmente con l'Ungheria, sistemazione che nel pensiero del governo romeno a suo tempo espostomi (mio rapporto 73/21 del 4 gennaio 1 e seguenti) avrebbe dovuto aver luogo sotto l'egida dell'Asse Roma-Berlino e particolarmente dell'Italia. Gafencu ha aggiunto che a quanto egli ha compreso, la Germania preferisce mantenere immutata per ora la situazione in questo settore, pur non escludendo in definitiva una sistemazione nel senso accennato.

In tali condizioni, il governo romeno-ha continuato il ministro degli Esteripur conservando la sua nota direttiva e non rinunciando alla speranza di poterla rea

189 è Riferimento al trattato per la limitazione degli armamenti navali del 18 giugno 1935 (testo in MARTENS, vol. XXXI, pp. 3-8). 3 Il testo del discorso, che non conteneva accenni politici di rilievo, è in Relazioni Internazionali, pp. 120-121. 190 1 Vedi D. 9.

lizzare, ritiene opportuno di rallentare i tentativi diretti ad un accordo con l'Ungheria, in attesa di migliorare le relazioni con la Germania e rassicurarla sugli scopi della su accennata direttiva, cosa alla quale sta attualmente dedicandosi.

Gafencu ha concluso dicendo che nel frattempo egli avrebbe persistito tuttavia nella sua linea di condotta conciliante verso Budapest e Sofia, evitando che i giornali romeni rispondano ai frequenti attacchi della stampa di questi due Paesi, e specialmente di quella bulgara, e che soprattutto avrebbe mantenuto in pieno l'atteggiamento di viva simpatia verso l 'Italia, con la quale egli desiderava intanto sviluppare ed accrescere proficue relazioni in tutti i campi.

Come Voi, signor ministro, rileverete, queste dichiarazioni del ministro Gafencu confermano sostanzialmente quanto mi è stato detto dal mio collega di Germania, nelle conversazioni da me riferite coi telegrammi per corriere n. 06 del l o febbraio e

n. 07 del 9 febbraio 2 .

191

IL MINISTRO A TIRANA, JACOMONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

APPUNTO. Tirana, 16febbraio 19 3 91•

Ho avuto ieri una conversazione con Re Zog. Essa si è iniziata da parte mia con una enumerazione di lagnanze per l'attività a noi contraria svolta in questi ultimi tempi dal governo albanese, sia della politica interna che internazionale. Re Zog mi ha dato assicurazione che avrei avuto in tutto piena soddisfazione.

Egli ha quindi iniziato la sua esposizione premettendo che per quanto grande fosse il suo odio per i serbi e profondamente sentita la necessità di salvare dalla distruzione gli

albanesi del Kossovo, egli si era sforzato di non darci alcun fastidio nelle nostre relazioni con la Jugoslavia. Egli aveva anzi ordinato che gli albanesi del Kossovo votassero per Stojadinovié sebbene questi non avesse mantenuto le promesse fatte in occasione delle elezioni e malgrado le offerte allettanti ricevute dai gruppi dell'opposizione. La nostra fiducia nella Jugoslavia non gli appariva giustificata, specie dopo il colloquio avuto col ministro jugoslavo a Tirana nei giorni precedenti al Convegno di Monaco. Il signor Jankovié gli aveva chiaramente detto che la Jugoslavia in caso di guerra sarebbe stata neutrale o nel campo opposto degli Stati totalitari e che quindi sarebbe entrata anch'essa in Albania se questa avesse permesso sbarchi di truppe italiane.

Tuttociò egli mi diceva in relazione alla sorpresa avuta il giorno prima nell'apprendere da persona ufficiale che a Belgrado V.E. aveva offerta la spartizione dell'Albania per un periodo di vent'anni col pretesto della immaturità politica di essa. Gli era stato assicurato che l'accordo non si era concluso per il rifiuto della Jugoslavia. Contemporaneamente da fonte degna di fede egli era stato informato che in Albania si stava preparando un moto rivoluzionario e che gli istigatori di esso, il deputato Koçi e Giro assicuravano eh'esso avrebbe avuto il favore dell'Italia. l due anzi avevano già distribuito denaro che egli valutava a 300.000 franchi. Egli mi pregava di recarmi a Roma per chiarire la situazione con VE. rinnovando le proteste della sua fedeltà, della sua fiducia in V.E. ed esprimendo la convinzione che l'accaduto servisse a chiarire definitivamente i rapporti fra i due Paesi. Nel frattempo, nell'attesa cioè di assicurazioni da parte di VE., egli avrebbe evitato che le notizie surriferite venissero divulgate. lo ho risposto che credevo di poter escludere che da parte di V.E. fossero state fatte a Belgrado proposte come quelle indicate. Forse era possibile il viceversa, che cioè profittando di qualche giustificato malumore dimostrato da VE. nei riguardi dell'Albania qualche offerta del genere fosse stata presentata dalla Jugoslavia. Era anche possibile che si trattasse di un intrigo serbo come egli riteneva fossero intrighi tutte le notizie che gli avevo riferito circa conversazioni del suo governo con l'Inghilterra, la Germania e la Turchia perché esse estendano la loro influenza in Albania e con la Francia per rassicurarla circa un'eventuale neutralità deli'Albania.

Quanto all'attività di Koçi non ne sapevo nulla perché non lo vedevo da mesi, ma la cosa mi sembrava assai strana perché Koçi si era sempre espresso con me in termini di profonda devozione verso di lui. Nei riguardi di Giro conoscevo il suo profondo rancore contro Musa Yuka ed in genere contro tutti i membri del governo che avevano impedita la creazione legale delle Organizzazioni giovanili. Potevo ammettere che Giro avesse cercato di forzar la mano creando di fatto l'organizzazione, potevo ammettere che egli avesse cercato aderenti fra uomini ostili a Musa Yuka, ma non potevo immaginare che Giro avesse tentato di organizzare qualcosa contro lui, Zog. Ciò del resto mi era confermato dal fatto indicatomi dal Re stesso che Giro gli aveva, dopo molti mesi, chiesto udienza due giorni innanzi.

Tutta la conversazione si è svolta in termini della massima cordialità apparente.

Nella giornata di ieri seguivano da parte del Re le manifestazioni le più contraddittorie, segno in lui di grande preoccupazione. Egli faceva mobilitare due battaglioni e stamani, secondo un telegramma dell'addetto militare avrebbe addirittura avuto luogo la mobilitazione generale. Ciò avverrebbe per la prima volta in Albania e starebbe a dimostrare che il Re, già poco sicuro dell'esercito, diffida ora anche delle bande che sa nelle nostre mani. Il deputato Koçi riceveva l'ordine di lasciar l'Albania stamani con l'avvertimento che da oggi la sua vita in Albania non sarebbe stata più sicura.

Il ministro degli Interni richiamava temporaneamente a Tirana il prefetto di Durazzo, Kodali, nostro provato amico e impartiva ordini severissimi in vista «di un progettato sbarco di fuoriusciti con l'appoggio di una potenza estera». Contemporaneamente il Parlamento riceveva ordine di respingere alcuni progetti a noi contrari e contro i quali io avevo protestato. Il generale Sereggi si recava due volte in legazione a chiedermi quali altre lagnanze io avessi per poter subito provvedere, e ringraziarmi da parte del Re della mia decisione di partire subito e a dirmi sempre da parte di Zog, che io dovevo considerarmi come il suo proprio plenipotenziario presso V. E.

Riassunta brevemente la situazione, mi permetto aggiungere alcune considerazioni. Date le misure di sorveglianza che saranno d'ora innanzi attuate, non ritengo sia più possibile, salvo circostanze imprevedibili, che un moto insurrezionale avvenga, come era fin qui previsto, per sola forza del popolo albanese. L'intervento delle truppe italiane che era accessorio nel piano originale, diviene ora essenziale nel senso che, senza la sicurezza di esso, difficilmente i capi potrebbero muovere le loro bande, specie se nel frattempo verrà in parte almeno delusa la fiducia in noi riposta. Quel che sarà sempre possibile è creare torbidi locali profittando anche di operai albanesi e scatenare il moto generale al giungere delle prime truppe. Ove la situazione politica internazionale non permetta di agir subito aggravando la situazione in Albania per averne pretesto a portar truppe a difesa dei nostri interessi e sulla base delle richieste già indirizzate al Duce, mi permetterei di suggerire che convenga portare a Zog ogni possibile assicurazione e garanzia a condizione però che tutta la questione venga soffocata, che non si proceda ad arresti e che si provveda alla immediata smobilitazione. Le assicurazioni dovrebbero comprendere una promessa d'incontro col Duce appena la Regina sia in condizioni di viaggiare e cioè non prima di giugno e il rinnovato versamento sul corrente bilancio dei 500.000 franchi lo scorso anno concessi per il kossovese e che in realtà costituiscono un appannaggio reale.

Nel caso che il Re, contrariamente a quanto mi ha assicurato, si rifiuti di eseguire quanto sopra, è da pensare se non convenga di minacciare una denuncia dell' alleanza in quanto noi non possiamo essere eternamente i correi di un regime così inviso al Paese.

Nell'ipotesi che il Re, nel ricevere le nostre assicurazioni provveda nel senso desiderato, mi permetto ancora chiedere di voler prendere in benevola considerazione l'eventualità di prospettare a Re Zog, la convenienza di iniziare, dopo calmati gli allarmi attuali, conversazioni che conducano alla definitiva chiarificazione della situazione fra i due Paesi nel senso di un rafforzamento dei legami con mutua soddisfazione. Queste conversazioni potrebbero esser condotte a termine ottenendo quanto più è possibile da Zog, nell'ipotesi che le condizioni internazionali non permettano l'allontanamento di lui. Altrimenti si potrebbe da essa far sorgere l'occasione di denuncia dell'alleanza per riprendere lealmente la nostra libertà di azione e servirei apertamente delle richieste di annessione o di unione personale già inviate al Duce2 .

192. NOTA N. 29 DELL'INFORMAZIONE DIPLOMATICA 1

Roma, 16febbraio 1939.

Il chiassoso vociferare che accompagna, in seno alle cosiddette grandi democrazie, il problema del riconoscimento o meno del Governo di Burgos, viene seguito con assoluta tranquillità nei circoli responsabili romani.

Che i franco-inglesi si decidano finalmente a riconoscere il vincitore è perfettamente nella logica delle umane vicende, ma il «modo» col quale procedono -modo che va dalla lusinga alla minaccia -dimostra la loro confusione mentale, nonché una completa ignoranza della psicologia del popolo spagnolo.

I circoli responsabili romani conoscono le linee direttrici della politica di Franco e le necessità ferree di questa politica, poiché ne seguono le fasi dall'inizio della guerra civile.

È in data 27 luglio 1936 che l'Italia rispose al primo appello di Franco (i nostri primi Caduti risalgono a quel giorno) dopo che i franco-russi avevano rifornito i repubblicani.

È in data 18 novembre 1936 che-unitamente alla Germania-l 'Italia ha riconosciuto il Governo di Franco come governo di tutta la Spagna. I franco-inglesi puntavano allora, ed hanno puntato per trenta mesi, come al solito, sul cavallo perdente. Per quanto un ministro inglese abbia tessuto in questi giorni l'apologia dell'ingratitudine fra i popoli, significa ignorare-oltre all'esistente solidarietà degli interessi fra Spagna ed Italia e alle naturali affinità dei due Paesi -anche e soprattutto lo spirito leale, fiero, cavalleresco del popolo spagnolo, per credere che il cameratismo dei campi di battaglia-in terra e in cielo-sia destinato a dissolversi senza traccia.

Quanto ai legionari italiani -poche diecine di migliaia di intrepidi combattenti, che sono stati per tanto tempo l'incubo delle grandi democrazie-essi torneranno in patria non appena Franco farà conoscere che il loro còmpito è finito. Non prima.

È nello stile dell'Italia fascista di marciare con l'amico sino in fondo, qualunque cosa accada.

190 2 Vedi DD. 137 e 170.

191 1 Questo documento fu consegnato personalmente dal ministro Jacomoni che il 16 febbraio si recò a Roma. Nel Diario di Ciano vi è in proposito la seguente annotazione: «L'Albania è inquieta. Un telegramma dell' Add. militare a Tirana ha un po' preoccupato il Duce: diceva che il Re aveva ordinato la mobilitazione parziale e che Jacomoni era partito in volo per Roma. La situazione non è così drammatica: conferisco con Jacomoni che a dire il vero si mostra molto calmo. Ieri ha conferito col Re, il quale, dopo aver ascoltato le sue lagnanze, ha detto di avere qualche cosa a sua volta da dire. A Belgrado si sarebbe parlato di spartizione albanese ma ha citato dei particolari che provano egli essere soltanto parzialmente e imprecisamente informato. Poi ha fatto un cenno alla preparazione di un movimento interno poggiato soprattutto sui fuorusciti: particolare anche questo sostanzialmente falso. Ha citato molti nomi di persone compromesse: tranne quello di Koçi nemmeno esatte. Ha concluso riaffermando la volontà di intendersi con noi ed ha mandato Jacomoni quale suo plenipotenziario per l'accordo. Quando ritèrisco per telefono al Duce, risponde: "Se avessimo già firmato il Patto con Berlino potremmo attaccare subito. Adesso dobbiamo procrastinare". Quindi conferma le istruzioni che io avevo già inviate tre giorni fa a Jacomoni e che si riassumono così: mantenere viva l'agitazione popolare ma non mancare di placare i dubbi di Zog dandogli tutte le assicurazioni che desidera. Intorbidare le acque in modo da impedire che le nostre vere intenzioni siano conosciute». Delle istruzioni inviate precedentemente a Jacomoni, alle quali Ciano fa qui riferimento, non è stata trovata documentazione.

191 2 Il documento ha il visto di Musso lini.

193

L'AMBASCIATORE A SALAMANCA, VIOLA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 644/21 R. San Sebastiano, 17 febbraio 1939, ore 23 (perv. ore 6,35 del 18).

Telegramma di V.E. n. 461• Dopo quanto riferito con mio telegramma n. 92 , questo ambasciatore di Germania ed io siamo rimasti in attesa della promessa convocazione di Franco al Quartiere Generale in Catalogna.

193 1 Vedi D. 184. 2 Vedi D. 154.

In successivi colloqui con Jordana (dei quali l'ultimo ieri), egli non si è dipartito dal noto suo punto di vista e cioè che la Spagna aderirà al Patto Anticomintern, ma che attuale momento non sembra opportuno.

Ieri, alle nostre ripetute sollecitazioni per affrettare nostra intervista con Franco, questo ministro degli Affari Esteri ha risposto che il Generalissimo ci pregava pazientare essendo occupatissimo in questioni militari concernenti ripresa repubblicana.

Per parte mia già da più giorni ho espresso al collega tedesco avviso che dovessimo senz'altro recarci da Franco. Ma von Stohrer dissente dicendomi non avere istruzioni precise di agire su Franco e temendo che ciò possa indisporre Jordana e portarlo a fame una questione di prestigio personale con eventuale ripercussione anche su andamento delle sue imminenti conversazioni con fiduciario francese 3; inoltre questo ambasciatore Germania ritiene non convenga esporci ad esplicita negativa di Franco circa adesione Spagna in questo momento.

Queste considerazioni, che non sono prive di valore, sono state sviluppate in un suo dispaccio diretto oggi da von Stohrer al barone von Weizsacker4•

Nei giorni scorsi io avevo anche intrattenuto confidenzialmente sulla opportunità adesione spagnola al Patto Anticomintern questo ministro dell'Interno, cognato del Generalissimo, che si era dichiarato assolutamente favorevole e mi aveva promesso fare opera persuasione presso Franco e se del caso sollevare questione in Consiglio dei ministri; ora Serrano Sufier mi ha fatto sapere non essere in grado darmi una risposta conclusiva. Ciò fa supporre che suo intervento non abbia ottenuto risultato e che perciò una nostra diretta azione presso Franco non potrebbe trovare accoglienza sostanzialmente diversa da quella avuta presso il suo ministro degli Affari Esteri.

Comunque, io credo non doversi lasciare intentata una immediata azione presso Franco; ma data disparità di opinione con questo ambasciatore di Germania circa modo di procedere e rendendomi conto della minore portata di un passo separato anziché comune e dell'interpretazione a cui potrebbe dar luogo, prima di recarmi dal Generalissimo prego V.E. farmi conoscere suo pensiero circa l'opportunità di una mia azione isolata5 .

192 1 Redatta da Mussolini.

194

L'AMBASCIATORE A PARIGI, GUARIGLIA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 1184/477. Parigi, 17 febbraio 1939 (perv. il 20).

Non ho riferito finora a V.E. sui vari viaggi in Francia dei dirigenti della Spagna rossa, dato che tali spostamenti sono stati abbondantemente segnalati e commentati dai giornali in relazione alla recente evoluzione politica della crisi spagnola.

4 Vedi DDT, vol. lll, D. 738.

5 Con T. 2479/55 P.R. del 18 febbraio, Ciano così rispondeva: «Concordo sull'inopportunità di svolgere un'azione isolata. Prego quindi V. E. di astenersi da ogni passo, riservandosi di procedere d'accordo con collega tedesco non appena questi riceverà istruzioni che verranno nel frattempo concordate tra Roma e Berlino». La minuta è autografa.

Le due tendenze che sono manifestamente affiorate in seno al governo superstite -quella conciliatrice del Presidente Azaìia e quella intransigente di Negrin -si sono ripetutamente contrapposte nei numerosi conciliaboli che hanno avuto luogo nel territorio della Repubblica. Alla prima decisione di resistenza di Negrin non sembra sia estraneo il consenso degli ambienti politici e militari francesi che dall'esistenza, sia pur provvisoria, di una pseudo Spagna repubblicana si sono ripromessi di trarre dei vantaggi -sia per avere lo spunto ad atteggiarsi eventualmente ad arbitri compiacenti tra le due parti, sia come contropartita di negoziati con Franco e sia anche perché si è pensato che in ogni caso e alla peggiore delle ipotesi il prolungamento della guerra spagnola avrebbe intralciato gli Stati autoritari nel proposito di porre concretamente sul tappeto la questione delle rivendicazioni coloniali o nazionali finora lanciate solo in forma indefinita e comunque non perentoria.

D'altra parte, se in un primo tempo influenti circoli politici francesi avevano accarezzato la speranza di poter in poco tempo e con poca spesa risolvere favorevolmente i gravi problemi posti ai due Stati democratici dalla crisi spagnola, gli avvenimenti hanno mostrato agli organi responsabili che la risoluzione del problema presenta difficoltà più ardue che vanno al di là di quelle che già risultano dalla necessità di conciliare le discrepanze di valutazione che esistono non solo in seno all'opinione pubblica e parlamentare, ma in seno allo stesso governo responsabile. I risultati sostanzialmente inconclusivi della prima missione Bérard, e da ultimo gli incidenti del Devonshire1 , hanno certamente richiamato l'attenzione del governo francese ad una valutazione più prudente della questione.

In relazione a questo mutevole ed incerto sviluppo degli avvenimenti deve anche esser valutato l'andirivieni dei vari ministri rossi ed i ripetuti contatti che non hanno cessato di esistere tra il Quai d'Orsay ed i rappresentanti del governo fuggiasco, nello stesso tempo che si metteva in atto tutta un'azione cortigiana nei riguardi del governo «ribelle» di ieri.

Il Presidente Azaìia, che in un primo momento si era rifugiato in Savoia e sembrava volesse abbandonare la sua carica presidenziale per facilitare la risoluzione della crisi spagnola conformemente ai desideri di influenti circoli politici francesi, si è da vari giorni installato a Parigi, presso l'ambasciata rossa.

Nonostante che i ministri francesi dell'Interno e degli Affari Esteri avessero dichiarato solennemente nelle ultime sedute del Senato che non avrebbero tollerato che membri rifugiati di un governo straniero esercitassero in Francia, né attività politica, né attività di governo, dei decreti sono stati emanati dal Presidente Azaìia durante il suo soggiorno parigino, decreti che sarebbero stati pubblicati nel giornale ufficiale di Valenza.

È evidente quindi la tolleranza del governo francese che per il momento non vuoi contribuire a far scomparire dallo scacchiere politico la carta della resistenza di Madrid fino a che non abbia ottenuto da Franco una certa soddisfazione nei negoziati che si propone di intraprendere per il riconoscimento del nuovo regime nazionalista.

!94 1 Vedi D. 204, nota 3.

Ieri è arrivato a Parigi per via aerea da Madrid il signor Del Vayo. Il ministro degli Affari Esteri rosso si è recato immediatamente all'ambasciata rossa dove ha conferito con il Presidente Azaìia in presenza del signor Pascua, ambasciatore a Parigi, del signor Azcarate, ambasciatore a Londra, e dei generali rossi Rojo, Surado e de Cisneros. Vero consiglio di guerra che si è prolungato per oltre quattro ore e nel quale è stata ancora trattata la questione della resistenza di Madrid, cercando di conciliare la tesi estremista di Negrin con la volontà traballante del Presidente Azafia.

Nessuna notizia ufficiale è stata pubblicata in merito alla conferenza che ha riunito i rappresentanti del governo rosso. È da supporre, comunque, che il signor Del Vayo sia venuto nella Capitale francese per fare un'azione di forza su Azaìia e convincerlo nell'idea della resistenza ad oltranza. Il signor del Vayo avrebbe portato al Presidente Azaìia un rapporto circostanziato del generale Miaja sulle possibilità di difesa del settore Madrid-Valencia. Tale rapporto concluderebbe con la necessità di ottenere delle armi e dei viveri in difetto di cui la regione potrebbe difficilmente resistere a nuove pressioni nazionaliste. Egli avrebbe parimenti chiesto al Presidente della Repubblica di rientrare a Madrid o, in ogni caso, di impegnarsi a non presentare le dimissioni. Se infatti, il signor Azaìia abbandonasse le sue funzioni, egli non potrebbe farlo che rimettendole nelle mani del presidente delle Cortes, Martinez Barrio, che trovasi attualmente a Parigi. E se Azaìia dovesse mettersi d'accordo con Barrio, la situazione del governo Negrin a Madrid sarebbe da considerarsi giuridicamente nulla. Questo sarebbe lo spunto giuridico che, quando lo si crederà opportuno, dovrebbe fornire la giustificazione legale al governo francese per riconoscere Franco come unico governo spagnolo.

Per il momento comunque si ritiene che la decisione si sia basata sulla resistenza, decisione che appare tuttavia precaria e poco consistente, poiché essa dovrà essere messa in relazione con la decisione che i governi inglese e francese prenderanno nei riguardi di Franco, dopo la fine della seconda missione Bérard.

Nel corso del suo soggiorno parigino Del Vayo si è incontrato con Henry, ambasciatore di Francia presso il governo rosso ed è stato ricevuto ieri al Quai d'Orsay da Bonnet. Ufficialmente i due ministri degli Esteri si sarebbero intrattenuti unicamente sulla sorte dei rifugiati di Spagna, di cui si occupa oggi un Consiglio di Gabinetto appositamente convocato. Ma non sembra che questo sia l'unico argomento trattato. Infatti, è da presumere che basi di eventuali negoziati tra i rossi superstiti ed il generale Franco siano state ricercate dal Quai d 'Orsay, basi sulle quali il senatore Bérard dovrebbe potersi appoggiare per trattare con il ministro degli Esteri nazionalista.

Del Vayo ha avuto infine frequenti contatti con i più alti esponenti dei partiti socialista e comunista con i quali è stata trattata la questione dei rifugiati e l 'intensificazione del! 'azione perché sia concesso un trattamento più umano ai miliziani concentrati nei campi di Argelès e di St. Ciprien, e siano rinnovate le pressioni sul governo francese per non abbandonare la causa della Spagna Repubblicana.

193 3 Riferimento alla missione del senatore Bérard a Burgos.

195

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, ALL'AMBASCIATORE A SALAMANCA, VIOLA

T.] 18/53 R. Roma, 18febbraio 1939, ore 21,45.

Secondo notizie stampa da Burgos un decreto speciale del Generalissimo ha recentemente proibito l 'uso del catalano come seconda lingua nella provincia catalana, l'unica lingua ufficiale essendo il castigliano.

Fate sapere al Generalissimo che tale provvedimento è stato accolto con vivo interesse in Italia ove tutto quanto egli fa per cancellare in Spagna ogni traccia di separatismo e regionalismo è visto con simpatia.

196

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 657/67 R. Londra, 18febbraio 1939, ore 19,53 (perv. ore 23,1 5).

A seguito di quanto ho già riferito circa sviluppo relazioni commerciali anglotedesche, segnalo all'E.V. decisioni del governo britannico che due ministri britannici e precisamente presidente Board of Trade, Oliver Stanley, e sottosegretario di Stato per il commercio estero, Hudson, si recheranno a Berlino contemporaneamente ali 'inizio delle preannunziate conversazioni tra i rappresentanti industrie inglesi e tedesche per la conclusione accordi commerciali. Visita sarà a sua volta preceduta da quella che viene definita una «missione esplorativa» da parte di Ashton Gwatkin, capo dipartimento economico Foreign Office, il quale, come si ricorderà, già fece parte della missione Runciman a Praga la scorsa estate.

Mi risulta che decisione stessa è stata personalmente provocata da Chamberlain, il quale, calmata isterica reazione opinione pubblica britannica verificatasi scorsi mesi novembre e dicembre a seguito misure anti-semitiche adottate dal governo tedesco, intende riprendere suo antico obiettivo di un miglioramento relazioni tra Londra e Berlino.

197

L'AMBASCIATORE PRESSO LA SANTA SEDE, PIGNATTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. S.N.D. PER CORRIERE 668/2] R. Roma, 18febbraio 1939 (perv. il 19).

Ho avuto stamane la visita del mio collega di Germania. Il signor von Bergen ha desiderato comunicarmi notizie e averne da me.

Egli mi ha informato che il Cardinale Camerlengo ha accolto le condoglianze del Fiihrer per la morte del Pontefice 1 , con espressioni di viva riconoscenza, quasi con commozione, dicendo candidamente che non se le aspettava. Il cardinale Pacelli ha pregato von Bergen di fare giungere al signor Hitler i ringraziamenti del Sacro Collegio e i Suoi e di dirgli ch'Egli (il cardinale) formulava voti ardenti per la conciliazione fra il Reich e la Santa Sede. L'ambasciatore ha soggiunto che il messaggio del porporato, subito trasmesso a Berlino, è giunto colà gradito.

L'ambasciatore mi ha detto di credere che se la scelta del Conclave cadesse sul cardinale Pacelli, questi tàrebbe di tutto per accordarsi con la Germania e, probabilmente, vi riuscirebbe. Il signor von Bergen ritiene che una combinazione Pacelli-Tedeschini rappresenterebbe una soluzione ideale nel presente momento. Egli temeva, però, che Pacelli potesse ricusare l'elezione a Pontefice. Immagino che le confidenze del signor von Bergen corrispondano a idee sue personali. Ho preso tuttavia la palla al balzo per dire al mio collega che se veramente si nutrono in Germania propositi di conciliazione questo mi sembra il momento propizio per creare un'atmosfera favorevole alla nomina di un Papa a tendenze moderate. Converrebbe, pertanto, per prima cosa moderare il linguaggio della stampa tedesca. La Santa Sede segue attentamente le manifestazioni di stampa di tutti i Paesi; potevo dargliene la prova. Alcuni giorni or sono avevo avuto occasione di attirare l'attenzione della Segreteria di Stato sul tono moderato, almeno nella conclusione, di un articolo dello Schwarzes Korps. Monsignor Montini, al quale era stata fatta la segnalazione, aveva rilevato che il tono della stampa tedesca non era mutato e aveva soggiunto essere intenzione della Segreteria di Stato di fare dare notizia su L 'Osservatore Romano di articoli di giornali tedeschi dei quali, la maggior parte, di spiacevole intonazione. A seguito della nostra segnalazione la Segreteria di Stato aveva disposto di soprassedere ali 'effettuazione del citato proposito, nella speranza di un favorevole mutamento. Sembrava, dunque, consigliabile e urgente la più grande moderazione da parte della stampa tedesca, per dare l'impressione al Collegio Cardinalizio che la Germania non era perduta irremissibilmente per la Chiesa Cattolica.

In secondo luogo, era indispensabile che i cardinali tedeschi assumessero, in Conclave, un atteggiamento moderato. Se essi predicheranno la guerra santa contro la Germania, tutto sarà perduto. Non così se daranno l'impressione che esiste una possibilità d'intesa. Parecchi cardinali italiani e stranieri credono e sperano fermamente in un regolamento della vertenza con il Reich. La loro fede doveva essere riaffermata dalle dichiarazioni che i cardinali tedeschi faranno in Conclave. A mio avvi

so l'esito del Conclave dipende molto dalle due circostanze alle quali ho accennato; occorreva però che ambedue si verificassero.

Il signor von Bergen ha mostrato di condividere il mio punto di vista. Egli ha detto che profitterà di quello che gli ho detto a proposito d eli' articolo dello Schwarzes Korps, per telegrafare subito a Berlino suggerendo d'imbrigliare la stampa.

Quanto all'atteggiamento dei cardinali tedeschi, egli è ottimista. Si propone di parlare al cardinale Schulte, del quale è amico, ed anche al cardinale Faulhaber che è certamente il più eminente porporato della Germania ma nello stesso tempo il più difficile da maneggiare.

L'ambasciatore di Germania mi ha informato, inoltre, di avere raccolto negli ambienti vaticani espressioni di comprensione e simpatia alle quali non era stato abituato durante gli ultimi anni del pontificato di Pio XI. Alcuni cardinali, fra i quali il Maglione, gli avevano manifestato, anche pubblicamente, le loro simpatie quasi a dimostrargli di credere alla possibilità di un accordo.

Il signor von Bergen mi ha dichiarato di temere, invece, la nefasta influenza che potrebbe esercitare, in Conclave, il cardinale Salotti il quale, negli ultimi tempi, si sarebbe schierato fra i più decisi avversari degli Stati totalitari. A me non consta di così radicale voltafaccia del cardinale Salotti. Egli è stato in passato antifascista per divenire poi fervente fàscista e, specialmente, antifrancese. Negli ultimi tempi mi ha dimostrato freddezza, sfuggendomi. In ogni caso, fa d'uopo tenere presente che il cardinale Salotti, uomo d'ingegno e oratore di foga irruente, è un esaltato e i suoi colleghi lo sanno. Non dispero, quindi, che se il cardinale Salotti farà il Conclave teatro dei suoi sfoghi, ci sarà qualche altro porporato che terrà il linguaggio della ragione e della moderazione.

Mi propongo di controllare questo punto per stabilire qual'è presentemente lo stato d'animo verso di noi del cardinale Salotti. Pare che l'origine del suo malumore sia da attribuire al decreto-legge sui matrimoni misti2 .

197 1 Pio XI era deceduto il 1 O febbraio.

198

IL MINISTRO A BELGRADO, INDELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. RISERVATISSIMO 842/257. Belgrado, 18febbraio 1939 (perv. il 21). Mio telegramma n. 301•

Come ho riferito a Vostra Eccellenza, è stato il Principe Reggente a prendere l'iniziativa di una confidenziale ed amichevole conversazione sull'argomento della crisi Stojadinovié. Sembra che sia stato lo stesso Cincar Markovié a suggerirlo, facendo presente

I 97 2 Il documento fu inviato in visione a Mussolini.

tutta l'opportunità di chiarire. specialmente con noi. ogni possibile dubbio sul vero carattere della crisi e sulle sue eventuali conseguenze. Il Principe mi ha detto che, in tale ordine di idee, non poteva far di più che espormi i veri termini della situazione che era andata determinandosi. Mi ha, ciò stante, rifatto la storia della agitazione anticoncordataria dell'estate del 19372 , che ebbe a dare il primo allarme. Stojadinovié fu, durante la fase acuta di un movimento che sembrò mettere in pericolo la compagine stessa dello Stato, l 'uomo più impopolare del Paese. Se riuscì a sormontare il pericolo, quello proprio e quello dello Stato, lo dovette al fatto che il Principe lo sostenne a fondo, impegnando la propria influenza e solidarizzandosi completamente col suo Presidente del Consiglio, di fronte alla Chiesa Nazionale ed alla campagna serba in rivolta. Ebbe, allora, la prima, preoccupante visione dell'isolamento del suo fidato collaboratore. Dall'epoca dell'agitazione anticoncordataria alle elezioni dello scorso dicembre era corso quasi un anno e mezzo. Era stato lecito sperare che durante questo tempo Stojadinovié ammaestrato dall' esperienza, si sarebbe adoperato per creare intorno al suo nome un'atmosfera di fiducia, sostenuta da un adeguato numero di aderenti al partito J.R.Z., organizzati, disciplinati e, sopratutto, scelti fra persone che avessero generale stima e considerazione. Stojadinovié, fedele al suo metodo di promettere tutto a tutti e di contare ottimisticamente sulla propria stella per uscire, poi, dall'imbarazzo-il Principe mi ha detto che questo lato del carattere di Stojadinovié lo ha costantemente preoccupato, tanto da fame cenno al Re di Bulgaria nel suo ultimo colloquio-ha finito coll'illudere, fino all'epoca della campagna elettorale, lo stesso Reggente. Le elezioni, poi, si curarono di aprirgli definitivamente gli occhi. Esse furono gravi per i risultati, sia numerici, sia qualitativi. Di fronte ai blocchi più o meno compatti e ben comandati dei croati, degli sloveni, dei musulmani, gli eletti di Stojadinovié non erano che una massa, informe, riottosa, composta di elementi poco o mal noti, sfaldabili al minimo soffio di tempesta.

L'inopportuno allontanamento di Korosec dal Ministero dell'Interno fu un primo colpo gravissimo alla solidità della coalizione radicale. Le manovre di Stojadinovié per allontanare anche Spaho, e le misure di difesa prese da questi, col rinforzare i nuclei della dissidenza, fu un secondo. I rancori, le delusioni, le lotte, le cupidigie che si agitavano intorno a Stojadinovié, che lasciava mano libera ai pochi e deprecati elementi-come era, ad esempio, Djoura Jankovié, inviso a tutti-coi quali soltanto si teneva a contatto, aumentavano quotidianamente la impopolarità del Presidente. D'altra parte, aumentava un movimento dei gruppi radicali della provincia che facevano capo, in linea principale, a Cvetkovié. In queste condizioni. mi ha chiesto il Principe. come avrei potuto considerare la possibilità di ingaggiare. con Stojadinovié. un'azione adeguata di fronte alle pressioni di Zagabria. sempre più forti e preoccupanti. dopo il successo elettorale? Il primo attacco contro Stojadinovié, sferrato al suo ritorno dalle vacanze in Svizzera, fu parato. sopratutto in grazia all'avvenimento che si attendeva. la visita di Vostra Eccellenza. Ma gli attaccanti, a visita ultimata, attendevano la prima occasione per portare a fondo l'azione. L'occasione fu offerta dalle inconcepibili dichiarazioni, minaccianti il pugno di ferro di Akimovié, fatto alla Skupcina, in sede di verifica dei mandati. «Era, evidentemente, impossibile che io potessi-mi ha detto il Principe -non accettare le dimissioni di Stojadinovié, e rimanere in due soli, con

poche persone senza seguito e senza stima, a reggere la posizione contro tutto il Paese, colla minaccia che Koroseé finisse col passare, totalmente, dalla parte di Zagabria».

Il Principe è stato non sorpreso ma seccato delle varie e tendenziose interpretazioni che sono state date all'estero al mutamento di governo. Mi ha fatto, nei riguardi sopratutto della collaborazione di Stojadinovié in materia di politica estera, un elogio caldissimo, ma in modo da rivendicarne personalmente impostazione e sviluppi. Mi ha aggiunto che, se pur doveva riconoscere che il Paese è meno propenso nei riguardi tedeschi, la sua politica verso l'Italia è ormai solidamente e largamente radicata nel popolo ed egli ha modo di constatarlo nei numerosi messaggi che quotidianamente riceve, anche in quelli dell'opposizione, che in altri riguardi che non sono i rapporti itala-jugoslavi, non risparmiano critiche e consigli. Egli ha personalmente designato a ministro degli Esteri, Cincar-Markovié, di cui conosce le disposizioni personali nei riguardi dell'Asse, ma in ispecie nei riguardi italiani, appunto per affermare pubblicamente quale continuerà ad essere, immutabile nella sua evoluzione, la politica estera della Jugoslavia. Mi ha vivamente pregato di dare di ciò, a suo nome, formale assicurazione all'Eccellenza Vostra. Assicurazione che si ripromette di confermare e di provare, in occasione della sua prossima visita a Roma, di cui mi ha parlato con accento commosso, anche per i ricordi ed i sentimenti che, nei suoi riguardi personali, comporterà.

Nei riguardi delle sue speranze di un accordo coi croati, non si è chiaramente pronunciato. Ho avuto l'impressione che egli conti. tutt'al più, sopra una qualche distesa della situazione e sopra un modus vivendi almeno provvisorio. Comunque, egli ha creduto assolutamente doveroso compiere un estremo tentativo.

Per quanto concerne Stojadinovié, il Principe si è espresso in modo molto obiettivo e non senza qualche rammarico che le circostanze abbiano categoricamente imposto l'allontanamento di un collaboratore che gli aveva dato indubbie prove di devozione, oltre che di capacità, di molto superiore a quelle di cui può attualmente disporre, in materie gravi per il Paese, come la politica estera e le questioni di economia e di finanza. Credo, quindi, che nulla si opporrà. specie a qualche distanza di tempo, ad un ritorno alla collaborazione.

Ma occorrerà del tempo, e sopratutto perché gli errori di azione interna inconcepibilmente commessi da Stojadinovié in quest'ultima fase del suo governo, vengano dimenticati. Per il momento, col piccolo gruppo di deputati -una trentina, non più-rimastigli, per il momento, fedeli, gli occorrerà molta abilità per rimanere in sella, alla presidenza, fonnale, del Partito radicale, e attendere di rimontare le circostanze, che, in un Paese che non ama i caduti che non hanno combattuto, non gli sono favorevoli.

Il Principe Reggente ha concluso col dinni che contava che avrebbe gradito che mi recassi a parlargli di ogni argomento che presentasse particolare interesse. Mi consta che, in questo periodo, i nuovi ministri prendono dal Reggente ordini per ogni questione di dettaglio. Il Principe mi sembrerebbe, quindi, intenzionato, almeno in questa prima fase di azione del Gabinetto Cvetkovié, a seguire l'esempio di Re Alessandro ed a prendere personalmente la direzione degli affari di principale importanza3 .

198 1 T. 687/30 R. del 16 febbraio. Riferiva in modo sintetico sul colloquio avuto con il Reggente jugoslavo.

198 2 Su di essa si veda serie ottava, vol. VII, DD. l 05, 120, 142, 153, 198, 225 e 351.

198 3 11 documento ha il visto di Mussolini.

199

IL MINISTRO A BELGRADO, INDELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. RISERVATISSIMO 843/258. Belgrado, 18febbraio 1939 (perv. il 21).

Nel giudicare il nuovo Gabinetto, nel determinare il nostro atteggiamento, è necessario tener conto delle sue manifestazioni nei nostri riguardi, e in quelli dell' Asse, in questi primi quindici giorni di vita.

Appunto perché nato in circostanze singolari, tali da dar luogo a congetture e interpretazioni tendenziose, il nuovo governo, nelle sue manifestazioni pubbliche e in quelle private, si è dato molto da fare per dissipare i dubbi che potevano essere sorti intorno al suo indirizzo di politica estera.

Riassumo:

l) Assicurazioni molto precise e concrete datemi dal nuovo ministro degli Affari Esteri (mio telegramma n. 27 del 14 corrente)1 . 2) Dichiarazione del Principe Reggente, in relazione e in rinforzo di quelle fattemi da Cincar-Markovié (mio telegramma per corriere in data odierna)2 .

3) Dichiarazioni di Cvetkovié alla Skupcina. Il Presidente è stato molto esplicito nel confermare che il nuovo governo, in politica estera, «continuerà nell'attività spiegata fino ad oggi con gli stessi sforzi e nello stesso senso».

4) Dichiarazioni di Cincar-Markovié alla stampa, sopratutto rilevanti nel cordiale accenno fatto ai risultati raggiunti dalla politica di Stojadinovié nei rapporti di questo Paese con la Germania e con l'Italia (mio telegramma n. 31 del 18 corrente?.

5) Riconoscimento del governo Nazionale Spagnolo, deciso in linea di principio e di imminente attuazione (mio telegramma n. 28 del 15 corrente )4 . Come è noto Stojadinovié aveva dato a suo tempo assicurazioni di voler riconoscere il governo di Franco subito dopo la presa di Barcellona. Tuttavia, nonostante ripetute sollecitazioni di questo ministro di Spagna, nessuna decisione era stata presa sino al momento della sua caduta. Ed è da notare che l'iniziativa del nuovo governo, primo fra quelli dell 'Intesa Balcanica, mi è stata premurosamente comunicata ventiquattro ore dopo la mia conversazione col signor Cincar-Markovié, nel corso della quale avevo accennato alla convenienza di tale riconoscimento.

6) Approvazione del nostro schema di contratto per la fornitura di armamenti per un ammontare di mezzo miliardo di lire. Vostra Eccellenza non ignora quali difficoltà abbia incontrato sinora la trattativa per la conclusione del contratto; e come ripetute assicurazioni di una pronta decisione siano poi rimaste senza effetto. Il fatto che il

2 Non rintracciato. Per le dichiarazioni del Reggente Paolo al ministro Indelli si veda il D. 198.

3 T. 650/31 R. del 18 febbraio. Riferiva che in una conferenza stampa del giorno precedente Cincar-Markovié aveva dichiarato di voler seguire con particolare attenzione i rapporti con l'Italia e la Germania. Un accenno-osservava il ministro lndelli-destinato a troncare ogni possibile dubbio circa la politica estera del nuovo governo.

4 T. 604/28 R. del 15 febbraio. Il suo contenuto è qui indicato.

nuovo governo, prima ancora di aver potuto prendere dettagliata conoscenza di una questione che per questo Paese rappresenta la più importante e impegnativa ordinazione di materiale bellico che sia stata fatta finora, abbia voluto, fra i suoi primi atti, darci questa prova concreta delle sue disposizioni, mi sembra altamente significativo.

Aggiungo che quasi giornalmente ricevo in Legazione la visita delle personalità più spiccate del nuovo Gabinetto; alcuni sono uomini a capo di Dicasteri puramente tecnici per i quali non è d'uso far visite ai rappresentanti stranieri, fra gli altri Cirié e Ruzié, questo ultimo ministro della Giustizia, croato e uomo di fiducia di Macek, incaricato del delicatissimo compito di spianare la via all'accordo con i croati mediante la preparazione della nuova legge elettorale.

Non vi è dubbio a mio parere che il nuovo governo, preoccupato da una parte per le inopportune e troppo affrettate manifestazioni di giubilo della stampa francese (la quale nel frattempo ha già mutato tono e registro) e dall'altra parte per l'atteggiamento di riserbo e di attesa dei nostri giornali, ha voluto, con una serie di dichiarazioni e di atti, ristabilire prontamente l'atmosfera di fiducia e di collaborazione con le Potenze d eli'Asse, in primo luogo con l'Italia.

La politica di amicizia con l'Italia-come ho molte volte e da molto tempo riferito a Vostra Eccellenza -ha messo radici profonde nella coscienza del Paese che vi ravvisa una convenienza politica vitale, superiore alle fluttuazioni della politica interna e alle sorti di questo o di quell'uomo di Stato. È diventato ormai una politica nazionale nella quale tutti i partiti concordano e alla quale tutti sono pronti a cooperare.

Il nuovo governo meno di ogni altro, appunto perché composto di elementi di scarso rilievo, oserebbe opporvisi; e i suoi primi atti lasciano anzi prevedere che il timore di essere accusato di distruggere, o anche semplicemente di voler lasciare inoperanti le realizzazioni di Stojadinovié, lo renderà in molte concrete questioni più arrendevole e più duttile.

Del resto, iniziative innovatrici in materia di politica estera, non sembra si possano attendere, almeno per ora, dal Gabinetto Cvetkovié. Questi è tutt'altro uomo, per carattere, mentalità, situazione, che Stojadinovié. E, sopratutto, ha impostato il suo programma di governo sopra una questione interna così pregiudiziale ed assorbente come è quella dei rapporti coi croati.

199 1 Vedi D. 182.

200

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

LETTERA RISERVATA 1417. Berlino, 18 febbraio 1939 1•

Come Ti avevo comunicato con mio rapporto del 28 gennaio2 , Ribbentrop mi aveva fatto sapere che, prima della Tua visita a Varsavia, avrebbe desiderato farTi sapere qualcosa a riguardo del Patto Anticomintern. Egli aveva già fatto presso Beck

2 Vedi D. 122.

qualche sondaggio molto discreto in materia, traendone la convinzione che la Polonia fosse, nonostante la necessità di non urtare la Russia, relativamente più pronta di quanto non si potesse credere ad un'azione comune. Mi aveva quindi fatto intravedere il desiderio che Tu, andando a Varsavia ad un mese di distanza da lui, spezzassi qualche lancia nello stesso senso.

Contrariamente ad ogni aspettativa, Ribbentrop mi ha invece chiamato questa mane per dirmi che -tutto ben considerato -riteneva sarebbe stato bene che Tu, recandoTi a Varsavia, non solo non facessi una profferta vera e propria, ma neanche accennassi ad una adesione polacca all' Anticomintern come ad una questione attuale. Trattative per nuove adesioni sono in corso così con la Spagna come con la Jugoslavia: è preferibile quindi non mettere altra carne al fuoco. Naturalmente, sarebbe bene mantenere viva nella Polonia la sensazione della potenza dell'Asse e del Triangolo, base di ogni futuro giudizio di convenienza per eventuali adesioni, come pure di incoraggiare il più possibile la Polonia sopra una linea anti-russa. Ma nulla di più: essere anzi conveniente non dare l'impressione che Italia e Germania sollecitino delle adesioni «in massa» all'Anticomintern.

Questo il pensiero che Ribbentrop mi ha pregato di sottoporTi e che è in contrasto con quanto mi aveva già detto prima.

Cosa sia intervenuto a far cambiare Ribbentrop di opinione non so: forse qualche conversazione con l'Ambasciatore Lipski, che deve aver convinto il Ministro tedesco della inutilità di ulteriori insistenze. L'argomento polacco in materia è noto: il giorno che la difesa anticomunista fosse in Polonia spostata dai tribunali e dai giudici del Paese e quindi dal campo interno, a quello esterno, sarebbe praticamente impossibile alla Polonia di mantenere con la Russia, con cui ha mille chilometri di frontiera, delle relazioni tollerabili di vicinato.

Sempre a proposito dell' Anticomintern, Ribbentrop mi ha detto che, nonostante il governo di Burgos avesse fatto sapere di voler differire l'esame della questione a dopo il riconoscimento de jure franco-inglese, egli era stato lieto di vedere dal contesto delle conversazioni Jordana-Bérard del 4 e del 6 febbraio3 , comunicategli da questo Ambasciatore di Spagna, che nessun impegno in contrario era stato chiesto e tanto meno assunto.

Ho profittato dell'occasione per domandare a Ribbentrop se sapesse qualcosa di nuovo sul Giappone. Nulla. Si aspetta l'arrivo della nota missione che sbarcherà in Italia dal Conte Verde il 25 corrente. Prima, sarebbe assolutamente azzardato fare congetture. Del resto, egli non dubita dell'esito finale. Quanto alle indiscrezioni dell'Europe Nouvelle egli le deplorava, ma ne attribuiva la colpa all'Ambasciatore giapponese a Londra.

Giacché sono a scrivere del Tuo viaggio a Varsavia, mi permetto domandarTi se eventualmente desiderassi che o io, o Magistrati, ci recassimo a Vienna o altrove, per tenerci a Tua disposizione. In caso affermativo, Ti sarei grato di un Tuo rigo di telegramma4 .

4 Il documento ha il visto di Musso lini.

200 1 Manca l'indicazione della data di arrivo.

200 3 Vedi D. 141 e i documento indicati ibid., nota 3.

201

IL MINISTRO A TIRANA, JACOMONI, AL MINISTRO DEGU ESTERI, CIANO

T. S.N.D. 666/14 R. Tirana, 19 febbraio 1939, ore 0,07 (perv. ore 3,50).

Spedisco rapporto dettagliato per S.E. il ministro'. AI mio arrivo qui ho trovato agitazione e ridda di voci disparate. Verità non è tuttavia nota che in ambienti ristrettissimi.

Ho avuto subito lunga conversazione con il Sovrano secondo le istruzioni di V.E.2 . Sono venuto nella determinazione di soprattutto insistere sulla necessità di franche e leali conversazioni che portino alla eliminazione di ogni malinteso ed al rinserramento dell'alleanza e alla ripresa della reciproca libertà d'azione. Re Zog si è dichiarato interamente soddisfatto delle assicurazioni ricevute e mi disse di convincere V.E. che della sua franca lealtà non si può dubitare. Egli assicura V.E. che non ha alcuna intenzione di entrare nella Intesa Balcanica poiché ciò significherebbe rinunzia alle sue aspirazioni nel Kossovo. Il viaggio di Libohova a Parigi avrebbe ragioni d'ordine privato. La questione mineraria sarebbe risolta e fra pochi giorni secondo il nostro desiderio.

Circa richieste concessioni da ora chiesto udienza al Sovrano per uno dei prossimi giorni per la definizione controversie in corso. Già in queste prime ore dopo la mia conversazione col Sovrano questi ambienti politici appaiono più calmi.

Mi riservo ad ogni modo riferire più dettagliatamente sugli sviluppi della situazione3 .

202

L'AMBASCIATORE A TOKIO, AURITI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. S.N.D. RISERVATISSIMO 671/127 R. Tokio, 19febbraio 1939, ore 7,25 (perv. ore 18).

Opposizioni non sono state lievi ed hanno portato a una formula di compromesso che è in viaggio da circa due settimane'.

Tali opposizioni non sono solo quelle dei noti residui avversari di massima al Triangolo ma anche quelle di taluni fra coloro a noi favorevoli che le fondano su considerazioni contingentali dell'attuale situazione del Giappone.

1 Vedi D. 191.

3 Il documento ha il visto di Mussolini.

Per tutte le successive comunicazioni del ministro Jacomoni sugli sviluppi della situazione in Albania, qui preannunciate, si veda il D. 206. 202 Si riferisce alla Commissione giapponese in viaggio per Berlino via mare di cui al D. 161.

20 l 1 Non è stato trovato nessun altro documento sul colloquio tra Re Zog e Jacomoni oggetto di questo telegramma.

203

L'AMBASCIATORE A TOKIO, AURITI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. RISERVATISSIMO 672/129 R. Tokio, 19 febbraio 1939, ore 7,25 (perv. ore 18).

Attuale situazione politica estera e militare giapponese può riassumersi come segue.

l) Russia. Non si desiderano complicazioni con essa e si è sicuri non le desideri neanche essa. Questione pendente circa pesca nel!'isola Sakhalin potrà inasprire rapporti politici e militari ed anche indurre Giappone a qualche atto di forza, ma si eviterà che divenga causa di più gravi conseguenze e ciò perché, mentre si lavora intensamente a regolare questione cinese, non si vogliono assumere altri oneri.

2) Cina. Regolamento questione cinese è ritardato alquanto dal perdurare dei progetti di soluzione fra gli stessi militari giapponesi in Cina di contrasto ..... 1 sui quali ha molto esattamente riferito quell'ambasciatore2 . Prevale però idea di una Repubblica federale con larga autonomia delle province federate e di proseguimento della politica basata su Wang Ching wei e Wu Pei fu. Si crede che fra tre o quattro mesi risultati evidenti possano essere conseguiti.

3) Francia. Nessuno se ne preoccupa.

4) Inghilterra. Si ha l'impressione che Inghilterra cominci a comprendere necessità adattarsi all'inevitabile. Non si rinunzierà però qui mai al programma espansionista, né si penserà possibilità componimento definitivo e non si accetterà in nessun caso una sua mediazione con la Cina.

5) Si va confermando sempre più la convinzione della necessità di una politica fondata sul Triangolo e sul suo rafforzamento con nuovi accordi.

6) Premessi tali dati di fatto, debbo aggiungere come mia impressione attendibile (la quale, pur derivando in parte da essi, non può basarsi su esplicite dichiarazioni da cui l'indole giapponese rifugge) esservi qui la preoccupazione che nuovi impegni da assumersi non siano tali da metter il Giappone in breve tempo di fronte complicazioni maggiori e comportanti maggiori sforzi, mentre ancora i suoi sforzi attuali sono vincolati per la soluzione delle complicazioni presenti.

20.3 1 Nota dell'Ufficio Cifra: «Gruppo mancante nel testo in cifra».

2 Non è stata rintracciata nessuna comunicazione in proposito da parte dell'ambasciatore Taliani.

204

IL MINISTRO A LISBONA, MAMELI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. RISERVATO 571/194. Lisbona, 19febbraio 1939 (per ill0 marzo?).

Nicolas Franco, che ho visto al mio ritorno in sede, mi ha intrattenuto su vari argomenti, e principalmente sulla prima missione Bérard a Burgos 1 . Ha insistito che quanto mi diceva a tale proposito non era derivato da notizie generali o riassuntive, ma da una precisa relazione di Jordana sui colloqui avvenuti.

Bérard ha esposto che il governo francese era desideroso di stabilire normali rapporti con il governo Nazionale ma che doveva tener conto della propria opinione pubblica, che, se è in alcuni settori favorevole, è tuttora in molti altri contraria. Doveva pertanto prevedere la ripresa dei rapporti per gradi: agente ufficioso, riconoscimento de facto, ecc., per arrivare infine al pieno riconoscimento de jure. Desiderava tuttavia essere in precedenza informato sui propositi del governo Nazionale circa i seguenti due punti: data del ritiro dei volontari italiani, e impegno di neutralità della Spagna nei riguardi della Francia in caso di guerra.

Il governo Nazionale ha risposto che era infatti informato che vi è un settore dell'opinione pubblica francese ad esso favorevole e cioè una parte delle destre. Ma il governo Nazionale deve a sua volta tener conto dell'opinione pubblica nel proprio Paese che non dimentica neppure il costante aiuto dato dalla Francia ai rossi con uomini, armi e mezzi di ogni sorta. Gli esponenti principali di essa sono un milione di combattenti, le famiglie dei Caduti in Guerra, dei mutilati e dei feriti, le famiglie e gli amici delle migliaia e migliaia di uomini donne e bambini uccisi e torturati dai rossi. Questa opinione pubblica esige che vi sia qualche cosa di più che non il riconoscimento, il quale in ogni caso non sarebbe mai accettato per gradi ma dovrebbe essere pieno e completo. Prima cosa il ritiro dell'Ambasciatore francese presso i rossi. Il governo Nazionale non potrebbe inoltre trattare della ripresa di rapporti con la Francia qualora non gli siano restituiti i tesori d'arte trafugati dai rossi in Francia, così come tutte le somme asportate. Considera necessario che cessi l'asi lo dato dal governo francese ai capi rossi, e che tutti gli agenti politici contrari al governo Nazionale siano dal governo francese internati e sicuramente posti in istato di non svolgere attività politica di sorta. Ritiene del pari necessario che gli siano rimesse tutte le armi tolte ai miliziani passati in Francia e che la questione relativa a questi ultimi sia risolta con soddisfazione di esso governo e senza alcun onere finanziario da parte sua.

Quanto ai due punti su cui Bérard ha domandato previe informazioni, il governo Nazionale ha fatto sapere: l) circa i volontari italiani «essi partiranno dalla Spagna quando il Duce ed il Generalissimo Franco di comune accordo lo avranno giudicato opportuno» (parole testuali di Nicolas Franco). 2) Circa la neutralità spagnola

nei riguardi della Francia in caso di guerra, il governo Nazionale non ritiene che gli sia possibile impegnare il futuro.

Ho domandato a Nicolas Franco se aveva notizie circa l'andamento della seconda missione Bérard e mi ha risposto che ancora non ne aveva ricevute, assicurandomi tuttavia che mi avrebbe informato non appena possibile. Ha aggiunto che congetturava che la seconda missione nonostante l'esito della prima fosse stata tentata perché il governo francese è spinto nell'attuale situazione a compiere ogni tentativo possibile per evitare di rimanere sotto il peso di un completo insuccesso.

In seguito Nicolas Franco mi ha parlato della nota ufficiosa da lui ieri diramata alla stampa portoghese (telegramma Stefani Speciale n. 30 del 19 corrente e mio telespresso n. 577/196 dello stesso giorno )2• Mi ha detto che aveva concordato precisamente con il suo governo, non la sostanza della nota sulla quale non poteva aver dubbi, ma i termini secchi con cui era stata redatta.

Circa i vari tentativi inglesi e circa il riconoscimento da parte dell'Inghilterra mi ha detto di non avere informazioni precise e di non ritenere che vi fosse altro più di quanto è generalmente noto. Ha accennato al noto colloquio tra il duca d'Alba e il sedicente Ambasciatore rosso a Londra. Che fosse informato o no, Nicolas Franco è stato in ogni caso su questo argomento caratteristicamente evasivo in piena armonia con i suoi precedenti.

Ha accennato egli stesso all'episodio del Devonshire3 , e al bombardamento di Port Mahon4 per dirmi che aveva chiesto precisazioni per smentire il noto telegramma evidentemente apocrifo lanciato dall' United Press e riprodotto anche qui dalla Reuter secondo il quale il Generale Kindelan per ordine del Generalissimo avrebbe punito e trasferito da Maiorca i piloti italiani autori del bombardamento. Ha sottolineato che il telegramma era evidentemente falso in quanto datato da Burgos. Mi ha detto di non avere informazioni circostanziate circa lo svolgimento dei fatti. Sapeva in sostanza che il Governatore di Minorca si era realmente imbarcato sul Devonshire per trattare la resa di Minorca ove si sapeva che già era in atto una rivolta. L'offerta inglese era stata accettata perché era noto che l'isola rimaneva rossa soltanto per l'imposizione degli elementi francesi e inglesi fuggiti poi sulla stessa nave. Attribuiva l'intervento dell'aviazione o a un possibile errore, data la rapidità con cui i fatti si erano svolti, ma non escludeva che si fosse trattata di un'azione concertata per aggiungere agli argomenti del Governatore di Minorca quelli più persuasivi dell'aviazione legionaria.

3 Il 7 febbraio, la nave da guerra britannica Devonshire, stazionante a Mallorca, aveva trasportato a Port Mahon un gruppo di ufficiali nazionali per trattare la resa di Minorca che era stata sottoscritta il giorno successivo. I nazionali avevano assunto così il controllo dell'isola con una procedura che mirava chiaramente ad evitare la presenza degli italiani a Minorca. A questo proposito, Ciano telegrafava all'ambasciatore Viola: «Ha fatto cattiva impressione notizia invio di un incaricato del governo nazionale a Minorca a bordo di una nave da guerra inglese. Quando vi sarà possibile e nella forma del caso, fatelo intendere a chi di ragione» (T. 97/40 R. del lO febbraio). L'ambasciatore Viola compiva il passo prescrittogli presso Jordana che giustificava la scelta fatta con la necessità di non perdere l'occasione per ottenere subito la resa di Minorca ed assicurava che comunque il comandante del Devonshire era rimasto estraneo alle trattative (T. 553/17 R. e T. per corriere 578/020 R. del 12 febbraio. Il primo di questi telegrammi fu inviato in visione a Mussolini).

4 EtTettuato dall'aviazione legionaria 1'8 febbraio mentre erano in corso tra nazionali e governativi le trattative per la resa di Minorca.

204 1 In proposito si veda il D. 141 e i documenti indicati ibid., nota 3.

204 2 Non rintracciato.

205

L'AMBASCIATORE AD ANKARA, DE PEPPO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 813/0 l 5 R. Ankara, 20/èhbraio 1939 (perv. il 28).

Telegramma per corriere di VE. n. 1790 del 7 febbraio 1 e mio telegramma per corriere n. O14 del 15 febbraio2•

In questi circoli politici, la voce che gli Stati rivieraschi del Mar Nero possano essere indotti dai Sovieti a concludere uno speciale Patto collettivo non sembra ricevere credito. Mi si dice del resto che Io stesso Saracoglu ha dichiarato a questo ambasciatore di Polonia3 , in risposta ad una formale domanda da quest'ultimo rivoltagli, che l'ambasciatore deii'U.R.S.S.-contrariamente a quanto si affermava--non ha, almeno fino ad ora, presentato nessuna proposta del genere. Aggiungo che in questi ambienti diplomatici si mostra molta perplessità nel valutare l'eventuale contenuto dell'iniziativa attribuita al governo sovietico delia quale sfuggono lo scopo preciso e la portata. Quanto all'atteggiamento dei Paesi interessati, si ritiene che la Bulgaria si terrebbe indubbiamente lontana; incerto è l'atteggiamento della Grecia e della Turchia e, per quel che riguarda la Romania, mi è stato dichiarato a questa ambasciata romena che «la Romania non aderirebbe mai ad un simile Patto», ciò che conferma le infonnazioni in possesso del R. Ambasciatore a Mosca4 .

206

IL MINISTRO A TIRANA, JACOMONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

RAPPORTO SEGRETO URGENTE 565/200. Tirmw, 20febbraio 1939 1•

Dopo il colloquio avuto il 18 corrente con Re Zog2 , ho visto tra ieri e oggi il presidente del Consiglio, il ministro degli Esteri, il ministro degli Interni, il generale Sereggi. Da tutti ho avuto assicurazioni che il silenzio verrebbe fatto sui veri motivi dell' allarme creatosi negli ambienti di governo e che aveva determinato la mobilitazione

è T. per corriere 69S/014 R. L'ambasciatore De Peppo aveva riferito che, secondo una voce diffusa nei circoli diplomatici di Ankara, l'ambasciatore dell'U.R.S.S .. Terentiev, tornato da un congedo. era latore di un progetto di patto fra gli Stati rivieraschi del Mar Nero.

' Miche! Sokolnicki.

-l L'ambasciatore De Peppo telegrafava successivamente che Saracoglu aveva smentito all'incaricato d'aftàri tedesco di aver ricevuto una proposta eli «Patto del Mar Nero» da parte dell'ambasciatore sovietico e aveva aggiunto che la Turchia non aveva motivo di concludere dei nuovi patti con i suoi vicini con i quali esistevano già buoni rapporti (T. per corriere 951/019 R. del 27 febbraio).

di alcuni reparti di truppa. Da tutti ho avuto l'assicurazione che nessun nuovo arresto sarebbe stato compiuto e dal ministro dell'Interno mi è stato anche assicurato che i quattro arrestati, nessuno dei quali conosco personalmente, sarebbero stati rilasciati fra pochi giorni. Tutti mi hanno anche garantito che nessun fastidio sarebbe stato dato agli amici dell'Italia.

Da tutti concordemente mi è stata espressa la speranza che l'accaduto servisse a chiarire definitivamente la situazione fra i due Paesi avvicinandoli sempre [più]. A tutti io ho risposto che una chiarificazione era necessaria, dovesse essa condurre ad un avvicinamento anche maggiore come era desiderabile, o ad un allontanamento e denuncia dell'Alleanza, ove risultasse evidente l'impossibilità per i due Paesi di comprendersi eliminando le reciproche diffidenze.

Queste le conversazioni uftìciali.

La smobilitazione dei reparti richiamati alle armi non ha tuttavia ancora avuto luogo e circola in città la voce che gli arresti siano assai più numerosi di quelli denunciati dal governo.

Se questa voce fosse esatta, ciò che spero di poter controllare, essa basterebbe a far cadere tutta l'impalcatura di assicurazioni datemi dal governo.

Si dovrebbe allora pensare che il Re cerchi di temporeggiare fingendo di credere alle assicurazioni da me fornite, per tentare di trovare presso altri Paesi qualche via di uscita alla situazione nella quale egli viene a trovarsi dopo la dimostrazione avuta che la popolazione albanese è orn1ai spiritualmente vicina ali 'Italia, ma soprattutto che il malcontento del Paese potrebbe trovare un'eco e un incoraggiamento presso di noi. Ciò tanto più, che sarà certamente giunto anche al Re il senso di generale delusione che mi è stato da più parti denunciato, per il fatto che il nostro intervento, temuto dal governo non sia realmente avvenuto.

Giovedì avrò un nuovo colloquio con Re Zog. Se di qui ad allora dovessi convincermi che la tattica del Re è proprio quella di temporeggiare per agire ai nostri danni o ai danni dei nostri maggiori e più sicuri amici che si ritengono legati a noi da un impegno d'onore, valendomi delle istruzioni di V.E. sarò costretto a porre Re Zog nell'alternativa di adempiere immediatamente alle richieste che gli ho già fatto e che gli ripeterò,

o di considerare l'Italia libera a partire da quel momento da ogni impegno verso di lui.

A parte l'inizio immediato di trattative per instaurare nuovi e più intimi rapporti fra i due Stati, la condizione che mi propongo di porre a Zog e che ritengo imprescindibile per il mantenimento qui del nostro prestigio è la liberazione immediata di tutti gli arrestati nonché l 'annullamento subito delle note misure militari che hanno avuto un carattere antitaliano.

Ove V.E. non approvi la linea di condotta che mi propongo di tenere pregherei di farmi giungere telegrafiche istruzioni entro la giornata di mercoledì3•

A proposito di questo documento, vi è nel Diario di Ciano questa annotazione (sotto la data del 21 febbraio): <dacomoni sarebbe d'avviso di bruscare la situazione. Il Duce e io non la pensiamo così. E gli telegrafo di barcamenarsi ancora per qualche tempo nell'attesa che alcuni eventi che si dovranno verificare nel settore internazionale rendano più tàcile il nostro colpo di mano». Per le istruzioni inviate da Ciano si veda il D. 209.

205 1 Ritrasmetteva il D. 129.

206 1 Manca l'indicazione della data di arrivo ma da un'annota.rione sul Diario cl1 Ciano risulta che il documento giunse a Palazzo Chigi il giorno successivo. 2 Vedi D. 20 l.

206 3 Sul documento vi è l 'annotazione: «Comunicato al Duce per telefono».

207

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. S.N.D. PER TELEFONO 700/83 R. Berlino, 21 febbraio 1939, ore 13,30.

R ibbentrop mi ha telefonato questa mattina per dirmi che oggi è un poco febbricitante e sta a letto ma che sino da ieri aveva visto Oshima per informarlo delle comunicazioni telefoniche direttamente avute coll'E.V. 1• L'ambasciatore del Giappone (che del resto ho visto io stesso ieri sera) aveva promesso che questa mattina avrebbe telegrafato a Tokio nel senso desiderato.

Io ero quindi andato dal Segretario di Stato per prendere cognizione del testo delle istruzioni da inviare all'ambasciatore tedesco a Barcellona, quando Weizsacker mi ha dato comunicazione del fatto nuovo a sua conoscenza solo a mezzogiorno, attraverso un telegramma di Stohrer e che qui si immagina sia stato certo comunicato anche a V.E. da Viola2 .

Si tratta ora di sapere se Franco, avendo accettato la sostanza della domanda, convenga o meno fare egualmente il passo collettivo, soprattutto nella forma energica originalmente concertata per quanto riguarda la data della pubblicazione da dare alla cosa.

Su questo punto qui si gradirebbe prima di tutto conoscere al più presto il pensiero di V.E.

Nota: S.E. Attolico, nel dettare il presente fonogramma, ha aggiunto che, secondo notizie pervenute a Berlino da Barcellona, gli spagnoli sarebbero disposti ad aderire anche immediatamente ali' Anticomintern, ma si riserverebbero di darne notizia in un secondo tempo.

:• Si riferisce alla decisione del governo nazionale spagnolo di aderire al Patto Anticomintern. La comunicazione da parte dell'ambasciatore Viola giungeva a Roma soltanto alle 19,20: in essa si precisava che la firma dell'adesione poteva avvenire subito ma che Franco «prega vivamente di rimandare la pubblicazione alla fine della guerra» (T. Utf. Spagna 460 del21 febbraio).

207 1 Come risulta dal Diario di Ciano (sotto la data del 20 febbraio), nel corso di queste telefonate era stato concordato di compiere un passo collettivo-itala-tedesco-giapponese-per indurre Franco ad aderire Immediatamente al Patto Anticomintern. «Se Franco aderirà-annotava in proposito Cianoverranno troncate le dicerie, che anche in Italia sono diffuse, dei suoi troppo intimi contatti con le democrazie occidentali».

208

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. S.N.D. PER TELEFONO 699/84 R. Berlino, 2Jfebbraio 1939, ore 15,30.

Seguito mio 83 1•

Ribbentrop mi fa sapere attraverso Weizsacker che, in presenza fatto nuovo da parte di Franco, egli riterrebbe preferibile prendere subito, anzi immediatamente, ciò che Franco offre, quanto alla pubblicazione cercando in massima stabilire anziché proprio a fine guerra, soltanto a dopo nuovi decisivi risultati sul nuovo teatro operazioni belliche. Ribbentrop fa informare in conformità Oshima.

209

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, AL MINISTRO A TI RANA, JACOMONI

T. S.N.D. \21/11 R. 1 . Roma, 2Jfebbraio 1939, ore20,15.

Vostro 2002 .

Non ritengo conveniente che allo stato degli atti il Re sia messo davanti ad un dilemma così perentorio quale quello cui voi fate cenno. Bisogna continuare per qualche tempo ancora in una tattica dilazionatrice e per quanto possibile narcotizzante anche se si pensa che ciò valga a rafforzare la posizione del Re. Sono convinto del resto che tale rafforzamento non può essere che temporaneo ed effimero. Voi, quindi, nel vostro colloquio di giovedì cercherete di ottenere dal Re quelle concessioni cui fate cenno nel sopradetto rapporto ma eviterete di assumere una posizione tanto precisa e rigida poiché in questo momento, per le ragioni che verbalmente vi feci note3 , noi vogliamo ancora evitare una rottura.

2 Vedi D. 206.

3 Nel colloquio del 15 febbraio. Vedi D. 191.

208 1 Vedi D. 207.

209 1 Minuta autografa.

210

L'AMBASCIATORE IN CINA, TALIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 713/59 R. Shanghai, 21 febbraio 1939, ore 16 (perv. ore 22).

Governo nazionale cinese, che dal danno della perdita di Hainan sperava gli derivasse almeno il vantaggio di complicazioni favorevoli, ha perduto le ultime illusioni d'ordine politico.

Dichiarazioni di Chiang Kai-shek fissavano in perfetta chiarezza nuova situazione strategica rilevando:

l) che Hainan in mano Giappone può tagliare Hong Kong da Singapore e ambedue dali' Australia; 2) e tagliare anche comunicazioni tra le basi britanniche e quelle americane ed olandesi: 3) permette al Giappone di estendere sua influenza attraverso Oceano Indiano sino al Mediterraneo; 4) che quindi siamo alla vigilia del predominio giapponese nell'Oceano Pacitìco.

Dichiarazioni tendevano specialmente, rappresentando in tutta la loro gravità i pericoli della nuova situazione, a decidere le grandi democrazie ad effettive misure di ritorsione contro il Giappone. Se ciò non fosse avvenuto, Chiang Kai-shek sperava che la Francia, più duramente colpita di ogni altro, gli avrebbe almeno raddoppiato i suoi aiuti.

La facilità con cui Londra e Parigi presero atto delle segrete assicurazioni di Tokio doveva pertanto essere amaramente commentata a Chungking. Per la prima volta sono apparsi sulla stampa ispirata articoli che stigmatizzano arrendevolezza francese e rilevano quanto Hainan rafforzi il triangolo Roma-Tokio-Berlino.

Oggi, alla ironia, è succeduto a Chungking un senso di scoraggiamento che neanche i nuovi appelli del Generalissimo e della signora Chiang Kai-shek riescono a temperare, e che si rispecchia nella nuova ondata di attentati terroristici nella sicura oasi delle concessioni, i quali il governo Nazionale non esita a propalare e ad esaltare.

Comunicato Roma e Tokio.

211

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 1453/427. Berlino, 21 febbraio 1939 (perv. il 23).

I dati statistici relativi al mese di gennaio 1939, pubblicati in questi giorni, mostrano una nuova inflessione nel volume del commercio estero tedesco. Calcolando anche le cifre degli scambi della Marca Orientale, il mese di gennaio si chiude con un disavanzo complessivo di 31 milioni di marchi. Circostanza più impressionante ancora è la sensibile diminuzione sia nelle esportazioni, ridotte da 541 milioni di marchi nel mese di dicembre 1938 a 441 milioni nel mese di gennaio 1939, sia nelle importazioni, discese rispettivamente da 542 a 4 72 milioni di marchi.

Per quanto queste cifre possano in parte rappresentare l'influenza di fattori stagionali, rimane tuttavia il fatto che la tendenza alla contrazione del commercio estero tedesco si accentua anziché attenuarsi. Gli sforzi destinati a migliorare la situazione attuale non hanno quindi finora ottenuto alcun successo.

Queste constatazioni, che costituiscono oggetto di gravi preoccupazioni per i dirigenti dell'economia tedesca, contribuiscono a far accogliere a Berlino con un grande interesse le notizie su l prossimo inizio di negoziati commerciali fra la Germania e la Gran Bretagna. Si spera vivamente in questi circoli economici di poter ottenere un più largo collocamento di prodotti tedeschi nei Paesi dell'Impero britannico, cosa che faciliterebbe anche le forniture di materie prime di cui le industrie tedesche hanno il più urgente bisogno.

Un primo passo nei tentativi di stabilire migliori rapporti economici fra la Germania e l 'Inghilterra è stato fatto con la recente conclusione del\' accordo fra i produttori di carbone dei due Paesi, con cui sono state regolate le condizioni di vendita sui mercati stranieri. Nel mese di marzo prossimo, una delegazione del\' Associazione delle industrie britanniche verrà appositamente a Berlino per porsi in contatto col corrispondente organismo che raggruppa gli interessi industriali della Germania. Si annunzia poi che i negoziati fra gli industriali verranno seguiti da una visita ufficiale a Berlino del capo dell'Ufficio commerciale del governo britannico, Sir Oliver Stanley, e del ministro inglese del Commercio, Hudson.

È da notare che le prossime trattative si estenderanno non soltanto ai rapporti diretti ed immediati fra la Germania e l'Impero britannico, ma più ancora alle possibilità di regolare l'attività economica tedesca ed inglese nei riguardi dei Paesi terzi, specialmente in quelli dell'Europa sud-orientale. È noto che in questa regione si sta svolgendo attualmente una silenziosa e tenace lotta di interessi. Per controbattere la crescente penetrazione tedesca, basata sulla concessione di elevati prezzi di acquisto ai produttori agricoli dei Paesi balcanici e sulla vendita a prezzi ridotti dei prodotti finiti tedeschi su tali mercati, il governo britannico ha recentemente preso la decisione di concedere sussidi alle industrie britanniche di esportazione. Inoltre l'Inghilterra è pronta a sostenere mediante forti aiuti finanziari i Paesi dell'Europa sud-orientale.

l prossimi negoziati di Berlino avranno dunque sotto questo punto di vista una grandissima importanza, se riusciranno ad attenuare l'asprezza della concorrenza fra l'economia tedesca e quella britannica per la conquista dei mercati stranieri. Essi meritano quindi di venir seguiti con la più grande attenzione anche dagli altri Paesi pure interessati a mantenere e sviluppare relazioni commerciali nella regione danubiana e balcanica.

Per preparare il terreno ai futuri negoziati si trova già a Berlino da ieri il signor Ashton-Gwatkin1 , capo dell'Ufficio economico del ministero degli Esteri britannico,

che, come si rammenterà, fu il consigliere di Lord Runciman in occasione della missione da questi compiuta a Praga nei mesi di agosto e settembre 1938, e che partecipò poi alle sedute della sottocommissione economico-finanziaria che si tennero a Berlino per studiare la sistemazione dei rapporti fra la Germania e la nuova Cecoslovacchia2.

211 1 il consigliere economico del Foreign Office Ashton-Gwatkin era giunto in Germania il 19 febbraio e vi si trattenne fino al 25 successivo. Su la sua missione, durante la quale ebbe colloqui con von Ribbentrop, Goring e Funk, DDT, vol. IV, DD. 315, 316, 317, 320, 322 e 323 e la relazione dello stesso Ashton-Gwatkin in BD, vol. IV, appendice II.

212

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. S.N.D. PER TELEFONO 721/89 R. Berlino, 22febbraio 1939, ore 14,20.

Come ho preavvertito fin da questa mattina 1 , qui si ritiene necessario di fare ugualmente luogo al passo collettivo dei tre ambasciatori originariamente contemplato presso Franco2 , adattandone tuttavia il contenuto alla situazione nuova.

Sono state quindi preparate e verranno inviate questa sera ali 'ambasciatore tedesco a Barcellona le istruzioni seguenti:

«Governo tedesco è d'accordo con l'Italia che l'offerta del Generalissimo Franco, di cui a vostra comunicazione di ieri, debba essere accettata e realizzata immediatamente. Quanto all'adesione giapponese, essa arriverà sicuramente al più presto. Siete pertanto pregati di recarvi, prima della fine della settimana, insieme agli ambasciatori d'Italia e del Giappone dal Generalissimo Franco per dirgli quanto appreso:

"I nostri governi esprimono la loro soddisfazione e si felicitano vivamente per la decisione presa dal governo spagnolo di aderire al Patto Anticomintern. Essi ci hanno pertanto incaricato di regolare con voi al più presto le formalità necessarie alla firma del relativo Atto di adesione. I nostri governi sono d'accordo che l'adesione stessa non venga resa di pubblica ragione immediatamente.

Si ritiene tuttavia che la pubblicazione stessa potrebbe utilmente avvenire appena un primo grande successo nelle regioni ancora non occupate possa far considerare come praticamente finita la guerra in corso".

Nel corso della conversazione voi potrete aggiungere che così il Ftihrer come il Duce annettono una importanza eminente ali'Atto di adesione della Spagna anche agli effetti degli sviluppi futuri delle relazioni con i nostri Paesi. Noi crediamo che l'adesione stessa, !ungi dallo scoraggiare il governo francese e quello inglese dal concedere il riconoscimento de jure al governo Nazionale spagnolo, finirà invece praticamente con l'incoraggiarlo. Siamo ugualmente certi che la decisione della Spagna, quale Potenza direttrice della comunità ibero-americana, non mancherà di avere una grande ripercussione anche sopra l'attitudine, nei riguardi della politica anticomunista di tutti i Paesi sud-americani.

211 :• Sulla missione in Germania di Ashton-Gwatkin si vedano anche i DD. 220, 226 e 244. 212' Di questa comunicazione non si è trovata traccia negli archivi. È probabile che sia stata fatta per telefono. : Vedi D. 207.

I dettagli per l'adesione di un nuovo Stato al Patto Anticomintern sono già stati studiati e concretati in occasione dei casi precedenti dell'Ungheria e del Manciukuò, quindi essi possono essere senz'altro seguiti».

Questo il testo delle istruzioni, ripeto, già preparate, e che saranno inviate a Stohrer in serata, con preghiera a V. E. di provvedere analogamente-salvo osservazioni in contrario-per quanto riguarda l'ambasciatore italiano.

Stohrer sarà anche avvertito che, ove mai per venerdì a mezzogiorno l'ambasciatore del Giappone non avesse ricevuto istruzioni, egli dovrebbe immediatamente avvertirne per telefono Berlino3 .

213

IL MINISTRO A PRAGA, FRANSONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 730/35 R. Praga, 22febbraio 1939, ore 21 (perv. ore 0,50 del 23).

Chvalkovsky mi ha rimesso copia del promemoria che codesto ministro Cecoslovacchia è stato incaricato presentare a V. E. 1 , relativo questione garanzia internazionale delle nuove frontiere di questo Stato, come analogamente hanno avuto incarico di fare rappresentanti Berlino, Londra e Parigi. Chvalkovsky ha voluto sottolineare necessità ed opportunità suo passo a Parigi e Londra per il fatto che quei governi hanno già offerto garanzie e che ai termini tale offerta conseguentemente cadrebbero trattati Cecoslovacchia con Francia2 e Russia3 . Ha detto nell'occasione di essere però convinto che politicamente basterebbe alla Cecoslovacchia la garanzia de !l'Asse. Ha poi aggiunto che concessione della garanzia importerebbe, tra l'altro, il ritiro Cecoslovacchia da Ginevra e dalla Piccola Intesa, a proposito di questa ultima avendo già Praga, mi ha dichiarato il ministro, fatto intendere a Bucarest e Belgrado che sua condotta rimane passiva nel senso che governo cecoslovacco è sempre [di] parere favorevole a dissolvere patto qualora altri due membri ne prendessero l'iniziativa.

Sulle reazioni di Roma alla decisione del governo spagnolo di aderire al Patto Anticomintern vi è nel Diario di Ciano questa annotazione sotto la data del 22 febbraio: «Il Duce è molto contento della decisione di Franco di aderire all'Anticomintern. L'avvenimento è di una importanza fondamentale e influirà nel futuro su tutte le vicende europee. Dopo tre secoli di inerzia, la Spagna torna ad essere un fattore vivo e dinamico e, quel che più conta, in funzione antifrancese. l fresconi che hanno trovato da ridire del nostro intervento in Spagna capiranno forse un giorno che sull'Ebro, a Barcellona e a Malaga si sono messe le vere basi dell'Impero mediterraneo di Roma».

212 3 Ciano rispose (con T. 139/77 R. del 23 febbraio): «Ho telegrafato a Viola istruzioni identiche a quelle inviate a von Stohrem. Le istruzioni all'ambasciatore Viola furono inviate con TT. 140/66 R. e 141/67 R. del 23 febbraio.

213 1 Vedi D. 216. 2 Trattato di mutua garanzia tra Francia e Cecoslovacchia del 16 ottobre 1925 (testo in MARTENS, vol. XV!ll, pp. 656-657). 3 Trattato di mutua assistenza tra Cecoslovacchia e U.R.S.S. del 16 maggio 1935 (testo in MARTENS, voi XXXI, pp. 327-330).

214

L'AMBASCIATORE A PARIGI, GUARIGLIA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 756/016 R. Parigi, 22febbraio 1939 (perv. il 24). Sono stato da Bonnet per presentargli Capranica.

Dopo poche frasi di convenienza, egli ha tenuto a parlarmi subito della opportunità che i giornali italiani e francesi limitassero attacchi e campagne che non potevano certo far migliorare l'attuale situazione. Bonnet mi ha fatto notare che la stampa italiana l'aveva attaccato anche per aver egli ricevuto Del Vayo, mentre egli lo vide esclusivamente per cercare di persuaderlo dell'opportunità di cessare una lotta ormai inutile, «cosa che sarebbe stata anche nel nostro interesse e che avrebbe potuto rendere meno diffìcile la soluzione di altri problemi». Nonostante l'ostinazione e l'ottimismo affettato di Del Vayo, egli sperava che la fine fosse vicina. Bonnet ha aggiunto di essersi anche adoperato a favore dei prigionieri nazionalisti; anzi, alla richiesta di sconfinamento presentatagli da Negrin, egli avrebbe risposto che la Francia si sarebbe opposta, anche con le armi, se in testa ai profughi non si fossero presentati, appunto, i prigionieri nazionalisti. Il rimpatrio dei prigionieri e dei profughi procede -a detta di Bonnet -in modo soddisfacente, benché si presenti con una certa gravità il problema degli indesiderabili e quello dei delinquenti comuni, dei quali, ormai, le prigioni di quella parte della Francia, sono piene.

Mi sono limitato, per parte mia, ad intrattenere Bonnet della situazione sempre più difficile che viene fatta in Francia ai nostri connazionali ed alle nostre istituzioni, specie in provincia: gli ho elencato alcuni casi ed il ministro ha promesso di occuparscne.

Alla fine del nostro colloquio, Bonnet mi ha ripetuto che se i nostri giornali fossero invitati ad un atteggiamento più calmo, egli avrebbe svolto analoga azione presso questa stampa. Ho lasciato cadere il discorso, dopo di che il ministro mi ha invitato ad andare a vederlo di quando in quando anche se non avessi speciali questioni da trattare con lui.

215

IL CONSOLE A SIVIGLIA, CONTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. RISERVATO 679/123. Siviglia, 22febbraio 1939 (perv. il 27).

Da qualche tempo a questa parte si nota anche in Siviglia un certo inasprimento da parte della Chiesa nei confronti dei Paesi totalitari. Questo atteggiamento si riferisce alla Germania e all'Italia e, come fenomeno di politica interna spagnola, va considerato anche come un tentativo di resistenza, perpetrato a mezzo degli organi ecclesiastici, contro la Falange e il naturale sviluppo che questa cerca di imporre alla Rivoluzione.

Questi tentativi sono spalleggiati, fuori della chiesa, dai Requetès e dai Monarchici in genere che sperano. attraverso la restaurazione borbonica. ritenuta qui gradita all'Inghilterra. di poter riallacciare rapporti con Londra e di eliminare. nel futuro programma politico della nuova Spagna. l'eventualità di una sua saldatura definitiva con l'Asse dei Paesi totalitari.

Questa campagna, della quale per il momento non è il caso si sopravalutare la portata, va tuttavia segnalata come sintomo dell'atteggiamento del clero spagnolo. Non potendo servirsi della stampa, per ragioni ovvie, essa si effettua sopratutto nelle chiese, a mezzo dei predicatori. Specie nella chiesa sivigliana del S. Salvador, che è una delle più importanti e frequentate della città, lo stesso parroco -un fervente requetès -tratta costantemente nel sermone domenicale la questione dei rapporti fra Chiesa e Stato, il che gli fornisce frequenti occasioni di spunti polemici, tutt'altro che opportuni in questo momento, contro gli Stati totalitari.

Tale azione, accentuatasi nel corso delle ultime settimane, ha dei precedenti. Alcuni mesi tà, infatti, un altro predicatore della stessa chiesa, accennando alla storia dei rapporti fra l'Italia e lo Stato Pontificio, non si peritò, parlando della Legge delle Guarentigie, di fare apprezzamenti inconsulti contro i governi italiani dell'epoca e la stessa Monarchia di Savoia.

Feci immediatamente le mie rimostranze presso il cardinale di Siviglia e il predicatore fu subito e definitivamente allontanato, per lo meno dai pulpiti sivigliani.

Ma ora la campagna, condotta indubbiamente con maggiore prudenza, risponde a direttive di massima dello stesso cardinale di Siviglia. Segura, che alcuni giorni fa, in prossimità dell'anniversario del Trattato del Laterano, emanava una pastorale della quale trascrivo il seguente brano, in traduzione testuale:

«Molti sono coloro che credono che con la felice soluzione della questione romana e con il riconoscimento ufficiale del potere temporale del Sommo Pontefice da parte del governo Italiano abbiano cessato le persecuzioni che contro di lui, il Papa prigioniero, aveva mosso la moderna empietà. Coloro che così pensano, ignorano la attuale penosa situazione della Chiesa di Gesù Cristo e dimenticano le frequenti deplorazioni e le lagnanze amarissime che esalano costantemente dal cuore del Santo Padre. Non bisogna lasciarsi ingannare dalle false apparenze, giacché il Papa continua ad essere il bersaglio dei nemici della Chiesa».

Contro le prediche del parroco della Chiesa del S. Salvador che, indirettamente, attaccavano con gli Stati totalitari anche le «tendenze eccessivamente di sinistra del Glorioso Movimento Nazionale Spagnuolo» la Falange di Siviglia ha fatto le sue rimostranze presso il cardinale e la campagna. pel momento. appare sospesa.

Il cardinale Segura travasi attualmente a Roma per il conclave 1•

215 1 11 documento ha il visto di Mussolini che vi ha scritto: «Importante» e 1 'annotazione di Ciano: «Segnalare a Pignatti». È dubbio se le sottolineature sono di Mussolini o di Ciano.

216

LA LEGAZIONE DI CECOSLOVACCHIA A ROMA AL MINISTERO DEGLI ESTERI

PROMEMORIA. Roma, 22febbraio 1939.

Dans l'annexe première de l'accord de Munich en date du 29 septembre 1938 1 le Gouvemement de Sa Majesté dans le Royaume-Uni et le Gouvemement Français ont déclaré qu'ils maintenaient l'offre contenue dans le paragraphe 6 des propositions franco-britanniques du 19 septembre 19382 , touchant une garantie intemationale des nouvelles frontières de l'Etat tchéco-slovaque contre toute agression non provoquée. L'Ailernagne et l'Italie ont déclaré qu'elles donneront également leur garantie quand la questions des minorités polonaise et hongroise en Tchéco-Slovaquie aura été réglée. Le paragraphe 6 des propositions franco-britanniques du 19 september 1938 avait prévu qu'une des principales conditions d'une telle garantie serait la sauvegarde de l'indépendance de l'Etat tchéco-slovaque parla substitution d'une garantie générale contre toute agression non provoquée aux traités actuellement en vigueur et qui comportent des obligations réciproques de caractère militaire.

Dans le désir de tàciliter aux puissances signataires de l'accord de Munich la mise en ceuvre de cette garantie la Tchéco-Slovaquie serait prète à faire une déclaration solennelle concemant sa nouvelle position intemationale comportant notamment l'éngagement d'une stricte neutralité et de la non immixtion absolue dans tous !es différends éventuels de puissances tierces3 .

217

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, ALL'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO

T. S.N.D. 2979/75 P.G. Roma, 23fèbbraio 1939, ore 11,30.

D'ordine del Duce, recati da Ribbentrop e digli che allo stato attuale delle cose sembrerebbe consigliabile mettere a punto le intese tra i due Stati Maggiori, soprattutto tenendo presente approssimarsi data conclusione noto accordo.

Qualora Ribbentrop ne convenga, si potrebbe intanto stabilire un'intesa di massima che potrebbe poi concretarsi in dettagli successivi 1•

2 Vedi ED, vol. Il, D. 937 e DDF, vol. Xl, D. 213.

Il documento ha il visto di Mussolini. 217 1 Si veda per il seguito il D. 233.

216 1 Vedi serie ottava, vol. X, D. 190.

218

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, ALL'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO

LETTERA [l 568). Roma, 23 febbraio l 939.

Secondo notizie da Parigi, il corrispondente berlinese del Journal avrebbe riferito che negli ambienti dirigenti tedeschi si ha l 'impressione che «pur sforzandosi di giustificare i provvedimenti militari presi dall'Italia in Libia, le Autorità competenti tedesche si inquietano seriamente dei preparativi fatti dall'altra parte dell'Asse, preparativi che forse non approvano e che esse stimano in ogni caso "pericolosi"».

La notizia è certamente falsa.

Ti prego in ogni modo di accertare e riferirmi se vi sia eventualmente qualcosa che abbia potuto dare al corrispondente berlinese del Journal un qualche appiglio sul quale imbastire la sua corrispondenza1 .

219

L'AMBASCIATORE A BERLrNO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 1522/440. Berlino, 23febbraio 1939 (perv. il 25).

Il R. Addetto Navale, Capitano Pecori Giraldi, mi informa che l'Ammiraglio Raeder, da lui incontrato in occasione di un pranzo degli Addetti Militari, gli ha accennato ad un periodo di «relativa calma» per la Marina tedesca, suscettibile di durare ancora per qualche tempo e cioè per due anni.

A parte il fatto che l'attitudine dell'Ammiraglio Raeder sembra ispirarsi all'idea enunciata dal Fi.ihrer di «un periodo di lunga pace» (discorso 30 gennaio) 1 merita esser rilevato che i due anni dell'Ammiraglio Reader coincidono con la data del 194 l ripetutamente indicata da Goring come quella in cui la Germania potrà considerarsi come effettivamente e definitivamente «pronta»2 .

219 1 Vedi D. 130. 2 11 documento ha il visto di Mussolini.

218 1 Per la risposta si veda il D. 237.

220

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 1535/449. Berlino, 23 febbraio 1939 (perv. il 25).

La stampa straniera segue con interesse l'attività in Germania del signor Ashton-Gwatkin 1 , il quale è venuto per preparare il terreno ai rappresentanti delle industrie esportatrici della Germania e della Gran Bretagna, che dovranno prossimamente incontrarsi per esaminare la possibilità di una intesa nei riguardi dell'esportazione sui terzi mercati. A quanto viene riferito analoga azione di preparazione sta svolgendo in Inghilterra il signor Bergmann.

Se devo giudicare da qualche frase a me di Funk e di qualche dichiarazione di Komer (Goring), in Germania, negli ambienti ufficiali, si è un po' scettici sui probabili risultati del progettato incontro.

Si ricorda che la favorevole congiuntura veriticatasi nella Gran Bretagna dal 1932 in poi è stata conseguenza, sopratutto, della ripresa del mercato interno. La Gran Bretagna, tuttavia, nel timore che queste possibilità interne possano venire a ridursi, si sta preoccupando da tempo di cercare una valvola di sicurezza nella esportazione su mercati terzi.

A tali criteri la Gran Bretagna si era appunto ispirata nelle trattative con gli Stati Uniti d'America, trattative che hanno condotto con molta fatica alla conclusione di un accordo commerciale, entrato in vigore il 1° gennaio. Ma tale accordo non potrà avere eftètti decisivi per l'economia britannica e tanto meno immediatamente. Anche ammesso un aumento del 20% del!' esportazione britannica verso gli Stati Uniti d'America, ciò non rappresenterebbe che un aumento di 0,8% di tutta l'esportazione britannica. La Gran Bretagna mira ad intensificare la sua azione verso l'India e sta trattando un accordo che assicura all'industria cotoniera britannica una stabilità nella sua esportazione verso quel mercato, dando garanzia di acquisto di cotone indiano a prezzi detenninati.

Ma le speranze di un aumento del!' esportazione hanno ricevuto un grave colpo dalla constatazione che nel 1938 l'esportazione britannica ha segnato una diminuzione rispetto al 193 7 e la Gran Bretagna, dopo aver violentemente attaccato la politica di esportazione fatta dalla Germania, ha pensato di combattere questa con le sue stesse armi, ed ha annunziato una grande offensiva di esportazione. Tale offensiva dovrebbe essere condotta con i sistemi germanici e cioè con la unificazione dei tipi per l'esportazione, col concentramento delle varie ditte esportatrici sullo stesso mercato, e con i premi ali'esportazione, i quali ultimi verrebbero giustificati di fronte all'opinione britannica dalla necessità di neutralizzare le misure analoghe prese da altri Paesi (specialmente Germania). Di tutta l'azione ideata non è stato attuato finora che un solo punto, cioè l'aumento del fondo per i crediti all'esportazione portato ad 85 milioni di sterline. In quanto agli altri numeri del programma, si pensa di attuarli

solo nel caso che dovessero fallire le trattative tra le industrie della Gran Bretagna e della Germania, nei riguardi della loro esportazione sui mercati terzi, ritenendosi in Gran Bretagna preferibile la via delle intese dirette a quella della guerra. L'esempio dell'accordo raggiunto per l'esportazione del carbone tra i due Paesi lascerebbe sperar bene nella possibilità di una intesa per la regolamentazione dell'esportazione su determinati mercati o di determinati prodotti quali macchine, prodotti chimici, materiale elettrico, e forse anche di articoli di consumo (porcellane, vetrerie ecc.).

In Germania, invece, ripeto, non si nutrono molte speranze sui risultati delle prossime conversazioni e si fa presente che in nessun caso dalle medesime dovrebbe risultare una diminuzione delle possibilità di esportazione della Germania. Premesso ciò, una intesa tra le industrie esportatrici dei due Paesi non potrebbe avvenire se non con un incremento corrispondente dell'esportazione germanica verso la Gran Bretagna, o l 'Impero britannico, nel qual caso evidentemente l'interesse da parte della Gran Bretagna verrebbe a mancare. Per conseguenza, una possibilità di intesa la si vede solo se Gran Bretagna e Gennania si mettessero d'accordo per sviluppare le risorse di determinati Paesi, sia con aiuti finanziari che con aiuti tecnici, allo scopo di aumentare la possibilità di acquisto di tali Paesi e di ripartirsi quindi le maggiori importazioni che ne deriverebbero. Evidentemente se un tale progetto dovesse venir attuato, i Paesi che formerebbero oggetto dell'accordo non potrebbero essere che quelli del sud-est europeo, nel qual caso potrebbero venire indirettamente toccati anche gli interessi nostri.

Al momento attuale, tuttavia, è ancora troppo presto per fare previsioni. Comunque l'iniziativa inglese si inquadra in tutta la politica di pace di Chamberlain che, incoraggiato dalle dichiarazioni fatte dal Filhrer il 30 gennaio, vuole esaurire ogni possibile prospettiva di intesa pacifica con la Gennania. Donde lo stesso «apparato» di cui le prossime trattative saranno rivestite, la partecipazione ad esse di ministri di Gabinetto ecc. 2 .

220 1 Vedi D. 21 I, nota I.

221

L'AMBASCIATORE A SALAMANCA, VIOLA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 1176/263. San Sebastiano, 23 febbraio 1939 (perv. il 28).

Telegramma di questa Ambasciata n. 26 del 21 corrente 1•

Secondo quanto mi è stato riferito a questo Ministero degli Affari Esteri le richieste spagnole, portate a Parigi da Bérard al ritorno del suo primo viaggio esplorativo, avrebbero destato non poca sorpresa negli ambienti di quel governo che non si attendeva tanta intransigenza. Tale sensazione è qui giudicata come un indice persi

stente della incomprensione francese nei riguardi della situazione attuale spagnola. In ogni modo, questa volta Bérard, a quanto egli stesso ha affermato, è tornato a Burgos2 munito di pieni poteri per trattare e nel corso dei due colloqui avuti col Generale Jordana ha dichiarato che il suo governo in linea di principio è disposto a riconoscere de jure la Spagna Nazionale accreditandovi un Ambasciatore ed ha fatto comprendere che se le più importanti richieste spagnole, quali quelle della restituzione dell'oro della Banca di Spagna e di tutto il materiale portato in Francia dai rossi della Catalogna, erano tali da poter in sede di trattative essere accolte dal suo governo, le altre avrebbero dovuto formare un oggetto di dettagliata discussione per il fatto che vi intervenivano rapporti di carattere privato e diritti dei terzi per risolvere i quali, in caso di probabile contestazione, sarebbe stata competente l'autorità giudiziaria francese. Intendeva con ciò riferirsi alla richiesta di sequestro preliminare dei depositi effettuati dai rossi nelle banche francesi dall'inizio della guerra civile, agli acquisti immobiliari, alla restituzione del naviglio mercantile e peschereccio, ai susseguenti passaggi di proprietà dei medesimi e di tante opere d'arte e gioielli trafugati e venduti in Francia, ecc., per la restituzione dei quali il governo spagnolo non avrebbe potuto evitare di adire all'autorità giudiziaria francese nel caso di probabile opposizione legale da parte dei possessori. Ha lasciato però comprendere che il governo francese dal canto suo avrebbe influito benevolmente sulla magistratura.

Ho motivo di ritenere che Bérard abbia anche insistito, per quanto più debolmente, per ottenere assicurazioni contro l'eventualità di preferenze di ordine politico ed economico in favore di «altri Stati». Difatti, sull'argomento il Capo dell'Ufficio Europa al Ministero degli Esteri, pur non ammettendo esplicitamente la ripetizione da parte di Bérard di una domanda del genere, ha dichiarato a un funzionario della Regia ambasciata che il governo spagnolo mantiene la più assoluta intransigenza; ma che ciò non poteva impedire alla Francia di manifestare unilateralmente questo desiderio sotto forma di «votO>> e alla conclusione delle trattative. Ciò fa ritenere che si è discussa una soluzione in tal senso che potrebbe essere tollerata da questo governo.

Ha anche formato oggetto di discussione la lettera di Azana con la quale questi in Francia ha dichiarato che la sua firma recente al decreto di trasferimento del governo a Madrid era apocrifa. Da parte spagnola si richiede un'autorizzazione ufficiale francese a pubblicare tale lettera su questa stampa; ma sembra che quel governo sia disposto soltanto a non smentire la pubblicazione stessa ciò che assumerebbe un'importanza del tutto diversa, poiché, con la pubblicazione del facsimile della lettera ottenuta in forma ufficiale, questo governo sarebbe in grado di dimostrare in maniera inoppugnabile l'inesistenza di un governo legale rosso, la nullità di tutti gli atti da esso compiuti dalla data del decreto in poi, ciò che da parte spagnola è considerato di notevole importanza nei riflessi dell'opinione pubblica mondiale, per la celere natmalizzazione dei rapporti della Spagna Nazionale con gli altri Stati e per l'annullamento definitivo della resistenza rossa.

Dopo la partenza del Generale Jordana per Barcellona, avvenuta domenica 19 corrente, Bérard ha continuato a discutere lungamente i vari argomenti, principali e

secondari, col Direttore Generale degli Affari Politici al Ministero degli Affari Esteri e con il Capo dell'Ufficio Europa ed indi è ripartito per Saint Jean de Luz evidentemente per far pervenire a Bonnet il risultato delle prime trattative e chiedere ulteriori istruzioni.

Bérard si prevede che tornerà a Burgos domani per il proseguimento delle trattative.

Per quanto riguarda il rifiuto opposto alle ripetute richieste di Bérard di avere un'udienza da Franco, a questo Ministero degli Esteri lo si giustifica col fatto che il senatore francese non è un rappresentante diplomatico regolarmente accreditato e perciò non ha veste di essere ricevuto che dal ministro degli Esteri. Non panni però si possa escludere che, al termine delle trattative, Bérard possa essere ricevuto da Franco.

Ritengo opportuno, infine, un accenno all'atteggiamento della stampa nei riguardi dell'attuale decisivo periodo delle relazioni franco-spagnole. Nei riguardi di tale atteggiamento, questa Ambasciata ha ampiamente riferito coi successivi telegrammi Stefàni Speciale di questi giorni. Da essi risulta che la stampa è stata questa volta e forse per la prima volta veramente intonata alla delicatezza delle trattative franco-spagnole ed alla fermezza del governo nelle questioni più importanti. Mentre infatti nei riguardi della questione Bérard, si è osservato, per precisi ordini dall'alto, un assoluto silenzio, è invece continuata particolarmente violenta, in appoggio appunto all'atteggiamento intransigente degli ambienti ufficiali, la campagna contro la Francia in genere, ed in particolare contro la permanenza in Francia dei resti dell' esercito rosso e dei dirigenti rossi; contro il trattamento fatto ai profughi diretti nella Spagna Nazionale e contro la pretesa francese di rifarsi delle spese di tale mantenimento col materiale di guerra portato dai rossi in territorio francese.

220 2 Il documento fu inviato in visione a Mussolini. Sulla missione in Germania di Ashton-Gwatkin si vedano anche i DD. 226 e 244.

221 1 T. 715/26 R. del 21 febbraio con il quale si riferiva che, secondo quanto dichiarato dal senatore Bérard, il governo francese era disposto ad accettare le più importanti richieste spagnole (accreditamento di un ambasciatore, restituzione dell'oro e consegna del materiale da guerra) con riserva di discutere le altre questioni che implicavano anche interessi privati.

221 2 La seconda missione del senatore Bérard ebbe inizio il 18 febbraio per concludersi con gli accordi del 25 febbraio successivo (vedi D. 227).

222

L'AMBASCIATORE A MOSCA, ROSSO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR.... 1 . Mosca, 23jebbraio 1939.

Questa stampa ha pubblicato negli ultimi giorni alcuni apprezzamenti sulla situazione militare in Cina e sui futuri piani giapponesi, presentandoli sotto forma di corrispondenza dell'agenzia Tass da Chungching. Credo utile riassumere dette informazioni perché esse rispecchiano evidentemente il pensiero di questi ambienti ufficiali e, con ogni probabilità, sono fondate su indicazioni fornite all'agenzia ufficiosa dagli stessi circoli militari sovietici.

Secondo la corrispondenza in parola, la situazione sui fronti cinesi rileva il fallimento della strategia nipponica. L'armata attaccante occupa una linea frontale estremamente estesa ed è impegnata in seri combattimenti con l'esercito regolare cinese ed in continue guerriglie con le bande irregolari. I tentativi nipponici di piegare la Cina ricorrendo ai ser

vigi del traditore Wang Ching-wei sono falliti. In Giappone si cerca con ansietà una soluzione del conflitto e lo stesso Comando supremo esamina attualmente tre alternative. La prima, sostenuta dalle correnti più moderate fra i militari e dai grossi trust monopolistici che fanno capo al trio Saionji-Konoye ed Ikeda, consisterebbe nel consolidamento delle posizioni finora raggiunte e nell'inizio dello sfruttamento delle regioni occupate. La seconda alternativa sostenuta dagli elementi «militaristi-fascisti» attualmente al potere, prevede la fine della guerra soltanto dopo compiuta la presa in possesso di tutte le vie di comumcazione che allacciano la Cina al mondo esterno. Infine, la terza alternativa, propugnata dal gruppo dei «giovani ufficiali» capeggiato dal principe Chichibu, implicherebbe la necessità di estendere l'occupazione su tutto il territorio cinese.

Il raggruppamento delle forze nipponiche e la situazione attuale lascia supporre che i militari giapponesi sceglieranno la seconda alternativa.

Il comando nipponico fa notevoli preparazioni per risolvere due problemi: preparare una grande offensiva nello Shan hsi e nello Shen hsi e lottare a fondo contro le bande irregolari nelle province conquistate.

Con l'offensiva nello Shansi i giapponesi mirano all'occupazione di Hsi an e Lan chou allo scopo di impedire le comunicazioni della Cina con il Hsin chiang. L'avanzata nipponica nello Shansi si svolgerà, probabilmente, in tre direzioni per forzare il fiume Shuang Chi.

Non sono previste grandi operazioni nella Cina centrale poiché i giapponesi non dispongono di forze sufficienti su questo settore e sono logorati dai continui attacchi degli irregolari cinesi.

Gli osservatori militari sovietici attendono l'inizio delle nuove operazioni nipponiche in primavera, ma affermano che la Cina è pronta alla resistenza. Essi segnalano la stanchezza delle truppe nipponiche, i crescenti casi di diserzione e le vendite di fucili e munizioni da parte di soldati giapponesi ai contadini cinesi.

La corrispondenza termina rilevando il rafforzamento del Fronte Popolare in Cina e la volontà di resistenza del popolo cinese. Afferma che la collaborazione tra il Kuomintang ed il partito comunista cinese va rafforzandosi e ne trae l'auspicio per la sicura vittoria della Cina nazionale sull'invasore.

222 1 L'originale da Mosca di questo documento non è stato rintracciato. Si pubblica qui il testo ritrasmesso dal Ministero ad alcune ambasciate e legazioni con telespresso 217239/c. dell'8 marzo.

223

L'INCARICATO D'AFFARI A WASHINGTON, COSMELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 1625/3 77. Washington, 23febbraio 1939 1•

In relazione alla visita del ministro degli Affari Esteri brasiliano, signor Aranha2 , si è di nuovo parlato abbondantemente di possibili riaperture di crediti americani ai Paesi deIl'America latina, con lo scopo di rendere più facili gli acquisti di questi Paesi sul mercato americano.

2 Vedi D. 274.

Questa volta, si tratterebbe anzi di prestiti sembra ufficiali inquantochè tramite delle aperture di credito dovrebbe essere la nota e discussa Export Import Bank, creatura parastatale e per la quale proprio in questi giorni è in discussione dinnanzi al Congresso un'autorizzazione di elevare a 125 milioni di dollari le proprie possibilità di credito, praticamente destinate quasi esclusivamente ai Paesi dell'America latina.

È noto che già in passato l'America, sotto forme bancarie e creditizie e talvolta sotto forme di investimenti, ha impiegato nell'America latina dal Messico all'Argentina, elevatissime somme di capitale.

Pur tenendo conto di tutti i redditi incassati precedentemente e degli ammortizzi fatti, la crisi del 1929-30 ha di fatto bloccato e reso in parte irrealizzabili molta parte di tali capitali. Le perdite finanziarie, le crisi valutarie, i provvedimenti politici, hanno profondamente inciso sulle possibilità di reddito e di ricupero dei capitali impegnati, per cui la finanza americana è divenuta molto guardinga nel considerare, dopo tante dolorose esperienze, nuove possibilità di interessamento nel Sud America.

Appunto in relazione a tali esperienze, in questi giorni, di fronte alle voci di possibili nuovi prestiti, da varie parti sono state sollevate obbiezioni sulla opportunità che, pendendo insolute tante questioni fra creditori americani e debitori sud-americani, il governo degli Stati Uniti potesse autorizzare una nuova politica di investimenti e di prestiti. Ma il governo, e per esso il Segretario al Tesoro, signor Morgenthau, ha prontamente reagito dichiarando che una questione sono i debiti privati e un'altra questione sono i debiti pubblici, che nessuno Stato sud-americano è debitore insolvente verso il governo americano e che quindi nulla vieta che quest'ultimo accordi prestiti ai primi, indipendentemente dalla situazione debitoria dei privati.

Certamente tali dichiarazioni sono state una doccia fredda per tutti coloro che hanno investito nei Paesi dell'America spagnola e, a cominciare con il Messico, hanno subìto così gravi disillusioni, ma esse sono al tempo stesso un indice chiaro del carattere politico dell'intervento finanziario nord-americano nei Paesi a sud del Rio Grande. Probabilmente non si guarderà molto per il sottile a spendere ulteriori milioni con il miraggio -che è divenuto un'ossessione -di controbilanciare la penetrazione commerciale e politica delle Potenze totalitarie e soprattutto della Germania.

223 1 Manca l'indicazione della data di arrivo.

224

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. RISERVATO 1613/461. Berlino, 24febbraio 1939 (perv. il 27).

È venuta oggi a vedermi la giornalista Anne O'Hare McCormick, editore aggiunto del New York Times, che, a quanto sembra, è ben conosciuta anche in Italia.

Fra le varie cose dettemi, stimo degna di menzione la constatazione fatta dalla McCormick, in un largo giro testé compiuto in Germania, che -contrariamente ad ogni aspettativa -la popolarità di Hitler in Germania, dalla quale mancava da un anno. invece di essere cresciuta in seguito ali 'acquisto deli'Austria prima e delle regioni sudetiche dopo. è invece nettamente diminuita. La giornalista dice di essere arrivata a questa conclusione attraverso contatti con ogni genere di persone e di classi.

La spiegazione che la McCormick dà al fatto sarebbe che il popolo tedesco è stato, dalla crisi cecoslovacca, messo per così dire in istato di allarme. Solamente dopo la crisi, le masse popolari hanno realizzato che esse stavano per essere trascinate in una guerra e la reazione a questo pericolo ha investito la forma di un rallentamento nel loro entusiasmo per il Ftihrer, non tanto perché gli si riconoscano meriti minori di prima, quanto perché lo si ritiene capace un giorno o l'altro, di trascinare il Paese in una guerra assolutamente non desiderata.

Segnalo l'informazione per quello che vale. Per parte mia non la ritengo completamente infondata. essendo evidente che. per lo meno. la popolarità di Hitler non sia in questo ultimo anno aumentata in proporzione dei suoi successi.

Altro rilievo fatto dalla McCormick è che nei Paesi balcanici si nota la tendenza ad accostarsi ali'Asse, facendo centro, peraltro, più su Roma che su Berlino 1•

225

L'AMBASCIATORE A PARIGI, GUARIGLIA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 797/019 R. Parigi, 25 febbraio 1939 (perv. il 27).

In opposizione al gruppo parlamentare franco-spagnuolo, fautore di un pronto riconoscimento di Franco, si è recentemente costituito in seno alla Camera un altro gruppo cosidetto di amicizia franco-spagnuola. Ispirata ed animata da Blum, questa nuova combinazione parlamentare, a cui hanno aderito tutti i deputati socialisti, comunisti ed una frazione radicale di sinistra, mirava a portare in Parlamento l'espressione di quella tendenza di ostilità ad un riconoscimento della Spagna Nazionalista che non fosse subordinato alla evacuazione totale dei volontari italiani ed alla concessione di una larga amnistia per tutti i militanti e combattenti del regime rosso.

La loro tesi è ispirata al principio che, riconoscendo Franco senza garanzie, il governo francese non fa che riconoscere l'influenza italiana in Spagna e che pura illusione è la pretesa dei governi francese ed inglese di poter staccare la nuova Spagna dall'Asse attraverso un ripiegamento compiacente di fronte al contegno intransigente del dittatore spagnuolo.

Consci della pressione inglese per una rapida ripresa delle relazioni diplomatiche con Franco e della decisione conseguentemente maturata nel giudizio di Daladier

di far buon viso a cattiva sorte nella liquidazione della questione spagnuola, il gruppo parlamentare in questione ha tentato ieri l'ultima manovra per intralciare la prossima decisione del Consiglio dei Ministri. Su richiesta di cinquanta deputati, il governo è stato interpellato sull'intenzione che esso aveva di riconoscere Franco mentre truppe italiane e tedesche restano ancora in territorio spagnolo. Un gruppo di deputati inglesi di sinistra, invitati appositamente per dar maggior risalto alla manifestazione, ha presenziato alla seduta di ieri, in segno di solidarietà con l'azione del gruppo parlamentare francese amico o della Spagna di Negrin.

Ai quattro deputati interpellanti, a nome del gruppo, ha risposto categoricamente il Presidente del Consiglio confermando la sua intenzione di procedere al riconoscimento di Franco.

Dopo avere ironicamente accennato alla presenza dei deputati inglesi, «precursori di un tempo in cui Camera francese e Camera dei Comuni potranno riunirsi insieme tanto al Palazzo Borbone come al Palazzo di Westminster ed in cui i membri del Consiglio dei due Paesi potranno deliberare in comune» egli ha motivato la sua decisione con le seguenti tre ragioni:

l) Terza frontiera da difendere. «Dopo la fine di gennaio, su 600 Km., dall'ovest all'est, noi abbiamo per vicino il governo del generale Franco.

Ed è perché io tengo a che la Francia non abbia una terza frontiera che io sostengo che l'interesse della Francia è di avere delle relazioni di buon vicinato con il governo effettivo che ormai è quello del generale Franco. La Spagna Repubblicana è ormai morta e solo l'intervento straniero potrebbe ridarle la vita».

2) L 'atteggiamento della Gran Bretagna. «lo so bene che il governo francese è padrone della sua politica e che la politica francese non è al rimorchio della politica estera di nessun altro Paese.

Ma infine considerate voi come trascurabile il fatto che noi siamo stati avvertiti, fin dal 22 febbraio, che il governo britannico considerava che l'ora era giunta e che non si doveva lasciarla passare, di riconoscere il governo del generale Franco, alcune dichiarazioni dello stesso generale essendo tali da dare soddisfazione».

3) Situazione internazionale del momento. «lo sono persuaso che noi avremo quest'anno un certo numero di difficoltà temibili da sormontare. lo sono persuaso che questo stesso anno la pace dovrà essere difesa con vigilanza. È perché io credo che la politica internazionale non è stabilizzata, precisamente perché io penso che delle gravi perturbazioni possono prodursi nelle settimane o nei mesi che seguono, che io preferisco che la Francia sia presente a Burgos, invece di essere assente».

Il Presidente del Consiglio ha chiesto quindi il rinvio della discussione ed ha posto la questione di fiducia. La Camera ha accettato la richiesta di Daladier ed ha approvato così implicitamente le sue dichiarazioni con una votazione di 323 voti favorevoli contro 261 sfavorevoli.

Con telespresso a parte trasmetto il resoconto parlamentare della seduta.

224 1 Il documento ha il visto di Mussolini.

226

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGU ESTERI, CIANO

TELESPR. 1630/471. Berlino, 25 febbraio 1939 (perv. il 27).

Parecchi giornali esteri, anche inglesi, tendono a dare alla missione del signor Ashton-Gwatkin1 un carattere oltrechè economico anche politico. II Times parla ad esempio di sondaggi da lui compiuti così in materia coloniale come in materia di disarmo.

L'informazione mi viene, da questo Auswartiges Amt, smentita. La missione Ashton-Gwatkin, si assicura qui. non ha toccato affatto la politica. se si astrae naturalmente dalle incidenze naturali quanto generiche sulla necessità di una migliore atmosfera politica come condizione per una effettiva e larga intesa economica.

Del resto, anche nel campo economico la missione del signor Ashton-Gwatkin è stata puramente esplorativa. Come non è stato apportatore di alcuna proposta concreta da Londra, così senza alcuna proposta concreta egli vi ritorna. Tuttavia, egli sarà certo messo in condizione, dai contatti avuti qui, di portare qualche utile indicazione al signor Stanley sul miglior modo di indirizzare le conversazioni che egli si appresta ad avere qui fra un paio di settimane.

Sul preciso contenuto delle «impressioni» riportate dal Ashton-Gwatkin a Londra mi riprometto domandare qualche informazione a questa ambasciata inglese2 .

227

L'AMBASCIATORE A SALAMANCA, VIOLA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 806/33 R. San Sebastiano, 27febbraio 1939, ore 23 (perv. ore 6,30 del 28).

Mio telespresso n. 263 del 23 corrente1•

Oggi tardo pomeriggio è stato pubblicato il comunicato 2 relativo alla conclusione delle conversazioni Bérard-Jordana confermante accordo3 in base restituzione di tutti beni e materiali comunque passati in Francia. Dettagli comunicati con telegramma Stefani Speciale. Riconoscimento, pur non essendo stato fino a questo momento comunicato a questo ministero degli Affari Esteri, è atteso da un momento ali'altro.

;· Il documento ha il visto di Musso lini.

2 Testo in Relazioni Internazionali, pp. 161-162.

3 Il testo degli Accordi Bérard-Jordana, sottoscritti il 25 febbraio 1939, è in DDF, vol. XIV, D. 211.

Riconoscimento de jure britannico ha già avuto luogo oggi precedendo, come da mio telegramma n. 023 4 , quello francese. Hodgson rimarrebbe qui ancora alcuni giorni.

226 1 In proposito si vedano il DD. 211, nota l, 220 e 244.

227 1 Vedi D. 221.

228

L'AMBASCIATORE PRESSO LA SANTA SEDE, PIGNATTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. S.N.D. PER CORRIERE 800/29 R. Roma, 27febbraio 1939 (perv. stesso giorno).

Mi sono incontrato col mio collega di Germania e ho avuto da lui diretta conferma di quanto ho riferito a Vostra Eccellenza con il mio telegramma s.n., di ieri1 . Il signor von Bergen ha avuto effettivamente assicurazione, da Berlino, che si farebbe tutto il possibile per frenare il linguaggio dei giornali. Il mio collega ha telegrafato nuovamente, oggi, per rinnovare la raccomandazione e insistendo perché la stampa tedesca mantenga un atteggiamento moderato anche verso il nuovo Papa «chiunque esso sia».

Ho richiamato l'attenzione dell'ambasciatore sul noto articolo dello Schwarzes Korps e su quello dell 'Angr(ff segnalatomi da S.E. il Sottosegretario di Stato con sua lettera di ieri n. 16302 . Il signor von Bergen li conosceva. Ha osservato essere, senza dubbio, spiacevole che gli sforzi del governo non avessero ancora raggiunto interamente lo scopo. Ha soggiunto di essere tuttavia sicuro della tendenza alla moderazione che prevale nelle sfere governative responsabili, tendenza condivisa dallo stesso Fuhrer.

Il signor von Bergen mi ha dichiarato di aver constatato un'identica tendenza nei porporati tedeschi. Aveva parlato con i cardinali Schulte e Faulhaber e li aveva trovati ben disposti. Essi lo avevano assicurato che avrebbero assunto in Conclave un atteggiamento conciliante. Il cardinale Bertram darebbe prova di maggiore vivacità ma, secondo l'ambasciatore, seguirà, alla fine, gli altri due suoi colleghi. Il cardinale Innitzer rappresenta un'incognita.

Il cardinale Schulte ha avuto tre conversazioni con il cardinale Pacelli e ne avrebbe avuto delle dichiarazioni molto esplicite per la Germania e nei nostri riguar

2 Non rintracciata. Gli articoli in questione, che contenevano dei durissimi attacchi contro il pontificato di Pio XI e contro il cardinale Pacelli come suo Segretario di Stato, erano stati segnalati dall'ambasciatore Atto\ico, il quale osservava come ancora una volta la stampa tedesca, nel fare una politica vaticana, formulasse le sue accuse in modo da coinvolgere l'Italia o addirittura parlando a nome dell'Italia (te l espresso \584/448 del 23 tèbbraio).

di. Il Camerlengo avrebbe espresso inequivocabili propositi di conciliazione, sia verso la Germania che verso di noi. Si direbbe, dunque, che il cardinale Pacelli ponga ormai la candidatura alla Sacra Tiara. L'osservazione mi è dettata dal fatto, che, proprio questa mattina, monsignor Tardini, parlando con il consigliere della R. Ambasciata, contemplava l'eventualità del rifiuto del Camerlengo di accettare l'elezione. Probabilmente si trattava di una manovra del Segretario per gli Affari Ecclesiastici per attirare simpatie sul nome di Pacelli.

Ho domandato all'ambasciatore se la candidatura Pacelli fosse ben vista dal suo governo. Mi ha risposto di avere tenuto Berlino al corrente di ogni cosa, di avere manifestato chiaramente la sua opinione favorevole al cardinale Pacelli e di non avere ricevuto istruzioni contrarie. Egli doveva dedurne che il suo governo vedesse di buon occhio la candidatura dell'ex Segretario di Stato.

Mi sembra ormai fuori di dubbio che la prima battaglia, in Conclave, si farà sul nome del Cardinale Camerlengo, il quale, come ho già detto in precedenti mie comunicazioni, riunirà molti volti di porporati stranieri. L'ostacolo alla di lui elezione sarà costituito dai cardinali italiani fra i quali non gode molte simpatie. La candidatura del Pacelli sarà patrocinata strenuamente dai cardinali Marchetti-Selvaggiani e La Puma. Si dice che se il nome del Cardinale Camerlengo incontrasse difficoltà, i voti dei suoi sostenitori si riverserebbero sul cardinale Maglione che gode di larghe simpatie nel Sacro Collegio.

Con questo non ho la pretesa di fare previsioni. Infatti oggi, come negli ultimi Conclavi, le maggiori probabilità sono per l'Ignoto.

227 4 T. per corriere 793/023 R. del 23 febbraio. Riferiva che da parte spagnola non si escludeva che la Gran Bretagna potesse procedere al riconoscimento del governo di Burgos senza attendere la conclusione delle trattative franco-spagnole.

228 1 T. per corriere s.n.d. 787/s.n. R. del 26 febbraio. Riferiva che l'ambasciatore di Germania aveva ricevuto comunicazione dal suo governo che la stampa tedesca avrebbe sospeso o almeno attenuato gli attacchi contro la Santa Sede. Provvedimento-osservava l'ambasciatore Pignatti-che una volta conosciuto dai cardinali poteva indurii a ritenere che esisteva qualche possibilità di intesa con il Reich. Il documento era stato inviato in visione a Musso\ini.

229

L'AMBASCIATORE AD ANKARA, DE PEPPO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 949/020 R. Ankara, 27febbraio 1939 (perv. il 7 marzo).

L'ottimismo che traspare dai comunicati ufficiali, dalle dichiarazioni dei ministri degli Esteri e dai brindisi scambiati nei banchetti di Bucarest e di Atene, sui risultati dell'ultimo convegno dell'Intesa Balcanica 1 è altrettanto ufficiale quanto artificiale. In realtà, il Consiglio non ha preso alcuna nuova decisione. Questo ministro di Bulgaria2 mi ha detto che il comunicato ufficiale ha dovuto tacere anche sul punto l o deli'ordine del giorno (prolungamento del patto), perché mentre i rappresentanti greco e turco desideravano che a Bucarest si facesse esplicita menzione della comune decisione di rinnovare il patto stesso, il rappresentante della Jugoslavia vi si è opposto considerando questa una inutile e inopportuna manifestazione. E si è caduti d'accordo sulla soluzione negativa, di astenersi cioè dal parlare ora di rinnovo ma consi

2 Todor Christov.

derare il patto implicitamente prolungato per altri 5 anni col non denunciarlo un anno

prima della scadenza (scade nel febbraio 1941).

La Bulgaria resta al di fuori del Patto.

Saracoglu dopo aver molto esitato se prendere la via di mare o la via di terra per recarsi al convegno, si è infine deciso per quest'ultima nell'illusione di poter personalmente influire su Kiosseivanov 3 e con la intenzione di accertare il minimo delle soddisfazioni da concedere alla Bulgaria per attirarla nell'Intesa. L'eventuale scotto era sempre e soltanto costituito dalla Dobrugia. Senonché la Romania si sarebbe in definitiva mostrata intransigente, asserendo che Re Caro! nel preciso momento in cui consolidava il trono e unificava gli spiriti non poteva far accettare dal Paese una cessione territoriale. E poiché la questione dello sbocco all'Egeo era già stata esclusa con la dichiarazione di Kiosseivanov al direttore del Cumhriyet sulla quale riferisco nel telespresso sui commenti della stampa\ il comunicato ufficiale della riunione di Bucarest ha ribadito l 'affermazione che la politica dell'Intesa Balcanica è basata sull'ordine territoriale e l' intangibilità delle frontiere. Le cose restano dunque al punto in cui erano.

Ma se la Romania ha ragione di diffidare dei suoi consociati greci e turchi, questi ultimi, a loro volta, diffidano della Jugoslavia. Quando Stojadinovié era al potere si aveva in Turchia la netta sensazione che la Jugoslavia a misura che si avvicinava all'asse Roma-Berlino (e nell'Asse, più a Roma che a Berlino) si distaccava dall'Intesa Balcanica. La caduta di Stojadinovié ha fatto veramente piacere in questi circoli dirigenti. Ma ora è subentrata la preoccupazione che la politica estera del nuovo gabinetto jugoslavo non si discosti da quella del precedente. Di qui il viaggio di Saracoglu a Belgrado5 con netto carattere di sondaggio. E poi le salve finali dell'incontro di Atené dove i due amici sentono ancora il bisogno di gridare i loro sentimenti come per persuadersi che sono sinceri7 .

229 1 Del 20-22 febbraio, a Bucarest.

230

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLI CO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

LETTERA SEGRETA 1664. Berlino, 27febbraio 19391•

Mi permetto inviarTi copia di un appunto preparatomi da Renzetti sopra una conversazione da lui avuta con Koemer. il più immediato rappresentante di Goring nella organizzazione del Piano Quadriennale e intimo amico suo.

4 Tel espresso 455/256 del l o marzo, non pubblicato.

5 Il 24 febbraio.

6 Il 26 febbraio.

7 Circa i risultati della conferenza dell'Intesa Balcanica, anche il ministro a Bucarest, Ghigi, notava (T. per corriere 801/011 R. del 23 febbraio) che, come era impressione diffusa, la riunione non sembrava aver portato a risultati concreti, mentre i legami tra i quattro componenti dell'Intesa apparivano ormai così tenui da far ritenere che non avrebbero retto di fronte a prove decisive.

La conversazione è interessante come sintomo dell'indirizzo pacifista dell'attuale politica estera tedesca, che trova conferma in continue espressioni dello stesso ministro degli Esteri. Ribbentrop si esprimeva or non è molto in questo senso anche con me.

L'informazione Renzetti va opportunamente integrata con una constatazione -senza la quale non sarebbe completamente chiara -ed è che, nonostante tutto, qui -come del resto è dimostrato dalla stessa attitudine della stampa -si è molto preoccupati del riarmo inglese2 .

ALLEGATO

IL CONSOLE GENERALE A BERLINO, RENZETTI, ALL'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO

APPUNTO. Berlino. 21 febbraio 1939.

Ho avuto oggi una lunga conversazione con il Sottosegretario Koemer che, com'è noto, è l'amico più intimo di Goring ed il suo Stellvertreter nella direzione del piano quadriennale. Nell'intento di conoscere il suo pensiero su di un argomento che oggi interessa molto le classi industriali, finanziarie e militari tedesche, dopo aver parlato di questioni riguardanti il lavoro enorme che egli deve compiere, (sono suo amico da undici anni circa), gli ho porto le mie felicitazioni per quello che ho chiamato un successo tedesco e cioè per aver indotto gli inglesi a mandare personalità in Germania allo scopo di intavolare discussioni e trattative commerciali3 Ho trovato però il mio interlocutore molto scettico sull'esito delle trattative stesse dalle guaii egli ritiene che non sortirà che «ben poco». Bisogna distruggere la potenza inglese, egli ha esclamato, per poter vivere in pace, in Europa!

Gli ho allora domandato se riteneva opportuna, oggi, una azione contro l'Inghilterra. Egli mi ha risposto: non oggi perché noi non siamo ancora pronti.

È un concetto, quello espresso dal Koemer, (non va dimenticato che egli s'ispira sostanzialmente alle opinioni del suo Capo: pur possedendo intelligenza e individualità, egli è pur sempre il Segretario di Goring), è un concetto ripeto, tutto altro che nuovo. Goring me lo ha espresso in passato più di una volta, affermando anzi che la Germania sarà pronta soltanto nel 1941. Si noti tuttavia che tale opinione non ha espresso nelle giornate di settembre, allorché egli affe1mava invece che la Germania era pronta ad invadere la Cecoslovacchia, senza menomamente preoccuparsi dell'Inghilterra quasi disarmata. È ben vero che tale opinione rappresenta una tipica manifestazione della mentalità tedesca, ricercatrice sempre di quanto è compiutamente organizzato, programmato nei minuti particolari, in una parola perfetto (l'idea che una preparazione è sempre relativamente completa e perfetta e mai assolutamente non è sempre sentita o compresa); mi pare tuttavia che una tale opinione costituisca oggi quasi una scusa ricercata e poi presentata o da presentare allo scopo di non impegnarsi nella eventualità di un cimento, e sopratutto di un cimento che non serva immediatamente i fini propriamente tedeschi.

Io ho l'impressione che Hitler, come ho avuto occasione di dire molte volte in passato, cercherà di ricorrere alla guerra solo se assolutamente non potrà fame a meno e solo se si tratterà di proteggere chiaramente gli interessi tedeschi. Egli sente che il suo popolo non desidera la guerra e chi sa

quale influenza su di lui abbia il popolo di cui Egli si sente il fiduciario, giunge facilmente alla deduzione che il Fiihrer nulla farà di quanto non sia veramente popolare. Hitler ha già potuto constatare come nel settembre scorso l'idea del conflitto non abbia suscitato alcun entusiasmo: d'altra parte, egli ha in orrore di far versare del sangue alle masse che in lui ripongono tanta fiducia. Pertanto, Egli muoverà in guerra-ripeto che ciò non rappresenta che una semplice mia impressione -solo o se sarà certo di stravincere, o se verrà provocato, ovvero se si apriranno per la Germania degli orizzonti tali da entusiasmare anche coloro che oggi sono tutt'altro che propensi ad Lm conflitto armato.

Con il Koerner abbiamo parlato anche della Spagna: gli ho detto che occorre colà che italiani e tedeschi lavorino notevolmente, senza darlo troppo a vedere, di comune accordo, poiché certamente un nugolo di elementi dei vari «servizi» francesi ed inglesi inonderà la Spagna, come a suo tempo avevano invaso la Germania, al fine di controllare esattamente l'attività e i risultati raggiunti da Italia e Germania e al fine di attrarre poco a poco gli spagnoli nell'orbita dell'economia e della finanza delle due democrazie. Egli mi ha assicurato che Gèiring è di tale avviso e che d'altra parte di tale argomento si intratterrà con il Duce prossimamente.

229 3 Con il quale si era incontrato il 19 febbraio a Filippopoli.

230 1 Manca l'indicazione della data di arrivo.

230 2 Il documento fu inviato in visione a Mussolini. 3 Riferimento alla missione di Ashton-Gwatkin (vedi D. 211, nota !). Su di essa si vedano i DD. 220, 226 e 244.

231

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, BASTIAN IN I, ALL'INCARICATO D'AFFARI A LONDRA, CROLLA

T.l58/25R. Roma, 28jèbbraio 1939, ore 20,50.

Presi ordini superiori ho convocato ieri l'ambasciatore d'Inghilterra e gli ho fatto la seguente comunicazione:

«In presenza dell'ingente aumento di forze e materiale bellico che il governo francese sta effettuando in Africa, il governo italiano prevede che si troverà nella necessità di dover accrescere adeguatamente i propri effettivi e i propri mezzi militari in Libia».

Vi prego di fare una comunicazione dello stesso tenore a codesto governo 1•

232

L'INCARICATO D'AFFARI A LONDRA, CROLLA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 1263/5651 . Londra, 28febbraio 19392 .

Telespresso di V.E. n. 205033/c. del 17 febbraio3 . Ho fatto al Foreign Office la comunicazione prescrittami, accennando alle voci corse a Parigi circa un sondaggio che il Quai d'Orsay avrebbe svolto a Londra per

2 Manca l'indicazione della data di arrivo.

3 Non rintracciato.

appurare l'atteggiamento del governo Britannico nel caso di una occupazione francese del promontorio di Sheikh-Said, citando gli articoli apparsi recentemente al riguardo nella stampa francese e per ultimo nell'Action Française. Ho fatto presente che il Governo Fascista, sia per la situazione di diritto e di fatto da tempo creatasi nello Yemen, sia sulla base degli accordi itala-britannici del 16 aprile 1938, non potrebbe che considerare priva di ogni [fondamen]to qualsiasi pretesa francese su Sceik-Said, e non po[trebbe] ammettere che tale località, parte integrante dello Sta[to Yem]enita, fosse occupata, né dalla Francia, né da alcuna altra [Potenza].

[Ho] soggiunto infine che il Governo Fascista non dubita [che il g]overno Britannico, conformemente agli impegni presi nell'Accordo del 16 apr[ile ], sia nello stesso ordine di idee del governo Italiano.

Il Foreign Office mi ha risposto che non erano naturalmente sfuggiti alla sua attenzione gli articoli della stampa francese incitanti alla occupazione di Sheikh-Said, ma che ad esso non risultava che alcun passo o sondaggio al riguardo fosse stato sinora fatto a Londra dal Quai d'Orsay. Comunque, il Foreign Office ha aggiunto, il governo Britannico che ha firmato l'Accordo del 16 aprile, non può che condividere in tale questione l'opinione del governo Italiano, che cioè Sceik-Said fa parte integrante dello Stato Yemenita e non deve essere occupato da alcuna altra Potenza.

231 1 Sul relativo passo di Crolla si veda il D. 243.

232 1 Il documento è danneggiato dall'umidità.

233

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

RAPPORTO SEGRETO 1708. Berlino, 28 febbraio 1939 1•

Mio telegramma filo n. 101 2 •

Ribbentrop -che è stato a letto con influenza per una settimana -si è rimesso in circolazione oggi, sia per attendere all'inaugurazione di una grande esposizione di arte giapponese cui è intervenuto anche il Fiihrer, sia per prendere contatti con Lipski a proposito dei recenti disordini antitedeschi in Polonia.

Ne ho profittato per vederlo anche io. È ancora un po' sofferente e riceve ancora fuori ufficio. Gli ho fatto parte del contenuto del telegramma dell'E.V. in data 23 corrente

n. 753 . Egli mi è parso da principio un po' esitante. Ha dinanzi a sé il quadro -che nella sua mente va di giorno in giorno completando -degli accordi militari, economici, di stampa, triangolari. E poiché ne ritiene la realizzazione immediata o quasi, egli non vede quadri diversi o minori. Aveva per questo domandato 24 ore di tempo per considerare la cosa e darmi una risposta.

2 T. 817/101 R. del28 febbraio. Riferiva che von Ribbentrop si era mostrato in linea di massima d'accordo circa l'avvio di conversazioni tra gli Stati Maggiori e che sull'argomento avrebbe riferito più ampiamente per corriere.

3 Vedi D. 217.

Gli ho allora preliminarmente domandato come stessero le cose col Giappone. La nota commissione è arrivata qui da Tokio ieri sera. Quali istruzioni aveva portato? Ribbentrop non ne sapeva ancora nulla. Mi ha detto anzi avergli Oshima fatto sapere che potrà discutere con lui della situazione fra un paio di giorni. A qualche mio segno di sorpresa per questo, Ribbentrop mi ha ripetuto che egli era sicuro del risultato finale, che in ogni modo aveva fatto capire ben chiaro ad Oshima che, allo stato delle cose, non vi erano che due soluzioni possibili: o un'alleanza militare o niente. Bisognava insistere sopra un'alleanza militare e per questa e su questa «stand or fall». In caso di complicazioni era già previsto che Oshima avrebbe preso un aeroplano e sarebbe andato egli stesso personalmente a Tokio. Ma, tutto questo, ad abundantiam, poiché Ribbentrop riteneva che, pure attraverso le inevitabili lungaggini orientali, si sarebbe concluso, e subito.

Ho risposto che non mettevo in dubbio che così sarebbe stato e che in ogni modo questo era il mio, come il suo, augurio ma che, anche ammessa una conclusione positiva e rapida, non vedevo come la triangolarità del quadro avrebbe potuto seriamente influire su tutto il lavoro preparatorio necessario per le intese italo-tedesche. È evidente che la collaborazione italo-tedesca avrebbe dovuto avere contenuto e carattere diversi da quella italo-nipponica e gennano-nipponica. Mentre queste ultime due avrebbero potuto essere sopratutto navali ed aeree, la cooperazione italatedesca avrebbe dovuto essere, prima di ogni altro, terrestre. Non era bene cominciare per lo meno a scegliere gli esponenti personali destinati a prendere reciproco contatto in materia, dando a questi il tempo di abbozzare un piano, costituire gli organi di collegamento per ogni singola arma etc., etc.? Sarebbe tutto tempo guadagnato.

Ribbentrop ha convenuto nella giustezza di queste osservazioni, dicendo quindi che era senz'altro in massima d'accordo e si riservava di darmi una risposta più precisa al più presto. Frattanto, del resto, la situazione giapponese si sarà chiarita ed ogni altra preoccupazione scomparsa.

La conversazione si è quindi volta verso altri argomenti, di cui riferisco a parte4 .

Lo stesso 28 febbraio, il consigliere Magistrati chiese all'ambasciatore Oshima qualche notizia circa i primi contatti da lui avuti con i tre inviati del governo di Tokio giunti il giorno prima a Berlino. L'appunto su questo colloquio redatto da Magistrati fu trasmesso a Roma da Attolico con rapporto 1717 del l a marzo che non è stato rintracciato. Il suo contenuto è così riassunto da Mario Toscano (in Le origini diplomatiche del Patto d'Acciaio, Firenze 1956, p. 145): «11 generale Oshima, nel rispondere che tali conversazioni sarebbero continuate nei giorni successivi, diede però nel complesso l'impressione di non essere rimasto completamente soddisfatto dei primi contatti e delle istruzioni ricevute. Egli infatti aveva osservato: "nel nostro Paese ci sono ancora elementi deboli". Magistrati chiese anche se in Giappone fosse stata considerata l'eventualità che tra le due Potenze europee del Triangolo, Italia e Germania, si dovesse giungere, ad un certo momento, ad una qualche forma atta rendere sempre più precisi e stretti i rapporti di amicizia già esistenti. In questo caso il Giappone avrebbe finito per restare, sempre all'interno del Triangolo, su di un piano un po' diverso.

Oshima rispose di essersi già prospettata una tale eventualità e di essere convinto della necessità che le Potenze del Triangolo fossero legate da identici vincoli e da identici impegni. Ragione per la quale egli si proponeva di non tralasciare alcuno sforzo per rimuovere a Tokio qualsiasi ostacolo dovesse ancora frapporsi al raggiungimento di quella forma di alleanza fra i tre Paesi della quale tanto egli che von Ribbentrop erano convinti sostenitori».

233 1 Manca l'indicazione della data di arrivo.

233 4 Il documento ha il visto di Musso lini.

234

IL CONSOLE GENERALE A INNSBRUCK, ROMANO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

RAPPORTO RISERVATO 3561/129. Innsbruck, 28febbraio 1939 (perv. il 2 marzo).

Di seguito al mio rapporto n. 62 I /21 del l Ogennaio u.s. 1 mi onoro comunicare a V. E. quanto segue circa la situazione religiosa in questa circoscrizione consolare.

Procedendo nella loro azione contro le istituzioni religiose, queste autorità hanno chiuso recentemente il Mannerheim (ricovero per indigenti) sito nel quartiere di Saggen in Innsbruck. e l'hanno ceduto all'Ufficio delle Imposte. Il Vescovo Rush non ha potuto evitare il provvedimento, pur avendo mostrato anche in questa occasione una energia ed un vigore tali da divenire ancora più inviso al Partito, che desidera allontanarlo. Così pure, nonostante i suoi tentativi per impedirlo, tutti i locali del Collegio Canisianum, in seguito ad intervento del Ministero dell'Interno di Berlino, saranno occupati da Uffici pubblici a partire dal lo marzo, salvo la Cappella che verrà sigillata. Per effetto delle pressioni del Partito la Facoltà di Teologia funziona in modo sempre più ridotto nella sede dei Gesuiti e vede assottigliare il numero degli studenti: in questi ambienti poi si ritiene che essa non avrà modo di esplicare la sua attività neppure in Svizzera, per l'ostilità che incontra anche colà. Questa stampa infatti si compiace di riportare articoli pubblicati dai giornali elvetici per protestare contro lo stabilirsi dei gesuiti nel loro Paese (V. ali. I).

Secondo ebbi già a riferire, venne chiuso tempo fa il collegio Stella Mattutina tenuto dai gesuiti a Feldkirch (Vorarlberg) ed i suoi locali furono destinati ad una Scuola di Finanza. Questa ospita ormai più di cento allievi, tutti sudetici, che saranno istruiti per l'istradamento ai pubblici impieghi. All'inaugurazione dei corsi il Direttore Superiore di Finanza disse fra l 'altro nel suo discorso che l'edificio, «una volta baluardo del cattolicesimo politico, servirà ormai a propagare le idee naziste».

La massima parte del convento delle Orsoline in Innsbruck è stata occupata dall'Amministrazione dell'Esercito, che era disposta a corrispondere alle suore un conveniente indennizzo mensile. Il Partito però ne ha ridotto l'ammontare a soli 200 marchi al mese, di guisa che le suore non possono più vivere, essendo stata loro tolta ogni possibilità di guadagno con la sospensione dell'insegnamento scolastico. Perciò una parte di esse si è recata all'estero, ed una parte si è ritirata in una tenuta agricola di proprietà del Convento nella Valle superiore d eli' I nn.

La morte di Pio Xl è stata appresa con grande costernazione da questi fedeli, i quali peraltro si son visti nell'impossibilità, data l'attuale situazione, di esternare pubblicamente i loro sentimenti di cordoglio. Così si sono avute soltanto commemorazioni nelle chiese, spesso riservate al solo clero, e timide esposizioni di drappi neri sulle facciate degli edifici ecclesiastici, ma non sulle case private, dove invece, per ordine delle Autorità, era stata esposta la bandiera nazionale per festeggiare le vittorie riportate alle gare internazionali di sci.

La stampa non ha pubblicato che brevi articoli sul Pontefice defunto, mettendo in rilievo il contrasto sorto fra la Chiesa e gli Stati autoritari, che Pio XI non seppe comprendere, come dimostra da ultimo la sua enciclica Summa cum cura diretta contro la politica razzista. Unisco l'articolo apparso sulla Neueste Zeitung, organo del Partito. Inoltre i giornali pubblicano di tanto in tanto, in questi giorni, dei cenni storici sulla Chiesa e delle indicazioni sull'organizzazione del Conclave2 .

234 1 Riferiva che, a causa delle misure prese dalle autorità locali, la Facoltà Pontificia di Teologia di Innsbruck si apprestava a trasferirsi in Svizzera, mentre altre istituzioni cattoliche correvano il rischio di essere soppresse. In precedenza, il console Romano aveva già riferito (rapporto 10837/!00 del 15 dicembre 1938) sull'azione delle autorità naziste in campo religioso per concludere: {{Un forte malumore regna fra la popolazione del Tirolo per questa grave situazione e molte avversioni ne derivano al Regime. I contadini sono fra i più irritati e non c'è dubbio che, prima di lasciarsi privare della loro fede, opporranno la più tenace resistenza, anche se soltanto passiva. La normale frequenza delle chiese dimostra in modo sicuro che il generale attaccamento alla religione non è stato scosso da tutti i provvedimenti adottati».

235

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 1728/498. Berlino, l o marzo 19 3 9 (perv. il 3).

Nella mia conversazione di ieri l, Ribbentrop mi ha parlato egli stesso di sua iniziativa dei disordini polacchi. Me ne ha rifatto la storia, che all'E.V. è nota, sorvolando però alquanto sulla loro origine, vale a dire sopra i fatti di Danzica. Egli ha tenuto a sottolineare che sia per amicizia verso la Polonia, sia per riguardo all'E.V., nonostante le pressioni dei circoli competenti e dello stesso Partito, aveva assolutamente evitato ogni commento di stampa. L'atteggiamento polacco era stato però diverso, tanto che parecchi giornali abbastanza importanti della Polonia avevano invece pubblicato resoconti piuttosto ampi di quanto era accaduto, mettendo anche in evidenza la connivenza di una parte, per lo meno, degli elementi ufficiali e militari coi dimostranti.

Ribbentrop si riprometteva di chiamare ieri stesso l'Ambasciatore di Polonia. Lipski. per dirgli che se il governo polacco non fosse riuscito ad arrestare immediatamente e nettamente i disordini e nello stesso tempo a far tacere la propria stampa. egli da parte sua non solo avrebbe lasciato libero corso alla stampa tedesca. ma non avrebbe potuto neanche escludere rappresaglie su cittadini e beni polacchi in Germania.

L'Ambasciatore Lipski entrò da Ribbentrop subito dopo di me. Ribbentrop gli ha effettivamente parlato nei termini di cui sopra sottolineando anche che alla base di tutto questo esisteva da parte polacca una mancanza di prospettiva sopra quelli che potevano essere i legittimi interessi-economici della Polonia su Danzica.

Da parte di Lipski. peraltro. è stato fatto osservare a Ribbentrop che nessuno più di lui e dello stesso ministro Beck deplorava quanto era accaduto, ma che non

235 1 Vedi D. 233.

bisognava dimenticare che all'origine di tutto vi erano degli insulti veri e propri lanciati da Tedeschi di Danzica ai Polacchi. Anche ieri dieci studenti polacchi della Città Libera erano stati seriamente e gravemente malmenati dai Tedeschi. Se il governo tedesco si sentiva di poter fare immediatamente cessare tutto questo, il governo polacco avrebbe garantito di poter far altrettanto per parte sua.

Il signor Lipski deve essere per altro rimasto un po' preoccupato della conversazione avuta, perché ieri sera stessa cercava ansiosamente di raggiungere, attraverso il Sottosegretario Korner, il Maresciallo Goring, onde pregarlo di intervenire nella questione. Egli ha pure deciso di partire quanto prima per conferire con Beck.

Debbo aggiungere che la notizia dei disordini antitedeschi accaduti in Polonia ha avuto molta eco nei circoli diplomatici. Parecchi colleghi che ho incontrato ieri sera se ne sono mostrati piuttosto allarmati. La rapidità e la violenza con cui i disordini sono scoppiati e si sono manifestati sono giudicati come un sintomo rivelatore di tutta una situazione che non è completamente sana e forse non è -nonostante gli sforzi evidenti e decisi dei due governi interessati -completamente sanabile.

Negli ambienti giornalistici si insiste poi nel mettere in evidenza che il sostrato di tutta questa effervescenza polacca va ricercato, oltre che nei fatti occasionali occorsi ultimamente a Danzica, anche nella psicologia di sospetto creatasi in Polonia nei riguardi delle aspirazioni e dei programmi ucraini della Germania. È bensì vero che il Fiihrer ha recentemente dato in proposito le maggiori assicurazioni, dichiarando che, ove mai un'intesa politica con la Polonia fosse possibile a proposito di Danzica (sulla base di un riconoscimento definitivo del carattere tedesco della città e della concessione di una autostrada uso Cecoslovacchia, capace di ricongiungere la Prussia orientale con la Germania), egli sarebbe disposto a contemplare una soluzione della questione ucraina solamente in funzione degli interessi polacchi. Ma tant'è: queste assicurazioni dall'alto non debbono, si dice, essere penetrate nella massa, tanto più poi che il sospetto di questa trae alimento anche dalla stessa resistenza tedesca all'auspicata comunione di frontiera fra la Polonia e l'Ungheria, resistenza assunta a simbolo delle più vaste ambizioni ucraine della Germania.

Ciò nonostante tuttavia io ritengo per quanto riguarda gli incidenti attuali ch'essi saranno pur con qualche difficoltà, soddisfacentemente liguidati. Resterà. però. e non si potrà trascurare. il fermento di cui gli incidenti stessi sono stati il segno rivelatore 2 .

Sulle manifestazioni antitedesche in Polonia riferiva anche l'ambasciatore Arone con telespresso 5501181 del 3 marzo. Gli incidenti -precisava-si erano avuti soprattutto negli ambienti studenteschi che erano stati sobillati dal partito nazionalista. Risultava chiaro che il governo aveva fatto tutto il possibile per impedire o comunque per porre un freno a quelle manifestazioni.

234 2 Il documento ha il visto di Mussolini.

235 2 Il documento ha il visto di Mussolini.

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L'AMBASCIATORE A SALAMANCA, VIOLA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 1336/305. San Sebastiano, ] 0 marzo 1939 (perv. il 4).

Oggi a Burgos, poco prima che io fossi introdotto dal Generalissimo, si era sparsa la voce che era stato segnalato da Madrid un aereo trasportante alcuni plenipotenziari rossi per trattare la resa, e che, anzi, era stato impartito alla difesa antiaerea l'ordine di non sparare.

Ne ho pertanto fatta parola al Generalissimo ed egli mi ha confermato che un messaggio del genere era pervenuto fin da ieri sera attraverso una comunicazione radio ma in forma alquanto vaga, così da non poter garantirne l'autenticità, e che, ad ogni modo, l'aereo fin a quel momento non si era visto.

Prendendo occasione da quanto precede, Franco mi ha ripetuto che tutti questi armeggii lo lasciavano indifferente. Egli non cerca, né ha bisogno di una resa. Francia e Inghilterra hanno creduto di presentargli la prospettiva di una resa, ottenuta coi loro buoni uffici, quasi come un allettamento per spingerlo a ristabilire rapporti di amicizia con Parigi e Londra. Egli crede aver dimostrato che tanto poco gli importava la resa dei rossi che egli è addivenuto al riconoscimento anglo-francese all'infuori di tali preoccupazioni, ponendo invece a base di tale riconoscimento le altre ben note condizioni, e solo quando queste furono completamente accettate.

Non può consentire che una resa a discrezione e si riserverà di usare la possibile clemenza. Con Londra non è andato più in là di questo affidamento. Del resto altro è una resa firmata, ad es., da Negrin, ed altro è essere garantito che le condizioni di resa saranno eseguite. Chi lo assicura che egli non troverà poi resistenza nelle altre parti della residua Spagna rossa?

Egli dovrà, in ogni caso, occupare tutto il Paese, provvedere all'ordine, prendere possesso degli armamenti, della flotta, dei beni pubblici in genere. Epperò, tanto vale continuare le operazioni e finire la conquista del Paese da vincitore. Se davanti alle sue baionette non troverà che poca e nessuna resistenza, tanto meglio.

Franco ritiene che il trasporto e lo schieramento dei Corpi d'esercito dal Nord al Centro, alquanto ritardati nella zona pirenaica dalle interruzioni stradali e ferroviarie dovute al nemico, potranno essere compiuti in una diecina di giorni.

Il Corpo Marroquì ha già preso possesso del suo settore, e il Corpo di Navarra sarà a posto domani.

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L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

LETTERA SEGRETA 1721. Berlino, 1° marzo 1939 (perv. il 4). Rispondo alla tua del 21 febbraio n. I 568 1 .

I rilievi del corrispondente berlinese del Journal, se riferiti agli ambienti e persone di governo, sono certamente falsi. Non così, invece, se riferiti a quello che si usa chiamare d'uomo della strada», che già contrario nel settembre ad una guerra per i sudeti-e dopo di allora educato all'idea che la Germania, non avendo altre rivendicazioni da far valere, può ormai sperare in «lunghi periodi di pace»-non saprebbe addirittura concepire una guerra cui fosse chiamato per altri.

Informazioni in questo senso io ricevo anche da diplomatici di provata amicizia e sincerità. Esse concordano del resto con quelle di Pecori, McCormik, Renzetti, d'Aquino già da me segnalate precedentemente.

Aggiungo che, da settembre a questa parte, la situazione economico-commerciale della Germania è indubbiamente peggiorata. A Helsinki, il marco viene quotato a Lire 2,752•

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L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 866/1 06 R. Berlino, 2 marzo 1939, ore 22,30 (perv. ore 0,35 del 3).

In data 8 febbraio u.s., e cioè prima ancora che governo cecoslovacco facesse noto passo presso le Potenze conferenza di Monaco di Baviera (mio telegramma

n. 91)1, governo inglese ha diretto a quello tedesco una nota2 in cui, prendendo le mosse da conversazioni romane di Chamberlain, domandava pensiero Germania in merito garanzia nuove frontiere Cecoslovacchia.

A questa nota dell'8 febbraio u.s. e ad analoga francese3 in pari data ha risposto oggi governo tedesco sostanzialmente dichiarando questione non essere ancora matura.

2 Il documento ha il visto di Mussolini. 238 1 T. 728/91 R. del 22 febbraio. Dava notizia della presentazione a Berlino del promemoria del

governo cecoslovacco relativo alla garanzia delle frontiere (per il quale si veda il D. 2 l 6 ).

2 Testo in BD, vol. IV, D. 91.

3 Testo in DDF, vol. XI, D. 213.

Informo per corriere dettagliata risposta4 cui tenore sarà domani comunicato verbalmente anche ministro Mastny evitandosi così di dare sulla questione una risposta diretta tanto più per iscritto, al governo cecoslovacco.

237 1 Vedi D. 218 che è del23 febbraio.

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L'AMBASCIATORE A SALAMANCA, VIOLA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. S.N.D. 877/39 R. e S.N.D. 880/40 R. San Sebastiano, 2 marzo 1939, ore 23 (perv. ore 9,30 del 3).

Telegramma di V. E. n. 661• Ambasciatore di Germania, ministro del Giappone ed io siamo stati ricevuti da Franco presente ministro degli Affari Esteri. Ho preso la parola anche a nome dei colleghi sviluppando concetti contenuti nel telegramma a cui mi riferisco.

Franco ha dichiarato con molto calore che adesione della Spagna al Patto Anticomintem è orami acquisita e ci ha pregato dame formale assicurazione Duce, Fiihrer e governo giapponese. Adesione potrà essere firmata non appena definite formalità necessarie circa le quali ha dato istruzioni a Jordana di prendere intese con noi.

Circa pubblicità adesione ha invece rinnovato preghiera attendere fine guerra che in ogni caso deve considerarsi assai prossima. In proposito ha rilevato che Francia e Inghilterra sono state spinte al riconoscimento da forza circostanze ma si rendono conto che risentimento e ostilità permarranno contro di esse da parte governo e opinione pubblica Spagna Nazionale e perciò considerano per ora con diffidenza ulteriori atteggiamenti spagnoli. D'altronde, larghi strati opinione francese ed inglese sono rimasti decisamente ostili riconoscimento Spagna Nazionale. Pertanto, pubblicità adesione Patto Anticomintem potrebbe indurre governi di Londra e di Parigi, anche sotto spinta rispettive opinioni pubbliche, trapporre nuove difficoltà occulte o palesi al raggiungimento della completa vittoria militare e politica molto più che una qualche guerra è ancora in atto. Francia potrebbe ancora ostacolare restituzione averi e armamenti Spagna. Inghilterra potrebbe trovare il modo di tramare distruzione flotta rossa qualora le fosse offerto chiaro motivo di temere che questa-per quanto composta di sole 18 unità-costituirebbe un giorno in mano di Franco una forza navale nemica.

Specialmente quest'ultima considerazione di Franco ci è apparsa, fra le altre, di innegabile valore. Tali preoccupazioni del Generalissimo rivelano, d'altra parte, quali sentimenti di stima e di fiducia egli nutra per le due Potenze democratiche.

Comunque, soprattutto in vista del suo cordiale e leale impegno ad aderire al Patto, abbiamo creduto non fosse il caso insistere sulla fissazione di una data per la pubblicazione.

Ministro del Giappone aveva ricevuto ali 'ultimo momento istruzioni di insistere per simultaneità firma e pubblicazione, governo di Tokio ritenendo che atto adesione ha valore politico in quanto sia reso di pubblica ragione. Egli ha tenuto a manifestare questo punto di vista durante la riunione.

Jordana allora ha suggerito potersi in tal caso ritardare firma sino a quando adesione possa essere pubblicata.

Io e von Stohrer abbiamo invece nuovamente espresso gradimento nostri governi per decisione adottata da governo spagnolo ed espresso il parere non doversi ormai modificare.

A parte, abbiamo poi convinto il collega giapponese a non insistere ed a promuovere fra breve dal suo governo nuove istruzioni che gli permettano agire in armonia con noi.

Vedrà V.E. se sia il caso fare giungere una parola a Tokio in questo senso.

Anche per quanto riguarda sollecito invio di istruzioni e pieni poteri a questo Rappresentante giapponese debbo insistere su convenienza di firmare al più presto per non dar tempo a possibili indiscrezioni che possano comunque scuotere la buona volontà di questo governo, mentre eventuali indiscrezioni dopo avvenuta firma e prima della pubblicazione non potrebbero avere ai nostri fini conseguenze importanti.

238 4 Il testo della risposta tedesca-datata 28 febbraio-è in DDT, vol. IV, D. 175. 239 1 Vedi D. 212, nota 3.

240

L'AMBASCIATORE PRESSO LA SANTA SEDE, PIGNATTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. S.N.D. PER CORRIERE 882/32 R. Roma, 2 marzo 1939 (perv. il 3).

L'elezione di Pio XIII è stata facilitata dal fatto che il cardinale Pacelli, prima di entrare in Conclave, ha lasciato chiaramente intendere che, s'egli era stato un fedele esecutore delle direttive dettate personalmente da Pio XI, aveva delle viste sue che non corrispondevano in tutto all'indirizzo del cessato pontificato, specialmente degli ultimi anni e che, se eletto Papa, avrebbe adottato una linea conciliativa. Per questo il Camerlengo ha potuto essere il candidato dei cardinali tedeschi come dei francesi e di quanti altri, e non erano pochi, non avevano approvata la rigidità e l'intransigenza di Pio XI nel trattare di alcune importanti questioni.

Per potere fare serie previsioni sul pontificato iniziatosi stasera, converrà aspettare che il Santo Padre scelga i prelati e gli uomini che debbono coadiuvarlo.

Il nuovo Papa ha indubbiamente un temperamento eminentemente religioso. Non credo abbia grande dimestichezza con la politica. L'ho potuto constatare in più occasioni e principalmente durante la guerra nell'Africa Orientale, in momenti in cui egli si trovava impacciato a redigere, d'urgenza, telegramma d'istruzione ai Nunzi. Tutti sanno, d'altra parte, che il Papa ha la passione pastorale e le Sue prediche sono documenti di alta

dottrina religiosa. Non è quindi improbabile che Pio XII dedichi prevalentemente la Sua attività al governo religioso della Chiesa a mezzo di Encicliche e indìca Concili.

Si deve tenere presente che il Concilio Vaticano, interrotto nel 1870 con la presa di Roma, non poté finire i suoi lavori. In alcune sfere ecclesiastiche si pensa che potrebbe e dovrebbe essere ripreso.

Ma, lo ripeto, sarà bene attendere che Pio XII abbia scelto i Suoi collaboratori e completata la Sua corte, per azzardare fondate previsioni.

240 1 Avvenuta lo stesso 2 marzo.

241

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

LETTERA 1737. Berlino, 2 marzo 1939 1•

Ritorno in questo momento dal pranzo del Fuhrer, dove ho incontrato Ribbentrop e Oshima allo stesso tempo. È preparata qui per domani una conferenza di ambasciatori nipponici (Londra, Roma, Bruxelles, Mosca). Essi dovrebbero discutere colla Missione arrivata da Tokio sul da fare.

A quanto ho potuto capire, le istruzioni di Tokio sarebbero a favore di un rafforzamento del triangolo, ma senza tuttavia arrivare ad una vera e propria alleanza militare.

Ribbentrop mi ha dichiarato che rifiuterà senz'altro qualunque compromesso. Oshima è completamente d'accordo con lui. Comunque, non prima di dopodomani si potrà sapere come si mettono definitivamente le cose ed io naturalmente mi affretterò ad inforrnartene. Ribbentrop si mostra sicuro di spuntarla.

Incidentalmente ti aggiungo che, avendo visto questa sera il Filhrer, gli ho parlato direttamente del desiderio del Duce di addivenire senz'altro alle intese fra gli Stati Maggiori. Egli è completamente d'accordo 2 .

2 Il documento ha il visto di Musso lini.

Sulle reazioni provocate a Roma dalla lentezza delle trattative per l'alleanza, vi è nel Diario di Ciano questa annotazione sotto la data del3 marzo: «Discutiamo a lungo [con il Duce] l'alleanza tripartita. Nuovi ritardi vengono frapposti dalla procedura e dal formalismo giapponesi. Il Duce è sempre più favorevole all'alleanza bilaterale con Berlino, lasciando fuori Tokio. Il Giappone alleato nostro spingerà defmitivamente gli Stati Uniti nelle braccia delle democrazie occidentali. Vuole accelerare l'alleanza i tal o-tedesca. Dice che il ritardo è stato causa di alcuni sgradevoli eventi degli ultimi tempi, quali la caduta di Stojadinovié. Ritiene peraltro che questi tornerà al potere quando noi firmeremo il patto con Berlino».

241 1 Manca l'indicazione della data di arrivo.

242

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. S.N.D. PER CORRIERE 900/024 R. Berlino, 3 marzo 1939 (perv. il 4).

Il barone Weizsacker mi comunica che il patto politico ispano-tedesco è ormai pronto e potrà essere firmato quanto prima. Il testo ne è rimasto, almeno nella parte essenziale, quasi esattamente nei termini di cui alla mia comunicazione del 25 gennaio 1939 n. 670/1971•

Nulla è stato deciso circa la pubblicazione del documento, pubblicazione la quale in ogni caso-se anche avverrà-non sarà mai precedente alla firma dell'atto di adesione spagnuola ali' Anticomintern.

Rimane anche inteso che, se e quando la pubblicazione del testo del patto fosse decisa, noi ne saremmo informati in antecedenza.

243

L'INCARICATO D'AFFARI A LONDRA, CROLLA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 9 J9/03 R. Londra, 3 marzo 1939 (perv. il 6). Telegramma di V.E. n. 251•

Riferisco ad ogni buon fine quanto mi ha detto Cadogan in relazione alla comunicazione fattagli (mio telegramma n. 86? circa il prevedibile adeguato incremento dei nostri effettivi e mezzi militari in Libia, in conseguenza dell'ingente aumento di materiale bellico e di forze che il governo francese sta effettuando in Africa.

Cadogan mi ha pregato di ringraziare V. E. per la cortese comunicazione che mi ha del resto confermato essergli già pervenuta per il tramite di Perth, ed è quindi venuto a parlare dell'aumento di forze francesi in Tunisia. Cadogan mi ha detto che il governo britannico aveva ripetutamente chiesto al governo francese particolareggiate informazioni su tali concentramenti, e che in seguito alle notizie ricevute ad esso risultava che:

l) nessun reparto di truppe è stato mosso dal Marocco verso la Tunisia; 2) l'aumento recente delle truppe che presidiano la Tunisia è stato praticamente insignificante;

3) si è viceversa verificato di recente un concentramento verso la frontiera libica di alcuni reparti che già si trovavano in Tunisia, nonché l'intensificato allestimento delle opere di difesa sulla frontiera;

2 T. 869/86 R. del 2 marzo con cui assicurava di avere fatto la comunicazione prescrittagli.

4) il governo francese ha dato ordini tassativi affinché le truppe si tengano a non meno di cinquanta chilometri dalla linea di frontiera, allo scopo di evitare ogni possibilità di incidenti.

Cadogan, dopo aver affermato che le notizie pubblicate dalla stampa francese e inglese sui preparativi militari francesi in Tunisia erano state molto esagerate e anzi falsate per un malinteso scopo di propaganda, ha soggiunto: «Naturalmente non spetta a nessun altro che al governo italiano di giudicare quali precise esigenze di carattere militare derivino da una determinata situazione politica, ai fini della tutela degli interessi dell'Italia. Lungi da me quindi ogni idea di voler esprimere un parere su di una questione che è di totale ed esclusiva pertinenza del vostro governo. Ho creduto soltanto di mettervi al corrente dei passi che abbiamo fatto a Parigi e di quanto ci è stato risposto».

Ho replicato a Cadogan che dovevo fare le mie riserve sulla attendibilità dei dati comunicati al Foreign Office dal Quai d'Orsay, il quale aveva naturalmente tutto interesse a diminuire nelle sue comunicazioni al governo britannico l'importanza delle misure militari prese in Tunisia. Io non potevo dunque che confermare le informazioni ottenute dal governo fascista sulla considerevole entità dei concentramenti militari francesi in Tunisia, i quali rendono necessarie adeguate e proporzionate misure difensive dall'altra parte della frontiera.

Cadogan mi ha quindi di sua iniziativa accennato alle fantasiose interpretazioni che in un primo momento si sono oggi diffuse a Londra circa la chiamata della classe 1918 in Italia. Cadogan mi ha detto che appena lette le notizie sensazionali di certe agenzie telegrafiche in merito a questa chiamata, egli ha telefonato a Perth per chiedergli di appurare e riferire di che cosa si trattasse.

Nel frattempo, però, e prima ancora di ricevere la risposta di Perth, egli aveva dato immediate disposizioni all'Ufficio Stampa del Foreign Office di avvertire le direzioni dei vari giornali che le notizie di una pretesa parziale mobilitazione erano da ritenere del tutto infondate.

242 1 Vedi D. l 06. 243 1 Vedi D. 231.

244

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLI CO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 1793/524. Berlino, 3 marzo 1939 (perv. il 4).

Sulle conversazioni berlinesi del signor Ashton-Gwatkin 1 mi sono ulteriormente intrattenuto con lo stesso Ribbentrop, il quale pur confermandomi che di politica in esse non si era parlato, mi ha d'altra parte fatto comprendere che ciò era stato più per volontà tedesca che non per desiderio inglese, dato che l' Ashton-Gwatkin era anzi

molto proclive a tastare il terreno in tutti i sensi. La via gli fu sbarrata da Ribbentrop, il quale gli disse chiaramente che non valeva la pena di parlare di quelle che potevano essere la buona volontà e le intenzioni dello stesso Primo Ministro inglese se questi per il primo non aveva la sicurezza di poterle accettare dal Parlamento e dal Paese. E poiché lo stesso Ashton-Gwatkin era il primo a riconoscere che così proprio stavano le cose e che quindi non riteneva che la situazione per ulteriori concessioni alla Germania fosse in Inghilterra matura, così Ribbentrop gli ha chiaramente detto che non era il caso di perdere tempo e di abbordare dei problemi come ad esempio quello coloniale in cui la posizione tedesca era ben nota, mentre era affatto sconosciuto se e quale fosse il programma inglese inteso a venirvi incontro. Ogni discussione politica fu quindi così lasciata cadere.

Ribbentrop mi ha detto che anche lo stesso Ambasciatore Henderson non ha portato con sé da Londra nessun programma e nessuna proposta concreta. Egli ha bensì insistito sulla necessità di intensificare i contatti, trovando per questo in Ribbentrop la migliore rispondenza. Un accenno però fatto da Henderson sulla opportunità di inviare in Germania in visita una «missione aeronautica» -rappresentativa -inglese fu da Ribbentrop fatto cadere.

Sulle conversazioni del signor Ashton-Gwatkin allego altresì un appunto preparatomi dal commendatore Ricciardi 2 , da me incaricato di conferire col signor Wiehl, capo dell'Ufficio Economico al Ministero degli Affari Esteri.

244 1 Si vedano in proposito i DD. 211, nota 1, 220 e 244.

245

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 1799/530. Berlino, 3 marzo 1939 (perv. il 4).

Secondo quanto l'Addetto Militare romeno qui residente 1 ha detto al nostro R.Addetto Militare, il Gabinetto jugoslavo Cvetkovié verrebbe in Romania considerato più favorevole alla Germania che all'Italia, in contrapposto con l'atteggiamento del Gabinetto Stojadinovié, ritenuto più favorevole all'Italia.

Circa l'Ungheria, i Romeni pensano che la pressione tedesca si fa sempre più forte. La Germania vi vedrebbe volentieri una riforma agraria, mentre d'altra parte si vorrebbe intensificata la lotta contro gli ebrei, soprattutto allo scopo di impedire lo sviluppo di un'industria ungherese, che si riterrebbe dannosa agli interessi tedeschi.

Le relazioni tedesco-polacche vengono considerate sempre incerte, soprattutto dopo le recenti dimostrazioni di Varsavia e di Posen. L'Addetto Militare romeno ha infine accennato a preparativi che sarebbero in corso in Austria per accogliere forti concentramenti di truppe. i quali a suo parere

245 1 T. Garbea.

sarebbero destinati ad esercitare una pressione sugli Stati danubiani e balcanici. nel momento in cui l'Italia esercitasse la massima pressione sulla Francia.

Di tali preparativi nulla risulta al nostro R. Addetto Militare, il quale ritiene che si tratta probabilmente di baraccamenti e caserme per la sistemazione dei normali presidi nella dislocazione assunta dopo la trasformazione del vecchio Esercito austriaco2 .

244 2 Non pubblicato.

246

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 1808/532. Berlino, 3 marzo 1939 (perv. il 4).

Mi trovavo, alle sei pomeridiane di ieri nella stanza del Barone Weizsacker, quando giunse la notizia dell'elezione del nuovo Papa. Contrariamente ad ogni mia aspettativa. la reazione del Segretario di Stato non fu. né di troppo grande. né di troppo sgradevole sorpresa. Evidentemente, l'ambasciata tedesca presso il Vaticano aveva dovuto dare per molto probabile l'elezione del cardinale Pacelli, donde non solo la mancata sorpresa, ma anche l'adattamento e la pacata considerazione della situazione che essa comportava.

Si fa osservare qui che il cardinale Pacelli è dopo tutto un molto fine diplomatico non solo. ma che. contrariamente a quello che si crede. non è uomo né di troppo grande. né di troppo forte volontà. Egli non è quindi, per natura, incline ad azioni politicamente troppo spinte e troppo estreme. Si aggiunge che in queste condizioni la scelta del Papa non è tutto e va considerata anche alla luce del porporato scelto alla carica di Cardinal Segretario. E ciò senza pensare ancora che il nuovo Papa, conscio di tutta la responsabilità che grava su di lui e avendo visto già gli effetti del conflitto fra Chiesa e Stati autoritari dichiarato dal suo predecessore, potrà valutarne le conseguenze ultime e quindi astenersi dali 'insistere in una politica oltranzista. Per quanto riguarda la Germania, si aveva qui nettamente l'impressione che, specialmente in questi ultimi tempi, il cardinale Pacelli fosse più uno spettatore che un attore.

Ad un analogo riserbo è ispirata l'attitudine della stampa tedesca odierna, la quale si guarda bene dal ripetere, non dico gli insulti già pubblicati tempo fa a proposito del cardinale Pacelli, ma anche le insinuazioni e i colpi di spillo in cui si compiaceva nelle stesse giornate del conclave.

Nei circoli diplomatici. invece, la nomina di Pio XII è stata considerata come un punto perduto per la Germania. Non si dà soltanto peso alla elezione della persona singola ma anche al sentimento che indubbiamente ha mosso il conclave nell'eleggerla. È evidente, si dice, che la maggioranza dei cardinali ha voluto, colla sua scelta, reagire, sopratutto, contro gli estremismi razzisti e le innovazioni nella morale reli

giosa praticate in questi ultimi tempi dagli Stati autoritari. Nè manca chi considera la elezione del cardinale Pacelli come un altro dei fatti che, aggiunti alla crisi jugoslava. a quella ungherese, ai disordini polacchi. etc., dimostra la tendenza attuale dello spirito pubblico in Europa.

A chi, però, mi diceva stamane questo, io mi sono limitato a domandare se non credesse che codeste cose fossero delle bazzecole in confronto di un solo fatto: quello della vittoria di Franco'.

245 2 Il documento ha il visto di Mussolini.

247

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. URGENTE 1821/539. Berlino, 3 marzo 1939 1•

Due giorni fa2 , il Segretario di Stato Weizsacker ha visto nuovamente l'Ambasciatore francese Coulondre, il quale gli ha manifestato le sue crescenti preoccupazioni per lo stato dei rapporti franco-italiani. La attuale tensione, egli ha detto, non può durare indefinitamente e deve pure sfociare in qualche cosa. La Francia è naturalmente, secondo Coulondre. pronta al peggio.

Interrogato sopra che cosa precisamente egli basasse questo suo crescente pessimismo, il Coulondre non ha saputo rispondere ed ha soltanto detto che «in Francia la marea monta».

Come già in precedenti occasioni, Weizsacker ha cercato di calmare il suo interlocutore, dichiarandogli di non vedere nella situazione alcun nuovo motivo di allarme3 .

248

L'AMBASCIATORE A PARIGI, GUARIGLIA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 1517/642. Parigi, 3 marzo 1939 (perv. il 7).

Segnalo a V.E. l'accluso articolo apparso sul Petit Journal che, come è noto, è l'organo del Partito Sociale Francese e che sintetizza quindi l'opinione di importanti ambienti nazionalisti, sulle rivendicazioni nazionali italiane.

Tale questione, dopo un periodo di relativo silenzio, dovuto all'evoluzione della crisi spagnola, continua a dominare nelle preoccupazioni e nelle discussioni dei circoli politici francesi.

Appare sempre più rafforzata la volontà di risolvere, ove possibile, le divergenze franco-italiane attraverso amichevoli negoziati che non dovrebbero negare giuste soddisfazioni alle esigenze italiane. Ogni cessione territoriale continua ad essere esclusa. ma il jamais viene espresso con un linguaggio già più moderato e meno provocatorio.

Lo stesso ministro degli Esteri avrebbe dichiarato alla Commissione degli Affari Esteri che il governo francese era pronto a riprendere le conversazioni con l'Italia nel quadro delle tivendicazioni giuridiche e territoriali che già avevano fatto oggetto di discussione nel corso delle trattative franco-italiane del 1935.

Da informazioni fiduciarie non controllate e che trasmetto ad ogni buon fine, parrebbe inoltre che nei circoli del Ministero degli Esteri sarebbe stata ventilata una nuova possibilità di regolamento delle divergenze franco-italiane, basata sulla cessione territoriale di Gibuti, sulla concessione dello statuto degli italiani in Tunisia e su un nuovo regime del Canale di Suez. Il governo francese dovrebbe essere autorizzato in compenso ad occupare Sheik-Said come scalo marittimo occorrentegli per il traffico con l'Indocina e col Madagascar1 .

246 1 Il documento ha il visto di Mussolini. 247 1 Manca l'indicazione della data di arrivo. 2 Il colloquio aveva avuto luogo il 28 febbraio: si veda il resoconto dell'ambasciatore Coulondre in DDF, vol. XIV, D. 227. 3 Il documento ha il visto di Mussolini.

249

L'AMBASCIATORE A MOSCA, ROSSO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 913/343. Mosca, 3 marzo 1939 (perv. il 13).

L'annunzio, prima, della venuta a Mosca di una delegazione commerciale britannica capeggiata dal Presidente dell' Overseas Trade Board, e poi il recente ricevimento all'ambasciata sovietica a Londra con l'intervento del Primo Ministro Chamberlain e di altri membri del governo, hanno creato qui l'impressione che fra U.R.S.S. e Gran Bretagna sia recentemente intervenuto un certo riavvicinamento politico.

Simile impressione viene avvalorata dalla attitudine del mio nuovo collega britannico, il quale ha iniziato la sua missione a Mosca da qualche settimana.

Nelle sue conversazioni, Sir William Seeds non mi ha nascosto la propria opinione personale favorevole ad una maggiore valorizzazione del tàttore sovietico, incominciando con un miglioramento delle relazioni commerciali. Egli non è del tutto sicuro che l'imminente visita di Hudson possa dare dei risultati concreti degni di nota perché si rende conto che, anche con le migliori intenzioni da entrambe le parti, un incremento degli scambi con l'U.R.S.S. può facilmente incontrare degli ostacoli

nel peculiare sistema economico sovietico e nelle scarse disponibilità su questo mercato di merci che possono interessare l'Inghilterra. Sir William si mostra tuttavia soddisfatto della semplice possibilità di negoziati commerciali, in quanto egli ne spera favorevoli ripercussioni sull'atmosfera politica fra i due Paesi.

Quanto al governo sovietico, io ho la sensazione che esso mantenga in questo momento l'attitudine di chi non intende fare la parte del sollecitatore, ma accetta di buon grado le aperture che gli vengono fatte.

Bisogna riconoscere che la posizione internazionale dell'U.R.S.S. è sensibilmente migliorata nel corso degli ultimi cinque mesi. Subito dopo Monaco, Mosca poteva giustamente temere un completo isolamento. In gennaio è però sopravvenuta l'iniziativa polacca, culminata nell'accordo Litvinov-Grzybowsky. Hanno seguito gli approcci tedeschi per l'inizio di trattative commerciali; poi la conclusione dell'accordo commerciale con l'Italia; poi ancora i negoziati commerciali con l'Iran e la Finlandia; ed ora infine la venuta di una delegazione britannica presieduta da una importante personalità del governo di Londra.

È vero che si tratta unicamente di attività nel campo economico, ma è ovvio che le trattative e gli accordi commerciali hanno i loro riflessi, più o meno diretti, anche nel campo politico.

Sta comunque di fatto che negli ambienti sovietici si percepisce un senso di aumentata fiducia e di maggiore ottimismo nei riguardi della situazione internazionale dell'U.R.S.S.

Io ho l'impressione che il governo sovietico abbia oggi la quasi certezza di non essere più minacciato -almeno per un certo tempo -né dalla Germania, né dalla Polonia, e che sia contemporaneamente persuaso che l'Inghilterra e la Francia saranno spinte dagli avvenimenti a dare un maggior peso all'amicizia con l'U.R.S.S. ed a cercarne quindi la collaborazione.

In queste condizioni l'unica effettiva minaccia sussiste da parte del Giappone, ma i dirigenti sovietici pensano che l'esercito giapponese, impegnato come è su un così vasto fronte in Cina, non si arrischierà a prendere l'iniziativa di una guerra contro l'U.R.S.S.

248 1 Il documento ha il visto di Mussolini.

250

IL MINISTRO AD ATENE, BOSCARELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

RAPPORTO RISERVATO 14 73/206. Atene, 3 marzo 1939 (perv. 1'8).

La recente sessione del Consiglio dell'Intesa Balcanica a Bucarest 1 ha dato luogo a varie visite ed incontri fra gli uomini di governo di questo settore d'Europa: il presidente Metaxas, nel suo viaggio verso la Romania, si è fermato a Belgrado2 per

2 Il 18 febbraio.

visitarvi il Principe Paolo e per intrattenersi coi nuovi ministri jugoslavi, mentre il ministro degli Affari Esteri di Turchia nell'andata si è incontrato a Filippopoli3 col presidente del Consiglio e col ministro degli Affari Esteri bulgari ed ha viaggiato per sei ore nello stesso treno con essi; e, nel ritorno, dopo essersi fermato a Belgrado4 , è venuto con Metaxas ad AteneS, dove è rimasto per due giorni fatto segno a manifestazioni di simpatia da parte del governo e del popolo greco.

Dalle conversazioni che ho avuto con lo stesso Metaxas, con colleghi balcanici e con alcuni funzionari che hanno preso parte ai viaggi, credo di poter fare le seguenti deduzioni:

l) Turchi, Romeni e Greci sono andati alla conferenza di Bucarest preoccupati dalle direttive impresse alla politica estera jugoslava dal passato governo di Stojadinovié, temendo che il loro ulteriore sviluppo, portando sempre più la Jugoslavia nell'orbita dell'asse Roma-Berlino, avrebbe finito per allontanarla completamente dall' Intesa Balcanica.

Non so se siano ritornati nei rispettivi Paesi del tutto tranquillizzati a tale proposito. Essi hanno bensì ottenuto dal Principe Paolo e dai nuovi governanti jugoslavi assicurazioni sul desiderio della Jugoslavia di permanere nell'Intesa, ma non sono riusciti ad ottenere la rinnovazione anticipata del patto che concordemente chiedevano. A tale proposito mi risulta anzi che il Principe Paolo è stato ugualmente categorico nel suo rifiuto tanto col presidente Metaxas quanto col ministro turco Saracoglu.

2) Alla Romania sarebbe stata data o rinnovata da parte degli Jugoslavi l'assicurazione che la Jugoslavia non avrebbe firmato alcun patto con l'Ungheria senza prima prevenirla.

3) Né la Grecia, né la Romania, né la Turchia sarebbero riuscite ad ottenere che nel comunicato finale fosse inclusa una frase per rinnovare l'assicurazione del rispetto dello statu quo territoriale e delle frontiere reciproche. Il che avrebbe indotto i vari ministri -Metaxas specialmente -ad insistere nei loro brindisi o nelle loro comunicazioni alla stampa su tale concetto con parole assai più nette di quelle finora adoperate.

4) Il patto di Salonicco6 che i convegni di Monaco e di Vienna sembravano aver relegato nella categoria di quegli accordi platonici il cui spirito si evapora prima ancora di diffondersi, è ritornato in onore. Non solo il breve comunicato finale della conferenza gli dedica molte righe, ma i vari ministri degli Esteri ne hanno parlato nei loro discorsi come di una tappa importante verso quella fusione completa di tutti i popoli balcanici ai quali essi non cessano di aspirare.

5) I rapporti con la Bulgaria continuano a preoccupare tutti i componenti dell'Intesa Balcanica, che sanno che il gabinetto di Kiosseivanov deve fronteggiare una situazione assai difficile nel Paese e che un nuovo governo potrebbe essere tentato, forse anche con l 'appoggio di Potenze extrabalcaniche, a denunciare l 'accordo di

Il 24 febbraio. 5 Il 26 febbraio. 6 Vedi D. 61, nota 5.

Salonicco ed a porre in maniera più netta ed improrogabile la questione delle rivendicazioni bulgare.

6) Parlandomi della Bulgaria, il presidente Metaxas mi ha detto che i suoi rapporti sono buoni con la Turchia, meno buoni con la Jugoslavia e con la Grecia ed ancora meno buoni con la Romania.

D'altra parte, da indiscrezioni di persona che ha viaggiato con il ministro degli Affari Esteri turco, mi risulta che durante il viaggio da Filippopoli alla frontiera romena, il signor Saracoglu avrebbe chiesto nettamente a Kiosseivanov a quali condizioni la Bulgaria era disposta a dare la sua adesione formale all'Intesa Balcanica. Questi avrebbe risposto rinnovando le rivendicazioni circa la Dobrugia e Tzarigrad, nonché il regolamento delle questioni economiche e dello sbocco al mare con la Grecia, soggiungendo che per quest'ultima questione desiderava il consenso delle Grandi Potenze cheavevano firmato il trattato di Neuilly. Avrebbe però fatto notare che la Bulgaria non desiderava né era preparata ad affrontare la guerra per attenerne la soddisfazione (a meno che la guerra venisse provocata da un attacco dell'Ungheria contro la Romania nel qual caso nessun governo bulgaro avrebbe potuto trattenere il suo Paese dall'intervenire) ed avrebbe conclusoil che mi sembra molto più importante-lasciando chiaramente intendere che la Bulgaria potrebbe anche esaminare fa possibilità della sua entrata nell'Intesa Balcanica anche prima che le sue aspirazioni fossero effettivamente soddisfatte, purché fosse modificato l'articolo del patto concernente il rispetto delle frontiere e purché fosse subito iniziata la trattazione per via diplomatica delle rivendicazioni bulgare.

Circa le questioni particolari con la Grecia il signor Kiosseivanov avrebbe anche detto che la Bulgaria sarebbe disposta a sottometterle ad un arbitrato.

Ho ragione di ritenere che le notizie datemi dal mio informatore siano vere anche perché nella sua conversazione sull'argomento, Metaxas mi ha detto che egli desidera vivamente intendersi con la Bulgaria e, parlandomi dell'amicizia turca per la Grecia, mi ha lasciato capire che in considerazione del fatto che i rapporti fra Sofia ed Ankara sono migliori di quelli fra Sofia e gli altri alleati balcanici, la Turchia potrebbe nel caso attuale agire da mediatrice. Credo perciò che il viaggio ed il soggiorno di Saracoglu ad Atene siano in rapporto con quanto precede e che il ministro turco sia venuto ad Atene per fissare insieme cogli amici greci il massimo delle concessioni che potranno essere offerte al presidente bulgaro nel suo prossimo viaggio ad Ankara.

7) Dalla conversazione da me avuta con Metaxas, dalle numerose dichiarazioni pubbliche fatte da lui e da altri ministri balcanici, come pure dall'intervista concessa dal presidente Kiosseivanov al giornale turco Djoumhouriet alla vigilia della conferenza di Bucarest e dagli articoli dei giornali ateniesi, risulta evidente la preoccupazione della più parte di questi uomini di Stato di far apparire la Penisola Balcanica come un 'unità pluristatale a sé stante, che respinge ogni eccessiva influenza straniera e desidera regolare le sue faccende politiche e territoriali in tàmiglia, e che, come «entità balcanica», crede di poter fissare da sola la sua attitudine e dire la sua parola nella crisi che minaccia il mondo. Infatti il presidente Kiosseivanov dopo aver detto nella sua intervista «que toute entente entre !es peuples balcaniques a le caractère d'une défense des frontières integrales de la Peninsule; independemment de ce!

les de chacun des Etats Balcaniques», ha concluso : <~e n'accepterai jamais que des éléments étrangers et de loin se mèlent aux affaires de la famille balcanique qui doivent ètre réglées dans un esprit d'amitié entre les Etats Balcaniques directement intéressés». E la Cathimerinì di ieri -giornale che credesi rispecchi le idee del governo greco-parla dell'Intesa Balcanica come di un'alleanza di 70 milioni di uomini con un esercito di 7 milioni che starà a guardia della pace balcanica ... alleanza che non ha né chiede legami con nessuno.

Rappresentano queste ostentate dichiarazioni d'indipendenza, un avviso indiretto alla politica delle Grandi Potenze che hanno cercato e cercano di accapparrarsi, ognuna per proprio conto, l'amicizia di diversi Paesi balcanici? Sono esse una risposta alla politica estera di Stojadinovié poco riguardoso degli interessi balcanici e propenso a legarsi sempre più alla politica dell'Asse ed un monito per i successori del presidente jugoslavo? O sono piuttosto un effetto della paura che molti di questi Stati hanno, di fronte agli armamenti delle Grandi Potenze, di vedersi coinvolti in un conflitto nel quale essi finirebbero per essere le prime e le più sicure vittime?

Come già in altre occasioni ho fatto presente a Vostra Eccellenza, non credo di andare del tutto errato affermando che ognuna di queste interrogazioni contiene una parte di verità e che se da un Jato alcuni degli Stati della Penisola Balcanica cercano di emanciparsi da amicizie che alle volte diventano troppo accaparranti e premunirsi contro il prepotere di alcuni fra gli stessi loro alleati, dall'altro non è da escludere che nelle loro affermazioni enfatiche vi sia un po' del sentimento di coloro che alzando la voce cercano di coprire colle loro grida il boato del pericolo che temono vicino.

250 1 Del 20-22 febbraio.

250 3 Il 19 febbraio.

251

L'ADDETTO NAVALE A WASHINGTON, CUGIA, AL MINISTERO DELLA MARINA1

fOGLIO RISERVATO 282. Washington, 3 marzo 1939 (perv. il 15).

Il Presidente degli Stati Uniti, imbarcandosi a Key West sull'i.p. Houston per assistere alle Grandi Manovre Navali ( 16 febbraio), annunciava alla stampa che molto probabilmente avrebbe dovuto anticipare il ritorno (fissato per il 3 marzo), perché la situazione europea, aggravatasi d'improvviso, lasciava prevedere come imminente una pericolosa crisi. Evidentemente, la catastrofica profezia del signor Roosevelt, diffusa attraverso la radio ed i giornali nei più remoti centri della Nazione, e smentita del resto dall'immutato itinerario della nave presidenziale, rientrava nell'artificiosa campagna rivolta a mantenere la popolazione ed il Congresso in continuata fase di allarme, ed in questa atmosfera propizia perseguire nel duplice obiettivo del riarmo e della

lotta antitotalitaria. Nel medesimo ingranaggio propagandistico si inseriva, del resto, pochi giorni più tardi (21 febbraio), un bollettino radio-telegrafico trasmesso dall'i.p. Houston e rilasciato, per ordine del Presidente, dal Capitano di Vascello Callahan, Suo Aiutante di Campo, nel quale veniva sottolineato che l'obiettivo delle Manovre non era già quello di studiare la «pura e semplice difesa del Canale di Panamà», ma bensì uno di più ampio e maggior contingente respiro: «La Flotta-si indicava-sta esperimentando i più adatti movimenti strategici, atti a prevenire lo sbarco sul suolo dell'America meridionale, di un Corpo di spedizione proveniente dal! 'Europa».

In tema di cooperazione pan-americana, il signor Aranha, ministro degli Esteri del Brasile, giunto a Washington da circa due settimane2 , tenta di allacciare vincoli più concreti ed operanti che non quelli gettati sulle sabbie mobili della Conferenza di Lima (dicembre 1938). Manovrando su una piattaforma vocalmente ultra-democratica ed anti-germanica, ma nel fondo spiccatamente anti-argentina, il signor Aranha si proporrebbe di:

a) accendere un cospicuo prestito, pare di $ 50.000.000, per migliorare l'attrezzamento industriale del suo Paese. Negli ambienti bancari di New York si nota, tuttavia, una certa ostilità a concedere aiuti finanziari al Brasile, specialmente per il motivo che precedenti impegni non furono onorati;

b) conseguire alcuni vantaggi doganali, soprattutto per l'esportazione del cotone. Senonché, gli Stati del Sud avversano diminuzioni tariffarie che essi giudicano nocive alla industria cotoniera, già pencolante;

c) sviluppare l'emigrazione di cittadini degli Stati Uniti -e di capitali -in Brasile, allo scopo appalesato di controbilanciare l'influenza tedesca ed italiana; d) acquistare, alle condizioni più favorevoli, materiali navali e sopratutto aerei.

Quest'ultimo punto, se riesce più che non gli altri attraente al governo degli Stati Uniti, solleverà -è da prevedersi, alla luce di precedenti ed analoghe occasioni vive obiezioni da parte dell'Argentina, sempre sospettosa della rivale Repubblica. Che la missione del signor Aranha incontri ostacoli non indifferenti, potrebbe essere anche provato dal fatto che egli intende prolungare, oltre il tempo stabilito, la sua sosta a Washington.

Volgendo lo sguardo al Messico, periodi non troppo rosei sta tuttora attraversando la politica del «buon vicinato». La controversia, originata dalla nazionalizzazione di beni nord-americani in quel Paese, pare non offra una soluzione vicina, od almeno completamente soddisfacente: d'altra parte, il Congresso, sollecitato dalle Compagnie petrolifere, mentre mostra disappunto per forniture di nafta «espropriata», che la Germania recentemente e con vantaggio concludeva, invoca l'immediato richiamo de Il'Ambasciatore Daniels. Ma, a scardinare vieppiù le file intessute a Washington per consolidare l'ideale pan-americano, sopraggiungeva l'affrettato riconoscimento del governo di Franco da parte della Francia e della Gran Bretagna, quando nell'immediata vigilia (25 febbraio) strati dell'opinione pubblica si agitavano ancora, perché il Presidente togliesse l'embargo alla fazione rossa. Il governo degli Stati

Uniti si trova così davanti ad un grave e complesso dilemma. Perché, o dovrà accodarsi alle democrazie occidentali, superando fortissime correnti popolari ostili, ovvero consentire lo sganciamento della maggior parte delle Repubbliche latine da un vantato fronte comune e lasciare più libero sviluppo a deprecate e presunte influenze totalitarie nel Continente Sud Americano3•

Come conseguenza di un simile disorientamento, non è difficile di cogliere un sentimento di preoccupazione, che dalle sfere dirigenti reagisce e si dilaga nell'opinione pubblica. Lo si nota nella recente attitudine della Camera, che respingeva la progettata base navale a Guan. Poiché il voto può essere interpretato nel senso che gli Stati Uniti, allarmati, sinceramente o no, da incombenti ed immaginari sviluppi europei, per essere pronti a trasferire su un piano operativo aggressive dottrine ideologiche, ricercano, anche a caro prezzo, di ripristinare condizioni di tranquillità politica e militare, almeno temporanee, nel Pacifico. Non mancano, del resto, concomitanti sintomi, rivelati da azioni parallele, e forse meno palesi, che confortano in misura sempre più definita la passiva rassegnazione del governo e dal sentimento popolare nei riguardi di quanto si sta maturando in Estremo Oriente. Ne è prova l'attitudine della stampa organizzata che, prendendo occasione del decesso del signor Hirosi Saito, già Ambasciatore nipponico negli Stati Uniti, testé avvenuto a Washington, (26 febbraio) si dilunga in espressioni laudative di cordoglio4 . Infine, il gesto del Presidente Roosevelt -perché nuovo nella storia diplomatica degli Stati Uniti -con il quale Egli dall'i.p. Houston ordinava (l o marzo) che una nave da guerra americana dovesse trasportare in Giappone le ceneri del defunto, mette in evidenza come oggi le autorità responsabili considerino tendenze moderatrici nelle relazioni verso il Giappone.

Nei fatti, l 'opinione pubblica, in grande maggioranza, sembra condividere le recenti e numerose esplosioni oratorie ufficiali, tra le quali si citano quelle del senatore Pittman, presidente della Commissione senatoriale per gli Affari Esteri (19 febbraio) e del sottosegretario della Guerra Johnson (20 febbraio), che additano quali pericolosi per la sicurezza degli Stati Uniti gli attuali armamenti germano-italiani e la rotta politica assunta da queste Potenze: una simile conclusione può essere, forse, suffragata da alcuni elementi ricavati in percentuali, sotto forma di questionario, da un Istituto di statistica nazionale, e che starebbero ad indicare il barometro delle masse nel decorso mese di gennaio:

a) ove Italia e Germania riescano a sconfiggere Francia e Gran Bretagna, ritenete che in un secondo tempo gli Stati Uniti saranno dalle prime attaccati? Sì: 62%; No: 38%;

b) ritenete necessario e possibile di aiutare, ove attaccate, Francia e Gran Bretagna senza che gli Stati Uniti siano coinvolti nel conflitto? Sì: 69%; No: 31%.

4 Nota del documento: «li signor Hirosi Saito, Ambasciatore negli Stati Uniti per circa cinque anni, dava le dimissioni nel mese di ottobre u.s. perché seriamente ammalato: fu sostituito dal signor Kensuke Horinouchi. ll signor Saito profondo conoscitore del Paese, durante la missione non aveva trascurato ogni sforzo per migliorare le relazioni tra Stati Uniti e Giappone».

La possibilità di aiuto concessa ai belligeranti ~con ogni mezzo, tranne la guerra ~mette in primo piano le modifiche alla legge sulla neutralità, la quale, del resto, già consente tutta una gamma di indiretti sostegni economici ed industriali ai belligeranti, lasciando alla discrezione del Presidente vasta libertà di azione. Ma, piuttosto, un emendamento testé presentato dal senatore Thomas (12 febbraio), riflette l'aspetto giuridico della legge, in quanto prevede l'applicazione unilaterale delle misure di embargo esclusivamente contro lo Stato «aggressore», qualora dichiarato tale dalla maggioranza del Congresso. In questa atmosfera di orgasmo, la Camera ed il Senato procedono all'esame di stravaganti armamenti, incontrando scarsa opposizione: questa, infatti, se pur riesce a formularsi in episodi violentemente verbali per opera di alcuni elementi della minoranza, non sembra, sino ad oggi almeno, trovare sufficiente risonanza nelle masse, che si preparano a sottomettersi rassegnate al sacrificio economico cui saranno chiamate. Il tono corrente del sentimento popolare, distorto da fallaci informazioni, porta ad attribuire ad altre Nazioni la causa delle enormi spese militari. Così, con consenso generale veniva accolto (I 3 febbraio) il rifiuto del ministro degli Esteri a considerare l'opportunità di convocare a Washington una Conferenza per stabilire una vacanza navale sino al l o gennaio 1941, come richiedeva il deputato Ludlow.

«<n un mondo dove le altre Nazioni attendono ad un programma di esuberanti armamenti ~ammoniva il signor Hull ~è mandatorio che gli Stati Uniti perseguano nella politica intesa a raggiungere una adeguata difesa».

Allo stesso modo, il ministro degli Esteri pochi giorni più tardi (28 febbraio) respingeva come incostituzionale una mozione presentata da dodici senatori isolazionisti, nella quale veniva ripresentata la proposta, già sconfitta lo scorso anno ed intesa, modificando la Costituzione degli Stati Uniti, a subordinare l'intervento armato in regioni extra-americane ad un referendum popolare.

251 1 Il documento è tratto dali' Archivio Centrale dello Stato, Ministero della Marina, Gabinetto.

251 2 Si veda in proposito D. 274.

251 3 Nota del documento: «ln rapporto all'avvenuto riconoscimento del governo Nazionale Spagnolo, gli Stati dell'America latina si possono ad oggi (3 marzo) così classificare. Sì: Brasile, Guatemala, Nicaragua, Perù, Uruguay. No: Argentina, Cile, Colombia, Costarica, San Domingo, Venezuela, Equador, Honduras, Messico, Panama, Paraguay».

252

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, AL CAPO DEL GOVERNO, MUSSOLINfl

RELAZIONE. 25febbraio -3 marzo 1939.

Nel viaggio di andata a Varsavia, sosto per alcune ore a Vienna. Noto che la città ha l 'aspetto piuttosto addormentato e stanco. Il Console Generale Rochira dice che infatti la vita di lusso, nei quartieri centrali, è notevolmente calata di tono, ma che la grande massa popolare lavora tutta, sta meglio e si mostra sempre più favorevole al nuovo regime. Accoglienze da parte delle Autorità e del pubblico, buone.

Il mattino del 25 arrivo a Varsavia. Il ricevimento della popolazione è caratterizzato dalla curiosità e forse anche da una simpatia senza calore. La città è bigia, piatta, tristissima, benché, cosa inconsueta, il sole illumini le vie di questa capitale senza carattere. Vengo informato che già da alcuni giorni piccole dimostrazioni antitedesche

scoppiettano qua e là in tutte le città polacche2 . Le hanno provocate alcuni incidenti che endemicamente si producono a Danzica. La Polonia, nonostante tutti gli sforzi della politica di Beck, è fondamentalmente e costituzionalmente antitedesca. La tradizione, l'istinto e gli interessi, la portano contro la Germania. Paese cattolico, con grandi nuclei ebraici, venato da forti minoranze tedesche, ha fatalmente in sé tutti gli elementi di contrasto con l'imperialismo teutonico. Non manco di far notare alle Autorità polacche che le agitazioni antigermaniche mi mettono in una situazione imbarazzante. Mi viene risposto che è provato essere queste dovute all'azione svolta dalla propaganda francese a mezzo di elementi contrari al governo nazionale. La Polizia ha agito con energia procedendo all'arresto di ottanta studenti (molti dei quali ebrei) e dimissionando quattro funzionari che avevano dato prova di debolezza nei confronti dei dimostranti.

Per noi Italiani vi sono invece elementi positivi di simpatia, ma si tratta di una simpatia generica e quindi inoperante. Amano più la nostra arte che la nostra vita. Conoscono meglio i nostri monumenti che la nostra storia. Per troppo tempo siamo stati rappresentati in Polonia da pittori, scultori, architetti e siamo stati rappresentati con l'inevitabile servilismo dell'artista, che trova, lontano, il mecenate straniero. Amano ancora nell'Italia più la grazia del pennello che la forza delle nostre arn1i, nella quale ancora non credono completamente.

Ho colloquì con diversi uomini politici, ma specialmente con Beck. Le conversazioni hanno un carattere piuttosto generico. La Polonia continuerà nella sua politica di equilibrio, quale è imposta dalla situazione geografica. Con la Russia, niente più dei contatti strettamente necessari. Con la Francia, alleanza difensiva sulla quale però non si fa affidamento illimitato. Con la Germania buon vicinato, mantenuto a fatica dati i tanti elementi spirituali e concreti di contrasto. Per Danzica, ferma intenzione di giungere ad una soluzione definitiva e più chiara. Ma Beck vuole che questa scaturisca da liberi negoziati diplomatici, evitando ogni inutile e dannosa ed artificiosa pressione di opinione pubblica. Inquietudine ancora viva per la questione rutena. La Polonia non si rassegna a considerare definitiva la frontiera della Cecoslovacchia e si spera ancora nella realizzazione di una frontiera comune con l'Ungheria. La preoccupazione per il problema ucraino domina silenziosamente il cuore polacco, benché Beck sottolinei spesso, con compiacimento e senza convinzione, le assicurazioni ricevute da Hitler. Parlando della situazione attuale della Cecoslovacchia, l 'ha definita: «un provvisorio che potrà anche durare a lungo, senza però cessare di essere un provvisorio».

lo mi sono limitato a fare un giro di orizzonte della nostra politica, sottolineando con grande energia la consistenza dei legami che ci uniscono alla Germania ed affermando che l'Asse è e rimane la base permanente della nostra politica estera.

Ho visitato alcune organizzazioni militari, ma particolarmente quelle aeronautiche, che mi hanno fatto buona impressione. Le indushie sono direttamente gestite dallo Stato e i risultati appaiono soddisfacenti. Il materiale che mi è stato mostrato era modernissimo, di buona fattura e di solide caratteristiche. Il personale sembrava buono.

Non molto posso dire del regime interno, perché non molto ho visto. Ma anche la stessa inquietudine determinata dalle manifestazioni studentesche, la preoccupazione che suscitava nel governo la necessità di contenerle, l'atteggiamento equivoco di buona

parte della stampa, confermano che si è ben !ungi dalla esistenza di un regime autoritario e totalitario. La sola voce che conta in Polonia è quella di un morto, il Maresciallo Pilsudski, e troppi sono coloro che si contendono il diritto di essere i veri depositari della sua parola. II fatto che il Paese sia governato ancora da un dittatore postumo, prova che una forza nuova non si è ancora affermata e forse neppure manifestata.

Riassumendo le impressioni e riportandole nel piano dei nostri interessi, mi pare giusto concludere che sarebbe pericolosa leggerezza affermare, come in certi circoli tedeschi si è fatto, che la Polonia è un Paese acquisito al sistema dell'Asse e del Triangolo, ma sarebbe anche ingiustamente pessimista qualificarla addirittura un Paese ostile. Quando la grande crisi si produrrà, la Polonia resterà a lungo con le armi al piede e solo quando le sorti saranno decise si schiererà dalla parte del vincitore. E così facendo, agirà, da un suo punto di vista, bene, poiché è un Paese che ha interessi e contrasti, amici e nemici, da ambo i Iati3 .

252 1 Ed. in L "Europa verso la catastrofe, pp. 414-416.

252 2 Sulle dimostrazioni antitedesche in Polonia si veda il D. 235.

253

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. l 853/548. Berlino, 4 marzo 1939 (perv. il 6). Mio te!espresso n. 531 del 3 corr. 1 .

Col mio telespresso suindicato ho già riferito sulle prime impressioni provocate in questa stampa dalla elezione di Pio XII. Tali impressioni sono confermate dall'atteggiamento tenuto da alcuni grandi organi di provincia, come Io Hamburger Fremdenblatt, i quali dimostrano nettamente la tendenza a dare un giudizio obbiettivo ed imparziale sul nuovo Papa, aspettandolo per così dire alla prova dei fatti e senza voler lasciare pregiudicare il giudizio stesso da quello dato a suo tempo sul cardinale Pacelli.

Anche in questi commenti come in quelli segnalati ieri va rilevato che ricorre frequentemente l'accenno alla opportunità di avere eletto un Papa il quale dispone di una grande esperienza di affari e così sarà in grado di resistere, meglio del suo predecessore, a certe pressioni ed influenze di torbida provenienza che, secondo questa stampa, si sono indiscutibilmente fatte sentire durante il pontificato precedente.

Tale atteggiamento corretto ed obbiettivo conferma quanto avevo già riferito, e cioè che queste Autorità, molto probabilmente rendendosi conto della cattiva impressione provocata da certe inopportune pubblicazioni avvenute durante la sede vacante, hanno dato rigorose istruzioni alla stampa per evitare il ripetersi di simili inconvenienti, i quali potrebbero soltanto fare il giuoco degli avversari.

252 3 Il documento ha il visto di Musso lini.

253 1 Telespresso 1800/531 del 3 marzo. L'ambasciatore Attolico, nel segnalare gli articoli più importanti apparsi nella stampa tedesca subito dopo l'elezione di Pio XII, osservava che i primi commenti si contraddistinguevano «per il tono moderato in contrasto con i vivaci attacchi diretti da molti giornali contro la persona del cardinale Pacelli all'indomani del decesso di Pio XI». Risultava evidente-concludeva l'ambasciatore-che Berlino intendeva mantenersi in una riservata aspettativa nell'attesa di avere delle indicazioni circa gli orientamenti del nuovo Pontefice.

254

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

LETTERA 1864. Berlino, 4 marzo 19391•

Ho visto oggi nel pomeriggio Oshima, Shiratori, Ribbentrop; re: patto triangolare di alleanza.

Oshima mi ha detto che le note istruzioni sono arrivate, ma che presentano qualche lacuna che è necessario colmare. Aveva quindi già telegrafato allo scopo a Tokio. Comunque, il governo giapponese sembra di accordo sul principio generale e, salvo modificazioni minori, sembra disposto ad accettare il «primo documento»2 di cui vorrebbe peraltro, in un protocollo segreto, restringere alquanto l 'applicazione. Oshima non ha voluto dire di più né ha saputo indicare quando presso a poco, la nuova risposta di Tokio potrà arrivare. Ha soltanto assicurato che, appena arriverà, essa sarà comunicata al governo italiano da Shiratori. Questi sarà di ritorno a Roma presumibilmente martedì sera.

Riuscito a restar solo con Shiratori, l 'ho sondato un po' più a fondo. Dopo aver confermato genericamente quanto già mi aveva detto Oshima, egli si è mano a mano aperto assai di più, dicendo che egli apprezzava l'importanza della questione, concordava nella necessità che il desiderato rafforzamento del triangolo dovesse portare ad una vera e propria alleanza militare, che questa avrebbe potuto bensì riuscire ostica a parecchi e allo stesso presidente del Consiglio attuale, ma che, in definitiva e magari traverso «una o due crisi ministeriali», avrebbe finito col trionfare.

Aggiungeva, però, che nessun governo in Giappone avrebbe mai potuto approvare un trattato di alleanza così vago come quello proposto. In Giappone il Patto Anticomintern era soprattutto considerato in funzione antirussa. Un suo rafforzamento militare sarebbe quindi interpretato come coprente soprattutto -se non esclusivamente -il caso di una guerra con i Soviet. Ma questo non poteva naturalmente interessare le Potenze totalitarie europee che fino ad un certo punto: esser quindi necessario stabilire esattamente i casi singoli coperti dal trattato: cosa farebbero Germania e Italia in caso di conflitto Giappone-U.R.S.S., cosa il Giappone in caso di conflitto anglo-tedesco o itala-francese? Cosa farebbero l'Italia e la Germania in caso di una guerra fra Giappone ed America etc. etc.? Tutto questo era necessario prevedere ed esattamente precisare nel trattato. Ma per questo -ed egli non aveva dubbio sul risultato finale -occorreva tempo e le Potenze europee, abituate a corrispondere e trattare per telefono, dovevano comprendere essere impossibile applicare gli stessi metodi al Giappone.

Intanto, le istruzioni venute da Tokio -istruzioni intese dal presente governo come definitive -erano tali che né Oshima si sentiva di poterne dare comunicazione a Berlino, né lui a Roma. Avevano entrambi telegrafato al proprio governo pregando

2 Vedi D. 22, allegato.

vivamente di riconsiderarle. Ove il presente governo si fosse dichiarato contrario a farlo, esso avrebbe molto probabilmente dovuto dimettersi. Essere quindi impossibile fare previsioni circa il tempo necessario alla conclusione definitiva del negoziato.

Dopo queste due interviste, ho creduto necessario recarmi da Ribbentrop, il quale aveva già visto Oshima questa mane a proposito della faccenda spagnola di cui gli avevi telefonato personalmente Tu. Nell'occasione, gli aveva domandato notizie della più grossa questione del patto di alleanza, ma Oshima aveva cercato di tenersi sulle generali.

Comunque, confrontando fra noi le poche cose dette da Oshima, più le dichiarazioni fattemi da Shiratori, siamo venuti alla conclusione che il governo di Tokio molto probabilmente si illude di poter circoscrivere la applicazione del trattato al caso di una guerra con la Russia. Il che, naturalmente, sarebbe semplicemente puerile.

Quid agendum?

Ribbentrop rivedrà Oshima questa sera stessa. Egli gli ripeterà quanto già gli ha detto e cioè che su questa questione bisogna «stand orfall». Se una nuova risposta tardasse o fosse negativa, Oshima dovrebbe andare a Tokio. È già pronto un aeroplano tedesco che lo porterebbe lì in cinque giorni.

Ribbentrop si era. parlando con me. talmente esaltato dal giungere a dire che. ali'occorrenza. non avrebbe esitato a recarsi in Giappone lui stesso. Comunque, Oshima, ove non riuscisse a smuovere ogni difficoltà, si dimetterebbe, e le sue dimissioni non mancherebbero di provocare quelle del Gabinetto, i militari giapponesi essendo decisi a riuscire. Frattanto, sufficiente spauracchio per il governo giapponese sarà l'apprendere da Oshima che, o ve mai Tokio esitasse ancora, Germania e Italia farebbero da sé.

Parlando appunto ulteriormente con me di questa ipotesi, Ribbentrop mi diceva che, naturalmente, rimane inteso che, non potendosi agire a tre, si agirà a due, ma che d'altra parte non bisogna precipitare gli eventi onde non compromettere l'adesione giapponese. Una alleanza italo-tedesca tutti ritengono che esista già: il renderla di pubblica ragione nulla, o molto poco, aggiungerebbe. La sensazione vera, quella che agirebbe come deterrente sul!' America, sarebbe l'alleanza a tre.

Ribbentrop incomincia però a rendersi conto che, forse, la formula attuale è effettivamente troppo vaga e che una maggiore precisazione di obblighi sarebbe opportuna in rapporto ai singoli casi possibili. Sta quindi pensando se non sia il caso di profittare della presenza di un alto ufficiale di Stato Maggiore giapponese aggregato alla missione testé arrivata da Tokio per aver con lui-nel caso chiederebbe a Te l'invio di un Generale nostro -delle discussioni sulla possibile casistica e sulla corrispondente graduatoria di obbligazioni, graduatoria che, per venire incontro -ultima ratio-alle preoccupazioni di Tokio, potrebbe arrivare alla neutralità giapponese (salvo azioni «dimostrative» di solidarietà) in caso di guerra europea e alla partecipazione effettiva e piena del Giappone solo in caso di guerra intercontinentale, cui cioè prendesse parte anche l'America.

Queste. però, sono idee che Ribbentrop è in procinto di discutere fra sé e sé. Non ne ha parlato neanche al Fiihrer. D'altra parte, egli si preoccupa soprattutto di questo. Come sarebbe più facile tener lontana l'America dai conflitti europei: con un alleanza italo-germano-giapponese già genericamente e pubblicamente dichiarata, ovvero con un alleanza qualificata, in cui si sapesse che il Giappone entrerebbe in gioco soltanto in caso che entrasse anche l'America?

Su questo punto Ribbentrop si riserva di tornare e di farTi sapere -come già su tutto il resto -il suo pensiero dopo le sue nuove conversazioni con Oshima. Ti prego anzi di considerare tutto quanto Ti riferisco con la presente come destinato per Tua informazione personale dato che Ribbentrop preferisce ancora non pronunciarsi in alcun senso.

Frattanto però -ed io ho particolarmente insistito su questo punto -Ribbentrop-il Fiihrer ha confermato oggi il suo assenso-è d'accordo che si debba andare avanti nell'attuazione dell'idea del Duce di cui a Tuo telegramma 21 febbraio3 e cioè nella preparazione, comunque, degli accordi fra gli Stati Maggiori italiano e tedesco. Sui dettagli di attuazione Ti sarò preciso quanto prima4 .

254 1 Manca l'indicazione della data di arrivo.

255

L'AMBASCIATORE PRESSO LA SANTA SEDE, PIGNATTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. S.N.D. PER CORRIERE 965/43 R. Roma, 7 marzo 1939 (perv. !'8).

È venuto da me il cardinale Pizzardo informandomi che il Papa intende nominare il cardinale Maglione, suo Segretario di Stato.

Il porporato mi ha dichiarato che la scelta del Pontefice era caduta sulla persona da Lui considerata più adatta per coadiuvarLo. Però, siccome sul nome del cardinale Maglione erano corse le più disparate notizie nella stampa internazionale, il Pontefice aveva desiderato prevenire il governo italiano della sua intenzione.

Ho pregato il cardinale Pizzardo di fare sapere al Santo Padre che avrei portato immediatamente a conoscenza dell'E. V. la Sua comunicazione. Ho soggiunto di essere sicuro d'interpretare il Vostro pensiero, assicurando il Pontefice del compiacimento di V.E. per la cortese intenzione che aveva ispirata la sua notificazione. Sembra

4 Il documento ha il visto di Mussolini. Circa le reazioni provocate a Roma dall'atteggiamento giapponese, vi è nel Diario di Ciano questa annotazione (sotto la data del 6 marzo): «Notizie da Berlino confermano che il governo giapponese tà obiezioni alla firma del Tripartito. Osbima intende dimettersi. Afferma che il Gabinetto dovrebbe cadere. E poi? Non ci vedo chiaro. Ma è proprio possibile ammettere così profondamente il Giappone, tanto lontano, nella vita politica europea sempre più convulsa e nervosa e suscettibile di venir modificata da un'ora all'altra con semplice colpo di telefono?».

Successivamente, anche Ciano aveva un colloquio con l'ambasciatore Shiratori di cui così annotava nel suo Diario sotto la data dell'8 marzo (negli archivi italiani non è stata trovata documentazione in proposito): «Vedo l'ambasciatore del Giappone. Conferma quanto Attolico ha scritto circa la risposta nipponica per l'alleanza !ripartita. Molte riserve e l'intenzione di dare al Patto un carattere soltanto antirusso. Risposta tanto insoddisfacente da far molto dubitare sulla possibilità effettiva di concludere quell'alleanza. Oshima e Shiratori hanno rifiutato di fare la comunicazione in via ufficiale. Hanno chiesto a Tokio di accettare senza riserve il patto di alleanza, altrimenti si dimetteranno e provocheranno la caduta del Gabinetto. Nei prossimi giorni si avrà la decisione. Shiratori ritiene che se essa sarà favorevole la firma a Berlino potrà farsi entro il mese di marzo, altrimenti il tutto verrà rimandato alle calende greche. Il ritardo e tutta la procedura nipponica mi rendono molto scettico sulla possibilità di una effettiva collaborazione del dinamismo fascista e nazista con la flemmatica lentezza del Giappone».

probabile che la nomina possa avvenire domani. È verosimile che la stampa francese accolga la nomina del cardinale Maglione come nuovo successo della Francia. Converrebbe, a mio avviso, che la stampa italiana, non si lasciasse trascinare a polemiche ed elogiasse la scelta del Pontefice. Sarebbe pure bene che la stampa tedesca seguisse la stessa linea. Credo, del resto, che alcuni giornali della Germania abbiano pubblicato, di questi giorni, articoli intonati a simpatia per il cardinale Maglione.

Prego mantenere segreta la notizia.

254 3 Si riferisce presumibilmente al D. 217, che è del 23 febbraio.

256

IL MINISTRO A BELGRADO, INDELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. RISERVATO 1080/328. Belgrado, 7 marzo 1939 (perv. l '11).

Trasmetto ad ogni buon fine e per opportuna conoscenza dell'Eccellenza Vostra l'acclusa copia di un rapporto riservato del Regio Console Generale in Zagabria contenente alcune informazioni fomite da un fiduciario di Macek sull'atteggiamento del partito croato di fronte all'attuale governo.

ALLEGATO

IL CONSOLE GENERALE A ZAGABRIA, GOBBI, AL MINISTRO A BELGRADO, INDELLI

TELESPR. RISERVATO 1312. Zagabria, 4 marzo 1939.

Da un elemento, in consueta relazione con questo Ufficio, appartenente alla Cancelleria del dr. Macek, ho le seguenti informazioni: «Il Direttorio del Partito Rurale Croato guarda in maniera alquanto negativa ai tentativi del nuovo governo per giungere ad una definitiva soluzione del problema croato.

Ad ogni modo il dr. Macek si asterrà dal prendere una decisiva posizione nei riguardi del Gabinetto Cvetkovié in attesa di ulteriori dichiarazioni governative circa la soluzione della questione croata. Da tali dichiarazioni dipenderà l'atteggiamento di Macek verso il governo.

Qui si è convinti della prontezza del signor Cvetkovié a concedere larghe autonomie, ma solamente quelle ammissibili dallo Stato in vigore. Fra queste: (intendimento del Principe Paolo) ripristino della Dieta croata e decentralizzazione di certe attività.

Macek è del parere che le concessioni avrebbero carattere provvisorio "aventi lo scopo di poter guadagnare i due anni e mezzo di tempo che ci dividono dalla maggiorennità del Sovrano, dopo di che tutte le concessioni verrebbero probabilmente o abolite o per lo meno ridotte ai minimi termini, essendo prive di appoggio dello Statuto".

Continuano ancor sempre i contatti con Belgrado a mezzo di persone, che però non sono in possesso di una legittimazione presentativa del dr. Macek; il dr. Macek si serve delle stesse allo scopo di potersi tenere al corrente della situazione e delle opinioni dei circoli governativi, ma i quali ultimi però, per tramite delle citate persone non vengono informati ufficialmente delle intenzioni del dr. Macek.

Macek mi parla con insistenza della necessità di un raggruppamento di Stati centro europei e rileva che il nostro problema è strettamente collegato al problema che tormenta l 'Ungheria. ed il quale non verrà certamente abbandonato dall'Italia.

Ieri (26 corrente) nel discutere della visita del conte Ciano alla Polonia1• il dr. Macek mi ha parlato della possibilità di un nuovo interessamento del governo italiano ad una soluzione del problema centro-europeo sulla base della creazione di una intesa polacco-ungaro-croata. Il dr. Macek mi si espresse favorevolmente per una soluzione di siffatto genere».

Il dr. Macek ha ricevuto da Belgrado -tramite il generale Zivkovié -una lettera che riportava quanto da parte del governo inglese è stato fatto conoscere al Principe Paolo a mezzo della cognata Marina di Kent. La lettera inviata al dr. Macek si riferisce ai colloqui Mussolini-Chamberlain ed in essa il governo inglese suggerisce ai dirigenti jugoslavi di passare quanto prima alla soluzione del problema croato ed al consolidamento interno della Jugoslavia. Non è certo che la lettera di cui si tratta sia la completa trascrizione di quella pervenuta al Principe Paolo, ovvero, una parte della medesima che i dirigenti belgradesi abbiano ritenuto opportuno di portare a conoscenza del dr. Macek.

Comunque è da considerarsi che il dr. Macek respinge ad una ad una tutte le proposte a trattare che gli vengono rivolte e che non nasconde dal dire che la sua posizione all'interno e presso l'estero è tale che gli permette l'atteggiamento intransigente verso qualsiasi accomodamento inconsistente. Egli è certo di poter raggiungere quello che il popolo croato si è prefisso di raggiungere, per la qual cosa non intende legarsi ad alcuna soluzione parziale. Egli vuole tutto o niente2 .

257

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

LETTERA SEGRETA 1928. Berlino, 7 marzo 1939 (perv. iliO).

Ho attentamente letto e ponderato il documento annesso alla Tua lettera personale del4 marzo n.l822 1 , in cui si riferiscono alcuni stati d'animo tedeschi nei confronti deli'Italia.

Premetto che i giudizi riportati in quel documento mostrano una singolare coincidenza con quelli espressimi nel corso di una conversazione da me avuta con l'Ambasciatore d'Inghilterra, subito dopo il suo ritorno a Berlino, il 15 dello scorso febbraio. Io non vi feci allora troppo caso, trattandosi di fonte necessariamente un po' sospetta. Capisco, però, ora, che Henderson deve aver trovate qui, al suo arrivo da Londra, quelle informazioni già pronte, se non addirittura già spedite al Foreign Office.

Veniamo ora al merito delle informazioni stesse. La seconda parte del documento, e cioè da pag. 2 in poi non è in fondo che una elucubrazione storica, più o meno fondata, dello stesso informatore e non costituisce una informazione di per sé stante. Quanto alla prima parte, essa è evidentemente attinta a fonti non troppo eccelse e che anzi si potrebbero identificare con quelle che nella mia lettera del l o marzo n. 1721 2 io riportavo all'uomo della strada in Germania, e non fa che confermare quanto io avevo già detto nella lettera citata. Le masse tedesche non vogliono la guerra per nessuna ragione: a fortiori non vorrebbero una guerra che fosse, o avesse l'aria, di esser combattuta per altri. Anche a prescindere dai lunghi periodi di pace annunciati dal Fiihrer, il pubblico tedesco si sente ripetere ogni momento che la Germania non farà la guerra per le sue Colonie. Come mai vi sarebbe da attendersi che la volesse per Tunisi e cioè per dar delle Colonie agli altri?

lo seguo questa questione con un interesse -come puoi immaginare -specialissimo e sto io -e faccio stare gli altri -con le orecchie ben tese. Tutti sono di accordo con me nel ritenere che nelle alte sfere di governo e sopratutto in Hitler il senso della solidarietà con l 'Italia e con il Fascismo sia altissimo, ma tutti sono anche di accordo nel ritenere che quel senso di solidarietà decresce mano mano che si discende nei gradi e nelle stère intèriori e meno responsabili. Senonché qui non si tratta solo di solidarietà con l'Italia, si tratta di disposizione-o meno ad arrivare alla guerra. E su questo punto non v'è dubbio che di contrarii alla guerra per sé stante ve ne siano, specie in questo momento, anche nelle altissime sfere. Non bisogna dimenticare -del resto -che la mattina del 28 settembre scorso. quando ancora Ribbentrop eccitava alla lotta. Goring. dico Goring. non esitò a chiamarlo. in presenza del Fuhrer: Pazzo criminale.

Ho voluto, senza alcun riferimento alla Tua domanda, cercare di controllare le opinioni mie su tutta questa situazione con quelle dei giornalisti italiani qui residenti. Anche essi sono assolutamente concordi nel ritenere che qui il popolo non vuole la guerra. Bojano. il quale per la sua veste è quello che ha ormai qui i maggiori contatti, non esita a dire che questo è il sentimento non solo dell'uomo della strada, ma anche di parecchi che stanno più in su e degli stessi militari. Questo sentimento prescinde dall'Italia, il cui famoso tradimento si va -bisogna riconoscerlo -gradualmente obliterando dalla memoria di tutti. Senonché, anche su questo punto ci sono delle eccezioni. Caputo (Gazzetta del Popolo) il quale. per avere sposato una austriaca. è a contatto con molti ex austriaci qui di passaggio. assicura che il ricordo del tradimento è tutt'altro che cancellato nelle province dell'ex Austria. ove anzi esso è raddoppiato da quello che viene chiamato il nuovo tradimento del 193 8.

A questo stato d'animo generale, che mi viene confermato anche da diplomatici relativamente indipendenti ed obbiettivi, come l'Ambasciatore di Polonia, d'Argenti

na e quello del Belgio, i Ministri di Ungheria, Bulgaria, Uruguay, etc., contribuiscono ragioni di indole diversa: quelle economiche in primissimo piano, quelle religiose e di razza subito dopo. Queste questioni hanno creato -è inutile negarlo -negli strati più profondi della popolazione divisioni e dissensi che non arrivano alla superficie, ma che si rivelano nella mancanza di entusiasmo popolare per lo st~sso Ftihrer. Di cui, fra l'altro, non è da dimenticare una cosa e cioè ch'egli non-e anche in questo tutti sono concordi con me-dico non ha sulle masse lo stesso, magico ascendente che ha il Duce sulle nostre.

Sul complesso di questa situazione io non mancherò, mano mano che potrò farlo oralmente e di persona, di consultare anche i più importanti fra i RR. Consoli dipendenti3 .

256 1 Del 25 febbraio-3 marzo. Vedi D. 252. 2 Il documento ha il visto di Mussolini. Non è però sicuro che le sottolineature qui riportate siano state fatte da Mussolini.

257 1 Ciano aveva trasmesso copia del rapporto di un informatore britannico al Foreign Office, e che il Foreign Office aveva ritrasmesso al Quai d'Orsay, di cui il Servizio informazioni Militare (S.l.M.) era venuto in possesso. Nel documento si affermava che la solidarietà verso l'Italia espressa da Hitler nel suo discorso del 30 gennaio (vedi D. 130) aveva colpito profondamente il popolo tedesco che non voleva assolutamente fare una guerra e tanto meno, poi, essere coinvolto in una guerra provocata dalle ambizioni di Mussolini. L'ostilità dei tedeschi-sottolineava il documento-era accresciuta dal ricordo, tutt'ora vivo, del comportamento tenuto dall'Italia nella Prima Guerra Mondiale e dai molti dubbi circa l'effettiva forza militare dell'Italia, tanto inferiore ai suoi ambiziosi obiettivi politici. Sul documento Mussolini ha scritto: «Importante-controllare».

257 2 Vedi D. 237.

258

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE l 058/08 R. Londra, 8 marzo 1939 (pf?rv. il 13).

Non poca speculazione è stata provocata in questi circoli politici e giornalistici dal personale intervento del Primo Ministro Chamberlain ad un ricevimento dato il lo corrente da questo ambasciatore dell'U.R.S.S. È questa-si è notato -la prima volta che un Primo Ministro britannico è stato ospite dell'ambasciatore sovietico a Londra. Posto in relazione con l'annuncio del viaggio del sottosegretario per il Commercio Estero, Hudson, a Mosca -e non sono mancati i giornali che a questo riguardo hanno rilevato che Hudson si tratterrà per un periodo di almeno sei giorni nella capitale sovietica nei confronti della sua brevissima sosta di un giorno e mezzo a Berlino -il «gesto» di Chamberlain è stato addirittura interpretato da alcuni commentatori come segno di un nuovo indirizzo della politica estera britannica o quantomeno come l'inizio di un riavvicinamento politico anglo-sovietico.

In realtà, a nessuno sfugge l'aspetto di politica interna di queste manifestazioni. È nota infatti a V.E. la intensa campagna che, sopratutto dopo Monaco, tanto i laburisti che i liberali vanno conducendo nella stampa e nella stessa Camera dei Comuni a favore di un riavvicinamento anglo-sovietico e di una «valorizzazione», a beneficio delle democrazie occidentali, di una potenziale alleanza sovietica. Venendo a tempi più prossimi ho segnalato a questo riguardo con mio rapporto n. 680/304 del 31 gennaio u.s. 1 lo sfruttamento politico tentato dalla stampa d'opposizione delle voci allora correnti circa supposti scambi di vedute economici e militari tra Germania e U.R.S.S.

per accusare Chamberlain di trascurare la Russia e di spingerla così a cercare un terreno d'intesa nel campo avverso ed in particolare con la Germania.

Alla pubblicità data alla presenza di Chamberlain al ricevimento di Maisky e al libero corso lasciato alle illazioni sul viaggio di Hudson a Mosca, non è certamente estraneo il desiderio del governo di offrire una qualche soddisfazione apparente alle opposizioni che, battute con il riconoscimento britannico del governo nazionale spagnolo, continuano nella loro aspra polemica a sfondo elettorale contro Chamberlain e la sua politica.

Effettivamente, da quanto mi risulta, Hudson non avrebbe ricevuto incarico di trattare a Mosca se non questioni attinenti al non soddisfacente andamento degli scambi commerciali anglo-russi ed il suo viaggio alla capitale sovietica si presenta quindi sostanzialmente, sotto questo aspetto tecnico e limitato, nel quadro generale delle analoghe visite che egli compirà nella stessa occasione a Varsavia, a Helsinki ed a Stoccolma. Ciò evidentemente non esclude a priori la possibilità di sondaggi politici quale risultato dei colloqui di Hudson a Mosca, come non sono da escludere neppure in questa circostanza influenze di Parigi e di Washington favorevoli ad un allargamento e consolidamento del gruppo delle «nazioni democratiche» tanto verso Occidente come verso Estremo Oriente. Ma se sondaggi vi saranno, più che corrispondere a precise direttive, non consone alla empirica mentalità inglese, è da presumere che essi si limiteranno ad una possibile generica e non impegnativa riattivazione dei rapporti politici normali fra Londra e Mosca. Né in un momento in cui dovranno svolgersi delicate trattative commerciali tra l'Inghilterra e la Germania, accompagnate da un rinnovato tentativo di intesa colla Germania, è da ritenersi che il governo di Chamberlain non spingerà, almeno per ora, i «sondaggi» con Mosca oltre al punto in cui questi potessero compromettere definitivamente le trattative colla Germania.

257 3 Il documento ha il visto di Musso lini. Nel Diario di Ciano vi è a proposito di questo documento la seguente annotazione: «li Duce rimane impressionato da un rapporto di Attolico che sostanzialmente gli conferma due cose: l) che il Fiihrer sente appieno la solidarietà con l'Italia e che è pronto a marciare con noi; 2) che il popolo tedesco, pur solidarizzando col suo Capo, preferirebbe allontanare ogni pericolo di guerra».

258 1 Vedi D. 132.

259

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 1395/631. Londra, 8 marzo 1939 (perv. il 12).

Trascrivo la seguente nota apparsa il 6 corrente nel Daily Telegraph:

«Col rapido avvicinarsi dell'epilogo della guerra in Spagna, l'attenzione dei Ministri britannici si è volta durante l'ultima settimana verso la possibilità di accelerare la fine del conflitto sino-giapponese. È in questa luce che vanno accolte le notizie recentemente corse di un imminente prestito britannico in difesa della valuta cinese.

La cifra in progetto sarebbe tra i tre milioni ed i cinque milioni di sterline. Si calcola che, con le misure tecniche che sono state elaborate, questo ammontare sarà sufficiente per consolidare la valuta cinese contro gli sforzi che vengono fatti dal Giappone per sabotarla.

Si apprende che dovranno essere presentate al Parlamento speciali misure legislative prima di poter tradurre in atto questo nuovo passo britannico a favore della Cina. È tuttavia imminente l'iniziativa del governo al riguardo. Questa iniziativa segue dappresso la concessione dell'Assenso Reale ali' Exports Credit Bill in base al quale la Cina potrà fare forti acquisti in Gran Bretagna di autocarri e di altro equipaggiamento.

Nelle ultime settimane è stata anche esaminata, tanto a Londra che a Washington, la possibilità di adottare mezzi più diretti per esercitare una pressione sul Giappone nel campo strettamente economico.

La proposta di un prestito alla Cina venne esaminata dal Gabinetto lo scorso luglio. Essa venne respinta a quel tempo, ritenendosi che non vi fosse sufficiente giustificazione per un passo che avrebbe potuto essere considerato dal Giappone come non amichevole in un momento in cui stava evidentemente maturando una grave crisi europea. La cifra allora contemplata era di venti milioni di sterline. (Vedi a questo riguardo il mio telegramma per corriere n. 0121 del17 giugno u.s.) 1 . È stato ora elaborato un nuovo metodo per impiegare i capitali britannici.

Il fatto che il governo britannico sta ora predisponendo queste iniziative positive in Estremo Oriente, di rincalzo al credito di 5.300.000 sterline concesso dagli Stati Uniti alla Cina nello scorso dicembre, rispecchia lo spirito più fiducioso col quale il governo britannico sta affrontando i problemi che ancora preoccupano il mondo».

In relazione a quanto precede, informo che Crolla, parlando ieri con Ashton Gwatkin, capo dell'Ufficio Economico del Foreign Office, gli ha chiesto quanto ci fosse di vero in queste rinnovellate voci di prestiti britannici alla Cina.

Gwatkin ha risposto:

a) È vero che il governo britannico, che del resto ha sempre tenuto presente il problema di eventuali forme di assistenza alla Cina, sia venuto in questi ultimi tempi ad esaminare la questione in forma più positiva e concreta.

b) Ciò che il governo britannico si propone è di proteggere in qualche modo gli ingenti interessi economici inglesi in Cina. Nella situazione attuale esso pensa che il miglior modo di conseguire questo obiettivo consiste nel difendere la finanza cinese, sopratutto nel campo tecnico e monetario, cercando di scongiurare forme di svalutazione che sconvolgerebbero l'economia cinese e minerebbero tutto il meccanismo del commercio estero della Cina.

c) Questa azione verrebbe però svolta precipuamente se non esclusivamente per il tramite delle banche o delle ditte britanniche in Cina e sotto il loro diretto controllo. Le forme di collaborazione finanziaria che Londra attualmente prospetta non (dico non) assumerebbero quindi il carattere di prestiti o crediti al governo cinese; in altri termini, e per citare le parole di Gwatkin, si tratterebbe «di assistenza non al governo cinese ma alla finanza cinese».

Sin qui Ashton Gwatkin, del quale è facile presumere la preoccupazione di sminuire, esprimendosi con un funzionario dell'ambasciata d'Italia, il carattere politico di un'eventuale iniziativa britannica a favore della Cina.

Merita ciononostante esser rilevato codesto «distinguo» tra governo e finanza, tra autorità politica riconosciuta da un lato e problemi economici generali dall'altro.

Distinzione che caratterizza del resto l'attuale atteggiamento del governo britannico nei confronti del conflitto in Estremo Oriente, ispirato ad una paziente attesa degli sviluppi della situazione, profondamente dubbioso (nonostante gli ostentati prognostici in contrario da parte di oratori e giornalisti) della vittoria finale di Chiang Kaishek, e preoccupato quindi, tanto agli effetti immediati che a quelli mediati, di non compromettere irreparabilmente le proprie relazioni con Tokio. Mi risulta infatti, anche per altra via, che, mentre vi è una corrente nel Gabinetto favorevole ad una politica di aperto intervento a favore dell'attuale governo cinese, la maggioranza del governo britannico è piuttosto avversa -almeno nel momento attuale -a decisioni destinate evidentemente a consolidare l'ostilità da parte del Giappone. In questa luce, la nuova formula escogitata dal governo per eventuali prestiti alla Cina avrebbe tre vantaggi: non legare formalmente la solvibilità di questi prestiti alle sorti dell'attuale governo cinese; controllare direttamente l'impiego dei capitali; togliere all'operazione il carattere di intervemo politico e, come tale, anti-giapponese.

Mi riserbo di seguire attentamente la cosa, riferendone ulteriormente a VE.

259 1 Non pubblicato.

260

L'AMBASCIATORE A SA LAMA N CA, VIOLA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 1515/349. San Sebastiano, 8 marzo 1939 (perv. il 13).

Il Temps ha riprodotto un articolo del noto Tebib Arrumi, che trasmetto qui unito, relativo alla nomina di Pétain ad Ambasciatore, indicandolo come una prova della soddisfazione di Burgos per il gesto del governo fì·ancese.

In realtà tale articolo ha sollevato gui i più sfavorevoli commenti; lo stesso Capo Nazionale della Stampa mi ha detto che l'articolo era «idiota» e che avrebbe dovuto essere censurato. Egli ha preso occasione per parlarmi coi termini del massimo discredito dello stesso Tebib, il cui unico e del resto sfruttatissimo merito sarebbe di avere un figlio caduto per la patria.

In generale, si può dire che la nomina di Pétain non ha per nulla servito a calmare l'animosità antifrancese, ancora vivissima (la frase: hanno voluto essere ... fino alla fine, è sulla bocca di tutti) di questi ambienti specialmente falangisti, pur facendosi distinzione fra il vecchio patriota francese (e/ embajador-nino come Pétain viene chiamato) e la Francia del Fronte Popolare. C'è perfino chi parla di organizzare delle dimostrazioni all'arrivo di Pétain ai gridi di «Viva Pétain, abbasso la Francia». Del resto, proprio ieri sono apparse sui muraglioni del fiume che attraversa Burgos scritte «muera Francia», e sono state inoltre imbrattate le bandiere francesi delle autoambulanze regalate, com'è noto, da personalità francesi di destra. Alle rimostranze fatte da queste, fu risposto che purtroppo avrebbero dovuto essere (da parte francese) preparati ad altre manifestazioni avverse per un certo tempo, in considerazione del torto e danno per tanto tempo inflitto dalla Francia alla Spagna Nazionale.

Sempre decisamente ostile è l'atteggiamento della stampa, all'infuori di sporadiche e del resto, come ho detto sopra, disapprovate manifestazioni. Di tale atteggiamento sono prova gli articoli comunicati coi successivi telegrammi Stefani Speciale.

Alla vigilia dell'arrivo del Maresciallo-Ambasciatore, viene continuamente ribadito dalla stampa il concetto cui erano ispirate le recenti dichiarazioni di Franco e di Serrano Sufier, circa le amicizie della Spagna. Particolarmente deciso è l'articolo apparso sull' Unidad di questa sera, il quale rispondendo appunto all' «idiozia provinciale» di certa stampa, dichiara che la gioventù, vittoriosa sul comunismo e sulla massoneria, inalbera sempre, come bandiere amiche, le bandiere italiana, tedesca, portoghese, giapponese, insieme a quella rosso e oro, alla rosso e nera e alla marocchina, collo stesso sentimento giurato il 18 luglio 1936 1 .

261

IL MINISTRO A TIRANA, JACOMONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

APPUNT01• [Tirana], 8 marzo 1939.

Ho avuto tre colloqui con Re Zog. Gli ho dato assicurazione che egli poteva contare sull'amicizia di VE., che di questa amicizia l'E.V. era pronta a dare nuove prove con l'addivenire al più presto ad un impegno concernente le bonifiche e col rinnovare per l'anno in corso il sussidio per il kossovese nella misura di 500 mila franchi. V. E. aveva tuttavia molte ragioni di lagnanza nei riguardi dell'Albania, sia per quanto riguardava notizie di intrighi all'estero, con la Francia con l'Inghilterra e con i Paesi dell'Intesa Balcanica, sia nei riguardi [ ............................ ] carattere economico e più particolarmente quelle con l'Ammi, sia infine circa lo spirito pubblico albanese quale esso veniva artificialmente mantenuto nei riguardi dell'Italia. Io portavo quindi a lui assicurazioni che da un lato permettevano di stroncare tutte le tàntasie che malintenzionati avevano creato circa i propositi italiani in Albania, ma che erano d'altra [parte] tali che ove egli non se ne fosse coi fatti dimostrato soddisfatto, avrebbe egli stesso dato adito alle voci di scarsa chiarezza nella attitudine albanese verso di noi. A titolo personale ho poi fortemente insistito sulla necessità di procedere subito allo scarceramento dei quattro arrestati ed a evitare ogni fastidio non solo agli italiani ma agli amici degli italiani.

Il Re dopo avermi assicurato che avrebbe dato corso a quanto io personalmente gli chiedevo mi ha rinnovato le affermazioni della sua fedeltà al Duce «massimo benefattore dell'Albania dopo Scanderbeg» e a V.E. cui inviava i suoi sentimenti «fraterni». Coi fatti egli vorrebbe provare queste sue afièrmazioni il giorno che i suoi soldati fossero chiamati a combattere accanto ai nostri contro il comune nemico slavo. Il Re ha qui molto insistito sulla ostilità, a suo giudizio invincibile, dell'animo serbo nei riguardi nostri e dell'Albania. A dimostrazione recente egli mi adduceva la campagna svolta in questi ultimi giorni dalla legazione jugoslava a Tirana contro l'Italia e il gradimento richiesto, ma da lui negato, per Vu[ ...]tié che già, come console generale in Albania

261 1 Il documento è danneggiato dall'umidità.

aveva [ ................................ ] arte per creare dissapori fra l'Italia e l'Albania. Egli mi citava inoltre l'accenno fatto in questi ultimi giorni dal ministro degli Esteri jugoslavo al ministro d'Albania a Belgrado circa la possibilità di sbarchi italiani in Albania.

Da questa sua convinzione che la Jugoslavia restasse fondamentalmente ostile a noi e all'Albania, il Re è passato alla preghiera diretta a V.E. di non lasciare l'Albania disarmata così come essa lo è oggi.

A suo avviso, in caso di guerra, la Jugoslavia rimarrà neutrale in un primo tempo, ma, se appena le sarà possibile, tenterà di occupare l'Albania. Egli pregava quindi V.E. di giudicare entro quali limiti e con quali eventuali artifici per non allarmare i vicini fosse possibile provvedere al più presto alla sicurezza dell'Albania. Il Re ha aggiunto che la maggior sua preoccupazione era la Jugoslavia ma che, se pur meno temibile, anche la Grecia era animata in realtà da sentimenti ostili verso l'Albania: l'atteggiamento della Chiesa ortodossa inspirata dal governo di Atene, gli era soprattutto chiaro indice delle costanti mire greche sulla popolazione grecofona e ortodossa dell'Albania meridionale. Egli pregava quindi di voler al più presto procedere a qualche fortificazione nell'Albania meridionale, le cui frontiere verso la Grecia erano oggi del tutto aperte.

Accanto ai provvedimenti militari, il Re mi ha quindi elencato le altre richieste a suo avviso urgenti, sia per dar calma al Paese, sia per far sentire a questo i benefici dell'alleanza con l'Italia: le bonifiche, gli sfruttamenti minerari, l'assistenza sanitaria, il collegamento telefonico fra i principali centri albanesi e l'Italia a mezzo di cavo sottomarino, il contributo di 500 mila franchi promesso per l'organizzazione giovanile e da attribuirsi ora al ministero della Cultura popolare di imminente creazione e dovrebbe avere il compito di adeguare lo spirito pubblico albanese alle concezioni fasciste. Come consigliere del ministro della Cultura popolare e suo personale egli pregava vivamente di voler prendere in considerazione il nome del generale dei Carabinieri Agostinucci che, come organizzatore della gioventù, aveva lasciato ottimo ricordo in Albania. Egli si proponeva di usufruire anche del generale Agostinucci per averne consigli circa la gendarmeria. Per l'invio del generale Agostinucci egli avrebbe una particolare gratitudine a V.E.

Nell'ultima conversazione di venerdì 3 marzo il Re si è anche dilungato sui servigi che l'Albania potrebbe nel campo politico rendere all'Italia nei Balcani data l'entità delle minoranze albanesi in tutti gli Stati balcanici. Perché ciò possa farsi occorre che fra Italia e Albania non vi siano più questioni politiche, ma che esse possano fare invece nei Balcani una politica comune. La preponderanza politica nei Balcani è a suo avviso, condizione prima per il nostro dominio nel Mediterraneo orientale.

Egli spera vivamente che gli sarà presto concesso di sviluppare questi suoi pensieri in qualche colloquio privato con il Duce o con V.E. Egli si augura intanto che le conversazioni iniziate per rafforzare i legami fra l 'Italia e l'Albania procederanno rapidamente. Uno degli elementi essenziali di queste conversazioni dovrebbe essere la trasformazione delle rispettive rappresentanze in ambasciata. Anche formalmente ciò gioverebbe a dare al mondo la sensazione dell'intimità dei rapporti fra i due Paesi che dovrebbero essere almeno tali quali furono nell'epoca migliore i rapporti fra la Gran Bretagna e il Portogallo.

Ad accelerare il corso di queste conversazioni egli si proponeva di inv[iare prossima]mente come ministro a Roma il generale Sereggi che conserverebbe la carica di suo primo aiutante di campo e dovrebbe agire in stretto collegamento con me per i fini suddetti.

A seguito dei colloqui col Re e per suo desiderio hanno avuto luogo riunioni di un Comitato composto dal presidente del Consiglio, dal ministro degli Esteri, dal generale Sereggi e da me. In queste riunioni sono stati esaminati i due uniti progetti relativi alle bonifiche e ai minerali. Per la questione del collegamento telefonico con l'Italia sono stato pregato di sottoporre a V.E. la possibilità di un prestito senza interessi di nove milioni di franchi distribuibile su un periodo di 5-l O anni e rimborsabile sui frutti delle bonifiche o dell'Azienda mineraria. Gli impianti telefonici dovrebbero essere affidati a una ditta italiana e la gestione ad una ditta italo-albanese con maggioranza italiana.

Circa l'organizzazione sanitaria sono stato richiesto di sottoporre il fabbisogno di circa 4 milioni di franchi distribuito in un periodo di 4-5 anni. La somma potrebbe essere da noi fornita come prestito senza interesse o con aiuto diretto. Mi permetterei suggerire quest'ultima forma per avere le mani libere in una attività le cui conseguenze per il nostro prestigio presso la popolazione albanese sarebbero immense. Naturalmente la somma dovrebbe essere amministrata da un nostro funzionario.

Aggiungo che tanto nelle conversazioni con il Re che con i membri del ~uddetto Comitato mi sono state fatte le più vive premure perché io procedessi al più presto al pagamento delle somme dovute in base agli accordi del 1936 e fin qui non pagate. Esse ammontano a 6.626.000 di franchi. Ho assicurato che erano già state date dagli organi competenti le necessarie disposizioni al riguardo, ma che un gravissimo ostacolo al versamento veniva dal ministero Scambi e Valute, fortemente sensibile al contrabbando di merci e specialmente di valuta che ai danni dell'Italia si faceva in Albania. Mi è stato richiesto che sia al più presto inviato in Albania un tecnico competente per esaminare i modi di ovviare agli inconvenienti suddetti e studiare i possibili adeguamenti monetari e commerciali.

Alla osservazione fattami che il ministero delle Finanze era già stato costretto a sospendere molti stipendi per i nostri mancati pagamenti mi sono limitato ad offrire che fino all'importo di 200 mila franchi i mandati di pagamento venissero presentati alla Banca d'Albania. Io ne avrei autorizzato l'anticipazione. Fino all'importo di 100 mila franchi ho promesso pure una anticipazione della Banca d'Albania sulla somma di 500 mila franchi destinata al Kossovese. Essa è evidentemente destinata a pagare in parte le spese della mobilitazione.

260 1 Il documento ha il visto di Mussolini.

262

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. S.N.D. 5605/113 P.G. Berlino, 9 marzo 19 3 9, ore 21, 15 (perv. ore 23, 15).

Telegramma di V. E. in data 23 febbraio scorso n. 75 1 .

Ribbentrop mi comunica aver oggi conferito con Generale Keitel circa miglior modo per mettere in esecuzione proposta del Duce e già accolta dal Filhrer, di procedere ad un intesa tecnica fra Stati Maggiori dei due Paesi.

Keitel si metterà a sua volta in comunicazione con le autorità militari italiane a mezzo dell'addetto militare tedesco a Roma Generale Rintelen. Ribbentrop ritiene che forse i contatti necessari allo scopo potranno essere opportunamente iniziati con un incontro, in località da stabilirsi. tra Keitel e generale Pariani. Si vedrà a suo tempo se e come convenga dare pubblico annunzio della cosa a mezzo della stampa. Ribbentrop, per parte sua, non avrebbe in proposito obiezione alcuna2 .

263

L'INCARICATO D'AFFARI A WASHINGTON, COSMELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 995/51 R. Washington, 9 marzo 1939, ore 7 (perv. ore 2,50 del l 0).

Approvato ormai programma di riarmo, si è virtualmente iniziato movimento per modifica Legge neutralità, introdotta da dichiarazione presidenziale di avantieri, seguita ora da presentazione a Senato da membri maggioranza progetti per revoca pura e semplice di tutta presente legislazione in materia. Tale proposta rappresenta programma massimo dell'Amministrazione ma sembra ancora poco probabile che vengano superate note tradizionali diffidenze verso eccessive fàcoltà discrezionali accordate potere esecutivo.

Vi è poi nota proposta Thomas di cui al mio telegramma n. 38 1• Da fonte competente mi viene assicurato che concetto introdurre criterio discriminatorio fra aggressori ed aggrediti di cui a tale proposta, non riscuote affatto favore

2 Il documento ha il visto di Mussolini che a margine ha scritto: «Subito>>.

Amministrazione; essa è contraria per quanto la concerne a tali residui di concezioni societarie e sanzioniste. Ove non sia possibile ottenere per [leggasi: come] regolare completa libertà di giudizio e decisione, soluzione patrocinata è quella già indicata in rapporto 19 gennaio u.s. 1382 • Tutte le merci comprese quelle belliche andrebbero sotto regime acquisto in contanti e trasportate su navi non americane.

Vi è quindi forte probabilità che ci si orienti verso tale formula. Obiezione che ciò significhi portare guerra alle porte S.U.A. non appare pubblicamente considerata. Mi consta però essere stata esaminata dall'Amministrazione con conclusione che

S.U.A. sono abbastanza forti per garantire in tale ipotesi tutela diritti propri, non considerandosi direttamente interessati a quanto possa avvenire in alto mare a navi non americane e a merci non più tali.

È prevedibile nuova legislazione sarà approvata prima del l o maggio quando scade parte della presente.

262 1 Vedi D. 217.

263 1 T. 629/38 R. del 16 febbraio. Riferiva che era stato presentato al Congresso un progetto di legge per modificare la Legge di neutralità in modo che il Presidente avesse la facoltà di discriminare tra aggressori e aggrediti e di applicare la neutralità solo nei riguardi dei primi. Era peraltro dubbio, notava Cosmelli, che la proposta rispecchiasse le vedute della maggioranza.

264

L'AMBASCIATORE A SALAMANCA, VIOLA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 1500/347. San Sebastiano, 9 marzo 1939 (perv. il 13). Mio telespresso n. 147 5/340 del 7 corrente 1•

Gli ultimi avvenimenti madrileni2 , per quanto non abbiano sorpreso il Quartier Generale del Generalissimo (Casado è un colonnello di cavalleria ex compagno di vari ufficiali del Quartiere Generale del Generalissimo, col quale ritengo mantenesse da qualche tempo rapporti), sono tuttavia giunti inattesi. Si tratta, a quanto mi si è detto, di elementi moderati che, vista perduta la partita, cercano di crearsi dei meriti verso il governo nazionale; la loro azione però incontra già seria opposizione negli stessi comunisti, sì che sarebbe impossibile dire ora quali saranno gli sviluppi della situazione.

Simili in qualche modo agli avvenimenti di Madrid sono quelli di Cartagena3 , che sono qualificati qui come inopportuni e precipitati. Anche là qualcuno ha voluto fare dello zelo in vista di un eventuale perdono di Franco. Ma lo sbarco in una base

2 Si riferisce al colpo di Stato capeggiato dal colonnello Casado e alla costituzione, il 5 marzo, di un «Consiglio della difesa nazionale» in sostituzione del governo Negrin_ Le forze comuniste schierate intorno a Madrid avevano poi marciato sulla città e ne erano seguiti scontri sanguinosi con i reparti favorevoli a Casado. Alla data del 9 marzo, gli scontri erano ancora in corso.

3 Il 4 marzo, a Cartagena c'era stato un moto insurrezionale di elementi favorevoli ai nazionali che aveva indotto la flotta ad abbandonare il porto. L'insurrezione era stata domata ma la flotta non era rientrata nella base.

fortificata come Cartagena è sempre una cosa piuttosto difficile e, se da parte nazionale si è già altra volta molto sacrificato per sostenere punti morali [sic] e camerati in pericolo, questa volta non si vorrebbe arrischiare troppo. L'unico attivo sicuro della sollevazione è la fuga della flotta rossa a Biserta e il suo disarmo.

In sostanza, gli avvenimenti predetti non alterano in nulla il punto di vista e le risoluzioni di Franco. La soluzione deve essere militare ed unicamente tale, escludendo qualsiasi accordo e qualsiasi promessa speciale di clemenza.

Se la formazione della Giunta madrilena faciliterà le operazioni, anche provocando dissensi e ribellioni a Madrid, nel senso di ridurre al minimo lo sforzo armato che potrà limitarsi ali' avanzata dell'esercito nazionale col contemporaneo disarmo delle divisioni rosse, tanto meglio. In ogni modo gli ultimi avvenimenti non distolgono affatto Franco dal continuare la preparazione dell'offensiva.

Mi si esclude che la nota della Radio Nacional sulle mediazioni delle democrazie, di cui al mio telespresso in riferimento, voglia dire che vi è stato un intervento francese o inglese nei cambiamenti dei dirigenti madrileni.

Si ritiene qui in ogni modo che Francia e Inghilterra, che desiderano la fine della guerra e che, come alcuni dirigenti rossi, cercano di crearsi dei tardivi meriti presso Franco, possano per conto loro facilitare la fuga delle personalità rosse più pericolose che potrebbero irrigidire la resistenza (come è stato nel caso di Negrin) e in tal modo favorire la causa nazionale. Ma ciò avverrebbe unicamente per conto loro e spontaneamente, senza alcuna richiesta, né accordo da parte di Franco.

263 2 Vedi D. 76.

264 1 Trasmetteva il testo di un comunicato ufficioso relativo alle modalità per una resa di Madrid, dal quale-~ osservava l'ambasciatore--risultavano «confermati gli intendimenti del Generalissimo di non deflettere dall'atteggiamento di assoluta intransigenza adottato e ripetutamente proclamato».

265

IL MINISTRO A LISBONA, MAMELI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. RISERVATO 773/262. Lisbona, 9 marzo 1939 (perv. il 13).

Mio telespresso n. 571/194 in data 19 febbraio u.s. 1•

Nicolas Franco, rientrato ieri da Burgos, mi ha detto, che erano in preparazione copie degli accordi intervenuti con Bérard2 , da trasmettere ai governi italiano e tedesco.

Gli accordi~ secondo la sommaria indicazione fatta da Nicolas Franco~ contemplano: il ritiro da parte della Francia dell'Ambasciatore presso i rossi, l'accreditamento di un Ambasciatore presso il governo Nazionale; il rimpatrio dei miliziani e dei profughi; la restituzione del patrimonio artistico, dei valori, d eli'oro tra fugato dai rossi; la restituzione del materiale bellico e delle navi. Gli accordi contengono infine stipulazioni «di buon vicinato».

2 Vedi D. 227, nota 3.

A mia precisa domanda sulle pretese avanzate da Bérard nella sua prima missione a Burgos (neutralità -volontari) Nicolas Franco ha risposto che la Francia ha dovuto !asciarle cadere e che non ve ne è menzione di sorta.

Circa l'oro ha indicato che vi saranno difficoltà in quanto esso è stato depositato dai rossi nelle Banche contro pagamento di franchi ma che il governo Nazionale stava studiando il modo di risolverlo.

Ha fatto dell'ironia sulla circostanza che gli accordi sono mantenuti «riservati». Sarebbe stato difficile non concedere al governo francese almeno questa possibilità di non pubblicare subito tutta l'estensione della sua capitolazione. Tuttavia alcuni giornali di sinistra compiono contro di esso attacchi violenti con accuse sostanzialmente vere.

Alla mia domanda come fosse stata interpretata ed accolta la nomina del Maresciallo Pétain, Nicolas Franco ha risposto che il governo francese doveva preoccuparsi di scegliere una personalità sul gradimento della quale da parte del governo Nazionale non potessero esservi dubbi. «Pétain -ha detto Nicolas Franco -è una personalità europea. Se non esattamente amico del Generalissimo, lo conosce bene». In sostanza, dava la sensazione che il governo Nazionale fosse rimasto lusingato da tale nomina. Non senza acume ha anche osservato che Pétain ha un grande seguito in Francia e che probabilmente Daladier preferisce saperlo a Burgos che a Parigi. È certamente avanzato negli anni ma il personale militare da cui è stato circondato nella sua missione indica che il governo francese nulla trascura per seguire ogni aspetto degli sviluppi militari in Spagna. «Particolarmente -ha sottolineato Nicolas Franco -in ciò che concerne gli italiani e i tedeschi».

Circa la situazione attuale, ha dichiarato che il Generalissimo non ammette altra fine della guerra civile tranne la resa a discrezione dei rossi nella parte di territorio ancora in loro potere. I preparativi per l'offensiva continuano con ritmo accelerato ed essa è imminente. Tre direttive d'attacco generale sono state previste: Albacete, per tagliare in due il territorio ancora rosso; nord-est di Madrid, in un punto più vicino alla città che non Guadalajara; ed infine Estremadura. Ma il momento e la direttiva dell'attacco rimangono il segreto del Generalissimo.

Sugli avvenimenti di Cartagena3 mi ha detto che gli insorti si impadronirono in primo tempo di vari punti della città tra cui le batterie. La flotta rossa fu così costretta a sgombrare il porto. Immediatamente il governo Nazionale inviò la sua flotta e due divisioni imbarcate in soccorso. Con una flotta nemica considerevolmente superiore al largo l'operazione non appariva tuttavia agevole. Unità nazionali presentatesi davanti a Cartagena furono fatte segno al fuoco di alcune batterie ricadute nel frattempo in mano ai rossi. L'operazione fu dovuta abbandonare. In Cartagena attualmente parte della città è in mano al movimento pro-Franco e parte in mano ai rossi. Internata la flotta rossa nei porti francesi, la situazione è capovolta ed il governo Nazionale sta studiando l'azione per liberare Cartagena.

Dell'internamento della flotta rossa Nicolas Franco sembrava molto soddisfatto. Il governo Nazionale non ha più da temerla, e la Francia si è già impegnata a restituirla. Questo il suo ragionamento.

Degli avvenimenti in Madrid4 non sembrava invece altrettanto soddisfatto. Il suo timore è quello che non rimanga potere con autorità sufficiente per passare la città con resa a discrezione quando giunga il momento e che gravi distruzioni e massacri debbano quindi aver luogo.

Ove le parole di Nicolas Franco hanno assunto particolare interesse, è quando ha parlato dell'Inghilterra. l suoi precedenti sono noti. Negli ultimi tempi era tuttavia visibile in lui un'evoluzione, evidentemente determinata dagli avvenimenti. Ora ha parlato senza alcuna delle sue precedenti cautele o limitazioni. Si è inquadrato «anti-inglese». La spiegazione si ha in quanto egli stesso mi ha detto. Il fratello gli ha dato istruzioni di far presente a Salazar che la politica inglese contro gli Stati totalitari è contraria al suo stesso interesse, visto che pone l'Inghilterra in situazione estremamente pericolosa, e che con i suoi errori essa sta facendo il possibile per togliere ogni sicurezza alle sue vie di comunicazione e compromettere la sicurezza del suo impero. Il Portogallo alleato avrebbe ogni interesse ad agire sul governo inglese in base a tali concetti.

Due volte Nicolas Franco ha insistito sulla situazione interna portoghese servendosi di elementi noti e già segnalati nei precedenti rapporti di questa R. Legazione. Ostilità dei monarchici contro Salazar che si viene estendendo dali 'esercito e dalla marina ove è sempre esistita, ad altri strati della popolazione, profittando del disagio economico. Il fatto che Nicolas Franco ha insistito che l'azione inglese contro Salazar punta attualmente su tutti i centri sensibili portoghesi, ivi compresa la stessa polizia, cercando di determinare «una vera e propria ondata antisalazariana», lascia pochi dubbi che egli abbia avuto istruzioni di servirsi con Salazar anche di questo argomento nei riguardi dell'Inghilterra.

Non sarà certo una novità per Salazar che da tempo non può aver dubbi in proposito. Ma è interessante certamente l'evoluzione di Nicolas Franco, l'azione che gli è stato ordinato di compiere, così come sarà d'interesse a suo tempo cercare di studiare le reazioni del Capo del governo portoghese.

265 1 Vedi D. 204.

265 3 Vedi D. 264, nota 3.

266

IL MINISTRO A BUCAREST, GHIGI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 878/390. Bucarest, 9 marzo 1939 (perv. il 14).

Il viaggio del miinistro Gafencu a Varsavia1 è stato seguito da questa opinione pubblica e da questa stampa con vivo interesse. È la prima volta, si può ben affermarlo, che l'alleanza con la Polonia2 è stata qui veramente e profondamente sentita.

Finora erano le due democrazie occidentali le vere e grandi alleate, e poi vi erano, ad integrazione completa di quella sicurezza collettiva ben garantita dalle due predette Grandi Potenze e sulla quale dormiva sonni tranquilli la Romania, la Piccola Intesa e l'Intesa Balcanica. Perfino poi nei riguardi della Russia si aveva qui la sensazione netta che era la Francia che garantiva la frontiera romena, grazie alla sua amicizia con l'U.R.S.S., e non l'alleanza polacca. Essa era quindi più un peso ed un pericolo che un vantaggio, e la Polonia stessa, con le sue velleità di grande Potenza e con i suoijlirts di cattivo gusto, finiva per essere poco popolare e pochissimo presa sul serio.

Questo sentimento è stato palese nello scorso settembre quando a Beck, venuto per persuadere la Romania dell'utilità di non opporsi all'occupazione ungherese della Rutenia3 , l'opinione pubblica e la stampa romena fecero un'accoglienza di cui i polacchi si sono talmente risentiti, che solo la defenestrazione del ministro romeno Comnen e la venuta a Palazzo Sturza dell'amico Gafencu sono riuscite a fare dimenticare.

La situazione psicologica dell'opinione pubblica romena, secondo quel che è qui apparso durante il viaggio del ministro Gafencu a Varsavia, ha ora subito una completa evoluzione.

Dopo il fallimento della politica orientale franco-inglese con il susseguente crollo di quella che era la colonna principale della Piccola Intesa e dopo le ripetute dimostrazioni dell'altro membro della Piccola Intesa, la Jugoslavia, (a sua volta pilastro centrale se non colonna dell'Intesa Balcanica) della sua ferma intenzione di seguire una politica autonoma, l'alleanza polacca è ritornata in Romania all'ordine del giorno fino a divenire quasi popolare.

Ed è proprio grazie a quelle già tanto criticate infedeltà della Polonia con l'Italia, con la Germania e perfino con l'Ungheria, che si è potuto intravedere nell'alleanza polacca possibile àncora di salvezza.

Anche nella questione rutena l'opinione romena ha cominciato a comprendere che forse la Polonia aveva ed ha ragione: la realizzazione di una grande Ucraina non potrebbe forse cominciare dall'ingrandimento dell'attuale Ucraina Subcarpatica a spese delle provincie romene del Maramures e della Bucovina settentrionale? È quindi interesse romeno di favorirle? Non sarebbe perciò più prudente di negoziare con l'Ungheria tramite la Polonia, una rinunzia ungherese alla Transilvania dietro un'adesione romena ad una Rutenia ungherese?

Queste sono le domande qui correnti e che mostrano chiaramente l 'evoluzione completa dello stato d'animo di questa opinione pubblica.

Insomma, il viaggio di Gafencu a Varsavia, del quale trasmetto a parte i commenti stampa e le dichiarazioni fattemi al riguardo dallo stesso ministro degli Affari Esteri, è stato qui seguito con interesse e con sentimenti che riterrei poter definire di sollievo e di speranza più che di simpatia e di entusiasmo. Con le segnalazioni stampa trasmetto anche le voci nuovamente messe qui in circolazione di progetti per la formazione di un asse politico Varsavia-Bucarest, per la realizzazione di un canale navigabile Vistola-Prut e per la costituzione dell'ormai famoso raccordo ferroviario tra Polonia-Romania-Bulgaria-Grecia e Jugoslavia.

Trattasi però delle solite notizie qui ricorrenti periodicamente e che servono, almeno finora, principalmente se non unicamente a dar materia ai commenti dei giornalisti e dei diplomatici4 .

265 4 Vedi D. 264, nota 2. 266 1 Del 4-6 marzo. 2 Riferimento al Trattato di garanzia tra Polonia e Romania del 26 marzo 1926 (in MARTENS, vol. XVII, pp. 3-5).

266 3 Riferimento ali 'incontro di Galatz tra Re Caro! e Beck, che però ebbe luogo il 19 ottobre (vedi serie ottava, vol. X., DD. 292, 302 e 307).

267

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

RAPPORTO SEGRETO 1968. Berlino, 9 marzo 19391•

Ho visto oggi Ribbentrop a colazione. Egli mi ha detto che il governo di Tokio non si è ancora fatto vivo. D'altra parte, Arita avrebbe fatto alla stampa dichiarazioni molto ambigue2 . In presenza di questo, i due Ambasciatori hanno rivolto un nuovo e più preciso appello al proprio governo, richiamandolo alla parola già data e al debito d'onore che essa ha creato.

Onde impressionare Tokio è stato fatto presente, sia che il governo italiano ha già fatto premure per un patto a due, sia che -da parte inglese specialmente -sono incominciati dei «sondaggi» per un patto decennale franco-inglese-germano-italiano, il cui presupposto sarebbe la restituzione delle colonie -comprese quelle orientalialla Germania, unita a larghe concessioni francesi all'Italia, il tutto avente però come contropartita un patto di non aggressione germano-sovietico.

È inutile dire che tutto questo mi sembra ed è -più ancora di quanto lo stesso Ribbentrop mi abbia fatto capire egli stesso-una «costruzione», destinata-nell'animo di chi l'ha avanzata-a far colpo su Tokio.

In ogni modo, una risposta sarebbe attesa tra breve. Ribbentrop si mostra sempre pieno di fiducia e comunque è convinto valga la pena di tutto tentare per riuscire. Anche se frattanto si riconoscesse conveniente di venire ad una alleanza a due, Ribbentrop ritiene che gioverebbe tenerla segreta, in attesa che i tempi maturino per un alleanza a tre.

Ribbentrop si preoccupa anche di evitare che, in presenza delle continuate indiscrezioni da parte giapponese, non si possa creare l'impressione all'estero che Tokio non intenda compromettersi, mediante intese concrete, con i Paesi autoritari. Egli è quindi contrario a che i due ambasciatori eventualmente si dimettano. Bisogna, egli dice, mantenere con ogni mezzo intatta la facciata e non rompere le fila, in attesa-ripeto -che le cose si accomodino secondo i nostri desideri e gli stessi primitivi progetti giapponesi.

2 Il 6 marzo, Arita aveva dichiarato alla Commissione finanze della Dieta che il Patto Anticomintem restava il cardine della politica nipponica contro il comunismo ma che la realizzazione dell'Ordine Nuovo nell'Asia Orientale e la posizione del Giappone sul piano internazionale dipendevano anche dalla comprensione dell'atteggiamento giapponese da parte della Gran Bretagna e degli Stati Uniti. I rapporti esistenti tra il Giappone e le Potenze dell'Asse -aveva aggiunto Arita -non significavano in alcun modo che il Giappone si fosse associato agli Stati totalitari nella contrapposizione alle Democrazie. Per il testo delle dichiarazioni di Arita si veda FRUS, Japan 1931-1941, vol. II, pp. 163-164.

Ho risposto che tutto stava bene ma che frattanto bisognava dar corso alla proposta del Duce e non perder altro tempo, procedendo subito alle intese fra i nostri due Stati Maggiori.

Ribbentrop, che era già in principio d'accordo, ne ha oggi stesso parlato con Keitel, mettendosi d'accordo perché egli a sua volta prenda contatti con Roma attraverso Rintelen. Questo, almeno, sarà fatto. (Vedi mio telegramma filo n. 113)3 . Quanto al Giappone, credo che ci darà ancora parecchio da fare 4 .

266 4 Sulla visita del ministro Gafencu in Polonia si vedano anche i DD. 270 e 273.

267 1 Manca l'indicazione della data di arrivo.

268

IL MINISTRO A PRAGA, FRANSONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER TELEFONO l 001/4 7 R. Praga, 10 marzo 1939, ore 11,45.

Mio telegramma n. 441 , e fonogramma di stamane 401 2•

Chvalkovsky mi ha convocato questa mattina informandomi che nella nottata Presidente della Repubblica aveva dimesso Gabinetto slovacco, il quale, a ripetuto invito fatto da Praga, non aveva aderito sconfessando propaganda ed attività che partito Tuka ed alcuni membri quel governo andavano svolgendo contro unione nell'attuale forma costituzionale e per indipendenza Slovacchia.

Situazione è apparsa ormai insostenibile continuando governo Bratislava con suoi emissari agire indipendentemente ed anticostituzionalmente anche nel campo internazionale.

In attesa, come riferito, nomina nuovo governo sono state prese misure militari in Slovacchia dove finora non si ha notizie disordini.

Secondo Chvalkovsky, vi erano nello stesso governo dimesso due correnti contrastanti ed egli asserisce che partito Tuka non raccoglie maggioranza nel Paese. Tiso tentennante considerasi qui infido.

Sidor, che è ministro comune e non fa parte Gabinetto slovacco, ha presentato proprie dimissioni ma parteggerebbe per governo Praga, il quale, disposto fare possibili concessioni nell'ambito autonomia, esige però chiarificazioni che unione possa e debba essere effettivamente mantenuta3 .

3 Il ministro Fransoni telegrafava subito dopo che Chvalkovsky restava in ansiosa attesa delle reazioni di Berlino perché-gli aveva dichiarato -era chiaro che, se una richiesta di indipendenza da parte della Slovacchia fosse stata appoggiata dalla Germania, Praga non avrebbe avuto la possibilità di opporsi (T. l 003/48 R. del l O marzo).

267 3 Vedi D. 262. 4 Il documento ha il visto di Mussolini. 268 1 T. 991/44 R. del 9 marzo. Riferiva che il ministro degli Esteri, Chvalkovsky, si era dichiarato fiducioso circa la possibilità di un accordo tra cechi e slovacchi. 2 Fonogramma l 000/517-40 l R. del l O marzo con cui aveva comunicato che il governo slovacco si era dimesso e che a Praga la situazione era considerata seria.

269

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, ALL'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO

T. S.N.D. 4063/97 P.G. Roma, 10 marzo 1939, ore 21.

Tuo telegramma n. 113 1 .

Comunica a Ribbentropp quanto segue:

l) pienamente d'accordo circa incontro Keitel-Pariani;

2) incontro dovrebbe aver luogo subito;

3) località incontro da noi suggerita è Innsbruck;

4) riteniamo opportuno che dell'incontro sia data notizia a mezzo della stampa. Telegrafa2 .

270

IL MINISTRO A BUCAREST, GHIGI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. RISERVATO PER CORRIERE l 072/014 R. Bucarest, l O marzo 1939 (perv. il 13).

Facendo seguito al mio telegramma filo odierno n. 58 1 riassumo qui di seguito le dichiarazioni fattemi da questo ministro degli Affari Esteri circa le importanti questioni da lui discusse col signor Beck durante la sua permanenza a Varsavia.

Rapporti coi soviet. I due ministri avrebbero constatato che la posizione della Polonia e della Romania sono del tutto simili e che ad esse corrisponde un 'identità di vedute. Il regime interno dei due Paesi è nettamente ostile al comunismo; ogni

La disponibilità ad avviare immediatamente le conversazioni militari fu comunicata al generale Pariani il 22 marzo tramite l'addetto militare a Roma, colonnello von Rintelen (sul colloquio si veda il rapporto di von Rintelen in DDT. vol. VI, appendice I, n. 2).

Lo stesso giorno, il generale Keitel, nelle direttive per le conversazioni con gli italiani, stabiliva. su ordine del Fiihrer, che per il momento i negoziati dovevano essere limitati unicamente ad un esame generale dello stato di preparazione delle due parti e ad accordi di cooperazione tecnica, accantonando le premesse politico-militari e le questioni strategiche (ibid., appendice l, n. l).

Sull'incontro Pariani-Keitel del 5-6 aprile a Innsbruck si vedano i DD. 472, 473, 488 e 489.

forma di attività e di propaganda vi è decisamente combattuta, ma la situazione geografica obbliga i due Paesi a tenere conto dell'esistenza dello Stato russo indipendentemente dal suo regime interno. Di qui le difficoltà che si frappongono, per i governi di Varsavia e di Bucarest ad aderire al Patto Anticomintern, che trasporterebbe sul piano internazionale e darebbe un carattere antirusso alla loro effettiva attività anticomunista.

Rapporti con l 'Ungheria. Il governo polacco si sarebbe mostrato favorevole al desiderato riavvicinamento romeno-ungherese e disposto a contribuirvi n eli 'ambito delle sue possibilità. Il signor Beck avrebbe anzi detto che la posizione della Polonia «alleata della Romania ed amica dell'Ungheria» presenta molta analogia, in questo problema, con quella dell'Italia «alleata dell'Ungheria ed amica della Romania».

Ucraina Subcarpatica. Gafencu mi ha detto che il governo polacco non è soddisfatto della sistemazione attuale di quella regione e che è anche preoccupato delle tendenze che ivi si manifestano per l'indipendenza da Praga e per un esercito nazionale. Anche la Romania non potrebbe vedere di buon occhio una simile eventualità. Finchè l' Ucraina Subcarpatica fosse rimasta unita a Praga, ciò non avrebbe suscitato preoccupazioni a Bucarest, sebbene la Romania si senta più vicina alla Polonia che alla Cecoslovacchia. Ma una Rutenia autonoma accanto alle regioni ucraine della Polonia e della Romania costituirebbe, anche per quest'ultima, un evidente pericolo.

La Romania non vedrebbe quindi ora di malocchio la nota soluzione del problema ruteno auspicato dalla Polonia; tanto più che essa potrebbe anche costituire per l'Ungheria un adeguato compenso per una duratura sistemazione dei suoi rapporti con la Romania. Tuttavia, il governo romeno tiene ben presente che l'attuale assetto della Cecoslovacchia è stato stabilito dall'Arbitrato di Monaco2 , e si asterrà perciò dal prendere alcuna iniziativa al riguardo, lasciando che ciò tàccia eventualmente la Polonia se lo crederà del caso, tanto più che la Romania ha attualmente gravi e più diretti problemi che si adopera a sistemare col Reich.

Nel riferire a V.E. tali comunicazioni del signor Gafencu, che per parte mia mi sono limitato ad ascoltare, mi permetto di far presente che nell'espormi il suo pensiero circa il problema deli'Ucraina Subcarpatica, egli mi ha pregato di considerare le sue parole come rivoltemi a titolo personale ed amichevole.

269 1 Vedi D. 262. 2 Con T. 3662/114 R. dell'Il marzo, l'ambasciatore Attolico comunicava: «Ribbentrop è d'accordo su tutti i punti e si riserva indicare data dopo consultati i militari».

270 1 T. 1016/58 R. del lO marzo. Riferiva che, al suo ritorno a Varsavia, Gafencu aveva espresso viva soddisfazione per la cordialità dei colloqui e per aver constatato un 'identità di opinione sui maggiori problemi dell'Europa Orientale e Danubiana, tanto da far ritenere che i rapporti polacco-romeni fossero entrati in una fase nuova di particolare intimità.

270 2 Sic.

271

L'AMBASCIATORE PRESSO LA SANTA SEDE, PIGNATTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. RISERVATO 850/263. Roma, 10 marzo 1939 (perv. l'll).

Ho ricevuto la Vostra lettera di stamane n. 19591 e procurerò di rispondere ai diversi punti toccati dall'Informatore fiduciario, riferendo quello che mi risulta sull'elezione di Pio XII e sui commenti ai quali ha dato luogo. Mi sforzerò di essere conciso, mi scuso se non v1 nuscirò.

Non v'è dubbio che Pio XII è il Papa che Pio XI ha desiderato e preparato. Papa Ratti è stato un grande italiano, il solo, forse, di sentimenti sinceramente italiani di tutto l'ambiente vaticano. Negli ultimi tempi, si può dire nell'ultimo anno del suo Pontificato, il Pontefice era indubbiamente mutato nei nostri riguardi. Egli non è riuscito a comprendere alcune direttive politiche del Duce verso la Germania e, probabilmente, la malattia, indebolendo i suoi centri inibitori, ha contribuito ad accentuare il suo malanimo verso di noi. Oso dire, ciononostante, che il Papa sarebbe sorto in difesa della sua Patria se se ne fosse presentato il bisogno.

Che Pio XI abbia desiderato che il Cardinale Pacelli fosse suo successore è fuori di dubbio. Lo disse al Cardinale Sincero e patrocinò, poi, la candidatura del suo protetto presso i Vescovi e i Cardinali tedeschi. Tutto questo Vi riferii, Eccellenza, a suo tempo. Di più il Papa defunto, da uomo intelligente e pratico qual' era, dispose le cose in modo da rendere accetto il suo beniamino ai Cardinali stranieri. Ed ecco sorgere le Missioni del Cardinale Pacelli, come Legato papale, a Buenos Aires, a Parigi, due volte, a Washington, e a Budapest.

È avvenuto così che nei giorni precedenti il Conclave un fortissimo gruppo di Cardinali stranieri si sia accordato sul nome del Pacelli. Questa candidatura era, d'altra parte, sostenuta strenuamente da una delle teste più solide del Sacro Collegio, il Cardinale Marchetti Selvaggiani.

I Cardinali italiani, in maggioranza poco ben disposti verso Pacelli, si sono presentati divisi e incerti senza un candidato. Di più essi erano assai preoccupati per alcune nostre manifestazioni. Monsignor Montini, Sostituto alla Segreteria di Stato, prelato colto e serio, mi ha detto che i Cardinali italiani sono entrati in Conclave sotto l'impressione della campagna di stampa di Regime Fascista. Il Cardinale La Puma mi ha dichiarato che i Cardinali si sono sentiti offesi dal fatto che i noti articoli di Regime Fascista contro Pacelli, Pizzardo ecc., erano scritti dal prete spretato, Preziosi.

Da quanto precede credo si possa dedurre l) che Pio XI non avrebbe mai. ripeto mai. patrocinata l'elezione del Cardinale Pacelli se avesse avuto il sospetto che il medesimo nutrisse avversione al Regime: 2) che l'elezione di Pio XII rappresenta il minore dei guai che ci potesse capitare.

Per quel che riguarda le direttive future del Pontificato appena iniziato, credo che sia doveroso andare cauti nel fare previsioni e che si debba, da parte nostra, agire in modo da non dare occasione o pretesto al Pontefice e a chi gli sta intorno, di assumere atteggiamenti irritanti verso di noi.

Ho già riferito all'Eccellenza Vostra, con mia lettera segreta di stamane n. 842/262 , il mio pensiero in merito all'Azione Cattolica, sotto il presente pontificato. Mi pare di potere dire. con eguale decisione. che Pio XII tenterà l'accordo con il Reich per poco che vi si prestino i dirigenti della Germania. In questa via il Papa sarà spinto -ripeto spinto -dal suo Segretario di Stato. il Cardinale Maglione. il Prelato negoziatore per eccellenza.

È esatta l'impressione riferita dal R. Ambasciatore a Berlino in data 3 corrente (telespresso ministeriale del 9 corrente n. 207459/c_)3 e cioè che, per quanto riguarda la Germania, il Cardinale Pacelli è stato, negli ultimi tempi, più spettatore che attore. Infatti, il Segretario di Stato, dopo avere montato Pio XI, contro la Germania, si deve essere accorto di essere andato troppo oltre e di non essere più in grado di frenare il suo Padrone.

D'altra parte, è bene tenere presente il desiderio, ripetutamente manifestato dal Cardinale Pacelli, di parlare, di negoziare con i tedeschi, offrendosi di andare anche a Berlino. È questa politica di conciliazione che il Pontefice tenterà indubbiamente di realizzare, nel primo periodo del suo Pontificato, verso la Germania e verso di noi. Il risultato dipenderà più dal Reich che dalla Santa Sede. Se a Berlino esiste veramente il desiderio di accordo il successo è sicuro, perché l'ambiente è preparato e adatto per tentare l'esperimento. Solo pochi giorni prima della morte di Pio XI, il Cardinale Pacelli, riferendomi acri parole di Lui, dettate da una mente ormai ottenebrata dal male, chiosava malinconicamente: «e dire che sarebbe così facile andare d'accordo!». Questo accordo. da lui auspicato fervidamente. Egli tenterà di realizzarlo. Ho dichiarato recentemente al mio Collega di Germania e riferito all'Eccellenza Vostra che, se il Reich si propone effettivamente di togliere un ostacolo serio alla perfetta comprensione fra i popoli italiano e tedesco, è indispensabile che lasci da parte la questione religiosa.

Mi rimane da parlare del telegramma del Duce a Pio XII4• Al momento dell'elezione del nuovo Pontefice, il Sacro Collegio, e quindi il suo Decano, perde ogni potere nel governo della Chiesa. D'altra parte, il nuovo Papa non ha proceduto alla nomina del Segretario di Stato. È vero che il Duce avrebbe dovuto dirigere il telegramma a Monsignor Tardini. Francamente mi è sembrato che il Duce non poteva indirizzarsi a un semplice Monsignore e ho proposto il telegramma al Papa. La risposta sarebbe stata firmata dal Cardinale e Segretario di Stato se il Papa. come d'uso. l'avesse nominato subito. Ammetto che avrei dovuto prevenire.

3 Ritrasmetteva il D. 246.

4 Nella nota fiduciaria si riferiva che era stato molto commentato negli ambienti vaticani il fatto che Mussolini avesse inviato un messaggio per l'elezione di Pio XII direttamente al Pontefice anziché alla Segreteria di Stato vaticana, come era previsto dal cerimoniale.

Informo ad ogni modo che nessun rilievo mi è stato fatto dalla Segreteria di Stato. Le sole manifestazioni che ho avute, sono state di ringraziamento per il R. Governo e di plauso per l'atteggiamento della stampa italiana. Dirò di più, che il Santo Padre, che incontrai nelle loggie di Raffaello l'indomani della sua elezione, mentre si recava in paramenti sacri con un fastoso corteo alla Cappella Sistina, si avvicinava a me per almeno dieci passi, lasciando in asso il suo seguito e mi pregava di fare pervenire al R. Governo i suoi fervidi ringraziamenti per le manifestazioni delle quali era stato oggetto (mio telegramma per corriere 3 c.m. n. 33)5 .

Per quel che riguarda il primo Messaggio papale e l'interpretazione della frase «pace con giustizia»6 , mi rimetto alle considerazioni d'ordine generale, svolte sopra. Panni che piuttosto che sottilizzare, ci convenga aspettare, con pazienza. Il Papa c'è. ma non si è ancora orientato. Vediamo se. senza deflettere. vi sia la possibilità di andare d'accordo con Lui. Per parte mia credo fermamente che tale possibilità esiste7•

271 1 Trasmetteva una nota fiduciaria relativa al recente Concilio con la richiesta di riferire circa l'attendibilità di quanto vi veniva segnalato. Nella nota fiduciaria si affermava che «negli ambienti elevati e fra i cosidetti intellettuali» l'elezione a Pontefice del cardinale Pacelli era considerata la conferma che il Vaticano intendeva proseguire senza deviazioni il programma del Pontefice precedente e che in Germania doveva essere meditata perché era stato il cardinale Pacelli a negoziare, come nunzio a Berlino, il Concordato del 1933 ed era prevedibile che, una volta divenuto Papa, non avrebbe tollerato ulteriori violazioni di quell'accordo.

271 2 Non rintracciata.

272

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 1984/573. Berlino, l O marzo 19391•

Telegramma per corriere VE. dall'8 marzo 2 .

Sono in grado di confermare le notizie di cui al telegramma di VE. in riferimento.

I rapporti polono-tedeschi stanno eftèttivamente tornando a normalizzarsi, e ciò, anche questa volta, per precisa volontà del Fuhrer il quale-anche contro l'inclinazione di una forte corrente del partito -non intende che fatti di importanza secondaria come dei chiassi studenteschi compromettano le linee essenziali di una politica rispondente all'interesse superiore dei due Paesi. Non mancano del resto dei segni (recenti dimissioni Sottosegretario all'Istruzione in Varsavia etc.) mostranti come il governo polacco intenda dare la dovuta soddisfazione alla Germania.

Non per questo, però, la situazione mostra di tornare ad una perfetta tranquillità. Mentre da una parte sono sempre da temere a Danzica gli eccessi e le intemperanze di Forster (amico, purtroppo, personale del Fiihrer) non mancano a Berlino delle serie

6 Nella nota fiduciaria si segnalava che negli ambienti vaticani era considerato un fatto impolitico ed era oggetto di molte critiche che nella stampa italiana fosse stato sostenuto che il Pontefice, nel suo primo messaggio al mondo, avesse fatto proprio il principio mussoliniano di «pace con giustizia», quando era evidente che la giustizia a cui alludeva il Santo Padre non ~veva niente a che fare con la giustizia politica.

7 Il documento ha il visto di Mussolini. E dubbio se le sottolineature qui riportate siano di Mussolini oppure di Ciano. 272 1 Manca l'indicazione della data di arrivo.

2 T. 3541 P.R. de11'8 marzo. Ritrasmetteva il T. 888/47 R. del 3 marzo da Varsavia con il quale l'ambasciatore Arone aveva riferito di avere appreso che l'ambasciatore di Polonia a Berlino, Lipski, era stato ricevuto da Hitler e che le due parti avevano dichiarato di considerare le recenti manifestazioni antitedesche in Polonia come «provocate da elementi irresponsabili e a carattere locale». Con l'occasione, era stata confermata l'intenzione dei due governi di mantenere inalterata la linea politica seguita fino a quel momento.

preoccupazioni, che hanno ricevuto e ricevono nuovo alimento dalla visita Gafencu a Varsavia3 (apparentemente coronata da successo) prima, e dalla attesa visita di Beck a Londra poi, Londra essendo sospetta di volere, d'accordo con la Francia, riprendere nell'Oriente Europeo molte delle posizioni già perdute. Speciale sospetto suscitano qui i progetti intesi all'incremento dei rapporti-economici ora ma politici domani-fra il Baltico e il Mar Nero.

271 5 T. per corriere 902/33 R. del 3 marzo, non pubblicato.

273

L'AMBASCIATORE A VARSAVIA, ARONE, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 625/198. Varsavia, IO marzo 1939 (perv. il 13).

La visita che il signor Gafencu ha fatto in questi giorni (dal 4 al 6 corrente) al governo polacco avrebbe avuto inizialmente lo scopo di dissipare attraverso la presa di contatto diretta con i dirigenti polacchi quel senso di freddezza che il Convegno di Galatz dell'ottobre scorso 1 , che pose in luce l'avversione romena alla frontiera comune polacco-ungherese, aveva creato nel!' atmosfera dei rapporti tra la Polonia e la Romania. Già l'allontanamento dal governo del signor Comnen (vivamente desiderato da Varsavia) e la nomina del signor Gafencu (in buoni rapporti personali con il ministro Beck) alla direzione della politica estera rumena, costituivano i presupposti per una favorevole ripresa della collaborazione fra i due governi. Ora col viaggio in Polonia del nuovo ministro degli Affari Esteri romeno, al quale sono state fatte le migliori accoglienze, questo scopo può dirsi raggiunto.

È da rilevare il tono di cordialità adottato dal signor Gafencu, sia nel brindisi di risposta a quello più protocollare del signor Beck, sia nelle ampie e dettagliate dichiarazioni da lui fatte alla stampa prima di lasciare Varsavia. Trasmetto il testo dei due discorsi (al l. l f nei quali è da notare da parte polacca l'atfennazione secondo la quale «i rapporti polacco-rumeni dettati dal! 'istinto profondo dei due popoli possono esercitare un'azione vantaggiosa quale fattore internazionale» e da parte rumena il chiaro accenno «alla grande via europea che i due Paesi devono tracciare arditamente dal Baltico al Mar Nero ed ai mari del Sud». Questo punto è stato sviluppato nella dichiarazione ai giornalisti (di cui pure trasmetto il testo-ali. 2)3 ai quali il signor Gafencu ha detto che verrà dato il maggiore impulso per l'attuazione del noto progetto di comunicazione, mediante la costruzione di canali, dalla Vistola col Prut e col Danubio, in modo da creare una grande via fluviale dal Baltico al Mar Nero.

Alquanto più reticenti sono state invece, com'è naturale, le dichiarazioni del signor Gafencu relative all'atteggiamento della Romania nella questione della Rute

2 Non pubblicato.

3 Non pubblicato.

nia Subcarpatica che ha costituito indubbiamente il punto più delicato delle sue conversazioni con il signor Beck. A tale riguardo si nota in questi circoli diplomatici un'intensa curiosità ed un certo disorientamento circa la portata effettiva degli scambi di vedute avvenuti tra i due ministri degli Affari Esteri. Mentre infatti nell 'intervista ai giornalisti e in qualche conversazione privata con Rappresentanti esteri qui accreditati il signor Gafencu si è limitato ad osservare che il problema della frontiera comune della Polonia con l 'Ungheria non è attuale dopo l'Arbitrato di Vienna (mio telegramma N. 49 del 6 corrente)4 , secondo un'altra versione che trova credito in alcuni circoli diplomatici e di cui si crede di vedere la prova nella viva soddisfazione manifestata dagli ambienti polacchi per la visita di Gafencu, questi avrebbe assicurato il signor Beck che la Romania recederebbe dalla sua opposizione qualora dovesse presentarsi la possibilità della realizzazione della nota aspirazione polacca. I dubbi e le indagini di quegli stessi ambienti che prestano fede a tale versione si appuntano allora nella ricerca delle eventuali contropartite che la Romania avrebbe chiesto in compenso di tale mutato suo atteggiamento, non sembrando verosimile che essa possa consentire gratuitamente ad una maggiore estensione della propria frontiera con l'Ungheria che sarebbe la diretta conseguenza dell'eventuale annessione a quest'ultima della Rutenia Subcarpatica.

Secondo altri-e questa appare la versione più attendibile-il signor Gafencu nei colloqui con Beck, dopo aver constatato che a seguito dell'Arbitrato di Vienna la questione della frontiera comune polacco-ungherese non è attuale, avrebbe aggiunto che qualora essa dovesse ritornare di attualità, la Romania sarebbe disposta a riesaminare il problema in uno spirito di intesa con la Polonia.

Infine, un altro punto importante che ha formato oggetto delle conversazioni polacco-rumene è quello relativo al problema ebraico. A tale riguardo il signor Gafencu, secondo le sue stesse dichiarazioni, si è trovato d'accordo col signor Beck nel riconoscere che il problema ebraico, il quale presenta aspetti comuni in Polonia e in Romania, va posto sopra un piano internazionale e che solo nel campo internazionale sia possibile ricercare una soluzione. Il signor Gafencu ha quindi espresso il desiderio che Beck, in occasione del suo prossimo viaggio a Londra, nell'esporre il punto di vista polacco sulla questione, informi il governo inglese dell'analogo punto di vista rumeno.

272 3 Del 4-6 marzo. Vedi DD. 266, 270 e 273.

273 1 Vedi D. 266, nota 3.

273 4 T. 938/49 R. del6 marzo. Riferiva in modo più sintetico circa l'incontro Beck-Gafencu di cui sottolineava i riflessi positivi sui rapporti polacco-romeni.

274

L'INCARICATO D'AFFARI A RIO DE JANEIRO, GRAZZI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 593/202. Rio de Janeiro, IO marzo 1939 (perv. il 30).

Telegramma R. Ambasciata n. 40 del l Omarzo1 .

La visita, testé conclusasi, del ministro degli Esteri brasiliano a Washington presenta due diversi aspetti. Il primo è caratterizzato dal motivo medesimo che aveva originato l'invito da parte del Presidente Roosevelt, e cioè l 'intendimento di esercitare pressione su questo governo affinché si decida ad inquadrarsi nelle linee tradizionali del regime democratico americano, ed a mutare, per lo meno, i suoi rapporti commerciali con i Paesi Totalitari. Il secondo, che ha cercato di nascondere l'altro e dietro il quale il signor Aranha ha ripiegato le attività da lui svolte a Washington, è quello di una più stretta collaborazione economico-finanziaria fra le due Repubbliche.

È da premettere che il ministro Aranha fu invitato dal Presidente Roosevelt per discutere problemi riguardanti la politica di «buona vicinanza». Le motivazioni, però, dell'invito furono così imprecise, che il Presidente Vargas sentì la necessità, nella risposta al Roosevelt, di richiedere una più chiara indicazione degli argomenti da discutere, affinché potesse preparare egli stesso gli studi e gli elementi necessari ad un avviamento pratico delle trattative.

Fu quindi palese che con tale richiesta il Vargas intendeva parare, in anticipo, a quell'interferenza diretta nella politica interna del Brasile che il Roosevelt aveva già tentato sin dall'epoca della Conferenza di Lima.

Poiché il Brasile non aveva sollecitato l 'incontro tra il ministro Aranha ed i rappresentanti nord-americani, e poiché l'iniziativa di Roosevelt parve essere stata accolta qui con molta sorpresa, anche nei circoli governativi e particolarmente in quelli più vicini al Presidente della Repubblica, apparve chiaro fin dal primo momento, che le conversazioni di Washington avrebbero principalmente mirato ad attrarre ancora maggiormente il Brasile nell'orbita degli interessi degli Stati Uniti. Sorpresero quindi, le eccessivamente calde affermazioni che il ministro Aranha, appena giunto a Washington e ancor prima di avere avuto abboccamenti coi Segretari di Stato, fornì alla stampa nord-americana circa gli scopi della sua visita.

La contraddizione tra le affermazioni da lui fatte negli Stati Uniti e la riserva che il Presidente Vargas aveva dimostrato voler mantenere, apparve immediatamente dal rigore con cui la censura impediva la pubblicazione di parte delle dichiarazioni dell' Aranha. Furono difatti censurati gli accenni alla possibilità di costruzione di navi

da guerra brasiliane nei cantieri nord-americani o di compera di navi fuori servizio attivo, nonché gli accenni alla convenienza di contrarre un forte prestito per l'immigrazione in Brasile di larghe correnti di disoccupati nord-americani oltre che per lo sviluppo dell'organizzazione industriale brasiliana, mediante tecnici ed orientamenti economici nord-americani.

Tale contraddizione, più o meno confusamente nota al pubblico, non ha mancato di causare una sgradevole impressione, perché è sembrato che l'Aranha fosse andato ad offrire agli Stati Uniti la possibilità di risolvere i propri problemi nazionali a danno degli interessi del Brasile.

È, di poi risultato che ali'Aranha, nelle sue prime conversazioni con il Segretario Cordell Hull e col Sottosegretario Summer Welles, fu fatta nettamente sentire la necessità del cambiamento di regime politico del Brasile, come condizione necessaria per continuare ad ottenere i favori degli Stati Uniti. Tali conversazioni in merito ali'orientamento della politica interna brasiliana si prolungarono addirittura per vari giorni, in attesa delle risposte del Presidente Vargas, che furono recisamente negative. Non sembra quindi che il primo colloquio tra l' Aranha ed il Presidente Roosevelt, in conseguenza di ciò, sia stato eccessivamente cordiale; e ciò tanto più, in quanto è da ritenere che l'Aranha, o quando era Ambasciatore a Washington o direttamente da Rio de Janeiro, a mezzo della rappresentanza diplomatica nord-americana, avesse promesso al Roosevelt di esercitare la propria influenza per indurre il Presidente Vargas a convocare una Costituente Nazionale che dovrebbe rivedere la Costituzione del IO novembre 1937 e forse addirittura ripristinare il Parlamento.

Dopo il colloquio col Presidente Roosevelt, le dichiarazioni dell' Aranha alla stampa di Washington e di New York sono state quasi giornaliere e contraddittorie. Mentre annunziava che egli non si era recato negli Stati Uniti per domandare sovvenzioni finanziarie, l'Aranha dava invece notizie delle trattative svolte con la Banca di Esportazione ed Importazione, col Comitato dei Portatori di titoli del Debito Pubblico Straniero, col Segretario del Tesoro, ecc., trattative le quali non potevano non mirare che ad ottenere diretti od indiretti finanziamenti.

Questa attività non ha naturalmente mancato di apparire sospetta al Presidente Vargas, non tanto perché questi si preoccupasse della maniera con la quale il suo ministro degli Esteri tutelava gli interessi americani a danno dei brasiliani, quanto e sopratutto perché temeva che l'Aranha volesse costituirsi nel Nord America una piattaforma politico-finanziaria atta a rovesciare, per via costituzionale o con un movimento di rivolta, il Presidente stesso.

È stata allora autorizzata la pubblicazione di critiche abbastanza pungenti alla verbosità del ministro degli Esteri, che secondo la Batalha (organo ispirato dalla Segreteria della Presidenza) si sarebbe allontanato dalle belle tradizioni di eleganza e di prudenza della diplomazia brasiliana, e che, secondo altri giornali, avrebbe voluto assumere compromessi pericolosi per l 'attuale economia locale.

Inoltre, la sera stessa in cui l'Aranha pronunziò a New York un discorso di critica ai Regimi Totalitari, accomunando il comunismo al Fascismo ed al Nazional Socialismo, il Presidente Vargas, a persone che si trovavano con lui nella residenza estiva di Petropolis, manifestò un vivo risentimento, dicendo tra l'altro che, nei propri discorsi, egli aveva, è vero, additato la necessità per il Brasile di mantenersi immune dalle propagande dei regimi di destra e di sinistra, ma che mai aveva rivolto attacchi all'Italia, alla Germania ed al Giappone, Paesi questi con i quali il Brasile cerca di essere nelle migliori relazioni di amicizia e di rapporti economici.

Il Vargas in altra occasione specificò poi di aver telegrafato al!' Aranha per dargli disposizioni affinché si fosse ricusato a ogni discussione sulla politica interna tanto degli Stati Uniti quanto del Brasile e non avesse preso alcun impegno meno che generale, «giacché il Brasile è uno Stato sovrano e non deve subordinare ad interessi altrui le direttive della sua difesa economica».

In prosieguo di tempo, il risentimento del Presidente Vargas ha avuto motivo di acuirsi, quando, in base alle trattative finanziarie, l'Aranha avrebbe riferito che l'esito di esse sarebbe stato sicuro, e che gli ausili del governo americano sarebbero stati ancora più grandi se egli -Aranha -fosse stato chiamato a sostituire l 'attuale ministro delle Finanze, dottor Souza Costa. Il rifiuto del Presidente è stato formale.

La manovra dell'Aranha-che non ha mai celato la sua propensione per il portafogli delle Finanze -ha reso chiari i fini personalistici del suo viaggio e gli intrighi da lui tramati contro il Presidente nonché contro i colleghi del Gabinetto: fini ed intrighi tendenti a subordinare a tutto vantaggio personale la politica economica e finanziaria brasiliana alle direttive ed alle convenienze degli Stati Uniti.

Per il momento quindi, il primo risultato del viaggio sembra essere sfavorevole all' Aranha, il quale si è visto di assai diminuita la fiducia del Capo dello Stato, si è alienato la simpatia dei circoli e dei gruppi più vicini a quest'ultimo, e, ciò che più conta in un Paese come questo, ha dato prova di non aver saputo riuscire nei suoi intenti. Questo dal punto di vista interno.

Dal punto di vista internazionale, la prima impressione è che la posizione generale degli Stati Uniti, già così torte in Brasile, non si è rafforzata che dal punto di vista economico-finanziario. A parte il rifiuto di concedere le basi navali (vedi telegramma

n. 31 del 25 febbraio u.s.f, a parte la circostanza di aver lasciato cadere l'offerta di acquisti navali, e l'impossibilità di accordarsi per una riduzione della cultura brasiliana del cotone, sta il fatto che nell'opinione dei «patrioti» gli Stati Uniti hanno esagerato, e che nella opinione del Presidente si è accresciuta la diffidenza verso chi tenta di minare il suo potere: il grande rilievo dato al riconoscimento di Franco3 , è forse un esempio della reazione del Presidente ad un giogo che minaccia di divenire troppo pesante.

s.n.d. 785/31 R. del 25 febbraio qui in riferimento, che da parte degli Stati Uniti era stato manifestato un interesse ad avere delle basi sulla costa brasiliana per il rifornimento della propria marina ma che gli Stati orientali del Brasile avevano «negato in modo assoluto» la loro autorizzazione.

Analoga richiesta di informazione era stata inviata all'ambasciata a Washington (T.s.n.d. 2764/29

P.R. del 23 febbraio) e l'incaricato d'affari Cosmelli aveva risposto che effettivamente circolavano molte voci circa possibili richieste di basi aeree o navali in territorio brasiliano da parte degli Stati Uniti ma che fino a quel momento niente avvalorava quelle voci (T.s.n.d. 771/44 R. del 24 febbraio).

3 li governo di Burgos era stato riconosciuto dal Brasile l'Il febbraio precedente. A questo proposito, Grazzi aveva riferito di avere appreso che il Presidente Roosevelt si era «lamentato vivamente» con Aranha per il fatto che il Brasile aveva effettuato il riconoscimento per proprio conto, senza aver cercato un'intesa con gli altri Stati americani per un'eventuale dichiarazione comune, ed aveva dichiarato di vedere in queste decisioni isolate un infiacchimento della solidarietà panamericana a tutto vantaggio degli Stati totalitari (te] espresso 516/187 del 3 marzo).

Ma non per questo può dirsi che gli allettamenti americani a l' Aranha siano cessati o che le manifestazioni filo-nord-americane dell' Aranha siano diminuite in seguito al riservato atteggiamento del suo Capo di governo. Infatti, l' Aranha ha assistito di persona alla presentazione delle credenziali del nuovo Ambasciatore a Washington, signor Pereira de Souza, il quale ha, dietro presumibili istruzioni del suo ministro, elevato un inno «agli sforzi tentati dagli Stati Uniti per conservare la ragione e la giustizia nelle relazioni internazionali» ed alla «fraterna unità di sforzi fra i due Paesi per la difesa della pace e del diritto», ed il Roosevelt nella risposta, ha detto che «la visita di Aranha è un esempio del mutuo desiderio di collaborazione, tanto più che egli ha saputo meritare l'amicizia e la stima di quanti hanno avuto il privilegio di avvicinarlo».

Quali poi potranno essere gli sviluppi del risentimento del Presidente contro l'Aranha, se è poi vero che questi ha, malgrado tutto, promesso al governo nord-americano di agire in combinazione con altri ministri, affinché venga concesso il Plebiscito promesso dalla costituzione del l ONovembre; come pure quali possano essere gli eventuali tentativi che l'Aranha, qui di ritorno, potrà cercare di effettuare avvicinandosi a questo o a quel gruppo di amici (vi ha chi parla di Goes Monteiro, Capo di Stato Maggiore, e chi di elementi integralisti), è prematuro dire. Il Presidente-è noto-è di carattere circospetto, capace di porre freno ai propri impeti, propenso a colpire gli avversari successivamente e per motivi diversi da quelli che hanno originata la controversia; intanto però sembra che egli non verrà a Rio all'arrivo del ministro degli Esteri, intendendo anzi allontanarsi dalla vicina Petropolis per una più lontana stazione balneare, onde dimostrare la sua indifferenza non solo alla persona del ministro, ma anche a quanto questi ha concluso, in tema di rapporti commerciali e finanziari, nel corso del viaggio.

274 1 T. 1021/40 R. dellO marzo. Riferiva che il ministro degli Esteri brasiliano, Aranha, era ripartito per Rio de Janeiro dopo una visita ufficiale negli Stati Uniti durata un mese e che, secondo quanto risultava da tutte le fonti attendibili, gli accordi da lui sottoscritti con il governo nordamericano avevano un carattere esclusivamente economico-finanziario.

274 2 Con T. s.n.d. 2764/20 P.R. del 23 febbraio, era stato chiesto a Cassinis di riferire circa una notizia fiduciaria secondo la quale era intenzione del Presidente Roosevelt chiedere al Brasile una base per l'aviazione degli Stati Uniti nell'isola di Fernando de Noronha. Cassinis aveva risposto, con il T.

275

L'INCARICATO D'AFFARI A RIO DE JANEIRO, GRAZZI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 601/206. Rio de Janeiro, l O marzo l 939 1•

In una conversazione con me avuta, questo Incaricato d'Affari di Germania si è lamentato della prolungata assenza del suo Capo Missione. Dopo aver accennato, alludendo al prossimo arrivo in Sede di S.E. Sola, che «sarebbe stato preferibile che i due Ambasciatori fossero arrivati insieme», il signor von Levetzow si è doluto che in un Paese in cui «quel poco che si può ottenere lo si deve chiedere al Presidente», il rappresentante di Germania debba, per essere egli un semplice Incaricato d'Affari, astenersi dall'aver contatti col signor Vargas.

La situazione-ha aggiunto il mio collega-si va facendo sempre più difficile per i tedeschi. Alle note leggi snazionalizzatrici si aggiunge ora una malcelata generale animosità antigermanica, coltivata a bella posta degli ambienti dirigenti, sotto la spinta, a suo dire, di una continua opera nord-americana, ebraica e perfino cattolica, in

modo che è da prevedersi un ulteriore peggioramento della situazione fatta ai tedeschi nel Brasile, in specie, e a tutti gli stranieri, per conseguenza, in genere.

Il signor Levetzow mi ha fatto comprendere che l'Ambasciatore Ritter aveva talvolta esagerato nei suoi atteggiamenti e nelle sùe proteste, e che il suo Paese non poteva dirsi ben servito da molti dei suoi consoli in questa Repubblica, alcuni dei quali prendevano talora attitudini ed esplicavano azioni capaci di giustificare, in certo modo, le reazioni locali.

Ho avuto l'impressione che da parte germanica si era sperato di sanare il dissidio, o approfittando del viaggio della Missione Aeronautica nel Reich, o anche della nomina del nuovo Ambasciatore d'Italia: e che si è rimasti delusi di non aver, almeno per ora, potuto superare il punto morto. Non è quindi da escludere qualche mossa tedesca per iniziare nuovamente col Brasile delle relazioni più normali.

275 1 Manca l'indicazione della data di arrivo.

276

IL CAPO DI STATO MAGGIORE DEL C.T. V., GAMBARA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. UFF. SPAGNA 669/2931, 678/2931-l, ..., 11 marzo 1939, ore 3,15 679/2931-2 e 680/2931-3. (perv. ore 8). Parlato a lungo oggi con Generalissimo.

Dopo avergli riferito quanto Duce mi aveva ordinato dire 1 , colloquio è scivolato su argomenti indole varia che qui sintetizzo.

l) Situazione militare rossa. Caotica. Rossi rosei facenti capo Generale Casado stanno vigliaccamente2 combattendo nella zona di Madrid e Valencia contro comunisti assai numerosi e ancora forti. Risultato incerto. Tra truppe in linea ad ogni modo non si è ancora risentito contraccolpo situazione interna. Forte puntata nazionale in settore Casa de Campo obbligata indietreggiare innanzi a fortissima reazione avversaria. Evidente prova che rossi accesi e rossi rossi innanzi a franchisti sono ancora uniti e decisi resistenza. Parere Franco, che in questi ultimi giorni ha nettamente rifiutato qualsiasi tentativo di pace condizionata, evidentemente ispirata da intrighi e mene franco-inglesi, è che necessiti offensiva decisa e a fondo per liquidare questione.

2) Situazione militare nazionale. Concentramento truppe destinate offensiva non ancora ultimato. Necessiteranno ancora cinque o sei giorni causa difficoltà ferroviarie e mezzi trasporto. C.T.V. già tutto in zona eccetto Divisione Frecce Verdi cui

2 Sic.

ultimo scaglione partito oggi da Barcellona. Ad ogni modo nostra organizzazione consente -caso necessità-muovere ad attacco qualsiasi momento. 3) Piano operazioni. Subìto qualche modifica da quello prospettato Duce. Importanza relativa. Date notizie su nemico e dislocazione sue riserve scelte per

C.T.V. direttrice T o ledo-Tarancon-Huete. Ritengo opportuno per riflessi militari-politici mettermi condizioni inferire sino da principio colpo più duro possibile, grosso forze nemiche. Inizio azione previsto per giorno 16 (sedici) ma ritengo che non possa effettuarsi a meno cause speciali prima del diciotto o venti corrente mese. Domani sarò Toledo per ricognizione con Comando Armata Centro. Invierò quanto prima piano dettagliato e decisioni definitive specie per quanto ci riguarda.

4) Questione dinastica. Franco confermato con esplicita energia che almeno per molti anni in Spagna non si parlerà di restaurazione monarchica. Pur ammettendo che parte gioventù spagnola simpatizzi con Don Juan, è convinto che simpatia non troverebbe rispondenza intenti e opere in eventuale re. Accennato a sforzi anglo-francesi per restaurazione e sollecitazioni inglesi presso famiglia reale. Mene sarebbero però attentamente seguite da Franco stesso.

5) Problemi post-guerra. Franco ha accennato che Spagna dopo guerra avrà bisogno di un periodo di riposo e raccoglimento per consolidare politica interna e sanare ferite guerra. Aggiunto che vi sarà bisogno di organizzare potente esercito e flotta per sviluppi futura politica estera. Lasciato intendere senza sbilanciarsi che avrà bisogno di ulteriori aiuti in materia organizzativa dai suoi veri amici. Ritengo per questo a fine evitare che si crei anche una involontaria concorrenza in materia tra noi e tedeschi a vantaggio forse di probabili terzi mettersi, prima di venire al sodo con Franco, d'accordo con tedeschi stessi ripartendosi con franca sincerità la sfera reciproche influenze sull'organizzazione delle Forze Armate: esercito, marina e aviazione. In colloquio sulle generali avuto proprio oggi con addetto militare tedesco ho capito essere anche tedeschi stesso avviso. Gradirei però su questo, pensiero e direttive di V.E.

6) Dal discorso di Franco sugli armeggi franco-inglesi contro i governi totalitari, ho potuto arguire come, in caso di conflitto italo-francese, la Spagna rimarrebbe neutrale. Ho arguito questo dall'aver egli più volte ribattuto sul concetto che, come alla Spagna necessita consolidarsi prima di sviluppare una politica imperialista, anche all'Italia convenga ora evitare conflitti per poter poi agire insieme alla Spagna in Africa a favore delle comunicazioni Italia-Impero. Ha aggiunto che con l'Inghilterra è sempre possibile patteggiare (commerciando anche questioni politiche) a tutto danno della Francia che da sola non avrà mai la forza di agire. Nel luogo colloquio, improntato a grande cordialità, e sembrami anche a sincerità, ho tenuto ad ascoltare molto e a parlare poco. Nei riguardi della monarchia (visto che sull'argomento era venuto proprio Franco) ho profittato per ribattere netto e preciso parere del Duce al riguardo. Franco nel congedarsi ha tenuto ad esprimere tutta la sua riconoscenza e devozione al Duce3 .

276 1 Il generale Gambara si era recato a Roma dove era stato ricevuto da Mussolini e da dove era ripartito il 5 marzo. In proposito vi è nel Diario di Ciano, sotto quella data, la seguente annotazione: «Conduco [Gambara] con me dal Duce, il quale gli conferma le istruzioni dei precedenti colloqui. Aggiunge che intende lasciare le truppe in Spagna fino a quando vi sarà da combattere: non intende però !asciarle a fare funzioni di polizia. Incarica Gambara di esprimere a Franco la sua netta avversione alla sistemazione monarchica: "il ritorno della monarchia equivarrebbe a ripiombare la Spagna in una nuova guerra civile entro tre anni"».

276 3 Con T. UFF. SPAGNA 594 de li' Il marzo Ciano telegrafava: «Il Duce ha letto con vivo interesse quanto avete riferito sul vostro colloquio col Generalissimo. Alla prima occasione esprimetegli compiacimento del Duce sugli intendimenti da lui manifestati».

277

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 1027/115 R. Berlino, 11 marzo 1939, ore 15 (perv. ore 16).

Ho domandato a Ribbentrop cosa pensasse della situazione slovacca. Egli ritiene che le Autorità di Praga possano riuscire a dominarla. Berlino, comunque, sta alla finestra.

278

L'AMBASCIATORE A SALAMANCA, VIOLA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE l l 03/034 R. San Sebastiano, 11 marzo 1939 (perv. i/14).

Nei circoli ufficiali di Burgos vi è vivo risentimento verso Inghilterra per attitudine assunta da Londra nei riguardi blocco coste spagnole dichiarato da Franco. Già nei predetti circoli aveva prodotto malumore -apertamente manifestatosi anche attraverso stampa-la costituzione in Madrid del famoso Consiglio di Difesa Nazionale\ in cui, per evidenti segni, era stata riconosciuta una manovra inglese diretta a porre Franco nell'imbarazzo e a forzargli la mano nel senso di quella soluzione non totalitaria della guerra -col salvataggio dei caporioni repubblicani -che è pure sempre auspicata da Londra, fors'anca più che da Parigi. Senonché, gli avvenimenti di Madrid hanno chiarito di per sé la situazione, rendendo più che mai necessario e popolare l'ulteriore e definitivo intervento armato delle forze di Franco.

Ora sono intervenute le dichiarazioni di Halifax del 9 corrente2 a ribadire l'assurdo del riconoscimento de jure del governo di Franco senza riconoscimento del diritto di belligeranza. La reazione inglese alla dichiarazione di blocco, le precisazioni circa la protezione della bandiera britannica hanno opportunamente aperto gli occhi agli spagnoli sul vero significato del riconoscimento e su quello che potrà attendersi la Spagna in fatto di politica mediterranea da amicizia di parte inglese.

Questo incaricato d'affari britannico, signor Hodgson, che, bisogna riconoscerlo, ha servito qui il suo Paese con molta comprensione e con molta lealtà per la causa nazionale, e con una certa dose di indipendenza (fors'anche perché, ormai colpito dai

limiti di età, sapeva di dover lasciare il posto a un ambasciatore), si è m eco espresso a proposito delle dichiarazioni di Halifax con la seguente frase spagnola: «esta es la ultima fanteria».

278 1 Vedi D. 264, nota 2. 2 Nel suo discorso alla Camera dei Lords (testo in Relazioni Internazionali, pp. 195-196).

279

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. RISERVATISSIMO 2025/594. Berlino, 11 marzo 1939 (perv. il14).

Credo opportuno riferire alla E.V. una conversazione da me avuta ieri col Visconte Davignon tornato la mattina da una breve gita a Bruxelles. Il Davignon è per temperamento un po' allarmista, ma è tuttavia nelle sue informazioni generalmente sincero.

Egli mi ha detto di aver visto lungamente S.M. il Re e averlo trovato nettamente più pessimista sulla situazione europea di quanto non fosse un mese fa. Elementi di questo pessimismo:

l) Rapporti italo-francesi. È bensì vero che in Italia nessuna personalità responsabile ha sinora parlato ma è anche vero che, dopo il 30 novembre, è stata consentita, se non ordinata, e si continua a consentire una polemica di stampa evidentemente intesa a esacerbare gli animi. La Francia è un Paese eminentemente patriottico che, sentendo~i minacciato dalla dimostrazione della Camera Fascista nella sua stessa integrità territoriale, non può continuare a rimanere a tempo indeterminato sotto questa minaccia e quasi sotto questo incubo. Ciò rappresenta, per una grande Potenza come la Francia, una umiliazione, per sottrarsi alla quale essa è ormai pronta a tutto, compresa la guerra. Lo stato di tensione degli spiriti aumenta di giorno in giorno. È impossibile ch'esso-ove una opportuna chiarificazione continui a mancare-non sbocchi in qualche cosa di poco favorevole alla pace europea.

2) Della situazione dei rapporti franco-italiani incomincia a preoccuparsi ora anche l'Inghilterra e ciò non ostante le impressioni indubbiamente rassicuranti a suo tempo riportate da Chamberlain durante la sua visita in Italia. Ma il fatto che Roma continui ostinatamente a tacere, alimentando così ogni possibile fantasia sulle sue mire ultime, mentre si comprendeva in gennaio, non si comprende più in marzo.

D'altra parte, Londra sta ogni giorno di più «montandosi» e mentre, nel settembre dell'anno scorso, era pronta ad ogni sorta di accomodamenti qualunque fosse il prezzo che potesse costarle, ora invece, pur mantenendosi disposta a trattare, intende entrare nel merito delle questioni, pesandone le condizioni e il pro e il contro della loro soluzione. L'opinione pubblica inglese che l'anno scorso applaudiva il Primo Ministro inglese nei suoi sforzi per la pace indipendentemente da ogni considerazione di prestigio, ora non sarebbe più disposta a transazioni che potessero apparire -indipendentemente dal loro merito reale -delle nuove flessioni da parte inglese. A questo sentimento popolare risponde appunto la tattica adottata dal governo di sottolineare -anche a sproposito come è francamente ammesso nel caso ultimo delle 19 divisioni -ogni passo in avanti compiuto nella organizzazione della propria difesa continentale ed imperiale.

3) Ma non sono solo le non ancora chiare aspirazioni italiane quelle che pesano sulla situazione generale, bensì anche quella che è ancora definita l'incognita tedesca. A parte la questione delle Colonie -che naturalmente in Paesi come il Belgio suscita particolari apprensioni -si ritiene che un gran Paese come la Germania non possa adattarsi ad una situazione economica uguale alla presente e che a detta di tutti è molto malagevole e alla lunga insostenibile. Non si tratta solamente di burro e di maiali ma adesso -vedi le campagne iniziate contro il tabacco e il vino ed ora anche contro il caffè -ogni e qualunque dei consumi popolari più diffusi e cari alla popolazione viene messo in forse. Il fatto è -si dice -che la Germania, dopo l'Anschluss e dopo l'annessione delle regioni sudetiche, si trova economicamente ancora peggio di prima. Il popolo non riesce a comprendere come in seguito a sempre nuovi successi politici la situazione complessiva del Paese debba peggiorare invece che migliorare. Uno sbocco a questa situazione è quindi sempre da paventare.

Queste -secondo il Davignon, se non addirittura secondo il Re del Belgio le ragioni dell'incertezza e della pesantezza generale della situazione europea la quale, per semplice manco di chiarificazione, minaccia -per quanto senza precise ragioni-di avviarsi ad una crisi ancora più grave di quella del settembre scorso.

280

IL MINISTRO A BELGRADO, INDELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. RISERVATISSIMO 1203/366. Belgrado, 11 marzo 1939 (perv. i/14).

Alcuni giorni or sono si è presentato in Legazione l'ing. Camelutti, di Zagabria, fiduciario di Macek, che lo aveva munito di una sua lettera di presentazione e di autorizzazione. Il Camelutti ha detto che Macek desiderava che egli potesse recarsi a Roma per poter far riservatamente conoscere al Governo Fascista le effettive mete cui tende il capo croato, mete per le quali egli conterebbe essenzialmente sopra la comprensione, il consiglio ed il favore dell'Italia. Prima di mettersi in viaggio, aveva desiderato conoscere se tale sua missione sarebbe stata bene accetta. Ha aggiunto che Macek era convinto che gli interessi nazionali croati non avrebbero potuto trovare seria garanzia che in soluzioni massime: organizzazione autonoma nello Stato jugoslavo di tale ampiezza che non è il caso di attendere per via di negoziati in corso, o indipendenza statale assoluta, o, in dannata ipotesi, accessione alla Corona di S. Stefano.

Ho creduto opportuno chiedere a Zagabria conferma della qualità e della serietà del Camelutti desunta a fonte autorizzata. Il comm. Gobbi mi ha riferito: «<l dottor Macek ritiene che una qualsiasi delle tre suaccennate alternative non possa da nessuno meglio che da Roma, ed a causa di affinità generali, essere caldeggiata e sostenuta. In ultima eventualità si rivolgerebbe alla Germania. Perciò egli Vi ha inviato l'ing. Carnelutti munito di una sua autorizzazione a parlare in suo nome. L'ing. Carnelutti è persona che ha la piena fiducia di Macek. Non fa parte del gruppo strettamente politico e perciò il dottor Macek ha previsto che, ove il R. Governo intendesse accogliere a Roma per un abboccamento l'ing. Carnelutti, si potrà in seguito farlo susseguire dal vice-presidente del partito rurale, ing. Kosutié. L'ing. Carnelutti è persona molto seria sulla cui discrezione è da fidarsi».

È presumibile che Macek, che ha oramai fatto largamente diffondere il programma massimo delle rivendicazioni croate e che, d'altra parte, si trova sul punto di dover prendere una assai grave decisione circa la linea di condotta da seguire di fronte a Belgrado e di fronte alle pressioni mediatrici inglesi-l'Inghilterra conterebbe farsi qui un feudo di gratitudine ad ogni utile fine futuro -desideri realmente di prendere contatto con noi. È evidente, d'altra parte, che se ragioni di riguardo verso Stojadinovié hanno consigliato finora di evitare tali contatti col suo aperto e irriducibile avversario, tali ragioni più non sussistono attualmente, molto più che Principe e governo hanno inscritto al primo posto del loro programma politico una inversione completa della linea di condotta precedentemente seguita nei riguardi di Macek. D'altra parte, è più che comprensibile il nostro interesse di tenerci esattamente al corrente dello svolgimento di una situazione che può essere capitale per una regione, come la Croazia, così prossima al nostro confine, ove abbiamo interessi notevoli e politici ed economici. Per parte mia, quindi, non vedrei alcun inconveniente a che il Carnelutti potesse recarsi a Roma ed esporvi, a personalità di particolare fiducia dell'Eccellenza Vostra, la missione preliminare di cui è stato incaricato.

Vostra Eccellenza mi farà comunque conoscere pensiero ed ordini a tale riguardo1 .

Nel frattempo ho creduto opportuno invitare il Regio Console Generale a Zagabria di mantenere, per interposti fiduciari ed in modo riservato, qualche opportuna relazione cogli esponenti macekiani, che sono del resto, ormai, persone particolarmente in vista ed in efficienza non solo a Zagabria ma anche a Belgrado.

A Zagabria travasi in questi giorni il corrispondente della Stejani, Corrado Sofia2 .

281

L'AMBASCIATORE A SALAMANCA, VIOLA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. S.N.D. 1040/49 R. San Sebastiano, 12 marzo 1939, ore 1,50 (perv. ore 6,30).

Da questo collega di Germania vengo tenuto al corrente delle successive informazioni trasmessegli da Berlino circa difficoltà varie di carattere formale frapposte dal governo giapponese per quanto riguarda adozione testo definitivo adesione Spagna al

Patto An ti Comintern1• Poiché testo dovrebbe essere approvato dal governo spagnuolo e comunicato a Tokio entro domani per essere poi sottoposto al Consiglio Privato dell'Impero in una riunione 22 corrente, nella migliore ipotesi firma non potrà avere luogo prima della fine del mese.

Oltre al pregiudizio del ritardo già da me segnalato, faccio presente che dopo premure esercitate, queste nuove tergiversazioni e modificazioni di dettagli all'ultimo momento producono in questo governo perplessità non scevra da interrogativi. Poiché risulta che qualche indiscrezione circa passi da noi compiuti è inevitabilmente trapelata, sarebbe spiacevole che da motivi estranei alla volontà di questo governo i nostri avversari traessero argomento per speculare su presunte resistenze spagnuole alla adesione e difficoltà tra Franco e l'Asse2 .

280 1 Con T. 4419/42 P.G. del 14 marzo, Ciano incaricava il ministro Indelli di rispondere favorevolmente alla venuta a Roma dell'ingegnere Camelutti. Per il seguito si veda il D. 353. 2 Il documento ha il visto di Mussolini.

282

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. S.N.D. RISERVATISSIMO 1041/116 R. Berlino, 12 marzo 1939, ore 15 (perv. ore 16).

Confermo il mio telegramma di ieri n. 1151•

Devo però aggiungere che tutti i pochi tentativi da me fatti ieri nel pomeriggio per ottenere ulteriori e più precise informazioni in merito crisi cecoslovacca sono riusciti vani, mentre qualche incontro puramente casuale avuto or ora mi ha dato sensazione di un deliberato proposito di reticenza.

Fiihrer, che ho visto stamane in occasione pubblica manifestazione, appariva molto preoccupato. Ieri hanno avuto luogo ripetute riunioni un poco dappertutto. Nella serata, qualcuno sussurrava di preparativi militari.

Tutto, difatti, insieme contegno stampa nettamente anticecoslovacco, mi persuade che non solo situazione cecoslovacca venga qui scrutata e seguita molto davvicino e con estremo interesse, ma anche che tendenze diverse si debbano essere manifestate,

2 Il testo di questo telegramma fu ritrasmesso all'ambasciatore Attolico con la seguente aggiunta: «Recatevi subito da Ribbentrop e ditegli che noi condividiamo preoccupazioni del nostro ambasciatore a Burgos. Non sappiamo se nel caso specifico si può fare alcunché per accelerare procedura giapponese ma conviene senz'altro notare che i ritardi frapposti da Tokio hanno conseguenze funeste. Ciò induce a riflettere se sarà possibile anche nel futuro sincronizzare l'operante dinamismo della Germania e dell'Italia col formalismo lento e pesante di Tokio. Se intanto Ribbentrop ritenesse utile e possibile svolgere azione su Giappone per accelerare soluzione della questione in oggetto, sono disposto ad agire in conformità» (T. 190/ l 00 R. del 12 marzo. La minuta del telegramma è autografa di Ciano).

opposte forze entrate in azione e per conseguenza tutte le possibilità-compresa quella di un intervento -vengano contemplate. Questo viene fatto nel massimo segreto, sia per sistema, sia per convinzione trattarsi questione di pertinenza puramente tedesca.

Ove noi intendessimo fare eventualmente sentire la nostra voce, non dovremmo tardare. Comunque, io domanderò domani di vedere Ribbentrop per cercare di vedere un poco più chiaro nella situazione.

281 1 Tra queste difficoltà di carattere formale vi era la richiesta che nel testo fosse aggiunto un espresso richiamo all'adesione del Manciukuò e dell'Ungheria. L'ambasciatore Viola faceva notare a questo proposito che nel ministero degli Esteri spagnolo «tale modifica viene interpretata nel senso che si voglia in certo modo sancire disparità spagnola di fronte Stati fondatori e parificazione con Stati minori. Modifica incontrerebbe quindi difficoltà e comunque richiederebbe nuovo esame testo da parte di Franco e ulteriori ritardi e sarebbe opportuno che il Giappone non vi insistesse» (T. l 082/50 R. del 13 marzo).

282 1 Vedi D. 277.

283

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, ALL'AMBASCIATORE A SALAMANCA, VIOLA

T. S.N.D. 191/100 R. 1 . Roma, 12 marzo 1939, ore 22,30.

Vostro 49 2 .

Mi rendo conto e condivido appieno vostro giudizio su dannose conseguenze causate dal ritardo giapponese. Mi interesso per far stringere i tempi ma non so se sarà possibile vincere il formalismo di Tokio. Vi prego comunque di seguire nell'attesa la questione con ogni premura, cancellando dall'animo spagnolo ogni dubbio ed ogni incertezza che potesse sorgere a seguito delle tergiversioni nipponiche, che ripeto essere di carattere unicamente burocratico e formale e che non incidono affatto l'alto valore politico presentato dall'adesione spagnola al Patto Tripartito di Roma.

284

L'AMBASCIATORE A MOSCA, ROSSO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. l 040/409. Mosca. 12 marzo 1939 (perv. il 20). Riferimento: mio telegramma n. 22 dell' 11 corrente'.

Ieri ho telegrafato le prime impressioni riportate, attraverso le audizioni radiofoniche, dall'esposizione di Stalin al Congresso del Partito in materia di politica estera. In serata sono poi usciti i giornali col testo integrale della Relazione, ed oggi sono in grado di riferire ai riguardo in modo più particolareggiato. Mentre mi riservo di inviarne una traduzione, mi limito pel momento ad esporre le linee principali del discorso ed a riassumerne i punti più interessanti.

La relazione consiste in tre parti: la prima dedicata alla situazione internazionale dell'U.R.S.S., la seconda alla situazione interna e la terza alla vita del Partito comunista sovietico. Tratterò nel presente rapporto soltanto la parte concernente la politica internazionale.

2 Vedi D. 281. 284 1 T. l 036/22 R. dell'Il marzo. Non pubblicato.

Stalin esordisce facendo un raffronto fra le condizioni dei Paesi capitalisti e quelle dell'U.R.S.S. nel quinquennio 1933-1938 ed afferma che per i primi questo periodo è stato caratterizzato da continue crisi tanto politiche che economiche, mentre l'U.R.S.S. avanzava gradualmente e sicuramente sulla via del progresso materiale e sociale.

Osserva poi che nella seconda metà del 1937 si è iniziata nei Paesi capitalisti una nuova crisi economica che finora ha colpito fortemente soltanto le nazioni economicamente più potenti (S.U., Inghilterra e Francia), mentre non si è ancora fatta sentire in modo acuto nei Paesi totalitari, perché questi hanno già da qualche tempo adottato una «economia di guerra». Quando però avranno esaurito le loro risorse auree e le loro scorte di materie prime, anch'essi risentiranno acutamente la crisi.

Questa situazione economica mondiale è responsabile, secondo Stalin, dell'inasprimento della lotta imperialista fra due gruppi di Potenze, le quali non si combattono più a base di concorrenza commerciale, di guerre di tariffe, di dumping, ecc., bensì con l'obiettivo di ottenere o di impedire una nuova spartizione del mondo attraverso sfere d'influenza, colonie, occupazioni territoriali; ed il metodo di lotta è oramai quello della guerra guerreggiata.

Dopo questa premessa, Stalin fa la cronistoria dei principali avvenimenti internazionali dal 1935 ad oggi (guerra abissina, guerra spagnola, occupazione giapponese della Cina settentrionale e centrale, annessione dell'Austria e della regione sudetica, occupazione di Canton e di Hainan), per giungere alla constatazione-ripetutamente fatta in precedenza dalla stampa sovietica -che una <<nuova guerra imperialista è già in corso»: guerra che si combatte sull'enorme territorio che da Tiensin, Shanghai e Canton si estende, attraverso l'Abissinia, fino a Gibilterra e coinvolge più di 500 milioni di uomini.

A questo punto Stalin osserva essere infantile negare che l'Asse Roma-Berlino sia un blocco militare puntato contro gli interessi della Francia in Europa; che il triangolo Roma-Berlino-Tokio sia esso pure un blocco militare che minaccia gli interessi degli Stati Uniti, dell'Inghilterra e della Francia in Estremo Oriente; e che infine il Patto Anticomintern significhi guerra non già contro la Terza Internazionale, ma contro gli interessi delle tre nazioni democratiche.

E poiché questi tre Paesi democratici, se uniti, sarebbero indubbiamente più forti, militarmente ed economicamente, dei tre Stati fascisti, come spiegarsi la loro politica di non resistenza e di continue concessioni?

È interessante notare che per rispondere al quesito Stalin non si è basato unicamente sulla solita ragione dei timori di una rivoluzione proletaria che potrebbe scoppiare nei Paesi borghesi nel corso di una guerra mondiale, ma ha affermato esistere un'altra ragione anche più importante, consistente nella rinuncia fatta da Francia ed Inghilterra alla politica della sicurezza collettiva. (Osservo a questo proposito che Stalin sembra qui aver confuso causa con effetto, perché la rinuncia alla cosidetta sicurezza collettiva non è stato altro che il risultato della non-volontà di guerra).

Dopo di che Stalin spiega i motivi della politica di non intervento della Francia e dell'Inghilterra attribuendo ai governi dei due Paesi delle intenzioni non confessate, e più precisamente quella di spingere Giappone e Germania ad impegnarsi a fondo in una guerra contro la Cina e contro l'U.R.S.S. in modo da provocare l'esaurimento di tutti i contendenti e poter poi intervenire al momento opportuno per dettare la legge.

«Nella politica di non intervento è chiara la tendenza di non impedire agli Stati aggressori di ingolfarsi in una guerra -ad esempio del Giappone contro la Cina o, meglio ancora, contro l'U.R.S.S., e della Germania pure contro l'U.R.S.S.; e poi, quando tutti i contendenti saranno indeboliti ed esauriti, muoversi con forze fresche-naturalmente nell'interesse della pace! -e dettare agli esausti belligeranti le proprie condizioni».

Per giustificare questa sua interpretazione Stalin cita l'atteggiamento della stampa anglo-francese «istigante la guerra contro la Cina», e più recentemente le campagne dei giornali francesi, inglesi ed americani che, trattando del problema dell'Ucraina Carpatica, attribuivano alla Germania l'intenzione di annettersi l'Ucraina Sovietica.

«Naturalmente è possibile che in Germania esistano dei pazzi che sognano di annettere un elefante, cioè I'Ucraina Sovietica, ad un insetto, cioè l'Ucraina Carpatica. Se questi pazzi realmente esistono, è certo che nel nostro Paese si troverà una quantità di camicie di forza sufficienti per tenerli in freno. Ma se si ragiona non con dei pazzi, ma con persone normali, questa idea di annessione appare subito estremamente stupida e ridicola».

Quale era adunque l'obiettivo di simili campagne? A questa domanda Stalin risponde:

«Sembra che tutto questo baccano molto sospetto si prefiggeva lo scopo di sollevare le furie dell'U.R.S.S. contro la Germania, di avvelenare l 'atmosfera e di provocare un conflitto tedesco-sovietico senza motivi plausibili».

Ma anche più caratteristico -continua Stalin -è il fatto che certi uomini politici e giornalisti d'Europa e d'America hanno oggi l 'aria di indignarsi perché i tedeschi, anziché muoversi contro l'U.R.S.S., si sono voltati verso Occidente ed esigono delle colonie.

«Si potrebbe pensare che i territori cecoslovacchi sono stati ceduti ai tedeschi con l'impegno per questi ultimi di entrare in guerra contro l'U.R.S.S. e che i tedeschi si rifiutino oggi di pagare la cambiale, mandandoli (francesi ed inglesi) a quel Paese!

Questo gioco molto pericoloso, iniziato dai partigiani della politica di non intervento, potrà terminare per essi con uno scacco molto serio».

Giunto a questo punto, Stalin afferma che nessuno crede più oggi alla possibilità di una «pacificazione», tanto vero che tutte le Potenze, grandi e piccole, partecipano ad una febbrile gara di armamenti. L'U.R.S.S. non poteva naturalmente restare indifferente e quindi, pur conducendo una ferma politica di pace, ha svolto una considerevole attività per rafforzare l 'Esercito e la Flotta.

Dopo aver enumerato i diversi trattati di non aggressione e di mutua assistenza conclusi dali 'U.R.S.S. negli ultimi anni, menzionando fra l 'altro l 'adesione alla S.d.N., Stalin ha enunciato come segue i capisaldi della politica estera sovietica:

l) pace e consolidazione delle relazioni commerciali con tutti i Paesi; 2) relazioni pacifiche e di buon vicinato con tutti i Paesi limitrofi;

3) appoggio ai popoli che diventano vittime di aggressioni e che lottano per la propria indipendenza; 4) prontezza a rispondere a chiunque tentasse di violare i confini sovietici.

Per raggiungere tali obiettivi di politica estera l'U.R.S.S., può contare:

l) sulla sua crescente potenza economica, politica e culturale; 2) sull'unità politico-sociale della nazione sovietica; 3) sull'amicizia dei popoli che formano l'U.R.S.S.; 4) sulla propria politica di pace; 5) sull'appoggio morale dei lavoratori di tutti i Paesi interessati al manteni

mento della pace; 6) sull'Esercito e la Flotta Rosse; 7) sulla ragionevolezza dei Paesi che non sono interessati alla violazione

della pace.

Finalmente Stalin enuncia i compiti del Partito Comunista nel campo della politica estera, dichiarando che esso deve:

l) lavorare per una politica di pace e di rafforzamento delle relazioni commerciali con tutti i Paesi;

2) mantenere una attitudine di prudenza e impedire che i provocatori della guerra, abituati a far togliere le castagne dal fuoco per mano di terzi, coinvolgano l 'UR.S.S. in conflitti;

3) consolidare le forze militari sovietiche; 4) rafforzare i legami di amicizia con i lavoratori di tutti i Paesi.

Con ciò Stalin ha concluso la parte della relazione riguardante i problemi di politica estera. Con un successivo rapporto mi propongo di sottoporre a VE. alcune considerazioni e commenti sui punti più interessanti di questa esposizione2 .

283 1 Minuta autografa.

285

L'AMBASCIATORE A MOSCA, ROSSO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. RISERVATO 1045/412. Mosca, 12 marzo 1939 (perv. il 20). Seguito al mio telespresso odierno n. l 040/409 1•

Nella parte della relazione di Stalin che concerne la situazione internazionale, il punto più importante e più interessante è indubbiamente quello dove Francia ed Inghilterra vengono accusate di aver manovrato ai danni dell'U.R.S.S.

A questo proposito, mi permetto di richiamare alla memoria di V.E. il mio telespresso n. 163/75 del 13 gennaio scorso2 . Segnalavo allora una confidenza fattami da questo Ambasciatore di Polonia, al quale Litvinov, parlando della questione Ucraina, aveva detto questa frase piuttosto sintomatica: «Parigi e Londra si danno molta pena per persuadere Berlino che la sua strada è segnata verso l'Oriente. Hitler ne è tuttavia meno persuaso di quel che mostrano di esserlo francesi ed inglesi».

I sospetti che Litvinov mostrava allora di nutrire nei riguardi della politica di Londra e di Parigi, sono stati manifestati oggi, per bocca di Stalin, sotto la forma di un'accusa esplicita, fatta pubblicamente e col tono sicuro di chi sa di non poter essere smentito.

Da tempo la stampa sovietica non cessa di criticare violentemente la politica di non intervento dell'Inghilterra e della Francia, ma lo ha fatto sempre fino ad oggi con l'aria, più che altro, di deplorare la ingenuità e la cecità degli uomini di Stato dei due Paesi, i quali non vogliono rendersi conto che la loro politica troppo remissiva incoraggia indirettamente l'aggressione delle Potenze totalitarie e può quindi provocare la guerra. Stalin invece ha attribuito ora a tale politica un secondo fine non confessato, e cioè quello di spingere la Germania verso oriente e di coinvolgere l'U.R.S.S. in una guerra.

Sintomatica la frase dove Stalin dice che tutto il baccano sollevato dalla stampa inglese, francese, ed anche americana, si prefiggeva evidentemente lo scopo di eccitare le ire dell'U.R.S.S. contro la Germania, di avvelenare l'atmosfera dei rapporti tedesco-sovietici e di provocare, senza motivi plausibili, un conflitto fra U.R.S.S. e Germania».

Non sono naturalmente in grado di dire su quali prove od informazioni Stalin si sia basato per lanciare simile accusa, ma credo interessante riferire a V.E. una nuova confidenza testé fattami, sempre sullo stesso tema, dal mio collega polacco.

L'Ambasciatore Grzybowski mi ha detto, a titolo strettamente confidenziale, che qualche tempo dopo la visita di Chamberlain a Roma egli aveva avuto l'occasione di conversare con Litvinov e che quest'ultimo gli aveva affermato risultare da fonte sicura al governo sovietico, che nei suoi colloqui romani Chamberlain aveva cercato di sollevare la questione ucraina, lasciando comprendere che l'Inghilterra non vedeva di mal occhio le aspirazioni tedesche in quella direzione. Il Duce avrebbe però tagliato corto alla conversazione su questo argomento, dichiarando in modo piuttosto secco che l'Italia non era direttamente interessata alla questione. Secondo Grzybowski, Stalin e Litvinov sarebbero rimasti molto soddisfatti di questa «lezione» data dal Duce al Primo Ministro inglese.

Ignoro se e quanto fondamento vi sia nella versione sovietica di tale episodio, ma ho creduto interessante riferime a V.E. se non altro perché esso mostra che i sospetti di Mosca verso Londra sono profondamente radicati.

L'impressione complessiva che si riporta dalla lettura della relazione di Stalin sulla situazione internazionale è di una notevole moderazione tanto nel tono come nella sostanza. Non vi sono attacchi diretti né contro il Giappone, né contro l'Italia e la Germania, e le Potenze totalitarie vi sono trattate, se mai, con maggiore riguardo che non le Potenze democratiche.

L'affermazione delle intenzioni pacifiche dell'U.R.S.S. occorre ripetutamente, e viene espresso con enfasi il desiderio di migliorare le relazioni commerciali e di mantenere dei rapporti pacifici indistintamente con tutti i Paesi.

Interessante il punto dove Stalin include fra i fattori sui quali l'U.R.S.S. intende basare la propria politica estera anche «la ragionevolezza dei Paesi che non sono interessati a violare la pace».

Sintomatica poi, fra le direttive date al Partito Comunista sovietico nel capo della politica estera, quella in cui Stalin raccomanda di «agire con prudenza e non permettere che i provocatori della guerra, abituati a far togliere la castagna dal fuoco per mano di terzi, coinvolgano l 'U.R.S.S. in conflitti internazionali».

Come ho già rilevato nel mio telegramma di ieri, tranne una specie di esposto storico sulle origini del conflitto spagnolo, Stalin non ha fatto alcuna menzione della odierna situazione in Spagna.

Quanto all'attività del Comintern, nessun accenno alle sue finalità rivoluzionarie, nessun appello al proletariato mondiale contro le forze della borghesia, ma soltanto una breve menzione dell' «appoggio morale dei lavoratori di tutti i Paesi pel mantenimento della pace», sul quale l'U.R.S.S. sa di poter contare, e la direttiva data al partito di «consolidare i legami di amicizia coi lavoratori di tutti i Paesi».

È probabile che su questo argomento altri delegati al Congresso si soffermeranno maggiormente, esponendo idee e sottoponendo piani forse più battaglieri. Appare tuttavia sintomatico che Stalin stesso abbia messo in sordina il tema della rivoluzione mondiale.

284 2 Vedi D. 285. 285 1 Vedi D. 284.

285 2 Vedi D. 49, che ha il n. 165/75 e porta la data del 12 gennaio.

286

IL MINISTRO A BUDAPEST, VINCI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

RAPPORTO RISERVATISSIMO 1370/394. Budapest, 12 marzo 19391 .

Ho riferito il più fedelmente possibile le dichiarazioni fattemi 2 «per mia personale conoscenza» che per evidenti ragioni prego Vostra Eccellenza tenere nel più assoluto segreto: non conosco i termini del messaggio 3 , nel quale, egli mi ha detto «era stato molto più prudente».

È ben nota, d'altra parte, all'Eccellenza Vostra la sua mentalità: la sua esposizione non appare chiara per molti elementi, ma in molti punti richiama quanto egli stesso mi aveva detto negli altri critici momenti della questione rutena.

Vostra Eccellenza sarà in possesso di tutti gli elementi atti a giudicare fino a qual punto le preoccupazioni del governo ungherese siano giustificate (le frasi che

2 Dal ministro degli Esteri, Csaky.

3 Il messaggio di Csaky a cui si fa qui riferimento non è stato rintracciato negli archivi italiani.

Se ne veda il testo in DU, vol. III, D. 414.

ho riferito a parte del consigliere della legazione di Germania 4 potrebbe in un certo modo avvalorarle): dall'immediatezza o meno di quelle che potrebbero essere le intenzioni tedesche dipende, d'altra parte, l'eventualità e la possibilità di effettive resistenze.

Anche per le allusioni alle Potenze occidentali, e dato il modo e i differenti momenti in cui mi è stata da lui nominata l'Italia, potrebbe forse anche credersi che si voglia qui tentare di porre l 'Italia in una situazione analoga nei riguardi della Germania per la stessa questione rutena, che fu poi messa in chiaro dalla nota italo-tedesca del 21 novembre5 . Dalle dichiarazioni del mio interlocutore appariva da lui considerata come pacifica la posizione dell'Italia in favore pieno dell'Ungheria.

Vostra Eccellenza potrà giudicare in quale misura quanto il mio interlocutore mi ha confidato, possa accostarsi al nostro interesse di promuovere -ed entro quali limiti -quell'azione di riavvicinamento e di freno fra gli Stati interessati, che ora appare anche suggerita ed incoraggiata dall'Inghilterra; o piuttosto, in funzione d'interessi più vasti e generali accostarsi a quella situazione che condusse alla presentazione della nota collettiva italo-tedesca sopra citata.

ALLEGATO

PROMEMORIA

Nella lunga conversazione avuta con lui stamane il mio interlocutore, dopo avermi esposto le sue preoccupazioni sulle intenzioni germaniche nei riguardi della Slovacchia mi ha messo dettagliatamente al corrente del messaggio che aveva inviato iersera ali 'Eccellenza Vostra, poiché, mi ha detto, dal tono della stampa italiana aveva creduto comprendere che in Italia non ci si rendeva conto della serietà della situazione che poteva avere anche presto sviluppi d'importanza capitale.

«Già dopo il suo viaggio a Berlino (come ho riferito nel mio telegramma per corriere

n. 011 del 20 gennaio u.s.)6 egli aveva avuto l'impressione che la Germania considerava la situazione della Cecoslovacchia come precaria e la questione non chiusa.

Egli aveva la prova della propaganda in grande stile e degli ingenti aiuti finanziari dati dal governo del Reich ai radicali slovacchi: che ora il ministro Durcansky fosse ammesso, come è stato annunciato iersera, a parlare dalla radio di Vienna, era già un altro fatto sintomatico, certo meno che amichevole verso una nazione vicina come la Cecoslovacchia.

Secondo le sue informazioni, sembra che i tedeschi volessero far scoppiare una rivoluzione in Slovacchia il 12 marzo, cioè oggi: i cechi, informati in tempo, hanno però prevenuto il colpo, ciò che avrebbe cambiato ed arrestato momentaneamente i piani tedeschi: il silenzio da parte tedesca sulle loro intenzioni, malgrado le ripetute sollecitudini, avvalora l'ipotesi che il governo del Reich stia tramando qualcosa.

5 Vedi serie ottava, vol. X, DD. 439 e 442.

6 Vedi D. 78.

Stamane è transitato per Budapest, diretto a Belgrado, un generale tedesco (Brandeschaft) persona di fiducia di Gi:iring. Pensa che egli sia stato incaricato di sondare l 'atteggiamento Jugoslavo: ma egli ritiene che la sua missione non avrà successo. È difficile fare ipotesi, ma potrebbe darsi che la Germania voglia magari arrivare ad una forma di unione doganale con la Slovacchia o addirittura (il mio interlocutore mi ha detto ripetutamente di non escluderlo del tutto) ad un intervento armato. In ambedue i casi, da una parte l'avanzata della Germania verso i Carpazi significherebbe la sorte irrimediabilmente segnata per gli Stati della regione danubiana; dall'altra l'Ungheria non potrebbe ammettere che la situazione stabilita a Monaco e a Vienna circa la Cecoslovacchia fosse modificata a vantaggio di una sola Potenza. L'Ungheria ha rispettato la volontà manifestata dalle Potenze firmatarie dell'arbitrato di Vienna, attenendosi alla nota italo-tedesca del 21 novembre; ma la situazione deve essere mantenuta da tutti. Si è dilungato a rappresentarmi che, se la Germania fosse in un modo o nell'altro padrona anche in Slovacchia, sarebbe evidente il pericolo creato dall'influenza esercitata sulle minoranze tedesche (600.000) e slovacche (circa 350.000) dell'Ungheria, che costituirebbero unite un nucleo di circa un milione di anime. Ha detto che non può essere interesse italiano che la Germania non ricostituisca una nuova Austria-Ungheria (sic) più forte e più minacciosa: (sono le sue parole) non solo per Trieste e Trento più di mezzo milione di italiani sacrificarono la vita. Mi ha detto che la Polonia, la Jugoslavia, la Romania hanno lo stesso punto di vista (mi ha poi parlato, a mia domanda, come riferisco appresso dei contatti con queste Potenze): quanto ali' Ungheria, essa non può restare indifferente se un fatto simile dovesse prodursi. Mi ha parlato della proposta avanzata circa un patto, della durata di tre mesi di reciproca consultazione di cui mi ha detto V.E. essere stato già intrattenuto 7• Poiché ai termini di essa ogni Potenza interessata, compresa la Germania, dovrebbe comunicare 48 ore prima qualsiasi misura nel campo diplomatico, politico o militare intendesse prendere nei riguardi della Cecoslovacchia, suo scopo sarebbe quello di avere 48 ore di tempo, in caso di necessità, per pregare le Potenze dell'Asse d'indire una conferenza delle quattro Potenze di Monaco più le Potenze finitime, Romania, Polonia e Ungheria, per decidere definitivamente della sistemazione della Cecoslovacchia. Egli pensa che la Germania difficilmente accetterà, e sarà allora da esaminarsi il da farsi. Se però si dovesse produrre, caso non totalmente da escludere, un fatto compiuto egli (che si è espresso allora come al tempo della crisi di novembre) mi ha detto che l'Ungheria è pronta a intervenire anche essa, in Rutenia, a qualunque costo. Mi ha aggiunto a questo proposito (nuova analogia con le sue varie dichiarazioni nel settembre e nel novembre scorso) che egli aveva pregato Beck di fare una dichiarazione (che oggi sarebbe stata già pubblicata) per appoggiare le rivendicazioni ungheresi in Rutenia, e che la Polonia era pronta a prendere misure militari.

Mi ha mostrato inoltre una lettera del ministro d'Ungheria a Londra che gli faceva dire da parte di Strang che l'Inghilterra riconosceva l'importanza anche per l'Europa della frontiera comune ungaro-polacca e la giustezza delle rivendicazioni ungheresi, e consigliava l 'Ungheria di accordarsi all'uopo con l'Italia, con la Polonia, con la Romania e con la Jugoslavia. Va detto che evidentemente per essere d'accordo con l'Italia non aveva bisogno di consigli da Londra. (Gli ho fatto osservare che l'opinione inglese non poteva comunque certo essere interessante, perché si era visto che cosa potevano fare le Potenze Occidentali al momento della

crisi cecoslovacca: questa non poteva essere che una mossa dell'Inghilterra di cercare di mettere male -ciò che non era mai, evidentemente, riuscito alle Potenze Occidentali -fra Italia e Germania. A null'altro queste frasi potevano valere: egli si è limitato a dirmi che la Francia aveva sempre riconosciuto l'importanza della frontiera comune ungaro-polacca, ma mentre due mesi fa aveva un'opinione diversa, era importante che ora anche l'Inghilterra si era espressa favorevolmente. Anche Cadogan gli aveva fatto sapere le stesse cose).

Quanto ai rapporti coi vicini, a mia domanda, egli mi ha detto che con la Jugoslavia le relazioni erano sempre migliori e favorevoli; Markovié gli aveva fatto chiedere se voleva incontrarlo; egli gli aveva risposto che lo avrebbe volentieri incontrato quando e dove egli volesse (pensava all'estero, per es. in Italia). Non aveva avuto ancora risposta.

Con la Romania, era stato stabilito di comune accordo di iniziare le conversazioni a mezzo di persone semi ufficiali, sulla questione delle minoranze ungheresi: egli aveva incaricato della cosa il conte Bethlen, il governo romeno aveva nominato recentemente Vajda, ma a causa della malattia della madre di quest'ultimo, i contatti non erano stati ancora iniziati»8 .

286 1 Manca l'indicazione della data di arrivo.

286 4 Il ministro Vinci aveva riferito--con T. per corriere s.n.d. 1087/056 R. del 12 marzo-che negli ambienti della legazione di Gennania lo Stato cecoslovacco veniva ritenuto «in via di disfacimento» e che-si aggiungeva-la Germania non avrebbe certo fatto qualche cosa per manteneme la coesione.

286 7 A margine di questa frase Mussolini ha messo un grosso punto interrogativo.

287

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. S.N.D. 1063/101 R. Londra, 13 marzo 1939, ore ... (perv. ore 9,55jl.

Circa un mese fa e precisamente il 18 febbraio scorso, Lord Halifax mi invitò a passare da lui al Foreign Office ché aveva bisogno di parlarmi. Ho risposto che non potevo, dovendo partire per Roma il giorno stesso, e che al mio ritorno sarei stato a sua disposizione. Giovedì scorso, non appena tornato a Londra, Halifax mi ha invitato nuovamente al Foreign Office fissandomi appuntamento per stamane (si c) sabato ore 11.

Halifax ha cominciato dicendosi spiacente per il fatto che io non mi ero più recato a visitarlo al Foreign Office in queste ultime settimane e precisamente dal suo ritorno da Roma con Chamberlain.

Ho risposto che secondo la mia regola non mi recavo al Foreign Office se non per eseguire istruzioni del mio governo o in seguito invito Foreign Office medesimo.

Lord Halifax ha ripreso dimostrandomi sua apprensione per situazione generale Europa, dicendosi persuaso che nessuno vuole la guerra ma che tuttavia ben poco viene fatto per promuovere sinceramente la pace. Halifax ha continuato con frasi piuttosto vaghe e confuse e poi è entrato più direttamente a parlare di quello che egli ha chiamato «l'atteggiamento aggressivo» della stampa italiana contro non solo la pace ma anche l'Inghilterra e più precisamente contro le democrazie francese ed inglese.

«Ma quello, Halifax ha continuato, che più ha impressionato è stato il rifiuto opposto dal ministro Ciano di sconfessare questo atteggiamento della stampa italiana, sconfessione che Lord Perth, per nostre istruzioni, vi aveva chiesto2 . Il rifiuto del conte Ciano ci ha resi perplessi e ci domandiamo se un cambiamento non sia intervenuto nelle direttive della politica estera del Duce, che il Duce indicò con estrema cordialità nei colloqui romani del gennaio, durante quella nostra visita che rimane per noi ricordo così gradito e indimenticabile. Ci domandiamo più precisamente se per avventura il programma di riconciliazione e collaborazione italo-inglese, sia pure nei limiti fissati dal Duce, possa diventare una realtà».

Ho replicato a Halifax che non conoscevo la parte del colloquio fra ministro Ciano e Perth a cui Halifax si riferiva e che non intendevo discutere tale argomento. Soltanto voglio dirvi-ho continuato-a stretto titolo personale-che è semplicemente grottesco presumere, anche per un attimo, che la risposta del ministro degli Affari Esteri caso dato potesse essere diversa. Ciò induce a pensare -ho continuato-che l'esperienza di questi ultimi anni abbia insegnato ben poco alla diplomazia britannica. La stampa fascista ha reagito e continuerà a reagire, con stile e con durezza fascista agli insulti che ci vengono dalla Francia e che l 'Italia fascista ricorderà. La democrazia britannica si è schierata a fianco di quella francese, dando a quest'ultima l'impressione della solidarietà britannica al cento per cento contro l'Italia, e quindi incoraggiando, in definitiva, la Francia nella sua campagna minacciatrice, diffamatrice e ricattatrice contro l'Italia. A ciò si aggiungono le recenti dichiarazioni ufficiali di ministri britannici tutt'altro che amichevoli se non addirittura intimidatorie, nei riguardi delle Potenze fasciste, il colossale programma di riarmo di gran lunga superiore alle esigenze della difesa imperiale; l'abbandono di quella che era stata la logica riserva britannica in materia di cooperazione militare anglo-francese diventata ormai pubblicamente e sfacciatamente «alleanza militare anglo-francese»; la rinnovata campagna denigratoria contro l'Asse Roma-Berlino; e da ultimo l'orientamento significativo della politica inglese verso la Russia. Tutto ciò -ho concluso -è più che sufficiente perché il governo italiano, e non già il governo britannico, debba domandarsi se un cambiamento radicale non sia intervenuto in quello che nei colloqui romani del gennaio scorso Chamberlain indicò al Duce e al ministro Ciano come le direttive della politica estera britannica. Riprova significativa di questo cambiamento è l'improvvisa adesione che la recente politica del governo ha riscosso proprio tra le fila di coloro che, come Churchill ed Eden, erano fino a ieri i più aspri avversari di Chamberlain.

Halifax non ha replicato se non per dirmi con enfasi che le direttive della politici estera britannica sono oggi quelle stesse che Chamberlain indicò al Duce e al ministro Ciano.

Halifax ha riconosciuto che certi articoli della stampa francese verso l'Italia sono «semplicemente abominevoli» (simply abominable). Dopo di che Halifax ha cambiato argomento e mi ha chiesto le mie impressioni sul mio recente passaggio attraverso la Germania.

Ho risposto a Halifax che impressioni da me riportate durante il mio breve soggiorno in Germania sono state profondissime. Un popolo forte, armato, felice che avanza come un esercito in ranghi serrati e che nessun ostacolo e nessun nemico potrà giammai arrestare.

Ho concluso: «Andate in Germania e constaterete voi stesso che l'errore più grave, puerile e pericoloso della politica inglese è quello di continuare sotto ogni aspetto (anche se in pubblico si tenti di far credere il contrario) la fallace e grottesca speranza in un possibile indebolimento dell'Asse Roma-Berlino. L'Asse Roma-Berlino non è accordo transitorio tra due governi e tra due Paesi che hanno degli evidenti interessi in comune da salvaguardare e difendere. Queste sono le consuete basi sulle quali poggiano le alleanze nei Paesi democratici. L'Asse Roma-Berlino è il monoblocco di due Capi, di due Popoli, di due Imperi fusi nell'acciaio di una stessa rivoluzione, che è la rivoluzione fascista e cioè la rivoluzione anti-comunista e anti-borghese del secolo ventesimo».

Fin qui il mio colloquio con Halifax che è durato in tutto mezz'ora3 .

286 8 Il documento ha il visto di Mussolini.

287 1 Manca l'indicazione dell'ora di partenza. L'originale da Londra porta la data dell'Il marzo che corrisponde al giorno di sabato indicato nel documento come il giorno in cui ha luogo il colloquio con Halifax. Su tale colloquio si veda anche il dispaccio di Lord Halifax a Lord Perth in BD, vol. IV, D. 370.

287 2 Negli archivi italiani non si è trovata documentazione circa questo passo dell'ambasciatore britannico. Nel Diario di Ciano vi è -sotto la data del 4 marzo -questa annotazione che presumibilmente si riferisce al colloquio avuto sull'argomento da Ciano con Lord Perth: «Vedo Perth: colloquio di poco rilievo perché egli mi parla ancora dell'articolo di Relazioni Internazionali che minacciava guerra alla Francia. Rispondo che l'articolo rispecchia le opinioni personali dell'autore e che-caso stranola rivista è diretta da Pirelli, cioè da un uomo notoriamente legato a Londra e a Parigi da vincoli di simpatia. Richiamo piuttosto la sua attenzione sul rafforzamento dei contingenti militari britannici in Egitto».

288

IL MINISTRO A PRAGA, FRANSONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER TELEFONO l 061/51 R. Praga, 13 marzo 1939, ore 16, 15.

Chvalkovsky mi informa confidenzialmente che monsignor Tiso è stato invitato dal Fiihrer a Berlino. Tiso partirà oggi via Vienna e colloquio avrà luogo domani.

Chvalkovsky riconosce che, nella gravissima situazione, le decisioni di Berlino saranno determinanti. Considera però che la Germania, propugnatrice dei principi etnici, vorrà regolarsi secondo volontà degli slovacchi, la cui maggioranza nel popolo e nel governo, egli afferma, è per l'unione con Praga. Considera il nuovo governo slovacco1 leale verso Praga ed ha fiducia nell'azione presidente Sidor che, nonostante tentativo altri capi ed ex membri quel governo, terrà in mano partito e specialmente guardie Hlinka evitando situazioni compromettenti. In ogni caso, Praga non agirà con la forza, disposta a cedere a quella che sarà la volontà del popolo slovacco e a quanto sarà per risultare dal colloquio di domani a Berlino. Chvalkovsky fa pure ipotesi che Tiso chiederà solo appoggio per favorevole soluzione vari problemi esistenti fra Praga e Bratislava senza porre questione indipendenza; tra l'altro domanderebbe rimaneggiamento Gabinetto Praga. Chvalkovsky segue con attenzione propaganda stampa e radio tedesca, ma ormai con vivissima tensione animo attende risultato col

288 1 Costituito l'Il marzo sotto la presidenza di Karol Sidor.

loqui di domani. Egli ha concluso nostra conversazione dicendomi che situazione è estremamente seria ma non è senza uscita2 .

287 3 Il documento fu inviato in visione a Mussolini.

289

IL MINISTRO A PRAGA, FRANSONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER TELEFONO l 067/54 R. Praga, 13 marzo 1939, ore 18,35.

Da notizie pervenutemi da varie fonti, situazione a Bratislava ed in altre parti della Slovacchia devesi considerare grave.

Guardia Hlinka e formazioni tedesche Ordner di Slovacchia starebbero armandosi mentre, accanto propaganda partigiani indipendenza, una violenta campagna anticeca è condotta a mezzo stampa, manifesti ecc. anche e specialmente da deputato Karmasin, capo quelle minoranze tedesche.

Truppe e gendarmeria ceke si ritirerebbero dai posti già occupati nelle città ove regna grave fermento. A Brno dove collettività tedesca è numerosissima vi è viva agitazione e così pure a Iglau. Si mette da alcuni in dubbio che nuovo governo slovacco possa dominare situazione.

A Praga calma ma profonda preoccupazione 1•

290

L'AMBASCIATORE IN CINA, TALI ANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. l 086/72 R. Shanghai, 13 marzo 1939, ore 13 (perv. ore 23,40).

Alessandrini telegrafa quanto segue: «Kung Hsing-hsi mi ha detto che oggi, prendendo occasione da presentazioni credenziali nuovo ambasciatore di Francia, governo cinese desidera far presente a governo italiano il fatto che mancata presentazione credenziali da parte del Regio Ambasciatore e sopratutto sua permanenza a Shanghai in simili condizioni costituiscono grave pregiudizievole anormalità per rapporti tra i due Paesi. Ha soggiunto che, ove V.E. presenti credenziali Chungking, ambasciatore di Cina verrà rinviato Roma e mi ha pregato di dargli una risposta al più presto possibile.

Comunicazione analoga mi era stata fatta ieri da questo ministro degli Affari Esteri. Mi sono limitato rispondere entrambi che avrei trasmesso a V.E. loro comunicazione»1.

289 1 ll documento fu inviato in visione a Mussolini. 290 1 Si veda per il seguito il D. 369.

291.

IL MINISTRO A PRAGA, FRANSONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. SEGRETO 1074/53 R. Praga, 13 marzo 1939, ore 18,35 (perv. ore 24).

Questo addetto militare di Germania 1 , che pare abbia particolari contatti con uffici del Fiihrer ed è pertanto tenuto qui in speciale considerazione, ha stamane avuto conversazione con R. impiegato al quale ha in via strettamente confidenziale detto quanto appresso:

«Situazione in Slovacchia sarebbe insostenibile dopo gli ultimi avvenimenti. Slovacchi vogliono l'indipendenza e si muoveranno per averla: se i cechi si opporranno con la forza, la Germania interverrà non potendo permettere un conflitto del genere e dovendo essere rispettata la volontà del popolo slovacco. Conseguentemente si staccherebbe anche la Russia Subcarpatica. La Germania vede ormai necessaria tale radicale soluzione problema cecoslovacco, soluzione che probabilmente sarà messa in esecuzione quanto prima». Addetto militare tedesco ha però tenuto a far presente che quanto da lui detto proviene da sue personali convinzioni e considerazioni.

288 2 Il documento fu inviato in visione a Musso lini.

292

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 1081/118 R. Berlino, 13 marzo 1939, ore 23,15 (perv. ore 2,30 del 14). Mio telegramma n. 1161 .

Anche oggi tutti a questo ministero Affari Esteri a cominciare da Ribbentrop si sono resi -e nei riguardi di chiunque-irreperibili. Pure addetto militare da me inviato al ministero della Guerra non è riuscito intuire nulla, suoi interlocutori dichiarando questione essere nelle mani dei diplomatici e non confermando, ma neanche smentendo, misure militari che generalmente si ritengono già adottate in direzione di Presburgo.

Negli ambienti ministero Propaganda si annunzia soltanto che governo tedesco si preparerebbe presentare vibrata protesta a Praga contro asseriti maltrattamenti cittadini tedeschi e che ex presidente Consiglio Slovacchia Tiso (autore di quell'appello al governo tedesco2 di cui -se anche veramente esiste -nessuno conosce contenu

to) sarebbe atteso qui oggi stesso per incontrarsi domani con Ribbentrop e con lo stesso Fiihrer, il quale ha allo scopo rinviato visita già annunziata a Vienna.

Serietà situazione è peraltro dimostrata improvviso ritorno a Berlino Maresciallo Goring. Obbiettivi tedeschi non sono ben chiari. Sembra che elementi nazisti avanzati abbiano in questo ultimo tempo agito in Slovacchia fomentando -a mezzo Durcansky e compagni -movimento segreto per il protettorato Germania. Slovacchia indipendente appoggiantesi Germania sarebbe in primo luogo garanzia contro ogni velleità ceca di ritorno al benesismo (ritorno che sembrerebbe favorito da Londra attraverso ex presidente Consiglio Hodza), in secondo luogo una salvaguardia contro le mire ungaro-polacche nella Rutenia.

Senonché, mentre azione tedesca avrebbe trovato in Slovacchia sufficiente rispondenza per quanto riguarda maggiore autonomia, pare che -per effetto di resistenza polacchi -non ne abbia trovato altrettanta per quanto riguarda accettazione protettorato germanico. Donde -secondo alcuni -un improvviso cambiamento di fronte, reso evidente dal contegno della stampa la quale ora sembra concentrare proprio fuoco quasi esclusivamente sopra i maltrattamenti cechi (che mi risultano problematici) a cittadini tedeschi, indicando quasi come «obbiettivi» Presburgo e Briinn.

Questa nuova marcatissima attitudine di tutti indistintamente i giornali del Reich potrebbe far pensare al raffioramento di propositi tedeschi estremisti tendenti come si sa alla incorporazione della Boemia, a suo tempo voluta dagli stessi militari. Ma come il Fiihrer resistette ad una simile soluzione in settembre così è da presumere che -fedele ai suoi principi -vi resisterà anche oggi, pressioni tedesche potendo mirare a costringere Praga da una parte ad accettare man mano il gioco economico e politico tedesco, dall'altra a consentire un massimo di autonomia slovacca favorevole agli interessi della Germania.

Senonché, il pericolo della situazione sta nel fatto che, in questo rincorrersi ed accavallarsi di azioni e di influenze, anche la Polonia, come l'Ungheria, non si sentano trascinate a qualche passo decisivo, incoraggiate forse dagli stessi risultati, che si presumono favorevoli, dell'ultimo incontro Gafencu-Beck3 .

Vengo informato in questo momento che finalmente Ribbentrop mi vedrà, forse questa sera stessa4 .

291 1 Colonnello Touissant. 292 1 Vedi D. 282. 2 Riferimento all'appello che il monsignor Tiso aveva inviato il IO marzo invocando la protezione del Reich per il popolo slovacco.

292 3 De14-6 marzo. Si veda in proposito i DD. 266, 270 e 273. 4 Vedi D. 294.

293

IL MINISTRO A PRAGA, FRANSONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 1164/02 R. Praga. 13 marzo 1939 (perv. il 16).

Mi riferisco alle mie comunicazioni di questi giorni sull'argomento.

Dopo i fatti del settembre scorso, pur nelle gravi difficoltà e in situazioni di vitale interesse che ne seguirono, cui la Seconda Repubblica dovette far fronte, nulla si era finora verificato che scuotesse, nell'intimo sentimento di quest'opinione pubblica e di questi governanti, la fiducia n eli'avvenire del Paese, come ha oggi fatto la crisi provocata dai rapporti tra Praga ed il governo autonomo di Bratislava. La tensione d'animo è in questo momento spasmodica, anche se, dopo la formazione del nuovo Gabinetto slovacco, si è voluto a fior di labbra dire che ogni pericolo era ormai superato e la situazione si incamminava verso la normalizzazione.

I motivi.

Praga, contro una tal quale trasparenza od evidenza degli intimi sentimenti ed intendimenti tedeschi, si sforzava tuttavia di credere che, dopo i sacrifici fatti ed altri che eventualmente era disposta, entro certi limiti, ad offrire, potesse ritenersi padrona in casa propria. Quando recentemente Bratislava ha accampato pretese di ordine economico, finanziario e politico che qui venivano considerate esagerate e mentre queste stesse pretese erano accompagnate, quasi a mo' di intimidazione, da manifestazioni di separatismo, sia da parte della stampa che di alcuni membri dello stesso governo slovacco, Praga si vide costretta, nel giudizio dei suoi governanti, a porre in chiaro le cose, convinta che si trattava in fondo di richiamare ali'ordine e al senno, con una tiratina d'orecchie, gli indisciplinati ed inesperti uomini di Bratislava. Le cause del contrasto non erano, si pensava, essenziali e dovevano altresì essere considerate di carattere interno. Esagerò il governo praghese nella misura di correzione? Esso in verità agì nell'esasperato risentimento non delle richieste e pretese di Bratislava, ma degli intrighi che attribuiva a Bratislava, come in altre occasioni a Chust, con Potenze o quanto meno con emissari esteri. Costituì qui grave sorpresa la reazione dell'estero; reazione di stampa in un primo momento, ma che via via fa sentire l 'interessamento attivo delle sfere ufficiali e in particolar modo, come dovevasi supporre e si teme, di quelle del III Reich. Ma si domandano qui: perché tanto zelo da parte della Germania a favore degli slovacchi? Le questioni esistenti fra Praga e Bratislava costituiscono in sé ragione di andare oltre i limiti di una crisi interna che sarebbe pure sanabile con provvedimenti di carattere interno? Ed in tutto questo quale offesa è stata arrecata alla Germania e, come oggi si grida, alle minoranze tedesche in Cecoslovacchia?

Dunque la ragione, se le cose prenderanno altra piega, è più profonda e più lontana. Anche la Seconda Repubblica~ questo è oggi nell'animo di molti ~non doveva essere che effimera comparsa su una scena che aspetta altri attori. E non è

nelle possibilità di questo Paese di opporsi, comunque, nelle presenti circostanze ad un destino forse da tempo segnato. Praga vive in questo momento nell'accorata tristezza di queste amare supposizioni e previsioni. Gli errori qualche volta si pagano fino in fondo!

Ma oggi notizie disparate circolano. Il ritmo degli eventi va accelerandosi. Più che prevedere è prudente stare a vedere ciò che da un momento all'altro potrebbe verificarsi, essendo specialmente determinato da pressioni esterne. Il coccodrillo che non era vitale, diventato lucertola subirà forse l'estremo sacrificio?

294

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 1079/119 R. e I078/120 R. Berlino, 14 marzo 1939, ore 0,44 (perv. ore 3).

Mi riferisco al mio telegramma n. 118 1•

Ritorno in questo momento da Ribbentrop che mi ha informato della situazione creatasi in Cecoslovacchia.

Premesso che governo cecoslovacco aveva -ora è già qualche settimana mandato via, in seguito alle sue velleità autonomistiche, il governo carpato-ucraino, sostituendolo con elementi completamente ligi a Praga, Ribbentrop ha ricordato che analoga manovra è stata in questi giorni ripetuta nei riguardi della Slovacchia, sin da quando governo Tiso [ ... ]2 presentando i suoi membri, mentre, ancora, il governo stesso godeva piena fiducia Parlamento. Sidor, che ha sostituito Tiso, è uomo pratico venduto a Praga.

Si aggiunge che, quest'ultima settimana frequenti sono state le ingiustizie e gli abusi a danno tedeschi nelle isole etniche germaniche in Cecoslovacchia, ove Autorità Praga continuavano a disfarsi senza alcun ritegno, né giustificato motivo di tutti gli elementi.

Questa situazione è ora sboccata non solo in disordini a Presburgo, ma anche in vere e proprie violenze commesse a Briinn dove vi sarebbero morti e feriti tedeschi. Tutto ciò mostra -continuava Ribbentrop -che il benesismo in Cecoslovacchia è tutt'altro che finito, e ciò mentre Hitler aveva molto chiaramente fin da gennaio detto a Chvalkovsky nel suo incontro di Berchtesgaden3 che non avrebbe tollerato alcuna riesumazione del genere.

In vista di questo, Hitler -tanto più in seguito a continui telegrammi e appelli ricevuti da Tiso e da suoi compagni -aveva mandato fin da avantieri in Cecoslovac

2 Nota dell'ufficio Cifra: «Due gruppi indecifrabili».

3 Del21 gennaio. Vedi DD. 89 e 94.

chia il signor Keppler, il quale è bensì riuscito a vedere Sidor, ma senza trame né alcuna chiara visione delle cose, né tanto meno alcuna soddisfazione.

Come già ho detto nel precedente telegramma, Tiso-accompagnato da Durcansky-è già venuto qui ed ha visto, sia Ribbentrop che Hitler4.

Le negoziazioni con lui continueranno stasera, in vista, probabilmente, di una «dichiarazione» d eli 'incaricato degli affari, Zalewski, forse domani stesso.

Situazione va considerata con molta serietà e il Ftihrer ha voluto richiamare Goring per avere consiglio. Nessuna decisione definitiva tuttavia è stata presa.

L'Italia sarà tenuta immediatamente al corrente di qualsiasi nuovo sviluppo.

Mi sembra evidente che, almeno per il momento, qui si pensi a rendere possibile forse domani stesso -a mezzo di Tiso che si proclama ancora il legittimo rappresentante del governo slovacco -di fare una «dichiarazione di indipendenza» della Slovacchia, in atto implicante il patronato tedesco.

Senonché, programma non si arresta qui. Ribbentrop mi comunica infatti di avere sin da ieri spedito a Budapest il ministro Szt6jay per avvertire governo ungherese, il che deve essere avvenuto stamane, che in virtù della nuova situazione creatasi in Slovacchia-situazione la quale è venuta a sconvolgere tutti i piani della politica tedesca nei riguardi di Praga -il governo tedesco proclama il proprio «disinteressamento» nella questione carpato-ucraina. Ciò significa via libera-data da Berlino all'occupazione ungherese dell'Ucraina. È però evidente che se e quando l'Ungheria occuperà la piccola Ucraina, la Germania-per lo meno-occuperà tutte le isole linguistiche tedesche ancora esistenti in Cecoslovacchia5 .

5 Sul colloquio si veda anche il promemoria di von Weizsacker in DDT, vol. IV, D. 205.

Circa le reazioni provocate dalla comunicazione di Attolico vi è nel Diario di Ciano questa annotazione sotto la data del 14 marzo: «Le notizie dall'Europa centrale si fanno più gravi. Per la prima volta Ribbentrop ha parlato con Attolico ed ha lasciato comprendere che il programma tedesco è massimo: incorporare la Boemia, rendere vassalla la Slovacchia, cedere la Rutenia agli ungheresi. Non si può ancora dire come e quando ciò sarà realizzato, ma un tale evento è destinato a produrre la più sinistra impressione nel popolo italiano. L'Asse funziona solo in favore di una delle parti, che diviene di un peso troppo preponderante e che agisce di sua assoluta iniziativa con ben pochi riguardi per noi. Esprimo questo mio punto di vista al Duce. Egli si mantiene riservato e non sembra ancora attribuire gran peso ali 'avvenimento. Cerca una contropartita nei vantaggi che avrà l 'Ungheria realizzando la frontiera comune coi Polacchi e mi fa dire a Budapest di marciare con decisione. Ma a me ciò sembra poco».

Negli archivi italiani non è stata trovata documentazione circa l'incoraggiamento dato all'Ungheria per una rapida azione in Rutenia di cui c'è riferimento nel Diario di Ciano. Come risulta dai documenti ungheresi, l'«incoraggiamento» fu dato in un colloquio che lo stesso 14 marzo Ciano ebbe con il ministro Villani, al quale fu anche assicurato l'appoggio diplomatico del governo italiano (DU, vol. Ili, D. 429).

295.

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 1089/121 P.R. Berlino, 14 marzo 1939, ore 12,18 (perv. ore 14,30).

In data 9 e 11 febbraio (mio telegramma n. 64 e mio fonogramma 69) 1 informai che questo ministro di Ungheria aveva preavvertito governo tedesco possibilità disordini e violenze in occasione elezioni n eli 'Ucraina Carpatica e quindi eventuale necessità intervento Ungheria. Comunicai anche risposta data Ribbentrop.

Mi si dice ora che Ungheria, pur avendo nel momento accettato ammonimento, non ha tuttavia tralasciato occasione per insistere tenacemente presso Wilhelmstrasse sulla insostenibilità della situazione rutena. Ribbentrop mi ha detto che passi in questo senso sono stati in questa ultima settimana compiuti da Budapest con speciale frequenza.

294 1 Vedi D. 292.

294 4 Riferimento al colloquio di monsignor Tiso con Hitler del 13 marzo durante il quale Hitler assicurò il suo appoggio alla Slovacchia qualora si fosse dichiarata indipendente (promemoria sul colloquio in DDT, vol. IV, D. 202).

296

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 1099/124 R. Berlino, 14 marzo 1939, ore 14,59 (perv. ore 16,45). Mio telegramma n. 120 stanotte 1 .

Ho veduto Segretario di Stato Weizsacker stamane2 con cui Ribbentrop mi aveva iersera pregato tenermi in contatto.

Quantunque egli non mi abbia detto gran che di diverso da quanto già mi aveva comunicato Ribbentrop, pure mi sembra ormai poter fondatamente ricostruire programma tedesco come appresso:

l) abbandonare Ruteria ali 'Ungheria probabilmente dietro assicurazione da parte ungherese circa un consolidamento propri rapporti con la Polonia. (Sembra fra l'altro che recente espansività romena-polacca abbia in modo particolare allarmato Budapest);

2) creazione di uno Stato indipendente sotto il protettorato tedesco con proclama indipendenza slovacca da parte Tiso dovrebbe avvenire al più presto e possibilmente dalla stessa capitale del territorio. Tiso si è dopo ulteriori abboccamenti avuti ieri con Ribbentrop, recato appositamente Bratislava;

3) le reazioni inevitabili di una tale situazione determineranno un più o meno rapido intervento del Reich motivato dalla necessità di: a) proteggere propri connazionali; b) mantenere l'ordine in regioni limitrofe Germania e interessanti sua stessa sicurezza.

4) limiti intervento tedesco non sono ancora chiaramente definiti.

Germania potrebbe teoricamente contentarsi prendere possesso proprie isole linguistiche. Ma è questo praticamente possibile senza impossessarsi di tutto il resto? I militari sono i primi a dire di no. Comunque, nessun programma definitivo è stabilito, il Fiihrer desiderando, specialmente su questo punto, sentire Goring il quale è atteso stamane o nelle prime ore del pomeriggio.

5) Non si ritiene che reazione da parte Francia ed Inghilterra possa essere troppo seria, ogni pericolo guerra essendo comunque da escludere. A chi voglia invocare gli accordi di Monaco di Baviera sarà risposto: l) che Monaco è sorpassata; 2) che in ogni modo la prima a violare accordi di Monaco è stata la Cecoslovacchia.

295 1 T. 520/64 R. e fonogramma 547/69 R., non pubblicati. Il loro argomento è qui indicato. 296 1 Vedi D. 294. 2 Sul colloquio si veda anche il promemoria di von Weizsiicker in DDT, vol. IV, D. 214.

297

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER TELEFONO 1126/128 R. Berlino, 14 marzo 1939, ore 20.

Ribbentrop mi ha ora comunicato che, con la proclamazione indipendenza slovacca1, come con la occupazione ungherese della Carpato-Ucraina, lo Stato cecoslovacco come tale può considerarsi in un vero e proprio stato di dissoluzione.

Quanto alle regioni rimanenti, esse si trovano nel più completo disordine. Nuovi incidenti si sono prodotti, specie nei distretti settentrionali della Boemia ed in genere in tutte le isole linguistiche tedesche, ove regna il più completo caos.

In vista di questo, i distretti stessi vengono in questo momento occupati dalle truppe tedesche, il Fiihrer essendo deciso a restaurare una volta per sempre l'ordine in quelle regioni.

Quanto alla struttura avvenire della Moravia e della Boemia, essa verrà discussa stasera con il Presidente dello Stato cecoslovacco e col ministro degli Esteri e questa sera stessa definitivamente decisa2 .

2 Sul colloquio oggetto di questo documento si veda anche il promemoria redatto da von Weizsacker (in DDT, vol. IV, D. 224), dal quale risulta che von Ribbentrop sottolineò in modo particolare la ferma decisione di Hitler di risolvere una volta per tutte la questione della Boemia e Mora via «tagliare col bisturi il bubbone». Per il colloquio di Hitler con Hacha e con Chvalkovsky avvenuto nella notte tra il 14 e il 15 marzo e per la dichiarazione comune sottoscritta in quella circostanza, si veda DDT, vol. IV, DD. 228 e 229.

297 1 Avvenuta il 14 marzo con l'apposita legge votata dalla Dieta (testo in Relazioni Internazionali, p. 199).

298

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. URGENTE 1106/127 R. Berlino, 14 marzo 1939, ore 19,09 (perv. ore 20,40).

Secondo informazioni attinte da buona fonte militare 1 eventualità di una occupazione definitiva ed integrale del territorio ceco (Boemia e Moravia) sembrerebbe da escludersi come contraria ai principi nazionalsocialisti che sono per rispetto nazionalità.

Non è invece da escludersi occupazione definitiva di un ampio corridoio tra Austria e Slesia, il quale comprenderebbe Brtinn-Olmutz e la vasta isola etnografica tedesca di Iglau. Questo corridoio risponderebbe alle necessità militari ed economiche tedesche, ridurrebbe lo Stato ceco ad una enclave germanica e separerebbe Stato ceco dalla Slovacchia. Nuovo Stato non avrebbe alcuna necessità disporre di Forze Armate.

Trasmetto tuttavia, sotto riserva, occupazione integrale territorio ceco essendo incognita fra le possibilità concrete.

299

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. URGENTISSIMO 1107/129 R. Berlino, 14 marzo 1939, ore 21,29 (perv. ore 22,30). Mio fonogramma 128 1•

Cosidetta «negoziazione» di stasera fra Fuhrer e cechi avrà presumibilmente contenuto seguente: il Fuhrer farà ai cechi offerte di cui al mio telegramma n. 1272 .

Ove offerte vengano accettate, Germania si contenterà occupare corridoio indicato nel telegramma stesso; ove vengano rifiutate, Germania occuperà definitivamente tutto territorio ceco.

298 1 Vedi D. 301. 299 1 Vedi D. 297. 2 Vedi D. 298.

300

L'AMBASCIATORE A TOKIO, AURITI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. RISERVATO 1124/207 R. Tokio, 14 marzo 1939, ore 11 (perv. ore 1,50del15).

Ambasciatore di Germania1 forse anche perché ancora sotto effetto recente visita Tokio incaricato d'Affari tedesco in Cina2 è tornato con me sull'utilità per noi di una pronta pace del Giappone con Chiang Kai-shek. Mi ha confidato aver fatto incontrare suo collega, tanto con alcuni alti funzionari di questo ministero Affari Esteri, quanto con alcuni autorevoli generali di questo ministero della Guerra al fine di suscitare scambio di vedute in proposito ma che siccome essi non hanno esposto alcuna idea non ha potuto esservi alcun scambio (come R. Ambasciata Shanghai ha riferito quell'incaricato d'affari tedesco è molto sinofilo). Ha solo avuto impressione che i giapponesi siano molto desiderosi di pace. Ho risposto che non lo escludevo ma che si trattava di fare accettare da Chiang Kai-shek loro condizioni e che pertanto continuavo a non vederne per ora possibilità, ed ho aggiunto: specialmente per opera d eli 'intervento di terzi.

Mi si è dichiarato poi preoccupato per il persistere correnti angloamericanofile e per timore loro sopravvento in determinate circostanze in cui avesse interesse poter fare pieno assegnamento sul positivo efficace concorso Giappone. Vedeva una riprova di tuttociò nelle blande dichiarazioni di questo ministro Affari Esteri in Parlamento3 circa Inghilterra e rafforzamento Patto, nonché nella esagerata gratitudine che si va mostrando a Stati Uniti per loro onoranze al defunto ambasciatore Saito. Ho risposto che attribuivo principalmente tono Arita a considerazioni politiche di momentanea opportunità parlamentare e contegno verso America a speranze sua collaborazione economica. Inoltre, è inutile credere che specialmente in politica estera un ministro giapponese s'induca a fare dichiarazioni simili a quelle di un ministro nazista o fascista. La forma ha in Estremo Oriente regole proprie che sono indipendenti dalla sostanza. Ma qualunque sia importanza delle residue correnti totalitarie e qualunque siano da parte nostra discorsi e future circostanze, firma posta al Patto antibolscevico dal Giappone e sua ritrattazione espansione ne !l'opposto continente (l'una e l'altra sarebbero causa ed effetto) fanno sì che esso oramai né possa, né voglia più tornare indietro.

Collega si è mostrato convinto aggiungendo che aveva esposto quanto precede anche suo governo non perché pessimista ma perché preoccupato dell'importanza giapponese per i nostri interessi Giappone.

2 M. Fischer.

3 Riferimento alle dichiarazioni di Arita del 6 marzo. Vedi D. 267, nota 2.

300 1 Eugen Ott.

301

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 2077/609. Berlino, 14 marzo 1939 1•

Mi onoro di trascrivere, qui di seguito, quanto mi comunica, in data odierna, questo R. Addetto Militare, circa la situazione in Cecoslovacchia:

«Questo Stato Maggiore ritiene che un intervento militare germanico nella Cecoslovacchia sia difficilmente evitabile.

La proclamazione dell'indipendenza della Slovacchia2 oggi annunziata rende infatti molto probabile che i cechi, i quali attribuiscono il movimento autonomo slovacco alla propaganda tedesca, intensifichino le rappresaglie contro i sudditi di razza tedesca. La Germania vuole evitare ciò e assicurare l'ordine. Le predisposizioni militari per un intervento sono già state prese. Tutto dipende dalle decisioni del Fiihrer e dall'evoluzione della situazione.

Da quanto ho potuto desumere dalla conversazione avuta col Generale v. Tippelskirch si delinea l'eventualità della occupazione di tutto il territorio ceco fino a che sia assicurata una nuova sistemazione.

L'eventualità di una occupazione definitiva del territorio ceco (Boemia e Moravia) sembra esclusa, perché si afferma che essa sarebbe contraria ai principi nazionalsocialisti, i quali vogliono assicurare il rispetto della nazionalità. Non è invece da escludere l'occupazione definitiva di un ampio corridoio tra Austria e Slesia, il quale comprenderebbe Briinn-Olmiitz e la vasta isola etnografica tedesca di Iglau. Questo corridoio risponderebbe alle necessità militari ed economiche tedesche, ridurrebbe lo Stato ceco a costituire un'enclave nel territorio germanico e separerebbe Stato ceco dalla Slovacchia.

Il nuovo Stato non avrebbe alcuna necessità di disporre di Forze Armate.

In tal modo -mi ha detto il Generale v. Tippelskirch mi ha anche accennato3 alla notizia della occupazione di alcuni villaggi carpato-ucraini da parte di truppe ungheresi, per assicurare meglio la protezione di Munkacs. Personalmente egli ritiene che, ove Ungheresi e Polacchi riuscissero a ottenere una frontiera comune, la Germania non ne sarebbe danneggiata, in quanto le comunicazioni con la Romania possono più agevolmente ottenersi attraverso un'Ungheria amica anziché per il difficile terreno carpato-ucraino, dove sarebbero sempre molto esposte all'azione di una Polonia o di un 'Ungheria eventualmente nemiche».

301 1 Manca l'indicazione della data di arrivo. 2 Vedi D. 297. 3 Sic.

302

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

LETTERA 20641 . Berlino, 14 marzo 19392•

Mi permetto scriverTi -fra un telegramma e l'altro -in merito alla nuova crisi cecoslovacca non per fame una messa a punto, il che sarebbe prematuro, quanto per tal une constatazioni.

La prima è che la crisi è scoppiata come un fulmine a ciel sereno. Goring è partito il 3, tranquillo e sicuro, giurando che non avrebbe per sei settimane, né ricevuto un telegramma, né Ietto un giornale. Se vi fosse stato, fin da allora, qualcosa in pentola Goring non sarebbe partito.

Allora, quale il fatto nuovo che ha potuto -nel solo giro di una settimana determinare tutta questa situazione? Certo, l'attitudine di Praga che ha voluto combattere Tiso solo perché sospettato di una politica filo-tedesca non è stata nelle circostanze [molto] accorta. Ma basta dunque quel solo fatto [per indurre la] Germania a una vera e propria liquidazione[ ............... ] Cecoslovacchia? Qualche disordine[ ........................ ] in Cecoslovacchia contro i tedeschi[ ......................... ] ma altrettanti ne sono occorsi [senza conse]guenza, in Polonia. Mi sbaglierò ma [ ......................... ]ione devono essere entrati in gioco degli[ .......................... ] facenti capo a Ribbentrop.

Altro punto sul quale [ .......................... ]richiamare la Tua attenzione è la rapidità del cambiamento di fronte della Germania nei riguardi del problema carpato-ucraino. Se c'è uno che ha sempre-ad oltranza-difeso l'arbitrato di Vienna è stato Ribbentrop. Certo, si può ammettere che, una volta la Germania decisasi per l'intervento, ha voluto anche crearne i motivi: proclamazione indipendenza slovacca, occupazione ungherese dell'Ucraina. Ma anche ammesso questo e a parte lo scarso sforzo informativo compiuto nei nostri riguardi dalla Germania su tutto il complesso della questione (dovuto forse alla convinzione del nostro «disinteresse») c'è da domandarsi come mai si sia creduto di poter dare via libera all'Ungheria in Ucraina, pro tanto annullando l'arbitrato di Vienna, senza neanche-ch'io sappia-consultare noi.

Ho infine l'impressione che, mentre prima nella questione carpato-ucraina la Ungheria sembrava appoggiarsi più su noi che sulla Germania (vedi tentativo del 20 novembre scorso )3 , da quel momento in poi essa ha invece chiaramente mostrato di appoggiarsi più sulla Germania che sull'Italia. Questa almeno è la sensazione che io ho dagli stessi miei contatti con questo ministro di Ungheria.

Si tratta di osservazioni alla rinfusa[ .................. ] (pre]ferisco scriverti-anche data la fretta-[..............................]. Il tempo delle messe a punto non è [ancora?] venuto4 .

2 Manca l'indicazione della data di arrivo.

3 Sulla progettata azione ungherese nella Rutenia Subcarpatica del 20 novembre 1938 si vedano i documenti pubblicati nel volume decimo di questa serie.

4 Il documento ha il visto di Mussolini.

302 1 Il documento è danneggiato dall'umidità.

303

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER TELEFONO 1116/131 R. Berlino, 15 marzo 1939, ore 4,40.

l) È stato firmato in questo momento dal Fiihrer e da Ribbentrop, da una parte, e dal Presidente della Repubblica Cecoslovacca e dal signor Chvalkovsky, dall'altra, un'accordo' secondo il quale la sorte del Paese e del popolo ceco viene in tutta fiducia messa nelle mani del Fiihrer.

2) Alle 6 le truppe tedesche passeranno la frontiera e il Presidente della Repubblica cecoslovacca e il signor Chvalkovsky si sono impegnati ad evitare qualunque resistenza. Degli ordini saranno dati in questo senso alle autorità ceke.

Primo punto sarà pubblicato immediatamente.

N.B. S'intende che quanto sopra significa l'occupazione immediata di tutto il territorio della Boemia e della Moravia. La Slovacchia e la Rutenia rimanendo la prima indipendente e la seconda ungherese.

Non comunicato al Duce2 .

304

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO,

AL MINISTRO A TIRANA, JACOMONI

T. S.N.D. 4058/20 P.R. 1 . Roma, 15 marzo 1939, ore 11,55.

La situazione creatasi improvvisamente in Europa centrale ci induce a ritenere possibile e conveniente procedere al più presto alla nota operazione. Prepara quindi con la massima urgenza un primo movimento sollevazione sia pure di proporzioni modeste o anche modestissime che ci serva di pretesto per invio flotta, aviazione e reparti di sbarco. Tutti noti telegrammi di richiesta nostro intervento dovranno venire spediti non appena si verifichino primi disordini. Mi rendo conto difficoltà agire adesso in poche ore dopo la smobilitazione che ebbe luogo poche settimane fa, ma

2 Le reazioni suscitate a Roma dalle notizie inviate da Attolico sono così registrate nel Diario di Ciano (sotto la data del 15 marzo): «La cosa è grave, tanto più che Hitler aveva assicurato che non avrebbe mai voluto annettersi un solo ceco. L'azione tedesca non distrugge la Cecoslovacchia di Versailles, bensì quella che era stata costruita a Monaco e a Vienna. Quale peso si potrà dare in futuro a quelle altre dichiarazioni e promesse che più da vicino ci riguardano? È inutile nasconderei che tutto ciò preoccupa e umilia il popolo italiano. Bisogna dare una soddisfazione, un compenso: l'Albania».

faccio egualmente affidamento su di te. Telegrafa subito quando e come ritieni possibile creare primi disordini e resta in attesa di un mio successivo telegramma col quale ti darò istruzioni a procedere all'azione2 .

303 1 Dichiarazione dei governi germanico e cecoslovacco del 15 marzo 1939 (testo in DDT, vol. IV, D. 229).

304 1 Minuta autografa.

305

IL CONSOLE GENERALE A DANZICA, SPECHEL, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. URGENTE 1147/4 R. e 1152/5 R. Danzica, 15 marzo 1939, ore 17,50 (perv. ore 23,45).

Situazione in Danzica che da parecchi mesi appariva stazionaria e calma, in attesa eventi interessanti Città Libera ma non ritenuti imminenti (tanto che in febbraio rimasero contemporaneamente assenti in licenza presidente del Senato, capo del Dipartimento Affari Esteri, Alto Commissario Società Nazioni e Commissario Generale di Polonia, anche durante i recenti incidenti studenteschi tedesco-polacchi, sui quali ho riferito con rapporti in data 2 e 7 corrente n. 71 1 e 77 2), sembra debba avere qualche ripercussione dagli ultimi avvenimenti cecoslovacchi. Mentre all'inizio questi non avevano fatto soverchia impressione nella opinione pubblica e nelle autorità locali, da ieri si notano segni di preoccupazione per possibili complicazioni ed i giornali danzichesi dedicano ora a quegli avvenimenti copiosi articoli e commenti, riprodotti dalla stampa tedesca ed intonati ad essa conformemente ad ordini che sarebbero giunti da Berlino.

Secondo voci provenienti pure da Berlino e probabilmente connesse col ritorno del Gauleiter Forster da quella capitale, anche in Danzica sarebbe imminente qualche

Ciano aveva un altro colloquio con Musso lini nel pomeriggio sul quale così annotava nel suo Diario: «[Il Duce] accenna ancora alla possibilità di un colpo in Albania ma è sempre dubbioso. Anche l'occupazione dell'Albania non potrebbe a suo avviso controbilanciare, nell'opinione pubblica mondiale, l'incorporazione nel Reich di uno dei territori più ricchi del mondo quale la Boemia. Mi convinco che non se ne farà di niente. Tanto più che ali' Ammiraglio Cavagnari, ricevuto prima di me, il Duce si è limitato a fare domande generiche circa la possibilità di eseguire uno sbarco, ma non ha dato istruzioni di sorta. Peccato! A mio avviso l'andata in Albania avrebbe rialzato il morale del Paese, sarebbe stata un frutto effettivo dell'Asse, raccolto il quale avremmo potuto riesaminare la nostra politica. Anche nei confronti della Germania, la cui egemonia comincia a disegnarsi con contorni molto preoccupanti».

2 Non pubblicato.

manifestazione sensazionale accentuantene il carattere tedesco e le aspirazioni di annessione al Reich, quale ad esempio adozione bandiera nazionale del Reich in luogo della danzichese. Ciò naturalmente non potrebbe lasciare indifferente Polonia.

Seguo attentamente situazione e non mancherò tenerne informata l'E.V.

Intanto, ritengo doveroso telegrafare a V.E. quanto mi è stato comunicato dall'Alto Commissario della S.d.N. Burckhardt, il quale, rientrando ieri sera da Ginevra via Berlino, è venuto a vedermi ieri sera stessa e mi ha confidenzialmente riferito quanto segue. Mentre egli stava per rientrare dalla Svizzera a Danzica, al termine di sei settimane di congedo, ricevette per tramite del console generale Germania in Ginevra il 9 corrente un invito a conferire con il ministro degli Affari Esteri del Reich, Ribbentrop, lunedì 13 corrente in occasione del suo passaggio da Berlino per Danzica. Arrivato a Berlino sabato sera il prof. Burckhardt venne ricevuto lunedì dal Sottosegretario di Stato Weizsacker in luogo di Ribbentrop impedito. Weizsacker gli disse che, pur confermando le disposizioni del suo governo favorevole al di lui mantenimento a Danzica quale Alto Commissario, la situazione politica determinatasi in seguito ultimi avvenimento cecoslovacchi potevano avere dei riflessi anche per Città Libera; si preoccupava perciò che Burckhardt rientrando a Danzica potesse trovarsi in condizione imbarazzante e pertanto lo consigliava, in via del tutto confidenziale ed a titolo amicizia personale, di trattenersi Danzica soltanto pochissimi giorni e trovare quindi un pretesto per ritornare a Ginevra.

Burckhardt è rimasto assai impressionato di quanto dettogli dal Weizsacker e le sue preoccupazioni sono state avvalorate da contatti avuti a Berlino con altre persone e da un colloquio con l'Ambasciatore di Polonia, Lipski, il quale pure si mostrava turbato riguardo ai rapporti polacchi Germania.

Secondo impressioni e voci raccolte da Burckhardt a Berlino, il Ftihrer sarebbe assai irritato verso la Polonia per le recenti dimostrazioni contro l'ambasciata di Germania a Varsavia e non esiterebbe ora ad inasprire le relazioni con quel governo, anche per aderire a sollecitazioni degli elementi prussiani e dei tedeschi di Polonia, i quali vorrebbero una politica più attiva in quel settore per non dare impressione che il governo del Reich si interessa soltanto del Centro Europa. Sembrerebbe che il Ftihrer voglia bruciare tappe espansione germanica, sia per porre Inghilterra e Francia di fronte fatti compiuti, sia per distrarre popolo germanico da preoccupazioni economiche che secondo Burckhardt sono visibili e aggraverebbero un disagio generale che egli ha percepito durante una sosta a Berlino.

Il prof. Burckhardt (il quale mi ha pregato di non rivelare il nome del suo interlocutore Weizsacker) mi terrà al corrente delle sue attività e decisioni. Il mio collega di Germania, Janson, con cui ho conferito stamane, non prevede imminenti complicazioni a Danzica tranne se provocate dalla Polonia.

Anche il console generale britannico Shepherd, solitamente allarmista e pessimista, mi ha dichiarato non credere prossime sensazionali novità nella Città Libera. Prego V.E. considerare opportunità che la Regia Ambasciata Berlino e a Varsavia mi telegrafino eventuali notizie urgenti interessanti Danzica3 .

304 2 Circa le origini di queste istruzioni, vi sono nel Diario di Ciano queste annotazioni sotto la data del 15 marzo: «Bisogna dare [dopo l'azione tedesca in Cecoslovacchia] una soddisfazione, un compenso: l'Albania. Ne parlo al Duce cui dico anche la mia convinzione che oggi non troveremmo, né ostacoli locali, né serie complicazioni internazionali per intralciare la nostra marcia. Mi autorizza a telegrafare a Jacomoni di preparare movimenti locali e personalmente ordina alla Marina di tener pronta la seconda squadra a Taranto. Conferisco subito con Cavagnari e, dopo aver dato le istruzioni telegrafiche a Tirana, posso parlare per telefono a Jacomoni che era in viaggio per raggiungere la sede. Dice che domani telegraferà quanto ritiene possibile fare e prospetta anche l'eventualità di mettere l'ultimatum al Re: o egli accetta lo sbarco delle truppe italiane e chiede il protettorato oppure le truppe sbarcano contro di lui. Conferisco nuovamente col Duce. Mi sembra un po' meno deciso per l'operazione albanese».

305 1 Non rintracciato.

305 3 Questo documento fu ritrasmesso all'ambasciata a Berlino con T. per corriere 4266 P.R. del 17 marzo. Per la risposta dell'ambasciatore Attolico si veda il D. 348.

306

L'AMBASCIATORE A V ARSAVIA, ARONE, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 1159/58 R. Varsavia, 15 marzo 1939, ore 23,47 (perv. ore 3,30 de/16).

Ho avuto stasera lungo colloquio con questo ministro Affari Esteri.

Beck appariva preoccupato e perplesso per l'incalzare degli avvenimenti. Mi ha ripetuto avere sempre considerato «nuova Cecoslovacchia» come formazione instabile e precaria. Mi ha al riguardo accennato a certe sue impressioni tratte dalla conversazione avuta nel gennaio scorso con il Cancelliere germanico 1 il quale avrebbe alluso di avere dovuto a Monaco di Baviera adottare soluzione basata sul principio etnico perché consigliata dalla opportunità del momento.

Anche per quanto riguarda problema frontiera comune polacco-ungherese questo ministro Aftàri Esteri mi è sembrato non ancora del tutto sicuro della posizione tedesca. Egli si è occupato in questi giorni di mettere d'accordo Romania e Ungheria, ma quest'ultima aveva obiettato di non poter trattare prima di avere effettuato e consolidato occupazione Russia Subcarpatica.

Questo ministro Affari Esteri ha lamentato tattica della «sorpresa» usata dalla Germania che, pur dandole innegabili vantaggi, le alienava le simpatie anche dei Paesi ben disposti. Così, l'ambasciatore di Polonia a Berlino (come-egli ha aggiuntole altre rappresentanze estere in quella capitale) era stato tenuto completamente ali'oscuro di quanto si preparava forse da lungo tempo. Questo ministro Affari Esteri conta di vedere stasera Moltke reduce da Berlino e di ricevere qualche delucidazione.

Nella odierna contingenza Beck ha rinviato, come è naturale, esposizione che doveva fare domani alla Camera dei Deputati.

Evidentemente i fatti odierni impressionano profondamente questa opinione pubblica e non è da escludere che essi abbiano ad influenzare le direttive di politica estera seguite fin qui da Beck.

306 1 Vedi D. 27, nota l.

307

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 2128/616. Berlino, 15 marzo 19391•

Mio fonogramma n. 135 del 15 corrente2 .

Trasmetto nel suo originale e in traduzione la lettera3 a me indirizzata con cui il governo dell'Ucraina Subcarpatica autonoma chiede l'intervento del Regio Governo per arrestare la marcia degli ungheresi sulla piccola Ucraina.

Alla lettera sono allegati due documenti4 indirizzati al ministro degli Affari Esteri del Reich i quali riproducono un proclama in data 12 marzo con cui il governo dell'Ucraina Subcarpatica si è dichiarato Stato autonomo e si è posto sotto la protezione del Reich tedesco, ed una nota in data 15 marzo, con cui si ripete l'appello di intervento al governo tedesco.

Ho già informato l 'E.V. col mio fonogramma sopra citato della risposta data da questo governo ai passi di cui sopra.

In aggiunta credo opportuno segnalare che questo ministero della Propaganda, alle richieste rivoltegli dai corrispondenti dei giornali esteri circa la situazione, ha spiegato il voltafaccia tedesco nei riguardi della questione ucraina con la necessità di dare una «soddisfazione ali 'Italia» permettendo ali 'Ungheria di avere mano libera nell'Ucraina Subcarpatica, ricongiungendosi così alla Polonia.

È evidente, comunque, che l'atteggiamento attuale della Germania è in pieno contrasto con quello finora osservato verso l'Ucraina Subcarpatica, la quale era stata considerata sempre come il nocciolo ed il punto vitale di partenza delle future rivendicazioni verso la più grande Ucraina. Del mutamento di fronte della Germania traggono per ora diretto vantaggio-oltre l'Ungheria e la Polonia, che vede scomparire il principale focolare di propaganda e di ribellione nelle sue province ucraine anche per analoghe ragioni, la stessa Unione Sovietica.

Nei circoli ucraini di Berlino, finora sostenuti e finanziati dal governo del Reich, regna il più grande abbattimento. Vi si ha quasi la sensazione di un tradimento. Aggiungo, a titolo di informazione, che l'atamano Skoropadskij, uno degli agenti della Germania nella politica ucraina, si preparava proprio in questi giorni ad inviare a Roma suo figlio, che, di ritorno da un lungo soggiorno all'estero, collaborava con lui nello svolgimento dell'azione istigata da Berlino5 .

2 Con T. 1141/135 R. del 15 marzo, l'ambasciatore Attolico aveva riferito che un sedicente «Rappresentante del governo dell'Ucraina Subcarpatica» gli aveva fatto pervenire una lettera in cui si chiedeva un intervento dell'Italia presso gli ungheresi. Attolico faceva presente che Berlino aveva già risposto negativamente agli appelli analoghi e a richieste di protettorato avanzate da quel governo.

3 Non pubblicata. Nella lettera si tàceva rilevare che uno Stato autonomo dell'Ucraina Subcarpatica era «una delle migliori basi per la lotta di liberazione dell'Ucraina da Mosca e dal bolscevismo» e che l'intervento del governo italiano era sollecitato in quanto l 'Italia era membro del Patto Anticomintern.

4 Non pubblicati.

5 Il documento ha il visto di Mussolini.

307 1 Manca l'indicazione della data di arrivo.

308

IL MINISTRO A BELGRADO, INDELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. RISERVATISSIMO 1230/373. Belgrado, 15 marzo 1939 (perv. i/18).

Secondo informavo in fine del mio telespresso n. 1203/366 dell'l l corrente 1 , Corrado Sofia della Stefani si è recato a Zagabria. ove ha avuto con Macek un assai lungo colloquio ed ha preso contatto con alcuni capi del movimento croato: Kosutié, Budak, ecc. Ha riassunto le sue impressioni e le disposizioni constatate nel promemoria che mi onoro allegare.

Come Vostra Eccellenza rileverà, la situazione in Croazia è ormai giunta in una fase acuta, che le ripercussioni dei recenti avvenimenti cechi, slovacchi e ruteni possono rendere realmente preoccupante. Le particolari circostanze interne ed estere tendono a superare ogni tendenza temporeggiatrice di Macek ed a costringerlo a prendere la testa di un movimento di assoluta intransigenza e di urgenti risoluzioni. È innegabile che il primo esperimento di personale politica del Principe Reggente si è dimostrato di una singolare infelicità. Ed i serbi lo sentono. Sentono anche che le direttive, al cui inizio Stojadinovié aveva dato il suo nome ed una innegabile sensazione di vigoria, sono state bruscamente interrotte, prima che le conseguenze ne fossero state utilmente e tutte sviluppate, nel momento più critico, mentre manca l'uomo, alla testa dello Stato e del governo, capace di fronteggiare il pericolo. Cvetkovié potrà resistere difficilmente al sentimento generale di sfiducia nella sua possibilità di risolvere, in qualche modo, una situazione eccezionalmente esasperata e, per ogni riguardo, complessa. E, d'altra parte, le incognite di una sua successione sembrano particolarmente gravi.

Le possibilità di accordo coi croati appaiono pressoché inesistenti, anche se le pretese di Zagabria avessero a discendere di qualche punto, a meno di colpire in pieno la situazione serba neiio Stato. Una soluzione di forza, dati i precedenti in corso nel contiguo territorio ex-cecoslovacco, appare pericolosa, specie in considerazione deiia frontiera tedesco-slovena, ove è il feudo di Korosec, campione deii'antigermanesimo. In queste condizioni gli animi tanto a Zagabria che a Belgrado sono. per ragioni -meno una -contrastanti. rivolti a Roma. Giacché va diffondendosi la convinzione che anche e specialmente in questo settore, ed in questo particolare momento, Roma soltanto può essere arbitra di una soluzione che presenti il minimo di pericoli ed il massimo di garanzie per le parti direttamente in causa.

ALLEGATO

IL CORRISPONDENTE DELL'AGENZIA STEFANI, SOFIA, AL MINISTRO A BELGRADO, INDELLI

PROMEMORIA.

In seguito alla caduta di Stojadinovié e agli ultimi avvenimenti in Europa Centrale. la situazione in Croazia si presenta oggi estremamente grave. Il successo riportato da Macek nelle recenti elezioni che ha dato ai croati il senso di una compattezza assoluta e l'indebolimento di Belgrado hanno riscaldato le teste dei croati. Essi vedono vicino il giorno della proclamazione di una Croazia libera e indipendente. Vicino o lontano considerano ormai tale fatto come fatale. Macek stesso col quale ho avuto modo di intrattenermi a lungo mi è sembrato trasportato dagli avvenimenti. Egli mi ha detto che se il principe Paolo non concederà immediatamente una nuova costituzione dando allo Stato la forma federativa sarà la catastrofe della Jugoslavia. Avendogli chiesto circa l'esercito, ha aggiunto che l'esperienza della fallita autonomia slovacca impone ai croati di pretendere un esercito proprio con propri ufficiali. Zagabria non ha alcuna concessione da fare a Belgrado tutte le concessioni dovendo venire dalla parte dei serbi -dunque nessuna possibilità di accordo nel senso in cui intendeva il principe Paolo dietro i suggerimenti di Londra o Parigi. Macek si è lamentato delle mancate promesse di Stojadinovié notando che Cvetkovié farà come i suoi predecessori. Quanto a Korosec inspiratore del nuovo governo mi ha detto che, dopo la fine dell'Austria, costui non sa più mantenere una linea corretta precisa. Dopo aver accennato allo sviluppo che la Croazia autonoma acquisterebbe, Macek ha sottolineato che gli sbocchi naturali della Croazia sono Fiume e Graz. Mi è apparso piuttosto divertito dalla propaganda che conducono in questi giorni gli inglesi per tentare di mettere d'accordo Zagabria con Belgrado.

Tuttavia nemmeno l'idea di uno Stato federativo è condivisa oramai dalla massa. A Zagabria non si presta fede alle frasi di Belgrado e non si crede che si raggiungerebbe un risultato concreto nemmeno se venissero chiamati al potere quei serbi che l'anno scorso firmarono un accordo con Macek pur di mettere Stojadinovié nelle difficoltà. Tale opinione mi è stata espressa da Kosutié, vice presidente del movimento croato. [ capi del partito si trovano ormai davanti a una massa di cinque milioni di individui che reclama l'indipendenza della Croazia. La figura di Pavelié ha conquistato tutti gli animi e viene in una luce maggiore a quella di Macek stesso. Macek è costretto a far credere che una stretta collaborazione esiste fra Pavelié e lui. Il fatto che i franchiani nelle recenti elezioni abbiano votato per Macek avvalora tale idea presso i contadini nelle cui case l'immagine di S. Antonio rappresenta un simbolo significativo (Antonio Pavelié). Macek racchiude ormai l'idea della Croazia. I franchiani sono disposti a riconoscere in lui il presidente della Repubblica pur di condurre essi la politica dello Stato che dovrebbe sorgere. Come italiano io ho dovuto subire varie accuse in vari ambienti. L'opera, la propaganda, la comprensione della Germania per la questione croata mi sono state messe dovunque in contrapposizione al disinteressamento italiano o meglio alla serbofilia italiana. Gli articoli di alcuni nostri giornali sono stati commentati sfavorevolmente dal Hrvatski Dnevnik. organo di Macek. Queste critiche accompagnate dai sentimenti della migliore amicizia e da espressioni di profonda riconoscenza per l'Italia. mi sono state avanzate anche da Budak. luogotenente di Pavelié. il cui giornale. Hrvatski Narod. ho trovato molto diffuso. Il colloquio con Budak è stato particolarmente vivace. Dopo aver escluso la possibilità di un accordo con Belgrado, dopo aver parlato del panslavismo serbo che potrebbe diventare pericoloso allorché una Russia nazionalista rinvigorita apparisse all'orizzonte, dopo aver accennato a una catena di Stati cattolici (Polonia, Ungheria, Croazia) che dovrebbe continuare lo spirito cattolico, egli ha riconosciuto la necessità per l'Italia di usare una tattica politica con Belgrado. ma mi ha chiesto perché l'Italia non vorrebbe mettere sotto la sua protezione una Repubblica croata che assicurerebbe i porti del litorale e che potrebbe concludere con l'Italia un'unione doganale. La Bosnia si unirebbe alla Croazia. Una vasta opera di propaganda viene condotta in Bosnia. I confini della Croazia sarebbero quelli del fiume Drina. Quanto alla Slovenia i croati la lascerebbero libera di decidere nella speranza che anche essa volesse aderire alla Croazia. Pur non nascondendo il pericolo grave della penetrazione tedesca verso l'Adriatico, mi è stato detto che in Croazia non esistono questioni di minoranze che invece riguardano i serbi. Perché l'Italia dovrebbe ostacolare la formazione di una Repubblica che le sarebbe amica e che al contrario cadendo sotto l'esclusivo protettorato tedesco potrebbe recarle fastidi? Mi è stato chiesto inoltre perché l 'Italia non lascia Pavelié libero di raggiungere l' America (è nota la propaganda germanofila presso i croati d'America) e perché altrimenti non gli permette di esplicare un'attività maggiore trovando il mezzo di (arlo corrispondere direttamente coi croati senza che ne vengano infòrmate le autorità serbe.

Il signor Budak mi ha assicurato poi come del resto anche gli altri esponenti del giornalismo croato, di seguire benevolmente la politica italiana in cambio della serena obiettività della nostra stampa sulla questione croata.

Fra le altre impressioni ritengo utile registrare la profonda meraviglia di molti croati per il mancato appoggio dei serbi a Stojadinovié. La caduta di Stojadinovié ha rallegrato sinceramente i croati aprendo ufficialmente e solennemente la questione croata, ma essi si domandano perché i serbi non sono per Stojadinovié e non lo hanno sostenuto e non lo sostengono nelle sue idee sull'unità dello Stato2 .

308 1 Vedi D. 280.

309

L'ADDETTO MILITARE A PARIGI, VISCONTI PRASCA, AL MINISTERO DELLA GUERRA

FOGLIO SEGRETO 249. Parigi, 15 marzo 1939.

A parziale risposta del telegramma n. 264 del 15 c.m.2 .

Una personalità italiana ha avuto oggi un colloquio con un maggiore di Stato Maggiore dell'Esercito francese addetto al 2ème Bureau de l'Armée circa gli avvenimenti odierni in Cecoslovacchia.

Dal complesso il nostro informatore ha potuto percepire un senso di grande preoccupazione dello Stato Maggiore francese per la piega presa dagli avvenimenti e per il loro eventuale sviluppo.

L'atteggiamento italiano di questi avvenimenti secondo la concezione francese, è interpretato, a dire dell'informatore, come un asservimento completo dell'Italia alla Germania. Si ritiene che quest'ultima non manterrà incondizionatamente gli impegni, anche se fra i due Capi di governo italiano e gennanico siano state scambiate promesse formali. Il contraccambio dell'appoggio che l'Italia si attende dalla Germania per i fini italiani potrebbe essere negato dai tedeschi, quando questi abbiano fortemente consolidato la loro posizione ali 'Est.

Musso lini sarebbe stato giocato da Hitler in occasione dell' Anschluss. E poiché il Duce per ragioni di prestigio personale non potrebbe rinnegare la politica germanofila fino ad ora professata, egli avrebbe finito per mettersi su una via di cessioni il cui limite non è prevedibile.

L'intesa della Francia e dell'Italia, secondo molti alti ufficiali francesi, sarebbe invece assolutamente necessaria ali 'Europa se si vuole tenere un equilibrio politico.

I sentimentalismi, i rancori e le rivendicazioni tra Francia e Italia rivestono un carattere secondario di fronte al pericolo di un'egemonia tedesca che si prospetta per l'Europa intera compresa l'Italia.

La necessità di sbocchi marittimi a sud fatalmente spingerà la Germania al Mediterraneo ed allora la sorte di Trieste sarà in gioco. Non bisogna attendere questo momento per addivenire ad una unione franco-italiana.

Nell'ambiente militare francese non si ignora che Goering ha una certa predilezione per un accordo totale con la Francia. Quale sarebbe il prezzo di questo accordo? Secondo l'informatore la Francia lascerebbe alla Germania mano libera all'Est rinunciando a tutte le alleanze con la Polonia, Romenia e Jugoslavia.

Nell'ambiente militare francese varie personalità cominciano a considerare seriamente l'eventualità di costituire un blocco franco-tedesco a spese di tutta l'Europa. L'ambiente militare diffida della buona fede tedesca, ma un accordo franco-tedesco potrebbe dare alla Francia una certa tranquillità per un periodo di tempo abbastanza lungo. Le difficoltà che la Germania incontrerebbe verso l'Est e le guerre che dovrebbe forse sostenere in quella direzione l'allontanerebbero da ogni velleità aggressiva contro la Francia che rimarrebbe tranquilla durante il periodo di sfacelo dell'Oriente europeo.

Fino ad oggi tale concezione ha ripugnato alla Francia per motivi morali ed anche materiali, ma di fronte agli attriti con l'Italia e alla incomprensione attribuita al nostro Paese, la Francia preferirebbe accettare il sacrificio degli altri per acquistare un periodo di tranquillità e per prepararsi.

Di fronte alla situazione odierna non è prevedibile da parte francese alcuna reazione. Circa gli sviluppi di tale situazione si ammette anche che l'Italia possa pretendere un compenso dai tedeschi che si tradurrebbe in un appoggio germanico alle sue rivendicazioni. Ma di fronte ad imposizioni ed intimidazioni la Francia non cederà nulla.

L'informatore ha lasciato intravvedere che da parte francese sarebbe gradito un avvicinamento franco-italiano qualora le forme ed i metodi italiani cambiassero. In caso di accordi franco-italiani la Germania potrebbe essere ancora frenata.

Per raggiungere tale scopo l'informatore ritiene che i francesi sarebbero disposti a fare delle concessioni ali 'Italia. Queste non dovrebbero avere il carattere di soddisfazione allo spirito imperialistico ed aggressivo italiano, ma costituire invece la base di un riavvicinamento allo scopo di arrestare i tedeschi e di garantire l'equilibrio europeo oggi seriamente compromesso dalla Germania. Così dice l'informatore.

308 2 Sul documento non c'è il visto di Mussolini ma vi è il segno di Ciano che indica che il documento doveva essere inviato in visione al Duce. È quindi da ritenere che le sottolineature qui riportate siano state fatte da Mussolini.

309 1 Il documento è tratto dall'Archivio Centrale dello Stato, Ministero della Marina, Gabinetto ed è una copia inviata al Ministero della Marina dall'addetto navale, Margottini, con foglio !59 del 17 marzo. 2 Non rintracciato.

310

IL CAPO DEL GOVERNO, MUSSOLINI, AL CANCELLIERE TEDESCO, HITLER

PROGETTO DI LETTERA 1 . Roma, 15 marzo 19392•

Le necessità che vi hanno indotto a dar vita al Governo di Slovacchia e che hanno nuovamente portato le truppe germaniche dov'era necessario ristabilire l'ordine, trovano la piena solidarietà del popolo italiano e la viva comprensione del Fascismo e mia.

Negli avvenimenti odierni, la forza operante dell'Asse ottiene una conferma più palese in quanto essi si svolgono a breve distanza dalla vittoria di Monaco e di fronte all'ostentato riarmo della Francia e dell'Inghilterra, escluse, in ogni modo, da queste vitali decisioni europee.

L'Italia Fascista che ravvisa negli avvenimenti dell'Europa Centrale l'effetto della leale e rettilinea politica delle due Potenze dell'Asse, domanda con generosa impazienza, di realizzare le sue giuste aspirazioni.

Oltre le rivendicazioni storiche verso la Francia, profondamente intese dalle nostre masse popolari, la cui realizzazione ha più ampia portata e non può in questo momento essere considerata attuale, una questione ha sempre formato l'oggetto del mio appassionato interesse ed ha toccato vivamente il cuore della Nazione italiana, voglio parlare de li' Albania. Assegnataci virtualmente dalle Potenze, nel 1921, tale regione, che deve tutto al lavoro ed al capitale italiani, venne abbandonata dai governanti dell'epoca, sotto la pressione dei partiti di estrema sinistra. Da allora, la Nazione italiana non ha dimenticato l'umiliazione subita ed ha continuato a perseguire in Albania un'opera di sapiente penetrazione che ha incontrato il favore della parte eletta del popolo albanese. E appunto questa parte migliore del popolo albanese che continuamente reclama -attraverso innumerevoli attestati di devozione e di lealtà -la presenza dell'Italia Fascista in quelle terre. Il Capo tribù che si nomina adesso Re degli Albanesi è un estraneo in una terra dove l 'Italia alimenta liberalmente delle popolazioni che non possono bastare a se stesse e che aspettano, per liberarsi da un inutile giogo e da un'economia primitiva, che il Governo Fascista venga pacificamente a stabilirsi in un Paese dove l'idioma e la civiltà di Roma sono le sole impronte del progresso. L'entrata dell'Italia in Albania verrebbe soltanto a togliere di mezzo l'esistenza di una Corte artificiale e restituire alla naturale convivenza con l'Italia quella che dalle cure del governo fascista è stata considerata una provincia de li'altra sponda de li' Adriatico.

Fuhrer! Le stesse necessità nazionali che si sono presentate alla Grande Germania in Europa Centrale, urgono oggi, con uguale, imperiosa necessità, per l'Italia fascista! Da una parte il popolo italiano che vuole nello stesso tempo, dimostrare e raffigurare la forza de li' Asse, dali' altra l'obbligo, da parte nostra di aderire agli appelli

31 O1 Un'annotazione sulla cartellina contenente il documento dice: «Progetto di lettera del Duce al Fiihrer redatto dal Capo di Gabinetto An fuso». La lettera non fu inviata. 2 La data risulta da un'annotazione a matita sul documento.

presentati dai Capi albanesi che dell'attuale, logico riassetto avvenuto in altra parte d'Europa, vogliono approfittare per poter continuare all'ombra della bandiera italiana quella collaborazione che in ogni tempo ci hanno dato.

È per tali motivi e nella convinzione che l'azione dell'Italia in Albania, è parallela ali' opera presente in Germania e conforme allo spirito d eli'Asse, che ho preso le opportune disposizioni di carattere militare perché si aderisca all'appello dei Capi albanesi e si stabilisca in Albania il Regime di giustizia che quelle popolazione attendono e che sarà salutato dalla Nazione italiana come una logica opera di riparazione e come una consacrazione dei diritti nazionali per i quali la Germania e l'Italia hanno intrapreso una missione cui abbiamo, noi due, voluto dedicare una profonda ed immutabile amicizia.

Fiihrer!

L'Italia Fascista, consapevole di agire nell'interesse del popolo albanese, cercherà di assicurargli, nel più breve tempo possibile, le legittime condizioni cui esso aspira ed a tal uopo intraprendere un'azione per il cui successo fa pieno assegnamento sulla solidarietà dei Paesi che nella Nazione italiana vedono l'espressione delle più nobili tradizioni civilizzatrici.

Primi fra tutti, la Germania nazista che insieme ali 'Italia ha combattuto e vinto dure prove internazionali, può fiancheggiarla in tale azione ed in un'ora così importante.

311

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, AL MINISTRO A TIRANA, JACOMONI

T. S.N.D. URGENTISSIMO 4163/21 P.R. Roma, 16 marzo 1939, ore 10,45.

Mio telegramma n. 201• Sospendere (dico sospendere) tutto e assicurarmi2 •

2 Circa le origini di queste istruzioni vi è nel Diario di Ciano questa annotazione (sotto la data del 16 marzo): «Mussolini mi chiama a Villa Torlonia alle 9 del mattino. Ha l'aria stanca. Dice di avere molto riflettuto durante la notte e di essere giunto alla conclusione di rinviare l'operazione albanese, soprattutto perché teme ch'essa, scuotendo la compagine jugoslava, favorisca un'indipendenza croata sotto l'egida tedesca. Il che vorrebbe dire i prussiani a Sussak: non val la pena di correre questo rischio per prendere l'Albania, che potremo avere in qualsiasi altro momento. Vedo che Musso lini non intende dar corso alla cosa: inutile insistere. Do ordini a Jacomoni di fermare tutto. Conservo un appunto redatto dal Duce, nel quale elenca le ragioni del rinvio». L'appunto di Mussolini a cui accenna Ciano non è stato ritrovato.

311 1 Vedi 304.

312

L'AMBASCIATORE A MOSCA, ROSSO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 1193/24 R. Mosca, 16 marzo 1939, ore 15,50 (perv. ore 19).

Avvenimenti cecoslovacchi hanno creato in questi ambienti diplomatici enorme impressione.

Litvinov che dirigevasi iersera ad un ricevimento dell'ambasciata dell'Iran ha cercato di sottrarsi alle numerose domande dei rappresentanti esteri allegando incompleta conoscenza dei fatti e limitandosi a dire che sorte della Cecoslovacchia era già stata compromessa dai suoi stessi governanti per aver mostrato eccessiva servilità verso Berlino. A chi gli osservava che occupazione da parte ungherese dell'Ucraina Carpatica poteva considerarsi fattore non sfavorevole per U.R.S.S. Litvinov ha obiettato che ciò non aveva importanza perché «tosto o tardi anche l'Ungheria sarà ingoiata dal Reich». Egli ha aggiunto: «Questo non potrà certamente tàr piacere a Mussolini».

Fino ieri sera questa ambasciata di Germania affermava che Slovacchia sarebbe rimasta indipendente.

313

L'AMBASCIATORE AD ANKARA, DE PEPPO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 1199/22 R. Ankara, 16 marzo 1939, ore 15 (perv. ore 20,35).

A misura che il telegrafo e la radio diffondevano ieri le notizie sulla improvvisa fine della Cecoslovacchia, l'emozione diventava più viva in questi circoli politici e diplomatici.

Particolarmente soddisfatto si dimostrava il ministro di Ungheria1 il quale mi ha detto che sperava che l'Italia vedrebbe con favore la realizzazione della frontiera comune ungaro-polacca, ora che, ha soggiunto, la Germania vi acconsentiva. Il ministro di Jugoslavia era invece turbato e mi ha detto che più che mai l'amicizia tra l'Italia e la Jugoslavia deve essere oggi consolidata ed estendersi alla Ungheria ed alla Romania. In serata ho incontrato il ministro degli Affari Esteri Saracoglu che mi ha intrattenuto in lungo colloquio al quale ha tenuto a dare un tono particolarmente cordiale. Non nascondeva un senso di viva preoccupazione e quasi di allarme di fronte alla irrompente azione della Germania. Fino ad ora, egli mi ha detto, i tedeschi hanno reclamato ed ottenuto territori occupati da popolazioni tedesche, giustificando queste loro pacifiche conquiste col principio dell'appartenenza etnica. Ora annettono regioni

in cui non vi sono che trascurabili minoranze tedesche; domani verrà l'Ungheria e poi la Romania e chi sa che cos'altro. Gli ho fatto osservare che, a quanto sembra dalle notizie pervenute, la Cecoslovacchia non si era resa conto della lezione del settembre 1938 e continuava a fare una politica provocatrice verso le minoranze malamente fuse nel suo agglomerato, costituendo sempre una minaccia per la pace nel centro europeo.

Saracoglu per nulla persuaso delle mie osservazioni mi ha chiesto in via amichevole se era vero quanto gli era stato detto che l'Italia aveva mobilitato o stava mobilitando. Gli ho risposto che nulla mi risultava in proposito e che le misure prese corrispondono a normale richiamo per periodo di esercitazioni soprattutto di specialisti; mentre i nostri invii di soldati in Libia rispondono a necessità di elementari precauzioni di fronte al concentramento di truppe francesi in Tunisia. Del resto, gli ho aggiunto, l 'Italia fascista, data l'educazione del popolo, è in una mobilitazione spirituale permanente.

La stampa si astiene da ogni commento sulla nuova situazione creatasi nel centro Europa.

313 1 Zoltan Mariassy.

314

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 1195/143 R. Berlino, 16 marzo 1939, ore 21,40 (perv. ore 22,45).

Proclamazione protettorato slovacco 1 sebbene già nell'aria (mio telegramma n. 124 del 14 corrente)2 ha prodotto impressione profonda, nonostante assicurazione che-in assenza ulteriori notifiche dal «fronte» e cioè località di residenza del Flihrer-si fanno qui circolare voci nel senso che almeno per il momento non si farà luogo ad occupazione militare oltre linea Piccoli Carpazi e Carpazi Bianchi già da me indicata nel telegramma

n. 133 del 16 corrente3 e che inoltre fisionomia politica slovacca e quindi sua effettiva autonomia sarà diversa e più liberale di quella adottata per territori cechi.

Questo ministro d'Ungheria, pur dichiarando che manomissione slovacca non può essere diretta contro Budapest e che questa sapeva ormai benissimo che in ogni caso Slovacchia non avrebbe voluto andare con i magiari, ammette che il fatto nuovo annulla «almeno per la metà» il valore della concessione fatta all'Ungheria della Rutenia.

Prime notizie assunte circa reazioni polacche sono pessime. Varsavia che ha in fondo visto senza dolore occupazione Boemia e Moravia, è stata invece, per quanto concerne la Slovacchia, non solo presa alla sprovvista, non solo delusa nelle sue aspettative di una Slovacchia filo-polacca, ma anche violentata nel suo naturale interesse ad una Slovacchia effettivamente indipendente e neutra erga omnes.

2 Vedi D. 296.

3 Fonogramma 1130/133 R. del 15 marzo con cui l'ambasciatore Attolico aveva riferito sulle notizie da lui raccolte circa il nuovo assetto che si intendeva dare al territorio cecoslovacco, notizie ancora incerte data l'assenza di Hitler che si era recato a Praga.

È evidente che enclave slovacco è stato voluto come testa di ponte contro la Polonia e mezzo di pressione -quando che sia -per Danzica e il corridoio che, da questo momento, incominciano (a parte Memel già matura da tempo) ad acquistare carattere questioni di attualità.

In circoli polacchi sembra che apprensione arrivi al punto da far temere, nel caso che Germania intenda estendere la propria manovra anche alla Rutenia, complicazioni suscettibili compromettere nel modo più serio relazioni tra i due Paesi.

Mi affretto ad aggiungere che ritengo tuttavia voci di un eventuale protettorato tedesco sulla Rutenia come prive di fondamento.

Inutile poi aggiungere che nuova testa di ponte slovacca, nelle mani della Germania, rappresenta anche una minaccia sulla Romania e comunque scorciatoia per avvicinarsi ai suoi petroli4 .

314 1 Il trattato di protettorato tra Germania e Slovacchia (testo in DDT, vol. VI, D. 40) fu firmato il 18 marzo a Vienna e reso pubblico ad eccezione del protocollo relativo alla cooperazione economica e finanziaria.

315

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI

T. 199/33 R. Roma, 16 marzo 1939, ore 23.

R. Ambasciatore a Berlino ha telefonato in data 15 corrente quanto segue:

«Governo tedesco è d'avviso che, data attuale situazione politico-militare Spagna, si debba senza ulteriori indugi liquidare completamente dispendiosa organizzazione Comitato Non Intervento. Occorrerebbe quindi rispondere negativamente a richiesta pagamenti avanzata da Hemming e comunicare a Plymouth decisione presa. Starà a quest'ultimo di accordarsi con Inghilterra e Francia per immediato licenziamento osservatori ed altro personale.

Risulta a questo ministero degli Affari Esteri che Hemming ha accumulato riserve per il pagamento indennità di licenziamento.

Da parte tedesca, si desidera conoscere d'urgenza se siamo d'accordo onde dare definitiva istruzione ambasciata tedesca a Londra, alla quale, intanto a solo titolo informativo, sarà questa sera telegrafato opinione sopra espressa di questo governo».

Per parte mia sono d'accordo con governo tedesco. Potete quindi d'accordo col vostro collega di Germania fare le comunicazioni del caso al Comitato Non Intervento.

316.

IL MINISTRO A BELGRADO, INDELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 1196/48 R. Belgrado, 16 marzo 1939, ore 23,05 (perv. ore 1,20del17).

Avvenimenti in corso colpiscono qui sul vivo soprattutto in ragione gravità situazione croata che gli stessi tendono ad aumentare.

Opinione pubblica è a Belgrado disorientata e rassegnata al peggio tanto più che scomparsa Cecoslovacchia dà al Paese sensazione del suo isolamento slavo. Governo non ha reazioni apprezzabili. Si parla apertamente della necessità che abbandoni subito il potere in mani più sicure, conformemente, del resto, al suggerimento di Macek che è il vero padrone della situazione.

Si considera persino possibile una presidenza militare. A Zagabria si vive fra l'intransigenza assoluta ed una intransigenza consigliata da una uguale preoccupazione futuro.

Qualche dimostrazione nei due campi di non grande importanza. Stasera questo mio collega tedesco 1 ha chiesto al ministro cecoslovacco2 consegna della Legazione.

314 4 Sulle reazioni di Mussolini di fronte agli avvenimenti in Cecoslovacchia vi è questa annotazione nel Diario cJi Ciano sotto la data del 16 marzo: «[Il Duce] ritiene ormai stabilita l'egemonia prussiana in Europa. E d'avviso che una coalizione di tutte le altre Potenze, noi compresi, potrebbe frenare l'espansione germanica, ma non più ributtarla indietro. Non fa troppo conto sull'aiuto militare che potrebbe essere dato dalle Piccole Potenze. Domando se in tale stato di cose convenga a noi stringere l'alleanza o non piuttosto mantenere la piena libertà di orientarci in futuro secondo i nostri interessi. Il Duce si dichiara nettamente favorevole all'alleanza. Esprimo le mie riserve, perché l'alleanza sarà molto poco popolare in Italia e poi perché temo che la Germania possa valersene per spingere più a fondo la sua politica espansionista in Europa Centrale».

317

IL MINISTRO A BUDAPEST, VINCI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 1194/93 R. Budapest, 16 marzo 1939, ore 23,28 (perv. ore 3,30 del 17). Mio tegramma n. 91 1 .

l) Anche Csaky mi ha detto stamane che Germania aveva improvvisamente fatto sapere non solo di lasciare mano libera all'Ungheria, ma anzi l'aveva «consigliata» ad agire ed immediatamente. Egli ha ammesso che poteva anche prima sperare che Germania potesse cambiare parere ma temeva che esigesse qualche cosa in cambio. Invece, ora senza nulla chiedere aveva dichiarato addirittura che Rutenia era questione interna ungherese; ciò che egli mostrava non spiegarsi. Csaky aveva l'aria preoccupata durante tutta la conversazione.

2) Fatto stesso dell'impreparazione militare delle pochissime forze presenti alla frontiera al momento di agire e della conseguente lentezza delle operazioni, malgrado immediato ritiro delle truppe ceche, mostra che anche il governo ungherese è stato sorpreso dagli avvenimenti.

2 Jaroslav Lipa. 317 1 T. 1192/91 R. del 16 marzo. Riferiva che il ministro degli Esteri, Csaky, lo aveva pregato di interessare Ciano perché desse consigli di moderazione a Bucarest, dove sembrava si fosse orientati ad occupare una striscia di territorio ruteno, ciò che-dichiarava Csaky -l'Ungheria era decisa ad impedire.

316 1 Viktor Heeren.

318

IL MINISTRO A BUDAPEST, VINCI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER TELEFONO 1191/94 R. Budapest, 17 marzo 1939, ore 0,25.

In questi primi momenti, nell'opinione pubblica ungherese, colpita da attonita sorpresa per il precipitare dei gravi avvenimenti, il timoroso stupore per l 'inattesa azione tedesca e le sue immediate conseguenze nel Bacino danubiano, supera e soffoca ogni forma di soddisfazione per il raggiungimento della frontiera comune con la Polonia. A parte qualche pallido corteo organizzato come di consueto per la ricorrenza nazionale di ieri, nessuna dimostrazione, nessuna manifestazione di alcun genere: le truppe ungheresi stanno avanzando finora nella indifferenza del pubblico.

Impressione di grave preoccupazione piuttosto che di gioia traspare anche in tutti i personaggi responsabili che ho incontrato.

Protettorato tedesco sulla Slovacchia annunziato oggi non potrà che aumentare tale sensazione. Occhi di tutti sono piuttosto diretti agli avvenimenti in Boemia e in Slovacchia, pensiero di tutti agli ammaestramenti che possono trarsene. E resta poi anche da vedere quale potrà essere eventualmente la reazione delle masse popolari travagliate dal disagio economico e sociale, nelle quali specialmente ha trovato terreno la propaganda di destra a tinta nazista.

319

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, ALL'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO

T. S.N.D. 4339/111 P.R. Roma, 17 marzo 1939, ore 23,15.

l) Riassumo qui di seguito per riservata notizia dell'E.V. quanto è stato comunicato al Duce ed a me dal Principe d'Assia1 . La Gem1ania ha agito in Cecoslovacchia per le seguenti ragioni:

a) i Cechi ritardavano con pretesti inaccettabili la smobilitazione e la riduzione delle loro forze militari; b) mantenevano, anche dopo Monaco, contatti palesi ed occulti col governo di Mosca; c) usavano maltrattamenti e soprusi nei confronti delle minoranze tedesche.

In tale stato di cose il Ftihrer ha deciso di agire in Cecoslovacchia ed ha posto l'aut aut al governo di Praga: o la resa o l'intervento militare germanico. Il governo di Praga ha capitolato.

Il Ftihrer, nel ringraziare l'Italia per il fiancheggiamento dato in tale occasione, fa sapere che con questa operazione venti divisioni germaniche sono a disposizione per essere impiegate in un altro fronte in favore della politica del!' Asse. Ciò potrebbe aver luogo «anche domani». Ma il Fiihrer aggiunge che se l'Italia intende intraprendere un'azione militare in grande stile, sarebbe meglio ritardare l'inizio delle operazioni di un anno e mezzo o due quando il governo germanico disporrà di oltre cento divisioni.

2) Il Duce prende atto delle comunicazioni del Fiihrer per quanto concerne la Cecoslovacchia. Per quanto invece concerne l'aiuto militare germanico all'Italia dice che anche in caso di conflitto con la Francia, è nostro intendimento batterci da soli. Noi non abbiamo bisogno di interventi militari stranieri e non chiediamo rinforzi di uomini a nessuno. Saremmo soddisfatti se la Germania potrà rifornirei di armi, mezzi e materie prime.

319 1 Il principe Filippo d'Assia era giunto a Roma il 15 marzo e lo stesso giorno era stato ricevuto da Mussolini. Sul colloquio vi è nel Diario di Ciano questa annotazione: «Intanto giunge Assia col solito messaggio. Questa volta è verbale e tanto poco soddisfacente. Il FUhrer ci fa dire che ha agito perché i cechi non smobilitavano le loro forze ai confini, perché continuavano a tenere contatti con la Russia e pèrché maltrattavano i tedeschi. Questi pretesti sono forse buoni per la propaganda di Goebbels. ma dovrebbero venire risparmiati quando parlano con noi, che abbiamo avuto il torto di essere con loro troppo leali. Assia, nell'aggiungere i ringraziamenti del FUhrer per l'immancabile appoggio italiano, dice che con questa operazione venti divisioni sono libere per essere impiegate in altra zona in sostegno della politica dell'Asse. Ma Hitler avvisa Mussolini che se intende intraprendere un'azione di grande stile è meglio attendere un paio di anni quando le divisioni prussiane disponibili saranno cento. Questa aggiunta se la potevano risparmiare. Il Duce reagisce asserendo che in caso di guerra con la Francia ci batteremo da soli senza chiedere un solo uomo alla Germania, ben contenti se potrà rifornirei di armi e altri mezzi. Torno

320

L'AMBASCIATORE A V ARSAVIA, ARONE, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 1237/61 R. Varsavia, 17 marzo 1939, ore 20,55 (perv. ore 23,50).

Ultimi sviluppi situazione Slovacchia hanno prodotto la più viva reazione in questi circoli politici.

Mentre infatti per la Boemia e la Moravia questo governo già da un pezzo nutriva sospetti circa mire ultime Cancelliere germanico su tali territori (telegramma per corriere di questa ambasciata n. 098 del 18 novembre u.s.)l, per la Slovacchia soluzione è arrivata del tutto inattesa e tocca più da vicino interessi Polonia che pensava poter trarre vantaggi politici da una Slovacchia indipendente, date affinità due popoli.

dal Duce dopo che Assia si è ritirato. Lo trovo scontento del messaggio e depresso. Non vuole dare alla stampa la notizia della visita di Assia: "gli italiani riderebbero di me, ogni volta che Hitler prende uno Stato mi manda un messaggio" ... Vedo nuovamente il Duce nel tardo pomeriggio. Si rende conto della reazione ostile del popolo italiano ma afferma che ormai conviene far buon viso al gioco tedesco ed evitare così di renderei "a Dio spiacenti ed ai nimici sui"».

Oggi malgrado che stampa vicina governo si sforzi valorizzare frontiera comune tra la Polonia e l'Ungheria (non mancano accenni all'appoggio dato dall'Italia), impressione generale è che tal vantaggio non compensa i danni della nuova situazione2 .

In taluni ambienti, per analogia, si affaccia persino preoccupazione dei pericoli che in avvenire potrebbero minacciare indipendenza ungherese3 .

320 1 Vedi serie ottava, vol. X, D. 419.

321

L'AMBASCIATORE PRESSO LA SANTA SEDE, PIGNATTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. S.N.D. PER CORRIERE 1217/49 R. Roma, 17 marzo 1939 (perv. stesso giorno). Mio telegramma per corriere del 16 corrente n. 481 .

Ho domandato al Cardinale Segretario di Stato se il cardinale Pizzardo, nominato Prefetto della Congregazione dei Seminari e dell'Università degli Studi, avrebbe mantenuto la direzione d eli' Azione Cattolica. Il cardinale Maglione mi ha risposto, sorridendo, di credere che il Papa abbia un'idea in proposito. Non ho voluto spingere il mio interlocutore a precisare perché l'esperienza ormai acquistata dell'ambiente vaticano, mi fa credere preferibile di non forzare la confidenza con il rischio di trovarsi di fronte segreto canonico. Sovente, invece, basta dare un'altra impostazione alla domanda per ottenere il risultato desiderato.

La risposta del cardinale se pure non esplicita, essendo sufficientemente chiara, ho lasciato, dunque, cadere il discorso per riprendere l'argomento, sotto altra forma, alla fine del colloquio. Il cardinale Maglione mi ha confidato, come idea sua personale e sotto il vincolo del segreto, essere egli d'avviso che si debba innovare profondamente in tema d'Azione Cattolica. L'Associazione dovrebbe ridiventare diocesana sotto il diretto, assoluto controllo dei vescovi. L'Ufficio Centrale avrebbe funzioni esclusivamente informative. Il cardinale Pizzardo dovrebbe dedicarsi esclusivamente alla nuova Congregazione, abbandonando l'Azione Cattolica.

Il Cardinale Segretario di Stato ha insistito nel dire che si tratta di idee sue e che

3 Il documento fu inviato in visione a Mussolini.

il Papa non gli ha ancora parlato della cosa. Sono convinto del contrario. Il porporato ha raccomandato, infine, di avere pazienza e di attendere fiduciosi.

Mi permetto di appoggiare caldamente presso l'E.V. il suggerimento del Segretario di Stato. Converrebbe che la stampa non toccasse lo scottante argomento. Ogni accenno ritarderebbe indubbiamente la decisione dal Papa. L'E.V. giudicherà se analoga raccomandazione possa essere fatta al segretario del Partito. Sarebbe consigliabile che fosse mantenuto l'atteggiamento di riserbo opportunamente adottato dal Partito dopo la morte del Pontefice e durante la Sede Vacante.

Ho raccomandato, infine, al cardinale Maglione di moderare lo zelo del cardinale Pizzardo quale Prefetto della Congregazione dei Seminari e dell'Università degli Studi. Ho osservato che quel porporato avrà rapporti con le autorità scolastiche italiane e dovrà dimostrare comprensione verso i problemi della nostra scuola.

Il cardinale Maglione mi ha risposto di averlo fatto già due volte. Ha soggiunto di essere un vecchio amico del cardinale Pizzardo e di potermi rassicurare sui suoi sentimenti verso di noi. Comunque, egli -il cardinale Maglione-si dichiarava disposto di intervenire presso il suo collega ogni volta che ve ne fosse bisogno2•

320 2 Su questo aspetto l'ambasciatore Arane tornava (con telespresso 696/223 dello stesso giorno) per rilevare come il sentimento popolare polacco fosse rimasto impressionato e inasprito dall'ulteriore rafforzamento della Germania. «Alla soddisfazione del Paese per il raggiungimento della frontiera comune con l'Ungheria-osservava l'ambasciatore-fa riscontro una viva costernazione e preoccupazione per la nuova situazione che rende la Germania un troppo potente e pericoloso vicino alla Polonia. Questi circoli politici e questa stampa, nonostante si sforzino di valorizzare il successo della frontiera comune, non si dissimulano i pericoli della nuova situazione e si rendono conto che quel successo è stato pagato a troppo caro prezzo. Tutti, peraltro, riconoscono che di tutto il passivo che dagli avvenimenti odierni viene a gravare su questo Paese il solo fatto che costituisce un attivo per la Polonia, cioè la frontiera comune con l'Ungheria, è dovuto, all'origine, all'appoggio dell'Italia che con il peso portato nell'arbitrato di Vienna ne aveva facilitato la via alla realizzazione».

321 1 T. per corriere 1189/48 R. del 16 marzo. Riferiva su le nomine alle più alte cariche vaticane decise dal Pontefice, soffermandosi su quella del cardinale Pizzardo a Prefetto della Congregazione dei Seminari dell'Università degli Studi, carica così impegnativa-osservava l'ambasciatore-da far ritenere che, in prosieguo di tempo, il cardinale sarebbe stato sollevato dalla direzione dell'Azione Cattolica.

322

IL CONSOLE A GRAZ, T ASSONI ESTENSE, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. RISERVATO 1455/102. Graz, 17 marzo 1939 (perv. il 20).

L'annessione protettiva della Boemia e Moravia al Reich germanico e l'ipoteca tedesca sulla Slovacchia hanno qui destato entusiasmi, speranze e preoccupazioni strettamente connesse a sentimenti patriottici tedeschi -naturalmente -ma anche a locale mentalità «austriaca».

Sono territori dell'Impero Austro-Ungarico, qui si dice, che tornano al legittimo erede di questo Impero, e se ne prende atto con particolare soddisfazione. Tutti i legami d'interessi, familiari, economici che l'esistenza di quell'Impero aveva creato tra

Il giorno successivo, 18 marzo, Ciano era ricevuto in udienza dal Pontefice. Nessun documento in proposito è stato trovato negli archivi italiani; nel Diario di Ciano vi è, sotto quella data, l'annotazione seguente: «Udienza del Papa. Lo trovo tal quale era il Cardinale Pacelli: come prima benevolo, accogliente, umano. Parliamo della situazione. Non nasconde le sue preoccupazioni per la politica aggressiva tedesca, e aggiunge che egli è inquieto anche come italiano. Manifesta molta soddisfazione quando gli dico che il Duce ha già preso misure opportune per contenere il dilagare germanico nelle zone per noi più gelose. Come problema religioso, si dichiara ottimista per quanto concerne la situazione italiana: informa che, se siamo d'accordo, eliminerà il Cardinale Pizzardo e affiderà la direzione dell'Azione Cattolica ad un Comitato di Vescovi Diocesani. È più preoccupato per la Germania ove egli intende seguire una politica più conciliante di Pio Xl, ma per far ciò è necessaria una rispondenza anche dall'altra parte, perché se no egli si ridurrebbe a fare "un vano soliloquio". L'udienza è durata mezz'ora. Credo che con questo Pontefice le cose potranno andar bene. Parlo a lungo col Cardinale Maglione. È un meridionale pieno d'ingegno e di spirito che a stento riesce a frenare con l'educazione clericale gli impulsi del suo temperamento esuberante. Anche Maglione è preoccupato dell'avanzata tedesca. Mi fa cenno discreto alla voglia francese di mettersi d'accordo con noi, sottolineando però subito che egli non ha ricevuto incarichi, né intende sollecitame».

queste e quelle regioni e che le imposizioni del 1919 avevano complicato e non distrutto. concorrono alla letizia di questa opinione pubblica. sentimento formato da legittimo orgoglio e da sprezzo «austriaco» verso céchi e slovacchi.

D'altro canto, negli ambienti rimasti anacronisticamente «ante Anschluss» e formati da più vecchie generazioni -che costituirono i quadri amministrativi austroungarici-si fanno le più pessimistiche profezie circa la contropartita passiva dell'avere praticamente incorporata una così imponente minoranza slava.

In questa marca di confine, comunque, quello che più appassiona è l'inizio di una politica espansionista anche al di fuori dei limiti tracciati etnograficamente dalla razza tedesca.

Richiamandomi ai miei telespressi n. 231120 del 14 gennaio1 e 535/46 del 14 febbraio c.a.2 -coi quali avevo l'onore di segnalare all'E.V. il vivo interesse qui sviluppatosi per le regioni jugoslave, prima facenti parte della Stiria, e per i tedeschi ivi abitanti -debbo segnalare che i recentissimi avvenimenti hanno fatto nascere. al riguardo. immediate speranze in questa opinione pubblica.

Se è vero che i tedeschi, sudditi jugoslavi, della regione di Maribor e di Cilli, siano in agitazione, è cosa che qui si afferma, ma che non posso naturalmente controllare. Sta di fatto. però. che in questi giorni si è sparsa la voce di una prossima espansione tedesca da questi confini verso Maribor e Cilli. di una Croazia autonoma. di porti sull'Adriatico a spese della Jugoslavia. di una «piccola Serbia». ecc.

Poiché tali voci, evidentemente né ufficiose, né autorizzate, circolano tuttavia non soltanto tra le masse, ma anche in ambienti dirigenti (S.A., Partito ecc.) di questa regione, mi permetto segnalarle quale corollario dei commenti qui suscitati dagli avvenimenti cecoslovacchi3 .

321 2 Il documento fu inviato in visione a Mussolini.

323

L'AMBASCIATORE A SALAMANCA, VIOLA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 1674/381. San Sebastiano, 17 marzo 1939 (perv. il 22).

Gli ambienti di Burgos hanno in generale accolto con non celata freddezza la notizia della elezione del nuovo Pontefice.

È noto l'apprezzamento che il governo e la opinione pubblica di qui hanno avuto della politica svolta dalla Santa Sede nei confronti della Spagna Nazionale, rimproverando al Papa un completo misconoscimento della situazione spagnola e

2 Non rintracciato.

3 Il documento ha il visto di Mussolini.

accusandolo per lo meno di ingiustificata mancanza di fiducia nei rapporti con il governo di Franco.

Questa politica, oltre che al defunto Pontefice, si è qui imputata anche al suo Segretario di Stato e presentemente si teme che questo, elevato alla dignità della Tiara, possa continuare tale condotta fredda ed incerta nei confronti del governo Nazionale.

Questa apprensione, non si limita solo agli ambienti politici del Ministero degli Esteri e sopratutto del Ministero degli Interni -Serrano Sufier alla notizia della nomina del nuovo Pontefice ha esclamato una frase di disappunto tanto espressiva quanto irripetibile -ma viene manifestato anche dal Quartier Generale del Generalissimo e specialmente dalla Falange. Alcuni elementi giovani falangisti osano perfino apertamente parlare della necessità di una Chiesa nazionale spagnola, ricollegandosi in questo al pensiero di Sanchez Maza che, come è noto, è recentemente ritornato nella Spagna Nazionale.

L'apprensione spagnola si è ad un certo momento acutizzata quando per qualche tempo si è parlato della nomina a Segretario di Stato del Cardinale Tedeschini che, come è noto, viene qui considerato come uno dei principali responsabili della caduta della monarchia e indirettamente della guerra civile ed è francamente odiato.

La nomina del Cardinale Maglione ha fatto migliore impressione ma alcuni, tuttavia, pur nutrendo speranza che il Papa Pacelli sarà differente dal Segretario di Stato Pacelli, temono per la Spagna un periodo di politica religiosa piuttosto tesa e difficile.

322 1 Riferiva che da un insieme di provvedimenti presi dalle Autorità locali, certo in accordo con quelle centrali, (creazione di un Istituto per l'Europa Orientale nell'Università di Graz, carattere assegnato alla Fiera Campionaria di Graz, potenziamento della stazione radio) risultava la volontà da parte germanica di sfruttare gli stretti rapporti esistenti tra la regione di Graz e le zone confinanti dell'Ungheria e della Jugoslavia dove vivevano delle minoranze tedesche.

324

L'ADDETTO MILITARE A BERLINO, MARRAS, AL MINISTERO DELLA GUERRA1

fOGLIO SEGRETO 598. Berlino, 17 marzo 19392 .

Il governo nazista ha accelerato i tempi e, profittando della favorevole congiuntura politica, ha compiuto un nuovo grande balzo nel suo movimento di espansione. A meno di sei mesi di distanza dall'occupazione del territorio dei Sudeti, la Germania è riuscita ad annettersi praticamente Boemia e Moravia e ad assumere in una forma non ancora precisata la protezione del nuovo Stato slovacco, spingendo in tal modo un profondo cuneo offensivo verso Sud-Est.

La situazione derivante dagli accordi di Monaco appariva certamente di carattere transitorio; peraltro, la rapidità con la quale il governo nazista ha fatto precipitare la situazione e l 'ha risolta con un gesto di forza, non può non recare sorpresa.

L'azione tedesca dopo Monaco può essere riepilogata nel modo seguente:

-intensa propaganda fra i nuclei tedeschi rimasti in Cecoslovacchia, i quali aumentavano di giorno in giorno le loro pretese;

-alimentazione del separatismo slovacco, fino a fargli assumere carattere di rivolta contro il governo di Praga;

-accordi col Presidente slovacco Tiso nella recente visita a Berlino3;

-inscenamento delle violenze contro gli elementi tedeschi abitanti nel territorio ceco, che negli ultimi giorni viene presentato come già in preda al disordine.

Creatasi questa situazione, il Fiihrer chiama a Berlino il Presidente dello Stato cecoslovacco e il ministro Chvalkovsky, e ne ottiene una sottomissione completa4 . La Cecoslovacchia si mette senza condizioni sotto la protezione della Germania. Le truppe tedesche hanno intanto già iniziato l'invasione.

Il rapido precipitare della situazione determina la sorpresa. Soltanto al mattino del 14 marzo si delinea la possibilità che il Reich intervenga militarmente; i movimenti delle truppe tedesche in territorio ceco si iniziano alla sera del 14 marzo.

Nelle prime ore del pomeriggio del 14, in colloquio da me richiesto, il generale von Tippelskirch mi aveva informato della inevitabilità di un intervento militare, accennando ai possibili obiettivi5 .

L'occupazione si è svolta con grande impiego di forze.

I calcoli più attendibili fanno ritenere che vi abbiano partecipato circa 12 divisioni appartenenti ai C.d' A. VIII (Breslau), IV (Dresda), XIII (Norimberga), VII (Monaco), XVIII (Salzburg) e XVII (Vienna) come pure alcune divisioni corazzate leggere e motorizzate. Tutte le forze sono al comando del generale von Brauchitsch, comandante in capo dell'esercito, e ripartite fra due comandi di armata: 3. (Dresda generale von Blaskowitz) e 5. (Vienna -generale List) destinate rispettivamente all'occupazione della Boemia e della Moravia.

L'aviazione ha concorso con una massa valutata a circa 900 apparecchi.

I primi movimenti sono stati compiuti come già detto, nel pomeriggio del 14, dall'VIII C.d' A. e dallo Standarte S.S. Adolf Hitler, per occupare Moravska Ostra va (probabilmente per prevenire un'occupazione polacca).

Praga è stata occupata alle ore 9 del 15 da reparti del Corpo d'Armata corazzato (generale Hoepner). Nel pomeriggio del 15 si è operato il congiungimento delle truppe provenienti dalla Slesia con quelle dell'Austria.

Nella giornata del 16 l'occupazione della Boemia e della Moravia era completa.

Il Fiihrer accompagnato dal generale Keitel e da alte personalità entrava nel Hradschin di Praga lo stesso giorno 15 alle ore 19. Nei territori occupati tutti i poteri sono stati assunti dalle autorità militari. È stato emanato il divieto di sorvolo dei territori occupati. È stato vietato il

movimento dei civili da e per i territori occupati.

Agli addetti militari-compresi quelli italiani-e agli ufficiali stranieri in servizio attivo è stato vietato di percorrere una zona di territorio tedesco profonda 120 km. al di qua del vecchio confine cecoslovacco.

Per quanto risulta, l'occupazione militare verrà estesa in territorio slovacco fino alla zona Piccoli Carpazi -Carpazi bianchi che assicurano una più solida frontiera militare.

Le truppe ceche sono state disarmate e tutti i materiali di armamento come pure gli impianti militari terrestri e aerei sono stati catturati o occupati. Nulla si conosce fino a questo momento circa un'eventuale occupazione militare della Slovacchia, alla quale potrebbe dare adito la richiesta di protezione.

Il territorio occupato è stato con decreto del Ftihrer organizzato in un cosiddetto «Protettorato Boemia e Moravia», come risulta dal testo annesso (alle g. traduzione )6 . Il Ftihrer si riserva, peraltro, di disporre diversamente per alcune parti del territorio, in quanto lo esiga la difesa del Reich.

Le principali disposizioni sono le seguenti:

-il Protettorato è autonomo e si amministra da sé, in armonia con le esigenze politiche, militari ed economiche del Reich; -il capo del Protettorato gode della protezione e degli onori che spettano a un Capo di Stato: deve avere il gradimento del Ftihrer;

-il Reich è rappresentato a Praga da un «protettore del Reich in Boemia e Moravia», il quale ha le più ampie facoltà di sorveglianza e d'intervento; il Protettorato è rappresentato presso il governo del Reich da un ministro;

-il Reich assume gli affari esteri del Protettorato e la protezione militare, tenendo guarnigioni e creando impianti militari. Il Protettorato può mantenere solo formazioni di sicurezza interna e di polizia, nella forza, costituzione e armamenti fissati dal Reich;

-il Reich assume l'immediato controllo delle comunicazioni stradali, telefoniche e telegrafiche;

-il Protettorato appartiene alla zona doganale del Reich;

-gli abitanti di razza tedesca del Protettorato diventano senz'altro cittadini del Reich.

Annetto anche il testo della dichiarazione firmata a Berlino dal Fiihrer e dal Presidente Hacha nelle prime ore del 15 marzo7 .

Lo sviluppo degli avvenimenti è per se stesso di un'eloquenza evidente.

Tra le constatazioni e le considerazioni più importanti metto in rilievo le seguenti:

l) Il Fiihrer, che nel settembre scorso aveva dichiarato risolto il problema nazionale tedesco, ha ripreso a meno di sei mesi di distanza la sua marcia.

Al concetto della tutela della nazionalità tedesca si aggiunge ora quello della necessità di occupazione di «spazi vitali» per la Germania. Questa nuova affermazione lascia apparire per il futuro le più ampie possibilità d'intervento.

2) La Germania viene a porre sotto il suo diretto controllo un territorio (Boemia e Moravia) di 49.000 kmq. con una popolazione di 6,800.000 abitanti. Essa viene così a costituire un blocco di circa 85 milioni, i quali esercitano un peso preponderante nella Mitteleuropa e nel Sud Est europeo.

324" Non pubblicato. Testo in DDT, vol. IV, D. 246. 7 Vedi D. 303.

È da aggiungere che la Germania viene a raccorciare le frontiere di circa 500 km. e ad assorbire completamente le industrie di guerra ceche.

3) I vantaggi acquisiti segnano un nuovo grande successo per la tendenza estrema del Nazismo. È inutile esaminare se abbia fondamento la voce secondo la quale von Ribbentrop avrebbe profittato dell'assenza di Goring per precipitare gli eventi. Può anche darsi che il viaggio di Goring fosse destinato a distrarre l'attenzione pubblica.

Sta di fatto che dagli avvenimenti escono rinforzate le correnti più dinamiche decise a sfruttare al massimo la favorevole congiuntura politica.

4) Se pure in qualche elemento moderato si manifesta una certa preoccupazione per le sorprese che potrebbe causare in avvenire il persistere n eli' attuale politica di forza, è certo invece che negli elementi dirigenti, anche militari, e nelle classi medie, aumentano continuamente la soddisfazione, l'orgoglio e le ambizioni.

Nessun limite sembra ormai posto all'espansione germanica verso oriente e verso Sud Est. Le rivendicazioni sulla Polonia si presentano oggi in primo piano, si intensificano le mire di occupazione deli'Ucraina, di uno sbocco sul Mar Nero, dell'accaparramento delle riserve alimentari e petroliere della Romania. Mi risulta che tali idee sono state espresse anche in alcuni ambienti di ufficiali, i quali si sarebbero dichiarati ostili alla formazione di una grande Ungheria e avrebbero affermato che soltanto attraverso tale espansione e non con le Colonie la Germania risolverà i suoi problemi economici.

Si sviluppano in sostanza sempre più le tendenze a una egemonia continentale e in particolare nella Mitteleuropa e nel Bacino danubiano, come pure nella Penisola balcanica.

5) Rispetto agli avvenimenti del settembre scorso, è da mettere in evidenza che, mentre allora apparve tutta l'importanza dell'amicizia dell'Italia come elemento indispensabile per il conseguimento di quei successi, i recenti avvenimenti si presentano agli occhi delle masse tedesche come svolti nel quadro dei soli interessi germamc1.

6) Ci si può domandare perché la Germania abbia consentito in questa circostanza alla costituzione di una frontiera comune tra Ungheria e Polonia.

Il fatto può spiegarsi in gran parte con la considerazione a me fatta dallo Stato Maggiore tedesco, che le comunicazioni con la Romania sono meglio assicurate attraverso un'Ungheria amica anziché per la ristretta striscia montuosa subcarpatica. Può non essere estraneo il desiderio di dimostrare all'Ungheria l'influenza dell'amicizia tedesca. È anche da tenere presente che nei riguardi di un'azione tedesca verso I'Ucraina le possibilità dall'Ucraina carpatica erano molto limitate. Più ampie possibilità si potranno invece presentare in avvenire mediante una propaganda disgregatrice nell'Ucraina polacca.

7) Anche questa volta le Forze Annate si sono dimostrate lo strumento essenziale della politica tedesca, che è politica di forza. Base dell'azione militare la sorpresa, che la Germania può realizzare in ogni momento per la disponibilità di grandi unità su piede prossimo a quello di guerra.

Gli avvenimenti recenti costituiscono un nuovo monito per tutti i piccoli Stati che intorno alla Germania ne paventano la potenza, dissimulandola sotto le parvenze di una politica di equilibrio.

La Germania, assisa al centro dell'Europa, rappresenta con la sua massa, con la sua organizzazione e con il suo apparecchio militare un peso che deve essere attentamente considerato da amici e nemici, per lo sviluppo di ogni attività politico-militare.

324 1 Il documento è tratto dall'Archivio dell'Ufficio Storico dello Stato Maggiore dell'Esercito. 2 Manca l'indicazione della data di arrivo.

324 3 Del 13 marzo. Vedi D. 294, nota 4. 4 Vedi D. 297, nota 2. 5 Vedi D. 301.

325

COLLOQUIO DEL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, CON L'AMBASCIATORE DI GERMANIA, VON MACKENSEW

APPUNTO. Roma, 17 marzo 1939.

Alle ore 19 ricevo l'Ambasciatore di Germania von Mackensen2 . Gli dico che ho desiderato di parlare con lui per richiamare la sua attenzione su alcune notizie di stampa che hanno cominciato a circolare e che riguardano una questione per noi particolarmente delicata: il problema croato. Ho avuto occasione nel colloquio di ieri di far conoscere ali' Ambasciatore tedesco il punto di vista italiano nei confronti delle vicende che si sono svolte in Cecoslovacchia: tali vicende sono state da noi considerate nello spirito dell'Asse e come sviluppo quasi inevitabile degli avvenimenti che si erano prodotti nel settembre e nell'ottobre scorsi. L'azione di fiancheggiamento svolta anche in questa occasione dall'Italia appare chiara dall'atteggiamento assunto in via ufficiale e attraverso la stampa.

Ma oggi si comincia a parlare della possibilità di un interessamento diretto tedesco alla questione croata. L'agitazione del croati che si era particolarmente intensificata in quest'ultimo tempo, trova indubbiamente nuovo alimento negli avvenimenti boemi e slovacchi. Si parla della possibilità che Macek si rivolga a Berlino onde ottenere l'aiuto tedesco per realizzare il suo programma di autonomia

o di indipendenza. Pur non avendo alcun elemento preciso e definitivo in merito, ritenevo necessario per amore di chiarezza e per quello spirito di lealtà che hanno sempre caratterizzato i rapporti tra le due Potenze dell'Asse, di far conoscere, che mentre l'Italia si era praticamente disinteressata di quanto era avvenuto in Cecoslovacchia, non avrebbe potuto minimamente adottare lo stesso atteggiamento nei confronti di eventuali vicende che coinvolgessero la Croazia. Noi facciamo -di piena intesa con la Germania, che ha fatto del pari -una politica di stretta e cordiale col

2 Su le origini di questo colloquio vi è nel Diario di Ciano questa annotazione sotto la data del 17 marzo: «Ii Duce è soprapensiero e depresso. È la prima volta che lo vedo così. Anche nei momenti dell' Anschluss conservava una maggiore spregiudicatezza. Lo preoccupa il problema croato: teme che Macek proclami l'indipendenza e si metta sotto la protezione tedesca: "In tal caso non ci sono alternative -egli dice -tranne queste: o sparare il primo colpo di fucile contro la Germania o essere spazzati da una rivoluzione che faranno gli stessi fascisti: nessuno tollererebbe di vedere la croce uncinata in Adriatico". Pensa anche alla possibilità di fare una tregua all'invio di truppe in Libia concordandola con la Francia, tramite Londra, ma poi abbandona l'idea. Sul mio consiglio decide di fare un passo presso i tedeschi per la questione croata: dire chiaro e netto che un 'alterazione dello statu qua jugoslavo in Croazia non potrebbe essere da noi accettata senza un totale e fondamentale riesame della nostra politica».

laborazione con Belgrado e consideriamo lo statu quo della Jugoslavia come un elemento fondamentale nell'equilibrio dell'Europa Centrale. D'altra parte il Fiihrer ha sempre proclamato il disinteressamento tedesco per il Mediterraneo in genere. ed in particolare per l'Adriatico. che noi consideriamo ed intendiamo considerare in futuro guale un mare italiano. Pregavo l'Ambasciatore di voler cortesemente far conoscere il nostro punto di vista al Fiihrer.

L'Ambasciatore von Mackensen ha risposto che egli riteneva destituiti di fondamento tutti i rumori di intervento tedesco in Croazia. Pur non avendo notizie specifiche in merito egli giudicava che anche un'eventuale richiesta di Macek avrebbe trovato a Berlino un netto rifiuto. Confermava che il Fiihrer aveva sempre dichiarato il disinteresse germanico nei confronti del Mediterraneo e non riteneva che questo fondamentale principio della politica hitleriana avesse potuto subire alcun mutamento in questi ultimi tempi. Aggiungeva infine che anche il Reich ha sempre desiderato ed aiutato il consolidamento nazionale del Regno jugoslavo. Si riservava comunque di far conoscere quanto io gli avevo detto al Fiihrer e di comunicarcene in seguito la risposta, sul cui tenore del resto egli non nutriva alcun dubbio3 .

325 1 Ed. in L 'Europa verso la catastrofe, pp. 418-419.

326

L'AMBASCIATORE A MOSCA, ROSSO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. RISERVATISSIMO 1253/26 R. Mosca, 18 marzo 1939, ore 17,45 (perv. ore 22,20).

Avendo visitato Potemkin per trattare questioni correnti, vice commissario del popolo per gli Affari Esteri mi ha esposto a titolo personale sue impressioni su recenti avvenimenti Cecoslovacchia.

Egli vede nella occupazione tedesca mossa con la quale Germania ha voluto assicurarsi alle spalle per poter agire più liberamente e con maggior forza ad Occidente. Al tempo stesso, però, Germania ha compiuto una nuova tappa del suo programma fondamentale che rimane quello del Drang nach Osten.

Secondo Potemkin, dopo Europa Centrale imperialismo tedesco tenderà verso l'Europa danubiana e balcanica e sarà inevitabilmente portato a creare ragioni di contrasto con la politica italiana. A questo punto mi ha detto testualmente: «Sono persuaso che fra non molto tempo vostro grande capo riconoscerà che fra l'Italia e U.R.S.S. esiste comunità d'interessi politici ed io non vedo perché differenza di regime dovrebbe precludere ripetersi di quella collaborazione che io stesso ho avuto fortuna di poter iniziare quando avevo onore di rappresentare mio governo a Roma».

Su questo colloquio si veda anche quanto riferiva l'ambasciatore von Mackensen in DDT, vol. VI,

D. 15.

Di fronte odierna situazione europea, Potemkin ha affettato atteggiamento tranquillo e quasi di disinteressato, osservando che U.R.S.S. trovasi nella forte posizione di chi non teme attacchi da nessuna parte, mentre molte Potenze (ha citato Francia, Inghilterra, Polonia e perfino Germania) si sforzano oggi di guadagnarsi simpatie uomini di Mosca.

325 3 Il documento ha il visto di Musso lini.

327

IL MINISTRO A BELGRADO, INDELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 1288/013 R. Belgrado, 18 marzo 1939 (perv. il 20).

La notizia di una nostra azione in Albania circolava già da circa ventiquattr'ore, e sempre più largamente ed insistentemente, quando mi sono giunte, ieri sera, le istruzioni telefoniche di V.E. 1 . Avevo già avuto occasione, nella giornata, di vedere Cincar-Markovié e, dato che avevo avuto modo di accertare che la notizia, come molte altre messe in giro in questa circostanza con evidente scopo di aumentare le apprensioni e l'eccitazione della folla in senso anti-Asse, proveniva da Parigi e veniva diffusa specialmente per opera di adepti dell'opposizione democratica, avevo richiamato l'attenzione del ministro degli Esteri sull'opportunità di sorvegliare più efficacemente di quanto non sia stato fatto fin qui, questi centri d'informazione e di stampa, in cui sono ancora elementi stranieri o, comunque, ligi ad orientamenti non rispondenti alle direttive politiche del governo. Non appena ricevuto il fonogramma d'istruzioni, mi sono recato dal Presidente del Consiglio e gli ho fatto la prescritta comunicazione. Cvetkovié mi ha pregato di ringraziare sentitamente l'E.V. e della comunicazione e del sentimento che l'ha dettata, di cui egli ha mostrato di comprendere, specie nell'attuale momento, tutto il particolare valore. Ho ripetuto al Presidente quanto avevo detto al Markovié. Egli mi ha assicurato di voler provvedere subito ed energicamente. Stamani, intanto, un editoriale del Politika è dedicato a far giustizia della campagna tendenziosa.

Tanto Cvetkovié quanto Cincar-Markovié hanno dimostrato un adattamento comprensivo per i recenti avvenimenti vicini, anche per quanto concerne la nuova situazione nell'Ucraina Carpatica. Ambedue hanno tenuto a marcare una relativa serenità nei riguardi degli sviluppi della questione croata. Cvetkovié ha, poi, particolar

La posizione italiana era stata indicata da Ciano anche in un colloquio da lui avuto il giorno precedente con il ministro di Jugoslavia, Christié al quale aveva smentito le notizie circa un'azione italiana in Albania e dato assicurazioni «che niente sarà mai fatto dall'Italia per indebolire la compagine statale jugoslava» (CIANO, Diario, alla data corrispondente. Sul colloquio non è stata trovata documentazione negli archivi italiani).

mente insistito sopra l'assoluta necessità per la Jugoslavia di valorizzare al massimo, ora più che mai, le sue relazioni con noi e mi ha detto che di tali sue intenzioni avremmo avuto quanto prima delle prove precise. Ed in questo il Presidente non fa che seguire l'opinione generale che, nel disorientamento prodotto dagli avvenimenti, fra reazioni antitedesche e preoccupazioni gravi per il prossimo futuro, è sopratutto verso di noi che dirige le speranze per un appoggio efficace sulla base di comuni interessi.

327 1 Non si sono trovate indicazioni circa il contenuto di queste «istruzioni telefoniche», né è stato rinvenuto un «fonogramma di istruzioni» al quale si fa riferimento più avanti in questo documento.

328

IL CONSOLE A BRATISLAVA, LO FARO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 1404/02 R. Bratislava, 18 marzo 1939 (perv. il 24). Miei telegrammi nn. 5 1 , 62 , 73 .

A complemento di quanto telegrafato riassumo qui i vari aspetti che è venuta assumendo la presenza di truppe germaniche sul territorio slovacco.

l) Le truppe varcarono la frontiera slovacca con un preavviso di mezz'ora dato da questo console generale di Germania4 nella notte dal 14 al 15. Al ministro degli Affari Esteri slovacco sarebbe stato comunicato che trattavasi di passaggio di forze destinate operazioni in Moravia.

2) Essendo poi risultato che le truppe venivano pure avviate sulle strade conducenti nell'Alta Slovacchia, a mons. Tiso, che chiedeva chiarimenti, sarebbe stato risposto nel pomeriggio del 15 che trattavasi di operazioni di copertura del fianco moravo della durata di due o tre giorni previsti per l'occupazione della Moravia.

3) Continuando ad allargarsi la zona per l'occupazione in Slovacchia (Piccoli Carpazi, media ed alta vallata del Waag ecc.) in relazione con notizie di sconfinamenti ungheresi e polacchi, qui propalate e dimostratesi poi infondate, mons. Tiso sarebbe stato con ogni insistenza consigliato da parte germanica nella notte dello stesso giorno 15 di chiedere la protezione del Fiihrer per tutelare integrità frontiere.

4) Avendo il Fiihrer il giorno 16 assunto tale «protezione», sarebbe stato dichiarato ai ministri slovacchi, recatisi a Vienna, per impetrare il ritiro delle truppe, essere questo argomento da trattare in sede di definizione dello statuto della «protezione» potendosi presentare possibilità che esse vi rimangano come guarnigioni.

2 T. 1179/6 R. del 16 marzo. Comunicava che i governi ungherese e polacco avevano riconosciuto l'indipendenza della Slovacchia. 3 T. 1190/7 R. del 16 marzo. Riferiva che il governo di Bratislava teneva a sottolineare la diversa portata della protezione del Reich nei riguardi della Boemia e Mora via e nei riguardi della Slovacchia. 4 H. Ritter von Obergfell.

5) In tutti e quattro i momenti fu ripetuta l'assicurazione che Bratislava non sarebbe stata occupata. Difatti i soldati non vi hanno finora messo piede. La città è tuttavia circondata -a distanza di 5-6 chilometri -da ogni lato, automezzi la traversano, ufficiali in uniforme vi circolano liberamente, aeroplani la sorvolano.

Nel corso delle operazioni germaniche in Slovacchia vi sarebbero stati soltanto due incidenti (a Malacky e a Trnava) non sanguinosi. Quasi sicuramente i Comandi militari assumono anche l'amministrazione civile.

328 1 T. 1142/5 R. del 13 marzo. Comunicava che il nuovo governo slovacco formato da monsignor Tiso sollecitava il riconoscimento dell'indipendenza della Slovacchia. A quanto gli veniva detto, l'indipendenza della Slovacchia era stata proclamata su consiglio di Hitler.

329

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. RISERVATO 2192/651. Berlino, 18 marzo 1939 1•

I passi francese ed inglese di cui a mio telegramma odierno n. 1502 hanno effettivamente avuto luogo ed invio qui unito il testo delle note presentate sia da Coulondre che da Henderson3 .

Le due note, parallele nella sostanza, non sono però identiche nella forma, il documento francese mostrando una certa virulenza di linguaggio che non si trova in quello inglese. Esso parla persino del rifiuto francese a «riconoscere» la legittimità dell'azione compiuta dalla Germania, il che potrebbe far pensare ad un proposito del governo di Parigi di non riconoscere il fatto compiuto. Il barone Weizsacker ritiene tuttavia che, né la Francia, né l'Inghilterra intendano arrivare a questo e che le proteste fatte siano destinate in definitiva a rimanere platoniche e comunque prive di effetti concreti.

Per la cronaca, aggiungo che, mentre la nota francese fu consegnata personalmente dall'Ambasciatore Coulondre, quella inglese fu semplicemente inviata a mano. Ciò ha dei precedenti che forse può interessare a V.E. di conoscere.

L'Ambasciatore Coulondre si è presentato all'una pomeridiana di oggi all' Auswartiges Amt per presentare la nota. Lo ha ricevuto il barone Weizsacker4 , che nell'assenza di Ribbentrop ha le funzioni di ministro. Avendo il Coulondre. appena entrato. dichiarato che egli era latore di una protesta. il barone Weizsacker gli ha subito risposto che. se questo era il carattere del documento che recava. egli si rifiutava di riceverlo. Ne è seguita una discussione molto serrata fra i due sulla legittimità dell'azione tedesca, il Coulondre adducendo una violazione sia degli Accordi di

2 T. 1244/150 R. del 18 marzo. Riferiva che a Berlino erano attesi i passi paralleli della Francia e della Gran Bretagna per dichiarare che quei governi consideravano quanto accaduto in Cecoslovacchia come «non avente alcuna legalità».

3 Non pubblicate. Se ne veda il testo in DDF, vol. XV, D. 25 e in BD, vol. IV, D. 308. 4 Sul colloquio si veda il rapporto dell'ambasciatore Coulondre in DDF, vol. XV, D. 50 e il promemoria di von Weizsacker in DDT, vol. VI, D. 20.

Monaco, sia della dichiarazione franco-tedesca del 6 dicembre 19385 , ed il barone Weizsacker a sua volta obbiettando che la sola base sulla quale ora era possibile discutere era l'accordo formalmente intervenuto fra il Presidente ceco Hacha e Chvalkovsky da una parte, ed il Flihrer e Ribbentrop dall'altra6 , accordo che sanzionava e rendeva legittima tutta la successiva azione della Germania.

Alle insistenze di Coulondre per rilasciare comunque il documento. il barone Weizsacker ha obbiettato che la consegna di una protesta in quelle condizioni rappresentava un atto suscettibile di mettere in forse la stessa esistenza della dichiarazione del 6 dicembre. con ciò compromettendo tutto l'avvenire delle relazioni franco-tedesche. Invitava quindi il Coulondre a riflettere bene ed a far riflettere il proprio governo sulle conseguenze dell'atto che si intendeva compiere. Coulondre ha replicato che queste conseguenze erano state -d'accordo con Londra -già vagliate e pesate dal governo di Parigi, e che quindi egli si trovava nella stretta necessità di rilasciare il documento; che anzi, faceva a sua volta riflettere al barone Weizsacker quale sarebbe stata la ripercussione sui rapporti fra i due Paesi ove egli gli avesse impedito di rilasciare il documento della cui consegna era stato incaricato per preciso ordine del suo governo. Il barone Weizsacker allora ha finito per accettare il documento, dicendo che tuttavia lo avrebbe considerato come «inviato per posta».

Prevedendo, dalle stesse dichiarazioni di Coulondre, che l'Ambasciatore d'Inghilterra, il quale si era anche egli fatto annunciare alla Wilhelmstrasse, sarebbe venuto con un analogo documento, il Weizsacker ha telefonato ad Henderson facendogli comprendere l'opportunità di astenersi da un simile gesto, dopo di che Henderson ha preferito, anziché andare di persona, di inviare la nota della cui consegna era stato incaricato dal Foreign Office, sotto forma di lettera.

Il barone Weizsacker mi ha anche detto di aver avuto ieri una lunga conversazione con Henderson, il quale, mostrando una sincera preoccupazione per l'avvenire dei rapporti anglo-tedeschi, ha insistito perché la Germania cerchi di moderare gli effetti del fatto compiuto, astenendosi da rappresaglie di indole poliziesca come quelle di cui la stampa dava già ampi resoconti, ed a cui era legata la presenza a Praga di un fortissimo nucleo di agenti della Gestapo. Henderson ha fatto intendere che soltanto con una grande moderazione ed una grande saggezza da parte della Germania. la tensione della situazione avrebbe potuto essere attenuata.

Le osservazioni di Henderson sono state evidentemente trasmesse al Flihrer, e non devono essere estranee alla decisione che questi ha oggi preso di chiamare alla carica di «Protettore» della Boemia e Moravia non più Henlein, come si era prima vociferato negli ambienti di partito, bensì il barone Neurath, persona benvista a Londra e comunque conosciuto per la sua moderazione e per il suo senso di equanimità.

Henderson parte questa sera per Londra ignaro della sorte che potrà toccargli.

A von Dircksen, che si era recato ufficialmente a fargliene domanda, Halifax ha dichiarato che la maggiore o minore permanenza di Henderson a Londra dipenderà dall'impressione che potrà fare sul governo il rapporto che egli è stato chiamato a fare, nonché dalle «circostanze che potranno frattanto intervenire».

6 Vedi D. 303.

Un ballo di beneficenza che era stato questa sera organizzato dalla colonia francese di Berlino è stato disdetto 7 .

329 1 Manca l'indicazione della data di arrivo.

329 5 Vedi D. 123, nota 2.

330

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 2194/653. Berlino, 18 marzo 19391•

Sono state diffuse all'estero pretese informazioni, secondo le quali il signor Wohlthat, capo della missione economica tedesca a Bucarest, avrebbe presentato a nome del suo governo a quello romeno le seguenti proposte:

l) che la Romania cessi progressivamente tutti i suoi sforzi per crearsi un'industria nazionale, chiudendo a poco a poco tutte le fabbriche esistenti e limitandosi a rimanere un Paese agricolo;

2) che tutte le esportazioni di grano, petrolio, legname, bestiame e derrate alimentari debbano essere unicamente ed esclusivamente dirette verso la Germania; 3) se la Romania accetta queste condizioni, la Germania è pronta a garantire la sua integrità territoriale e l'indipendenza del popolo romeno.

Quanto sopra viene ufficialmente e nettamente smentito a Berlino.

331

L'AMBASCIATORE A PARIGI, GUARIGLIA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. RISERVATO 1839/781. Parigi, 18 marzo 1939 (perv. il 20).

Gli avvenimenti dell'Europa Centrale hanno prodotto in Francia la più profonda impressione ed hanno decisamente aggravato il già preesistente stato di preoccupazione e di allarme.

Il sensibile aumento di potenziale bellico ed industriale determinatosi a favore della Germania ha soprattutto colpito la Francia ed ha determinato un senso di spavento e di incubo per l'avvenire. Con triste ironia i giornali di sinistra hanno ricordato i miliardi che la Francia aveva ieri speso nella defunta Cecoslovacchia per arric

330 1 Manca l'indicazione della data di arrivo.

chi re oggi l'esercito tedesco di materiale bellico e di aviazione che potrà essere impiegata per minacciare l'incolumità della Repubblica.

Si sono naturalmente dissipate le illusioni che il governo francese-nell'intento di rasserenare gli animi-si era sforzato di dare in questi ultimi tempi all'opinione pubblica, di un preteso rinvigorimento dell'influenza dei Paesi democratici nell'Europa Centrale e del valore della dichiarazione franco-tedesca recentemente firmata a Parigi.

L'assorbimento della Boemia e della Moravia, in base al principio dello «spazio vitale», la realizzazione della frontiera comune tra Polonia ed Ungheria, sono così considerati come prodromi di un futuro sviluppo della politica tedesca che da una parte ha smorzato ogni velleità franco-inglese in Europa Centrale e dall'altro ha fatto svanire l'illusione che l'obiettivo principale ed immediato del dinamismo germanico fosse la grande Ucraina. Il problema franco-italiano viene quindi amaramente collegato al corso degli avvenimenti e considerato oggetto di prossimo sviluppo della politica dell'Asse in uno con le rivendicazioni coloniali tedesche.

Il governo si è trovato decisamente disorientato di fronte al precipitare degli avvenimenti e si è limitato alla consuetudinaria consultazione di Londra e ad una platonica quanto ridicola richiesta di informazioni a Berlino.

Bonnet, violentemente attaccato alla Commissione degli Esteri, si è debolmente difeso asserendo che Francia e Inghilterra non avevano alcun impegno giuridico di intervento, dato che la loro garanzia era subordinata a quella della Germania, garanzia che non era mai stata concessa.

Nessuna risposta ha saputo dare al deputato Pezet che domandava quale valore ancora il governo francese intendesse attribuire alla dichiarazione franco-tedesca 1 , in base alla quale -art. 3 -i due Paesi si impegnavano a consultarsi preventivamente per ogni azione di ordine internazionale che interessasse i due Paesi.

Mi risulta che Daladier, principale assertore di un riavvicinamento franco-tedesco, è rimasto particolarmente colpito dalla rapidità degli avvenimenti. Appena avuto notizia della decisione tedesca, egli ha immediatamente convocato il Capo di Stato Maggiore, prospettando l'opportunità di procedere senz'altro al richiamo di dieci classi. In tal senso ha telefonato immediatamente a Bonnet che siedeva alla Commissione degli Affari Esteri. Bonnet si sarebbe recisamente opposto a tale misura. Londra, consultata, avrebbe parimenti sconsigliato tale determinazione.

Dichiarazioni analoghe a quelle fatte alla Commissione della Camera sono state fatte da Bonnet di fronte alla Commissione del Senato, la cui seduta è stata sopratutto animata dall'intervento di Lavai e dalle recise dichiarazioni da lui pronunziate circa i rapporti franco-italiani (mio telegramma n. 40 del 17 corrente)2 . Lavai avrebbe tra l'altro detto: avete tempo dieci minuti per mettervi d'accordo con l'Italia. Domani sarà troppo tardi.

2 T. 1235/40 R. del 17 marzo. Riferiva sull'«impressione profonda» suscitata dall'intervento che il giorno precedente Lavai aveva compiuto alla Commissione Affari Esteri del Senato in favore di un pronto ristabilimento di buoni rapporti con l'Italia. Lavai-osservava l'ambasciatore Guariglia-stava ormai lavorando apertamente per rovesciare il governo Daladier; ad ogni modo egli si sarebbe limitato a ricevere le comunicazioni che Lavai gli faceva pervenire per interposta persona.

Di fronte ai rinnovati attacchi delle sinistre che non hanno esitato a profittare delle circostanze internazionali per minacciare l'esistenza del Gabinetto Daladier, il presidente del Consiglio ha ritenuto opportuno di assicurarsi un lungo periodo di respiro ed una larga possibilità di azione con la richiesta dei pieni poteri destinati «a consolidare e ad accrescere le forze della Francia».

Il presidente del Consiglio non ha fornito alcun dettaglio sulle misure che egli conta di adottare in applicazione di tali poteri. Egli ha solamente dichiarato che intendeva essere in grado di trasformare la Francia in un vasto cantiere di lavoro e di prendere, con estrema rapidità, che non sarebbe consentita dalla lentezza dei dibattiti parlamentari, ogni opportuna disposizione atta ad assicurare la salvezza del Paese. Naturalmente i pieni poteri comprendono la facoltà per il Gabinetto di ordinare la mobilitazione generale senza più interpellare il Parlamento.

l progetti dei pieni poteri sono stati oggi approvati alla Camera con 316 voti favorevoli contro 262 contrari. Magra maggioranza che è sintomo delle divergenze esistenti in seno agli ambienti politici francesi, nonostante che il momento sia ovunque giudicato particolarmente grave.

Da notare che nel corso del dibattito parlamentare sui pieni poteri i rapporti franco-italiani sono stati trattati con la più estrema riserva, nel mentre la più violenta e volgare diatriba oratoria si è scatenata contro la Germania ed il Fiihrer.

Il ministro Bonnet infine ha oggi, seguendo l'esempio inglese, incaricato l'ambasciatore di Francia a Berlino di protestare presso il governo del Reich contro la situazione creata in Cecoslovacchia, di cui la Francia non intende riconoscere la legittimità.

L'ex ministro di Cecoslovacchia a ParigP si è d'altra parte rifiutato di consegnare la Legazione al consigliere di Germania ed ha rimesso le chiavi dell'immobile al Quai d'Orsay, dopo aver asportato e distrutto gran parte dell'archivio della Rappresentanza diplomatica. Il ministro attenderebbe le istruzioni del governo francese per regolare la sua condotta e la sua situazione nella capitale francese.

329 7 Il documento ha il visto di Musso lini.

331 1 Del 6 dicembre 1938. Vedi D. 123, nota 2.

332

IL MINISTRO A TIRANA, JACOMONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

RAPPORTO RISERVATO ... Tirana, 18 marzo 19391•

In relazione alle istruzioni di V.E.2 ho iniziato, appena giunto, le conversazioni intese a rasserenare l'ambiente, molto turbato, specie dopo i recenti avvenimenti in Europa Centrale.

Le dichiarazioni che mi ha fatto il Generale Sereggi in risposta alle mie parole tranquillizzanti, sono caratteristiche dello stato d'animo del Paese.

332 1 Manca l'indicazione della data di arrivo. 2 Vedi D. 311.

Egli mi ha detto che si recava a Roma con pieni poteri del Re per concludere un accordo che. pur rispettando formalmente l'integrità e l'indipendenza dell'Albania. desse a noi piena soddisfazione. Il Re. a suo avviso. aspirava sopratutto ad un accordo che gli desse assoluta sicurezza personale.

Se poi durante il soggiorno a Roma si dovesse verificare qualche mutamento nello stato d'animo del Sovrano, egli Sereggi. non potrebbe seguirlo su una diversa via e prospetterebbe senz'altro a noi un suo piano per rientrare in Albania con le truppe italiane.

Egli è sicuro che tutta l'Albania sarebbe con noi.

Mehemet Konitza, noto consigliere del Re, fino a pochi mesi fa contrario all'Italia, si è espresso con questo Addetto Militare nel senso che ove il Re non facesse egli stesso proposte ali 'Italia che, legando a noi definitivamente e senza riserve l'Albania, la salvassero dal baratro a cui si avvia, egli ed altri avrebbero saputo imporre al Re quanto era necessario.

Libohova, pur confermandomi l'agitata attività antitaliana di molto legazioni straniere, mi ha dato assicurazione, da prendere tuttavia con riserva, che nessuna trattativa politica o finanziaria è in corso con alcuna Potenza.

La maggior parte dei membri del governo, che non hanno ben meritato nei nostri riguardi, a quanto mi viene riferito, attendono con terrore le decisioni dell'Italia e moltiplicano intanto le misure di vigilanza in Paese. Malgrado queste misure i maggiori esponenti della popolazione che è spiritualmente lontana od avversa al Regime di Zog, si forzano in ogni modo a tenere i contatti con noi e si rallegrano nella speranza che la liberazione sia ormai vicina. Il Paese nella quasi totalità ha atteso negli scorsi giorni l'arrivo da un'ora all'altra delle nostre truppe come un avvenimento che era nell'ordine normale degli eventi. Il Re se, come è possibile, avesse voluto opporre resistenza non avrebbe potuto contare che su poche tribù del Mati e del Dibra fra le quali ha di recente largamente distribuito denari, i tre battaglioni della guardia e un centinaio di delinquenti comuni, riuniti in questi ultimi giorni in un'unica località, gli esecutori abituali dei delitti su cui si fonda la potenza di Abdurrahman Krossi padrino del Re.

Sarò ricevuto da Re Zog domenica, o lunedì; salvo diversi ordini di V.E. mi regolerò secondo le istruzioni ricevute nell'ultima udienza concessami dall'Eccellenza Vostra il 12 corrente3 .

Non si è trovata documentazione circa le istruzioni alle quali si fa qui riferimento.

331 3 Stefan Osusky.

332 3 Il documento ha il visto di Mussolini.

333

IL CONSOLE GENERALE A INNSBRUCK, ROMANO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

RAPPORTO RISERVATO 4867/164. Innsbruck, !8 marzo !939 (perv. il 24).

Mi onoro riferire a V.E. circa le ripercussioni e i commenti che i recentissimi sviluppi della questione cecoslovacca hanno provocato in questi ambienti.

Per quanto, come ho avuto occasione di riferire, alcuni preparativi di carattere militare avessero già destato qui la vivissima attesa di un qualche grande evento, pure l'estrema rapidità con cui è stata conclusa la questione anzidetta ha sbalordito la popolazione e suscitato un fortissimo senso di ammirazione e di orgoglio per la tempestività e la genialità dimostrate da Fiihrer anche in questa occasione.

In un baleno la città si è imbandierata fin dalle prime ore del 15 corrente e le notizie degli avvenimenti si sono subito diffuse a mezzo delle edizioni straordinarie dei giornali e attraverso i numerosi altoparlanti istallati nei punti più centrali della città. Il Gauleiter Hofer. in un'adunata indetta nella stessa giornata sulla piazza principale della città. ha parlato alla folla -non eccessivamente numerosa invero, a causa di una tormenta di neve -mettendo in rilievo come il Reich, il quale non riposa sugli allori, non potesse ulteriormente tollerare le congiure ebraico-massoniche che cercavano invano di tenere in piedi uno Stato anacronistico la cui fine era stata di fatto già segnata a Monaco. Con l'eliminazione delle repressioni ceche contro i tedeschi -ha aggiunto -è venuto meno un focolaio di disordini nell'Europa Centrale e a Praga, sulla rocca degli Imperatori del primo Reich, sventolerà ormai per i secoli la bandiera dalla croce uncinata. Ha quindi terminato il suo dire sottolineando come i Paesi ora immessi nella comunità tedesca abbiano cessato di costituire dei posti avanzati del bolscevismo per divenire i bastioni della grande Germania, e come i Tedeschi costituiscano la nazione più forte della razza bianca, sicché «il mondo deve rassegnarsi al fatto che essi saranno sempre pronti a difendere i propri diritti contro chiunque, uniti e compatti al pari di un blocco di granito».

Naturalmente un avvenimento di capitale importanza come questo non poteva non avere la più grande ripercussione fra la popolazione tirolese. che lo considera capace di produrre ulteriori immensi sviluppi e soprattutto già fonda su di esso grandi speranze per la futura sorte dei «fratelli del Sud». Secondo alcuni commenti, infatti, la pratica aggregazione al Reich della Slovacchia che per tanti secoli fece parte della Corona di Santo Stefano, è suscettibile di appesantire l'amicizia tedesco-ungherese e di costituire perciò indirettamente -date le strette relazioni italo-magiare -un pericolo per l'Asse Roma-Berlino. E si aggiunge che una ripercussione nello stesso senso potrebbe derivare dal peggioramento delle relazioni fra la Germania e la Polonia. Tali illazioni promanano naturalmente dagli ambienti che auspicano un'incrinatura dell'Asse perché spinti all'odio contro l'Italia da quell'irredentismo che è e sarà sempre qui alla base di ogni questione.

Tuttavia non mancano elementi più ponderati e più obiettivi, i quali comprendono e proclamano la necessità, per l'Italia e la Germania, di una continuazione della politica Anticomintern, di una stretta collaborazione contro un eventuale risorgere del predominio democratico, e di una comune lotta per la soluzione delle questioni coloniali secondo giustizia. Essi pensano che la realizzazione della comune frontiera magiaro-polacca potrà avere benefici risultati per l'Asse se l'Ungheria e la Polonia attueranno entrambe una vera politica Anticomintem, mentre gli effetti sarebbero del tutto sfavorevoli se le due Nazioni dovessero fare causa comune con la Jugoslavia e la Romania contro l'Asse. Né mancano di rilevare che anche per gli Stati balcanici sorgono o si acuiscono ora molti problemi, capaci di vaste ripercussioni: in Romania potrebbe risorgere più aspra che mai la questione delle minoranze, in Jugoslavia la situazione politica potrebbe divenire inquieta ed incerta, sia per le rivendicazioni autonomistiche croate e slovene, ove queste trovassero nuova esca nei recenti avvenimenti di Cecoslovacchia, sia per la possibilità che l'Ungheria sia indotta ad affacciare dei diritti sulla Croazia, che per tanti secoli ebbe causa comune con Budapest1•

334

L'ADDETTO MILITARE A BERLINO, MARRAS, AL MINISTERO DELLA GUERRA1

fOGLIO SEGRETO 608. Berlino, 18 marzo 19392 .

La situazione internazionale e i rapporti di forza quali sussistono attualmente e si manterranno probabilmente nel prossimo futuro sembrano incoraggiare il Fiihrer, dopo gli ampi successi ottenuti negli ultimi mesi a sfruttare al massimo la favorevole situazione.

Può quindi dedursi che la Germania possa ripetere a breve scadenza nuovi colpi, per i quali non potrebbe essere più sufficiente una semplice dimostrazione, ma occorra impiegare le armi e addivenire a una guerra, affrontando anche un conflitto europeo.

Qui occorre considerare che l'obiettivo essenziale quale oggi sembra profilarsi alla politica di espansione tedesca è l'Ucraina.

Le recenti occupazioni sono destinate da una parte ad assicurare la base di partenza e a protendere già un cuneo offensivo verso i nuovi obiettivi, dall'altra a intimorire gli Stati minori e ad assicurare la neutralità benevola o anche il concorso al momento del bisogno.

Nella situazione attuale per arrivare all'Ucraina occorre passare attraverso il territorio polacco. Tale passaggio incontrerebbe certamente la resistenza armata polacca. Si potrebbe perciò essere indotti a ritenere probabile un'azione di forza contro la Polonia. Ciò tanto più in quanto, risolti i problemi austriaco e cecoslovacco, appaiono in primo piano le rivendicazioni sulla Polonia (Corridoio e minoranze tedesche nella Polonia occidentale).

Peraltro, un complesso di indizi lascia ritenere che il Fi.ihrer voglia astenersi da una guerra finché non saranno completati l'apparecchio militare e l'attrezzatura economica della Nazione. Sono note le deficienze che, pure nel grande quadro del suo

2 Manca l'indicazione della data di arrivo.

sviluppo, presenta ancora l'esercito, come non è senza importanza la crisi dei trasporti ferroviari per i quali è previsto un piano di costruzioni che richiederà quattro anni. È poi sintomatico nei riguardi dell'atteggiamento verso la Polonia il silenzio tenuto dal Fiihrer in occasione delle recenti gravi dimostrazioni antitedesche in Polonia.

Ciò non esclude che la Germania intensifichi l'azione politica per realizzare pacificamente anche nel settore polacco le maggiori rivendicazioni possibili, ma è probabile che tale azione verrà condotta in modo da evitare una guerra prematura. Nel campo di queste realizzazioni basti accennare all'idea, di cui alcuno discorre, di ottenere dalla Polonia il Corridoio in cambio della Lituania, che verrebbe sacrificata.

La guerra non verrebbe affrontata che al momento opportuno e potrebbe essere preparata da un 'azione di propaganda disgregatrice nell'Ucraina polacca.

Quel che occorre mettere in evidenza è che la guerra avvenire tedesca sarà con ogni probabilità nello scacchiere orientale. Perciò la Gennania attuale volge le spalle all'Occidente, contro il quale sta organizzando una poderosa zona difensiva terrestre ed aerea, e guarda ad Oriente e a Sud-Est nelle cui direzioni intende assicurarsi libertà d'azione. Già da qualche anno si è nettamente delineata questa sua condotta politico-strategica: difensiva a Occidente, offensiva ad Oriente.

Lo sviluppo di tali apprestamenti difensivi e quello dell'arma aerea come pure la posizione geografica renderanno la Germania scarsamente vulnerabile dalla Francia e dall'Inghilterra, le quali quindi non saranno in condizione di impedire la futura azione contro i Sovieti.

Questa situazione presenta certamente differenze notevoli rispetto a quella dell 'Italia. Comunque due elementi occorre mettere in evidenza a conclusione di questo rapido esame:

--la Germania intende evitare un grande conflitto a breve scadenza; -un'azione di forza per l'espansione si svolgerà a momento opportuno nello scacchiere orientale; -la Germania è orientata sul fronte occidentale verso una condotta difensiva della guerra3 .

333 1 Il documento ha il visto di Mussolini.

334 1 Il documento è tratto dall'Archivio dell'Ufficio Storico dello Stato Maggiore dell'Esercito.

335

IL PROFESSORE FAGIUOLI AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

RELAZIONE. Roma, 18 marzo 1939.

Dopo il nostro incontro del Gennaio scorso1 non ho più cercato il signor Baudouin: Egli mi ha fatto sapere che aveva una comunicazione importante da farmi e perciò, giusta le istruzioni datemi da V.E., ho ascoltato quanto il signor Baudouin mi

ha detto: Appena uscito dalla Banque de l 'Jndochine ho scritto questa nota nella quale, senza mutar nulla dello spirito e della lettera del discorso del signor B., faccio una traduzione fedelissima delle sue parole.

«Partito da Roma il venerdì 3 Febbraio ebbi un colloquio a Parigi la domenica 5 col signor Daladier. Esposti i punti dei colloqui avuti a Roma2 , si fissò una riunione per il mercoledì 8 coi Sigg. Daladier e Bonnet allo scopo di esaminare la situazione e per predisporre, come convenuto, una lettera da far giungere a Roma. Nel frattempo l' Ambasciatore di Francia a Berlino mandava una nota a Parigi dicendo che era stato convocato dal ministro degli Esteri del Reich. il quale lo aveva messo al corrente della missione Baudouin a Roma e aveva aggiunto che a Berlino erano e saranno informatissimi di tutto quanto avviene in Italia. sia per quanto riguarda la politica estera che quella interna e militare. Inoltre, le stesse notizie erano giunte agli ambasciatori di Gran Bretagna e d'America. Poi se ne impadronì la stampa e per conseguenza, essendo venuto a finire il carattere riservato della cosa, si pensò di non dare momentaneamente seguito ad essa.

Oggi a Parigi si sa che si sta preparando la disgregazione della Jugoslavia: a un certo momento alcune personalità della Croazia e della Slovenia, di cui già si sanno i nomi e le qualifiche, cominceranno ad agitarsi chiedendo l'intervento della Germania. Il signor Daladier si rende conto della necessità assoluta di impedire una guerra e perciò è ancora disposto a fare concessioni all'Italia e conferma pienamente quanto è stato detto da me. Bisogna tener conto della situazione politica e parlamentare in Francia.

Il signor Daladier è continuamente assalito da oppositori che gli pongono sotto il naso ritagli vari di giornali italiani e anche ultimamente al Senato ha dovuto prendere la parola perché preso a partito da alcuni Senatori che gli domandavano cosa pensasse della soppressione dei nomi francesi ad alcune vie di città italiane. Inoltre, una forte impressione ha prodotto negli ambienti politici e militari francesi, l'ammassamento di circa 80.000 uomini verso le frontiere della Tunisia. Tanto è vero che si è provveduto ad inviare altri 20.000 uomini prelevati dali' Algeria per rinforzare i 24 mila uomini oggi dislocati sul fronte verso la Libia ed altri movimenti sono previsti.

Nonostante questa atmosfera difficile, nonostante la palese ostilità della Germania, che dichiara per bocca delle sue più autorevoli personalità di conoscere nei più minuti particolari tutto quanto si fa in Italia e, in certo modo, di ispirarlo, il signor Daladier è pronto ad affrontare impopolarità, inimicizie e pericoli di ogni genere pur di giungere ad un accordo col Duce. Egli è convinto che una guerra porterebbe sicuramente alla rovina dei due Paesi e cioè della Francia, che dovrebbe tenere il colpo con grande perdita di uomini e di ricchezze, ma che ricevendo tutti gli aiuti che le verranno, e coll'unione dell'Inghilterra ed altri, alla lunga vincerebbe, pur stremata e dissanguata; e dell'Italia che avrebbe da perdere molto più della Francia.

In conseguenza, se è possibile intendersi noi siamo qui per fare tutto quello che si può per salvare una civiltà che, pur attraverso malintesi e questioni dovute principalmente alle affinità del carattere e della razza, non deve esaurirsi in una guerra feroce e spietata in cui i morti si conterebbero a milioni e che durerebbe per anni e porterebbe alla vittoria degli ebrei e dei bolscevichi che oggi fanno tutto quello che possono pur di far scoppiare una conflagrazione.

Tutto ciò vi dico dopo avere varie volte, e per ultimo non più tardi di mezz'ora fa, parlato col signor Daladier».

Questo, il testo esatto delle parole dettemi dal signor Baudouin. Non ho fatto per parte mia nessuna dichiarazione (che del resto non aveva ragione di essere), né apprezzamenti personali.

Il colloquio è stato cortese ed il signor Baudouin mi ha pregato di presentare a

V. E. i suoi più devoti salutP.

334 3 La copia del documento conservata in Archivio manca di una o più pagine finali. 335 1 Vedi D. l 09, nota l.

335 2 Il 2 e il 3 febbraio. Vedi d. l 09, nota l.

336

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, AL MINISTRO A BELGRADO, INDELLI

T. S.N.D. 4408/46 P.R. Roma, 19 marzo 1939, ore 16,25.

Recatevi subito dal Reggente e ditegli quanto segue:

l) l'Italia intende continuare a svolgere una politica di sempre più stretta collaborazione con la Jugoslavia ed attribuisce pertanto la massima importanza all'unità nazionale di codesto Paese;

2) di tale suo punto di vista ha dato formale conoscenza a Berlino 1 aggiungendo che ad ogni eventuale mutamento dello statu quo in Croazia non potrebbe in alcun modo far riscontro il disinteresse italiano;

3) ciò premesso il Duce consiglia il Reggente di agire al più presto per risolvere la questione croata, poiché molti indizi lasciano ritenere in forma precisa che l'azione separatista è stata intensificata e che ogni perdita di tempo può avere conseguenze di estrema gravità2 .

Nel Diario di Ciano vi è, alla data del 18 marzo, la seguente annotazione: «Fagiuoli mi porta il verbale di un colloquio con Baudouin. Due cose interessanti: l) i francesi sono pronti ad andare più oltre nelle loro concessioni; 2) chi rivelò alla stampa la missione Baudouin fu Ribbentrop sulla base delle nostre informazioni. Val proprio la pena di essere leali con certa gente!».

Come risulta da un'annotazione del Diario, il 19 marzo Fagiuoli fu inviato a Parigi per riallacciare le trattative con Baudouin. 336 1 Vedi D. 325. 2 Per il seguito si veda il D. 345.

335 3 Sul documento c'è il timbro: «Visto dal Duce».

337

L'AMBASCIATORE A MOSCA, ROSSO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 1275/28 R. Mosca, 19 marzo 1939, ore 18 (perv. ore 20,20).

Alla nota tedesca che gli notifica incorporazione protettorato sulla Cechia, Litvinov ha risposto con nota odierna i cui punti essenziali sono seguenti:

l) spiegazione e giustificazione tedesche basate principalmente su accuse al governo cecoslovacco di costituire centro continua minaccia alla pace e su pretesa incapacità funzionare sono contrarie ai fatti;

2) capo del governo cecoslovacco non aveva diritto costituzionale rinunciare indipendenza Cecoslovacchia. Sua decisione ha violato principio autodecisione popolo.

Occupazione tedesca costituisce arbitraria violenta aggressione. Questa dichiarazione vale anche per cambiamento provocato statuto slovacco; 3) azione governo germanico ha servito ratificare brutale invasione Ucraina Carpatica da parte delle truppe ungheresi.

Nota così finisce:

«In vista di quanto precede, governo dei sovieti non può riconoscere incorporazione Cechi nell'Impero germanico né incorporazione in una forma o altra della Slovacchia come legale e come conforme alla legge internazionale e giustizia né come in armonia coi principi autodecisione.

Nell'opinione governo sovietico azione Germania non solo non elimina pericolo per la pace ma ha creato e aggravato tale pericolo, ha violato stabile politica Europa, ha aumentato ragioni di allarme già esistenti ed ha inferto nuovo colpo sentimenti sicurezza fra i popoli» 1•

337 1 A proposito di questa nota, l'ambasciatore Rosso osservava: «Ove si tenga conto del consueto stile sovietico, generalmente incline ad usare espressioni molto forti, la Nota di Litvinov appare relativamente moderata nella forma. Quanto alla sostanza, merita di essere rilevato che, pur esprimendo in termini energici la propria disapprovazione per gli atti della Germania e pur dichiarando che il governo dell'U.R.S.S. non può riconoscere come legali i cambiamenti provocati dal governo del Reich in Cecoslovacchia, non viene formulata esplicitamente e formalmente una protesta vera e propria, come sembra sia stato il caso nelle risposte inglese e francese. Per questa ragione il mio collega di Germania, conte von Schulenburg, è d'avviso che la Nota di Litvinov non rende necessaria una contro-risposta» (telespresso 1196/509 del 19 marzo).

338

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, ALL'AMBASCIATORE A MOSCA, ROSSO

T. S.N.D. 206/22 R. Roma, 19 marzo 1939, ore 21.

È stato letto con vivo interesse quanto Potemkin Vi ha detto e Voi avete riferito col vostro telegramma 26 1 . Una possibilità del genere non è mai stata da noi esclusa. Ditelo a Potemkin2 .

339

L'AMBASCIATORE AD ANKARA, DE PEPPO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 1530/029 R. Ankara, 19 marzo 1939 (perv. il 28).

La visita di Kiosseivanov in Turchia, che ufficialmente termina stasera, può considerarsi dal punto di vista politico assolutamente inconclusiva. Già la sua contemporaneità con gli avvenimenti dell'Europa Centrale le aveva tolto, anche localmente, ogni carattere sensazionale, sebbene di tale contemporaneità si sia cercato qui di approfittare per esercitare -anche con una orchestrata campagna di stampa nuove pressioni sul Kiosseivanov allo scopo di indurre la Bulgaria ad entrare nel Patto Balcanico.

Tali pressioni sono state vane. Kiosseivanov in uno dei ricevimenti dati in suo onore ad Ankara ha avuto con me una lunga conversazione. Dopo aver manifestato sentimenti di viva ammirazione per l 'Italia fascista ed avermi espresso la gratitudine della Bulgaria per l'amicizia che l'Italia le dimostra, mi ha spontaneamente parlato della posizione del suo Paese nella penisola balcanica. «lo non so se e quando le nostre aspirazioni potranno essere soddisfatte ed in che misura ma io penso che il mio popolo non debba rinunziarvi». Il Patto Balcanico, egli ha continuato, è sorto in funzione antibulgara e tale carattere ha mantenuto anche nel recente convegno di Bucarest1; ché anzi la riaffermazione colà fatta de !l 'inviolabilità delle frontiere, esclude definitivamente la possibilità che la Bulgaria vi partecipi. Ma l'Intesa Balcanica è destinata, come la sorella Piccola Intesa, a finire ingloriosamente ed allora si dovrà riesaminare la posizione della Bulgaria, mentre l'attuale crisi centro-europea nonché scoraggiare le aspirazioni bulgare le rende anche più vivaci.

Con la Turchia, mi ha ancora detto Kiosseivanov, non abbiamo nessun conflitto da regolare e, a parte la riserva dell'appartenenza della Turchia all'Intesa Balcanica, i rapporti fra i nostri due Paesi, istaurati nel 1925 2 , sono piuttosto buoni. A mia precisa domanda sui rapporti bulgaro-jugoslavi, ha risposto che malgrado il patto di amicizia del gennaio 19373 e la rinunzia di ogni rivendicazione della Bulgaria verso la Jugoslavia, tali rapporti pur essendo amichevoli subiscono degli alti e dei bassi e non sono improntati a quella cordialità ed intimità che sarebbero desiderabili.

Kiosseivanov nel corso della conversazione mi ha poi detto che egli si rende conto che ormai nulla è possibile conseguire in Europa in contrasto o semplicemente al di fuori dell'asse Roma-Berlino, ma che per ragioni contingenti egli non può legare il suo Paese ad una determinata politica.

Questo in sunto il mio colloquio con Kiosseivanov. Saracoglu, che ho avuto occasione di incontrare frequentemente in questi giorni, mi ha a sua volta confermato che, pur essendo possibile che dalla visita di Kiosseivanov nasca qualche nuovo elemento di riavvicinamento turco-bulgaro, è escluso che la Bulgaria entri a far parte del Patto Balcanico. Saracoglu a questo proposito mi ha ripetuto quanto già mi aveva fatto comprendere in altra circostanza e cioè che ad un certo momento sembrava possibile accontentare in tutto o in parte le aspirazioni bulgare verso la Dobrugia, ma che la Romania ha poi assunto un atteggiamento nettamente negativo. Naturalmente, per Saracoglu, le aspirazioni bulgare verso l'Egeo non entrano neanche in discussione4 .

338 1 Vedi D. 326. 2 In una prima stesura il documento iniziava: «Il Duce ha letto». Le ultime due frasi sono un'aggiunta autografa di Ciano. 339 1 Riferimento alla riunione del Consiglio dell'Intesa Balcanica del 20-22 febbraio precedente.

340

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

LETTERA SEGRETA 2184 e ADDENDUM 2197. Berlino, 18-19 marzo 19391•

Ho fatto seguire giorno per giorno, quando ho potuto ora per ora, tutte le informazioni di cui son venuto via via in possesso sulla nuova crisi cecoslovacca. Sarà forse bene riunire ora sinteticamente quelle informazioni in un quadro unico.

La crisi cecoslovacca n. 2 ha inizio col I Omarzo. data di quello che Berlino ha chiamato colpo di Stato di Praga sulla Slovacchia (deposizione del Gabinetto Tiso). Dal mezzogiorno del l Oha avuto principio quella campagna di stampa che, nel suo crescendo costante e manifesto, se non ha servito, come forse si sperava, a preparare e giustificare il futuro agli occhi dei terzi, ha servito almeno a render chiare a tutti le intenzioni tedesche.

3 Vedi D. 18, nota 2.

4 Circa i risultati della visita di Kiosseivanov ad Ankara, il ministro lndelli segnalava da Belgrado che al ministero degli Esteri jugoslavo si era del!' opinione che avesse «consolidato una cordialità di rapporti turco-jugoslavi con la Bulgaria che, sopratutto nelle presenti circostanze, si ha tendenza qui a considerare come la posizione più utile in materia di Intesa Balcanica» (T. per corriere 1421/014 R. del 22 marzo).

Vedendo che i primi sintomi del venerdì l O si intensificavano la mattina dell' 11, io mi mettevo in comunicazione diretta con Ribbentrop -che non era in ufficio avendone la risposta. che subito telegrafai2• esser cioè la Germania attentamente alla finestra. ma sperare che la corrente Chvalkovsky avrebbe finito col prevalere. Risposta questa alquanto sobria, per non dire sibillina, che mi spingeva, nel pomeriggio dello stesso sabato, a cercare e far cercare insistentemente colloqui, sia ancora con Ribbentrop, sia con Weizsiicker, Woermann, Bismarck. Ma invano. ché tutti si erano resi assolutamente irreperibili.

La campagna di stampa rincrudisce ancora la domenica, con sintomatiche invocazioni di maltrattamenti a tedeschi. Ritento ancora, la mattina stessa del 12, di parlare con qualcuno. Sempre inutilmente. Incontro Weizsiicker per caso alla Commemorazione degli Eroi-mezzogiorno del 12-Cerco di dirgli qualche parola. Mi accorgo che ha la bocca «cucita». Ribbentrop non è presente. Il Fuhrer ha il cipiglio corrugato del settembre. Da colleghi presenti apprendo che anch'essi avevano bussato altrettanto ripetutamente quanto inutilmente alle porte dell' AuswiirtigesAmt.

Terminato il discorso di Raeder-per giunta pacifista! -mi rifiuto di assistere alla parata militare che doveva formare il secondo numero della Commemorazione degli Eroi e corro all'Ambasciata per telegrafare (ore 1,30 p.m. del 12): da questo momento v'è da attendersi di tutto, compreso l'intervento; ove si voglia far sentire la nostra voce non bisogna tardare ... (mio telegramma n. 116)3 .

Il mattino seguente, lunedì 13, telefono a Kassel al Principe d'Assia per domandare notizie della Principessa ... Il Principe risultava improvvisamente partito per Berlino la sera della domenica. Era dunque ancora una volta il corriere alato tenuto pronto per il messaggio di rito4 .

La situazione è ormai per me chiara e definitiva. Mi limito a far sapere a Ribbentrop che attendo sue comunicazioni. Prendo intanto contatto con altri colleghi, fra cui specialmente l'Ambasciatore di Polonia. Vengo a sapere che il ministro di Ungheria era improvvisamente partito in volo la mattina di buon'ora, per Budapest. In attesa delle comunicazioni di Ribbentrop telegrafo le mie impres[sioni] (mio telegramma n.ll8)5 •

Vedo finalmente Ribbentrop la sera [al]le 21. Già troppo tardi per telefonare a Roma utilmente, telegrafo lungamente6 , raccomandando al Gabinetto che i miei telegrammi siano decifrati immediatamente e immediatamente sottoposti all'attenzione dell'E.V. Ribbentrop mi aveva già fatto intravedere il «programma» tedesco che io poi riuscivo ulteriormente a sviluppare la mattina del 14 dopo un colloquio con Weizsiicker7 il quale, finalmente reso libero dal suo ministro, mi tiene da quel momento in poi informato ora per ora dell'incalzarsi fulmineo degli avvenimenti.

3 Vedi D. 282.

4 Per la missione del principe d'Assia a Roma del 15 marzo si veda il D. 319.

5 Vedi D. 292.

6 Vedi D. 294.

7 Vedi D. 296.

C'è chi dice. adesso. che da oltre un mese la data del 15 marzo era quella fissata per l'ingresso dei tedeschi a Praga. È facile affermarlo ma non c'è nulla che possa provario. Né ha senso il dire che tutto era «preordinato». Certo che così doveva essere. Lo Stato Maggiore tedesco tiene pronti i piani per quella qualunque impresa che il Fiihrer voglia tentare. Fra questi, il colpo cecoslovacco ha naturalmente occupato sempre il primo posto. In caso di complicazioni, l'assicurarsi le spalle era il primo pensiero dello Stato Maggiore, e l'occupazione di Praga quindi la operazione più ovvia e più necessaria. I militari avevano rinunciato con dolore ad eseguirla in settembre e non essi soli. Primissimo fra tutti Himmler, di cui sono note le dichiarazioni fatte al pranzo itala-tedesco del 29 settembre a Monaco e, buon secondo, o primo alla pari, Ribbentrop. Era il partito della guerra che aveva ripreso il sopravvento e che -assente Goring -aveva fatto valere sul Fiihrer lo spettro -in verità assai fatuo -del risorgere del «Benesismm> in Cecoslovacchia. Questo era come l'idea fissa del Fiihrer. Ne aveva parlato chiaramente allo stesso Chvalkovsky a Berchtesgaden il 2 I gennaio8; ne aveva accennato nello stesso suo discorso al Reichstag del 30 stesso mese9 . Avuta la sensazione che una qualch[e cos]a in quel senso, più o meno efièttivamente, si disegnava eg[li n]on ci ha più visto e ha fatto scattare la macchina. Go[ring è] arrivato, praticamente, a fatti compiuti.

È bensì vero che Goring tù associato alle trattative -così sono state chiamate qui -col povero Hac ha IO (arrivato qui senza dubitare neanche lontanamente quello che l'attendeva) e che fu anzi lui a dichiarare. dopo ore e ore di estenuanti pressioni. alle 4 del mattino del 15 al Presidente ceco che. ove non si fosse arreso a discrezione. egli stesso. Goring. si sarebbe messo alla testa di 2500 aeroplani per bombardare e polverizzare Praga. Ma devo ammettere, per non dubitare anche di Goring, che egli, avendo trovato la partita, a sua insaputa, irrimediabilmente ingaggiata, si è sentito costretto a parteciparvi in pieno anche per paura di essere tagliato fuori.

La decisione prima, ma pure per quanto di massima definitiva, fu presa -come mi ha confermato poi confidenzialmente Weizsiicker-sabato e successivamente sviluppata e concretata domenica 12. Fu soltanto domenica sera-e cioè il 12 che Ribbentrop chiamava il ministro ungherese Szt6jay per dirgli che la Germania lasciava libera l'Ungheria di occupare la Carpato-Ucraina, promettendo-ciò che Ribbentrop non mi aveva neanche detto-anche l'aiuto armato della Germania per il caso che essa avesse incontrato resistenze troppo forti o che la Romania si fosse mossa II.

Questa, in succinto, la cronistoria dei fatti. Io mi astengo, per ora, dali 'esaminare l'azione tedesca nel quadro della politica generale europea. Anche per questo !imitandomi qui alla sola cronaca, devo peraltro registrare lo sbigottimento generale prodotto dagli avvenimenti fulmineamente succedutisi l 'uno ali' altro.

9 Per il quale si veda il D. 130. Nel suo discorso Hitler aveva auspicato che la Cecoslovacchia trovasse «una via verso la tranquillità e l'ordine interno, la qualcosa esclude un ritorno alle tendenze dell'ex Presidente della Repubblica, dottor Benes».

10 Riferimento al colloquio di Hitler con Hacha del 15 marzo (vedi D. 303).

11 Vedi DU, vol. III, D. 413. Per il passo compiuto la mattina del 13 marzo attraverso il ministro di Germania a Budapest si veda DDT, vol. IV, D. 198.

Sbigottimento fra i diplomatici esteri, di cui ciascuno ~specie i rappresentanti dei piccoli Paesi ~pensava con raccapriccio chi dovesse essere la vittima del prossimo Putsch. Lituania, Polonia, Rumania, Jugoslavia sono tutte in stato di allarme. Persone temperate, e pur politicamente ben predisposte, come l'Ambasciatore di Spagna, dicevano essere ormai tutto da aspettarsi. Non c'è più uno solo che mostri fiducia negli affidamenti. e nelle promesse del Filhrer. la cui parola era stata finora considerata come sacra e avente più valore di un trattato.

Sbigottimento e ~mi si consenta di dirlo ~vergogna. fra gli stessi tedeschi. Io ho visto martedì sera, cioè il 14, ad un pranzo ben due ministri del Reich; ho incontrato nella stessa occasione la moglie di un terzo. L'indomani mattina 15 ho avuto da me, a colazione intima, ancora un ministro di Gabinetto. Tutti, indistintamente, tranne quelli che avevano seguito il Filhrer al «fronte», si mostravano accasciati e tristi come sotto il peso di una sciagura. E devo aggiungere che, persino fra i nemici di Ribbentrop, ho trovato chi, pur naturalmente dando anche a lui la responsabilità che gli spettava, ha chiaramente detto che l'estremo sviluppo era stato, puramente e semplicemente, voluto dal Filhrer. Questi era pronto ad arrivarvi in settembre. Ne fu trattenuto dal solo Mussolini. Questo è ormai evidente a tutti.

Ma, se può ancora essere prematuro misurare gli effetti dell'azione tedesca nel quadro della politica generale, credo tuttavia che sia già tempo per fare qualche considerazione limitata al solo quadro dei rapporti italo-tedeschi. L'Italia ~a parte la sua partecipazione ali' Asse ~non era soltanto firmataria degli accordi di Monaco. ma ne era stata il fattore determinante. L'Italia non era soltanto firmataria dell'arbitrato di Vienna ma ne era stata, non meno che a Monaco, la forza preponderante. Porre nel nulla e Monaco e Vienna e ciò senza alcuna consultazione preventiva (e per giunta nel momento in cui l 'Italia aveva già ingaggiato una partita diplomatica ~di fondamentale importanza ~con la Francia, e rendendosi quindi conto che tutte le ripercussioni dell'azione tedesca avrebbero potuto risolversi ai nostri danni immediati più che ai danni della Germania), non era lecito. Dal 2 novembre in poi e dopo il tentativo ungherese del 20 novembre12 , fatto abortire soltanto per volontà tedesca, chi si era eretto a custode e vestale dell'arbitrato di Vienna, era stato Ribbentrop. Ed è egli stesso che, pur sapendo bene che noi ci eravamo posti contro Budapest sopratutto per solidarietà con Berlino--dà. da solo. il via. domenica sera 12. alla corsa dell'Ungheria in Ucraina senza dirci una sola parola e comunicandocelo soltanto ve[ltiquattro ore dopo. pro tanto facendo apparire a Budapest la concessione come dipendente dal solo placet della Germania. Ancora una volta, questo non era lecito E di ciò io son portato a dare maggiore responsabilità a Ribbentrop che non al Fiihr~r. perché se è questi che detta le linee della politica, è però il suo ministro degli Esteri che le eseguisce e che ha il dovere di contemperarle con i doveri e con gli obblighi dell'associazione italo-tedesca.

Io mi sono permesso di intrattenere subito in proposito l'E. V. in linea soltanto personale (mia lettera del 14 corrente) 13 . Ma ora reputo, dopo matura riflessione,

34012 Riferimento alla progettata azione ungherese nella Rutenia Subc::trpatica sulla quale si vedano i documenti pubblicati nel volume decimo di questa serie. 13 Vedi D. 302.

mio dovere di farlo ufficialmente. Una chiarificazione fondamentale, a mio rimesso avviso, sembra necessaria in primissimo luogo, sulla assoluta uguaglianza dei diritti e dei doveri che incombono alle due parti dell'Asse. Mi sembra specialmente necessario chiarire in maniera inequivoca la portata ed il valore che da parte tedesca si attribuisce al più elementare dei doveri reciproci e cioè quello della informazione e della consultazione. Come pure mi sembra indispensabile chiarire se sia veramente detto che, non solo la Francia e l'Inghilterra, Paesi politicamente e geograficamente fuori Asse, ma anche l 'Italia debba considerarsi come definitivamente esclusa dai Balcani, all'Italia essendo riservata soltanto l'acqua del Mediterraneo. lo penso agli sforzi sovrumani -i nostri negoziatori informi-no-sostenuti per avere dalla Germania del legname, soltanto perché questa, impossessatasi dell' Austria, considera ora come graziosa concessione quello che prima era un nostro diritto. Io penso a quello che deve aver provato il nostro Addetto Militare Generale Marras, quando gli è stato, senza neanche una parola di speciale riguardo o cortesia. semplicemente «notificato» l'obbligo imposto a tutti gli Addetti Militari di non avvicinarsi in questi giorni a più di 120 chilometri (quasi Lipsia) dalla frontiera cecoslovacca.

Una chiarificazione, fondamentale, ripeto sembra a mio rispettoso avviso indispensabile per l 'avvenire stesso del! 'Asse e prima ancora che se ne stringano ulteriormente in un quadro -a due o a tre che sia -gli obblighi ed i legami.

Una occasione propizia per questa chiarificazione mi parrebbe preliminarmente offerta dalla prossima visita di Goring a Roma, che è da augurarsi possa avvenire già il 4-5 aprile anziché il 15-16. Dopo, sembra a me che sarebbe semplicemente doverosa una visita in Italia di Ribbentrop, in modo che egli possa rendersi esatto e diretto conto dei precisi sentimenti ed intendimenti del Duce e della E.V. Dopo, finalmente, potrebbe anche aver luogo quella visita in Italia che Io stesso Fiihrer ha mostrato finora di desiderare14•

ADDENDUM 2197. Berlino, 19 marzo 1939.

Nel mio rapporto di ieri n. 02184 a pag. 4 laddove indico gli elementi che mi inducono a fissare fra il sabato e la domenica ( 11-12 marzo) e comunque non prima di sabato, la data della decisione prima del Fiihrer, ho omesso di ricordare che giove

34014 Il documento ha il visto di Musso lini.

Sulle reazioni di Mussolini, vi sono del Diario di Ciano queste annotazioni:

«( 18 marzo) Lungo colloquio col Duce, durante il quale riesaminiamo e aggiorniamo il Discorso della Corona. Esprimo con chiarezza al Duce le mie preoccupazioni nei confronti di Berlino: sono cresciute a dismisura da quando ho avuto la prova della slealtà teutonica. Ma egli mi sembra ancora orientato in senso favorevole all'Asse, né riesco a smuoverlo prospettandogli l'eventualità di un assorbimento tedesco dell'Ungheria. Dice che anche in tal caso non reagirebbe. Ha redatto di persona l'articolo di fondo del Giornale d'Italia nel quale sostiene che quanto ha fatto la Germania era logico e che noi, in caso analogo, avremmo fatto del pari».

«( 19 marzo) Lungo colloquio col Duce. Ha meditato molto su quanto dicemmo nei giorni scorsi e conviene sulla impossibilità di presentare adesso al popolo italiano un'alleanza con la Germania. Si rivolterebbero le pietre».

dì 9 corrente, il Cancelliere aveva, a tutti i ministri del Reich da lui convitati a banchetto per quella sera, annunciato che domenica sera sarebbe partito per Vienna a celebrare il l o anniversario dell' Anschluss. Ciò mi è stato assicurato da ben tre ministri da me incontrati successivamente.

Del resto che Vienna fosse già pronta a ricevere il Fuhrer è di pubblica ragione. Posso ancora aggiungere che la situazione era rimasta la stessa a tutto venerdì l O, giacché la partenza del Fuhrer per Vienna mi veniva confermata proprio la sera del lO dal capo della Cancelleria S.E. Lammers che incontrai ad un pranzo.

In ogni caso, quindi, la prima decisione del Fuhrer non può essere anteriore a sabato 11.

Va infine rilevato che anche a sabato 11 rimontano le prime segnalazioni di movimenti di truppe del resto ordinati -inizialmente -ad ogni buon fine e senza implicare necessariamente l 'una o l'altra azione specifica.

Prego considerare il presente addendum come parte integrante del mio rapporto di ieri sopra citato.

339 2 Riferimento al Trattato di amicizia tra Bulgaria e Turchia del 18 ottobre 1925 (testo in MARTENS, vol. XX, pp. 345-349).

340 1 Manca l'indicazione della data di arrivo.

340 2 Vedi D. 277.

340 8 Vedi D. 89.

341

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 1282/157 R. Berlino, 20 marzo 1939, ore 14,40 (perv. ore 15,40).

Bojano mi riferisce che dai suoi contatti con questo ministero Propaganda gli risulta che qui sono piuttosto preoccupati dalle dichiarazioni che il Duce si prepara a fare il 26 corrente e che comunque l'idea di possibili complicazioni belliche a proposito della Tunisia riesce qui assai poco gradita.

342

L'AMBASCIATORE A PARIGI, GUARIGLIA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. S.N.D. 1285/43 R. Parigi, 20 marzo 1939, ore 15,20 (perv. ore 17,35).

Lavai mi ha fatto sapere di aver conferito ieri personalmente con Daladier facendo vive insistenze per aprire conversazioni con l'Italia circa nostre rivendicazioni, dato che a tali conversazioni, secondo quanto afferma lo stesso Lavai, sarebbe favorevole 1'80 per cento dei senatori, mentre il resto non sarebbe ostile ma soltanto scettico circa risultati.

Lavai ha detto a Daladier che egli non sarebbe alieno dal recarsi a Roma privatamente assumendo a suo rischio e pericolo inizio tali contatti, beninteso previa assicurazione di poter parlare col Duce. Lavai ha inoltre chiesto Daladier limiti in cui governo francese sarebbe disposto arrivare n eli 'accogliere nostre rivendicazioni. Daladier si sarebbe riservato dargli una risposta al più presto.

Lavai ha tratto impressione piuttosto favorevole dal suo colloquio con Daladier.

Lavai, infine, mi ha fatto dichiarare che egli si rende ben conto che queste eventuali conversazioni circa questioni italiane non dovrebbero assolutamente implicare qualsiasi interferenza nei rapporti italo-tedeschi e tanto meno costituire tentativo cambiamento politica Asse 1•

343

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, GUARIGLIA

T. S.N.D. 207/89 R. Roma, 20 marzo 1939, ore 22.

Vostro 43 1• Fate sapere a Lavai che, pure apprezzando sue intenzioni, non si ritiene utile un suo viaggio a Roma che avrebbe automaticamente un carattere pubblico e pubblicitario. Se il governo francese intende farci sapere alcunché, preferiamo si valga del naturale mezzo: cioè d eli'ambasciatore di Francia accreditato a Roma.

344

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. SEGRETO 1295/160 R. Berlino. 20 marzo 1939, ore 22,09 (perv. ore 22.45).

Stamane Ribbentrop ha visto ministro Affari Esteri Lituania arrivato da Roma, al quale è stata posta la questione di Mcmel come appresso: la popolazione di Memel ,> ermai assolutamente decisa ritornare alla Germania. Governo tedesco ha d'altra parte prove che lo stesso Stato Maggiore lituano è tàvorevole ad una soluzione paciìÙ.:a della questione basata sulla retrocessione della città alla Germania a condizione cne questa garantisca interessi lituani, sia per quanto riguarda il porto, sia per quanto riguarda le istituzioni lituane di Memel.

343 1 Vedi D. 342.

Governo tedesco -ha detto Ribbentrop -desidererebbe vivamente poter decidere questione amichevolmente nel senso di cui sopra e deciderla in tempo, prima cioè che -magari 25 corrente, giorno della convocazione della Dieta -un improvviso proclama di indipendenza dal capo dei tedeschi di Memel, Neumann, metta il governo lituano in imbarazzo, costringendolo magari a resistenze annate che potrebbero portare anche qualche eccidio di tedeschi, che naturalmente Hitler non tollererebbe. Meglio quindi risolvere la questione di pieno accordo fra i due Paesi prendendone occasione per fame il punto di partenza per lo stabilimento di relazioni durature e feconde.

Ministro esteri partito per Kaunas a riferire. Si attende che egli ritorni qui da un momento all'altro per trattare 1•

342 1 Il documento ha il visto di Mussolini. Si veda per il seguito il D. 343.

345

IL MINISTRO A BELGRADO, INDELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. S.N.D. 4296/5 I P.R. Belgrado, 20 marzo 1939, ore 21,05 (perv. ore 23,25).

Non appena ricevuto il telegramma di V.E. n. 46 1 mi sono recato dal Principe Reggente a cui ho fatto testualmente la comunicazione prescrittami. Egli mi ha pregato di rendenni interprete presso il Duce e presso V.E. della sua commossa gratitudine per questa prova effettiva di un'amicizia di cui egli sente nel particolare momento tutto il valore e la capitale importanza. Anche egli desidera la più stretta collaborazione italo-jugoslava, convinto come è che l'Italia è il Paese più sinceramente e direttamente interessato all'unità nazionale jugoslava. Mi ha accennato alle sue preoccupazioni. sopratutto per la zona del confine sloveno. Non aveva finora impressione che l 'azione separatista avesse presa realmente pericolosa sulla massa croata. Il consiglio del Duce lo ha peraltro profondamente impressionato e si propone seguirlo scrupolosamente pur non nascondendosi la difficoltà di trattare rapidamente e conclusivamente con un uomo sfuggente e variabile quale è Macek. Ho qualche motivo di ritenere che il Principe conti sopra una resipiscenza dei croati in seguito alla gravità del pericolo che gli ultimi avvenimenti fanno apparire. Il che sembra che effettivamente sia. Dal modo col quale mi ha parlato dell'azione tedesca, il Reggente mi è sembrato fortemente influenzato da Londra. Mi ha peraltro detto che il tono dell'ultimo discorso di Chamberlain2 sarebbe stato più ammissibile se pronunciato da Hitler3 .

344 1 Per il seguito si vedano i DD. 360 e 367. 345 1 Vedi D. 336. 2 Riferimento al discorso pronunciato da Chamberlain il 17 marzo a Birmingham. Su di esso si veda il D. 355, nota 3. 3 Il documento ha il visto di Musso lini.

346

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. S.N.D. URGENTISSIMO 1308/159 R. Berlino, 20 marzo 1939, ore 21,49 (perv. ore 23,45).

Mio fonogramma n. 123 1 .

Avendo Giappone rinunziato inciso aggiuntivo 2 , firma del Protocollo adesione Spagna potrà avere luogo 22 corrente. Occorre munire d'urgenza nostro ambasciatore a S. Sebastiano pieni poteri per firma del Protocollo.

Segretario d'ambasciata giapponese parte stasera per San Sebastiano, latore testi giapponesi.

Invio per corriere testo spagnolo, concordato a San Sebastiano con governo spagnolo3.

347

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. SEGRETO 2223/659. Berlino, 20 marzo 1939 (perv. il 24).

Il Gr. Uff. Renzetti mi informa che una personalità tedesca gli ha dichiarato che con la occupazione della Boemia e Moravia sono cadute in mano alla Germania armi e munizioni di tipo modernissimo bastevoli per 500.000 uomini: verranno impiegate per completare le dotazioni dell'esercito tedesco. Detta personalità gli ha poi citato l'alto valore e la capacità produttiva delle officine di Viscowitz, le quali impiegano 18-20.000 operai e posseggono forti depositi di materie prime oltre a compartecipazioni ad aziende minerarie svedesi.

A Renzetti sono poi state chieste notizie su quanto è stato concluso a Varsavia tra il ministro Ciano ed i dirigenti polacchi 1• Sulle impressioni riportate in

2 La decisione giapponese era stata comunicata dall'ambasciatore Auriti con T. 1243/218 R. del 18 marzo. 3 L'atto di adesione della Spagna al Patto Anticomintern fu sottoscritto il 27 marzo a Burgos. Il testo è in MARTENS, vol. XXXVII, pp. 331-333. 347 1 Vedi D. 252.

conversazioni da lui avute in questi ultimi giorni. egli ritiene che qui si nutra risentimento verso la Polonia. Si torna inoltre a parlare, sia pure senza pronunciare minaccie o definire piani precisi, della necessità per la Germania, di riavere Memel, il Corridoio polacco. Si riconosce da alcuni che è necessario compensare la Polonia, darle uno sbocco sul mare; si accenna da altri, sia pure in maniera molto vaga, sul «mosaico polacco», sulla possibilità di un suo rimpicciolimento. Quest'ultima idea trova i suoi aderenti fra coloro i quali desidererebbero una intesa tedesco-russa.

Sono tutte queste null'altro che idee, desideri, che non hanno ancora trovato una definizione concreta e pratica, desideri, di cui anzi si parla sottovoce e con molta prudenza. Renzetti aggiunge che, pur essendo vero che Hitler fino a poco tempo fa ha manifestato la sua ferma avversione a trattare con la Russia, è altrettanto vero che ora la Germania, scomparsa la Cecoslovacchia, amica della Russia, con le sue 40 divisioni (cifra fornita dai Tedeschi), accorciati e migliorati sensibilmente i propri confini, si trova in condizioni tali da non più temere basi russe o russofile sul proprio fianco e quindi in situazione diversa da quella di pochi mesi fa. Questo fatto potrebbe indurre Hitler a modificare le proprie intenzioni verso la Russia. Tutte queste idee ed intenzioni prendono sempre maggiore consistenza man mano che si nota il peggioramento delle relazioni tedesco-inglesi.

Renzetti riferisce pure che altra personalità tedesca gli ha detto che realmente Goring ignorava la data della occupazione della Boemia. Per quanto si sapesse già da tempo che tale occupazione avrebbe dovuto aver luogo un giorno o l'altro, l'ordine di marcia alle truppe avrebbe costituito una sorpresa per tutti2 .

346 1 Con fonogramma 1090/123 R. del 14 marzo, l'ambasciatore Attolico aveva comunicato che, a seguito di colloqui avuti con von Weizsacker e con lo stesso von Ribbentrop, era stato deciso di invitare il Giappone a rinunciare alla sua richiesta di inserire nell'atto di adesione al Patto Anticomintern della Spagna un riferimento al Manciukuò e all'Ungheria e di insistere a Tokio perché fossero accelerati i tempi della decisione, così da consentire che la firma avesse luogo entro il giorno 23.

348

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 2225/661. Berlino, 20 marzo 1939 1•

Telecorriere di V.E. n. 4266 del 17 marzo2 .

Ho l'impressione che, mentre anche per Danzica la situazione sia matura, d'altra parte qui si desideri non precipitarla per cercare di risolverla d'accordo con Varsavia, il Fiihrer tenendo a cercare di non alterare le relazioni tedesche con la Polonia.

347 2 Il documento ha il visto di Musso lini. 348 1 Manca l'indicazione della data di arrivo. 2 Non rintracciato.

349

L'AMBASCIATORE A SALAMANCA, VIOLA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 1778/412. San Sebastiano, 20 marzo 1939 (perv. il 25).

La generale animosità contro la Francia non accenna qui a calmarsi. La pennanenza delle navi rosse a Biserta e le difficoltà fatte dalla Francia alla loro partenza (mio telegramma per corriere n. 041 odierno )1 irritano questi ambienti ufficiali, i quali non si spiegano le ragioni per cui la Francia, dopo di aver riconosciuto la proprietà delle navi stesse al governo Nazionale, adotti nei riguardi di questo un trattamento diverso da quello a suo tempo adottato da Francia e Gran Bretagna nei riguardi del noto cacciatorpediniere Diaz cui fu permesso di lasciare successivamente Brest e Gibilterra, a riparazioni eseguite. È infatti noto che il Diaz fu lasciato uscire da Gibilterra per ben due volte, ed il fatto che esso si trovi tuttora colà, è dovuto soltanto all'attacco del Volcém che lo mise fuori combattimento costringendolo a rientrare nel porto.

La stampa continua a pubblicare articoli nettamente ostili, con titoli come i seguenti: «che cosa intende la Francia per ripresa di relazioni?»; «La Francia prende il nostro bestiame, si appropria dei nostri autocarri, trattiene la nostra squadra e lascia diramare dichiarazioni apocrife». Quest'ultimo accenno si riferisce alla pubblicazione da parte di alcuni giornali francesi, fra cui il Journal del 17 corrente, di alcune dichiarazioni che l'Alto Commissario al Marocco Spagnolo avrebbe fatto al conispandente francese di un giornale marocchino. In esse il Colonnello Beigbeder, dopo aver esaltato la figura del Maresciallo Pétain, ed averne fatto il simbolo del riavvicinamento franco-spagnolo avrebbe assicurato che in caso di guena fra Francia e Italia, la Spagna di Franco non si lascerebbe trascinare in un 'avventura, specialmente per l'ostilità esistente in Spagna contro l'Italia stessa.

L'esistenza di queste dichiarazioni è recisamente smentita da un comunicato datato da Tetuan e pubblicato da tutti i giornali; e la smentita stessa mi è stata confermata anche al Ministero degli Affari Esteri ed alla Direzione della Stampa.

Nel frattempo il Maresciallo-Ambasciatore è ancora a San Sebastiano, da dove non si è ancora mosso neppure per la normale prima visita di carattere personale al ministro degli Esteri. Questo fatto è generalmente noto e congruamente commentato. Si sa infatti che il Maresciallo intendeva presentare le credenziali nel più breve termine possibile ed anzi aveva espresso il desiderio di farlo appunto oggi, 20 conente. Da parte spagnola si è osservato non esservi ragione di precipitare la presentazione stessa nel caso attuale, quando, in condizioni normali, non interconono mai meno di 15 giorni fra l'arrivo di un Ambasciatore e la presentazione delle lettere. Effettivamente la ragione sarebbe che il Generalissimo non intenderebbe ricevere l'Ambasciatore di

Francia fino a quando il governo francese non abbia consentito alla restituzione delle navi ex-rosse e non sia risolta la questione della effettiva restituzione del materiale bellico portato in Francia dalla Catalogna. Fino ad oggi in ogni modo non si è fissata alcuna data per la presentazione in parola ed è voce corrente che Pétain sia assai urtato da questo stato di cose. Frattanto, a quanto mi risulta, si sono approntati i testi dei discorsi che verrebbero scambiati i quali avrebbero un tono assolutamente protocollare e non conterrebbero alcuno spunto di carattere particolare.

Nel complesso, non si può certo dire che la personalità scelta dal governo francese abbia finora contribuito ad una distensione. Dallo stato di cose, del resto prevedibile, che ho avuto l'onore di esporre, potrebbe forse la nostra stampa trarre qualche spunto favorevole ai nostri fini generali.

Per quanto riguarda la composizione dell'ambasciata di Francia, questa risulta comprendere, come ho già riferito, un Generale Capo di S.M. (Vauthier), un Capitano aiutante, un Consigliere (Gazel, che a questa ambasciata di Germania sarebbe noto come particolarmente avverso a Italia e Germania), tre segretari e tre addetti (militare, navale e aeronautico).

349 1 T. per corriere 1374/041 R. del 20 marzo. Riferiva che il governo francese aveva rifiutato di consegnare ai Nazionali le navi della Marina spagnola internate a Biserta, come previsto dagli accordi Bérard-Jordana, allegando il motivo che ciò sarebbe stato disapprovato dal Comitato di non intervento in quanto avrebbe costituito una fornitura di materiale bellico alla Spagna Nazionale.

350

L'AMBASCIATORE A MOSCA, ROSSO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. RISERVATO 1212/517. Mosca, 20 marzo 1939 (perv. il 27).

Mio telegramma odierno n. 31 1• Aggiungo qualche maggiore particolare a quanto ho telegrafato circa la mia conversazione odierna con Litvinov.

Il nostro incontro ebbe luogo casualmente ad un ricevimento del ministro di Lituania (che lascia Mosca fra qualche giorno per fine di missione), e poiché il Commissario del Popolo si mostrava incline a parlare con me della situazione politica, gli ho chiesto le sue impressioni personali sui recenti avvenimenti.

Litvinov si richiamò in proposito alla Nota 2 di risposta al governo tedesco, la quale indicava chiaramente l'attitudine dell'U.R.S.S.

Gli chiesi allora se realmente egli vedeva la possibilità di una pronta riunione della ventilata conferenza internazionale. Litvinov rispose che non poteva ancora dirlo, ma che «tosto o tardi una conferenza delle Potenze pacifiche diventava inevitabile». Egli era assolutamente convinto che la Germania non si sarebbe fermata alla conquista della Cecoslovacchia, e che «altri Paesi, compresa l'Italia, avevano motivo di preoccuparsi dei piani tedeschi anche più dell'U.R.S.S.».

Obiettai a ciò, per quanto ci riguarda, la politica dell'Asse, ma Litvinov osservò che l'Asse sembrava funzionare soltanto nell'interesse della Germania, la quale agiva per proprio conto, senza neppure interpellare Roma.

Contestai tale affermazione, dicendo che l'Italia era certamente stata informata degli sviluppi della situazione in Cecoslovacchia.

Litvinov non se ne mostrò persuaso, aggiungendo risultargli anzi in modo sicuro che l'occupazione di Praga ed il protettorato tedesco su Boemia e Moravia erano stati una sorpresa per Roma.

Avendo io espresso forti dubbi in proposito, Litvinov insistette dicendo: «Lo so, perché lo ha dichiarato lo stesso Conte Ciano». Non volle, o non poté, dirmi tuttavia a chi V.E. avrebbe fatto una dichiarazione del genere.

Litvinov passò poi a parlare dell'ultimatum tedesco alla Romania, affermando che le pretese avanzate dal delegato commerciale tedesco a Bucarest avevano realmente avuto un carattere ultimativo. Obiettai a ciò la smentita formale emanata dallo stesso governo romeno, ma Litvinov spiegò tale smentita come risultato di ulteriori pressioni fatte da Berlino, quando il governo tedesco si era reso conto di essere andato troppo avanti. Che un ultimatum però ci sia stato -ha osservato Litvinov -è provato dal fatto che il ministro di Romania a Londra ha creduto necessario rivolgersi a Londra per chiederne l'appoggio (vedi mio telegramma n. 27 dell9 marzo 1939)3 .

Litvinov vede l'intera situazione europea con marcato pessimismo, ma affetta una completa tranquillità per quanto possa concernere l'U.R.S.S.

350 1 T. 1298/31 R. del 20 marzo. Riferiva in modo più sintetico sul colloquio con Litvinov oggetto di questo documento. 2 Vedi D. 337.

351

COLLOQUIO DEL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, CON L'AMBASCIATORE DI GERMANIA, VON MACKENSEN1

APPUNTO. Roma, 20 marzo 1939.

Ricevo l'Ambasciatore di Germania il quale in relazione al colloquio del 17 marzo2 mi comunica quanto segue:

l) Conferma che la Germania non ha alcuna mira in nessuna zona del Mediterraneo, che è considerato dal Fuhrer mare italiano. 2) La Germania smentisce qualsiasi voce di suo interessamento alle cose croate. Il problema non riguarda comunque il governo e il popolo tedesco. 3) Prende nota delle dichiarazioni dell'Italia che non può disinteressarsi di eventuali modifiche dello statu quo in Croazia. Aggiunge che come l'Italia si è disio

2 Vedi D. 325.

teressata della questione cecoslovacca che dalla Germania è stata risolta in rispondenza alle sue necessità ed ai suoi interessi. così se sorgerà la questione croata sarà il turno per la Germania di disinteressarsi al cento per cento di tale problema. !asciandone la soluzione all'Italia3 .

350 3 T. 1283/27 R. del 19 marzo. Riferiva risultargli che il giorno precedente l'ambasciatore di Gran Bretagna si era recato da Litvinov e a nome del suo governo aveva chiesto quale sarebbe stato l'atteggiamento dell'Unione Sovietica qualora la Germania avesse compiuto un'azione di forza contro la Romania. Litvinov aveva risposto in modo evasivo.

351 1 Ed. in L 'Europa verso la catastrofe, pp. 419-420.

352

NOTA DI EDIZIONE

Il 20 marzo, l'ambasciatore Attolico fu ricevuto da Hitler, alla presenza di von Ribbentrop. Per il contenuto di questo importante colloquio occorre basarsi sul promemoria redatto dall'interprete Schmidt (in DDT, vol. VI, D. 52) in quanto non risulta che Attolico abbia riferito per iscritto, probabilmente perché, essendo proprio sul punto di partire per Roma, intendeva riferire in proposito di persona e anche perché da parte tedesca gli era stata promessa copia del promemoria di Schmidt (vedi ibid., nota l).

In effetti, il 22 marzo Attolico fu ricevuto da Mussolini come risulta dal Diario di Ciano che così annotava sotto quella data: «Accompagno Attolico dal Duce, il quale era oggi nuovamente irritato con la Germania sotto la sferza pungente della stampa francese che non perde occasione per esasperare la sua suscettibilità personale. Attolico ha riferito a lungo sulla situazione e sui suoi colloqui con Ribbentrop e con Hitler. Lo ha fatto con sagacia e onesto coraggio. Ha molto sottolineato che la Germania non desidera essere trascinata in una guerra per le ragioni che Hitler ha così precisato: gli armamenti non sono pronti e lo saranno solo fra due anni; manca la marina da guerra; il Giappone, troppo impegnato, non può dare aiuto efficace. Ha però detto che, se una crisi sorge, la Germania ci appoggia ugualmente. Infine, ha messo in rilievo la necessità di mettere i puntini sulle «i» nei rapporti reciproci, dato che i tedeschi stanno slittando, talvolta senza accorgersene, dal piano della potenza a quello della prepotenza e potrebbero urtare i nostri interessi. Il Duce ha vivisezionato la situazione odierna, anche in relazione allo spirito pubblico italiano ed ha concluso che per continuare nella politica dell'Asse bisogna fissare gli obiettivi della rispettiva politica, stabilire le zone d'influenza e d'azione dei due Paesi, far riassorbire dalla Germania gli alloglotti dell'Alto Adige. Si propone di indirizzare una lettera personale a Hitler, dicendo anche che certi avvenimenti rappresentano dei colpi non indifferenti al suo personale prestigio».

A Roma, Attolico ebbe anche-il24 marzo-un colloquio con l'ambasciatore von Mackensen che, su istruzioni di von Ribbentrop, gli chiese di confrontare il contenuto del promemoria di Schmidt (di cui non diede copia) con quanto l'ambasciatore italiano ricordava del colloquio avuto con Hitler, allo scopo evidente di evitare equivoci circa quanto era stato dichiarato dal Cancelliere tedesco. In questa occasione,

Su questo colloquio si veda anche quanto riferiva l'ambasciatore von Mackensen in DDT. vol. VI,

D. 45.

Attolico fece presente che Mussolini era rimasto profondamente irritato per essere stato messo di fronte al fatto compiuto e quindi anche nell'impossibilità di preparare l'opinione pubblica ad un avvenimento che per di più era in contrasto con il principio di non incorporare nel Reich popolazioni non tedesche, principio più volte enunciato da Hitler e sottolineato da Mussolini nella sua Lettera a Runciman. L'ambasciatore von Mackensen chiese anche su quali basi Attolico aveva potuto affermare che Mussolini «doveva fare qualche cosa» e Attolico replicò che si basava sull'opinione largamente diffusa a Roma che era giunto il momento anche per l'Italia, con le sue rivendicazioni nei confronti della Francia, di trarre qualche vantaggio dall'Asse. Sul colloquio si veda DDT, vol. VI, D. 87 e allegato; negli archivi italiani non è stata trovata documentazione in proposito.

351 3 Il documento ha il visto di Mussolini.

353

COLLOQUIO DEL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, CON L'INGEGNERE CARNELUTTI

APPUNT01• Roma, 20 marzo 1939.

Il giorno 20 ma[rzo ricevo /'i]ngegnere Camel[utti] che mi pres[enta una lettera] credenziale firmata dal [dot]t. Macek, [Presidente del Partit]o contadino croato. L'ingegnere Cam[elutti è incaricato di] esprimermi il punto di vista di Ma[cek sulla situazione] attuale in Croazia e di avanzarmi le [sue richieste. Le djichiarazioni dell' ing. Carnelutt[i possono venire co ]sì riassunte:

l) Macek, [il suo par]tito e il popolo croato in genere so[no antitedeschi. Qualora l'Italia non intenda occuparsi [direttamente della] questione croata, e qualora Bel[grado ader]isse alla proposta di Confederazione, i croati [prefe]riscono continuare la convivenza con Belgrado piuttosto che mettersi sotto la protezione di Berlino. Ma se Belgrado rifiuta le concessioni richieste e se l'Italia non intende prendere parte attiva allo [sv]iluppo della [s]i[tua]zione croata, i Croati si rivolgeranno alla Germania. Camelutti stesso è incaricato, se la missione a Roma tàllisce, di rivolgersi diretta[mente] a H[itler] chiedendo per la Croazia un regime ana[/ogo a que]llo fissato per la Slovacchia: autonomia completa protettorat[ o t]ed[esco] senza però permanente occupazione milita[re germanica].

2) Ciò prem[esso i Cro]ati chiedono all'Italia [quanto] segue:

a) eserci[tare pressione] su Belgrado affinché venga accett[ ata la proposta di] trasfmmare la Jugoslavia in una [confederazione al] fine raccogliere tutti i Croati [(come dali 'apposita ca]rta annessa) in una sola prov[incia ...............]ata e con la nomina di un Govern[atore] cui [vengano] affidati tutti gli affari tra[ nne la po]liti ca [ ester]a e finanziaria che rimane in [comune] con la Serbia. Tale soluzione è però di caratt[ ere pro]vvi

sorio. Serve ai Croati a costituire il pr[o p rio es ere ]ito. Dopo due o tre anni, proclamazion[e dell'indi]pendenza e unione all'Italia come verrà di seguito esposto;

b) se Belgrado non accetta è intenzione del dottor Macek proclamare l'indipendenza affrontando la reazione militare serba. Ciò dovrebbe avvenire verso i primi dell'autunno, a meno che le condizioni generali non impongano di accelerare il movimento. Le masse contadine cro[ate] sono tutte armate e organizzate e capaci di oppo[rr]e una prima resistenza alle truppe [serb]e pu[r preveden ]do che alla fine soccomberebbero se [las]ciate s[ ol]e di fronte alla organizzazione militare di Belgrado. È in questa fase che Macek si propone di chiedere l'intervento militare italiano per difendere l'indipend[enza c ]roata. Qualora l 'Italia ritìutasse si riv[olgerebbe a] Berlino;

c) de[ .............. ]ne italiana che incontrerebbe certame[ n te tutta la poten]za dell'esercito [ser]bo ma che sarebbe i[ n gran partefac]ilitata dal favore della popolaz[ione croata, con ri]serva però sull'atteggiamento d[egli Sloveni, si pr]oclamerebbe solennemente a Zaga[bria l'indipendenza] della Croazia costituita a R[egno sotto la tempor]anea presidenza di Macek. Co[ntemporaneamente verre]bbe data la notizia di un'alle[anza tra Roma e Zagabr]ia in termini analoghi a quelli [già concretati tr]a l'Italia e l'Albania, con in [più l'u]nione doganale e l'unione monetaria. Dop[ o un periodo] non troppo lungo -uno o due anni -si [potre]bbe arrivare all'unione personale della Croazia con l 'Italia, proclamando Vittorio Emanuele III Re di Croazia.

3) Macek chiede che fin da ora in una pubblica manifestazione del Duce-discorso o scritto -venga fatto cenno alla simpatia che corre tra Roma e Zagabria nonché all'influenza della cultura italiana e del[la] religione di Roma su tutta la Croazia. Ciò potrebbe [ser]vire come mezzo di pressione per fare aderire Belgrado alle richieste croate.

Mentre ho riser[ ba t o la risp ]osta sui primi due punti dopo avere con[sultato il Duce] ho subito risposto negativamente per [quanto riguarda i]l terzo punto. Ho aggiunto anche all'i[ng. Carnelutti] che in questi giorni noi abbiamo di nostra iniziativa esercitato pressioni su Belgrado perché ad[erisca alla federazione] con Zagabria2 .

Riferito [di tutto ciò al Duce.] Egli mi ha dato ordine di com[ unicare al! ']ing. Carne lutti:

l) [Che a Roma si vedrebbe con] favore l'accordo tra Belgra[do e Zagabria sulla base d] ella Contèderazione, tanto più [che non vi sarebbe il tempo] sufficiente per preparare la r[ealizz]az[ione di un pro]gramma massimo di richieste fra [Belgrado e Za]gabria.

2) [Qual]ora i negoziati fallissero e la Croazia insorge[sse contr]o Belgrado, l'Italia ne difenderà con le armi l'indipendenza, [se espressamente richiesta] 3 .

3 Negli archivi non è stata trovata documentazione del colloquio che, sulla base di queste istruzioni, Ciano ebbe poi con l'ingegnere Camelutti. In proposito vi è nel Diario di Ciano questa annotazione sotto la data del 21 marzo: «Conferisco con Camelutti e gli dico: l) cercate l'accordo con Belgrado, se non altro per guadagnare tempo; 2) se ciò fallirà e insorgerete, noi, chiamati dal governo croato, interverremo; 3) astenetevi da ogni contatto con Berlino e preavvisateci in tempo delle vostre azioni».

354.

IL MINISTRO DEGLI ESTERI TEDESCO, VON RIBBENTROP, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

LETTERA PERSONALE2 . Berlino, 20 marzo 19393•

Dopo il mio ritorno da Praga e Vienna desidero utilizzare la prima ora libera innanzi tutto per ringraziarvi sentitamente de li'atteggiamento pieno di comprensione e di amicizia, che il vostro governo ha tenuto nei riguardi degli ultimi avvenimenti. È mia ferma persuasione, che la nostra azione, la quale ha procurato calma e ordine definitivi alla frontiera sud-orientale del Reich, significa un importante rafforzamento dell'Asse Roma-Berlino e che questo mostrerà sempre più chiaramente in corso di sviluppo la sua efficacia. Che il rapido svolgimento dell'azione ed il suo risultato siano stati per voi, come avete ultimamente fatto conoscere al signor von Mackensen, in un certo senso una sorpresa posso capirlo agevolmente. Le decisioni del Ftihrer hanno dovuto, quando nelle ultime settimane le cose si sono acutizzate in modo sorprendente anche per noi, esser prese molto rapidamente e senza possibilità di lunghi preparativi. Ho tuttavia, per quanto era possibile sotto la spinta degli eventi turbinosi, tenuto sempre al corrente l'Ambasciatore Attolico e, a Praga, sono stato lieto di potere informare diffusamente il vostro ex-ministro in quella sede.

Inoltre mi preme però oggi informarvi in modo assolutamente chiaro e inequivocabile sul nostro punto di vista nella questione croata che avete menzionato al signor von Mackensen. Conoscete la decisione del Fiihrer, che in tutte le questioni del Mediterraneo la politica dell'Asse dev'essere determinata da Roma, e che pertanto la Germania non farà mai in Paesi mediterranei una politica indipendente dall'Italia.

Questa decisione del Fiihrer sarà sempre una legge immutabile della nostra politica estera. Come anche il Duce si è disinteressato della Cechia, così siamo noi disinteressati nella questione croata e, comunque, agiremmo in questa direzione solo in strettissima unione con i desideri italiani. Fu perciò una completa sorpresa che a questo riguardo vi fossero giunte all'orecchio, a quanto mi comunica il signor von Mackensen, voci d'altro tenore ed ho subito indagato personalmente per determinare dove queste voci potessero essere basate. Ho così stabilito che circa quattro settimane fa alcune personalità croate hanno avuto contatti a Berlino con un organo non ufficiale e cercato di venire a conoscere da esso qualche cosa di più preciso sull'atteggiamento tedesco. Questo organo non ufficiale non ha lasciato ai visitatori croati il più piccolo dubbio che a questo riguardo non v'è alcuna possibilità di attività tedesca indipendente e che per di più l'atteggiamento tedesco sarà determinato dalle intenzioni e dai desideri italiani. Questo e altri dettagli ho comunicato oggi verbalmente ad Attolico prima della sua partenza. Sarebbe forse possibile che i croati, come accade frequentemente nei viaggi di uomini politici di tal genere, avessero cercato di sondare anche un altro

organo irresponsabile. Indagherò su questo e troncherò una volta per sempre tutto ciò che possa dare occasione a false voci sulle intenzioni tedesche o ad equivoci.

Inoltre, ho oggi informato ATTOLICO ancora una volta dettagliatamente su tutte le questioni attuali 4 e sono stato altresì con lui dal Fiihrer5 , che anche da parte sua, per il Duce e per Voi, ha preso posizione sulle questioni che principalmente interessano l'Italia.

Vi sarei molto grato se voleste portare il contenuto di questa lettera anche a conoscenza del Duce e trasmetterGli i miei più devoti saluti.

353 1 Il documento è danneggiato dall'umidità.

353 2 Vedi DD. 336 e 345.

354 1 Ed. in L 'Europa verso la catastrofe, pp. 420-422. 2 Si pubblica qui la traduzione conservata nelle carte di Gabinetto. Per I' originale tedesco si veda DDT, vol. VI, D. 55. 3 La lettera fu consegnata dali 'ambasciatore von Mackensen a Ciano il 21 marzo.

355

IL PRIMO MINISTRO BRITANNICO, CHAMBERLAIN, AL CAPO DEL GOVERNO, MUSSOLINI

LETTERA. Londra, 20 marzo 1939.

Last September I made an appeal to you, to which you responded at once 1 . As a result peace was preserved, to the relief of the whole world.

In the criticai situation which has arisen from the events oflast week, I feel impelled to address you again. You will remember that, in the course of that visit to Rome last January which I shall always recollect with deep satisfaction and pleasure, you asked me whether I had any points which I wished to raise with you. I replied that there was one which was causing me considerable anxiety. I had heard many rumours that Herr Hitler was planning some new coup, and I knew that he was pushing forward his armament production though I could see no quarter from which he was in the slightest danger of attack. You then expressed the opinion that Herr Hitler wanted peace in which to fuse together the Greater Reich, and that you did not be lieve that he had any new ad venture in mind.

Whatever may have been his intentions then, he has in fact carried out a measure which appears to be in complete contradiction to the assurances he gave me 2 . You will ha ve noted from my speech of the 17th of this month3 the view that I take of this

3 [J 17 marzo, Chamberlain aveva pronunciato a Birmingham un discorso-che aveva avuto larghissima eco-in cui aveva denunciato la malafede di Hitler, il quale, dopo aver più volte assicurato che non era sua intenzione includere nei confini del Reich popoli diversi da quello tedesco e dichiarato che una volta annessi i sudeti la Germania non avrebbe avuto altre ambizioni territoriali in Europa, ora non aveva tenuto fede alle sue assicurazioni e aveva violato quegli accordi di Monaco ai quali aveva apposto la sua firma. Chamberlain aveva quindi posto due interrogativi di fondo: quale fiducia si poteva riporre in altre assicurazioni provenienti dalla stessa fonte e quale era il significato da assegnare a questo nuovo colpo di forza, se cioè andava considerato come la fine di una vecchia avventura oppure come parte di un tentativo per dominare il mondo, con la forza. Ed aveva concluso che sarebbe stato il più grave errore possibile credere che, siccome il popolo britannico considerava la guerra una cosa crudele e senza senso, non avrebbe resistito con tutte le sue forze a tale sfida se fosse stata fatta. li testo del discorso è in Relazioni Internazionali, pp. 227-228.

Dalle carte d'archivio non risulta che l'ambasciatore Grandi, dopo avere trasmesso a Roma il testo del discorso (fonogramma 12411117 R. del 18 marzo), abbia fatto seguire un commento.

new and most disturbing move, which has created the most profound resentment in this country and elsewhere.

What above all has impressed everyone h ere is the implication of this departure from the principles laid down previously by the Gerrnan Govemment inasmuch as for the first time they have incorporated in the Reich a large non-Gerrnan population. Does this mean that the events in Czechoslovakia are only the prelude to further attempts at contro l of other States?

If it does I foresee that sooner or later, and probably sooner, another major war is inevitable. It is inconceivable that any country should want such a war, but if the alternative before the other States of Europe is that one by o ne they are to be dominated by force they will assuredly prefer to fight for their liberties.

You will I know realise that I do not seek to interfere with the Rome-Berlin axis. I fully understand that that is regarded as a fixed part ofyour foreign policy. But I have always believed that peace could be established provided that no one Power was determined to dominate all the others. What has now happened has raised the gravest doubts as to whether this condition is present. Fresh moves in the same direction would turn those doubts into certainties.

You told me that your policy was one of peace and that you would at any time be willing to use your influence in that direction. I eamestly hope that you may feel it possible, in any way that may be open to you, to take such action in these anxious days as may allay present tension and do something to restore the confidence that has been shattered4 .

354 4 Di questo colloquio non è stata trovata documentazione, salvo che per la parte relativa ai contatti da parte tedesca con i croati (vedi D. 366). 5 In proposito si veda la Nota di edizione D. 352. 355 1 Vedi serie ottava, vol. X, D. 198. 2 Riferimento al colloquio Hitler-Chamberlain del 30 settembre 1938 a Monaco (vedi BD, vol. II, D. 1228) e alla dichiarazione comune sottoscritta in quell'occasione (in DDT, vol. II, D. 676).

356

IL MINISTRO A TIRANA, JACOMONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. S.N.D. 1335/26 R. Tirana, 21 marzo 1939, ore 20,30 (perv. ore 23,30).

Comunicato Stefani che smentisce voci intervento militare ha rallegrato il Re e gli ambienti politici più vicini.

Nella quasi totalità della popolazione notizia è stata invece appresa ieri con vero dolore. Fiducia nell'Italia rimane viva malgrado intensa azione svolta dal governo jugoslavo [ ......... )1 del dominio pubblica opinione.

Riferirò diffusamente per corriere2 .

In realtà, la risposta di Mussolini (vedi D. 430) fu consegnata tramite l'ambasciatore Lord Perth prima del!' azione in Albania, il lo aprile. 356 1 Nota dell'Ufficio Cifra: «Gruppo giunto incompleto nel testo in cifra». 2 Il documento ha il visto di Mussolini.

357.

L'AMBASCIATORE A V ARSAVIA, ARONE, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 1331/65 R. Varsavia, 21 marzo 1939, ore 23 (perv. ore l del 22). Mio telegramma n. 581 .

Perdura vivissima reazione antitedesca questa opinione pubblica contro avvenimenti settimana scorsa.

Uomini politici di differenti partiti invitano governo rivedere propria politica estera; tutti concordano, poi, nel proclamare ferma decisione difendere fino ali 'ultimo integrità territoriale polacca qualora venisse minacciata.

Questo ministro Affari Esteri mantiene contegno calmo e riservato pur non nascondendo proprie preoccupazioni ed intensificando contatti con Londra. Presenza a Varsavia di Hudson2 ha offerto opportunità per manifestazione di simpatia anglo-polacca.

Viaggio di questo ministro degli Affari Esteri a Londra, preannunziato per primi mese prossimo, acquista, nelle attuali circostanze, speciale importanza che viene qui posta in rilievo.

355 4 Circa l 'accoglienza riservata da Musso lini a questa lettera, vi è nel Diario di Ciano la seguente annotazione sotto la data del 23 marzo: «Chamberlain ha inviato una lettera al Duce. Espone le sue preoccupazioni per la situazione internazionale e chiede l'opera del Duce per ristabilire la fiducia e assicurare la pace. Mussolini risponderà dopo il colpo albanese: la lettera lo conferma nella sua idea di agire poiché in essa trova un'altra prova dell'inerzia delle democrazie».

358

IL MINISTRO A BUCAREST, GHIGI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 1340/78 R. e 1342/79 R. Bucarest, 21 marzo 1939, ore 18,15 (perv. ore 5,30 del 22).

Richiesta iniziale romena Budapest astenersi occupare parte Ucraina Subcarpatica; successive richieste noti villaggi ferrovie e preparativi militari romeni, da un lato; atteggiamento ungherese; dimostrazioni per Transilvania, dall'altro, sono venute determinando fra governo Bucarest e Budapest situazione nella quale si avvertono elementi tensione. Per quanto riguarda governo romeno si nota anzitutto senso preoccupazione e delusione.

Dopo viaggio a Varsavia 1 , Gafencu sperava che soluzione questione Ucraina potesse offrire base negoziati con Ungheria. Per effetto precipitare avvenimenti, inazione Polonia, atteggiamento ungherese, incertezza iniziale su intenzioni tedesche,

2 Il segretario parlamentare del Dipartimento d'Oltremare del ministero del Commercio britannico era giunto in visita a Varsavia il 19 marzo e il giorno successivo era stato ricevuto da Beck insieme all'ambasciatore Kennard (si veda BD, vol. IV, D. 447). 358 1 Del4-6 ottobre. Vedi DD. 266, 270 e 273.

non è riuscita né negoziare con Budapest benevolo atteggiamento romeno, né ottenere successo molto desiderato per ragioni interne.

D'altra parte, questo governo ritiene ormai difficile entrare negoziati con Budapest, temendo che governo ungherese intenda proporre scambio zone romeno-ucraine con qualche parte territorio romeno abitato da romeni. Tale eventualità è respinta da governo romeno in quanto integrità territoriale forma base essenziale regime di dittatura instaurata dal Re, cui mancherebbero comunque autorità, popolarità e seguito sufficiente per imporre Paese revisione frontiera.

Di tale situazione manca finora chiara indicazione esteriore perché stampa si mantiene sostanzialmente corretta, ministro Affari Esteri affetta calma e ottimismo e parola d'ordine stampa è che Romania non desidera alcun ingrandimento territoriale. Opinione pubblica è per altro scossa e disorientata ed a ciò hanno contribuito notizie sensazionali da Londra Parigi e misure militari romene che hanno comportato numerosi richiami alle armi.

Stato delle cose sopra accennato favorisce indirettamente possibilità governo tedesco che si adopera intanto consolidare stragrande preponderanza economica che, specie dopo annessione Boemia, gli è più che mai assicurata in questo Stato.

Risulta che delegato tedesco Wohlthat ha concretato progetto accordo secondo cui Romania dovrebbe organizzare sua economia agricola per esportazione, secondo fabbisogno germanico, assicurando al Reich fornitura materie prime e specialmente petrolio in modo continuativo e sicuro e garantendo acquisto determinati prodotti industriali.

È molto probabile che progetto Wohlthat sia accolto da questo governo, forse anche in giornata dato grande peso politico ed economico che preme a suo favore, a meno che governo britannico, assecondato da questi ambienti finanziari ebraici, non riesca a contrastare azione germanica, sia giungendo ad influire sul mutevole animo del Re, sia dichiarandosi disposto ad assumere con Francia impegni politici verso questo governo.

Per quanto mi concerne, non ho elementi per rendermi esattamente conto di quali ripercussioni l'aumentato peso economico e quale altra eventuale azione britannica potrà avere su nostra penetrazione in Romania, né se vi sia opportunità accordarsi direttamente al riguardo con governo tedesco.

È da ritenere che probabile accoglimento progetto Wohlthat gioverebbe da un lato assicurare rifornimenti essenziali ali' Asse in caso di guerra, ma pregiudicherebbe dall'altro, quanto meno, nostre prospettive future in questo Stato.

Per parte romena, disposizioni di questo governo ci permangono, come noto, tendenzialmente favorevoli e sebbene Gafencu mostri rendersi conto che recentissima, cauta, condizionata conversione Romania nei riguardi nostri, in confronto con nostri rapporti con Germania e Ungheria, offre allo stato delle cose molte possibilità, non ha mancato anche in questi giorni ripetere noto prudente atteggiamento da me più volte riferito2 .

359.

IL MINISTRO A BUDAPEST, VINCI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 1373/064 R. Budapest, 21 marzo 1939 (perv. il 23).

Mio telegramma n. 93 del 16 marzo1•

A maggiore precisione di quanto scrivevo col mio telegramma n. 83 del 15 marzo2 , secondo la versione che mi venne esposta nella mattina di quel giorno da questo ministro di Germania, fino a lunedì 13, egli non sarebbe stato a conoscenza delle decisioni del governo tedesco, né in merito alla questione principale, né in merito all'atteggiamento della Germania circa la questione rutena.

Secondo il signor Erdmannsdorff, il ministro di Ungheria a Berlino sarebbe stato domenica sera 12 marzo, convocato in udienza dal Fiihrer che gli avrebbe comunicato il suo pensiero in proposito. Nella mattinata di lunedì 13, il signor Szt6jay era giunto a Budapest in aeroplano, accompagnato da un funzionario della Auswàrtiges Amt; da quest'ultimo egli era stato allora informato dello stato delle cose (una prova indiretta di ciò potrebbe essere trovata nel fatto che il consigliere di questa legazione di Germania, signor Werkmeister venne a salutarmi nel pomeriggio di sabato 11 comunicandomi di essere chiamato a Berlino alla direzione degli Affari Economici e di dover partire entro lunedì (ho già riferito con mio telegramma per corriere n. 0563 quanto egli mi disse); solo lunedì si seppe che egli aveva rimandato la sua partenza, ed effettivamente è ancora qui).

Secondo Erdmannsdorff, dunque, sarebbero stati il funzionario del ministero Affari Esteri tedesco e Szt6jay ad informare il governo ungherese delle decisioni del Reich, mentre egli aveva avuto soltanto istruzioni di appoggiarne l'azione nel senso di consigliare il governo ungherese ad agire immediatamente e con risolutezza, per non far nascere complicazioni politiche.

Corsero voci, che il ministro di Germania mi ha confermato senza che io gliene chiedessi, che anzi siano sorte obiezioni e difficoltà d'ordine tecnico sopratutto da parte del capo di Stato Maggiore generale Werth, il quale, a quanto pare, aveva espresso parere contrario a prendere misure immediate con le poche truppe ungheresi presenti sul posto. Furono Csàky e Teleki, di cui Erdmannsdorff mi ha elogiato l'energia, che avrebbero deciso di passare subito all'azione trovando l'immediato consenso del Reggente, malgrado la scarsezza delle truppe che si trovavano alla frontiera: quanto a ciò, è esatto che solo venerdì l 7 il grosso delle forze ungheresi poteva essere concentrato verso la Rutenia, come ha dettagliatamente esposto giorno per giorno R. Addetto Militare al R. Ministero della Guerra e come ho anch'io informato l'Eccellenza Vostra.

2 T. 1153/83 R. del 15 marzo. Riferiva le dichiarazioni del ministro di Germania qui riportate.

3 Vedi D. 286, nota 4.

Se pure egli non sia entrato negli stessi dettagli, il ministro degli Affari Esteri (mio telegramma n. 93 del 16 marzo) si è espresso con me nel senso che tale sia effettivamente stata la genesi degli avvenimenti.

357 1 Vedi D. 306.

358 2 Il documento fu inviato in visione a Mussolini.

359 1 Vedi D. 317.

360

L'INCARICATO D'AFFARI A BERLINO, MAGISTRATI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. SEGRETO 2259/673. Berlino, 21 marzo 1939 (perv. il 24).

Come ho comunicato a V.E. col mio telegramma n. 164 di oggi 1 , è venuto a vedermi questo ministro di Lituania, signor Skirpa, il quale aveva ricevuto ieri istruzioni dal suo ministro degli Affari Esteri, signor Urbsys, di far giungere all' E.V. ogni opportuna informazione nei riguardi delle conversazioni da lui avute a Berlino con il signor von Ribbentrop circa Memel.

Von Ribbentrop aveva già ieri, in proposito, dato a S.E. Attolico le principali notizie circa quanto è stato discusso, notizie contenute nel telegramma di questa R.Ambasciata n. 1602 .

Il signor Skirpa mi ha sostanzialmente confermato il contenuto, aggiungendo, però, che la domanda chiara ed inequivoca della retrocessione immediata, e cioè prima della convocazione della Dieta di Memel fissata per sabato, 25 corrente, è giunta al signor Urbsys, se non inaspettata, certo in forme così chiare da non essere prevedute. Von Ribbentrop, dopo avere accennato alla circostanza che la retrocessione porrebbe i rapporti tra Lituania e Germania su una base del tutto nuova e potrebbe far nascere una politica di reciproca fiducia e comprensione, ha tenuto però senza ambagi a dichiarare che «qualora la risposta di Kaunas dovesse essere negativa e qualora dovesse versarsi sangue tedesco, la decisione sarebbe affidata ai militari, i quali non possono crearsi limiti alla propria azione». Parole chiare queste, alludenti ad una eventuale immediata invasione della Lituania.

Il signor Urbsys, dichiaratosi nella impossibilità di dare risposta immediata al quesito, è ripartito in serata per Kaunas dove oggi il Consiglio di Gabinetto deciderà sul da farsi.

Questo ministro di Lituania, nel farmi conoscere quanto sopra, ha aggiunto, in via personale, che il governo lituano, qualora dovesse decidersi per una risposta affermativa, sarebbe vivamente grato al governo di Roma, se esso potesse, in via amichevole, intervenire presso il governo di Berlino perché tutte le numerose questioni legate con la retrocessione (liquidazione di indennità, risarcimento di somme

spese per le migliorie portuali, ecc.) venissero risolte in spirito di amicizia e con soddisfazione del governo di Kaunas.

Da quanto ho compreso nel corso della conversazione con il mio interlocutore, il ministro degli Esteri lituano è partito facendosi poche illusioni sulla eventualità di una resistenza. La cosa che pare averlo maggiormente preoccupato è la considerazione che anche una retrocessione immediata non eliminerebbe del tutto il pericolo di un qualche incidente capace di «versare sangue tedesco» e provocare quindi un intervento armato germanico. Chi potrebbe infatti escludere che, nelle ultime giornate di tensione locale e durante la ritirata dei reparti militari e di polizia lituani, non si verificassero incidenti del genere. In questo caso il sacrificio lituano, consistente nella accettazione integrale della richiesta tedesca, sarebbe praticamente del tutto vano ...

Il ministro di Lituania prega di mantenere sulle informazioni suddette il più assoluto riserbo senza fare apparire, ad ogni modo, che esse provengono direttamente da fonte competente lituana, e ciò per evitare reazioni da parte tedesca3 .

360 1 T. 1322/164 R. del 21 marzo, non pubblicato. Riferiva in questi stessi termini sul colloquio avuto da Magistrati con il ministro di Lituania. 2 Vedi D. 344.

361

L'INCARICATO D'AFFARI A SOFIA, DANEO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 1447/626. Sofia, 21 marzo 1939 (perv. il 25). Miei telegrammi 34 e 35 del 16 e 17 corrente1 .

Ho già riferito all'Eccellenza Vostra sulle prime ripercussioni in Bulgaria del colpo di forza tedesco in Cecoslovacchia; ancor oggi, a sei giorni di distanza, l'opinione pubblica ed i circoli dirigenti appaiono disorientati, timorosi da un lato per il minaccioso profilarsi della Germania nel medio e basso Bacino danubiano, vagamente speranzosi dall'altro che in un nuovo ordine di cose possano trovare qualche soddisfazione anche le rivendicazioni nazionali bulgare.

L'incertezza ed il disorientamento sono tanto maggiori in quanto Kiosseivanov ed il suo seguito non sono ancora rientrati dal viaggio ad Ankara2 , ed il direttore generale per gli Affari Politici, ministro Altinov ha soltanto oggi ripreso il suo posto dopo oltre un mese di permanenza all'Aja ove si era recato per patrocinare gli interessi del governo bulgaro di fronte alla Corte Internazionale nella nota causa intentata dalla Società Elettrica Belga (mio telecorriere n. 022 del 13 febbraio scorso?. In loro

2 Del 17-19 marzo. Su di esso si vedano i DD. 339 e 405. 3 Non pubblicato.

assenza al Ministero degli Esteri ha regnato il più assoluto disordine e non è stato possibile mantenere il benché minimo contatto.

Ma se le indicazioni dirette sono mancate, si è ugualmente avuta la sensazione che la Bulgaria abbia sentito e senta la gravità dell'ora, forse decisiva per i suoi destini.

Per quanto le manifestazioni studentesche, fomentate da quegli elementi social-democratici che nel passato avevano largamente attinto alla borsa di questo ministro di Cecoslovacchia, non debbano essere sopravalutate, sta il fatto che la scomparsa di uno Stato slavo per opera del «tradizionale nemico» delle genti slave ha impressionato profondamente il Paese: e non è mancato qualche nostalgico accenno alla sicurezza di cui i popoli Slavi godrebbero se la Gran Madre Russia fosse in grado di proteggerli.

Tuttavia, le parole pronunziate ad Ankara da Kiosseivanov e Refik Saydam sulla solidarietà balcanica e sulla esclusione di ogni ingerenza straniera nella Penisola, non hanno valso a rincuorare eccessivamente gli animi. Esse sono troppo simili alle dichiarazioni del Consiglio dell'Intesa Balcanica\ e nulla in sostanza hanno portato di nuovo. Anche i progetti ventilati dalla stampa franco-britannica, e raccolti da alcuni deputati dell'opposizione (mio telegramma n. 35 del 17 corrente) su di un blocco di Stati nordici e sud-orientali per opporsi all'avanzata germanica nell'Europa orientale, non hanno incontrato il favore che i loro promotori attendevano, perché comporterebbero la rinuncia alle aspirazioni nazionali proprio nel momento in cui esse potrebbero almeno in parte realizzarsi.

Se, dunque, la Romania, come il suo atteggiamento fino ad oggi fa credere, non vorrà mutilarsi di una parte sia pur minima del suo territorio, nessun governo bulgaro potrà sentirsi così forte da sfidare l'impopolarità dell'alleanza romena, neppure sotto lo spettro della minaccia tedesca.

Ciò non toglie, ripeto, che la gravità di questa minaccia non sia sentita, specie dopo le pressioni, più o meno tendenziosamente conclamate dalla stampa antigermanica ma certamente effettive, subìte dalla Romania nel corso delle attuali trattative commerciali con il Reich, anche se l'economia bulgara, come questa Regia Legazione ha più volte riferito, sia già pressoché totalmente vincolata alla Germania. È a questo punto che, timorosa dello strapotere tedesco ma al tempo stesso desiderosa di non allontanarsi dali' orbita dell'Asse entro la quale soltanto spera ottenere soddisfazione, buona parte dell'opinione pubblica sembra rivolgere lo sguardo direttamente a Roma, di dove potrebbe venire la parola decisiva. E questo tanto più oggi in quanto Belgrado, già passaggio obbligato della politica estera di Sofia, sembra aver perso, dopo la caduta di Stojadinovié e la riapertura della crisi croata, molta della sua influenza in Bulgaria.

Quanto ho qui sopra esposto all'Eccellenza Vostra, corrisponde nelle grandi linee alle fluttuazioni che, in mancanza di indicazioni più precise di fonte governativa, mi è sembrato poter desumere dalle opinioni correnti in questi circoli politici. Esse sono peraltro avvalorate dall'intensificato ritmo della preparazione militare che è, finora, tutta tesa esclusivamente al confine dobrugiano ed ha carattere più offensivo che difensivo.

Al prossimo ritorno di Kiosseivanov sarà forse possibile avere più chiare indicazioni di quella che sia per essere la linea politica che la Bulgaria vorrà seguire. Arbitro comunque di ogni decisione rimane sempre ed esclusivamente il Re, i cui intendimenti l'Eccellenza Vostra avrà avuto modo di conoscere durante la Sua recente visita a Roma5•

360 3 In calce al documento vi è il seguente post scriptum autografo di Magistrati: «Durante la conversazione Ribbentrop-Urbsys non si è fatto accenno allo "Statuto" e ai suoi firmatari». Si veda per il seguito il D. 367.

361 1 T. 1202/34 R. del 16 marzo e T. 1238/35 R. del 17 marzo che riferivano sulle reazioni dell'opinione pubblica bulgara di fronte all'azione tedesca in Cecoslovacchia in termini analoghi a quelli usati nel presente documento.

361 4 Nella sua riunione del20-22 febbraio.

362

L'AMBASCIATORE AD ANKARA, DE PEPPO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 579/312. Ankara, 21 marzo 1939 (perv. il 29?).

Mi riferisco al mio telegramma del 16 corrente n. 221•

L'emozione provocata dall'ultima crisi centro-europea nonché calmarsi si è acuita nei giorni scorsi. Come i microbi trovano l'ambiente più favorevole alla loro diffusione negli agglomeramenti degli individui, così le voci allarmistiche e le false notizie si sono propagate con impressionante facilità nelle riunioni di uomini politici e di diplomatici dovute alle manifestazioni in onore di Kiosseivanov, ospite di Ankara2. La sera del 18 corrente in un ricevimento all'Ankara P aiace, essendosi sparsa la voce di un ultimatum commerciale inviato dalla Germania alla Romania, l'ambiente era addirittura di panico. Anche Kiosseivanov nel colloquio che ebbe con me mi accennò a tale notizia che io fui in grado di smentire per aver ascoltato poche ore prima il notiziario della Radio di Roma.

I più agitati tra i diplomatici esteri qui accreditati sono il ministro di Ungheria, Mariassy, e l'incaricato di affari di Polonia3 .

Il primo, se pur manifesta soddisfazione pel raggiungimento delle aspirazioni ungheresi, non nasconde la paura di un'invasione tedesca dell'Ungheria che incomincerebbe con una richiesta di unione doganale. E partecipa questi suoi sentimenti a tutti. Il secondo si fa tramite non richiesto delle più allarmanti notizie e delle più catastrofiche previsioni ripetendo all'uno quello che ha creduto sentire dall'altro. I più turbati sono i Francesi (se è vero quanto mi è stato riferito, l'ambasciatore Massigli dava per certo che l'Italia avrebbe immediatamente attaccato la Francia). I più preoccupati sono i Romeni e gli Jugoslavi. Stoica, nuovo ambasciatore di Romania, è

2 In visita ufficiale dal 17 al 19 marzo. Vedi DD. 339 e 405.

3 Z. Szczerbinski.

qui alle sue prime visite di presentazione eppure con mancanza di tatto veramente notevole diffonde l'allarme e vanta la resistenza attiva che il suo Paese si propone di opporre ad ogni tentativo contro le sue frontiere o la sua indipendenza. Il ministro di Jugoslavia non fa che ripetermi che soltanto una intima intesa fra l'Italia e la Jugoslavia può salvare i due Paesi dalla minaccia tedesca, e, benché abbia ricevuto da Belgrado telegrammi che lo assicurano della perfetta calma con la quale sono colà seguiti gli avvenimenti e da me amichevoli inviti a considerare con maggiore serenità e senso di realtà la situazione, sostiene che non ha ragione di tranquillizzarsi perché gli risulta che la Germania esercita le più forti pressioni sul suo Paese per accaparrarne il commercio anche a scapito dell'Italia.

Riferisco gli atteggiamenti e le opinioni di questi miei colleghi soltanto se e perché possano eventualmente servire a controllare le posizioni dei governi che rispettivamente rappresentano.

Il ministro degli Esteri, Saracoglu, mi ha riparlato della situazione europea chiedendomi con vivo interesse quali notizie avessi sul suo sviluppo ed insistendo sul concetto che la Germania ha dimostrato di voler abbandonare il principio etnico per prendere senz'altro possesso di Paesi che o servono alla sua espansione verso SudEst o costituiscono importanti centri di rifornimento.

A tutti, e specialmente a Saracoglu, ho fatto comprendere che nella mia qualità di rappresentante di una delle Potenze de Il' Asse non potevo che rallegrarmi di tutto quanto accresce I' efficienza de Ila Germania, sopra tutto pensando agli iperbolici programmi di armamenti dell'Inghilterra e della Francia, armamenti di cui lo scopo non può sfuggire a nessuno.

La stampa turca dopo la sorpresa del primo momento ha attaccato in coro l'argomento. La tendenza generale è di disapprovazione del gesto della Germania e di timore per possibili ulteriori sviluppi. Ma il tono è piuttosto moderato e sopratutto si vuoi tranquillizzare l'opinione pubblica, escludendo la possibilità che la Turchia entri in un conflitto per le lusinghe dell'uno o deii'altro gruppo di Potenze e invitando all'unione interna ed interbalcanica. Riassumo i principali commenti.

Il Tan osserva che la Francia e l'Inghilterra finché non erano direttamente minacciate non presero sul serio la politica della sicurezza collettiva; adesso auspicano la formazione di un nuovo fronte democratico. In altro articolo segnala il pericolo che corrono Ungheria e Romania per il fatto di trovarsi sulla strada del Mar Nero verso cui la Germania discende e afferma che il primo colpo di fuoco alla frontiera rumena può provocare I' incendio in tutta l 'Europa. Il Vakit fa notare che l'occupazione della Cecoslovacchia da parte tedesca è la risposta alle dichiarazioni del ministro della Guerra inglese circa il contributo della Gran Bretagna in una guerra sul continente, e aggiunge che se l'Italia vi ha acconsentito è perché ha ricevuto la promessa di altri compensi. L'ufficioso Ulus osserva che la morte della Cecoslovacchia fu senza onore ... «che un Capo di Stato vada a gettarsi ai piedi del nemico per sollecitarlo d'occupare il proprio Paese è un avvenimento che non ha simili che nella storia ceca» ... «un popolo che non sa affrontare la morte non ha diritto di vivere». Lo stesso argomento, che non è concepibile una nazione che non difenda la sua esistenza, è sviluppato dalla République (Cumhuriyet) che vi aggiunge un nuovo spunto ... «dopo tutto se la Cecoslovacchia si fosse difesa non poteva capitarle peggio di quello che oggi le capita».

In un altro articolo dal titolo «Ed ora verso una guerra mondiale!» lo stesso giornale, dopo aver stigmatizzato la fine della Cecoslovacchia che urta la morale internazionale e distrugge ogni base del diritto, confermato da impegni e ammesso dalle tradizioni, scrive che oramai non c'è più nulla da fare se non che attendere i risultati della guerra inevitabile ... «La psicologia della situazione impedisce all'Italia di rimanere a mani vuote» ... «il prestigio stesso del Regime vi si oppone» .. e continua dilungandosi sui piani e sui teatri della futura guerra. In un successivo articolo ribadisce il concetto che fra la forza dinamica della Germania e la forza di resistenza dei Paesi che la circondano l'urto è fatale. L'Aksam vede nell'ultimo colpo della Germania la prova che questa si prepara alla guerra e perciò vuole disporre di un Paese ricchissimo di materie prime e di fabbriche d'armi ed essere padrona di tutto il Danubio.

Ma l'Asse deve servire anche ali 'Italia ... «un proverbio turco dice: quando uno mangia e l'altro guarda, la catastrofe è vicina». L'Yeni Sabah osserva che mentre il Reich agisce, le grandi Potenze democratiche bombardano discorsi articoli e dichiarazioni e non c'è ancora indizio che la loro pazienza sia a termine ... «la goccia che farà traboccare il vaso non è ancora versata». In altro articolo, riferendosi all'ipotesi ventilata che gli Stati dell'Occidente farebbero appello ai Balcani per costituire una barriera contro la Germania che vada dal Baltico al Mediterraneo, esorta i Balcani a non cadere sotto gli artigli di nessuna grande Potenza ma ad assicurare la loro salvezza sostenendosi fra loro ed unendosi in gruppo serrato. Quest'ultimo concetto è ripreso dal San Posta il quale scrive che a coloro che dicono «venite a noi» i turchi devono rispondere armandosi e respingendo tutte le lusinghe; mentre i cinque Stati balcanici devono unirsi fra loro per costituire una grande forza.

361 5 Re Boris di Bulgaria, che si era recato a Roma per le nozze della principessa Maria di Savoia, si era incontrato il 25 gennaio con Mussolini e il giorno successivo con Ciano. Su questi colloqui non è stata trovata documentazione ma nel Diario di Ciano vi è, a proposito del colloquio del 26 gennaio, questa annotazione: «[Re Boris] vuole la Dobrugia, sopratutto perché all'interno vi è molta agitazione irredentista. Ha parlato anche dello sbocco sull'Egeo, ma ha detto che considera ciò la seconda tappa delle rivendicazioni bulgare».

362 1 Vedi D. 313.

363

L'AMBASCIATORE A BUENOS AIRES, PREZIOSI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 1226/581. Buenos Aires, 21 marzo 1939 (perv. iliO aprile).

L'Argentina ha seguito con attenzione ed inquietudine il viaggio a Washington del ministro degli Affari Esteri brasiliano, Aranha 1 .

Effettivamente, la convocazione in Nordamerica del Cancelliere brasiliano, avvenuta a poca distanza della Conferenza Panamericana di Lima e con il proposito dichiarato di trattare «cose molto importanti», non era proprio l'avvenimento più adatto per calmare le diffidenze argentine verso gli Stati Uniti ed il Brasile.

È nota la particolare sensibilità che l'opinione pubblica argentina dimostra per quanto possa significare da un lato un aumento di potenza del Brasile e dall'altro un rafforzarsi del predominio commerciale e politico degli Stati Uniti nell'America Lati

na. Nonostante le proteste di amicizia verso la «Repubblica sorella», sono infatti qui tutt'altro che sopite le ire sollevate dal noto progetto di affitto di navi da guerra nordamericane al Brasile, e, più recentemente, dalla missione del signor Theis, recatosi in Brasile con l'incarico ufficioso di collocarvi grano nordamericano, e soppiantarvi quindi le esportazioni granarie argentine.

È pertanto spiegabile come La Prensa, esponente massimo degli interessi dei grandi proprietari terrieri, coltivatori di grano ed allevatori di bestiame, abbia subito espresso il più vivo malumore con l'editoriale «invitaci6n llamativa» segnalato da questa Ambasciata con il telespresso n. 463/234 in data 18 gennaio u.s. (avente ad oggetto «invito di Roosevelt ad Aranha»f.

Lo svolgersi della visita è stato seguito con evidente nervosismo, fra congetture d'ogni sorta.

Si pensava infatti che le «cose molto importanti» accennate nel programma della visita dovessero rappresentare problemi interessanti direttamente o indirettamente anche altri Stati Americani: forse di quei problemi che erano stati messi da parte a Lima col solo scopo di scongiurare la temuta opposizione argentina. Si è fantasticato anche di alleanze militari, di nuovi armamenti brasiliani ecc.

Quando infine, il l Ocorrente, si è avuta notizia dei punti principali degli accordi conclusi, non è stato difficile scorgere, malgrado l'ipocrisia del linguaggio dei maggiori giornali, il prevalente malumore e la malcelata preoccupazione.

Nel complesso, questa stampa che, nel suo costante accanirsi contro i principi fascisti, è sovente ricorsa allo spauracchio di pretese intenzioni aggressive degli Stati totalitari verso l'America Latina, si è trovata questa volta presa nel proprio gioco, poiché ha dovuto riconoscere che la preparazione del terreno per questo nuovo passo verso un sempre maggiore asservimento del Brasile agli Stati Uniti si è basata appunto sulla pretesa minaccia della penetrazione economica e politica della Germania in Brasile.

A denti stretti, la stampa più importante ha cercato ugualmente di far buon viso agli accordi, in omaggio alla tanto vantata fraternità panamericana. Ha dichiarato, per esempio, che gli accordi sono di «grande soddisfazione» per l'Argentina, trattandosi di due nazioni amiche, con le quali si mantengono «tradizionali ed intimi vincoli di amicizia» e che probabilmente, migliorando le possibilità del Brasile, essi spianeranno la strada per l'approdo commerciale argentino-brasiliano, che è allo studio (La Nacion).

Oppure ha detto che l'Argentina, legata da vincoli di amicizia e di commercio con le due nazioni, non può che congratularsi per gli accordi stipulati, da considerarsi come una pratica realizzazione della cordialità panamericana affermata a Lima (La Prensa).

Ma la stessa Prensa soggiunge che, di fronte ai riflessi politici che si vogliono attribuire all'accordo facendolo apparire come contrario all'influenza commerciale degli Stati totalitari in Sudamerica, l'Argentina deve dichiarare che intende continuare la sua tradizionale politica di porta aperta e non ammettere un panamericanismo che conduca ali'isolamento continentale. L'Argentina desidera al contrario mantenere i migliori vincoli di amicizia con le nazioni europee e non può accettare accordi che implichino una restrizione nei suoi commerci e limitino la sua libertà di trattare con qualunque altro Stato.

Qualcuno dei piccoli giornali di destra si è espresso ancora più chiaramente: così il nazionalista Crisol, che col titolo «La combinazione tra gli Stati Uniti ed il Brasile è una minaccia per l'Argentina» ha detto senz'altro che il Nordamerica, sbandierando il fantasma della espansione degli Stati totalitari in Sudamerica, si è impadronito del Brasile, e che in questi accordi le mire imperialistiche nordamericane si riflettono come in uno specchio.

E queste sono, all'incirca, le opinioni che si raccolgono un po' dappertutto.

Ci troviamo così ancora una volta di fronte ad una reazione dell'Argentina contro quel «panamericanismo», che sarebbe voluto da Washington ad esclusivo proprio beneficio. Questa reazione, anche questa volta, non è andata al di là della solita formula: e cioè che l'Argentina, onde neutralizzare le mire nordamericane, non tralascerà di mantenere un piede in Europa. È noto infatti il principio che essa ha invariabilmente sostenuto nelle varie conferenze panamericane e con particolare impegno in quella recente di Lima; che ha ostentato con tutta l'azione svolta a Ginevra; e che affermò clamorosamente quando, il l 0 dicembre 1936, fece coincidere, con l'arrivo a Buenos Aires di Roosevelt per l'inizio della VII Conferenza Panamericana, la firma a Londra del trattato commerciale con l 'Inghilterra.

Tuttavia sarà bene aver presente che la suindicata linea di condotta argentina è ispirata, meno da considerazioni di carattere politico o sentimentale, che da convenienze economiche, e specialmente dalla gelosa cura di non pregiudicare in alcuna guisa i suoi mercati d'esportazione, che, come è noto, si trovano sopratutto in Europa.

363 1 Sulla visita del ministro Aranha a Washington si veda il D. 274.

363 2 Non pubblicato.

364

IL MINISTRO A TIRANA, JACOMONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

RAPPORTO RISERVATO PERSONALE 912/323. Tirana, 21 marzo 19391•

Ad ogni buon fine faccio a Vostra Eccellenza un breve resoconto del colloquio che per oltre due ore ho avuto ieri col Re.

Egli appariva sopratutto preso dalla ammirazione per quanto aveva compiuto la Germania e dall'idea che si avvicinasse il momento per lui di poter realizzare il suo sogno della occupazione del Kossovo jugoslavo.

Egli mi ha detto che se Roma decidesse una azione contro la Jugoslavia egli potrebbe, al momento in cui nostre divisioni fossero pronte a sbarcare in Albania, iniziare subito un'azione di bande che a suo avviso lo porterebbe in due giorni sino a Nis.

A questo riguardo il Generale Sereggi ha fatto capire a questo Addetto Militare che, in vista di prossimi avvenimenti internazionali, il Re potrebbe essere indotto fin d'ora a chiedere la presenza in Albania di truppe italiane.

Se noi non ritenessimo opportuno, ha continuato il Re, lo sviluppo di una azione militare contro la Jugoslavia, egli sarebbe a nostra disposizione per creare moti in Montenegro, nel Kossovo e in Macedonia. Nel Kossovo e forse anche in Bosnia egli era in grado di far scoppiare un moto in qualunque momento, e in breve tempo poteva farlo anche in Montenegro o in Macedonia; nel Montenegro egli riteneva ancora grande il prestigio della famiglia Petrovié e in Macedonia la gloria ed il terrore circondavano sempre il nome di Mihailoff.

Pur mostrando di seguirlo con interesse in questo suo piano gli ho richiesto di mantenere, almeno per il momento, immutati i suoi rapporti colla Jugoslavia e di limitarsi a mantenere vivo il carattere albanese delle popolazioni del Kossovo.

Egli mi ha assicurato, né credo potrebbe fare altrimenti, che questa sarebbe stata la sua condotta. Ma, pregando di trasmetteme l'espressione a Vostra Eccellenza, mi ha rinnovato la speranza che l'Italia avrebbe seguito al più presto la Germania nella sua azione in Europa orientale. affinché tutta l'attuale configurazione politica dei Balcani potesse cadere per dare luogo ad una federazione di Stati. posta sotto la protezione dell'Italia.

Venendo finalmente a parlare d eli' Albania il Re invia a Vostra Eccellenza i suoi vivissimi ringraziamenti per le nuove concessioni fattegli. Egli invierà al più presto a Roma il Generale Sereggi e spera che anche la sua missione gioverà a costituire fra i due Paesi una situazione che, pur salvaguardando la sovranità e l 'indipendenza de li'Albania, possa dare a noi piena soddisfazione. Malgrado queste assicurazioni ho avuto l'impressione che, ritenendo ormai di poter escludere un intervento militare italiano in Albania, il Re subisca un processo spirituale di ritorno ad una maggiore fiducia in se stesso.

Nello stesso colloquio ho consegnato a Re Zog la coppa che Vostra Eccellenza aveva voluto inviargli in occasione della prossima nascita di un figlio; egli se ne è dichiarato vivamente commosso e farà pervenire direttamente a Vostra Eccellenza l'espressione della sua gratitudine 2 .

364 1 Manca l'indicazione della data di arrivo.

365

IL PROFESSORE FAGIUOLI AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

RELAZIONE. Parigi, 21 marzo 1939.

Partito da Roma alle ore 18 di domenica, dopo il colloquio che ho avuto l'onore di avere con V.E. 1 sono giunto a Parigi ieri alle ore 14 e ho subito avuto un colloquio col signor Baudouin.

Il signor Baudouin, appena ricevuto il mio telegramma di domenica, col quale gli preannunciavo il mio arrivo, chiese un colloquio al signor Daladier e infatti, ieri stesso, venne ricevuto.

365 1 Vedi D. 335, nota 3.

Avendogli il signor Baudouin detto che aspettava la mia visita, il signor Daladier gli consegnò la nota che qui trascrivo e che è stata redatta, di pugno del signor Daladier alle ore 12 di ieri:

«20 Mars midi. Note du président Daladier à Mr. Baudouin.

Malgrè les déclarations qui vous furent faites à vous mème, !es violences de la presse italienne contre la France ont continué. Voyez les Relazioni Internazionali du 18 mars2 , le communiqué de l'Agence Stefani paru ce matin mème dans le Figaro3• Dans un te! climat, quelle que soit ma sincère volonté d'entente loyale avec l'Italie, il est exclu que la moindre négociation puisse s'ouvrir, surtout dans la forme de ces entretiens entre personnes bien intentionnées, mais irresponsables qui se généralisent depuis quelques jours. On a le droit de se demander si toutes ces démarches plus ou moins secrètes d'abord, rapidement révélées ensuite, comme ce fùt le cas de vos propres entrevues, n'ont pas pour but d'affaiblir le mora! de la France aujourd'hui heureusement porté à un degré très élevé.

Il est pour moi evident qu'aucune négociation ne peut s'ouvrir tant que le climat franco-italien n'est pas amélioré.

Tout depend du prochain discours du Roi et de celui de M. Mussolini.

S 'ils ouvrent une possibilité serieuse et sere in e de negociations et de contact, je la saisirai avec plaisir. Je ne ferai rien jusque là quoi qu'il puisse en résultem.

a) Le persone bene intenzionate ma irresponsabili sarebbero da individuarsi nel signor Lavai, che da qualche tempo riceve giornalmente l'Ambasciatore d'Italia nella sua villa. Lavai non è assolutamente persona gradita al governo. Baudouin ha aggiunto che anche Landini si reca spesso da Lavai.

b) Si domanda nel modo più formale che gli attuali pour-parlers rimangano veramente segreti.

Appena consegnatami questa nota, che ho ricopiato di mia mano, il signor Baudouin mi ha domandato cosa avevo da dirgli.

Gli ho risposto che avendo avuto un colloquio con VE. per riferire come da nota fatta dopo il colloquio con Baudouin, mi era stato dato ordine di venire a Parigi per sentire quali sono le basi concrete, secondo i francesi, di una eventuale trattativa franco-italiana. Per esser chiarissimo ho aggiunto, adoperando le parole stesse di V.E.: «Il tempo passa in fretta, gli avvenimenti incalzano, veniamo al fatto. Cosa siete disposto a darci?».

Il signor Baudouin ha immediatamente telefonato alla Presidenza del Consiglio e dopo pochi minuti è stato ricevuto dal signor Daladier.

3 La nota dell'agenzia Stefani rispondeva ad un giornale francese che aveva fatto distinzione tra l'annessione alla Germania dell'Austria e dei Sudeti, che poteva essere giustificata da motivazioni razziali, e il caso della Boemia, della Moravia e della Slovacchia, per le quali quella giustificazione non esisteva. «Le rivendicazioni italiane in Tunisia e su altri territori -si diceva nella nota -sono fondate, ali 'infuori della necessità di uno spazio vitale, sul bisogno legittimo di incorporare delle popolazioni di lingua e di cultura italiane. Perché si vorrebbe rifiutare all'Italia ciò che si giudica comprensibile e giustificato nel caso della Germania?».

Il signor Baudouin voleva accompagnarmi dal Presidente Daladier, ma l'ho pregato di dispensarmi. Ho aggiunto: «Il motivo fondamentale per il quale io non posso e non voglio venire dal Presidente è dato dal fatto che questi colloqui sono nati per Vostra iniziativa e io non ho fatto e non faccio che il portavoce, senza metterei niente di mio, neppure la mia presenza presso il Presidente».

Sono perciò rimasto nel suo ufficio ad attenderne il ritorno.

Nota consegnata alle ore 16,30 di ieri dal Presidente Daladier al signor Baudouin.

l. «le viens de décider le rappel d'une classe. Cette mesure militaire n'est en aucun degré dirigée con tre l 'ltalie et !es effectifs français le long des frontières italiennes ne seront pas renforcés».

II. «Le Gouvernernent Italien désire que l'Ethiopie puisse vivre gràce à une entente concernant le port de Djibouti età une entente concernant le chemin de fer. Je suis entièrement d'accorci pour que dans l'intérèt commun de la France et de l'ltalie la question du port de Djibouti et du chemin de fer de Djibouti à Addis-Abeba soit résolue suivant les conversations du début de Févriem.

III. Tunisie. «Cela continue à ètre le point le plus délicat. L'accorci de 1935 ayant été dénoncé4 , il peut ètre possible de considérer que l'accorci de 18965 continue à ètre en vigueur, étant entendu que !es deux Gouvernements remettraient à un peu plus tard, quand leurs opinions publiques seront apaisées, la recherche d'un nouvel accord permettant de remplacer celui de 1935».

IV. -«Le Gouvernement Française envisage en échange de demander certaines modifications à l'acte d'Algeciras»6 . V. -«Veuillez faire dire à M. Musso!ini que je suis prèt à faire engager des négociations des le début de la semaine prochaine à condition: que la presse italienne soit moins violente, plus mesurée, ceci dès les prochains jours.

Je me propose de mon c6té de prendre d'ici quelches jours un décret pour interdire dans la presse française les attaques contre les chefs d'Etat étrangers.

Je souhaite beaucoup, d'autre part, que dans son discours prochain le Roi d'Italie veuille bien marquer son désir de détente internationale et son désir de bons rapports avec les pays avoisinants l'ltalie.

Enfin, c'est le discours de M. Mussolini de dimanche prochain7 qui est de beaucoup le plus important. Certes, je ne lui demande pas de ne pas parler de l'axe Rome-Berlin, mais je souhaite qu'il ait des paroles (de raison et de sagesse) en ce qui concerne la discussion et la mise au point des intérèts franco-italiens 8».

VI. «Si, gràce à ces mesures, le climat franco-italien se trouve amélioré, je suis disposé à entamer des négociations dès le début de la semaine prochaine».

5 Convenzione italo-francese sulla Tunisia del 28 settembre 1896 (testo in Trattati e Convenzioni, vol. XlV, pp. 309-350).

6 Atto Generale di Algeciras del 7 aprile 1906 (testo in MARTENS, serie Il, vol. 34, pp. 238-298).

8 Nota del documento: «Rileggendo la nota prima di consegnarla al signor Baudouin, il signor

Daladier ha cancellato la frase "de raison et de sagesse" ed ha aggiunto, dopo le parole "des intérets franco-italiens", "qui me permettent d'entamer des négociations"».

li signor Daladier ha poi aggiunto a voce:

«Dites à Fagiuoli de dire à Rome que je connais personnellement le Comte Ciano, mais je connais beaucoup plus le Duce que j'ai connu à Munich et que j'ai pleine confiance. Dites lui que je lui donne ma parole d'honneur que dans !es 9 mois de mes pouvoirs je ferai beaucoup plus».

Ha sopratutto insistito sul discorso di domenica.

Ciò riguardo Tunisi, Suez e un trattato di commercio.

Note di carattere generale fattemi dal signor Baudouin.

a) In Francia si è convinti che la guerra è inevitabile e che, al primo nuovo passo della Germania, tutti marceranno. L'opinione pubblica è tutta concorde, dai comunisti agli uomini di estrema destra. Non c'è né entusiasmo né eccitazione, ma la volontà di finire una situazione che non può durare più a lungo. Tutti sono pronti a marciare e il morale è eccellente.

b) Il cerchio si va rapidamente stringendo. Belgio, Olanda, Romania, Jugoslavia, Polonia, più U.R.S.S., Turchia e Grecia, sono orientate su questa via.

c) Il Presidente Roosevelt ha inviato un messaggio riservato personale al presidente Daladier, assicurandolo dell'incondizionato appoggio dell'America. Tale messaggio è inviato a titolo personale, ma il Presidente Roosevelt dichiara che è sicuro che ciò corrisponde al sentimento dell'intera nazione americana.

d) L'Inghilterra ha fatto sapere non più tardi di ieri che non è opportuno per la Francia intavolare adesso trattative con l'Italia. Gli inglesi sono perfettamente al corrente della missione Baudouin del febbraio scorso.

e) In Francia si stanno prendendo tutte le misure per una guerra, ciò anche nel campo civile.

Baudouin ha aggiunto che i negoziati potrebbero essere condotti nella maniera più segreta, sia da lui stesso, che verrebbe a Roma, sia da me, che verrei ricevuto da Daladier. Di conseguenza, tali negoziati dovrebbero rimanere strettamente riservati alle persone del Duce, del Presidente Daladier e del Conte Ciano.

Bonnet verrebbe escluso dai negoziati.

In quanto a François-Poncet, Daladier ha detto: « C'est un crétin que je veux balancer et que je laisse à Rome parce que il est ami du Président de la République. Je suis disposé à nommer l'Ambassadeur qui plaira au Duce»9 .

Nel Diario di Ciano vi è a proposito di questo documento la seguente annotazione (sotto la data del 21 marzo): «fagiuoli di ritorno da Parigi porta le comunicazioni di Daladier tramite Baudouin. Sono poco soddisfacenti. Ormai dovremo attendere il discorso del Duce del 26 marzo del quale abbiamo redatto insieme i brani di politica estera».

364 2 Il documento ha il visto di Musso lini.

365 2 Non è chiaro a quale articolo di Relazioni Internazionali si riferisca Daladier: nel numero della rivista qui indicato, non c'è un articolo spiccatamente ostile alla Francia.

365 4 Vedi serie ottava, vol. X, D. 566.

7 26 marzo. Vedi D. 400, nota 5.

365 9 Il documento fu inviato in visione a Mussolini.

366

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

APPUNT01• Roma, [21?] marzo 19392•

A complemento dei dati già da lui fomiti nella lettera sulla questione croata diretta all'E.V. 3 e di cui io sono [latore], Ribbentrop mi ha detto4 che dalle informazioni da lui fatte immediatamente assumere, sembra che i soli contatti avuti finora da esponenti tedeschi con elementi croati siano i seguenti.

Si trova qui adesso certo Neuhausen avente il titolo di console generale tedesco e che ha servito da agente a Goring presso il principe Paolo e presso Stojadinovié per condurre la politica di riavvicinamento con la Jugoslavia. Codesto Neuhausen è stato avvicinato da emissari croati che lo avrebbero pregato di ricevere Macek. Egli però si sarebbe nettamente rifiutato e, pur avendo parlato della questione croata, avrebbe detto che nulla in materia è possibile senza l'accordo con l'Italia e secondo le sue direttive. Identicamente egli si è pronunciato qui a Berlino.

Un secondo contatto avrebbe avuto luogo qui quattro o cinque settimane fa da parte di Kosak e Locovié messisi in rapporto con l'ufficio di Lorenz attraverso cui sono riusciti a vedere Behrens. Codesti emissari di Macek hanno detto che questi si trovava ora al punto di dover prendere una decisione, dato che il governo jugoslavo non manteneva le sue promesse e che i croati non potevano, né volevano collaborare con i serbi. In questa situazione Macek riteneva necessario di mettersi a contatto colla Germania e di domandarne l'aiuto per un'opportuna propaganda. Behrens ha loro risposto che la questione croata dal punto di vista tedesco non è né più né meno di una questione di Asse e che la Germania non poteva prendere posizione alcuna che fosse diversa da quella di Mussolini. Se Mussolini non vuole che alcun aiuto sia dato, ai croati, questo è sufficiente per la Germania[........... ] qualunque cosa.

Della conversazione Ribbentrop ha parlato anche al Ftihrer e mi ha poi dato esplicita assicurazione che qualunque contatto con i croati sarà senz'altro vietato e che chiunque contravvenga quest'ordine sarà ritenuto passibile di punizione e[........... ] confino.

366 1 Il documento è danneggiato dali 'umidità. 2 Il documento è privo di data. Probabilmente fu redatto il 21 o 22 marzo, a Roma. 3 Vedi D. 354. 4 Il colloquio ebbe luogo il 20 marzo. Vedi D. 354, nota 4.

367

L'INCARICATO D'AFFARI A BERLINO, MAGISTRATI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 1346/168 R. Berlino, 22 marzo 1939, ore 14,45 (perv. ore 16).

Mio telegramma n. 1641• Come era previsto governo di Kaunas ha accettato senz'altro proposta retrocessione immediata alla Germania di Memel.

Nel pomeriggio giungeranno a Berlino ministro degli Affari Esteri Urbsys, l'ex ministro Lozoraitis ed alcuni esperti per trattative circa modalità. Questione più importante che verrà definita è quella della concessione alla Lituania zona franca nel porto di Memel.

Ho chiesto a Weizsacker se governo tedesco si attendesse difficoltà causate da esistenza di uno Statuto internazionale per Memel. Mi ha detto che Germania considera quello statuto come una res inter alias che non la interessa. Al massimo, Francia e Inghilterra, solleveranno altra protesta che non potrà non avere la sorte di quella già fatta per Cecoslovacchia2 .

368

IL MINISTRO A BUCAREST, GHIGI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 1367/84 R. Bucarest, 22 marzo 1939, ore 21,50 (perv. ore 2 del 23).

Giornata odierna, preoccupazione da me segnalata1 , è andata sempre più aumentando diffondendosi anche in ambienti governo, dove non si nasconde ormai più senso vivissima preoccupazione timore per intenzioni Germania e Ungheria. Tali timori hanno contributo in queste ultime ore ulteriori notizie, che qui si danno per certe, di importanti misure militari ungheresi e concentramento frontiera romena. Suscita altresì preoccupazione eventuale azione Bulgaria.

Continuano richiami alle armi, requisizioni, misure militari. R. Consolato Cluj segnala vera e propria mobilitazione in Transilvania.

Quanto atteggiamento ufficiale, è mia impressione che sotto l'influenza del timore di intenzioni aggressive del Reich e dell'Ungheria, dei sentimenti antitedeschi e antimagiari della maggior parte di questa classe dirigente, acuitisi in seguito ulte

2 Il documento fu inviato in visione a Mussolini.

riori avvenimenti, nella linea di condotta governativa si attendano spostamenti o quanto meno vadansi cercando punti appoggio.

Intanto attenzione questi circoli governativi si rivolge con ansietà verso Roma cui atteggiamento si ritiene decisivo, sia per quanto concerne situazione generale, sia per quanto concerne in particolare intenzioni Ungheria invadere territorio romeno e vi è qui vivissima attesa discorso Duce.

367 1 Vedi D. 360, nota l.

368 1 Il ministro Ghigi aveva già segnalato (T. 1369/83 R. del 22 marzo) che a Bucarest esisteva una seria preoccupazione, diffusa anche negli ambienti governativi, per i concentramenti di truppe ungheresi alla frontiera che si temeva fossero da mettersi in relazione ad intenzioni aggressive da parte non solo dell'Ungheria ma anche della Germania.

369

L'AMBASCIATORE IN CINA, TALIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 1363/78 R. Shanghai, 22 marzo 1939, ore 10,30 (perv. ore 3,45 del 23). Alessandrini mi telegrafa quanto segue:

«Vengo informato che, in occasione viaggio a Roma per incoronazione Pontefice, ambasciatore cinese a Parigi, Chiuchi Ohashi, ha veduto Conte Ciano e gli ha chiesto conoscere sue decisioni circa questione presentazione credenziali da parte di V. E.

Conte Ciano avrebbe risposto in termini negativi, come già rispose a incaricato d'affari cinese. Ambasciatore cinese ha inoltre riferito a questo governo che l'Italia non considera più Cina di Chiang Kai-shek e che governo italiano riconoscerà governo di Pekino appena esso potrà essere formato dai giapponesi» 1•

370

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, COLONNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. S.N.D. 1364/61 R. e S.N.D. 1368/62 R. Washington, 22 marzo 1939, ore 21,35 (perv. ore 9 del 23).

Dopo l'odierna cerimonia della presentazione mie lettere credenziali, il Presidente mi ha intrattenuto a lungo, presente solo il signor Welles che funge da Segretario di Stato data assenza del signor Hull.

Il Presidente, premesso che desiderava parlarmi molto franco, mi ha detto che egli ritiene che solo il Duce sia la persona che nel momento attuale potrebbe prendere l'iniziativa di una azione tendente ad una chiarificazione della situazione europea e del mondo.

Qualora, il Presidente ha aggiunto, il Duce ritenesse prender detta iniziativa, che dovrebbe secondo sua idea consistere in una riunione ristretta dei capi dei governi maggiormente interessati, egli da parte sua farebbe tutto quanto è in suo potere per assecondare l'iniziativa del Duce.

Negli Stati Uniti, mi ha detto il Presidente, non vi è alcun sentimento ostile all'Italia e lui non desidera menomamente immischiarsi nella politica interna di alcun Paese.

Riconosce, anzi, ed apprezza altamente i grandi benefici apportati all'Italia dal Fascismo. La politica americana è basata, egli ha soggiunto, su una morale creatasi poco per volta in questo Paese che sebbene nuovo ha delle tradizioni: essa è il principio della libertà degli individui e del popolo.

Ma gli Stati Uniti non intendono aiutare più una parte che l'altra e soltanto collaborare per la pace. Penserebbero a difendersi solo se messa in gioco la loro sicurezza. Occorre anche rendersi conto della vastità di questo Paese e non soffermarsi, come fanno i tedeschi, sulle notizie a loro contrarie pubblicate su questa stampa, ma sapere discernere e giudicare circa quanto viene pubblicato.

Nel congedarmi, il Presidente mi ha ripetuto il suo vivo desiderio, che mi risulta già da lui manifestato al mio predecessore, di potersi incontrare col Duce col quale egli sarebbe sicuro di intendersi perfettamente e chiarire molti malintesi. Teme, però, che ciò non sia possibile e quindi piuttosto che scrivere personalmente al Duce, egli preferirà agire per il tramite di codesto ambasciatore Stati Uniti e mio, aggiungendo che egli era sempre pronto a ricevermi qualora il Duce ritenesse incaricarmi di qualche particolare e personale comunicazione a lui diretta.

Mi risulta che negli ambienti della Casa Bianca e del Dipartimento di Stato è stato molto notata la circostanza che il Presidente, al contrario delle consuetudini, mi abbia trattenuto così a lungo presso di lui ed in presenza del solo signor Welles e di nessuno degli addetti alla sua persona 1•

369 1 Di questi colloqui non vi è traccia nella documentazione italiana. Da un appunto di Gabinetto, datato 21 marzo, risulta che l'incaricato d'affari cinese aveva effettuato un passo a Palazzo Chigi per sollecitare la presentazione delle credenziali da parte del! 'ambasciatore italiano.

371

L'INCARICATO D'AFFARI AD ATENE, FORNARI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 1423/018 R. Atene, 22 marzo 1939 (perv. il 24).

In questi ambienti diplomatici hanno circolato insistentemente voci di passo inglese diretto a indurre Grecia, in seguito a recenti avvenimenti, ad aderire a fronte comune antitedesco.

Voce, che aveva trovato credito anche per ripetuti colloqui tra Metaxas e questo ministro britannico, mi è stata recisamente smentita da questo direttore generale Affari Politici nel corso di conversazione su altri argomenti. Egli mi ha spontaneamente dichiarato priva di qualsiasi fondamento anche altra notizia, data da agenzia straniera d'informazioni, di passo romeno che sarebbe stato qui compiuto per conoscere eventuale atteggiamento Grecia in caso di aggressione della Romania da parte di Stato non balcanico. A tale proposito ha aggiunto che passo sarebbe stato superfluo in quanto governo di Bucarest sa perfettamente che per impegni derivanti da Patto balcanico Grecia si è assunta garanzia limitata esclusivamente a frontiere interbalcaniche: praticamente quindi intervento greco sarebbe prevedibile soltanto in caso aggressione da parte Bulgaria.

Notizie di cui sopra hanno fatto il giro di Atene insieme a molte altre di carattere allarmistico -tra cui cito a titolo di curiosità anche quelle relative ad aspirazioni italiane su Corfù-messe in circolazione da circoli interessati e trovanti talvolta credito a causa nervosismo e preoccupazione qui determinati da recenti avvenimenti in Europa Centrale. Stampa ha evitato accuratamente di riportarle e anche di farvi il benché minimo accenno 1•

370 1 Sul colloquio si veda anche il promemoria redatto dal sottosegretario Welles (in FRUS, 1939, vol. Il, pp. 620-623). Da esso risulta che il Presidente Roosevelt sottolineò all'ambasciatore la radicata opposizione del popolo americano nei riguardi di qualsiasi politica basata sulla supremazia militare e aggiunse che, se in Europa fosse scoppiata una guerra, il popolo americano avrebbe sicuramente chiesto al proprio governo di dare il più largo aiuto possibile ai Paesi oggetto dell'aggressione.

372

L'AMBASCIATORE A PARIGI, GUARIGLIA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 1952/826. Parigi, 22 marzo 1939 (perv. il 24).

La reazione inglese agli avvenimenti germanici ha avuto in Francia ampia e profonda ripercussione. Essa ha scosso questi ambienti politici-ufficiali ed ufficiosi -dallo stato di inerzia e di disorientamento che si era qui determinato a seguito del fulmineo ed imprevisto sviluppo della situazione cecoslovacca.

Quello stesso livido furore che ha invaso in questi scorsi giorni gli ambienti britannici, si è susseguentemente trasportato in Francia dando un senso di eccitazione agli organi governativi e di rimbalzo alla stampa. Unanime questa si è lanciata contro la Germania ed in coro ha applaudito l'iniziativa inglese per la formazione di un blocco delle Potenze cosiddette «minacciate dali 'imperialismo tedesco».

Alla misura britannica del richiamo deli'Ambasciatore da Berlino, ha fatto immediatamente seguito una analoga misura francese. Coulondre è stato chiamato per informare il governo sulla situazione. Nel contempo gli organi ufficiosi hanno sottolineato l'inutilità di mantenere un Ambasciatore presso uno Stato con il quale

inutile si sarebbe rivelato qualsiasi accordo o negoziato. Ripetuti contatti hanno avuto luogo tra Bonnet e l'Ambasciatore sovietico 1•

In questo stato d'animo sono apparsi i primi decreti Daladier, emanati in applicazione dei pieni poteri votati dal Parlamento domenica scorsa. Tali decreti non sarebbero che un primo complesso di misure a cui dovrebbe far seguito, al ritorno del Presidente della Repubblica da Londra, un'altra serie più importante e di carattere più generale, mirante sempre all'acceleramento della preparazione bellica del Paese ed al completamento soprattutto della messa in atto di una vera e propria economia di guerra. Si parla, tra l'altro, della creazione di un Ministero degli Armamenti che dovrebbe accentrare tutte le file direttive delle industrie interessanti la difesa nazionale e potenziare al massimo le possibilità produttive del Paese.

Tra le misure finora adottate le più importanti sembrano quelle che fissano a 60 ore settimanali il lavoro nelle industrie interessanti la difesa nazionale e la priorità assoluta di fabbricazione per tutte le ordinazioni statali, con la sospensione delle forniture private. Con altra disposizione viene stabilito che tutti gli operai iscritti agli uffici di assistenza e disoccupazione vengono inviati al lavoro presso imprese che producono direttamente o indirettamente per la difesa nazionale. Qualora detti operai non accettassero l'impiego loro assegnato perderebbero il diritto a qualsiasi indennità.

Le misure giuridiche finora adottate per l'aumento degli effettivi necessari alla riorganizzazione dell'Esercito non sono in sé e per sé di rilevante importanza e mirano sopratutto per il momento alla creazione dell'organizzazione difensiva antiaerea ed a colmare le deficienze causate dall'invio di sottufficiali in Africa del Nord e dall'impiego di truppe nel servizio di vigilanza dei rifugiati. Il numero degli ufficiali viene così portato da 30.638 a 31.060 con l'aumento di 422 ufficiali. Il corpo dei sottufficiali viene aumentato di 2.500 unità. Il governo è inoltre autorizzato a mantenere in servizio i contingenti di truppe che finiscono in questo periodo di tempo i loro obblighi di leva.

Sono in corso inoltre predisposizioni di mobilitazione (verifica di precetti personali, preavvisi al personale, preavvisi per requisizione di materiali) e qualche richiamo parziale di riservisti appartenenti alle due ultime classi congedate.

Tutta la stampa approva, più o meno calorosamente, le misure militari recentemente adottate. I circoli ufficiosi di destra, se pur non nascondono che si va verso una parziale mobilitazione militare, insistono sul carattere difensivo e pacifico di dette misure da considerarsi come semplice mezzo precauzionale indispensabile di fronte al contegno aggressivo dimostrato dalla Germania verso le piccole Potenze dell'Europa Centrale.

Da notare inoltre che l 'atteggiamento di questi circoli politici francesi verso l 'Italia continua ad essere improntato ad una marcata discrezione e riserva. Il nemico pubblico numero uno è diventato in tutti gli ambienti la Germania nazista.

Tutti gli organi di stampa rispondendo evidentemente ad una inspirazione comune, si affannano a lumeggiare più o meno fantasiosamente tutte le conseguenze che, secondo loro, potrebbero derivare all'Italia da un ulteriore ingrandimento tedesco, quasi vogliano convincere se stessi e l'opinione pubblica francese della possibilità di una azione moderatrice italiana nei riguardi germanici e della speranza di arrivare pacificamente ad un soddisfacente regolamento dei rapporti franco-italiani.

L'azione intrapresa da LavaJ2 ha avuto eco in tutti gli ambienti. Altri parlamentari, come Gérente e Rollin hanno fatto dichiarazioni alla stampa sottolineando l'elemento fondamentale che l'Italia costituisce per il mantenimento della pace. Senza di essa impossibile riesce mantenere in maniera solida i legami tra le grandi Potenze occidentali e gli Stati sud orientali che vengono fatti apparire come seriamente minacciati a breve scadenza dali' espansionismo tedesco.

La possibilità del regolamento dei rapporti franco-italiani non sembra comunque finora intonata ad una valutazione realistica di quelle che sono le nostre aspirazioni naturali e si assiste ad una ricerca affannosa nel silenzio degli organi responsabili italiani di un qualsiasi sintomo che possa rafforzare l'illusione che di tanto in tanto fa capolino sul carattere più o meno psicologico delle divergenze fra i due Paesi. Atteso quindi con viva impazienza è il discorso del Duce, attesa a cui si accompagna un senso di sgomento e di speranza nel contempo per le conseguenze che vengono ritenute capitali per la sorte del domani e cioè per la guerra o per la pace in Europa.

371 1 Il primo segretario Fomari comunicava successivamente di avere appreso che i passi compiuti dal ministro di Gran Bretagna avevano avuto lo scopo di accertare quale sarebbe stato l'atteggiamento della Grecia nel caso di un attacco alla Romania da parte di uno Stato non balcanico. Da parte greca, era stato escluso che gli impegni della Grecia potessero andare al di là di quelli previsti dal patto dell'Intesa Balcanica (T. per corriere 1482/019 R. del23 marzo).

372 1 Yacov Zakharovic Suritz.

373

L'AMBASCIATORE A SALAMANCA, VIOLA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 1787/416. San Sebastiano, 22 marzo 1939 (perv. il 25).

In previsione della prossima fine della guerra trapela in giro una certa preoccupazione per il futuro assestamento della vita politica interna della Spagna, specie in vista della smobilitazione dei combattenti e del loro ritorno alla vita civile.

I più ottimisti dicono che la smobilitazione, che, d'altra parte, procederà per gradi, non potrà apportare gravi perturbamenti, perché si spera che le condizioni economiche del Paese, con le sue risorse naturali e le sue esigenze ricostruttive in tutti i campi, permetteranno di dare lavoro a tutti i reduci.

Altri invece ritengono che, anche se non vi sarà da affrontare un problema di disoccupazione, rimane però sempre la grave incognita del ritorno di tante migliaia di giovani combattenti, i quali hanno la coscienza di essere stati i salvatori della Spagna e vorranno quindi non rimanere estranei alla direzione della sua vita politica e sociale, ma anzi essere loro ad imporre il nuovo ritmo.

Mi si dice che vi sia fra gli autentici combattenti dei fronti uno spirito aggressivo e bellicoso che spesso esplode nelle retrovie in episodi di violenza ed in delitti comuni, di cui in questi ultimi tempi si è riscontrato un notevole aumento e che fa apparire preoccupante la prospettiva del loro prossimo ritorno alla vita normale. Pare altresì che specie fra i giovani ufficiali non di carriera vi sia, in vista della fine delle operazioni. dell'irrequietezza ed un notevole fermento di propositi per il futuro.

Si tratta in sostanza del solito problema del dopoguerra che sempre si è imposto in tutti i tempi ed in tutti i Paesi; ma è certo che qui in Spagna, per il carattere particolarmente fazioso della popolazione, per il fatto che il dopoguerra è dopoguerra di una guerra civile, per le varie tendenze autonomistiche regionali, sopite ma non spente, per le varie correnti politiche ancora !ungi dall'essersi convogliate in un unico solido movimento omogeneo, per la fatale abitudine dell'esercito di intervenire nella politica, e~ lo svuotamento sempre più marcato della Falange, che -dicono i veri falangisti dovrebbe invece essere l'organo lievitatore della Spagna politica e rinnovata, il problema presenta incognite di speciale gravità ed aspetti di particolare asprezza.

Preoccupa in modo rilevante il logico timore che i combattenti, tuttora lontani dalle attività politiche ed amministrative, vogliano domani salire ai posti di comando della vita civile del Paese, sostituendosi agli uomini che, sia pure in nome del movimento rinnovatore, vi si sono fino ad oggi mantenuti, ma che hanno in buona parte la gravissima deficienza di non avere fatto la guerra.

Già da tempo si manifesta una larvata tendenza fra i dirigenti delle amministrazioni dello Stato ed i capi della Falange a non mettersi troppo in vista e ad allontanarsi dalle cariche occupate per arruolarsi combattenti o per andare all'estero con incarichi di minore importanza, come per procurarsi gli elementi necessari di prestigio onde poter ancora comandare nella nuova Spagna vittoriosa con tante migliaia di excombattenti, e quasi per rifarsi una verginità politica al fine di non correre il rischio di avere molesti impacci nel futuro.

Abbastanza sintomatico a tale riguardo è il caso di Gamero, giovanissimo Governatore di Siviglia e capo di questa Falange, che pochi mesi or sono lasciò le sue alte cariche per arruolarsi nella Marina e che proprio recentemente ha voluto esimersi anche dal fare parte della delegazione ufficiale invitata in Italia ad assistere alle celebrazioni dell'anniversario della fondazione dei Fasci, per non abbandonare, come egli stesso ha detto qui a Burgos, il suo attuale posto di soldato, dal quale aveva avuto modo di constatare questo spirito esuberante dei combattenti, che lo aveva assai colpito.

Anche di Gimenez Amau. che ha lasciato in questi giorni il suo alto ufficio di Capo del Servicio Nacional de Prensa per recarsi a dirigere l'Agenzia EFE di Roma, si dice che, così facendo. abbia voluto espressamente allontanarsi da un posto che ha considerato essere troppo in vista e compromettente.

Si tratta naturalmente di semplici tendenze e di timori imprecisi, ma che però, presi nel loro complesso, non mancano di costituire un sintomo che non va trascurato1•

372 2 Vedi D. 331, nota 2.

373 1 Il documento ha il visto di Mussolini.

374

IL MINISTRO A LISBONA, MAMELI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. RISERVATO 968/334. Lisbona, 22 marzo 1939 (perv. il 29).

Mio telegramma n. 27 in data 17 correntel, e mio telespresso n. 911/316 in data 19 corrente2 .

Le origini del trattato di amicizia e non aggressione ]uso-spagnolo, firmato in Lisbona il 17 corrente3 dal Presidente Salazar e dall'Ambasciatore Nicolas Franco, sono note. Durante la crisi del settembre scorso Nicolas Franco propose a Salazar un accordo che garantisse la frontiera comune (mio telegramma n. 131 in data 27 settembre u.s. 4 , e mio telegramma per corriere n. 245/061 in pari data5). Era facile intuire sin da quel momento che la garanzia presupponeva la reciproca neutralità del Portogallo e della Spagna nel conflitto che sembrava imminente. l dati raccolti successivamente provarono che la proposta di Nicolas Franco era in diretta funzione della domanda di neutralità spagnola, avanzata dalla Francia al governo Nazionale. Nell'incalzare degli eventi, Salazar e Nicolas Franco rapidamente prepararono uno scambio di note da effettuare se il conflitto fosse scoppiato. Dopo il convegno di Monaco, i due governi furono d'accordo nell'opportunità di studiare meglio il patto, e sin da allora fu ventilata l'idea del trattato di amicizia e non aggressione (miei telegrammi per corriere n. 246/062 e 265/064 in data 29 settembre e 26 ottobre u.sf Nei mesi successivi le trattative non progredirono per resistenza portoghese (miei telegrammi per corriere n. 270/066 in data 12 novembre7 , n. 268/069 in data 6 dicembre8 , n. 293/070 in data 20 dicembre9 , rapporto della R. Ambasciata in San Sebastiano in data 22 dicembre 10 , comunicato a questa R. Legazione con telespresso di V.E. n. 200368/c. in data 4 gennaio u.s.). Alla fine di febbraio, primi giorni di marzo la situazione appariva immutata.

Quali sono le ragioni che improvvisamente hanno indotto i due governi ad accelerare i tempi, o meglio il Portogallo a decidersi?

Il ministro di Germania ed io, senza esserci previamente accordati, abbiamo posto a Nicolas Franco identica domanda, e cioè se gli avvenimenti in Europa Centrale non vi avessero influito. Abbiano avuto analoga risposta negativa ma senza

2 Non rintracciato.

3 Patto di amicizia e non aggressione tra Portogallo e Spagna del 17 marzo 1939. Testo in MARTENS, vol. XXXVII, pp. 339-341.

4 Vedi serie ottava, vol. X, D. 156, nota l.

5 Vedi serie ottava, vol. X, D. 156.

6 Vedi serie ottava, vol. X, DD. 187 e 331.

7 Vedi serie ottava, vol. X, D. 391.

8 Vedi serie ottava, vol. X, D. 509.

9 Vedi serie ottava, vol. X, D. 573.

10 Vedi serie ottava, vol. X, D. 573, nota 2.

spiegazioni convincenti. Nicolas Franco si è limitato a confermare che i portoghesi avevano lasciato cadere la cosa per mesi, e negli ultimi giorni si erano decisi.

Nel corso delle conversazioni di questi giorni ho posto la stessa domanda al Segretario Generale del ministero degli Affari Esteri. Con qualche reticenza anche la sua risposta è stata negativa. Ma occorre ricordare che due giorni prima della firma, parlando degli avvenimenti in Europa Centrale aveva detto fra l'altro che «essi costituivano un terribile precedente per i piccoli Stati» (rapporto n. 971/337 in data odierna) 11 . Lo stesso Segretario Generale, parlando del trattato, mi ha detto che il governo portoghese si era preoccupato di evitare che la firma di esso coincidesse con avvenimenti di tale portata (si è affrettato ad aggiungere di avvenimenti nella Penisola iberica) che rischiassero di porne l'annuncio in secondo piano. Dopo la presa della Catalogna, tale momento sembrò giunto. Credo che tutto ciò potrebbe essere così interpretato. Salazar, in un discorso a suo tempo segnalato 12 , aveva dichiarato che sarebbe addivenuto al patto con la Spagna dopo la vittoria finale. Dopo la presa della Catalogna dovette pensare che sarebbe stato certo più profittevole oltre che più dignitoso non attendere la vittoria completa. Nelle esitazioni caratteristicamente portoghesi anche dopo tale vittoria, gli avvenimenti in Europa Centrale, che minacciavano specie agli occhi di questo governo di riprodurre una situazione analoga a quella del settembre, furono l'elemento decisivo. Di questa opinione è anche il mio collega di Germania.

Il R. Addetto Navale, nel rapporto n. 114 in data 20 corrente, di cui accludo copia13 , giunge alla conclusione che il trattato sia stato affrettato dalle pressioni britanniche su questo governo. Tale affermazione contrasta, fra l'altro, con le precise dichiarazioni di Nicolas Franco. Egli mi ha affermato che gli scopi del suo governo erano stati:

-di garantirsi la lunga frontiera alle spalle, necessità confermata così ampiamente anche dalla guerra civile;

-di dare al governo portoghese un elemento positivo nella sua resistenza alla parte anglofila del Paese nell'interno, come di aiutarlo nella sua linea di evitare il completo asservimento ali' alleata, ali' esterno.

Il secondo punto rendeva naturale una mia precisa domanda, cui Nicolas Franco ha testualmente risposto: «Non solo il governo britannico non era stato preavvertito, ma non è stato informato della conclusione del trattato che a firma avvenuta».

Più di una volta ho dovuto anche da parte mia insistere sui precedenti di Nicolas Franco come sulla necessità di accogliere con riserva molti suoi atteggiamenti. Ma è anche un uomo troppo scaltro per impegnarsi in affermazioni categoriche specie se esse possono facilmente e a breve distanza essere constatate non esatte.

A sua volta, il Segretario Generale, in una conversazione in termini naturalmente più cauti, mi ha detto che i trattati più duraturi sono quelli redatti in termini larghi «anche se--non senza una significativa ironia-possono dare talvolta molto lavoro ai giuristi». L'alleanza luso-britannica 14 dura appunto-non so se qui l'ironia fosse

37411 Vedi D. 381, che è datato 23 marzo.

12 Si riferisce al discorso pronunciato alla radio da Salazar il 27 ottobre 1938 (vedi serie ottava, vol. X, D. 391, nota 6). Il testo del discorso è in DP, vol. V, D. 1817.

13 Non pubblicato.

14 Riferimento all'alleanza anglo-portoghese del 16 giugno 1373.

involontaria o meno -perché i suoi termini sono così vaghi. Il Portogallo, come la Spagna, ha constatato nel preambolo del trattato che i suoi impegni precedenti con terze Potenze non contrastano con gli intendimenti e con le stipulazioni del trattato stesso. Non contrastano dunque con l'alleanza inglese. Ma questa è, sino a prova in contrario, e nella forma stessa in cui è fatta, una affermazione unilaterale portoghese. Vi è un impegno secolare di alleanza a tutti bene noto tra Gran Bretagna e Portogallo. Nella migliore delle ipotesi, e da un punto di vista strettamente politico l'interpretazione generale è che il trattato costituisce una limitazione degli impegni dell'alleanza stessa nei riguardi dell'alleata.

Il R. Addetto Aeronautico e Militare, nel suo rapporto n. 501119 in data 22 corrente1S, inquadra a sua volta il trattato in considerazioni d'indole militare particolarmente connesse con la Missione Militare Britannica recentemente conclusasi in Portogallo e lo giudica poco favorevole all'Inghilterra alleata. Di particolare interesse è l'argomentazione, in cui concordo, che il trattato è una nuova riprova della scarsità di risultati ottenuti dalla Missione predetta.

Formalmente il trattato (di cui ad ogni buon fine allego altra copia) si compone di un preambolo e di sei articoli. Nel preambolo è interessante l'affermazione già accennata che le due parti constatano di non aver impegni contrari al trattato «il quale non altera» gli impegni stessi. Tale concetto è completato dall'art. 3 (obbligo di non entrare in future alleanze dirette contro l'integrità territoriale dell'altro Stato) e dell'art. 4 (qualunque alleanza o patto futuro con terze Potenze salvaguarderà le stipulazioni del trattato).

Dal punto di vista politico, il trattato riafferrna solennemente l'amicizia tra il Portogallo e la Spagna Nazionale, mentre i due Stati reciprocamente si garantiscono le attuali frontiere ed il rispetto della rispettiva integrità territoriale.

Da un punto di vista strettamente iberico al concetto spagnolo di coprirsi alle spalle corrisponde da parte portoghese lo scopo di garantirsi contro ogni pericolo di assorbimento della Spagna nuova e vittoriosa. A questo proposito il Segretario Generale mi ha ricordato che il governo portoghese seguiva le idee del cosiddetto «iberismo» di alcuni elementi «di sinistra» della Spagna Nazionale.

Da un punto di vista politico-militare nel trattato è stato evitato l'assurdo su cui era basato il primitivo scambio di note16, quello cioè di supporre che la neutralità reciproca potesse essere osservata con basi di terze Potenze nel proprio territorio agenti le une contro le altre. Ma è caduto in un altro assurdo opposto. Quello di supporre (art. 2) di poter impedire che dal proprio territorio partano offese contro il territorio dell'altra parte, sempre che nel territorio di ciascuno siano stabilite basi di Potenze in conflitto tra di loro, come è più che prevedibile in caso di conflitto, e come lo stesso trattato sembra implicitamente ammettere.

Dopo l'esame dei suoi precedenti e della sua formale costituzione sorge immediata la domanda: che cosa significa il trattato alla stregua dei nostri interessi? A questa domanda può soltanto rispondere evidentemente il preciso esame dei nostri organismi centrali in possesso di tutti gli elementi dello scacchiere politico-militare.

16 Le note erano state preparate ma non scambiate.

Dal canto mio reputo mio dovere fornire gli elementi che da questo settore posso aggiungere per essere valutati in tale esame.

È evidente innanzi tutto che il trattato sorge nella pregiudiziale che il Portogallo da una parte, per i suoi impegni di alleanza inglese, e la Spagna dall'altra per i suoi legami con gli Stati totalitari, siano costretti, in una forma o nell'altra ad aderire a campi opposti in caso di conflitto. Il trattato cerca allora di immunizzare i due Stati iberici da tale pericolo, e immobilizzarli in una loro neutralità reciproca. Concetto assurdo. Se ci limitiamo al solo Portogallo le previsioni-provate dall'esperienzasono che nella prima settimana dopo il conflitto l'Inghilterra agirà con ogni mezzo a sua disposizione per rovesciare il regime Salazar, e sostituirlo con altro ossequiente ai suoi ordini, che si impadronirà senza possibile resistenza delle basi che le convengono (Lisbona-Setubal-Azzorre-Lagos-Capo Verde ecc.) e che governerà e agirà in Portogallo e dal Portogallo, manu militari. Questa è la prima sorte prevedibile del trattato.

Ma dal canto nostro credo occorra non dimenticare che esso sorge con un peccato di origine. In settembre, lo scambio di note era in funzione della neutralità spagnola, non soltanto reciproca, ma di quella assoluta e generale, domandata e ottenuta dalla Francia.

Questo è ancora a mio parere, il punto centrale. Vi è un solo caso in cui nell'evenienza di un conflitto il trattato possa giuocare, ed è quello della neutralità spagnola. In ogni altro caso esso è caduco.

Mi rendo pienamente ragione che molti degli argomenti analizzati valgono per l'una e per l'altra parte. È una delle caratteristiche del trattato che sono popolarmente ammesse: è un'arma a doppio taglio. Povera caratteristica che giudica il trattato e lo fa scendere al suo vero livello.

Perché come tutti gli accordi che non nascono da necessità vive e profonde tra due popoli, che non seguono quindi una linea di fede larga, aperta e leale ma cercano di conciliare quasi di nascosto elementi contradditori e inconciliabili, realtà assai più forti che le parole scritte, esso porta in se stesso gli elementi del suo destino.

Non è forse andare troppo oltre indicare che può valere per quello che vale in tempi normali. Ma se giunge l'ora del cimento cadrà come un semplice foglio di carta.

374 1 T. l 230/27 R. del l 8 marzo. Informava che era stato sottoscritto il Patto di non aggressione tra Portogallo e Spagna.

3 74 15 Non rintracciato.

375

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, COLONNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 2761/591. Washington, 22 marzo 1939 (perv. il 15 aprile).

A pochi giorni di distanza dalla partenza del ministro degli Esteri brasiliano, signor Aranha 1 , il senatore Pittman, presidente del Comitato per gli Affari Esteri del Senato, ha presentato una sua proposta per autorizzare i cantieri militari della Marina degli Stati Uniti a costruire navi da guerra per Paesi del Sud America.

Il 14 corrente il Sottosegretario di Stato per gli Affari Esteri leggeva alla conferenza stampa una dichiarazione di pieno appoggio ed approvazione da parte del!' Amministrazione della idea avanzata dal signor Pittman.

In sostanza la proposta di legge dovrebbe da un lato autorizzare i cantieri militari a costruire navi a prezzo di costo, dali 'altro consentire che tali navi potessero beneficiare di tutti i ritrovati tecnici, anche se di natura riservata, che sono a disposizione della Marina degli Stati Uniti.

Con tale misura si pensa di venire qui incontro al desiderio di alcuni Paesi sudamericani di costruirsi navi da guerra a buone condizioni. Ma la situazione è più complessa inquantoché negli Stati Uniti si è guardato sempre con sospetto alle commesse di navi che Paesi sud-americani hanno prevalentemente fatto in Europa ed in questi ultimi anni a preferenza in Germania ed in Italia. Tale preoccupazione concerne anche la parte commerciale e si collega a tutte le campagne di allarme per la cosiddetta penetrazione economica dei Paesi totalitari nel Sud America. Ma questa è la parte negativa. Evidentemente nella proposta del senatore Pittman vi è anche una parte positiva e precisamente l'idea di riarmare i Paesi del Sud America per quella idea di difesa intercontinentale che da qualche mese è entrata nel vocabolario politico americano.

Infatti, il sottosegretario di Stato per gli Affari Esteri, Sumner Wells, che è poi il grande esperto del Dipartimento di Stato per gli Affari del Centro e Sud America, ha allargato la questione dal semplice riarmo navale a tutto il sistema di difesa costiera ed aerea dei Paesi del Sud America, dicendo nella sua dichiarazione che, poiché questi Paesi non hanno né possibilità industriali né tecniche per costruire tale difesa, è sotto ogni aspetto utile che gli Stati Uniti mettano a disposizione le loro possibilità. Poiché è anche noto che spesso i prezzi americani sono molto elevati nei confronti di quelli praticati dai cantieri europei, entra il concetto della fornitura a prezzo di costo, nella speranza di poter così battere la concorrenza europea.

L'accoglienza della stampa e degli ambienti politici, malgrado l'approvazione datavi ufficialmente, non è stata unanimemente favorevole a tale ordine di idee. Vi entrano considerazioni politiche ed economiche ed è sembrato ad alcuni che il voler estendere al Sud America la corsa al riarmo sia inopportuno e d'altra parte non realizzabile. Infatti tale riarmo dovrebbe avvenire o a spese dei Paesi sud-americani -· ma non appare che questi siano desiderosi di farlo-oppure a spese degli Stati Uniti. La formula del prezzo di costo è apparsa ad alcuni sospetta, senza dire che anche questa fonnula presuppone sempre che, almeno entro i limiti di tale costo, intervenga il pagamento sud-americano. E con i miliardi di debiti non pagati, con le centinaia di milioni di proprietà espropriate o infruttifere, non appare chiaro come la parte tìnanziaria del progetto possa ingranarsi.

Dal punto di vista tecnico appare poi che i cantieri militari degli Stati Uniti sono già attualmente così occupati che non potrebbero senza danno per le costruzioni americane dedicarsi a costruire per terzi.

In tal senso si sono espressi i tecnici della Marina e quindi sembra che l'idea del senatore Pittman, anche se riuscirà a concretarsi in un progetto di legge, troverà in pratica notevoli difficoltà.

Ad ogni modo l'episodio è meritevole di segnalazione come indicativo dello stato d'animo prevalente e di un sempre più preciso concentrarsi dell'attività e dell'attenzione americana sui problemi della difesa di tutto il continente americano, in funzione della sicurezza degli Stati Uniti.

376.

IL MINISTRO A TIRANA, JACOMONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. S.N.D. 1366/38 R. Tirana, 23 marzo 1939, ore 0,15 (perv. ore 3).

Re Zog ha inviato stasera da me presidente del Consiglio dei ministri, ministro degli Esteri e Primo Aiutante di Campo per informarmi che, secondo notizie avute da Bucarest, Belgrado e Skoplje, Romania e Jugoslavia starebbero prendendo misure militari per fronteggiare eventuale azione asse Roma-Berlino. Re ha segnalato particolari preparativi in corso frontiera albanese.

Nel prospettarmi tale situazione, predette personalità mi hanno dichiarato in nome del Re che Albania in ossequio all'alleanza si mette a disposizione di Roma per qualsiasi evenienza. Ove fossero da prendere provvedimenti militari nel campo albanese mi pregherebbe di suggerirglieli tenendo presente che essi avrebbero scarsissima consistenza se non fossero validamente ed immediatamente sostenuti da noi. Eventuali richieste intervento truppe italiane sarebbero da questo governo accompagnate da richiesta materiale occorrente esercito albanese.

Questo hanno detto, ad ogni buon fine facendo presente che. ove situazione internazionale non lo sconsigliasse. intervento nostre truppe in questo momento riuscirebbe molto gradito popolazione.

Non escludo che il Re prenda a spunto cavillose ed esagerate notizie ricevute dalle sue rappresentanze all'estero per compiere, in seguito anche alla situazione che si è creata oggi, un gesto inteso a conciliargli la fiducia di V.E.

Mi sono astenuto dal provocare una maggiore precisazione di questo gesto per non pregiudicare azione che V.E. vorrà prescrivermi. Ad ogni modo, ad evitare che Re Zog realmente preoccupato della situazione interna ed esterna possa prendere qualche misura che sia in contrasto col pensiero di

V. E., pregherei volermi mettere in condizione di dargli qualche garanzia.

Questo Addetto Militare presente al colloquio per desiderio albanese telegraferà in questo senso 1 .

375 1 Si veda il proposito anche il D. 274.

376 1 Il documento ha il visto di Mussolini.

377

L'AMBASCIATORE A V ARSAVIA, ARONE, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 1361/68 R. Varsavia, 23 marzo 1939, ore 0,55 (perv. ore 3,50).

Occupazione tedesca di Memel pur essendo già stata scontata da questo governo, ha ravvivato ancora risentimento e preoccupazioni polacche. Si teme anche che la situazione di Danzica possa precipitare.

Nervosità della popolazione si manifesta con dimostrazioni di piazza dirette contro dirigenti politica estera polacca ed ambasciata di Germania. Questa sera ingenti forze polizia hanno presidiato vie d'accesso a questa ambasciata per impedire eventuali manifestazioni ostili anche contro l'Italia che però non si sono verificate. D'altronde, sino ad ora questa opinione pubblica distingue nettamente fra Germania e Italia.

378

IL MINISTRO A BUCAREST, GHIGI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 1382/86 R. e 1395/87 R. Bucarest, 23 marzo 1939, ore 17,30 (perv. ore 22).

Questo ministro Affari Esteri mi ha informato che governo romeno procederà oggi firma trattato commercio con Germania1• Tale deliberazione è stata raggiunta dopo discussione Consiglio dei ministri presieduta dal Re durata fino a stamane alle 5.

Ministro Affari Esteri mi ha lasciato intendere che decisione governo romeno è dovuta circostanze politiche ma ha tenuto affermare che accordo tedesco romeno, pur comportando molto importante collaborazione economica, non menoma indipendenza Romania e sue possibilità mantenere accresciuti scambi con altri Paesi e particolarmente Inghilterra e Italia. Gafencu mi ha detto anche che premessa testo accordo contiene amichevoli accenni politici ciò che corrisponde desideri questo governo.

Da elementi vaghi che sono venuti successivamente riferiti riporto impressione che questo governo abbia realmente creduto ad imminenza attacco ungherese sostenuto dalla Germania, che governo tedesco abbia colto tale opportunità per precisare sue richieste di carattere economico; che governo romeno dietro istigazione britannica e sotto effettiva reazione anti-tedesca questi ambienti abbia tentato resistere cer

cando ansiosamente per uno o due giorni un punto d'appoggio a qualunque costo; che si sia infine indotto accettare richieste tedesche sperando poi -resta vedere complicazioni successive -ridurle nella sostanza e sopratutto nella presentazione, circa la quale Gafencu mi ha annunziato per questa sera dichiarazioni stampa.

378 1 Trattato per lo sviluppo dei rapporti economici tra Germania e Romania del 23 marzo I 939. Testo in DDT, vol. VI, D. 78. Il trattato fu reso pubblico senza il Protocollo di firma.

379

IL MINISTRO A BELGRADO, INDELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 1406/426. Belgrado, 23 marzo 1939 (perv. il 25).

A seguito di precedenti segnalazioni, trascrivo qui appresso, per opportuna conoscenza dell'Eccellenza Vostra quanto mi comunica in data 22 corrente il R. Console Generale in Zagabria circa l'argomento in oggetto:

«Non sembra che i contatti tenuti da fiduciari dell'una e dell'altra parte abbiano sinora portato le cose al punto di formare oggetto di vera trattativa.

Lo stadio della questione è tuttora sul generico.

Tanto in conversazione con i suoi intimi, quanto in interviste accordate a giornalisti, il dottor Macek conferma di non voler transigere in nulla sul suo programma di massima. che richiede l'autonomia completa delle regioni croate garantite dalle proprie finanze e Forze Armate entro i confini comuni e sotto l'attuale Dinastia.

In una conversazione con due deputati del suo gruppo il dottor Macek si è così espresso: «Cedere in questo momento di pressione internazionale significa rinviare, a non si sa quando, l'ottenimento della nostra libertà. Devo valutare con molta precauzione ogni passo, perché non sia fatale per l'ulteriore vita del popolo croato». Il dottor Macek si adatterebbe soltanto a non insistere per la convocazione di una costituente, consentendo che gli eventuali accordi siano approvati e sanzionati dai poteri attuali»1 .

380

IL MINISTRO A BELGRADO, INDELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. RISERVATISSIMO 1409/429. Belgrado, 23 marzo 1939 (perv. il 25).

Mi onoro di segnalare alla speciale attenzione di Vostra Eccellenza l 'accluso rapporto del R. Console Generale a Zagabria, di particolare interesse in quanto delinea assai esattamente quale sia lo stato d'animo dei croati nei riguardi tedeschi.

Come l'Eccellenza Vostra rileverà, ho ritenuto opportuno far stabilire, nelle attuali circostanze, i più stretti rapporti e scambi anche diretti di notizie fra il commendator Gobbi ed il suo collega di Lubiana, commendator Guerrini-Maraldi.

Ho creduto, inoltre, utile prendere anche direttamente, per mezzo di persona di assoluta fiducia, contatti con qualche esponente del movimento macekiano. Accludo, qui, una relazione pervenutami circa alcune dichiarazioni fatte dal dottor Scholl, che, mentre conferma le informazioni del commendator Gobbi circa la situazione tedesca a Zagabria, dà ragione degli orientamenti di certi ambienti croati verso le ideologie democratiche. La relazione, che mi risulta molto precisa, merita particolare considerazione. Ad ogni modo, debbo pregare di voler considerare il documento come riservatissimo.

ALLEGATO l

IL CONSOLE GENERALE A ZAGABRIA, GOBBI, AL MINISTRO A BELGRADO, INDELLI

RAPPORTO 1669. Zagabria, 22 marzo 1939.

Si è qui soffermato il collega Guerrini-Maraldi e mi ha accennato al Vostro desiderio che vi sia fra me e lui contatto ai fini di una valutazione quanto più esatta della situazione e dello svolgimento della fase politica nelle regioni croato-slovena. La cosa può essere comunque utile, perché in definitiva, anche se fatti ed impressioni sono particolari a ciascuna delle due regioni, eventuali soluzioni hanno di massima aspetti coincidenti.

Mi è stato perciò gradito di aver avuto con Guerrini una lunga conversazione, circa i vari aspetti della situazione, per poterei in seguito tenere al corrente di notizie e fatti di interesse comune ai due Uffici.

Guerrini mi ha accennato alle impressioni riportate costà, dal dottor Sofia, rientrato dalla breve visita a Zagabria.

Il dottor Sofia, nei riguardi dell'azione tedesca, ha potuto forse soltanto ora farsi qualche impressione, magari accentuata. Le posizioni germaniche sono ben note a Vostra Eccellenza. Il riflesso, che esse esercitano, è normale alla loro entità.

Se i tedeschi perseguono mire verso territori sloveni o croati, non sono certo le contingenze normali che porterebbero a realizzarle in uno spazio di tempo abbastanza prossimo o limitato.

Quello che si constata in atto è una sensibile reazione antigermanica, a seguito delle recenti fasi cecoslovacche. Tale reazione non deve essere però sopravalutata, potendo essere transitoria e passare in seconda linea a causa della più profonda e prominente aspirazione croata a sottrarsi il più possibile dalla attuale conformazione statale.

Occorre tener presente che, nel corso delle due fasi della questione cecoslovacca, in settembre ed attualmente, il Partito Rurale ed i suoi organi giornalistici si son del tutto astenuti dal prendere posizione in contrasto alle determinatesi situazioni e che anzi, nell'una e nell'altra occasione, il dottor Macek ha inibito ogni dimostrazione pubblica. Ciò significa che importa al dottor Macek non alienarsi i tedeschi.

Un contatto più deciso con questi ultimi potrà verificarsi ove la soluzione del problema croato continui a rimanere in sospeso. L'intesa con i tedeschi sembra ammessa da Macek in difetto di altra soluzione.

Anche in rapporto a quanto sopra è da rilevarsi l'attitudine intransigente che Macek vuoi mantenere, malgrado gli appelli a mitigazione di richieste, al fine di salvaguardare l'integrità del Paese, rivoltegli dai suoi alleati democratici indipendenti e da esponenti della associata opposizione.

Non pare che l'intransigenza di Macek sia soltanto dovuta ad un motivo tattico. Egli parla sempre molto decisamente. Forse vi è in lui del!' empirismo circa la via da seguire per raggiungere le finalità croate; ma appunto perciò bisogna tener presente che ad un dato momento egli possa legarsi alla Germania. Per altro, quello che è negli intendimenti tedeschi non può valutarsi se non come presunzione in ordine al complesso dell'azione germanica e dei singolari fattori di cui essa dispone e che appaiono molto attivi. In linea di massima, potrebbe intendersi che il programma dei dirigenti tedeschi possa mirare, a lunga finalità, offiendosi le circostanze favorevoli -che qui potrebbero, eventualmente, essere sfruttate a raggruppare nel grande Reich il complesso territoriale dell'ex monarchia austro-ungarica.

ALLEGATO 2

Zagabria, 22 marzo 1939.

Mi è stato possibile avere una conversazione di oltre un'ora col dottor Ziga Scholl, uno dei segretari fidati e più influenti di Macek. Egli mi ha riferito quanto segue.

Trattative serie tra Macek ed il governo di Belgrado per la soluzione della questione croata non hanno avuto luogo finora. Macek intende continuare a mantenere un atteggiamento passivo ed intransigente di fronte alla politica di Belgrado, dalla quale il popolo croato sente di essere stato per venti anni ingannato e sfruttato. Macek non muoverà passo fino a che Belgrado non gli verrà incontro con proposte serie, concrete e radicali. Non ravvisa la possibilità di un accordo nell'ambito dell'attuale costituzione ed esige una nuova costituente che possa sanzionare per legge la precisa posizione, in senso federalistico, della Croazia, alla quale dovrà essere assicurato almeno un esercito proprio ed un ministero delle Finanze.

L'ideale del popolo croato-secondo il mio interlocutore-sarebbe di raggiungere la completa autonomia politica: creazione cioè, su basi democratiche di un piccolo Stato croato del tutto indipendente dai serbi. Ciò spiega le simpatie ideologiche della Croazia per la Francia e l 'Inghilterra e per i loro sistemi politici. La Croazia non ha nulla contro i tedeschi né contro gli italiani, ma il suo popolo non simpatizza con le forme dittatoriali. Non è il caso di parlare di simpatie croate per i tedeschi poiché i tedeschi nulla hanno da cercare in Croazia, che non è mai stata terra tedesca e per la quale non può stabilirsi un parallelo con la Cecoslovacchia, che invece in passato fu terra tedesca ed i cui Principi elettori dipendevano dall'Impero Germanico. La Croazia, quale terra dipendente dall'Impero absburgico, aveva particolari relazioni con l'Ungheria attraverso un Bano che disponeva di speciali autonomie.

Qualora la Croazia dovesse raggiungere la sua piena indipendenza e dovesse per la sua piccolezza e per ragioni di politica gravitare nell'orbita di una grande nazione vicina, dei tedeschi cioè o degli italiani, non vi sarebbe dubbio -sempre secondo il dottor. Scholl -che essa sarebbe più incline verso l'Italia per il fatto che tra il popolo italiano ed il popolo croato sembrano esservi maggiori possibilità d'intendersi sia per maggiore affinità di temperamento, sia per il fatto che i sistemi prussiani di brutale assolutismo non trovano simpatia nell'animo croato, sia perché il piccolo Stato della Croazia non potrebbe in alcun modo destare apprensioni all'Italia nell'Adriatico e sia infine perché le economie dei due Paesi non porterebbero a collisioni, ma all'integrazione dei rispettivi interessi.

11 dottor Scholl non mi è sembrato convinto della stabilità dell'Asse e della convenienza da parte dell'Italia di affrontare una guerra mondiale a fianco della Germania. Nel caso di una guerra mondiale, egli ha detto, l 'Italia non avrebbe interesse a seguire la Germania che, se vittoriosa, non mancherebbe di pretendere di esercitare la sua egemonia sull'Italia stessa, e che ben poco le lascerebbe dei frutti della vittoria. Suo interesse sarebbe invece accostarsi, per quanto possibile, alla Francia e all'Inghilterra. In questo caso la Croazia, se indipendente ed arbitra del suo destino, graviterebbe di buon grado verso l'Italia, con la quale potrebbe vivere pacificamente ed integrare i suoi interessi senza attriti e contrasti. Egli ritiene che la politica di amicizia de li'Italia con la Germania sia passeggera, contingente ed opportunistica, ma che non possa essere duratura. L'Italia e la Germania si sarebbero -sempre secondo il dottor Scholl -legate troppo strettamente col governo di Belgrado, e sopratutto l'Italia nel periodo del governo Stojadinovié ha marcato troppo l'abbandono totale della Croazia, la quale oggi guarda così con particolare simpatia alle democrazie della Francia e dell'Inghilterra.

Il dottor Scholl ha accennato anche ali' idea di un blocco di Stati cattolici di cui potrebbero far parte, oltre alla Croazia cattolica, l'Italia, l'Ungheria e la Polonia.

Parlando delle qualità del popolo croato e della sua maturità politica, il dottor Scholl ha sottolineato la risolutezza con cui il popolo croato è deciso a raggiungere e a difendere la sua autonomia, distaccandosi, non appena ciò sia possibile, da Belgrado, ed ha messo in rilievo la differenza profonda che passa tra i croati e gli sloveni, qualificando questi ultimi come un popolo senza coraggio e pronto sempre a piegare il dorso. Accennando alla Slovenia non ha escluso che questa possa rappresentare la via possibile e più breve per i tedeschi per raggiungere l'Adriatico.

Ho avuto occasione inoltre di intrattenermi anche con altre persone.

Unanimemente mi hanno assicurato:

l) Potersi escludere simpatie croate per il popolo tedesco, in considerazione anche del fatto che due terzi del ceto commerciale e bancario sono rappresentati da ebrei. Ogni notizia tendente ad avvalorare l'esistenza di spiccate simpatie della popolazione croata per il Reich deve quindi ritenersi come destituita di serio fondamento.

2) In Croazia si fa appunto oggi all'Italia di essersi legata troppo strettamente con Belgrado chiudendo le orecchie alle aspirazioni della Croazia che è stata abbandonata nelle mani dei serbi.

3) Si rileva una rinnovata attività da parte degli inglesi e dei francesi tendente a riacquistare in questi Paesi il prestigio perduto durante il governo Stojadinovié, ad esercitare azione moderatrice nei confronti degli esponenti separatisti e ad arginare la penetrazione commerciale e politica della Germania, formando altresì un fronte comune con gli Stati della Intesa balcanica.

4) Da parte germanica si riscontra una intensa attività diretta soprattutto a conquistare con ogni mezzo il mercato di questo Paese facendo agli aquirenti di merce tedesca condizioni allettatorie e di assoluta preferenza (anticipo di merci, pagamento a lungo respiro, crediti a lunghissima scadenza). Accanto a questi fatti di ordine commerciale occorre tener presente che a Vienna si favorisce l'attività di una centrale croata. Significativo è pure il fatto dell'attuale viaggio a Vienna e a Bratislava del signor Kosutié, vice presidente del partito di Macek. Da notare anche infine che un emissario del partito franchista del dottor Ante Pavelié si è recato recentemente a conferire col Console di Germania a Zagabria signor Freundt.

Degno di rilievo è infine il fatto che da tutte le fonti mi è stato confermato che la popolazione croata è stanca della situazione attuale nella quale da una parte è spremuta attraverso imposizioni tributarie e più gravose che a Belgrado e dali' altra essa non riceve benefici, né sotto forma di opere pubbliche, né sotto quella di impiego di mano d'opera locale per la classe operaia. Da questa situazione trarrebbe buon giuoco la propaganda tedesca, la quale prospetta sopratutto alla classe operaia miraggi di gran lavori e di facili profitti.

Senza aver la pretesa di far previsioni, è mia personale sensazione che la situazione attuale, caratterizzata dalla tendenza centrifuga croata e slovena rispetto a Belgrado, possa prolungarsi anche per molto tempo, a meno che un avvenimento politico europeo imprevisto e difficilmente prevedibile, non precipiti gli eventi determinando lo smembramento della Jugoslavia ed il conseguente intervento delle Potenze vicine, nel qual caso occorrerebbe sopratutto tenere gli occhi sulla Germania per conoscere le sue intenzioni sulla Slovenia. Ritengo però che l'attuale alzata di scudi delle grandi democrazie valga, per il momento, a sconsigliare il Reich, le cui mire sembrerebbero più dirette verso le ricchezze della Romania, da passi inconsulti in questo settore.

379 1 Il documento ha il visto di Mussolini.

381

IL MINISTRO A LISBONA, MAMELI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 971/337. Lisbona, 23 marzo 1939 (perv. il 29).

Con il rapporto 954 in data odierna1 ho l'onore di riferire a V.E. circa le ripercussioni in questa stampa degli avvenimenti in Europa Centrale.

L'impressione destata in questo governo dall'improvvisa scomparsa della Cecoslovacchia non è molto lontana, anche se più precisa, da quella indicata dal tono generale della stampa.

Premesso che questo governo non aveva mai avuto nessuna simpatia per la ex Repubblica di Praga, che aveva con essa clamorosamente rotti i rapporti diplomatici2 , né mai aveva voluto riprenderli, il pensiero di questo governo può essere riassunto dalla frase del Segretario Generale del Ministero degli Affari Esteri: «È un terribile

2 La rottura era avvenuta ill9luglio 1937 a causa del rifiuto del governo di Praga di consentire una fornitura di armi ordinata dal Portogallo ad una ditta cecoslovacca, rifiuto motivato con la possibilità che quelle armi andassero ai nazionali spagnoli. In proposito si veda DP, vol. l, appendice L

precedente per i piccoli Stati». Gli immediati argomenti che il Portogallo è uno Stato unitario e nazionale da secoli, mentre la Cecoslovacchia era un errore o meglio una colpa di Versailles, lusinga il governo portoghese, ma lo rassicura soltanto in parte.

I fenomeni del cosiddetto «iberismo», gli obblighi della sua alleanza inglese, la impossibilità di difendere le sue colonie, il conflitto tra le ideologie dello «Stato Nuovo» e gli elementi perturbatori che Salazar è ben !ungi dall'aver eliminato, e che sboccano in una situazione interna piena d'incognite, tutto ciò dà l'indice dell'ampiezza con cui la situazione internazionale si ripercuote in questo Paese.

Ecco perché è lecito dedurre, a parte ogni altro indizio, che il trattato di amicizia e non aggressione luso-spagnuolo3 , le cui trattative languivano da alcuni mesi, è stato affrettato dagli avvenimenti in Europa Centrale (rapporto n. 968/334 in data odierna)4 . Il pensiero di Salazar, nella situazione in verità drammatica del Portogallo nella eventualità del conflitto che vede di nuovo sorgere (ed a questo proposito ha dichiarato egli stesso esplicitamente che anche dopo Monaco era rimasto sempre tutt'altro che ottimista) rimane evidentemente sempre lo stesso: neutralità a qualunque costo e finché possibile. Per la realtà si potrebbe aggiungere e finché egli stesso potrà rimanere al potere in caso di conflitto.

Attorno a questa che è la base oggi come in settembre della tendenza del regime salazariano possono essere registrati elementi concorrenti. Timore crescente della Germania, speranza che l'Italia sarà l'elemento moderatore.

Se il fattore predominante è un'ansia che rasenta lo sbigottimento, anche gli elementi di una linea portoghese, in un certo modo possono essere registrati.

Nel dichiararmi che nessun invito era sino allora pervenuto al governo portoghese da parte del governo britannico di associarsi a consultazioni nei riguardi della Germania (mio telegramma n. 3 l in data 21 corrente )5 il Segretario Generale ha aggiunto che questo governo sarebbe posto in singolare imbarazzo se ciò avvenisse a causa sopratutto della sua precedente situazione con la Cecoslovacchia. Ha quindi deplorato che fosse stata scelta una espressione così infelice come quella di <<Unione delle democrazie». Ha infine bollato il fatto che sia stata cercata la collaborazione sovietica. Non ha esitato a dire che gli «inglesi si accorgeranno con chi hanno a che fare».

A Ginevra come nel Comitato di Londra come in ogni altra occasione il Portogallo ha mantenuto inderogabilmente la sua linea nei riguardi d eli 'U.R.S.S. nonostante le ripetute pressioni inglesi e anglo-francesi. Non l'ha riconosciuta, non vuole riconoscerla né avere con essa relazioni di sorta.

4 Vedi D. 374.

5 T. 1332/31 R. del 21 marzo, non pubblicato. Il suo contenuto è qui indicato.

382.

IL COLONNELLO DEL S.l.M., TRIPICCIONE, AL CAPO DI GABINETTO, ANFUSO

LETTERA SEGRETA Z/4 731. Roma, 23 marzo 1939 (perv. stesso giorno).

Fonte fiduciaria incontrollabile:

-governo Berlino non estraneo caduta governo Stojadinovié perché sua politica d'intesa con Italia e Ungheria ostacolava progetti tedeschi;

-Germania, fin da scorso settembre, avrebbe organizzato a Monaco legione croata. Reich sembra appoggi corrente Macek e lavori a smembramento Croazia;

-alta autorità tedesca avrebbe consigliato dottor Macek a chiedere, a momento opportuno, intervento truppe tedesche per risoluzione questione croata.

381 1 Non pubblicato.

381 3 Vedi D. 374, nota 3.

383

NOTA DI EDIZIONE

PROGETTI DI TRATTATO TRA L'ITALIA E L'ALBANIA

Secondo le annotazioni contenute nel Diario di Ciano, tra il 23 marzo e il l o aprile furono approntati diversi progetti di trattato tra l'Italia e l'Albania:

a) uno schema di trattato redatto da Mussolini il 23 marzo;

b) un progetto redatto lo stesso giorno da Ciano e dal direttore generale degli Affari Generali, Vitetti, che, approvato da Mussolini, fu inviato il 25 marzo a Tirana per mezzo del viceconsole De Ferrariis;

c) un progetto approntato, su ordine di Ciano del 31 marzo, dal ministro Jacomoni, allora a Roma;

d) uno schema di trattato «in termini ridotti, riduzioni più formali che sostanziali ma che valgono a salvare la faccia al Re» approvato da Mussolini il 1o aprile.

Nell'archivio di Gabinetto vi sono quattro progetti di trattato con l'Albania che qui si pubblicano senza che sia stato possibile disporli con certezza nel loro ordine cronologico e stabilire da chi sono stati redatti, salvo il Progetto A, che è autografo di Mussolini e fu preparato il 23 marzo, come indicato dal Diario di Ciano.

PROGETTO A

[Roma, 23 marzo 1939].

Articolo l L'Albania decide di unire il suo territorio, il suo popolo, il suo destino a quello dell'Italia. Articolo 2 L'attuale Re Zog I e i suoi successori continueranno a regnare in Albania, quale rappresentante del Re d'Italia, Imperatore d'Etiopia. Articolo 3 Con successivi provvedimenti sarà disposto quanto occorre per l'attuazione sollecita dei due precedenti articoli 1•

PROGETTO 8 2

1

L'Italia-su richiesta dell'Albania-concede al Regno d'Albania il suo Protettorato ed assicura al Re Zog e ai suoi legittimi discendenti il trono d'Albania.

11

L'Italia s'impegna a difendere l'integrità e l'indipendenza dell'Albania in cooperazione con le forze armate albanesi ed a tal fine ha il diritto di stabilire le sue forze militari nelle zone che saranno giudicate di comune accordo necessarie alla difesa del Paese.

111

Gli Agenti Diplomatici e Consolari italiani ali' estero saranno incaricati della protezione degli interessi e dei nazionali del Regno d'Albania.

2 Questo progetto è-probabilmente -quello preparato il 23 marzo da Ciano e Vitelli (vedi nota l) che fu inviato il25 marzo a Jacomoni per mezzo del viceconsole De Ferrariis (vedi D. 384).

IV.

L'Italia manterrà in Albania un Alto Commissario, che prenderà rango immediatamente dopo il Capo dello Stato, con la funzione di armonizzare la politica albanese alla politica italiana.

v.

L'Albania sarà rappresentata a Roma da un Delegato del Re degli Albanesi che avrà rango pari a quello dei Ministri Segretari di Stato italiani, e parteciperà al Consiglio dei Ministri ogni qualvolta saranno in discussione problemi relativi all'Albania.

VI.

In ciascuno dei Ministeri Albanesi vi sarà un Consigliere italiano che avrà il rango di Sottosegretario di Stato ed eserciterà le funzioni immediatamente subordinate a quelle dei Ministri Albanesi.

VII.

Sarà costituito il Partito Fascista Albanese come Partito unico. La sua organizzazione centrale e periferica sarà modellata su quello del Partito Nazionale Fascista. Il Segretario del Partito Fascista Albanese farà parte del Direttorio Nazionale del Partito Nazionale Fascista.

VIII.

L'Italia stabilirà un Sottosegretario di Stato per gli Affari Albanesi che farà parte del Ministero degli Affari Esteri.

IX. L'Italia concede all'Albania l'unione doganale e monetaria.

X.

I cittadini italiani domiciliati in Albania e i cittadini albanesi domiciliati in Italia godranno gli stessi diritti politici e civili dei quali godono i cittadini dei due Stati nel proprio territorio.

XI.

I simboli dello Stato Albanese saranno mantenuti quali sono con l'aggiunta del Fascio Littorio al quale l'Aquila Albanese sarà appoggiata.

XII.

L'Italia assicura al Re Zog e ai suoi legittimi eredi una lista civile di 3 milioni di lire annue.

PROGETTO C

Art. l

Vi sarà tra l 'Italia da una parte e l'Albania dali' altra una stretta alleanza, e le due Alte parti contraenti si impegnano a garantire con tutti i loro mezzi la sicurezza dei loro Stati e la difesa e salvaguardia reciproca contro ogni attacco esterno.

Art. 2

L'Italia prende l'impegno di prestare il suo costante appoggio a Sua Maestà il Re degli Albanesi contro ogni pericolo che minacciasse la Persona e la Dinastia di Sua Maestà o che compromettesse la tranquillità del suo Regno.

Art. 3

L'Italia assicura all'Albania che la sua amicizia protettrice non le verrà mai meno e in caso di una minaccia alla sovranità [o all'integrità] e all'indipendenza dell'Albania, l'Italia [provvederà] con ogni mezzo per allontanare tale pericolo ed [adotterà se necessario] le misure atte al raggiungi mento [di tale scopo].

Art. 4

Fermo restando che il mantenimento dell'ordine pubblico in Albania e la difesa contro un'aggressione esterna sono affidati al Governo albanese, il Governo italiano potrà disporre tutti quei mezzi che esso reputa necessari per rispondere agli impegni che esso si è assunti di difendere l'integrità, l'indipendenza e la sovranità dell'Albania.

Art. 5

A tale scopo il Governo albanese, riconoscendo la necessità di fornire al Governo italiano tutte le facilitazioni necessarie all'adempimento delle sue obbligazioni, concederà al Governo italiano l'uso dei porti, degli aerodromi e delle vie di comunicazione.

Art. 6

Gli agenti diplomatici e consolari italiani all'estero saranno incaricati della protezione degli interessi dell'Albania e dei suoi cittadini.

Art. 7

[ ... tre righe illeggibili ........................................................................................................ ] permanente dei due Governi e di armonizzare sempre più la politica dei due Paesi.

Art. 8

L'Albania sarà rappresentata a Roma da un Delegato Generale del Re degli Albanesi, che avrà un rango pari a quello dei Ministri Segretari di Stato italiani e parteciperà al Consiglio dei Ministri, ogni qualvolta saranno in discussione problemi relativi all'Albania.

Art. 9 L'Italia presterà tutta la sua assistenza [tecnica] e finanziaria all'organizzazione [ed al funzionamento] dello Stato albanese. In ciascuno dei Ministeri albanesi vi sarà un consigliere italiano che avrà il rango di Sottosegretario di Stato ed eserciterà le funzioni immediatamente subordinate a quelle del Ministro albanese [titolare del Ministero]. Art. IO [ ... tre righe illeggibili ........................................................................................................ ] Art. Il L'Italia concederà all'Albania appositi accordi che saranno conclusi al più presto con l 'unità doganale e monetaria. Art. 12 I cittadini albanesi domiciliati in Italia e i cittadini italiani domiciliati in Albania godranno gli stessi diritti politici e civili dei quali godono i cittadini dei due Stati nel proprio territorio. Art.13 Il Governo Albanese aggiunge allo stemma dello Stato i Fasci Littori che saranno addossati all'aquila albanese. Art. 14 Il presente trattato entrerà in vigore al momento dello scambio delle ratifiche3 .

Nel primo di essi si legge (il documento è stato molto danneggiato dall'umidità): «Il testo del Trattato di Alleanza tra l'Italia e l'Albania si distingue nettamente dagli altri Trattati del genere perché esso crea tra i due Paesi un regime di collaborazione bilaterale, dando al Delegato albanese a Roma la posizione di un ministro segretario di Stato italiano (art. 8) e stabilendo l'assoluta parità di diritti tra cittadini italiani e cittadini albanesi (art. 12).

L'indipendenza e la sovranità dell'Albania sono rispettate e garantite. Il Trattato contiene impegni da ambo le Parti che stabiliscono il protettorato dell'Italia, ma non nella torma di una incorporazione dello Stato albanese, bensì nella forma di un'alleanza che è quella creata dali 'Inghilterra con l 'Egitto e con l 'Trak.

PROGETTO 0 4

Sua Maestà il Re d'Italia, Imperatore d'Etiopia e Sua Maestà il Re degli Albanesi, desiderosi di riaffermare solennemente e di rafforzare i vincoli di solidarietà che felicemente esistono tra l'Italia e l'Albania, riconfermando che gli interessi e la sicurezza dell'una sono reciprocamente legati agli interessi e alla sicurezza dell'altra; hanno deciso di rafforzare con il presente Trattato l'alleanza difensiva esistente, il cui scopo è quello di stabilizzare i naturali rapporti tra i due Stati ed assicurarne il pacifico sviluppo e hanno perciò nominato come loro Plenipotenziari:

S.M. -il Re d'Italia, Imperatore d'Etiopia ... S.M. -il Re degli Albanesi ...

i quali, dopo aver scambiato i loro pieni poteri riconosciuti in buona e debita forma, hanno convenuto quanto segue:

Art. l

Vi sarà tra l'Italia da una parte e l'Albania dall'altra una stretta alleanza, e le due Alte Parti contraenti si impegnano a garantire con tutti i loro mezzi la sicurezza dei loro Stati e la difesa e salvaguardia reciproca contro ogni attacco esterno.

Art. 2

L'Italia assicura ali' Albania che la sua amicizia non le verrà mai meno, e in caso di una minaccia alla sovranità o all'integrità e all'indipendenza dell'Albania, l'Italia provvederà con ogni mezzo ad allontanare tale pericolo ed adotterà, se necessario, le misure atte al raggiungimento di tale scopo.

[ ... ]La partecipazione italiana all'Amministrazione dello Stato è una partecipazione di funzionari e di tecnici che sono subordinati, l'Alto Commissario solamente al Re e i Sottosegretari ai Ministri responsabili. L'Italia assume la rappresentanza dell'Albania presso i governi stranieri (art. 6). La difesa del Paese resta affidata all'Esercito albanese (art. 4). Gli uomini e le armi che l'Italia avrà in Albania non sono forze di occupazione ma un contributo dell'Italia alla difesa dell'Albania. Il governo italiano assicura a S.M. il Re degli Albanesi una lista civile di 3.000.000 di lire o una somma maggiore fino a

5.000.000. Il presente promemoria è inviato al R. Ministro a Tirana per sua norma di linguaggio. Egli potrà valersene per illustrare il trattato ma non deve dame copia, integrale o parziale, al [ ... ]».

Il testo del secondo promemoria (anch'esso danneggiato dall'umidità) è il seguente: «A mettere maggiormente in rilievo il carattere favorevole che il trattato ha per l'Albania si può aggiungere che la posizione che l'Italia fa al Delegato del Re degli Albanesi a Roma è molto più alta e più sostanziale di quella che l'Inghilterra fa ai rappresentanti dei Dominions (Canada, Australia, ecc.). Questi hanno rango inferiore ai ministri plenipotenziari stranieri, non hanno alcuna veste costituzionale nello Stato britannico, e non possono intervenire nelle decisioni del Gabinetto per quello che concerne gli affari del Paese che rappresentano. Sono meno di un diplomatico straniero. Non si può neanche fare un paragone con l'Egitto, perché l'Inghilterra aveva un Alto Commissario in Egitto, ma l'Egitto non aveva a Londra che un ministro plenipotenziario. I cittadini egiziani non godevano e non godono in Inghilterra dei diritti che gli albanesi [avranno in Italia].

Art. 3

Fermo restando che il mantenimento dell'ordine pubblico in Albania e la difesa contro un'aggressione esterna sono affidati al Governo albanese, il Governo italiano potrà predisporre tutti quei mezzi che esso reputa necessari.

Art. 4

A tale scopo il Governo albanese, riconoscendo la necessità di fornire al Governo italiano tutte le facilitazioni necessarie all'adempimento delle reciproche obbligazioni, concederà al Governo italiano l'uso dei porti, degli aerodromi e delle vie di comunicazione.

Art. 5

Le Rappresentanze diplomatiche dell'Italia in Albania e dell'Albania in Italia saranno elevate al rango d'Ambasciata.

Art. 6

L'Italia presterà tutta la sua assistenza tecnica e finanziaria all'organizzazione ed al funzionamento dello Stato albanese. In ciascuno dei Ministeri albanesi vi sarà un funzionario italiano che avrà il rango di Segretario Generale ed eserciterà le funzioni immediatamente subordinate a quelle del Ministro albanese titolare del Dicastero.

Art. 7

L'Italia concederà all'Albania con appositi accordi doganali e monetari condizioni che assicurino tra i due Paesi gli scambi in regime analogo a quello del mercato interno.

Art. 8

I cittadini albanesi domiciliati in Albania ed i cittadini italiani domiciliati in Albania godranno gli stessi diritti politici e civili dei quali godono i cittadini dei due Stati nel proprio territorio.

Il presente Trattato entrerà in vigore al momento dello scambio delle ratifiche.

In fede di che i detti Plenipotenziari hanno firmato il presente trattato.

Fatto a Tirana il ... 1939-XVII in due esemplari di cui uno è stato rimesso a ciascuna delle due Alte Parti contraenti.

ACCORDI PERSONALMENTE PRESI CON S.M. IL RE DEGLI ALBANESI Art. l

L'Ambasciatore d'Italia in Albania, oltre all'esercizio delle funzioni rappresentative sue proprie, avrà il compito di assicurare la collaborazione permanente fra i due Governi e di armonizzare sempre più la politica dei due Paesi.

Art. 2 Sarà creata in Albania una Organizzazione Fascista albanese come Organizzazione unica nazionale che sarà modellata su quella del Partito Nazionale Fascista di Italia. Ai membri dell'Organizzazione Nazionale Fascista albanese sarà assicurata in Italia la stessa situazione di cui godono i membri del Partito Nazionale Fascista italiano mentre analogo trattamento sarà fatto in Albania ai membri del Partito Nazionale Fascista italiano. Art. 3 Nello stemma dell'Organizzazione Fascista albanese saranno applicati Fasci Littori addossati all'aquila albanese su disegno stabilito dal Governo albanese. Art. 4 Sua Maestà il Re degli Albanesi assume direttamente il comando delle Forze Armate. Capo di Stato Maggiore sarà un alto ufficiale italiano designato dal Capo del Governo italiano. Art. 5 Saranno concesse all'Italia le organizzazioni della gendarmeria e delle polizia. Art. 6 Gli attuali istituti sanitari e di cultura stranieri saranno eliminati. Art. 7 Nessuna Società straniera potrà stabilirsi in Albania senza previo accordo fra il Governo di Albania e il Governo d'Italia. Altrettanto vale per la creazione e il funzionamento di Società albanesi che nascondano interessi stranieri. Art. 8 I provvedimenti necessari ali' esecuzione dei predetti reciproci impegni saranno adottati entro il prossimo mese di maggio salvo accordo contrario fra i due Governi.

383 1 Il progetto è autografo di Mussolini. Su di esso vi è questa annotazione nel Diario di Ciano (sotto la data del 23 marzo): «Ii Duce decide di accelerare i tempi nella questione albanese e lui stesso redige un progetto di accordo brevissimo di tre secchi articoli che ha molto più l'aspetto di un decreto che di un patto internazionale. Ne preparo uno anch'io, insieme a Vitetti. È un accordo che salvando le forme ci consente un'effettiva annessione dell'Albania. Il Duce lo approva. O Zog accetta le condizioni che noi gli facciamo oppure occuperemo il Paese con le armi. A tal fine stiamo già mobilitando e concentrando in Puglia quattro reggimenti di bersaglieri, una divisione di fanteria, reparti aerei e tutta la prima squadra».

383 3 Nello stesso fascicolo di Gabinetto, vi sono due «promemoria illustrativi» che si riferiscono a questo progetto.

383 4 Nelle sue memorie (La politica dell'Italia in Albania, Bologna, 1965, p. 102-103) l'allora ministro a Tirana, Jacomoni, riproduce questo documento come il progetto inviatogli il 25 marzo per mezzo del viceconsole De Ferrariis. Dai riferimenti contenuti nei DD. 462 e 474 agli articoli del progetto di trattato allora in discussione, risulta invece che questo fu il progetto sul quale si basarono le ultime trattative condotte da Jacomoni con Re Zog e con i ministri albanesi, dopo il suo ritorno a Tirana il l o aprile.

384

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, AL MINISTRO A TIRANA, JACOMONI

T. S.N.D. 4753/23 P.R. Roma, 24 marzo 1939, ore 22,15.

Dal momento che attraverso molte sue dichiarazioni Re Zog riconosce la necessità e l 'urgenza di stabilire su nuove basi i rapporti italo-albanesi, anche in relazione a quanto succede in Europa e poiché questo è pure il convincimento assoluto del Duce, recatevi da Zog e domandategli, discutendone con lui, su quali basi egli vorrebbe stabilire i nuovi rapporti con l'Italia. Fategli capire che ciò è ormai urgente e improrogabile anche per chiarire una volta per tutte la situazione che la speculazione dei terzi rende con interventi estranei più complicata. Appena conferito telegrafàte. Partirà frattanto per Tirana De Ferrariis che recherà schema trattato1 contenente nostri desiderata nei confronti Albania2 .

385

L'AMBASCIATORE A VARSAVIA, ARONE, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. RISERVATISSIMO 1436/69 R. Varsavia, 24 marzo 1939, ore 24 (perv. ore 2 del 25).

Improvvisa liquidazione questione di Memel sembra destinata avere assai prossime ripercussioni a Danzica. Tale prospettiva che tiene in allarme opinione pubblica polacca preoccupa vivamente questo governo.

Ove il Reich, spinto dagli ultimi suoi successi, avesse deciso di porre ora in pieno la questione (e qualche indizio potrebbe fare supporre che sondaggi siano stati testé qui fatti al riguardo), posizione in cui si trova governo polacco, di fronte pressioni ambienti militari e partiti, gli renderebbe assai difficile fare larghe concessioni. Tale situazione non consente poi sicure previsioni sulle reazioni del governo polacco di fronte ad una categorica ingiunzione della Germania. Mi risulta che a Berlino su questo punto essenziale vi siano delle perplessità: pur essendo colà piuttosto portati a ritenere che la Polonia non ricorrerebbe ad una difesa armata dei propri diritti su Danzica, non si nutre alcun dubbio sulle immancabili violentissime reazioni opinione pubblica e conseguenti profonde modifiche nella compagine del governo.

2 Circa queste istruzioni, vi è nel Diario di Ciano questa annotazione (sotto la data del 24 marzo): «Col Duce e con Pariani discutiamo il progetto d'azione in Albania. Restiamo intesi che non conviene porre subito un ultimatum ma che conviene cominciare i negoziati con Zog. Se egli tenta di resistere e di ciurlarci nel manico, ricorreremo alla forza. Il Duce si preoccupa soltanto delle reazioni a Belgrado, che bisogna cercare, per tante ragioni, di ridurre al minimo».

Va comunque segnalato che intanto qui si sta provvedendo ad apprestamenti militari col richiamo di alcune classi.

384 1 Per il quale si veda il D. 383, sub B.

386

L'AMBASCIATORE AD ANKARA, DE PEPPO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 1675/031 R. Ankara, 24 marzo 1939 (perv. il 4 aprile).

Riferimento: mio telespresso n. 581/314 del 22 marzo 1•

Mi risulta che il 18 marzo l'ambasciatore di Gran Bretagna2 ha fatto un passo presso il governo turco per sapere quale atteggiamento avrebbe adottato la Turchia in caso di un attacco tedesco contro la Romania. Saracoglu ha risposto che gli impegni del governo turco verso la Romania non andavano al di là di quelli contemplati nel Patto balcanico. Questo punto di vista veniva confermato nella nota pubblicata il 21 marzo dall'Agenzia di Anatolia.

L'ambasciatore di Inghilterra avrebbe inoltre chiesto a Saracoglu quale accoglimento sarebbe riservato dal governo turco ad eventuali proposte concrete francoinglesi relative ali' attuale situazione internazionale. Saracoglu avrebbe risposto che il governo turco non si rifiuterebbe di esaminare tali proposte, sempreché esse potessero inquadrarsi negli impegni del Patto balcanico.

Questo incaricato d'affari di Germania ha chiesto formalmente a Saracoglu se gli impegni del Patto balcanico avrebbero implicato un'assistenza reciproca fra gli Stati firmatari anche nel caso -non previsto dal Patto -che la frontiera minacciata fosse una frontiera non balcanica. Saracoglu ha risposto di no, confermando che l'obbligo de li' assistenza reciproca vale solo in relazione alle frontiere inter-balcaniche. Conseguenza: in caso di un attacco contro la Romania da parte di una Potenza non balcanica, la Turchia non sarebbe tenuta ad intervenire in virtù del Patto balcanico.

Il signor Kroll ha tuttavia qualche dubbio circa il futuro atteggiamento di questo Paese. l recenti accordi tedesco-romeni, pur essendo di carattere strettamente economico, possono avere dei riflessi politici: Francia, Inghilterra e U.R.S.S. temono che, attraverso la Romania, la Germania giunga in forza al Mar Nero, minacciando gli Stretti.

Il signor Kroll prevede che nel prossimo mese di aprile vi sarà un'azione concertata franco-inglese-sovietica che, con lusinghe o minacce, tenterà di strappare al governo turco qualche promessa precisa.

2 Sir Hughe M. Knatchbull-Hugessen.

Saracoglu, a sua volta, parlando in via riservata con persona che me ne ha riferito, ha mostrato di essere preoccupato delle conseguenze del recente accordo fra il Reich e la Romania, che permetterà alla Germania di intervenire negli affari interni -non soltanto economici-dell'alleata balcanica.

386 1 Riferiva che l'ufficiosa Agenzia di Anatolia, nel riportare un'informazione dell'agenzia Havas secondo la quale il governo britannico aveva ottenuto l'impegno della Turchia a sostenere militarmente la Romania «in ogni circostanza», aveva precisato che tale impegno non doveva essere inteso «al di fuori delle stipulazioni del Patto Balcanico».

387

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, AL MINISTRO A TIRANA, JACOMONI

LETTERA SEGRETA. Roma, [24 marzo 1939].

In seguito alla situazione generale prodottasi in Europa dopo le recenti vicende, e sulla base delle informazioni contenute nei tuoi rapporti, il Duce ha preso la decisione di sottoporre ad una revisione completa i rapporti esistenti tra noi e l'Albania.

Tu stesso hai parlato della possibilità di far accettare dal Re una forma di protettorato che, salvaguardando formalmente l'indipendenza albanese e assicurando la posizione al sovrano e alla sua dinastia, permetta di praticamente annettere l'Albania all'Italia. Ti invio pertanto qui unito il progetto di un Patto di alleanza protettiva fra l 'Italia e l'Albania 1• Ti prego voler studiare con la massima attenzione il documento che ti sottopongo e di farmi conoscere al più presto se concordi su di esso o quali eventuali modifiche vorresti apportarvi.

Non si tratta di negoziare un Patto. Si tratta di farlo accettare al re Zog come condizione sine qua non per il mantenimento dell'indipendenza e dell'integrità territoriale albanese.

In questi giorni il Duce ha già disposto per la mobilitazione ed il concentramento in Puglia di contingenti terrestri, aerei e navali. Tale concentramento sarà ultimato verso la fine della settimana ventura. In tale momento tu dovresti presentarti al sovrano e sottoporgli il documento, dicendogli che le condizioni determinatesi in Europa e la stessa situazione interna albanese impongono di porre su tali basi le relazioni fra l'Italia e l'Albania. Naturalmente aggiungerai che, se egli non accetta nel termine di una o due ore, l'Italia declina ogni responsabilità di quanto potrà avvenire e lascia piena libertà alla popolazione albanese di agire contro la Monarchia. Qualora il Re accetti, come appare probabile, tu potrai seduta stante firmare il Patto oppure farci rilasciare una richiesta scritta di protettorato riservandomi di firmare io stesso il Patto a Tirana ove giungerei immediatamente con aereo in seguito a tua notizia telegrafica. Forse il Re può preferire, per ragioni di prestigio, questa seconda soluzione: comunque tu devi adottare quella che a tuo giudizio lascia al sovrano la minore possibilità di contromanovra e presenta le maggiori garanzie per noi. Io mi riservo in ogni modo, di venire subito a Tirana con alcuni reparti di forze aeree, per prendere praticamente possesso del Paese e per avviare nei primi giorni l'ordine nuovo.

Questa sembra, giudicata da qui, la migliore linea di condotta da adottare: ti prego di voler con la massima franchezza far conoscere quei rilievi, obiezioni e modifiche che credi opportuno suggerire. Se ritieni infine utile una tua rapida corsa a Roma, che però non dovrebbe destare il minimo sospetto a Tirana, sei autorizzato a farla.

387 1 Vedi D. 383.

388

IL MINISTRO A KAUNAS, DI GIURA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

RAPPORTO RISERVATO 547/153. Kaunas, 24 marzo 1939 (perv. il 29).

Con riferimento ai miei due telegrammi nn. 141 e 152 rispettivamente del 21 e 23 corrente ho l'onore di trasmettere qui unito a V.E. il testo dell'accordo3 , con relativa appendice, firmato la notte dal 22 al 23 corrente a Berlino, fra il signor Urbsys, ministro degli Affari Esteri di Lituania, il signor Skirpa, ministro di Lituania a Berlino, e von Ribbentrop. Tale accordo, del quale fu mia doverosa cura telegrafare immediatamente all'E.V. i punti principali, mi è stato premurosamente consegnato nel suo originale tedesco da questo incaricato d'affari di Germania ieri mattina, e cioè non appena questa stessa legazione tedesca ne aveva ricevuto conoscenza.

Questa mattina hanno fatto ritorno a Kaunas il signor Urbsys ed i due giuristi lituani che, con il ministro di Germania a Kaunas, signor Zechlin, lo avevano accompagnato a Berlino.

La Dieta di Memel anticipò improvvisamente la sua apertura tenendo una brevissima seduta la sera del 22 Marzo, e cioè quando già a Berlino i Plenipotenziari lituani e tedeschi stavano per firmare la cessione dalla Lituania alla Germania del Territorio di Memel. In tale seduta venne dichiarato che essa sarebbe stata «la prima e l'ultima» di quella Dieta perché era imminente il ritorno del Territorio Autonomo al Reich. Anche questa circostanza, connessa con l'altra d'inviare espressamente dalla Germania un aeroplano per far giungere a Berlino con un anticipo sia pure di qualche ora soltanto questo ministro degli Affari Esteri per la firma dell'accordo, ha contribuito a dimostrare palesemente lo straordinario interesse che il governo tedesco aveva di definire con una rapidità veramente eccezionale la questione di Memel, onde porre dinanzi al fatto compiuto Polonia, U.R.S.S., Inghilterra e Francia, e svalo

2 T. 1389/15 R. del 22 marzo. Riferiva che il ministro degli Esteri lituano si era recato a Berlino dove aveva sottoscritto il trattato per la cessione del territorio di M eme! e preannunciava l'invio di questo rapporto.

3 Non pubblicato. Il testo del trattato è in DDT, vol. V, D. 405, nota l.

rizzarne anticipatamente le prevedibili proteste, sia con l'accordo «pacifico» raggiunto con il governo lituano che con la rapidità dell'accordo medesimo.

Il Fiihrer ha trascorso la giornata di ieri a Memel dove è stato accolto trionfalmente. Ieri stesso, a Berlino vi è stato uno scambio di note fra Urbsys ed il Segretario di Stato per gli Affari Esteri tedesco con le quali è stato deciso che «nessun abitante della regione di Memel sarà perseguitato o disturbato per il proprio atteggiamento politico avuto finora durante il periodo di tempo che la regione di Memel è appartenuta alla Lituania».

La stampa di questa mattina riporta al primo piano i commenti della stampa tedesca circa «l'importanza politica e strategica dell'accordo». Tale importanza non ha certo bisogno d'essere chiarita essendo d'una evidenza palmare di per se stessa, sia nei riguardi della Polonia, che della Lettonia e dell'U.R.R.S. Nei riguardi della Polonia, il ritorno di tutta la regione di Memel al Reich, e l'impegno creato in base all'art. 4 dell'accordo che, cioè, «ambedue i Paesi s'impegnano a non usare alcuna forza l'uno contro l 'altro e a non appoggiare in alcun modo un impiego di forza d'una terza parte contro una delle parti contraenti», costituiscono un grave colpo alla politica polacca. Essa aveva cercato in tutti i modi, negli ultimi mesi, di portare le relazioni fra la Polonia e la Lituania ad uno stato non solo di vera normalità ma di cordialità atta a far entrare questo Paese nell'orbita degli interessi polacchi. La Polonia non tralascia quindi alcuna occasione per esprimere qui le sue lamentele a proposito del!' «accerchiamento» che essa sente da parte della Germania, da un lato con il «problema ucrainm> e dall'altro con la progrediente marcia del germanesimo lungo le rive sud-orientali del Baltico. Con timore forse maggiore, in proporzione inversa alla sua tanto minore entità territoriale di fronte alla Polonia, la Lettonia segue tale marcia, ricordando più che mai i tempi dei «Baroni baltici» dominatori sia della Lettonia che dell'Estonia, ricordo che essa ha cercato di demolire il più possibile persino nelle sue forme esteriori ma che essenzialmente permane in maniera sempre più preoccupante. Nei riguardi dell'U.R.S.S., il fatto che la frontiera estremo-orientale della Lituania dista soltanto 40 chilometri dalla più vicina frontiera russa rende evidente il grande vantaggio raggiunto dalla Germania con il disposto del predetto art. 4. L'eccezionale importanza strategica della Lituania costituisce, pertanto, con l'accordo in discorso, un apporto d'importanza molto rilevante per la politica tedesca nell'Europa orientale. Ciò avviene, naturalmente, con vivissima contrarietà sopratutto della Polonia, la quale ancor più intensamente del solito tà noti qui i suoi timori per Danzica, per il «corridoiO>>, e persino per la Posnania, pur dichiarando a tutti la sua «incrollabile volontà di battersi qualora attaccata».

Il governo ed il popolo lituano, che speravano sempre che l'atteggiamento estremamente conciliativo del nuovo Governatore di Memel, signor Gailius, avrebbe potuto evitare, o ritardare di molto, il distacco di Memel, hanno accolto i recenti avvenimenti con dignità, senso realistico delle circostanze, e fermezza. Mi è stato riservatamente comunicato che al principio delle rapidissime trattative, quando, oltre gli inevitabili turbamenti delle prime ore (turbamenti che questa vasta comunità ebraica aveva cercato d'attivare al massimo), non si conosceva ancora fino a qual punto si sarebbero fermate le domande tedesche, l'esercito ed il popolo lituano erano decisi a battersi, anche senza la minima speranza di successo, contro l'eventuale invasore che avesse voluto attentare alla esistenza dell'indipendenza del Paese, riacquistata con tanti sacrifici e dopo un così lungo periodo di oppressione straniera. L'annunzio degli effettivi termini dell'accordo, e la specificazione che la Lituania avrà una zona libera nel porto di Memel, affittata per la durata di novantanove anni e con un pagamento che si considera già effettuato con le riparazioni, le costruzioni e le altre numerose ed ingenti spese fatte dai lituani in quel porto, hanno tolto l'incubo sotto il quale questa popolazione aveva vissuto per oltre ventiquattro ore.

Una comunicazione telefonica da Memel di quel corrispondente del quotidiano ufficioso Lietuvos Aidas di Kaunas, riferente che «nei circoli tedeschi di Memel si dice che quella regione è la prima marittima che ritorna al Reich e che perciò Hitler vuole sottolineare tale importanza venendo subito in quella città per prenderne possesso», ha suscitato nuove ansie in questi ambienti polacchi il cui pensiero si è subito rivolto a Danzica. Ieri stesso l'esercito lituano ha abbandonato l'ex-Territorio Autonomo dandovi il posto alle forze armate tedesche. Tutti i treni in partenza da Memel per la Lituania erano zeppi di giudei che scappavano da quella regione.

Questo Consiglio dei ministri aveva deciso fin dall'altro ieri di promulgare in tutta la Lituania lo «stato di difesa rinforzata» eh'era già in vigore nella provincia e città di Kaunas sin dal dicembre scorso. La stampa lituana concordemente, senza alcuna differenza di partito o d'ideologia, ha invitato la nazione a mantenersi calma nell'attuale momento difficile. E l'unità di questo popolo si è rivelata in maniera degna di considerazione e di rispetto.

Le gallofilie, od i nostalgici ricordi della Russia imperiale, di alcuni ambienti intellettualoidi della classe dirigente lituana, sovratutto della femminile, malati di snobismo, ignoranza e presunzione, restano sommersi sotto il peso reale delle attuali circostanze, che dovranno decisamente orientare verso l'Asse questo Paese, sia pure attraverso ulteriori reticenze e perplessità. In proposito devo notare che proprio ieri, giorno di lutto per la nazione lituana, la Radio di Stato di Kaunas ha tenuto a diffondere la conferenza in lingua lituana sul Ventennale della fondazione dei Fasci che da vario tempo era stata redatta a cura di questa R. Legazione. Questo è certamente un ben piccolo dettaglio, ma tuttavia ha un significato che mi sembra giusto segnalare a V.E.

388 1 T. 1325/14 R. del 22 marzo. Riferiva di essere stato informato dal ministro degli Esteri lituano, Urbsys, che von Ribbentrop aveva posto al governo lituano l'alternativa di cedere pacificamente il territorio di Memel, inviando a Berlino entro ventiquattro ore i plenipotenziari per definirne le modalità, oppure di affrontare le reazioni della Germania dopo l'ingresso delle truppe del Reich in Lituania.

389

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI TEDESCO, VON RIBBENTROP

LETTERA PERSONALE. Roma, 24 marzo 1939.

L'Ambasciatore von Mackensen mi ha rimesso la Vostra lettera del 20 marzo scorso2 con la quale, di ritorno da Praga, avete voluto informarmi delle circostanze che hanno determinato la recente azione della Germania in Boemia e Moravia.

Del contenuto di tale lettera ho dato subito conoscenza al Duce.

2 Vedi D. 354.

Ho preso atto con viva soddisfazione delle Vostre dichiarazioni concernenti le questioni del Mediterraneo in genere e quella croata in ispecie. Esse confermano la comprensione, da parte della Germania, dei problemi e delle necessità italiane, e la decisione del Fiihrer che in tutte le questioni del Mediterraneo la politica dell'Asse deve essere determinata da Roma.

Attolico mi ha recato i Vostri saluti che Vi ricambio con sincera cordialità, pregandoVi di far pervenire al Fiihrer il mio devoto omaggio.

389 1 Ed. in L 'Europa verso la catastrofe, p. 422.

390

L'INCARICATO D'AFFARI A BERLINO, MAGISTRATI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 23 92/715. Berlino, 25 marzo 1939 (perv. il 28).

Mi onoro di trasmettere qui acclusa copia di un rapporto 1 inviato da questo consigliere commerciale a S. E. il ministro per gli Scambi e per le Valute circa i nuovi accordi conclusi dalla Germania con la Romania2 .

Richiamo attenzione di V. E. non solo sulla portata di tale Accordo, ma sulla politica di graduale penetrazione che la Germania va sempre più sviluppando verso le regioni del sud-est dell'Europa, con l'intento ultimo di creare un grande mercato europeo che dia al popolo germanico la sicurezza di vivere senza dover dipendere economicamente dai Paesi d'Oltremare.

Su tale politica questa Ambasciata ha fatto in passato numerose segnalazioni. Essa è basata sulla perfetta conoscenza dei bisogni e delle possibilità dei Paesi verso i quali la Germania dirige la propria azione, e su trattati che mirano ad assicurare a tali Paesi non uno sbocco occasionale ai loro prodotti, specialmente agricoli, ma uno sbocco costante e possibilmente crescente.

Poiché l'Austria e la Cecoslovacchia erano dopo la Germania i migliori clienti dei Paesi del sud-est del! 'Europa, si comprende quale forza di penetrazione rappresenti ora per la Grande Germania l'aver incorporato nella propria le economie dei due suddetti Paesi.

2 Riferimento al trattato del 23 marzo precedente. Vedi D. 378, nota l.

390 1 Non pubblicato.

391

L'AMBASCIATORE A PARIGI, GUARIGLIA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 2031/861. Parigi, 25 marzo 1939 (perv. il 30? ).

Il nervosismo di cui ha dato prova la Francia nell'ultima settimana è forse superato soltanto di poco da quello di cui. a quanto mi dicono. ha dato prova l'Inghilterra.

L'occupazione di Praga, il protettorato sulla Slovacchia, il trattato con la Romania1 , la cessione di Memel sono caduti come tanti successivi colpi di martello sul pubblico francese, mentre una ridda di false notizie lo teneva in costante agitazione. Si dava per certa l'occupazione dell'Ungheria, quella della Romania (con relativo colossale incendio dei pozzi di petrolio da parte dei rumeni fedeli alla Francia), prossima quella di Danzica, con consecutiva guerra tedesco-polacca, non lontana infine quella dell'Olanda e della Svizzera.

Il panico che ha invaso la Francia è stato controbattuto solo dalla visita del Presidente Lebrun a Londra2 , dalle straordinarie accoglienze colà tàttegli e dalle concomitanti conversazioni politiche Halifax-Bonnet sull'esito delle quali si fondavano le speranze.

La delusione della mancata costituzione del fronte unico è stata in parte compensata dalla dichiarazione franco-inglese ma soprattutto dalla speranza che l'Inghilterra adotterà una buona volta la coscrizione. Infine sono giunte notizie chiarificatrici circa l'accordo commerciale tedesco-rumeno, il quale era in fondo l'avvenimento che aveva destato maggiori preoccupazioni negli ambienti politici più seri.

Il discorso di S.M. il Re Imperatore3 è stato accolto assai bene da quasi da tutti. La frase riguardante i rapporti con la Francia ha avuto un effetto calmante, benché essa non facesse che riassumere con assoluta chiarezza e concisione lo stato reale delle questioni italo-francesi che l'isterismo di questa stampa e di questo pubblico ha deformato in buona o in mala fede.

Ora si attende con lo stesso nervosismo il discorso di S.E. il Capo del governo. Ma in sostanza le opinioni restano assai divise. Pochissimi soltanto si fanno ancora l'illusione di poter staccare l'Italia dalla Germania, ma il dilemma su cui gli ambienti politici sono divisi è in realtà questo: facendo concessioni all'Italia rafforzeremo l'Asse, oppure renderemo l'Italia più capace di esercitare su Berlino un'azione moderatrice? Non è errato dire che la maggioranza dei politici e dei politicanti pensa che «resistere all'Italia è il miglior mezzo per resistere a Berlino». Sotto questo punto di vista. dunque. i recenti avvenimenti politici in Europa Orientale hanno un po' cambiato quelle disposizioni tàvorevoli ad un accordo con l'Italia manifestatesi negli ultimi tempi.

Il gran pubblico è spaventato, darebbe molto, pagherebbe a caro prezzo la pace se lo si lasciasse libero di prendere una decisione, ma gli si fa credere che la Patria è in pericolo e lo si abitua a poco a poco all'ineluttabilità di una guerra più

o meno vicina.

Non manca certo ancora chi proclama la necessità di un gesto verso l'Italia, gesto il quale non sarebbe poi altra cosa che la normale e logica ripresa da parte della Francia di conversazioni politiche con noi sulla base della nota italiana del 17 dicembre4 . Ma dal Quai d'Orsay si fa dire che la Francia ha risposto a tale nota e che la discussione è ormai chiusa. Tuttavia, per attirare antipatie verso Bonnet, si fa spargere la voce che questi sarebbe disposto a conversare mentre Daladier è intransigente. Lavai nulla mi ha fatto più sapere. dopo la comunicazione fattagli da me giungere in base agli ordini di V.E. 5 .

Malgrado l'opprimente incubo della Germania la situazione nei nostri riguardi non è dunque finora sostanzialmente mutata. tranne che i tedeschi ci hanno sostituiti nel primo posto che abbiamo occupato finora sul cartellone della scena francese.

Detto ciò, occorre aggiungere che in realtà, malgrado gli isterismi, le divergenze di opinioni e le superficialità di giudizio politico, i fatti verificatisi ultimamente per opera della Germania hanno tolto ogni illusione a coloro che speravano in un riavvicinamento franco-tedesco, hanno dato ragione a quelli che non credevano negli accordi firmati in occasione della visita di Ribbentrop a Parigi6 , hanno persuaso tutti che per la Francia non c'è altro scampo che quello di procedere al riarmo morale e materiale7•

391 1 Vedi D. 378, nota l. 2 Del 21-24 marzo. Per le conversazioni avvenute in quell'occasione tra Bonnet e Halitàx, alle quali si accenna qui, si veda DDF, vol. XV, D. 113 e BD, vol. IV, DD. 458,484 e 507. 3 Riferimento al discorso della Corona pronunciato il 23 marzo per l'inaugurazione della Camera dei Fasci e delle Corporazioni (testo in Relazioni Internazionali, p. 212).

392

L'AMBASCIATORE A MOSCA, ROSSO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. RISERVATO 1264/534. Mosca, 25 marzo 1939 (perv. il 3 aprile). Riferimento: mio telegramma n. 32 del23 corrente1 .

La notizia che un accordo era già intervenuto per una dichiarazione comune anglo-franco-sovietica venne data come sicura nel pomeriggio di avantieri da un

5 Vedi D. 343.

6 Riferimento alla dichiarazione franco-tedesca del 6 dicembre 1938 (vedi D. 123, nota 2).

7 Il documento ha il visto di Musso lini. 392 1 T. 1390/32 R. del 23 marzo. Riferiva di aver appreso che il governo sovietico si apprestava a dare la sua adesione alla dichiarazione proposta dalla Gran Bretagna che impegnava a consultarsi immediatamente quando si fosse verificata una minaccia ali' indipendenza politica di un qualsiasi Stato europeo. Per il testo iniziale della dichiarazione che, come primo passo, prevedeva l'adesione di Francia, Gran Bretagna, U.R.S.S. e Polonia, si veda BD, vol. IV, D. 446.

funzionario dell'ambasciata britannica, il quale prevedeva per l'indomani la pubblicazione del testo della dichiarazione stessa. Tale notizia sembrava venir confermata dal fatto che i corrispondenti dei giornali stranieri erano stati invitati a recarsi al Narkomindiel verso la mezzanotte del 23 corrente per ricevere un comunicato ufficiale sovietico, che tutti supponevano dover concernere appunto la dichiarazione delle tre Potenze. Senonché in serata l'invito ai giornalisti venne disdetto e l'indomani hanno incominciato a correre voci nel senso che l'accordo non fosse ancora stato raggiunto.

Sulle ragioni del mancato accordo si dànno in questi ambienti diplomatici delle versioni diverse ed anche contraddittorie. Vi è chi dice che il governo sovietico non abbia voluto impegnarsi a fondo e che il testo da esso proposto sia stato giudicato insoddisfacente dal signor Bonnet. Altri ritengono invece che Mosca avesse posto certe condizioni che si sono rivelate pel momento ineseguibili.

Così, secondo quest'ambasciata di Germania, il governo sovietico avrebbe chiesto: l) che la dichiarazione avesse una portata concreta e non soltanto platonica; 2) che gli impegni avessero la durata di un anno; 3) che la Polonia vi partecipasse. La stessa ambasciata ha avanzato anche l'ipotesi che, in cambio della promessa di aiuto sovietico ad occidente, Litvinov abbia chiesto a Francia ed Inghilterra di impegnarsi a portare aiuto all'U.R.S.S. nel caso di una sua guerra col Giappone.

Non sono stato finora in grado di controllare queste diverse versioni e suppongo del resto che V.E. possegga già al riguardo delle notizie più precise e più attendibili di quelle che possono venir fornite da Mosca.

Pur non disponendo di elementi positivi di informazione, ho tuttavia ragione di pensare che l'attitudine sovietica nei recentissimi negoziati sia stata guidata dalle seguenti direttive.

All'U.R.S.S. non interessa e non conviene di partecipare a manifestazioni puramente «dimostrative» contro gli Stati totalitari. Neppure le convengono degli accordi troppo limitati con una o due Potenze, specialmente quando si tratta di governi (come il francese e l'inglese) che hanno mostrato finora tanta debolezza ed irresolutezza. L'unica cosa che può interessare l'U.R.S.S. è la formazione di una larga coalizione cui partecipino anche i suoi principali confinanti (Polonia, Romania e Turchia), perché in una coalizione del genere Mosca potrebbe esercitare una maggiore influenza che in una combinazione a tre, mentre i rischi sarebbero minori, in quanto divisi fra un più largo numero di partecipanti.

Parlando tanto con Litvinov quanto con Potemkin, io ho tratto l'impressione che fra i dirigenti sovietici permanga sempre viva la diffidenza verso Londra e Parigi, palesemente manifestata da Stalin nella sua relazione al Congresso del Partito2 , quando aveva parlato dei Paesi che «vorrebbero far togliere le castagne dal fuoco» dall'Unione sovietica. Sentendosi relativamente sicura ad Occidente e vedendosi oggetto delle sollecitazioni dell'Inghilterra e della Francia, l'U.R.S.S. vuole far sentire oggi che essa possiede libertà di scelta. Io credo quindi che nei negoziati di questi ultimi giorni la tattica di Litvinov sia stata di mettere inglesi e francesi davanti al dilemma:

o ritorno al principio della sicurezza collettiva con impegni precisi e definitivi di

mutua assistenza fra tutte le Potenze interessate, oppure l'U.R.S.S. conserva la propria indipendenza di decisione e di movimento.

391 4 Vedi serie ottava, vol. X, D. 566.

392 2 Del l O marzo, vedi DD. 284 e 285.

393

L'ADDETTO MILITARE A BERLINO, MARRAS, AL MINISTERO DELLA GUERRA

FOGLIO SEGRETO 674. Berlino, 25 marzo 19392 .

Le ripercussioni e gli sviluppi della situazione derivante dal colpo di mano tedesco sulla Cecoslovacchia non si sono fatti attendere. Con l'occupazione della Boemia

o della Moravia e con la tutela imposta alla Slovacchia la Germania ha spinto notevolmente avanti verso sud-est le sue basi e aumentato considerevolmente la sua influenza nel Bacino balcanico e nella regione polacco-baltica, mentre in pari tempo ne risultano rinforzate le tendenze espansive.

La nuova situazione geografico-militare e l 'incremento di prestigio e di forza ottenuto dalla Germania hanno messo il Reich in condizione di esercitare una maggiore pressione sulla Polonia e sull'Ungheria e di fare sentire meglio la sua influenza sulla Jugoslavia e sulla Romania.

La Jugoslavia vede anche crescere la minaccia di un irredentismo tedesco appoggiato al separatismo croato.

La Romania sembra ormai mettersi, colla conclusione del recentissimo trattato 3 , sotto la tutela economica della Germania, la quale con la concessione di impianti portuali si pone in condizione di intervenire nel Mar Nero.

L'Ungheria, se da una parte ha ottenuto dalla Germania il congiungimento con la Polonia, dall'altra vede crescere la pressione tedesca, vede compromesse le aspirazioni irredentiste sulla Romania, e considera che i risultati ora ottenuti sarebbero praticamente annullati il giorno in cui la Germania si aprisse attraverso la Polonia la via verso l'Ucraina.

Ma il problema che richiama oggi tutta l'attenzione è quello delle relazioni tedesco-polacche. In questo campo le ripercussioni dei recenti avvenimenti sono le più gravi e immediate. Problemi che quindici giorni or sono apparivano come ancora lontani, si presentano oggi in primissimo piano.

Questi problemi, a prescindere dal movimento ucraino che la Germania alimenta ma che non è ancora maturo, hanno per oggetto:

Danzica,

Corridoio polacco,

Posnania.

2 Manca l'indicazione della data di arrivo.

3 Riferimento al trattato tra Germania e Romania siglato a Bucarest il 23 marzo 1939. Vedi

D. 378, nota l.

Danzica è già oggi completamente in mano alla Germania. Un ritorno al Reich non muterebbe sensibilmente lo stato di fatto. Ben diversa è invece la situazione nel riguardo del Corridoio e della Posnania.

Si può supporre che la Germania, in primo tempo, eseguendo un rapido e forte ammassamento di forze alla frontiera polacca, proponga al governo di Varsavia di risolvere pacificamente la questione del Corridoio, analogamente a quanto ha fatto la Lituania. In qualche ambiente militare tedesco si nutre qualche speranza in una soluzione consimile. Quest'addetto militare polacco4 , mi assicura invece che la Polonia si opporrebbe con le armi. La Polonia sente inoltre che la cessione del Corridoio condurrebbe fatalmente a breve scadenza alla cessione della Posnania e allo sviluppo del movimento ucraino.

D'altra parte, occorre tener presente che la Germania di fronte a un atteggiamento deciso della Polonia potrebbe essere indotta a segnare il passo e a rimandare la partita, per evitare nella situazione attuale una grande guerra europea.

Appaiono così tutte le difficoltà attuali della Polonia, la quale vede l'inefficienza del patto di amicizia polacco-tedesco5 , sente la minaccia germanica e in pari tempo esita a lasciarsi impegnare da Francia e Inghilterra in un nuovo accordo, che potrebbe accelerare la crisi.

La situazione attuale richiede perciò la massima attenzione anche per le ripercussioni che gli avvenimenti in Polonia avrebbero immancabilmente nel Sud-Est europeo e in regioni prossime all'Italia.

393 1 11 documento è tratto dall'Archivio dell'Ufficio Storico dello Stato Maggiore dell'Esercito.

394

IL CANCELLIERE DEL REICH, HITLER, AL CAPO DEL GOVERNO, MUSSOLINI

LETTERA1• Berlino, 25 marzo 19392 .

Per la ventesima volta ricorre per voi il giorno della fondazione del Fascismo. Dall'anno 1920 la storia del vostro popolo e del vostro Paese, che ha trovato il suo primo coronamento nella riedificazione dell'Impero romano, è indissolubilmente congiunta al vostro nome ed al nome del vostro movimento. Ma indipendentemente da ciò, io sono consapevole di questo: che da quel giorno, anche l'evoluzione dell'Europa e con essa quella dell'umanità è stata indirizzata su una nuova via.

Quali conseguenze avrebbe portato seco per l'Occidente una bolscevizzazione dell'Italia non è immaginabile.

Che senza il vostro storico atto della fondazione del Fascismo essa sarebbe giunta a questa bolscevizzazione è certo. Anche se nella vita dei popoli è per lo più difficile stabilire con quali elementi sia costruire e sapere dei singoli [sic] o quali contributi apportino in complesso l'atteggiamento e le azioni dei popoli, tuttavia, Duce, il vostro contributo e l'esempio del Fascismo possono essere stabiliti sulla base di numerosi risultati positivi. La rigenerazione non solo dell'Italia ma anche dell'Europa nel 20° secolo resta per sempre legata al vostro nome. Ho riflettuto molto a lungo su questi problemi. Posso forse assicurarvi con tutta sincerità, Duce, che all'infuori degli appartenenti al vostro proprio popolo non potete ricevere da nessuno auguri più sentiti di quelli di noi tedeschi e miei propri, per la vostra opera ormai ventennale. C'è inoltre tanta somiglianza nell'evoluzione delle nostre due ideologie e delle nostre due rivoluzioni, che si è quasi portati a pensare ad una decisione della provvidenza. Tuttavia ai miei occhi, nulla può legare fra loro il destino dei popoli tedesco e italiano più dell'odio infernale che nutre verso di essi il resto del mondo, benché noi non gli avessimo recato alcun danno. Voi, Duce, avete conosciuto e provato l'atteggiamento di questi avversari quando creaste l'Impero. Noi tedeschi ne abbiano fatto l'esperienza nei 12 mesi scorsi, quando eliminammo una situazione intollerabile dal punto di vista nazionale e militare.

Con questa lettera desidero assicurarvi ancora una volta che negli ultimi 12 mesi il popolo tedesco, il suo movimento e sopratutto io stesso non abbiamo fatto conoscenza soltanto con l'ostilità di questo mondo estraneo-poiché di questo eravamo di già a conoscenza -ma che abbiamo anche noi tutti, preso una inflessibile decisione: qualunque possa essere la vostra vita, Duce, Voi dovete vedere in me e dovete vedere in noi degli amici immutabili. E dovete vedere in questa amicizia, non soltanto un segno di un'adesione puramente platonica, ma dovete considerarla come l'incontrollabile decisione di trarre, se necessario, anche nei momenti più difficili le estreme conseguenze di questa solidarietà.

In questo senso permettetemi di esprimere ancora una volta a Voi e al popolo italiano, a mio nome e specialmente a nome del mio movimento, i miei auguri per il ricorrere di un giorno al quale non solo tutta l'Italia ma anche la Germania deve molto.

393 4 Colonnello Antoni Szymanski. 5 Riferimento alla Dichiarazione comune tedesco-polacca del 26 gennaio 1934 (vedi D. 27, nota 2). 394 1 L'originale tedesco di questa lettera non è stato ritrovato. Si pubblica qui la traduzione fatta dagli Uffici di Palazzo Chigi. 2 Non si è trovata indicazione circa la data e il modo in cui la lettera fu consegnata a Mussolini.

395

L'AMBASCIATORE A SALAMANCA, VIOLA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 1540/043 R. San Sebastiano, 26 marzo 1939 (perv. il 29).

Miei telegrammi filo nn. 62, 64 e 65 del 22, 23 e 24 corrente 1 .

Malgrado segreto che ha circondato contatti coi parlamentari di Madrid, può ormai darsi come certa la rottura dei contatti stessi in quanto detti parla

mentari dopo loro ritorno a Madrid non hanno comunicato a questo Quartier Generale alcuna definitiva risposta circa garanzie inderogabili imposte da Franco per esecuzwne resa.

Per contro, Madrid pare abbia avanzato pretese quali il rilascio di alcune migliaia di salvacondotti in bianco e libero sorvolo per aeroplani effettuanti esodo di tutti i maggiori compromessi.

Franco, per non apparire intrattabile circa possibilità evitare ulteriore effusione di sangue, aveva consentito venuta dei noti parlamentari ali' aeroporto di Burgos, ma non poteva ormai lasciarsi per tal modo trascinare su un piano di negoziato.

D'altronde, è risultato evidente che se cosiddetto Consiglio Difesa Nazionale era tutt'al più in grado rispondere della capitolazione di Madrid non aveva però sufficiente effettiva autorità per garantire resa rimanente zona Spagna rossa. Perciò Franco oggi ha tagliato corto ordinando attacco in zona C6rdoba dove avanzata nazionale procede in modo travolgente.

Offensiva negli altri settori si svolgerà secondo piano prestabilito indipendentemente da attitudine dei dirigenti Madrid.

Così la resa a discrezione del residuo conglomerato repubblicano dovrà avvenire comunque per forza delle armi, quale che possa essere, nei differenti settori, la resistenza opposta.

395 1 Con TT. 1371/62 R. e 1400/64 R. del 23 marzo e T. 1445/65 R. del 24 marzo, l'ambasciatore Viola aveva riferito sull'arrivo a Burgos di due ufficiali dei governativi per trattare la resa.

396

IL MINISTRO A BUDAPEST, VINCI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

RAPPORTO 1709/509. Budapest, 26 marzo 1939 (perv. il 30).

Ho telegrafato' all'Eccellenza Vostra i punti più salienti e più urgenti della lunga conversazione che ho avuto stamane con questo ministro degli Affari Esteri. Eccone i dettagli:

l. Il Conte Csaky ha cominciato col mettermi al corrente dei particolari degli incidenti slovacco-ungheresi avvenuti il 23 e il 24 corrente, di cui ho già telegrafato all'Eccellenza Vostra2 . Mi ha dichiarato che gli incidenti erano stati provocati dalle

2 Il 23 e 24 marzo vi erano state delle scaramucce tra reparti ungheresi e slovacchi; inoltre, aerei slovacchi avevano lanciato, a due riprese, delle bombe sulla città di Ungvar, mentre aerei ungheresi avevano bombardato per rappresaglia un campo di aviazione slovacco. Il ministro Vinci ne aveva riferito con TT. 1420/119 R. e 1428/120 R. del 24 marzo e con T. 1460/124 R. del 25 marzo. Con T. 1448/122 R. del 25 marzo, aveva poi comunicato che ungheresi e slovacchi si erano accordati per la nomina di una commissione mista incaricata di fissare il confine, una soluzione rapida della crisi dovuta, verosimilmente, ad un intervento del governo tedesco.

truppe ungheresi. Effettivamente, benché le Autorità militari lo negassero, le truppe ungheresi si erano spinte troppo oltre la linea di confine provvisorio che era stata fissata ad oriente del corso inferiore dell'Ung, specie nella parte settentrionale di essa. Malgrado che in principio Durcansky avesse voluto addirittura smentire gli attacchi aerei da parte slovacca, egli ha dovuto poi ammetterlo, forse perché aveva saputo che era presente sui luoghi lo stesso Presidente del Consiglio, Conte Teleki, che aveva assistito al bombardamento della località di Nagyberezna. Gli areoplani slovacchi avevano bombardato Nagyberezna, Ungvar e Rosznyo. Per quanto concerne quest'ultima località egli pensava che l'intenzione slovacca era forse quella di bombardare Kassa, che la loro radio aveva chiaramente minacciato prima: ciò che Csaky non mancherà, se sarà il caso, di rinfacciare loro. Il valore dell'aviazione ungherese era brillantemente confermato dal risultato: nove apparecchi abbattuti, uno forzato ad atterrare il cui pilota fatto prigioniero era un maggiore ceco. Intanto ieri, 25 corrente, le truppe ungheresi, in seguito agli incidenti, avevano proceduto ancora oltre verso occidente occupando una serie di alture e fermandovisi.

Ora il governo slovacco aveva accettato la proposta ungherese della riunione di una commissione mista e i delegati slovacchi sarebbero giunti domani: avrebbero preso contatti con la delegazione ungherese con a capo il vice ministro degli Affari Esteri, Vornle.

Mi ha detto che (come ho telegrafato col mio telegramma n. 89 in data 16 marzo)3 egli era stato a un certo momento molto preoccupato di quanto stava accadendo in Slovacchia e delle intenzioni tedesche al riguardo, che non avevano mancato di suscitare emozione e nervosismo nell'opinione pubblica ungherese: aveva quindi pregato il ministro d'Ungheria a Berlino di chiedere al governo tedesco precisioni sulle intenzioni del Reich. Il ministro d'Ungheria era venuto il 21 corrente in areoplano da Berlino (mio tel. 115)4 espressamente per far conoscere (mio tel. 117)5 che la Germania si disinteressava della Slovacchia, e lasciava liberi gli ungheresi di fare quello che credessero; i tedeschi avevano occupato con le loro truppe la linea della Vaag come misura diretta verso la Polonia, ma abbandonavano alla sua sorte il restante della Slovacchia. Del resto Hitler, mi ha precisato Csaky, aveva nel 1937 (mio te l. 129 del 26 corrente )6 dichiarato che egli avrebbe sempre rispettato le frontiere storiche dell'Ungheria ed ha mantenuto la promessa (benché a mia domanda, il Conte Csaky abbia ammesso che, almeno in certi tratti, il confine storico dell'Ungheria andava oltre la linea della Vaag). Negli ultimi incidenti, infatti, la Germania non aveva mostrato alcun interesse, e ne aveva taciuto del tutto nella sua stampa; a dire di Csaky, come già durante l'azione in Rutenia, i tedeschi avrebbero solo chiesto al governo ungherese di non passare per le armi (?) i sudditi germanici che fossero stati per avventura trovati armati nei territori

6 T. 14781129 R. del 26 marzo. Riferiva su un colloquio con Csaky, il quale gli aveva detto che, tenuto conto del dichiarato disinteresse tedesco per la parte della Slovacchia oltre il Vaag, era intenzione del governo ungherese incamerare subito la Slovacchia orientale e rinviare a dopo qualsiasi progetto circa la Slovacchia occidentale.

ruteni e slovacchi; Csaky mi osservava che infatti la Rutenia e la Slovacchia erano piene, come noto, di agenti tedeschi: molti erano stati sorpresi dalla rapida mossa ungherese giunta loro inaspettata. Ha osservato che sarebbe stato forse difficile impedire misure repressive o punitive verso chi fosse trovato colle armi alla mano dall'esercito operante. Mi ha aggiunto che uno degli ufficiali tedeschi che si trovavano prima in Rutenia sarebbe quello la cui presenza ad Eperies aveva dato luogo a tante congetture.

Stando così le cose, Csaky mi ha detto (ciò che mi ha confermato le voci e le supposizioni che avevo segnalato all'Eccellenza Vostra coi miei telegrammi n. 117 e 119 del 23 marzo), che il governo ungherese ha ora l'intenzione di avere tutta la Slovacchia orientale, che comprende più della metà dell'intera Slovacchia, regione in maggioranza abitata da ruteni. Mi ha mostrato sulla carta una linea, più o meno lungo la Poprad, a nord di Roznyo. Domani verranno a Budapest i delegati del governo slovacco, in seguito ali' accettazione da parte loro della proposta commissione mista: egli cercherà, servendosi anche del ruteno Brody e magari con mezzi finanziari di convincerli a questa cessione: date sopratutto le reazioni violentemente antislovacche che l'opinione pubblica ungherese ha manifestato dopo le notizie degli incidenti del 23 e 24, egli vorrebbe far di tutto per tenersi buoni gli slovacchi e non urtarli. Alla mia domanda se le truppe ungheresi continuavano intanto ad avanzare, Csaky mi ha detto che per ora le truppe erano ferme, ma «non sarebbe stato difficile il verificarsi di incidenti».

In un modo o nell'altro, visto il beneplacito tedesco, e se non sorgeranno complicazioni e mutamenti, gli ungheresi vorranno quindi essere presto padroni anche della Slovacchia orientale.

Quanto alla Slovacchia occidentale, pur osservando che questo piccolo staterello ridotto ai minimi termini non potrà vivere e dovrà per forza di cose gravitare in una forma o nell'altra su Budapest, il ministro degli Affari Esteri è stato molto più vago; ma mi diceva che non aveva intenzione di annettere altre popolazioni allogene, di scarso valore bellico sopratutto, che erano sempre state causa di noie. Era molto doloroso infine all'opinione pubblica ungherese e al sentimento ungherese rinunciare a Presburgo; ma era innegabile ora che negli ultimi venti anni si erano verificati in quella città, nel campo etnico, notevoli mutamenti, e quindi per il carattere della città, la soluzione migliore sarebbe stata quella, di cui aveva già parlato all'Eccellenza Vostra a Vienna, di farne una città internazionale. Mi ha detto anche che Presburgo era troppo vicina a Vienna, dove d'altra parte, sopratutto dopo l'annessione della Boemia, si erano andati risvegliando in modo superlativo sentimenti imperialistici: a questo proposito senza insistenza ma senza troppo pronunciarsi sul suo fondamento, mi ha detto in un tono mezzo serio e mezzo faceto che la stampa inglese parlava già di un «impero bicefalo tedesco-ungherese».

Volendomi mettere al corrente dello stato attuale della questione con la Romania, mi ha ancora una volta dichiarato di escludere non solo che il governo ungherese avesse mai avuto intenzioni aggressive ma anche che la Germania avesse mai avuto il progetto di agire con la forza contro la Romania. La Germania, secondo lui, non aveva bisogno di ricorrere alla forza poiché, dopo l'annessione della Cecoslovacchia, il commercio romeno era già per 1'83% in mano tedesca. (Alla mia domanda se allora lo stesso fatto può dirsi dell'Ungheria, mi ha obbiettato che anzi l'Ungheria, smentendomi ancora una volta recisamente la voce corsa di una possibile unione doganale, era in certo modo più indipendente in materia commerciale in quanto che la Germania non aveva voluto ora rinnovare il trattato di commercio, che scade nel 1940).

Quanto all'Ungheria [leggasi: Romania] mi ha precisato che ad una domanda rivoltagli dall'Eccellenza Vostra a mezzo del barone Villani, aveva risposto che, come aveva già dichiarato a me, l'Ungheria non aveva nessuna intenzione aggressiva: e che in caso, dati i rapporti con l'Italia, non avrebbe certo mai pensato di fare qualche cosa verso la Romania senza prima avvertire l'Eccellenza Vostra.

I romeni si erano, come aveva dichiarato alla Commissione per gli Affari Esteri del Parlamento, male comportati verso l'Ungheria. Inoltre, nella nota scritta che Bossy aveva presentato a Vornle (mio tel. n. 82)7 vi era una frase, che poteva essere interpretata molto chiaramente, secondo cui «le truppe romene non avrebbero varcato la frontiera, se gli interessi romeni non fossero toccati». Aveva saputo ora, chiaramente, che la Romania aveva addirittura garantito alla Polonia che non si sarebbe opposta ad una azione ungherese in Rutenia: ma il governo polacco aveva semplicemente detto di sapere che la Romania non si sarebbe mossa. Secondo Csaky, sarebbe poi stata addirittura la Polonia a consigliare alla Romania di intervenire in Rutenia, occupando una parte del suo territorio: l'azione rapida delle poche truppe ungheresi presenti valse a sventare tale progetto.

Comunque, l'Ungheria non intendeva fare ora nessuna concessione territoriale, di nessun genere: conversazioni erano in corso col signor Bossy, al quale ieri nella maniera più amichevole aveva proposto di smobilitare. Gli aveva anche proposto per mostrare la sua buona volontà, e benché non vi siano casi simili fra territori appartenenti a Stati diversi, di accordare ai romeni il libero transito e il diritto di pedaggio sulla ferrovia di Lonka-Korosmezo attraverso il territorio ruteno, fra Romania e Polonia. Si tratterebbe quindi di un sistema sul tipo di quello stabilito per il Corridoio polacco. I romeni dovrebbero pagare le stesse tasse che pagavano finora ai cechi; l'Ungheria si obbligherebbe alla manutenzione della linea, mentre la Romania si obbligherebbe d'altra parte a seguire gli orari ungheresi. (Mi ha detto essere poi intenzione del governo ungherese di costruire presto un raccordo fra questa ferrovia e il tronco ferroviario Huszt e Tecso, per avere così un'altra linea di collegamento con la Polonia).

Mi ha escluso che si potesse parlare ora di questioni territoriali in Transilvania. Sopratutto teneva a non guastarsi con Gafencu, e come aveva detto a Bossy, non avrebbe desiderato di meglio, quando l'attuale situazione fosse chiarita, di poter trovare l'occasione propizia per pronunciare qualche frase amabile ed amichevole nei riguardi del Ministro degli Affari Esteri romeno. Sperava quindi che, mentre Bossy avrebbe accettato la sua proposta circa la smobilitazione, la situazione tornasse presto tale da poter riprendere anche quelle conversazioni sulle questioni concrete di cui aveva già accennato, e che comunque si potesse giungere al miglioramento dei rapporti che egli desiderava e che sapeva essere anche nei desideri dell'Eccellenza Vostra. Intanto, pensava di dare egli stesso al capo di Stato Maggiore Generale Werth l'ordine di smobilitare il Corpo d'Armata di Debrecen e di ridurre le truppe nella regione di Huszt e Tecso per mostrare ai romeni la sua buona volontà e convincerli delle sue intenzioni.

(Mentre riferisco ali' Eccellenza Vostra quanto a tale proposito mi ha detto il Conte Csaky, e con separato rapporto quanto mi ha esposto il ministro di Romania, mi riservo con altro rapporto prospettare ali 'Eccellenza Vostra le mie osservazioni in proposito).

3. -Quanto alla Jugoslavia, che pure, a quanto gli risultava, aveva da quattro o cinque giorni mobilitato alla frontiera tedesca, egli aveva cercato a più riprese ( comunicato relativo alla Rutenia -mio te!. 88 del 16 marzo8 -sue dichiarazioni alla Commissione degli Affari Esteri della Camera mio telespresso 1683/487 del 25 marzo? di rivolgere le parole più amichevoli verso quel governo, come anche Vostra Eccellenza gli aveva manifestato il desiderio a mezzo del barone Villani. Egli non era sicuro delle intenzioni tedesche sulla Croazia, benché i tedeschi avessero sempre dichiarato di voler mantenere quello Stato nella compagine attuale. Che comunque egli riteneva che questa sarebbe effettivamente la soluzione migliore e che non sarebbe stato comunque desiderabile una dislocazione qualsiasi dello Stato jugoslavo. 4. -Parlandomi della genesi di tutta la crisi attuale, egli mi ha detto che aveva a suo tempo pregato il ministro di Ungheria a Berlino di far presenti al governo tedesco le note ragioni (fiumi, acque, foreste ecc.) che imponevano al governo ungherese la soluzione della questione rutena. II ministro Szt6jay era venuto a Budapest il 13 marzo ed aveva allora fatto sapere l'opinione del governo tedesco al riguardo: del resto egli, Csaky, aveva poco prima avuto già una impressione favorevole sull'atteggiamento tedesco, avendo quella mattina avuto la telefonata da Ribbentrop, che aveva voluto interessarsi personalmente della sua salute: la conversazione telefonica avvenuta quasi in risposta alle richieste fattegli fare da Csaky, era stata per lui una indiretta prova che non vi erano opposizioni tedesche all'azione in Rutenia, che Szt6jay poco dopo pienamente confermava. 5. -Come ho telegrafato (mio telegramma n. 127 di oggi)10 aveva avuto notizie che ieri erano avvenuti concentramenti di truppe tedesche alla frontiera della Slesia: non si figurava menomamente quali ne potessero essere i motivi, come non conosceva affatto quali potessero essere le intenzioni tedesche. Comunque gli risultava che anche i polacchi avevano preso misure militari. Si augurava in ogni modo che la Germania non tentasse nulla che potesse portare a complicazioni con la Polonia, perché ciò avrebbe messo in una delicata situazione l'Ungheria, specialmente nei riguardi dell'opinione pubblica. Egli pensava tuttavia che, mentre per la questione di Danzica, ove fosse posta, non vi potessero essere grosse difficoltà da parte polacca a discuterne in qualche modo, la Polonia avrebbe altrimenti opposto resistenza, come i tedeschi stessi sapevano; e Hitler mostrava di preoccuparsi di non volere che del sangue fosse versato. 6. -Aveva ascoltato allora alla radio, benché incompletamente, il discorso del Duce11 e si è diffuso ad esaltarne la chiarezza e la forza; aveva notato il passaggio

9 Non pubblicato. Il testo delle dichiarazioni di Csaky è in Relazioni Internazionali, pp. 254-255.

10 T. 1475/127 R. del26 marzo. Riferiva in questi stessi termini sulla preoccupazione espressa da Csaky per i sintomi di una crescente tensione tra Germania e Polonia.

11 Vedi D. 400, nota 5.

relativo all'Adriatico e si augurava infine che, come appariva dal tono di esso, tutti i nostri desideri potessero essere esauditi presto in via pacifica evitando così un conflitto generale.

396 1 Con TT. 1476/128 R. e 14781129 R. del26 marzo. non pubblicati.

396 3 T. 1188/89 R. del 16 marzo, non pubblicato. Il suo contenuto è qui riassunto. 4 T. 13581115 R. del 22 marzo. Riferiva che il ministro di Ungheria a Berlino, Sztòjay, era venuto a Budapest per poi tornare subito in sede. I motivi del viaggio non erano noti. 5 T. 1380/117 R. del 23 marzo. Riferiva che da varie fonti confidenziali veniva segnalato che tra tedeschi e ungheresi erano in corso delle importanti conversazioni a proposito della Cecoslovacchia.

396 7 T. 1138/82 R. del 15 marzo. Riferiva che il governo romeno aveva presentato una nota a Budapest in cui si chiedeva che le truppe ungheresi non oltrepassassero una certa linea nella Rutenia Subcarpatica, assicurando che in questo caso le forze romene non sarebbero entrate in territorio ruteno.

396 8 T. 1177/88 R. del 16 marzo. Riferiva che Csaky gli aveva consegnato il testo di un comunicato in cui si annunciava che le truppe ungheresi avrebbero occupato la Rutenia Subcarpatica, rispettando scrupolosamente il territorio e gli interessi degli Stati confinanti. La comunicazione-precisava Csaky-era fatta, oltre che agli Stati confinanti con la Rutenia, anche alla Germania e alla Jugoslavia.

397

L'INCARICATO D'AFFARI A BERLINO, MAGISTRATI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. S.N.D. RISERVATISSIMO 1508/190 R. Berlino, 27 marzo 1939, ore 21,32 (perv. ore 23,15).

Mio telegramma per corriere n. 024 del 3 corrente1 . Weizsacker mi informa che firma patto tedesco spagnolo è ormai molto prossima; ad esso non (dico non) sarà data, per ora, e per desiderio di Franco, pubblicità2 .

398

L'AMBASCIATORE A VARSAVIA, ARONE, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. S.N.D. RISERVATISSIMO 1516/73 R. Varsavia, 27 marzo 1939, ore 23,10 (perv. ore 2,15 de/28).

A Varsavia oggi, in questi circoli, l'atmosfera politica è pesante. Richieste tedesche per Danzica nonché, a quanto si assicura, per autostrada con privilegio «di extraterritorialità» attraverso corridoio polacco 1 hanno destato viva reazione in questi circoli responsabili i quali, pur sembrando disposti a qualche concessione formale, hanno assunto sul fondo della questione un atteggiamento di rigidezza.

Si dichiara apertamente nelle sfere militari e politiche e negli ambienti di questo ministero degli Affari Esteri che la Polonia è decisa ad affrontare un conflitto piuttosto che cedere ad imposizioni. A questo Stato Maggiore è stato oggi affermato al Regio Addetto Militare che anche nel caso venisse organizzata a Danzica un'azione interna per annessione Città Libera alla Germania l'esercito polacco interverrà imme

2 Il documento ha il visto di Mussolini.

Il trattato di amicizia tra Germania e Spagna fu firmato a Burgos il 31 marzo. Testo in DDT, vol. III,

D. 773.

diatamente. A questo linguaggio deciso corrispondono apprestamenti militari sempre più vasti che vanno assumendo carattere di mobilitazione parziale.

Con decreto del Presidente della Repubblica il Parlamento è stato chiuso per un mese, provvedimento che praticamente conferisce al governo i pieni poteri.

Ambasciatore Lipski, chiamato segretamente di nuovo a Varsavia, è subito ripartito per Berlino latore delle decisioni di questo govemo2 •

397 1 Vedi D. 242.

398 1 Il 21 marzo, von Ribbentrop aveva esposto all'ambasciatore Lipski le richieste del governo tedesco per realizzare un'intesa duratura con la Polonia: ritorno di Danzica alla Germania, costruzione di una ferrovia e di un'autostrada attraverso il Corridoio polacco con carattere di extraterritorialità per collegare la Prussia Orientale con il resto del Reich, garanzia del Corridoio polacco da parte della Germania (si veda in proposito DDT, vol. VI, D. 61 e LBP, D. 61 ). Non risulta che l'ambasciata d'Italia sia stata messa al corrente, da parte tedesca, del contenuto di quel colloquio.

399

L'INCARICATO D'AFFARI A BERLINO, MAGISTRATI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 1533/037 R. Berlino, 27 marzo 1939 (perv. il 28).

Questo ministro di Ungheria si è rivolto in questi giorni alla Wilhelmstrasse a seguito di istruzioni del suo governo, per conoscere cosa vi fosse di vero circa talune voci che vorrebbero che la Germania, per ottenere dalla Romania la firma del noto Accordo economico avrebbe ad essa offerto la garanzia delle attuali frontiere romeno-ungheresi.

È stato risposto al signor Szt6jay che tali voci sono assolutamente false perché le conversazioni di Bucarest sono state di carattere assolutamente economico, senza che siano state discusse clausole o accordi di carattere politico.

Analoga risposta, come ho stamane telegrafato 1 , è stata data al ministro di Bulgaria che aveva manifestato alla Wilhelmstrasse, nei riguardi delle aspirazioni bulgare sulla Dobrugia, identiche preoccupazioni.

400

L'INCARICATO D'AFFARI A BERLINO, MAGISTRATI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

LETTERA RISERVATISSIMA 654/024141• Berlino, 27 marzo 19392 .

Ho stamane consegnato personalmente a von Ribbentrop, a norma dell'istruzione contenuta nella comunicazione n. 2377 del24 u.s.3 , la Tua lettera a lui diretta4 . Egli, nel ringraziarTi, desidera ancora una volta chiaramente ripetere che:

2 Manca l'indicazione della data di arrivo.

3 Non rintracciata.

4 Vedi D. 389.

l) la Germania si disinteressa completamente della Croazia;

2) la Germania pensa che la politica dell'Asse nel Mediterraneo debba e[sse]re diretta dall'Italia, i cui interessi e le cui richieste essa è disposta [pie]namente sostenere.

Riassumo ora qui appresso i punti [pr]in[cipali] della conversazione che ne è seguita.

l) Discorso del Duce 5 . Von Ri[bbentrop. come] ho già telegrafato6• ha tenuto ad esprimere la pien[a] soddisfazione tedesca per le chiare ed inequivoc[abili dichia]razioni contenute nel discorso circa il val[ore e la con]sistenza dell'Asse Roma-Berlino. Questa [ ......... ] è stata detta alle Democrazie nel momento [ ......... ]. Quanto alla situazione con la Francia. le [ ............ ] da Parigi fanno ritenere che si pens[ ...... ] d[ ...... ]o. pur contenendo frasi alquanto indigeste [sulla?] «parentela» italo-francese. non chiude ogni porta. Probabilmente i Francesi finiranno per venire ad una trattativa, specie se avranno l'impressione che le tre questioni coloniali, Tunisi, Gibuti e Canale di Suez, non importeranno mutamenti territoriali. I Tedeschi, che hanno sempre sostenuto la tesi della priorità dei diritti italiani nel Mediterraneo, sono stati lieti di vedere nuovamente e chiaramente ribaditi e riaffermati tali diritti nel discorso di ieri.

2) Situazione in Spagna. Von Ribbentrop pensa che molto opportunamente la trattativa per la resa a discrezione di Madrid sia caduta nel vuoto. È assolutamente necessario che Franco risolva definitivamente la questione con le armi ed entri vittorioso nella capitale, senza patteggiamenti: e ciò per non creare equivoci che in avvenire finirebbero per pesare sulla nuova vita politica del Paese;

3) Germania e Inghilterra. La situazione sembra vada calmandosi. La prossima Pasqua, con relative vacanze, concorrerà senza dubbio a rendere le acque sempre meno tempestose. La Germania. del resto. non nutre alcuna preoccupazione nei riguardi dell'atteggiamento inglese e molto bene ha fa[tto] a rispondere agli attacchi della stampa britannica con co[ n tra ]attacchi, altrettanto violenti. Con gli inglesi il sistema [è] ottimo e difatti la stampa inglese dà già segno di voler f[are] macchina indietro. Von Ribbentrop non crede che la situa[zione] di Chamberlain. per quanto delicata. sia effettivam[ente com]promessa. Del resto qualsiasi uomo politico veniss[e .......... ] potere in Inghilterra. sia pure lo stesso Maggiore [ ............ ] non potrebbe fare politica diversa da quella di Ch[amberlain e] dopo una prima settimana di chiasso, finirebbe per [ ....... ]e le cose al punto di oggi. L'Inghilterra infatti. anche

6 Con T. 1497/187 R. non pubblicato.

con uomini nuovi. non avrebbe. né un cannone. né una nave di più e quindi la sua odierna politica temporeggiatrice non potrebbe non continuare.

La soluzione radicale della questione cecoslovacca deve in definitiva convincere gli inglesi che essi nel vicino Oriente europeo non hanno oramai più nulla a che fare. La Germania fu nella scorsa estate veramente troppo cortese nell'accettare la famosa missione Runciman. Chi sa cosa avrebbe mai pensato l'Inghilterra se in una questione tra Londra e Dublino, la Germania avesse inviato un suo rappresentante in Irlanda, per giudicare e consigliare in merito?!

Alla Germania è perfettamente indifferente se l'Ambasciatore Henderson rientri. con il suo collega francese Coulondre. a Berlino7 . La situazione non cambia. E questo sistema anglo-francese di chiamare gli Ambasciatori «a conferire» per tempo indeterminato è assolutamente, per usare una parola del discorso di ieri del Duce, «puerile» (kindisch).

4) Germania e Polonia. In questi ultimi giorni si è fatto molto chiasso intorno alla possibilità di un orientamento polacco anti-germanico. Von Ribbentrop non è pessimista in materia. Egli ha avuto in questi giorni ripetute conversazioni con l'Ambasciatore polacco Lipski allo scopo di rimettere i rapporti tedesco-polacchi sulla giusta via e per studiare la strada migliore per il raggiungimento di una soluzio[ne] amichevole dei problemi tuttora pendenti tra i due Paesi. a cominciare da quello di Danzica.

In definitiva, del resto, l'occupazione ungherese [del]la Rutenia e la creazione di una frontiera comune ung[ aro-po]lacca è stato un successo pratico della politica di [ ......... ] dovuto evidentemente alla mossa tedesca sulla Cecosl[ovacchia]. E i Polacchi non possono non riconoscerlo.

Del resto la felice soluzione della questio[ne ceco]slovacca permette oggi alla Germania di avere completamente libere quelle 40 divisioni che. secondo i piani tedeschi. avrebbero dovuto appunto essere impegnate in caso di una crisi alla frontiera orientale. per stroncare senz'altro le resistenze ceche. Il problema militare quindi nei confronti della Polonia è oggi enormemente migliorato per la Germania. Paese di oltre 80 milioni di abitanti. e Varsavia non può ignorarlo.

Quanto a Memel, la questione era così matura che certamente non può aver sostanzialmente creato in Polonia una vera e spiacevole sorpresa.

5) Situazione in Boemia e Mora via. Il Ftihrer ebbe già a fornire ali' Ambasciatore Attolico8 i dati principali sui grandi armamenti sui quali la Germania ha potuto mettere le mani nella ex Cecoslovacchia. Von Ribbentrop me ne ha ripetuto l'elenco, insistendo sulla circostanza che un tale fatto e la risoluzione del problema strategico tedesco sudorientale costituiscono un grandissimo vantaggio per l'Asse Roma-Berlino. La popolazione ceca è destinata a vivere in se stessa. con la sua autonomia. senza entrare a far parte della vita tedesca. Gli Czechi non presteranno servizio militare nell'esercito germanico. Da parte tedesca si desidera però che essi non siano toccati e lesi nelle loro tradizioni. Proprio ieri sera si è svol[ta] a Praga una solenne cerimonia, nella quale il

Comandante le Forze tedesche, Generale Blaskowitz, ha reso solenne onore a[!] monumento ai caduti cechi e si è recato in visita ufficiale al Municipio di Praga.

6) Ungheria e Slovacchia. Anche in questo ca[so von] Ribbentrop si dichiara ottimista e pensa che le tratt[ative che] si svolgono a Budapest e che devono portare alla fiss[azione] della frontiera in Rutenia, finiranno per giungere ad una [ solu]zione favorevole. La Germania per intanto. pur continuando a far presente ai due contendenti la necessità che quella soluzione sia trovata al più presto. non intende intervenire direttamente.

7) Trattativa con il Giappone. In sostanza siamo qui al punto di prima. Mercoledì si è riunito a Tokio il Consiglio di Gabinetto destinato appunto a studiare e definire le possibilità di un effettivo rafforzamento dei legami con Germania ed Italia. Ma fino a questo momento nessuna notizia è giunta a Berlino ed anche l'Ambasciatore Oshima è tuttora all'oscuro della decisione. Tutto però fa prevedere che entro oggi o domani si sarà edotti in proposito. Von Ribbentrop continua a ritenere che un rafforzamento inteso unicamente in senso «anticomunista». e incapace dunque di tradursi in forme pratiche ed effettive di alleanza. sarebbe assolutamente inutile. Egli sta ora studiando un qualche nuovo progetto in merito e, come Ti ho telegrafato9 , si propone di telefonarTi direttamente tra due o tre giorni, anche per concordare con Te se non sia il caso di far intervenire nella trattativa gli Ambasciatori Auri ti e Ott, i quali appaiono esserne rimasti fino ad oggi praticamente estranei. Certo l'atteggiamento del presidente del Consiglio giapponese e del ministro Arita appare tuttora incerto, dato che essi sono senza dubbio sottoposti alla pressione di quegli elementi tradizionalisti giapponesi, che appaiono contrari alla conclusione dell'alleanza. Von Ribbentrop continua però a ritenere che gli ambienti militari nipponici intendono non cedere nel loro programma10 .

398 2 Il 26 marzo, l'ambasciatore Lipski consegnava a von Ribbentrop un promemoria di risposta alle richieste tedesche avanzate nel colloquio del 21 marzo: il governo polacco respingeva l'ipotesi di costruire delle linee di comunicazione tedesche attraverso il corridoio con diritto di extraterritorialità e ribadiva il suo rifiuto al ritorno alla Germania di Danzica, per la quale proponeva una garanzia polaccotedesca (si veda in proposito DDT, vol. VI, D. 101 e LBP, D. 62). Non risulta che da parte tedesca sia stata data comunicazione del contenuto di questo colloquio agli italiani. In proposito si veda anche il D. 417.

399 1 Con T. 1499/188 R. del27 marzo, non pubblicato.

400 1 Il documento è danneggiato dall'umidità.

400 5 Il 26 marzo, Musso lini aveva pronunciato nello stadio olimpico di Roma un discorso agli squadristi in cui aveva dato largo spazio ai problemi di politica internazionale. Dopo aver ribadito che il periodo dei «giri di valzer» era definitivamente chiuso e aver definito «puerili i tentativi di scardinare o di incrinare l'Asse Roma-Berlino», aveva aggiunto che, se si fosse costituita la vagheggiata coalizione contro gli Stati totalitari, questi avrebbero raccolto la sfida e sarebbero passati al contrattacco in tutti i punti del globo. Musso lini era quindi passato a considerare i rapporti con la Francia elencando i problemi che esistevano tra i due Paesi, problemi di carattere coloniale aveva precisato, che erano Tunisi, Gibuti e Canale di Suez. Il governo francese --aveva detto in proposito-era perfettamente libero di rifiutarsi anche alla semplice discussione di quei problemi come aveva fatto fino a quel momento «con i suoi reiterati e troppo categorici "giammai"» ma non avrebbe poi potuto dolersi se il solco che ora divideva i due Paesi sarebbe divenuto incolmabile. Mussolini aveva infine affermato: «Geograficamente, storicamente, politicamente, militarmente, il Mediterraneo è uno spazio vitale per l'Italia e quando diciamo Mediterraneo vi includiamo naturalmente anche quel golfo che si chiama Adriatico e nel quale gli interessi dell'Italia sono preminenti, ma non esclusivi nei confronti degli Slavi». Il testo del discorso è in MusSOLINI, Opera Omnia, vol. XXIX, pp. 249-253.

400 7 In seguito all'azione tedesca in Cecoslovacchia, l'ambasciatore Henderson, il 18 marzo, e l'ambasciatore Coulondre, il giorno successivo, avevano lasciato Berlino «per riferire». 8 Nel colloquio del 20 marzo, vedi D. 352.

401

IL MINISTRO A BUCAREST, GHIGI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 4915/98 P.R. Bucarest, 28 marzo 1939, ore 15 (perv. ore 18).

Telegramma di V.E. n. 561•

Ripercussioni trattato romeno-tedesco anche su questa opinione pubblica si vengono manifestando cautamente dato regime censura stampa, stato semi-mobilitazione Paese, nonché misure polizia prese questi giorni contro alcune note personalità per propalazione notizie tendenziose.

Come ho segnalato con mio telegramma n. 97 di ieri 2 può notarsi reazione crescente situazione attuale, mentre si allontana prima impressione sollievo per scompar

so pericolo ritenuto imminente. Reazione si manifesta sopratutto in quelle sfere che si sentono più direttamente colpite e cioè israeliti che dominano vita economica romena e comprendono che saranno rapidamente estromessi, magnati della finanza che temono a ragione per le loro posizioni privilegiate ed infine ambienti più ricchi che fino a ieri dominavano vita politica romena e che sono di cultura e di animo francesi.

Malgrado indubbio scontento e delusioni tali ambienti che formano élite romena non si ha impressione che Paese abbia sensazione catastrofe o completa alienazione indipendenza, anche perché spiegazioni fomite 23 corrente da Gafencu e iersera da Gafencu e da presidente del Consiglio sono state abili ed hanno presentato trattato come utile collaborazione con Germania, richiesta da realtà economica e situazione politica ma compatibilmente con prestigio nazionale e con completa libertà Romania verso altri Paesi.

400 9 Con T. riservatissimo 1502/189, non pubblicato. 10 Il documento ha il visto di Musso lini. 401 1 T. 4939/56 R. del 27 marzo con cui si chiedeva al ministro Ghigi di «telegrafare ulteriori notizie circa le ripercussioni dell'accordo economico tedesco-romeno». 2 T. 1518/97 R. del 27 marzo, non pubblicato.

402

IL MINISTRO A TIRANA, JACOMONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. S.N.D. 4902/48 P.R. Tirana, 28 marzo 1939, ore 23,30 (perv. ore 2,30 del 29).

Ho avuto oggi annunziato colloquio con Kotta, Libohova e Sereggi.

Ho trovato disposizioni più favorevoli di quelle notate ieri per un allargamento delle basi su cui posa oggi il rapporto italo-albanese. Aggiungo tuttavia che queste più favorevoli disposizioni devono sempre intendersi nell'ambito della nota suscettibilità degli albanesi e della loro anche nota ristrettezza mentale.

Vedrò stasera nuovamente generale Sereggi e mi riservo domani di riferire più ampiamente sui vari punti toccati nelle conversazioni.

Continuo intanto a mantenere alle conversazioni stesse elasticità necessaria, da un lato per conoscere fino in fondo vero pensiero del Sovrano e dall'altro per compiere necessaria opera di preparazione in vista della presentazione del documento definitivo. Aggiungo anche che è stato oggi concordato che questo documento verrà preparato a Roma.

Ritengo necessario condurre conversazioni con molta prudenza essendovi stato qualche allarme causato da Prassudi, ministro delle Finanze, giunto qui riferendo concentramento di truppe a Bari 1•

Circa i preparativi per l'azione in Albania vi è nel Diario di Ciano questa annotazione sotto la data del 29 marzo: «Due colloqui col Duce per prendere le decisioni circa l'Albania. Poiché egli parte per la Calabria e torna soltanto sabato prossimo, ha voluto fare il punto con precisione: l) l'esercito, la marina e l'aviazione continuano i loro preparativi. Saremo pronti sabato; 2) Jacomoni deve nel frattempo svolgere la sua pressione diplomatica sul Re, segnalandone gli effetti; 3) ad un certo punto, se non avrà ceduto prima, inviare le navi nelle acque territoriali albanesi e mettere un ultimatum: o firmare il patto o assumersi le responsabilità del rifiuto; 4) se insiste sul rifiuto, sollevare le bande e sbarcare; 5) occupare Ti rana, riunirvi i Capi albanesi in una specie di costituente ch'io dovrei presiedere e offrire la corona al Re d'Italia. Nessuno reagirà. Neppure la Jugoslavia, troppo preoccupata delle vicende croate. Stasera ho parlato a lungo con Christié: ho dato le più ampie assicurazioni per la Croazia ma ho fatto le più ampie riserve per l'Albania. Non ha opposto obiezioni a condizione che l'Albania non abbia una funzione antijugoslava».

402 1 Il documento ha il visto di Musso lini.

403

L'AMBASCIATORE PRESSO LA SANTA SEDE, PIGNATTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. S.N.D. PER CORRIERE 1557/58 R. Roma, 28 marzo 1939 (perv. il 29).

Invitato dal Cardinale Segretario di Stato mi sono recato stamane da lui. Il cardinale Maglione mi ha intrattenuto, dapprima, di cose di poco conto ed ha condotto, poi, la conversazione sul discorso dei Duce agli Squadristi 1• Ha osservato sembrargli che esistesse ormai una possibilità di accordo con la Francia, dal momento che non si parlava più di rivendicazioni territoriali. Ho interrotto il porporato per fargli presente che le mie conoscenze in materia erano limitate alle parole pronunciate dal Duce, il quale aveva formulato le domande italiane con tre nomi: Tunisi, Gibuti, Suez, senza precisare. Qualsiasi illazione doveva, dunque, essere considerata arbitraria.

Il porporato, per quanto un po' interdetto dalla mia risposta, ha parlato della sua conoscenza del mondo francese, finendo per dirmi che, se un suo intervento potesse essere giudicato opportuno, egli si metteva a nostra disposizione, restando bene inteso, ch'egli avrebbe agito in nome suo personale.

Ho risposto al Cardinale Segretario di Stato che, pure apprezzando l'intenzione che aveva mosso la sua offerta, credevo di dovere sconsigliare recisamente un passo sul genere di quello da lui proposto. Il Duce aveva indicata nettamente al governo francese la sola strada da seguire. Un intervento del Cardinale Segretario di Stato, anche a titolo personale, mentre non poteva riuscire accetto al Governo Fascista, sarebbe conosciuto ed avrebbe suscitato commenti, pettegolezzi e speranze dal lato francese. L'Italia era sicura del fatto suo e non aveva che attendere. Il cardinale Maglione è tornato alla carica un paio di volte, senza riuscire a farmi mutare d'avviso. Gli ho dichiarato, beninteso, che esprimevo un'opinione mia personale così com'egli mi aveva esposto il suo proposito come un'idea sua.

Non so se l'E.V. sarà soddisfatto del mio atteggiamento. Da parte mia ho voluto essere preciso nella negativa per non lasciare alcuna speranza al Cardinale Segretario di Stato, che si sarebbe volentieri lanciato in un'avventura di mediazione. A parere mio, non abbiamo bisogno dei buoni offici della Santa Sede per accordarci con la Francia. Dico di più, che l'intervento della Santa Sede, proprio l'indomani del discorso del Duce, sarebbe quasi certamente interpretato, in Francia, come una prova di nostra debolezza2•

403 1 De126 marzo. Vedi D. 400, nota 5. 2 Si veda per il seguito il D. 543.

404

L'INCARICATO D'AFFARI A BERLINO, MAGISTRATI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 1569/03 8 R. Berlino, 28 marzo 1939 (perv. il 30).

L'atteggiamento tenuto dalla Russia sovietica durante la recente crisi cecoslovacca, non è dispiaciuto alla Germania e particolarmente agli ambienti della Wilhelmstrasse.

Il Segretario di Stato von Weizsacker mi ha ieri raccontato, a seguito di un suo colloquio con l'ambasciatore del Reich a Mosca, signor von der Schulenburg, qui giunto in questi giorni, che il signor Litvinov ha dato prova di molta calma e prudenza.

A quanto pare, il signor Litvinov, al momento della consegna della protesta russa per l'occupazione tedesca della Cecoslovacchia', avrebbe fatto chiaramente comprendere all'ambasciatore del Reich che l'U.R.S.S. si era trovata nella «necessità» di protestare, unicamente per seguire l'esempio della Francia, dell'Inghilterra e degli Stati Uniti.

Questo «prudente» contegno sovietico è messo qui in contrasto con le intemperanze degli ambienti anglosassoni.

405

IL MINISTRO A SOFIA, TALAMO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 1605/031 R. Sofia, 28 marzo 1939 (perv. il 31).

Immediatamente dopo mio ritorno, ministro germanico, cui avevo fatto sapere mio desiderio incontrarlo, è venuto stamane trovarmi. Mi ha detto:

l) Che visita Kiosseivanov ad Ankara 1 era andata male. Che secondo informazioni certe, pervenutegli da quell'incaricato affari germanico, tanto presidente del Consiglio che ministro Affari Esteri turchi avevano fatta viva pressione sul presidente Consiglio bulgaro per adesione Bulgaria Intesa Balcanica. Che Kiosseivanov aveva risposto che ciò non avrebbe potuto aver luogo se non fossero state date giuste soddisfazioni alle aspirazioni nazionali bulgare.

405 1 Del 17-19 marzo. Su di essa si veda anche il D. 339.

All'esposizione di questa tesi pare che uomini di governo turchi siansi mostrati intrattabili ed anzi abbiano fino minacciato intervento favore Romania qualora Bulgaria avesse accennato a qualche tentativo sulla Dobrugia, mostrando stesso tempo di non volere tener conto del vigente Patto turco-bulgaro di non aggressione2 • Questo ministro germanico soggiungeva in proposito commenti su tale nuova dimostrazione scarso valore simili Patti.

2) Che Kiosseivanov era tornato da Ankara assai inquieto ed amareggiato, con la sensazione del fallimento precedenti tentativi riavvicinamento verso Turchia. Questo ministro germanico soggiungeva che altre pressioni erano state fatte Sofia presso presidente Consiglio bulgaro da rappresentanti esteri che egli non mi ha detto, ma che non è difficile indovinare, i quali lo avrebbero altresì posto in guardia verso Potenze Asse: al che Kiosseivanov avrebbe risposto che simili discorsi troppo infirmati poi dagli avvenimenti gli erano già stati tenuti altre volte.

3) Che egli, il ministro germanico, riteneva che comunque i bulgari avessero perduto buona occasione di un tentativo verso Dobrugia durante ultima crisi Europa sud-orientale. Che peraltro occasione era passata e non credeva vi fossero oramai altre possibilità. Da modo come egli si esprimeva ho avuto l'impressione che da parte tedesca si vedrebbero oramai con poco favore rivendicazioni bulgare verso Dobrugia, tanto più che stesso ministro germanico mi osservava che del resto era meglio che le cose fossero andate così, giacché diversamente non si sarebbe mancato accusare Asse di nuovi turbamenti in Europa sud-orientale. Mi ha anche detto che stragrande maggioranza opinione in Bulgaria faceva carico alla Germania di freddezza ed indifferenza in merito rivendicazioni nazionali bulgare, ma che a ciò egli non poteva opporre altro se non che quelle rivendicazioni non erano state mai e in nessun modo politicamente affacciate da governo Sofia a governo Reich. Soggiungo peraltro che opinione comune ritiene qui per fermo recente accordo economico tedesco-romeno3 comporti contropartite politiche che ostacolerebbero definitivamente aspirazioni bulgare Dobrugia, ciò che rinsalderebbe malumore verso Germania.

4) Che da fonte presumibilmente turca era stata messa in giro la voce che ad Ankara Kiosseivanov avesse sollecitato interessamento governo turco in merito rivendicazioni bulgare verso Jugoslavia regione Zaribrod. Che però egli personalmente riteneva tale voce per nulla fondata e probabilmente intesa creare sospetti nei rapporti bulgaro-jugoslavi. Gli ho peraltro detto che avevo avuto l'impressione che qui si consideri alquanto minacciosa, per Jugoslavia, attuale fase problema croato, ciò che potrebbe anche contribuire produrre qualche ritorno speranze nei riguardi zona Zaribrod. Ministro germanico ne ha convenuto. Mi ha peraltro soggiunto che sarebbe a suo giudizio desiderabile, per quanto poco probabile, in Jugoslavia ritorno Stojadinovié, cui caduta egli attribuisce ad intrigo Francia e specialmente Inghilterra, la quale ultima avrebbe fatto pressione su Principe Paolo, sempre sensibilissimo suggerimenti britannici. Assicura avere elementi certi in proposito.

5) Che malumore in Bulgaria contro governo è ormai diffuso ed ogni giorno crescente, ciò che può far ritenere possibile qualche prossima crisi4 .

404 1 Vedi D. 337.

405 2 Riferimento al trattato di neutralità, conciliazione ed arbitrato tra Bulgaria e Turchia del 6 marzo 1929 (testo in MARTENS, vol. XXVIII, pp. 704-71 0). 3 Vedi D. 378, nota l.

406

IL MINISTRO A BELGRADO, INDELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. RISERVATISSIMO 1485/456. Belgrado, 28 marzo 1939 1•

Telegramma di V.E. n.... del . ..2. Il R. Console Generale a Zagabria, nel rendermi conto di una conversazione avuta coll'ingegner Carnelutti di ritorno da Roma, mi scrive:

«Carnelutti ha riferito al dottor Macek tutti i dettagli delle conversazioni avute e Macek ne è rimasto soddisfattissimo. Carnelutti, nell'occasione, ha chiesto al Macek il perché egli avesse inviato a Bratislava ed a Londra l'ingegnere Kosutié. Macek gli ha risposto che si trattava di incarico informativo ma che era ad ogni modo opportuno, in vista della favorevole attitudine che era stata manifestata nei riguardi del problema croato dall'ammiraglio Usborne e da Lady Stanley, di pervenire ad interessare il governo inglese per una adeguata raccomandazione ai poteri di Belgrado. Macek aggiunse che la situazione è talmente matura da non doversi perdere tempo per agire su Belgrado e risolvere una buona volta la questione croata.

Il Carnelutti mi ha inoltre accennato che Macek mostra grande impazienza e perciò ha fatto muovere Kosutié che comunque è un uomo bene ispirato verso l 'Italia»3 .

2 Mancano i dati del telegramma in riferimento.

3 Il documento ha il visto di Mussolini.

405 4 Il 30 marzo, il Ministero trasmetteva a Sofia~ con tel espresso 209824 ~questa «nota pervenuta da fonte confidenziale attendibile»: «Viaggio presidente Consiglio bulgaro ad Ankara avrebbe avuto scopo patrocinare formazione asse Belgrado-Sofia-Ankara in sostituzione Intesa Balcanica; Ankara favorevole progetto ritenendo Intesa Balcanica ormai sorpassata per Jugoslavia e Turchia in quanto aspirazioni bulgare sono rivolte verso Tracia greca e Dobrugia; alleanza con Grecia ritenuta pericolosa per Ankara perché minaccia trascinare Turchia in conflitto mediterraneo nel quale Grecia sarà fatalmente coinvolta, mentre Turchia potrebbe tenersi lontana se libera da impegni preventivi».

406 1 Manca l'indicazione della data di arrivo.

407

L'AMBASCIATORE A MOSCA, ROSSO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 1303/547. Mosca. 28 marzo 1939 1•

Riferimento: mio telegramma odierno n. 352 .

La delegazione commerciale britannica capeggiata dal Segretario Parlamentare dell 'Overseas Trade Board, signor Hudson, e della quale fanno parte i signori Ashton-Gwatkin, Quintin Hill e David Lyal, è giunta a Mosca il 23 corrente e ne è partita ieri sera, diretta ad Helsinki.

Ebbi occasione di incontrare i signori Hudson e Gwatkin il giorno dopo il loro arrivo. Entrambi mi dissero che scopo del loro viaggio era quello di discutere in linea generale i problemi relativi agli scambi anglo-sovietici, per vedere se esisteva la possibilità di svilupparli maggiormente, e specialmente di migliorare le condizioni presenti, che sono giudicate sfavorevoli per l'Inghilterra.

Come ebbi già l'occasione di segnalare a V.E., l'U.R.S.S. acquista oggi in Gran Bretagna specialmente delle materie prime, mentre gli inglesi sono specialmente interessati a venderle prodotti lavorati e semi lavorati.

Il signor Hudson mi disse anche che «non era sua intenzione di discutere qui le questioni di politica internazionale».

Subito dopo la partenza da Mosca della Delegazione, il governo sovietico ha diramato, per mezzo della Tass, il comunicato cui si riferiva il mio telegramma odierno, e del quale riproduco qui appresso, ad ogni buon fine, la traduzione letterale:

«Durante il suo soggiorno a Mosca il Segretario Parlamentare pel Commercio d'Oltremare di Gran Bretagna, signor Hudson, ha avuto parecchi colloqui col Commissario per il Commercio Estero, A.l. Mikoian e col Commissario degli Affari Esteri, M.M. Litvinov. Egli è stato anche ricevuto dal presidente del Consiglio dei Commissari del Popolo, V.M. Molotov.

Sono state sottoposte ad un particolareggiato esame le attuali relazioni commerciali fra U.R.S.S. e Gran Bretagna, e le possibilità di un loro ulteriore sviluppo. Ambedue le parti hanno chiarito le proprie posizioni, ciò che ha rivelato l'esistenza di una serie di sostanziali divergenze, che si suppone si ridurranno al minimo nel corso di ulteriori trattative a Londra.

Ha egualmente avuto luogo sulle questioni di politica internazionale uno scambio amichevole di opinioni che ha portato alla reciproca conoscenza delle vedute dei governi dei due Stati ed al chiarimento dei punti di contatto fra le loro attitudini nel campo del rafforzamento della pace.

Il contatto personale stabilito fra il rappresentante autorizzato del governo britannico ed i membri del governo sovietico contribuirà indubbiamente alla considera

zione delle relazioni sovietico-britanniche, nonché ad una collaborazione internazionale, nell'interesse della soluzione del problema della pace».

Questo comunicato è significativo sotto vari aspetti.

Anzitutto, la constatazione che in esso viene fatta della «esistenza di una serie di sostanziali divergenze» indica in modo chiaro che la missione del signor Hudson ha avuto scarso successo nel campo commerciale, se pur non si deve dire che essa è totalmente fallita. Non posseggo ancora informazioni precise in proposito, ma debbo supporre che l'U.R.S.S. abbia chiesto all'Inghilterra la vendita di materiale bellico (come l'ha chiesto all'Italia e come si proponeva di chiederlo alla Germania), ed abbia specialmente insistito su forniture per la Marina da guerra, che il signor Hudson probabilmente non è stato in grado di concedere.

Il secondo aspetto interessante del comunicato è la larga parte dedicata agli scambi di vedute sulle questioni politiche. Ciò sembra aver creato una forte irritazione di questa ambasciata britannica, la quale, attraverso conversazioni private di suoi funzionari, si è affrettata a smentire che conversazioni politiche vere e proprie abbiano avuto luogo fra Litvinov ed Hudson.

Sta di fatto che il Commissario del Popolo per gli Affari Esteri ha incontrato il signor Hudson soltanto due volte: la prima in occasione della visita di cortesia fattagli dal capo della Delegazione britannica il giorno del suo arrivo, e la seconda quando lo ha avuto come proprio ospite ad una rappresentazione teatrale. È pertanto difficile di credere che le discussioni approfondite abbiamo potuto aver luogo in queste circostanze, mentre è naturale supporre che si sia trattato di scambi di vedute e di impressioni più che altro a titolo personale.

Quale può essere la ragione dell'esagerato rilievo dato alle conversazioni politiche? A mio giudizio ciò può spiegarsi col desiderio sovietico di mostrare al mondo che l 'Inghilterra si interessa oggi, molto più che nel passato, del concorso politico di Mosca. Può forse spiegarsi anche con l 'intento di incoraggiare le correnti che in seno al governo inglese si sono pronunciate per una decisa collaborazione coll'U.R.S.S. Finalmente non credo sia da escludersi del tutto che Litvinov abbia voluto dare al signor Hudson una certa soddisfazione di amor proprio, attribuendo alla di lui missione un carattere ed una importanza politica maggiori di quelle che realmente essa aveva, mentre questa ambasciata britannica ha sempre mostrato la tendenza a minimizzare il significato politico della visita di Hudson.

Mi risulta infine che il comunicato sovietico è stato diramato senza previa consultazione con la parte inglese, o per lo meno con l'ambasciata, la quale ne ha conosciuto il testo soltanto attraverso la Tass.

Si dice che il signor Hudson abbia invitato il Commissariato del Popolo per il Commercio Estero, Mikoian, a recarsi a Londra per continuare le trattative.

408.

IL MINISTRO A TIRANA, JACOMONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

RAPPORTO RISERVATO ... Tirana, 28 marzo 1939 (perv. stesso giorno).

Nel colloquio che ieri mattina ho avuto con Re Zogl, gli ho comunicato che Vostra Eccellenza accoglieva pienamente il desiderio da lui più volte espresso di rafforzare i vincoli dell'alleanza portando questa ultima-sulla base della indipendenza e sovranità de li'Albania, della tutela della dignità e delle prerogative reali, della reciprocanza dei diritti dei due Paesi -ad una forma di stretta associazione per raggiungere scopi comuni.

Il Re mi ha dichiarato che era pronto a concludere con noi accordi in questo senso e ha stabilito che io avrei dovuto incontrarmi stamani col presidente del Consiglio, il ministro degli Esteri, ed il Primo Aiutante di Campo per esaminare la base dei futuri rapporti.

Avendo io detto a Re Zog di non essere in possesso di istruzioni più dettagliate, aderendo ad una sua richiesta, gli ho poi esposto -a titolo personale -alcuni concetti che richiamandosi, sia pure con molta attenuazione, ai principi ispiratori del trattato2, mi permettevano di sondare un poco più a fondo il pensiero del Re. Ciò ho creduto di fare, interpretando le istruzioni di Vostra Eccellenza, perché ci fosse possibile vedere in tempo verso qual soluzione in realtà camminavamo come conseguenza dell'atteggiamento del Sovrano; ed anche perché, se dovevamo venire alla fine della settimana ad un ultimatum, il Re, in caso di accettazione, non conservasse verso di noi eccessivo rancore.

Anche questa mia personale apertura è stata accolta favorevolmente dal Re. Le mie idee erano a lui di massima accette e, assicurandomi la più assoluta segretezza, mi ha invitato a discuterne nella seduta che avrei tenuto stamane. L'accoglienza anzi è stata così cordiale e accompagnata da tante espressioni di gratitudine che essa ha cominciato a mettermi in sospetto. È noto infatti che quando il Re acconsente facilmente a qualche proposta è sua intenzione di non accettare, altrimenti egli inizia subito il mercanteggiamento.

I dubbi poi mi sono stati chiariti in un colloquio avuto il pomeriggio con Libohova che ho trovato nettamente contrario ad ogni rafforzamento formale de li'alleanza perché, qualunque precauzione venga presa, dato il rapporto di potenza fra l'Italia e l'Albania, quest'ultima apparirà sempre come uno Stato protetto. Egli si è dichiarato

2 Riferimento al progetto di accordo tra Italia e Albania preparato da Ciano. Vedi D. 383.

fautore della creazione di situazioni di fatto fra di loro indipendenti che. come si è proceduto in questi ultimi anni, conducano ad una pratica ed effettiva collaborazione fra i due Paesi.

Mi sono mostrato disposto a seguire Libohova, nella riunione che avremo stamani, su qualunque via che avvicinasse agli scopi voluti di una efficace collaborazione. La riunione si inizierà stamani con la ripresa in esame, per eventuali ampliamenti, del trattato di alleanza attualmente in vigore.

Ho creduto di seguire questa tattica di apparente remissività per prendere tempo ed evitare allarmi; ciò naturalmente nella ipotesi che Zog, come ha già fatto altre volte, non ci prepari qualche sorpresa: da lui. data la fondamentale italofobia della quale ho dovuto con dolore convincermi. vi è tutto da attendersi.

Allo stato delle cose, e data la poco buona volontà oggi emersa da parte del Re e del ministro degli Esteri, io mi propoiTei, ove rimanga immutata la decisione di Vostra Eccellenza, di poiTe al Re un ultimatum alla fine della settimana. di tirare avanti un paio di giorni. intanto. in conversazioni con il Re e coi ministri. di inviare giovedì o al più tardi venerdì a Vostra Eccellenza uno schema di accordo quale può uscire da queste conversazioni. Sabato prossimo Vostra Eccellenza potrebbe farmi pervenire il testo definitivo di trattato che tenga conto, in quanto Vostra Eccellenza lo giudicherà possibile, dei desideri di Zog, o confermarn1i l'invariabilità del testo attuale.

Chiederei udienza al Re per domenica mattina, gli annuncerei l'imminente atTivo delle truppe, motivato dalla situazione internazionale, gli proporrei che l'atTivo delle truppe fosse, a seconda del suo desiderio, basato sul testo del nuovo trattato che gli sottoponevo e che egli dovrebbe subito parafare e tàr firmare, o sulla richiesta da lui fattane già nello scorso settembre e rinnovata pochi giorni or sono velatamente insieme a richieste di materiale per l'esercito albanese.

Potrei suggerirgli anche di inscenare lui stesso subito qualche manifestazione di piazza in modo da dare l'impressione che egli abbia aderito alle nostre richieste per desiderio del suo popolo.

Non è in ogni caso da escludere che il Re rifiuti e tenti qualche resistenza. In questo caso, mentre io mi metterei sempre a disposizione del Re per tutto quanto potesse essere interesse suo e della Regina che a quel momento avrà avuto il figlio o starà per averlo, informerei immediatamente i nostri amici perché inscenino subito dimostrazioni in nostro favore e movimenti contro il regime. In questo caso, e appena inviata da me la notizia del rifiuto di Zog, occoiTerebbe render nota da Roma, a mezzo della radio, la notizia del movimenti e poco dopo quella dell'atTivo delle truppe su richiesta del popolo albanese, pubblicando a questo momento le note dichiarazioni.

Con l'aereo di giovedì partirà probabilmente per Roma il Generale Sereggi, che prima di presentare le credenziali, chiederà di essere ricevuto dal Duce e da Vostra Eccellenza in qualità di Aiutante di Campo del Re. Egli recherà un messaggio del Re al Duce. Senza che io gliene abbia fatto richiesta il Generale Sereggi continua ad esprimere il desiderio di mettersi a nostra disposizione per ogni eventualità. Ieri mi ha fatto dire che il suo desiderio di partire giovedì per Roma è essenzialmente motivato dal fatto che in caso di conflitto fra noi e Zog egli ~ed in questo si rivela forse non scevro da pusillanimità ~preferisce trovarsi fuori de li'Albania per non doversi schierare a lato del Sovrano. Ritengo tuttavia che al Generale Sereggi ~ormai al sicuro ~si possa ali 'ultimo momento, magari attraverso Koçi richiedere una delle note dichiarazioni.

In previsione di un atteggiamento ostile del Re ho consegnato a De Ferrariis un promemoria contenente i provvedimenti che a mio avviso sarebbe indispensabile ed urgente adottare in Italia. L'Eccellenza Vostra giudicherà anche sulla base dei precedenti promemoria dei quali non conservo copia se sono incorso in qualche omissione. Ho anche consegnato a De Ferrariis due bozze di proclama-diversi a seconda delle due ipotesi fatte sull'atteggiamento del Re-e che con le modificazioni che Vostra Eccellenza riterrà eventualmente opportune, dovrebbero essere subito stampate in italiano ed in albanese per essere lanciati a mezzo di aerei provenienti dall'Italia sui principali centri costieri ed interni dell' Albania3 .

407 1 Manca l'indicazione della data di arrivo. 2 T. 4847/35 P.R. del 28 marzo. Segnalava che il comunicato sovietico sulle trattative commerciali con la Gran Bretagna rivelava il chiaro insuccesso di quelle trattative.

408 1 Come da istruzioni (vedi D. 384), sul colloquio con Re Zog il ministro Jacomoni aveva subito riferito, in forma più sintetica, per telegramma. Il Re-aveva sottolineato Jacomoni-si era «subito dichiarato disposto ad accordi più vasti possibili» ma dava la sensazione che «nascondesse il suo vero pensiero», come sembrava confermato da una conversazione con il ministro degli Esteri, Libohova, «ostile ad ogni concetto di rafforzamento formale dell'alleanza» (T. 4824/45 P.R. del28 marzo). Il documento ha il visto di Musso lini che ha sottolineato le frasi qui riportate tra virgolette.

409

L'INCARICATO D'AFFARI A BERLINO, MAGISTRATI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

RAPPORTO RISERVATO 2431/725. Berlino, 28 marzo 19391•

Ho visto stamane questo Ambasciatore di Polonia, signor Lipski, che, come ho avuto occasione di precedentemente comunicare, ha avuto in questi giorni varie conversazioni con il signor von Ribbentrop 2 e con altri elementi dirigenti tedeschi nei riguardi del delicato momento che oggi i rapporti tedesco-polacchi attraversano.

Ho trovato il signor Lipski se non pessimista, certo alquanto preoccupato della situazione. Egli che è, come è noto, uno dei principali artefici dell'accordo tedesco-polacco del 19343 e dei sostenitori dell'amicizia tra i due Paesi, è stato evidentemente oggetto in questo periodo di non poche critiche a Varsavia e d'altra parte non è rimasto soddisfatto dell'atteggiamento tenuto dai tedeschi nei suoi riguardi in questa ultima circostanza.

Egli mi ha infatti innanzi tutto raccontato la difficile situazione nella quale venne a trovarsi nel periodo 12-15 marzo allorché non gli fu assolutamente possibile prendere contatto con alcuna personalità tedesca in modo che venne a trovarsi dinanzi ai fatti compiuti senza essere in condizione di utilmente intervenire.

A ciò si aggiunge la circostanza che egli ha sempre sostenuto dinanzi al suo governo l'infallibilità della teoria politica del Cancelliere Hitler avente unicamente per base l'unione di tutti i tedeschi. Ora l'inglobamento definitivo e totale della Boe

Sulle reazioni suscitate a Roma, vi è nel Diario di Ciano questa annotazione sotto la data del 28 marzo: «De Ferrariis torna dall'Albania con un rapporto di Jacomoni. Sembra che il Re ciurli nel manico. Risponde di sì e poi fa dire di no dai suoi ministri. Comunque ormai la macchina è in moto e non può più arrestarsi: o la cosa sarà fatta con Zog oppure sarà fatta contro di lui. Per molte ragioni --avanti tutte quella di non essere noi italiani coloro che sparano i cannoni per primi in Europa ·-preferirei la prima soluzione. Ma se Zog non cede, bisognerà ricorrere alle armi e ricorrervi con ogni decisione».

2 Si veda in proposito il D. 398, nota l.

3 Riferimento alla Dichiarazione tedesco-polacca de126 gennaio 1934 (vedi D. 27, nota 2).

mia e della Moravia nei confini del Reich ha improvvisamente dimostrato come tale teoria non esistesse e come gli interessi politici o militari del Terzo Reich contano più che non il vangelo pangermanico di Adolfo Hitler.

Questa constatazione ha provocato grande emozione a Varsavia perché tutti i problemi dovranno ora essere considerati e studiati sotto altro punto di vista che non quello della teoria politica tedesca, valida fino a ieri, dell'unione di tutti, e solamente, i tedeschi.

Nell'opinione pubblica polacca già innervosita ha inoltre creato nuova emozione l'improvviso colpo tedesco su Memel. Varsavia non ha in proposito neanche compreso la necessità dell'invio a Memel. quale scorta del Cancelliere Hitler. di gran numero delle unità della nuova Flotta germanica.

Quanto alla situazione della zona meridionale, è vero, ha aggiunto Lipski, che i polacchi devono riconoscere che la realizzazione di una frontiera comune coll'Ungheria significa un successo della politica di Varsavia, specialmente per le conseguenze future particolarmente nei confronti della situazione ucraina. Ma è anche vero che contro questo vantaggio gioca l'altro fatto di vedere un Paese slavo, quale la Slovacchia, essere posto nettamente sotto il controllo germanico a completa insaputa di Varsavia.

Ho chiesto all'Ambasciatore a quale punto stiano le conversazioni tedescopolacche circa i problemi direttamente esistenti tra i due Paesi: Danzica e Corridoio.

Lipski mi ha risposto che sostanzialmente non vi è nulla di nuovo. La Polonia, che si considera tra i Paesi in marcia verso l'avvenire, fa evidentemente del suo sbocco al mare una questione vitale. Quanto a Danzica, i polacchi distinguono nettamente i tre lati della questione: interessi polacchi esistenti nella Città Libera, Statuto, e situazione interna della città. Quanto al terzo punto essi riconoscono il carattere assolutamente tedesco di Danzica e sono disposti ad andare sempre più in là nel vedeme affermato anche il carattere nazionalsocialista. Ma non possono cedere sui due primi punti essendo l'uno in funzione dell'altro e non potendo di colpo la Polonia rinunciare ai suoi importantissimi interessi di quella zona.

Quanto al Corridoio, i polacchi sono disposti a facilitare sempre più i traffici tra la Prussia Orientale ed il Reich (abolizione completa di qualsiasi forma di controllo di passaporti o di divise, etc.) ma non possono d'altra parte cedere alla proposta tedesca della creazione di un'autostrada a carattere extraterritoriale attraverso il Corridoio, del tipo di quella che i tedeschi avevano in mente di fare attraverso la Cecoslovacchia, prima dell'inglobamento della Moravia.

Ciò detto. il signor Lipski non crede in un prossimo sostanziale aggravamento della situazione perché ha viva fiducia che il Cancelliere Hitler. che è stato il realizzatore nel 1934 dell'avvicinamento polacco-tedesco. saprà ancora trovare la buona via per rimettere le cose a posto senza che si giunga ad una crisi nei rapporti tra i due Paesi.

Quanto alla prossima visita di Beck a Londra, l'Ambasciatore Lipski, nel dirmi che essa, già preordinata da vario tempo, non porterà a nessuna nuova situazione, mi ha confermato che i tedeschi non gli hanno manifestato alcuna preoccupazione sul suo contenuto e sul suo esito eventuale4 .

410.

APPUNTO DEL GABINETTO PER IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

Roma, 28 marzo 1939.

Il Consigliere dell'Ambasciata di Francia ha telefonato per comunicare, in conformità di ordini ricevuti da Parigi, che il Governo francese si propone di pubblicare giovedì prossimo, 30 corrente, la nostra nota del 17 dicembre e la risposta'.

Di ciò l'Ambasciata ci informava anche perché il Governo italiano potesse, qualora lo ritenesse del caso, provvedere anch'esso a detta pubblicazione lo stesso giorno2 .

408 3 Il documento ha il visto di Mussolini.

409 1 Manca l'indicazione della data di arrivo. Dagli elenchi dei «rapporti al Duce» risulta peraltro che il documento fu inviato in visione a Musso lini il 3 l marzo.

409 4 Il documento ha il visto di Musso lini.

411

L'AMBASCIATORE A VARSAVIA, ARONE, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. S.N.D. RISERVATISSIMO 1559/74 R. Varsavia, 29 marzo 1939, ore 17,40 (perv. ore 20,25). Miei telegrammi n. 69 e 73 1•

Trattative polacco-tedesche sono ad un punto molto critico. Iersera questo ambasciatore di Germania ha avuto lunga conversazione con questo ministro degli Affari Esteri, il quale ha usato linguaggio aspro e categorico che ha impressionato suo interlocutore.

Evidentemente Germania trova qui reazione molto più seria di quanto sembrava attendesse nella questione di Danzica. D'altra parte, attuale momento scelto dalla Germania per cercare di realizzare sue note rivendicazioni era certo il meno indicato data odierna sollevazione di questa opinione pubblica dopo recenti avvenimenti che danneggiano situazione geografica e politica della Polonia. In tali condizioni, infatti, governo polacco, anche se volesse farlo, non potrebbe accedere alle richieste tedesche e -meno di tutti -il signor Beck, il quale viene qui generalmente additato come il maggiore responsabile dell'attuale critica situazione polacca. Comunque qui si ritiene ormai sicuro che ad una eventuale azione di forza della Germania, la Polonia opporrebbe la resistenza armata2 .

2 li documento ha il visto di Musso lini. 411 1 Vedi DD. 385 e 398.

2 Il documento fu inviato in visione a Mussolini.

410 1 Vedi serie ottava, vol. X, DD. 566 e 594.

412

L'AMBASCIATORE A VARSAVIA, ARONE, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. S.N.D. 1562/76 R. Varsavia, 29 marzo 1939, ore 23,10 (perv. ore 2 del 30). Mio telegramma n. 741 .

Questo ministero Affari Esteri mi fa conoscere stasera che governo tedesco ha chiesto qui spiegazioni per le misure militari adottate dalla Polonia. Gli è stato risposto che dette misure erano in relazione con i concentramenti ed i movimenti di truppe alla frontiera polacca e specialmente lungo il Corridoio ed il territorio di Danzica, nonché in Slovacchia dove sono state nel frattempo già iniziate opere di fortificazione minaccianti il territorio polacco. Questi provvedimenti militari tedeschi, mi è stato poi affermato, sono stati qui ritenuti come una pressione del governo tedesco, dato che contemporaneamente Berlino tàceva i noti passi presso il governo polacco «per ricordargli che esiste fra i due Paesi una questione di Danzica che esso desiderava vedere risolta al più presto».

Questo ministro Affari Esteri, pur osservando che Polonia è tuttora disposta a stabilire, d'accordo con Germania, una situazione a Danzica che tenga conto dei legittimi interessi dei due Paesi, mi ha affermato che questo governo deve respingere con tutta energia ogni soluzione ad esclusivo beneficio tedesco2 .

2 li documento fu inviato in visione a Musso lini.

Circa la posizione del governo italiano di fronte alla crisi in atto nei rapporti tedesco-polacchi, vi è nel Diario di Ciano questa annotazione sotto la data del 30 marzo: «La tensione tra la Germania e la Polonia, che era stata preoccupante negli ultimi giorni, sembra adesso un po' diminuire. Ne sono contento poiché un'azione tedesca contro la Polonia avrebbe qui avuto ripercussioni sinistre. Intanto, la Polonia ha molte simpatie, e poi i tedeschi non devono esagerare. È già difficile trovare chi presti fede alle loro parole. Ciò sarebbe addirittura impossibile qualora venissero meno ai tante volte riaffermati patti di collaborazione con la Polonia».

Non è chiaro sulla base di quali elementi Ciano potesse ritenere -in contrasto con quanto riferiva l'ambasciatore Arane da Varsavia-che la tensione in atto nei rapporti tedesco-polacchi si stava attenuando.

La ferma decisione dei polacchi di resistere con le armi alle pretese della Germania era confermata a Ciano anche dall'ambasciatore di Polonia, Wieniawa (CIANO, Diario, sotto la data del 31 marzo. Del colloquio non è stata trovata documentazione negli archivi italiani).

412 1 Vedi D. 411.

413

IL CONSOLE GENERALE A VIENNA, ROCHIRA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 1578/06 R. Vienna, 29 marzo 1939 (perv. il 30).

Ho avuto una conversazione col Capo di Gabinetto del Luogotenente SeyssInquart, il dottor Hammerschmidt, che si occupa in modo particolare delle questioni politiche ed economiche con gli Stati del Sud-Est europeo. Come ho già riferito, tali questioni vengono, su direttive di Berlino, trattate in gran parte a Vienna, ove i contatti sono più facili, data la posizione centrale e le preesistenti relazioni con quei Paesi.

Hammerschmidt mi ha detto che nella questione dei confini tra Slovacchia e Ungheria, la Germania appoggia quest'ultima, essendo giusto che l'Ungheria allarghi il suo confine in modo da avere in suo possesso la linea ferroviaria (che la congiunge con la Polonia) Ungvar-Michalovce-Samok-Przemysl.

Quanto alla Slovacchia, egli ritiene che alla Germania non convenga accentuare troppo la sua influenza, bastandole mantenere poche truppe per assicurare i confini dei Carpazi; gli slovacchi dovranno svilupparsi liberamente mantenendo buoni rapporti anche con Polonia, Ungheria e Italia. A suo avviso, la Germania ha già molto da fare nel Protettorato e non le conviene fornire all'opinione pubblica mondiale-e specialmente ali' America o ve vivono un milione di slovacchi -nuove occasioni di inveire contro il nazionalsocialismo. Dal punto di vista economico la Germania in Slovacchia non ha interesse che per il legname.

Il dottor Hammerschmidt parte domani per Budapest: sull'Ungheria egli ha espresso l'opinione che, finché essa avrà una legislazione feudale, sarà sempre esposta al pericolo del bolscevismo. Caduto il discorso sulla questione croata, egli ha rilevato che questa rientra nella nostra sfera d'azione, e che la Luogotenenza ha avuto istruzioni di riferire ogni utile notizia su tale questione immediatamente a Berlino, affinché di là possa essere comunicata a Roma.

Sulla questione ucraina mi ha detto che questa, con l'occupazione della Russia Sub-carpatica da parte dell'Ungheria, dovrebbe ritenersi finita; che tuttavia i polacchi dimostrano ancora nervosismo, anche perché forse avrebbero voluto annettersi essi stessi una parte di quel territorio.

Dal colloquio ho tratto impressione che mio interlocutore desiderasse darmi sensazione che Germania non abbia altre mire espansioniste nel Sud-Est europeo, voglia procedere d'accordo con la Polonia ed Ungheria, e tenere nel dovuto conto interessi Italia. Ho comunicato quanto precede a Berlino 1•

Sull'argomento si vedano le osservazioni, da Budapest, del ministro Vinci nel D. 457.

413 1 Il documento tu inviato in visione a Musso lini.

414

L'AMBASCIATORE A PARIGI, GUARIGLIA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 2078/870. Parigi, 29 marzo 1939 (perv. il 31).

Il discorso del Duce 1 ha in questi giorni polarizzato l'attenzione di tutti gli ambienti di Francia, che attendevano ansiosi le dichiarazioni del Capo del Governo Fascista. Le radio hanno per l'occasione funzionato in pieno. La stampa ha ampiamente pubblicato e commentato il discorso, riproducendo le frasi fondamentali a caratteri di scatola.

Circoli politici e giornali della capitale e della provincia si sono senza indugio dedicati ad una laboriosa esegesi del discorso, cercando di estrarne un'interpretazione che potesse lumeggiare e precisare le intenzioni del Governo Fascista in relazione alle aspirazioni e alle tendenze delle correnti politiche che si incrociano e agiscono neWattuale atmosfera francese. Le reazioni sono state quindi varie e disparate, influenzate or dal sollievo che niente di irreparabile si era determinato, or dalla paura dell'avvenire che rimaneva pur sempre incerto ed oscuro.

Negli ambienti ufficiali ed ufficiosi il discorso è stato accolto indubbiamente con profondo senso di imbarazzo e di perplessità per il grave dilemma di fronte a cui le affermazioni del Duce hanno posto gli organi responsabili. Imbarazzo risultante dalla necessità di non apparire deboli di fronte al giudizio dell'opinione pubblica ed agli attacchi dei parlamentari e dalla preoccupazione nel contempo di non ipotecare leggermente l'avvenire, di non esacerbare ulteriormente lo spirito del popolo, assumendosi la grave responsabilità di scavare sempre più profondo il solco fra i due Paesi. Imbarazzo tanto più grave in quanto il Governo Fascista non aveva chiuso le porte ad ogni possibilità di negoziato.

A questo stato d'animo rispondono le note ufficiose ed i commenti degli ambienti più vicini al governo i quali si sono sforzati sopratutto di mettere in evidenza che le dichiarazioni non potevano essere accolte che con prudente riserva e circospezione, data l'oscurità di cui il Duce aveva circondato le questioni essenziali poste sul tappeto come condizione per la normalizzazione dei rapporti fra i due Paesi. Si è tenuto nel contempo a sottolineare che nel complesso la situazione internazionale non ne usciva né peggiorata né migliorata. Ma si è voluto ripetere che l'Italia è parte richiedente e che ad essa tocca quindi fare la prima mossa chiarendo esplicitamente i termini delle sue richieste. Si è aggiunto che la Francia non avrebbe comunque accettato nessuna forma di negoziato che direttamente o indirettamente portasse ad una cessione di territorio o ad una diminuzione della sua sovranità. Se il Mediterraneo è spazio vitale per l'Italia, altrettanto si pretende sia per la Francia e per il suo Impero.

Alquanto disparata è stata la reazione degli ambienti di destra e di quelli moderati che rappresentato in questo momento la massa determinante dell'opinione pubblica francese. Nell'insieme di essi non si può dire che l'accoglienza sia stata prevalentemente sfavorevole. Si è accolta con soddisfazione l'affermazione del desiderio

di pace dell'Italia. Si è visto con favore la limitazione delle rivendicazioni a questioni coloniali e l'esclusione di Nizza, della Savoia e della Corsica. L'indicazione di Tunisi, Gibuti, Suez, interpretata alla luce delle affermazioni di Gayda nel Giornale d'Jtalia2 è stata in una larga sfera di questi ambienti intesa come espressione dell'intenzione italiana di limitare le proprie rivendicazioni alla concessione di vantaggi di natura giuridica, economica e politica.

In tali ambienti il discorso del Duce ha suscitato quindi un senso di attesa, se non ottimista, almeno tinta di speranza al riguardo di sviluppi ulteriori delle relazioni franco-italiane e della possibilità di riprendere i contatti fra i due governi. Si sottolinea che il Duce non ha detto niente che possa rassomigliare ad un ultimatum diretto alla Francia. Non ha presentato alcuna domanda in forma tale che la possibilità di soluzione pacifica debba essere recisamente scartata. Se ne è voluto dedurre che l'Italia non esclude a priori l'ipotesi di un accordo con la Francia.

In altri circoli politici di destra a tendenza nazionalista, viva è stata invece l'ostilità. È quella vecchia mentalità francese fatta di vuoto orgoglio e di albagia che si illude ancora di potersi cristallizzare in situazioni di predominio ormai sorpassate, che ha mostrato la più testarda incomprensione di fronte alle taglienti verità espresse dal Duce. A tali circoli politici appartengono il noto de Kérillis, d'Ormesson ed in termini più o meno espliciti la cricca di Louis Marin, presidente della Federazione Repubblicana, il quale è ormai passato all'offensiva contro di noi, mentre ci era stato favorevole all'epoca delle sanzioni e del riconoscimento dell'Impero.

Il Journal des Débats che è in intimi rapporti con tale circolo politico, commentando il discorso del Duce, esprime un categorico parere contrario ad ogni iniziativa francese, affermando che è essenziale che la Francia non si presti benevolmente ad una discussione che è stata posta in termini inaccettabili per un Paese che abbia ancora una dignità da far rispettare. Non è neppure ammissibile l'ipotesi che la Francia consideri l'eventualità di accrescere, attraverso delle concessioni, i mezzi con cui l'Italia intende continuare la sua rivoluzione e perseguire la trasformazione della situazione internazionale. Niente quindi al di là di concessioni amministrative di interesse reciproco.

Lo stesso gruppo parlamentare della Federazione Repubblicana si è ieri riunito per esaminare i problemi di politica estera, dopo il discorso di Mussolini. Le discussioni si sono ispirate con parole più o meno grandiloquenti ai principi sopraccennati e la maggior parte degli oratori, commentando il discorso del Duce, ha dichiarato che esso non sembra permettere alla Francia di prendere l'iniziativa di negoziare con l'Italia.

Il comunicato pubblicato alla chiusura della riunione ricorda che il gruppo ha votato i pieni poteri a Daladier in relazione al suo impegno solenne di non cedere né un metro di territorio, né alcuno dei diritti della Repubblica.

Nelle circostanze attuali, il gruppo segnala al governo ed al Paese il grave pericolo che presenterebbe l'apertura dei negoziati, la Francia non essendo richiedente e nessun fatto essendosi determinato che la inviti a dipartirsi dall'atteggiamento finora seguito.

Tale dichiarazione ha suscitato in questi ambienti politici una certa preoccupazione poiché, come è noto, la Federazione Repubblicana di Louis Marin è una frazione importante della maggioranza parlamentare su cui Daladier ora è costretto ad appoggiarsi. TI Gabinetto dovrà quindi necessariamente tener conto di tale atteggiamento, sostanzialmente coincidente con quello dei bellicisti di sinistra che nell'intransigenza sognano la possibilità di un conflitto ad oltranza contro il fascismo.

A questa reazione sfavorevole del gruppo Marin, fa netto contrapposto quella di importanti ambienti senatoriali, attivamente animati ed influenzati dall'azione di Lavai.

La questione è stata ieri esaminata alla Commissione degli Affari Esteri del Senato. Il presidente Bérenger, che ho visto casualmente, mi ha detto che Lavai era ancora intervenuto con parole calde e persuasive lumeggiando l'interesse che la Francia aveva di preparare il riavvicinamento con l 'Italia. La Commissione sarebbe rimasta profondamente impressionata dalla parola di Lavai.

La reazione degli ambienti di sinistra e di estrema sinistra è nota a priori. Essi si scagliano naturalmente contro il Duce e definiscono il discorso un capolavoro di astuzia e di furberia, un'abile manovra per guadagnar tempo e per seminare la discordia e l'esitazione in seno alle Potenze democratiche.

Di fronte a questa varietà contrastante di reazioni -a bilancio indubbiamente negativo -la stessa stampa si mostra disorientata nei suoi apprezzamenti. Il Consiglio dei ministri riunitosi ieri per esaminare la situazione alla stregua delle dichiarazioni del Duce, è stato influenzato dallo stesso imbarazzo e perplessità. Bonnet, de Monzie con altri tre ministri, tra cui Guy La Chambre, si sarebbero pronunziati in senso favorevole ad un'azione intesa a favorire l'apertura di negoziati con l'Italia. Daladier ed i restanti membri del Gabinetto si sarebbero invece mostrati fautori di un atteggiamento più intransigente. La questione sarà nuovamente esaminata oggi in Consiglio di Gabinetto che dovrà approvare la linea fondamentale del discorso che Daladier pronunzia stasera alla radio.

414 1 Riferimento al discorso pronunciato il26 marzo da Mussolini agli squadristi. Vedi D. 400, nota 5.

414 2 Nell'articolo «A ciascuno il suo posto» pubblicato su Il Giornale d'Italia del 28 marzo Gayda aveva sottolineato che, a proposito delle rivendicazioni verso la Francia, Mussolini aveva elencato Tunisi, Gibuti e Suez, problemi tutti di carattere coloniale e tali da non turbare la pace europea. Era peraltro certo che, fino a quando quei diritti italiani non fossero stati soddisfatti, l'Italia non avrebbe partecipato «ad alcun atto o sistema internazionale intitolato alla difesa della pace».

415

IL CAPO DEL GOVERNO, MUSSOLINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

APPUNT01• Roma. 29 marzo 1939.

Questioni da discutere con V. Ribbentrop

a) obiettivi, nello spazio e nel tempo, della politica tedesca

b) posizioni economiche dell'Italia nel bacino danubiano e balcanico

c) rapporti italo-francesi

italo-jugoslavi

italo-albanesi

d) eliminazione tedeschi dall'Alto Adige

e) alleanza militare dei paesi del triangolo

t) rapporti economici Italia-Germania2 •

415 1 Autografo di Mussolini.

416

IL MINISTRO A BUCAREST, GHIGI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. RISERVATISSIMO 1579/l 02 R. Bucarest, 30 marzo 1939, ore 14,20 (perv. ore 16,45).

Telegramma di V.E. n. 561•

Mi riferisco ai miei telegrammi n. 982 e 1003 e mio telespresso n. 4544 . Non è facile esprimere fin da ora avviso circa probabili conseguenze accordo romeno-tedesco, prima di conoscere modalità esecuzione e sopratutto spirito applicazione sulle quali influiranno in senso diverso resistenze romene, pressione tedesca, situazione internazionale. Si può tuttavia affermare che piano previsto da testo trattato, integrato da numerosi accordi complementari in parte già conclusi, consente a Germania, basandosi su reale situazione di fatto, disporre ed assumere direzione ed organizzazione intera economia romena. Germania si prepara regolare produzione agricola e forestale secondo suoi bisogni, sfruttando risorse minerarie, assicurandosi rifornimenti specialmente petrolio, consolidando anche attraverso collaborazione bancaria mercato per la sua produzione industriale.

In particolare, Forze Armate romene, già fomite essenzialmente da Cecoslovacchia, dipenderanno ormai per armamenti da Germania. Via fluviale Danubio verrà a passare tosto o tardi sotto controllo tedesco. Tale completa organizzazione economica romena comporterà necessariamente diretta ingerenza germanica in vita interna questo Paese che dovrà entrare orbita Germania, come era del resto fatale nell'attuale situazione.

Nel primo di quei colloqui, l'ambasciatore sottolineò le ripercussioni fortemente negative che la recente crisi cecoslovacca aveva avuto a Roma: ancora una volta il governo italiano era stato tenuto all'oscuro di quanto si stava preparando e ciò rendeva evidente la necessità di formulare ex nova e di porre per iscritto i rispettivi interessi nel!' ambito del!' Asse.

Nel colloquio del l o aprile, Attolico affrontò i problemi dell'Alto Adige, che-disse-erano resi più gravi dall'azione di alcuni organi del partito nazionalsocialista, e che intendeva discutere nel loro insieme con von Ribbentrop «come parte della politica generale dell'Asse».

Su questi colloqui non è stato trovato nessun documento di Attolico; su di essi si vedano i circostanziati promemoria di von Weizsacker in DDT, vol. VI, DD. 140 e 143.

2 Vedi D. 401.

3 T. 1534/100 R. del 28 marzo. Riferiva le dichiarazioni del presidente del Consiglio romeno, Calinescu, e del ministro degli Esteri, Gafencu, i quali, circa il trattato con la Germania, avevano entrambi sottolineato che esso non limitava l'indipendenza economica della Romania che conservava la libertà di sviluppare gli scambi con altri Paesi, come era dimostrato dalla prossima conclusione di un accordo economico con la Francia.

4 Non rintracciato.

Per quanto concerne misura tale dipendenza, molto dipenderà da equilibrio politico del Re e da sua capacità di manovra in nuova situazione Paese senza lasciare prevalere da un lato reazione antitedesca, con rischio ritorno probabile crisi politica esterna e interna, e senza giungere, dall'altro, a preponderanza Germania più di quanto sia necessario per evitare pericolo crisi. Per quanto concerne infine nostra posizione economica, mezzo più adeguato per cercare salvaguardarla consiste, a mio avviso, nel negoziare un accordo economico basato, per quanto in misura ridotta, sistema analogo quello Germania. Consimile accordo con l 'Italia sarebbe accolto, per ovvie ragioni, con molto favore da questo governo.

415 2 Gli argomenti indicati in questo promemoria furono trattati dali' ambasciatore ATTOLICO in due colloqui che, di ritorno da Roma, ebbe con von Weizsacker il 31 marzo e il l o aprile.

416 1 Vedi D. 401, nota l.

417

L'INCARICATO D'AFFARI A BERLINO, MAGISTRATI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 1586/196 R. Berlino, 30 marzo 1939, ore 18,30 (perv. ore 20).

Wilhelmstrasse mi ha smentito notizie apparse ieri a Varsavia circa pretese domande rivolte dalla Germania alla Polonia 1•

Ha avuto luogo effettivamente a Varsavia una nuova conversazione tra ambasciatore Moltke e Beck ma essa è stata di carattere generale senza che da parte tedesca venisse avanzata alcuna precisa richiesta.

Beck ha nell'occasione riaffermato suo punto di vista che una occupazione militare tedesca di Danzica potrebbe avere gravi conseguenze.

Anche voci di invito tedesco fatto ieri a Beck per recarsi a Berlino nei prossimi giorni e di un suo relativo rifiuto non sono esatte. In realtà, circa l O giorni or sono Ribbentrop ebbe ad accennare a questo ambasciatore polacco opportunità di una sua eventuale diretta presa di contatto con Beck; ma in seguito, data situazione ed affermazione polacca che un incontro dei due ministri degli Esteri sarebbe ora probabilmente intempestivo e prematuro, la cosa venne senz'altro lasciata cadere.

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Autografo di Mussolini del doc. 415.

417 1 In realtà, si veda per le richieste avanzate da von Ribbentrop nel colloquio del 21 marzo con l'ambasciatore polacco, Lipski, e per la nota polacca di risposta del26 marzo il D. 398, note l e 2.

418

IL MINISTRO A BUCAREST, GHIGI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 1589/105 R. Bucarest, 30 marzo 1939, ore 21,50 (perv. ore 22,50).

Situazione fra Ungheria e Romania non accenna a distendersP. Gafencu me ne ha parlato iersera lagnandosi meco nuovamente atteggiamento Csaky e sue dichiarazioni2, informandomi che suoi colleghi governo sono molto irritati per atteggiamento governo ungherese, confermandomi Romania non congederà truppe senza aver ricevuto soddisfacenti dichiarazioni da Budapest.

Egli ha dato lettura della nota rimessa da Csaky a ministro di Romania Budapest colla quale Ungheria estende alla nuova frontiera romeno-ungherese il valore della dichiarazione di non aggressione parafata Bled3 e che secondo Csaky sarebbe in vigore quale gentlemen sagreement.

Gafencu mi ha detto che testo nota Csaky è poco chiaro, che accordi Bled non sono, né firmati, né pubblicati, e che se intenzioni Ungheria sono sincere governo ungherese non dovrebbe rifiutare pubblicazione dichiarazioni predette o altre consimili che valgano chiarire suo atteggiamento di fronte opinione pubblica romena.

Ora, data situazione creata in seguito recenti avvenimenti ed alimentata da sfiducia e sospetti, mentre governo ungherese, a quanto posso da qui giudicare, non intende fare dichiarazioni che comportino impegni verso Romania e che possano essere attribuite a pressione misure militari romene, governo romeno, deluso nelle speranze riposte in soluzione questione rutena, mortificato per accettazione trattato economico con Germania, irritato per dichiarazione Csaky, insiste ottenere soddisfazione altresì per giustificare di fronte Paese misure militari adottate. Influisce altresì, come ho riferito, su atteggiamento più intransigente di questo governo sensazione, probabilmente alimentata anche da questa legazione Germania, che Ungheria non può contare su appoggio tedesco contro Romania. È inutile aggiungere che questo governo vedrebbe con molto favore un interessamento in merito della Germania e possibilmente dell'Italia.

2 Nelle sue dichiarazioni alla Commissione Affari Esteri il ministro Csaky si era espresso in modo da lasciar capire chiaramente che la condotta della Romania di fronte alla crisi cecoslovacca era stato determinato dall'energico atteggiamento tenuto dall'Ungheria.

1 Vedi D. 9, nota 2.

418 1 Il ministro Ghigi aveva già riferito che, una volta venuto meno dopo la conclusione del trattato economico con la Germania, il timore di un attacco dell'Ungheria con l'appoggio tedesco, l'atteggiamento romeno verso l'Ungheria appariva «più sostenuto» per effetto della nuova situazione e anche perché il governo si preoccupava di «rafforzare il suo prestigio di fronte all'opinione pubblica che viene sempre più reagendo contro il trattato» (T. 1518/97 R. del 27 marzo).

419

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, ALL'INCARICATO D'AFFARI A SALAMANCA, RONCALLI

T. S.N.D. 249/12 R. Roma, 30 marzo 1939, ore 23.

Questa ambasciata di Germania comunica1 che, secondo un telegramma ricevuto dal suo governo, codesto ambasciatore tedesco ha avuto istruzioni di mettersi d'accordo con

V.E. per chiedere a codesto governo che notizia adesione Spagna a Patto Anticomintern, dopo ultime vittorie e caduta Madrid, sia resa pubblica tra 31 marzo e il primo di aprile.

Governo italiano trova logica richiesta tedesca e concorda su opportunità pubblicità notizia al più presto. V.E. si regoli in conseguenza. Notizia adesione Spagna a Patto Anticomintem, se non ufficialmente, risulta d'altronde già per indiscrezioni pubblicate sulla stampa estera2 .

420

IL MINISTRO A BELGRADO, INDELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. RISERVATISSIMO 1514/465. Belgrado, 30 marzo 1939 (perv. il 2 aprile). Mio telespresso n. 1485/456 del 28 corrente 1•

A seguito del telespresso citato in riferimento trasmetto qui acclusa copia di un rapporto pervenutomi oggi dal Regio Console Generale in Zagabria.

ALLEGATO

IL CONSOLE GENERALE A ZAGABRIA, GOBBI, AL MINISTRO A BELGRADO, INDELLI

TELESPR. SEGRETO 1835. Zagabria, 29 marzo 1939.

L'ing. Kosutié è rientrato domenica 26 corrente.

Dalle notizie che mi sono pervenute risulta che i risultati informativi del viaggio sono stati di ben poco rilievo. L'ing. Kosutié è rientrato alquanto impressionato dal suo passaggio a Praga.

2 Con T. 1633/76 R. del l o aprile, l'incaricato d'aftàri, Roncalli, comunicava di avere fatto presente al ministero degli Esteri spagnolo la posizione del governo italiano. 420 1 Vedi D. 406.

A proposito del viaggio dell'ing. Kosutié mi è stato riferito quanto segue da persona dell'ambiente più strettamente vicino al dottor Macek:

«Lo scopo del recente viaggio all'estero del vicepresidente del partito rurale croato ing. Augusto Kosutié è stato il seguente:

l) recarsi a Vienna o ve consultare alcuni medici di sua vecchia conoscenza circa i disturbi derivanti da calcoli biliari;

2) recarsi a Praga per questioni economiche famigliari, riguardanti interessi detta sua suocera signora Maria, vedova Radié in Boemia, venuti in forse dopo i recenti cambiamenti politici subentrati in quelle regioni;

3) recarsi a Bratislava per indagare sul posto la situazione politica delta autonoma Slovacchia dopo il distacco di quest'ultimo dalla Boemia;

4) recarsi in Germania per incontrarsi con un esponente ~ermanico al quale dare una risposta del dottor Macek a certi quesiti che. circa un mese fa. avevano prospettato a Macek nei riguardi di una eventuale soluzione del problema croato con appo~~io della Germania.

La motivazione ad l) e 2) era stata lanciata per appagare la curiosità del pubblico ma soprattutto della polizia. Lo scopo principale era invece dato dai punti ad 3) e 4).

L'ing. Kosutié giunto a Vienna era stato avvicinato con proposte del seguente genere:

I tedeschi appoggerebbero il distacco della Croazia dalla Jugoslavia. I croati dovrebbero disinteressarsi alta sorte della Vojvodina, che verrebbe data all'Ungheria. l croati dovrebbero mostrare il proprio disinteressamento su alcune regioni della Slovenia, che dovrebbero servire come una specie di corridoio ~ermanico all'Adriatico. La Germania si obbli~herebbe verso la Croazia a comperare tutte le disponibilità croate in ~eneri alimentari. in patrimonio zootecnico e minerario.

Kosutié ha risposto senz'altro in senso negativo»2 .

419 1 Del passo compiuto dali' ambasciata tedesca non si è trovata documentazione. L'iniziativa del governo tedesco era stata già segnalata, lo stesso pomeriggio, dall'incaricato d'affari a Berlino, Magistrati, con T. 15821199 R. del 30 marzo.

421

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, COLONNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 2820/605. Washington, 30 marzo 1939 (perv. il 18 aprile).

Onoromi trasmettere qui unito copia del rapporto in data 24 corrente, n. 354, diretto da questo R. Addetto Navale al Ministero della Marina e relativo all'argomento di cui in oggetto.

ALLEGATO

L'ADDETTO NAVALE A WASHINGTON, CUGIA, AL MINISTERO DELLA MARINA

FOGLIO RISERVATO 354. Washington, 24 marzo 1939.

l. La reazione ufficiale degli Stati Uniti agli avvenimenti che il 16 Marzo portavano la Boemia e la Moravia nell'ambito germanico, trovava una prima e vivace espressione nelle dichiarazioni del Sottosegretario per gli Affari Esteri, signor Summer Welles, (17 marzo )1 e veniva ribadita nella Nota consegnata all'ambasciata tedesca tre giorni più tardi (20 marzo)2 . Le gravi parole con le quali il governo dell'Unione rifiuta di riconoscere il nuovo ordine in Europa Centrale e definisce l'azione del Reich come «premeditato attentato» alla pace mondiale ed alla «struttura della moderna civiltà», mentre erano accolte negli strati dell'opinione pubblica con consenso che si può giudicare unanime, provocavano nella stampa tutta una fioritura di commenti più o meno addomesticati, a tono spiccatamente aggressivo e violento. In questa atmosfera psicologia propizia, il governo degli Stati Uniti, passando dalla protesta verbacea ad azione più concreta, imponeva, quasi a guisa di rappresaglia, l'aumento del25% sulle tariffe doganali per tutte le merci di origine tedesca. Nello stesso tempo, agendo attraverso le Commissioni parlamentari, otteneva l'immediata presentazione al Congresso di una legge di «neutralità», che sotto nuova forma abbinasse insieme il minimo rischio di guerra per gli Stati Uniti ed il massimo sostegno alla coalizione amica nella eventualità, giudicata imminente, di un conflitto europeo.

2. Il progetto legislativo accennato e sottoposto all'esame del Senato il 20 marzo, prevede che nel termine di 30 giorni dallo scoppio di una guerra, sia questa dichiarata ovvero no, il Presidente debba proclamare nominativamente le Potenze belligeranti. Di conseguenza, le misure sotto descritte divengono immediatamente operanti:

a) divieto al naviglio mercantile nazionale di esercitare traffico o diretto od indiretto con i Paesi belligeranti; b) divieto di esportare dagli Stati Uniti verso le Nazioni in guerra, merci qualsiasi che non siano già proprietà dei governi o dei privati belligeranti; c) divieto, sia al naviglio mercantile che ai cittadini nazionali, di transitare in zone di volta in volta definite «pericolose» dal Presidente; d) divieto ai cittadini degli Stati Uniti di concedere prestiti o crediti ai belligeranti, o comunque di raccogliere fondi in favore di questi ultimi; e) divieto al naviglio nazionale ed estero in partenza dai porti degli Stati Uniti di procedere al rifornimento di sommergibili o navi mercantili estere armate; f) eventuale divieto di transito e di sosta nelle acque territoriali degli Stati Uniti di sommergibili o navi mercantili estere armate; g) divieto al naviglio mercantile nazionale di trasportare comunque o di avere installati a bordo armamenti di qualsiasi genere.

è Testo in FRUS, 1939, vol. I, p. 56.

3. La legge contempla due importanti eccezioni: la prima di carattere generico, esenta da ogni misura applicativa tutte le Repubbliche del Continente americano, mentre la seconda concerne particolarmente il Dominio del Canada. Per quest'ultima regione sono esclusi, infatti, e la inibizione di transito in zone considerate «pericolose» e l'obbligo che le merci, prima di essere importate, divengano assoluta proprietà degli acquirenti.

Così come è stato redatto, il progetto di legge acquista una fisionomia contingente, avendo in vista soprattutto un conflitto europeo: esso consente, cioè, il libero rifornimento attraverso l'Atlantico ai belligeranti finanziariamente più potenti e dotati di prevalente Marina da commercio e da guerra (Gran Bretagna e Francia); permette, inoltre, anche facili evasioni ad alcune pastoie commerciali di emergenza, ad es. quelle indicate al comma b) poiché rende possibile di sfiuttare la regione canadese quale immenso serbatoio di raccolta e di smistamento. Nei riguardi di un probabile conflitto in Pacifico, la legge, invece, potrà favorire maggiormente il Giappone che non il blocco antitotalitario. Questa è infatti la maggiore obiezione che oggi alcuni parlamentari sollevano contro lo strumento legislativo in parola, pur ammettendo che il Congresso, in funzione di future e nuove situazioni politiche, potrà sempre provvedere a tempestivi ed adeguati emendamenti di occasione. Ma, senza dubbio, l'arma della «neutralità attiva», poiché concilia insieme tendenze isolazioniste, pavide di pericolosi trascinamenti, e quelle rivolte ad una intensa ed attiva collaborazione con le cosidette democrazie europee. sembra, almeno sino a questo momento, raccogliere il pieno consenso delle masse.

4. Rimetto il testo del progetto di legge come è stato riprodotto dai giornali3 , riservandomi di inviare quello originale non appena possibile.

420 2 Il documento ha il visto di Musso lini.

421 1 In una dichiarazione rilasciata alla stampa (con l 'approvazione del Presidente Roosevelt), il sottosegretario Welles aveva espresso «la riprovazione del Paese per la soppressione della libertà di un popolo libero e indipendente» e aveva richiamato la posizione del governo degli Stati Uniti a sostegno del carattere sacro dei trattati di fronte agli «atti di impudente illegalità e di forza arbitraria che minacciano la pace nel mondo e la struttura stessa della civiltà moderna».

422

L'INCARICATO D'AFFARI A BERLINO, MAGISTRATI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

RAPPORTO RISERVATO 2497/750. Berlino, 30 marzo 1939 1•

Mi riferisco al mio rapporto n. 2431/725 del28 marzo u.s.2 .

La situazione tra Germania e Polonia non accenna a migliorare, per quanto gli ambienti dirigenti tedeschi continuino a ritenerla «non pericolosa».

Fino a pochi giorni fa, da parte tedesca si era infatti mantenuto un certo riserbo. Ora invece, essendosi probabilmente Berlino convinta che il governo di Varsavia comincia, forse per ragioni di politica interna, a dare il campo libero a coloro che pensano ed agiscono non favorevolmente alla Germania, si sono qui avute, in questi ultimi due giorni, le prime reazioni ufficiose.

Così la stessa Politische Diplomatische Korrespondenz, come ho avuto occasione di telegrafare all'E.V., ha preso occasione delle recenti polemiche per criticare l'atteggiamento di certe sfere dirigenti polacche, e ciò ha provocato nella giornata di ieri dalle due parti nuovi attacchi di stampa, non certo fatti per placare gli animi e le cose. Oggi si nota invece un certo silenzio.

2 Vedi D. 409.

Dopo la mia conversazione con questo Ambasciatore di Polonia, signor Lipski, ho ritenuto opportuno trattare l'argomento degli attuali rapporti tra Berlino e Varsavia anche con il Barone von Weizsacker, il quale appare seguire la questione con particolare attenzione.

Il Segretario di Stato mi ha rifatto così tutta la storia dei rapporti polacco-tedeschi, risalendo fino al 1934 allorché il Fiihrer, passando sopra alle prevenzioni ed alle diffidenze di molti ambienti germanici, personalmente volle il Patto di amicizia con la Polonia3 .

Questo Patto, della durata di l Oanni, doveva però far prevedere una certa pacifica e graduale evoluzione dei problemi, mentre viceversa i Polacchi hanno voluto considerare cristallizzata la situazione al 1934, senza alcuna possibilità di revisioni atte ad adattare quel Patto maggiormente alla realtà delle cose.

I problemi esistenti tra i due Paesi sono, come è noto, precisamente tre:

a) minoranze allogene;

b) Danzica;

c) traffici tra la Prussia Orientale ed il Reich.

Sul primo punto, per quanto la situazione delle minoranze abbia qualche volta dato e dia tuttora luogo ad incidenti spiacevoli, i Tedeschi pensano che si possa trattare con calma in avvenire per soluzioni soddisfacenti per ambedue i Paesi.

Circa Danzica, evidentemente, aggiungeva von Weizsacker, la situazione deve essere soggetta a revisione per quanto possibile vicina. E i Polacchi lo sanno perfettamente perché da mesi i Tedeschi hanno presentito e preavvertito Varsavia circa l'opportunità di studiare i mezzi migliori per un ritorno di quella città, tedesca e nazionalsocialista al cento per cento, in seno al Reich. La creazione del porto di Gdynia assicura ai Polacchi un magnifico sbocco al mare. Non si vede quindi ragione perché Varsavia, trincerandosi dietro uno Statuto tenuto su da una Società delle Nazioni dalla quale la Germania vuole tenersi ben lontana, insistono per negare assolutamente e recisamente una evoluzione nel senso desiderato.

Quanto ai collegamenti ed ai traffici tra la Prussia Orientale ed il Reich, i Polacchi -aggiungeva von Weizsacker-si devono anche su questo punto persuadersi che una terra classicamente germanica come la Prussia Orientale non può rimanere in eterno nella situazione di una vera e propria isola. I Polacchi assicurano, è vero, che cercheranno di favorire e facilitare i traffici stessi mediante l'abolizione di formalità di passaporti, di controllo in divise, etc. ma si sono nettamente impuntati, e senza serie ragioni, nel vietare la costruzione dell'auspicata autostrada che risolverebbe praticamente ogni problema. Varsavia teme che la creazione di una qualsiasi forma di extraterritorialità attraverso il Corridoio finirebbe per provocare il fenomeno della macchia d'olio. Ma questo ragionamento non è, sempre secondo von Weizsacker, né serio né politico.

In conclusione, i Tedeschi hanno l'impressione che i Polacchi, sia per ragioni di politica interna, sia per l'attiva azione che svolgono a Varsavia gli elementi antitedeschi, giudaici e filo-francesi, si ostinino a voler mantenere immutabili talune posizioni, mascherandole con necessità di carattere patriottico, capaci di veramente porre in situazione delicata i rapporti polacco-tedeschi.

Ora la Polonia, specie data l'attuale situazione strategica della Germania, deve stare attenta ai mali passi perché potrebbe venire a trovarsi, ad un dato momento, nella situazione della Cecoslovacchia nello scorso settembre allorché, qualora una guerra generale fosse stata dichiarata, la vittima praticamente predestinata, comunque fossero andate le cose, sarebbe stata proprio la Repubblica di Praga destinata ad essere invasa dalle forze tedesche le quali, sulla frontiera francese, si sarebbero mantenute semplicemente in atteggiamento difensivo, al riparo delle grandi linee di fortificazione di recente portate a compimento.

I Tedeschi non possono in conclusione non criticare oggi vivamente l'atteggiamento di Varsavia che, oltreché permettere la diffusione, una dopo l'altra, di una quantità di notizie e di voci tendenziose, ha voluto anche compiere il gesto, assolutamente inutile, di concentrare truppe verso le frontiere tedesche.

Tutto ciò -concludeva von Weizsacker -non impressiona menomamente la Germania la quale confida ancora e molto nel buon senso e nell'intelligenza dei Polacchi perché, nello spirito del Patto di amicizia del 1934 siano trovate, in via amichevole, le vie migliori per una giusta ed equanime evoluzione dei problemi che interessano i due Paesi. Von Weizsacker appare convinto, a tale proposito, che il prossimo viaggio del signor Beck a Londra non dovrebbe portare, a norma di ragionamento, ad alcun impegno della Polonia nei confronti dell'Inghilterra e della Francia, perché questo gesto non potrebbe non compromettere gravemente la situazione attuale che ha ancora in sé molte possibilità-egli ripeteva-di favorevoli svolgimenti.

421 3 Non pubblicato.

422 1 Manca l'indicazione della data di arrivo.

422 3 Vedi D. 27, nota 2.

423

L'INCARICATO D'AFFARI A BERLINO, MAGISTRATI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

LETTERA PERSONALE 24961 . Berlino, 30 marzo 19392 .

È venuto stamane a vedermi il Generale Bodenschatz, il quale, nell'assenza del Maresciallo Goring dalla Germania, mantiene, come al solito, i collegamenti tra il Ftihrer e il suo Capo.

Egli ha tenuto innanzi tutto a dichiararmi che il Ftihrer (e, dice Bodenschatz, anche il Maresciallo Goring) ha impartito disposizioni «severe» perché il disinteressamento tedesco nei confronti della Croazia sia assoluto. Chi trasgredirà sarà punito.

Speriamo bene. Evidentemente la tua chi[ ara let]tera a von Ribbentrop 3 è giunta a Hitler[........].

Circa la Polonia, anche Bodenschatz non [è cal]missimo. Però, come tutti i tedeschi, parla con tono di grande sicurezza nei confronti di qualsiasi [eventualità?] ad Oriente ed aggiunge, come gli altri, «i [Polacchi stiano bene] attenti e pensino bene a quello che fanno» 4 .

2 Manca l'indicazione della data di arrivo.

3 Vedi D. 389.

4 Il documento ha il visto di Mussolini.

423 1 Il documento è danneggiato dall'umidità.

424

L'INCARICATO D'AFFARI A TIRANA, BABUSCIO RIZZO, AL CAPO DI GABINETTO, ANFUSO

T. S.N.D. URGENTE 5105/55 P.R. Tirana, 31 marzo 1939, ore 15,30 (perv. ore 18,50).

Mi viene riferito che bande fedeli al Re stanno concentrandosi nel Mati e che nella stessa zona sono stati avviati drappelli di gendarmi.

In una conversazione confidenziale avuta stamane con persona a lui prossima questo ministro dell'Interno ha dichiarato che il Re si attende un colpo di forza da parte d eli 'Italia; al fine di evitarlo. egli sarebbe disposto a cedere su qualsiasi richiesta nostra purché non leda direttamente o indirettamente indipendenza e sovranità deli'Albania.

In caso diverso il Re si starebbe decisamente orientando verso resistenza armata. Questa non è ancora deciso dove e come si verificherebbe. Mussa Juka ha aggiunto che ad ogni modo essa non sarebbe prolungata ad oltranza, proponendosi invece il Re di ritirarsi ad un certo momento dalla capitale portando con sé ostaggi.

Da più fonti mi viene riferita una intensa attività in questi ultimi due giorni dei ministri francese' ed inglese2• i quali spingerebbero Sovrano a resistere alle pressioni italiane.

Permettomi anche far presente, senza però essere in alcun modo in grado di controllare la notizia, che nei pressi di Durazzo pare si starebbero installando apparecchi per segnalazioni luminose che farebbero presumere la speranza di poter comunicare con navi da guerra straniere3 .

2 Sir Andrew Ryan.

3 Il documento ha il visto di Musso lini.

Sulle reazioni suscitate a Palazzo Chigi da queste notizie, vi è nel Diario di Ciano questa annotazione (sotto la data del 31 marzo): «Le notizie da Tirana confermano che il Re si prepara alla resistenza, cosa questa che mi infastidisce perché considero molto pericoloso lo sparare il primo colpo di cannone nell'Europa di oggi, inquieta e infiammabile. Poiché il Duce giungerà solo domani nel pomeriggio, non si possono mutare le direttive da lui segnate. Ma nell'attesa dico a Jacomoni di preparare uno schema di trattato che, a suo avviso, possa venir accettato dal Re [il ministro Jacomoni si trovava allora a Roma]».

425.

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 1616/202 R. Berlino, 31 marzo 1939, ore 22 (perv. ore 23,30).

Dichiarazioni Chamberlain alla Camera dei Comuni sulla Polonia1 hanno fatto qui impressione, tanto più alla vigilia viaggio Beck a Londra.

Forma adottata per annunzio non illude sopra contenuto essenziale dell'accordo, indicante chiaramente -pur con tutti gli accorgimenti necessari a non «esporre» la Polonia-un barcamenamento politico polacco su posizioni e concessioni anglofrancesi.

Ambienti ufficiali affettano calma. Ignoransi fino a quel momento reazioni Fuhrer, reazioni peraltro facilmente desumibili dal fatto che oltre perseguire sino ad ora una politica di cordiale amicizia con la Polonia, egli stesso avesse già da qualche mese preso iniziativa di conversazioni dirette con Varsavia, intese raggiungimento relazioni tra i due Paesi sopra basi definitive e incrollabili.

424 1 Louis Mercier.

426

L'AMBASCIATORE A VARSAVIA, ARONE, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 1615/79 R. Varsavia, 31 marzo 1939, ore 23,48 (perv. ore 4 del l o aprile).

A mio telegramma n. 77 1•

Odierne dichiarazioni Chamberlain2 sono qui accolte con soddisfazione vivissima e sollievo. Esse indubbiamente rafforzano posizione intransigenza e di resistenza assunta dalla Polonia nei confronti della Germania sebbene possa sorgere qualche incertezza sulla portata delle dichiarazioni stesse nei confronti delle sorti di Danzica.

A questa ambasciata di Germania ci si sforza di dimostrare che reazione polacca con le ripercussioni che essa ha avuto a Londra, non ha in alcun modo giustificazione, non essendovi stato, né ultimatum, né concentramento di truppe tedesche alla frontiera polacca. Queste considerazioni alquanto tardive hanno, al momento attuale,

2 Vedi D. 429.

importanza relativa. Quanto a Polonia, sentimento incubo della minaccia tedesca, se oggi diminuita, potrà risorgere alla prima occasione e, in tali condizioni, si vedrà costretta a nuovo orientamento.

425 1 Vedi D. 429.

426 1 T. 1560/77 R. del 29 marzo. Riferiva della cattiva impressione suscitata a Varsavia da una nota della Deutsche Diplomatisch-politische Korrespondenz che con riferimento agli incidenti antitedeschi aveva usato un tono minaccioso, non giustificato dall'entità degli incidenti stessi. Il documento fu inviato in visione a Mussolini.

427

IL CONSOLE GENERALE A MONACO, PITTALIS, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. RISERVATO 3 805/271. Monaco di Baviera, 31 marzo 1939 (perv. il 3 aprile).

Dal rappresentante il locale «GUF»1 mi è pervenuto il rapporto di cui per opportuna conoscenza trasmetto l 'unito estratto2 nei riguardi in particolare dell' Alto Adige.

Consimili segnalazioni mi vengono spesso fatte da varie parti ad attestare come si mantenga ancora accesa quella fiamma dell'irredentismo, alla quale i cuori bavaresi si sono sempre particolarmente riscaldati attraverso anche quella che fu la intensa propaganda di tanti anni.

E proprio in questi giorni, ed a seguito di quelle nuove espansioni territoriali che più che mai hanno riportato sul tappeto la questione del ritorno di tutti i tedeschi alla gran madre comune, si è notata la ricomparsa della voce, già tanto diffusa al momento del viaggio di Hitler in Italia3 , che quanto ai tedeschi del «Sudtirol» quest'ultimo verrà un giorno, e grazie ali 'amicizia italo-tedesca, «regalato» dal Duce al Fuehrer.

Mi è difficile affermare con sicurezza se sia questo un ritorno spontaneo di fantasia popolare o se invece vi abbia contribuito una parola d'ordine lanciata a dar comunque l'impressione che anche per gli altoatesini si può contare sul ritorno nel seno della grande Germania. Certo è che a proposito del «Sudtirol» si sente oggi ripetere ancor più spesso di ieri, e negli ambienti più vari, l'affermazione che è tutto un atto di fede: «es kommt wieder zu unsi» (ritornerà a noi).

Debbo pure segnalare che esiste ancora (ed ancora figurano affisse le relative tabelle nell'atrio dell'Università di Monaco) la Kameradschaft studentesca socialnazionale dedicata all'altoatesino Innerkofler. Mi richiamo a quanto su di essa e sulle circostanze che ne accompagnarono a suo tempo l'inaugurazione ufficiale ebbi a riferire dettagliatamente con mio rapporto numero 7867/698 del 26 luglio scorso anno4 .

2 Non pubblicato. Riferiva che, come risultava confermato da diversi episodi recenti, permaneva tra i giovani tedeschi lo spirito irredentista nei riguardi del Sud-Tirolo, che nei giorni dell' Anschluss era stato alimentato anche dalla rivista della Gioventù Nazionalsocialista diretta da Baldur von Schirach.

3 Vedi serie ottava, vol. IX, DD. Il, 34 e 72.

4 Il documento ha il visto di Mussolini.

427 1 Gioventù Universitaria Fascista.

428

L'AMBASCIATORE A VARSAVIA, ARO NE, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

RAPPORTO SEGRETO 839/340. Varsavia, 31 marzo 1939 1•

Con vari telegrammi (nn. 63, 68, e 69 del 20, 22 e 24 corrente)2 ho riferito a

V.E. le reazioni e le apprensioni suscitate in Polonia dalla occupazione tedesca di Memel anche per le immancabili ripercussioni sulla questione di Danzica. Il problema danzichese, che ha sempre pesato sui rapporti polacco-tedeschi è, infatti, entrato in una fase di acuta attualità per l'azione che si è andata delineando da parte della Germania, tendente ad approfittare del disorientamento prodotto dagli ultimi avvenimenti per realizzare le note rivendicazioni sulla Città Libera, se possibile unitamente anche ad altre aspirazioni nei riguardi della Polonia (autostrada, con «privilegio extraterritoriale» attraverso il Corridoio, etc.).

Si trattava in realtà di questioni che da parte tedesca si era tentato più volte di abbordare anche in periodi recenti (cfr. comunicazione della Regia Ambasciata a Berlino, trasmessa col telespresso ministeriale 207593/c. del lO corrente)3 . Questa volta, però, il governo polacco aveva la sensazione che il Reich, incoraggiato dai suoi ultimi successi, fosse deciso ad imporre le soluzioni che esso voleva.

Mi risulta che effettivamente il 21 corrente. von Ribbentropp intratteneva di tali questioni l'ambasciatore di Polonia Lipski. usando un tono che sembrava qui molto deciso. e specialmente «ricordava al governo polacco che esisteva tra i due Paesi una questione di Danzica che esso desiderava vedere risolta al più presto».

Lipski. per parte sua. rispondeva che egli poteva solo riferire la comunicazione fattagli al suo governo. osservando peraltro che non sembrava questo il momento più opportuno per trattare simili questioni. Egli veniva subito a Varsavia a riferire.

La comunicazione fatta a Lipski e le notizie giunte qui contemporaneamente circa concentramenti di truppe tedesche alle frontiere polacche e specialmente lungo il Corridoio ed il territorio di Danzica (si cfr. al riguardo gli accenni fatti dal console generale di Germania a Danzica e di cui al telegramma per corriere 4413 del 20 corrente)4 nonché informazioni di movimenti di truppe provenienti anche dalla Baviera e dirette al confine polacco destavano serie apprensioni in queste sfere militari e politiche. Altre notizie provenivano pure dalla Slovacchia circa

2 T. 1305/63 R. del 20 marzo. Riferiva che al ministero degli Esteri polacco si temeva che l'azione tedesca su Memel potesse compromettere la stessa indipendenza della Lituania. T. 1361/68 R. del 22 marzo: vedi D. 377. T. 1436/69 R. de\24 marzo: vedi D. 385.

3 Non rintracciato.

4 Ritrasmetteva i TT. 1211/7 R., 1221/8 R., 1227/9 R. e 1226/10 R. del 17 marzo da Danzica con cui il console Spechel riferiva sulle ripercussioni che la crisi cecoslovacca stava avendo nella Città Libera. Il presidente del Senato, Greiser, aveva dichiarato all'Alto Commissario, Burckhardt, che comunque gli sviluppi della situazione sarebbero dipesi dall'accettazione o meno da parte della Polonia delle richieste tedesche che, ribadiva, comprendevano la cessione della Città Libera al Reich e la costruzione di un'autostrada sotto sovranità germanica attraverso il Corridoio.

opere di fortificazione colà iniziate da reparti tedeschi e minaccianti quel tratto di frontiera polacca. Tutti questi elementi. che assumevano nel loro complesso un carattere minaccioso per la Polonia. creavano qui l'impressione. largamente diffusasi anche nell'opinione pubblica. che il Reich fosse ormai deciso ad esercitare una energica pressione sulla Polonia ed a preparare una azione di forza per creare un nuovo «fatto compiuto». Il governo polacco procedeva pertanto a primi apprestamenti di carattere militare, spinto vi specialmente dalle più alte personalità dell'esercito, di cui è nota l'influenza in Polonia, e che avevano assunto un atteggiamento di netta intransigenza ad ogni sostanziale concessione al Reich. Tali appprestamenti venivano in pochi giorni intensificati (miei telegrammi 69, 73, 75 del 24, 27 e 29 corrente)5 .

In questa atmosfera agitata, nella serata del 23 corrente l'Auswartiges Amts telefonava a questo ambasciatore di Germania di chiedere per l'indomani mattina una udienza a Beck per ripetergli la comunicazione fatta a Lipski da Ribbentrop. Si aggiungeva che gli veniva immediatamente spedito un dispaccio di istruzioni. A quanto mi ha detto von Moltke, per un disguido, il plico col dispaccio proseguì l'indomani per Mosca col corriere che ne era latore. Da ciò il rinvio dell'udienza fissata con Beck, una serie di telefonate tra questa ambasciata di Germania, il ministero degli Esteri di Berlino e l'ambasciata tedesca a Mosca, che, indubbiamente intercettate da queste Autorità, aumentavano la nervosa attesa di prossimi gravi avvenimenti. Mentre si diffondevano qui ogni sorta di voci allarmistiche (preteso ultimatum tedesco, preteso invito a Beck di recarsi in Germania a conferire con Hitler e conseguente rifiuto etc. etc.), questi circoli dirigenti militari e politici accentuavano i propri propositi di risoluta intransigenza. della quale si faceva unanime eco la stampa affermando la decisa volontà di tutto il popolo polacco di difendere colle armi «l'integrità del territorio nazionale come anche i diritti acquisiti dalla Polonia»: l'allusione a Danzica era evidente. Nello stesso tempo gli esponenti più autorevoli delle correnti politiche polacche esortavano il governo ad una revisione della politica estera del Paese, già auspicata fin dagli avvenimenti di Boemia e Slovacchia (miei telegrammi nn. 58 e 65 del 15 e 21 corrente )6 . I contatti con Londra, favoriti anche dalla già decisa visita di Beck e dai colloqui qui avuti dal Segretario di Stato britannico per il Commercio di Oltremare, signor Hudson, venivano così incoraggiati ed intensificati pur non desistendosi qui dalla direttiva di non compromettersi in eventuali platoniche «dichiarazioni» antitedesche, ma di cercare di ottenere impegni precisi di aiuti.

Devo ritenere che intanto Berlino. che non si attendeva una reazione polacca decisa alla resistenza armata. abbia modificato a quanto sembra le sue precedenti istruzioni a questo ambasciatore di Germania. Questi. infatti. mi confidava che la Wilhelmstrasse gli aveva ulteriormente fatto sapere di soprassedere alla comunicazione prescrittagli.

Von Moltke vedeva tuttavia Beck nel pomeriggio del 28 corrente ed esprimeva le sue lagnanze per gli incidenti antitedeschi verificatasi in Pomerania (circa i quali,

R. del 29 marzo. Comunicava che l'agente consolare a Gdynia aveva segnalato l'intensificarsi di concen

tramenti di truppe polacche e di lavori di fortificazione alla frontiera con la Germania. 6 Vedi DD. 306 e 357.

com'è noto, il DNB aveva diramato lo stesso giorno una nota della Corrispondenza Politica Diplomatica). Egli chiedeva inoltre spiegazione delle misure militari polacche. Beck reagiva in tono aspro e risentito, affermando che gli incidenti erano stati provocati dalle minoranze tedesche a che gli apprestamenti militari della Polonia erano la conseguenza di precedenti analoghe misure del Reich (miei telegrammi nn. 74, 76, e 77 del29 correntef.

Dopo la tensione di quest'ultima settimana. nella giornate di ieri e di oggi si ostenta a Varsavia una maggiore calma. Va registrata, infatti, la tendenza a smentire notizie di pressioni e di ingiunzioni tedesche, che venivano invece qui accreditate, mentre la stampa tiene un linguaggio più moderato e si sforza di evitare maggiori attriti. A determinare questa attitudine polacca hanno evidentemente influito due ordini di fattori. Da un lato un maggior senso di fiducia nella possibilità per la Polonia di far fronte al pericolo tedesco mercé gli aiuti che Londra e Parigi sembrano oggi disposte ad assicurarle (sintomatiche al riguardo le dichiarazioni odierne di Chamberlain ai Comuni)8 . Dall'altro lato. il senso di sollievo qui determinato dal fatto che Berlino non ha dato sinora seguito alla predetta Nota del DNB. che era stato qui interpretato come un minaccioso monito alla Polonia9 .

428 1 Manca l'indicazione della data di arrivo.

428 5 T. 1436/69 R. del 24 marzo: vedi D. 385. T. 1516/73 R. del 27 marzo: vedi D. 398. T. 1561/75

429

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, AL CAPO DEL GOVERNO, MUSSO LINI

APPUNTO. Roma, 31 marzo 1939.

Alle ore 16,35 l'Incaricato d'Affari di Inghilterra si è presentato al Ministero degli Affari Esteri e, pregando di volerlo far pervenire d'urgenza al Duce, ha rimesso un Messaggio del signor Neville Chamberlain per il Duce, di cui si trascrive qui di seguito la traduzione.

In ottemperanza alle istruzioni del suo governo il signor Charles ha già telegrafato il testo inglese del predetto Messaggio direttamente a Palazzo Venezia.

«Eccellenza, considerate le relazioni cordiali esistenti fra noi, desidero informarvi che, in vista delle voci che hanno acquistato credito, ed allo scopo di evitare ogni equivoco, sono giunto alla conclusione che devo fare una dichiarazione oggi alla Camera dei Comuni. Prendendo questa iniziativa, desidererei che voi credeste che il mio solo scopo è di evitare ogni perturbamento della pace e sono sicuro che voi approvate il motivo del mio atto. La dichiarazione che sto per fare è del seguente tenore:

R. del 29 marzo: vedi D. 426, nota l. 8 Vedi D. 429. 9 Il documento ha il visto di Mussolini.

"Come ho detto stamattina, il Governo di Sua Maestà non ha conferma ufficiale delle voci di un qualunque attacco progettato contro la Polonia, e conseguentemente tali voci non devono essere accolte accettandole come vere.

Sono lieto di cogliere questa occasione per fare di nuovo una dichiarazione sulla politica generale del Governo di Sua Maestà.

Esso ha costantemente patrocinato il regolamento, mediante libere trattative fra le parti interessate, di qualunque controversia che possa sorgere fra loro. Esso considera che questa sia la procedura naturale e appropriata, quando esistano delle controversie. Secondo il suo punto di vista non dovrebbe esservi questione alcuna che sia impossibile risolvere con mezzi pacifici, ed esso non vedrebbe giustificazione alla sostituzione della forza o minaccia di forza come metodo di trattativa.

Come la Camera sa, alcune consultazioni sono in corso con altri Governi allo scopo di rendere perfettamente chiara la posizione del Governo di Sua Maestà. Nel frattempo, prima che siano concluse queste consultazioni, io debbo adesso informare la Camera che durante questo periodo, nell'eventualità di un'azione qualsiasi che chiaramente minacci l'indipendenza polacca ed alla quale per conseguenza il governo polacco consideri vitale di resistere con le sue forze nazionali, il Governo di Sua Maestà si sentirebbe immediatamente obbligato a prestare al governo polacco tutta l'assistenza che è in suo potere. Un'assicurazione a questo scopo è stata data al governo polacco dal Governo di Sua Maestà.

Posso anche aggiungere che il governo francese mi ha autorizzato a dichiarare che esso assume in questa questione la stessa posizione del Governo di Sua Maestà". F.to N evi Ile Chamberlain» 1•

428 7 T. 1559/74 R. del 29 marzo: vedi D. 411. T. 1562/76 R. del 29 marzo: vedi D. 412. T. 1560/77

430

IL CAPO DEL GOVERNO, MUSSOUNI, AL PRIMO MINISTRO BRITANNICO, CHAMBERLAIN

LETTERA. Roma, 31 marzo 1939.

Ho ricevuto e ho letto con molto interesse il Messaggio che mi avete indirizzato il 20 corrente'.

Nel Vostro Messaggio vi richiamate ai più recenti avvenimenti dell'Europa Centrale e alle ripercussioni che essi hanno avuto nel Vostro e in altri Paesi, e fate seguire alcune considerazioni e apprezzamenti, riportandovi anche al Vostro discorso

A proposito del passo compiuto dall'incaricato d'affari britannico, vi è nel Diario di Ciano questa annotazione sotto la data del 31 marzo: «Charles comunica il testo delle dichiarazioni di Chamberlain ai Comuni per l'assistenza alla Polonia. Chiede anche, a titolo personale, se potrebbe fare un passo a Londra per dire che l'Italia è pronta a discutere con la Francia qualora quest'ultima prenda l'iniziativa. Mi riservo una risposta dopo aver conferito col Duce: se non vi fosse stato il discorso di Daladier avrei senza meno detto di sì».

del 17 Marzo. Voi ricordate pure l'appello rivoltomi nel settembre scorso, e l'incontro di Monaco e le decisioni che ne seguirono, ed esprimete la speranza che mi sia possibile di intervenire nuovamente al fine di alleviare la tensione esistente e di ristabilire la fiducia. Accennate anche alle conversazioni di Roma del gennaio scorso.

Ricordo al pari di Voi con piacere e soddisfazione tali conversazioni; e risponderò con tutta franchezza all'invito rivoltomi.

Voi conoscete attraverso varie e ripetute manifestazioni del mio pensiero, il giudizio che porto, e non da ora, sulla situazione europea e sulle cause profonde che determinano il disagio e il malessere esistenti. Voi sapete ugualmente quale posizione io abbia sempre preso e prenda di fronte al problema della pace ed ai mezzi per preservarla. Nel mio discorso di domenica scorsa2 , sia sugli avvenimenti dell'Europa Centrale, che sui loro più lontani antecedenti, come infine sulla pace, ho espresso una volta di più il mio pensiero.

In risposta al Messaggio da Voi indirizzatomi, io non posso che richiamarmi alle mie dichiarazioni. Ripeto a Voi quello che ho detto pubblicamente, e cioè che considero necessario un lungo periodo di pace per salvare nel suo sviluppo la civiltà europea. Questa la mia profonda convinzione. Attualmente però, e pur apprezzando il Vostro invito, non ritengo di poter prendere iniziative prima che i diritti dell'Italia siano stati riconosciuti. Vi rendete facilmente conto delle ragioni.

Nel mio discorso ho anche indicato e specificato i problemi italiani nei confronti della Francia e la loro natura coloniale. Con questo credo di avere facilitato la discussione eventuale di tali problemi.

429 1 Un'annotazione manoscritta sul documento dice: «Inviato per fonogramma al Duce» (Mussolini si trovava allora in Calabria).

430 1 Vedi D. 355.

431

IL MINISTRO A BUCAREST, GHIGI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 1631/109 R. Bucarest, 1° aprile 1939, ore 22,10 (perv. ore 23,20).

Trattato economico romeno-tedesco non porta alcuna modificazione a valore giuridico degli accordi in vigore fra Italia e Romania. Non ritengo nemmeno che esso possa avere in un primo tempo conseguenze sensibili per la loro applicazione. Ritengo invece che, in un secondo tempo, se piano economico tedesco sarà integralmente applicato, potranno divenire difficili taluni nostri rifornimenti in questo Paese e diventerà probabilmente ancora più difficile il bilanciarli con nostre esportazioni in Romania, poiché articoli industriali e forniture tedesche con cui Germania dovrà pagare prodotti del suolo e del sottosuolo romeno assorbiranno in modo sicuro massima parte questo mercato. Sarà, infine, soprattutto ·pregiudicata possibilità ulteriori sviluppi nostra penetrazione politico-economica in Romania. Ho perciò espresso subordinato avviso che ci convenga cercare porre senza indugio nostra azione su basi

non dissimili da quelle tedesche, per quanto in misura più ridotta, e confermo che almeno in linea politica ci sarebbe quanto mai favorevole consolidare e aumentare nostri scambi e collaborare per organizzare nostra penetrazione economica in questo Paese. Su prima parte di quanto precede potrà dare particolari questo addetto commerciale chiamato Roma suo ministero per riferire.

Se poi V.E. lo ritenesse opportuno potrei venire a Roma conferire non appena situazione politica questo settore lo consenta.

430 2 Riferimento al discorso agli squadristi del 26 marzo. Vedi D. 400, nota 5.

432

L'INCARICATO D'AFFARI A SALAMANCA, RONCALLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. S.N.D. 1632/75 R. San Sebastiano, 1° aprile 1939, ore 19,30 (perv. ore 4 del 2). Mio telegramma n. 72 1•

Questo ambasciatore di Germania mi ha informato che il ministro giapponese ha ricevuto istruzioni analoghe e si reca oggi a Burgos per dame comunicazione al ministro degli Affari Esteri.

Ambasciatore di Germania mi ha detto altresì di aver ieri parlato con Jordana, il quale gli ha confermato noto punto di vista contrario pubblicazione immediata pur assicurandolo che avrebbe sottoposto oggi o domani questione al Generalissimo che è ammalato.

Von Stohrer ritiene che anche la risposta di Franco sarà negativa.

433

L'AMBASCIATORE PRESSO LA SANTA SEDE, PIGNATTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. S.N.D. PER CORRIERE 1636/64 R. Roma, ] 0 aprile 1939 (perv. il 2).

Il Cardinale Segretario di Stato che mi aveva invitato stamane di andarlo a vedere, mi ha parlato della Polonia. Il nunzio a Varsavia1 ha riferito, in data 28 marzo scorso2 , che il Reich ha diretto una nota al governo polacco, chiedendo:

2 Vedi ACTES, vol. l, D. 4, dove tuttavia il documento è datato 18 marzo.

l) la cessione di Danzica, del porto di Westerplatte, della ferrovia, ecc.; 2) una striscia di terra attraverso la Pomerania per congiungere la Prussia occidentale a quella orientale; 3) la partecipazione tedesca alle principali industrie metallurgiche della Slesia.

La risposta della Polonia è stata negativa.

Il Reich ha chiesto, poi, di mandare un aeroplano a Varsavia a disposizione di quel ministro [sic. Leggasi: ambasciatore] di Germania. La Polonia avrebbe risposto, consentendo all'invio di aeroplani, fino a cinque.

Il rapporto del nunzio finisce, informando che la Polonia ripone grande speranza nell'Italia per scongiurare un conflitto armato con la Germania. Il cardinale Maglione ha soggiunto che da ogni parte si dice che solo il Duce può ottenere qualche cosa da Hitler.

Ho ringraziato il Segretario di Stato della sua comunicazione, assicurandolo che avrei informato V.E. Gli ho detto pure, che, per quanto non fossi al corrente dei particolari della vertenza polacco-tedesca in quanto si trattava di cosa che esulava dalla competenza del mio ufficio, mi sembrava di potere dichiarargli con fondamento che, certamente, dati i rapporti d'amicizia che legano l'Italia e la Polonia, l'E.V. era perfettamente informata di ogni cosa.

432 1 Nota dell'Ufficio Cifra: «Probabilmente trattasi del telegramma erroneamente numerato col 78». Con T. 1621/78 R. del 31 marzo, Roncalli aveva riferito che, su istruzioni ricevute allora da Berlino, l'ambasciata di Germania aveva fatto presente al ministero degli Esteri spagnolo l'opportunità di rendere pubblica l'avvenuta adesione della Spagna al Patto Anticomintem. Il sottosegretario agli Esteri, Barcenas, aveva però ripetuto, a titolo personale, le considerazioni che suggerivano di soprassedere alla pubblicazione. 433 1 Filippo Cortesi.

434

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. SEGRETO 2595/792. Berlino, JD aprile 1939 1•

Le dichiarazioni Chamberlain sulla Polonia2 continuano a costituire il fatto politico più importante del momento. Da parte tedesca si fa sempre mostra di un grande riserbo. Questo non deve, però, illudere. Il risentimento non mancherà e sarà forte. per quanto -come si è capaci di fare in Germania -esso possa venire per lungo tempo covato e tenuto nascosto.

Ho pure cercato di avere in proposito qualche lume dal mio collega di Polonia. Egli, tuttavia, sia che effettivamente non sia stato tenuto al corrente dal suo governo, sia che non abbia voluto sbottonarsi, non mi ha saputo dare alcuna spiegazione. Ha aggiunto anzi che spera di poteme avere egli stesso da Beck al suo passaggio da Berlino domani sera. Egli, però, se nulla mi ha saputo dire sulle negoziazioni ultime Varsavia-Londra mi ha però ben chiarito tutto l'antefatto della questione, ciò che basta a dar luce a tutti gli avvenimenti che hanno sfociato nelle dichiarazioni fatte ieri da Chamberlain alla Camera dei Comuni.

Lipski ha incominciato col rammentarmi che nelle conversazioni Hitler-Beck di Berchtesgaden del 5 gennaio3 , se una conclusione era stata raggiunta, era stata:

2 Vedi D. 429.

3 Vedi D. 27, nota l.

l) che la Germania non aveva nessun interesse politico ali 'infuori della Boemia e della Moravia, cioè al di là della linea Vienna-Breslavia; 2) che qualunque cosa di nuovo una delle due parti avesse voluto contemplare oltre quella linea, si sarebbe proceduto a opportune, tempestive consultazioni.

Orbene, né il primo né il secondo impegno è stato tenuto.

Non il primo, perché -col regime speciale istituito in Slovacchia, la occupazione della fascia occidentale della medesima e la innervazione di elementi militari tedeschi nel nuovo Stato slovacco -la Germania ha fatto chiaramente comprendere di avere. ed ha in fatto. costituito una vera e propria testa di ponte sia contro la Polonia che contro l'Ungheria e la Romania. Non il secondo, perché l'Ambasciatore Lipski era stato tenuto completamente all'oscuro di tutto quanto si era dalla Germania venuto tramando per la Cecoslovacchia, le prime notizie essendogli state date solamente il giorno 14, vale a dire a cose praticamente fatte.

Il mancato mantenimento del doppio impegno ha enormemente scosso la fiducia, sia del governo, sia del popolo polacco e, mentre da una parte, rendendosi conto dell'eccesso della scossa, la Germania si è gradualmente ripresa per quanto riguarda la Slovacchia temperando le forme ed i limiti del Protettorato istituito su di esso, dall'altra, con un manco di psicologia veramente unico, il giorno 21 corrente. vale a dire praticamente 24 ore dopo che il colpo su Memel era stato già ideato e praticamente portato a termine (mio telegramma 160 del 20)4_ il signor Ribbentrop non solo ha avuto il coraggio di rispondere al signor Lipski. che gli domandava ansiosamente notizie. che la questione di Memel non riguardava la Polonia. ma. nello stesso momento. avanzava ufficialmente delle domande di soluzione definitiva per Danzica ed il Corridoio5• la prima sotto la forma di un'annessione completa al Reich tedesco. la seconda sotto forma della concessione di un'autostrada soggetta alla sovranità tedesca tipo quella già ottenuta in Cecoslovacchia. attraversante tutto il Corridoio. Contrariamente a quanto si è detto dai giornali. nessuna richiesta precisa veniva invece fatta da Ribbentrop per quanto riguarda la Russia e l'Anticomintem.

Il signor Lipski non mancò naturalmente di fare osservare che il momento per la trattazione di simili questioni in primo luogo non gli sembrava opportuno, in secondo luogo che il punto di vista di Varsavia non poteva essere favorevole, né all'una, né all'altra delle richieste formulate dalla Germania, specie nelle forme in cui erano state poste. Ma Ribbentrop, evidentemente esaltato dai successi già riportati, insistette perché l'Ambasciatore trasmettesse le domande stesse al suo governo.

Lipski non mancò di farlo e portò alla Wilhelmstrasse la risposta del governo di Varsavia domenica, 26 corrente6 . La risposta, per quanto riguardava Danzica insisteva nel dire che la Polonia si disinteressava di tutto ciò che era costituzione interna della città, ma non poteva rinunciare né ai privilegi accordatile dai trattati né allo statuto della Città Libera, solamente essendo disposta a sostituire allo Statuto stesso un accordo equipollente polono-tedesco, e per quanto riguardava l'autostrada, la Polonia sarebbe stata lieta di concedere tutte le facilitazioni ed agevola

5 Vedi D. 398, nota l.

6 Vedi D. 398, nota 2.

zioni possibili, ma non avrebbe mai consentito a che l'autostrada fosse posta sotto la sovranità tedesca. Come si vede, la richiesta tedesca era fatta il 21 e la risposta di Varsavia era data il

26. È evidentemente in questi cinque giorni che Londra ha lavorato, strappando a Var

savia il consenso agli accordi che sono alla base delle dichiarazioni Chamberlain di ieri.

Dichiarazioni, ripeto, che costituiscono un fatto nuovo ed importante.

La garanzia unilaterale data alla Polonia dall'Inghilterra e dalla Francia, pone la Polonia in una situazione persino inferiore a quella del Belgio poiché questo ha bensì accettato una garanzia del genere, ma ha preteso che fosse non solo anglo-francese. ma anche tedesca.

Con Monaco, l'Inghilterra e la Francia si erano rassegnate a disinteressarsi dell'Oriente europeo; adesso, invece, esse vi rientrano in pieno e sotto forma di protettori7 .

434 1 Manca l'indicazione della data di arrivo.

434 4 Vedi D. 344.

435

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. SEGRETO 2596/793. Berlino, 1° aprile 1939 (perv. il 3).

Faccio seguire alcune notizie staccate raccolte durante il mio recente viaggio da Roma o subito dopo il mio ritorno 1•

a) Durante il viaggio, alcuni turisti tedeschi provenienti da Cortina hanno detto a persona che me lo ha riferito che l'annessione della Cecoslovacchia aveva non solo sorpreso, ma rattristato tutti i turisti tedeschi che si trovavano all'estero, l'incorporazione di milioni di stranieri venendo considerata da tutti come un peso ed un pericolo;

b) a Monaco, il Console Generale Pittalis mi confermò che anche colà l'annessione della Cecoslovacchia non aveva destato entusiasmi di sorta. Un certo entusiasmo si sarebbe verificato soltanto a Vienna, che ha per così dire visto rivivere la prospettiva di un proprio Hinterland;

Come risulta da un altro promemoria di von Weizsiicker (ibid., D. 144), Attolico tornò poi, il l o aprile, sulla questione dei contatti tra croati e Autorità tedesche, ottenendo ampie assicurazioni in proposito. Negli archivi italiani non è stata trovata nessuna comunicazione di Attolico su questi colloqui.

c) lo stesso Console mi diceva, comunque, di avere potuto constatare che la sufficienza, anzi l'aria di protezione erga omnes di tutti i gerarchi di Monaco fosse singolarmente cresciuta e manifestazioni di sempre maggiori appetiti fossero apparse;

d) il dottor Bojano, corrispondente Stefani a Berlino, che ho visto subito dopo il mio ritorno, mi diceva di aver sentito frasi sintomatiche della nuova psicologia tedesca da colleghi esteri. Un giornalista americano avrebbe domandato ad un gerarca tedesco se adesso la Germania fosse pronta a sostenere l'Italia in quella qualunque rivendicazione questa avesse avanzato, essendo evidente -diceva il giornalista che, oramai, era il turno dell'Italia. La risposta del gerarca tedesco sarebbe stata negativa e ciò per la ragione che l'Asse era dominata da Berlino.

Trasmetto quest'ultima notizia con tutte le riserve del caso trattandosi di notizia proveniente da un giornalista non solo straniero, ma per giunta americano.

434 7 Il documento ha il visto di Musso lini.

435 1 Secondo quanto risulta da un promemoria di von Weizsiicker (in DDT, vol. VI, D. 140), Attolico appena tornato a Berlino aveva, il 31 marzo, un colloquio con il Segretario di Stato alla Wilhelmstrasse al quale, pur dando a quanto diceva il carattere di una comunicazione «confidenziale e amichevole», sottolineò la fortissima impressione provocata a Roma dall'azione tedesca in Cecoslovacchia, realizzata ancora una volta senza prima informare il governo italiano, ciò che aveva anche costituito un colpo per il prestigio personale di Mussolini. Da ciò l'ambasciatore italiano aveva preso lo spunto per affermare la necessità di definire nuovamente e porre per iscritto i rispettivi interessi nell'ambito dell'Asse. Il Mediterraneo-precisava a questo proposito Attolico-era stato assegnato all'Italia ma a questa area appartenevano anche i vicini Paesi danubiano-balcanici, nei quali la Germania avanzava troppo e troppo rapidamente.

436

L'AMBASCIATORE A PARIGI, GUARIGLIA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. SEGRETO 2196/919. Parigi, 1° aprile 1939 (perv. il 3).

Il signor René Vali et, direttore de Il' Agenzia F ournier e redattore politico dell'Jnformation, il quale è in quotidiani amichevoli rapporti con questo Ufficio Stampa, ha chiesto ieri a Landini di esser ricevuto da me. L'ho visto in giornata ed egli mi ha riferito quanto segue.

Il ministro degli Esteri Bonnet ha fatto chiamare Vallet avant'ieri per chiedergli quali erano le impressioni dei suoi amici italiani circa il discorso Daladier1•

Saputele, e cioè che in sostanza le cose erano rimaste al punto di prima, il ministro Bonnet ha invece detto al Vallet essere suo convincimento che ci si poteva intendere non difficilmente se si fosse cominciato a conversare. Voleva anzi che il ValJet mi facesse sapere che egli avrebbe desiderato che io gli avessi dato un colpo di telefono, «nel qual caso egli mi avrebbe invitato a recarmi da lui».

Questa nei suoi precisi termini la comunicazione fattami dal signor Vallet.

Ho risposto a quest'ultimo che era nelle normali funzioni di un Ambasciatore quella di incontrarsi col ministro degli Esteri. Se io non andavo spesso da Bonnet era perché non avevo speciali argomenti da trattare per cui ritenessi utile il suo personale

intervento. Quanto alle rivendicazioni italiane, la questione -diplomaticamente si era fermata alle note del 17 dicembre e del 26 dicembre2 ed io non avevo in proposito nessuna istruzione di V.E.

A me personalmente sembrava che la via più semplice fosse quella normale e cioè che se il governo francese desiderasse fare delle comunicazioni al mio governo, si servisse del tramite del suo Ambasciatore a Roma.

Ove però il signor Bonnet mi avesse chiamato per far sapere alcunché al governo italiano, naturalmente mi sarei subito recato da lui e lo avrei ascoltato per trasmettere a V.E. quanto mi avrebbe detto. Ma se il signor Bonnet non mi rivolgeva un invito diretto io avrei dovuto attendere per recarmi da lui al Quai d'Orsay di avere qualche questione da trattare. Non escludevo che ciò avrebbe potuto verificarsi a più o meno breve scadenza, ma anche se vi fosse stata qualche occasione in vista in questi giorni, avrei preferito francamente attendere un poco, giacché una mia visita all'indomani del discorso Daladier non avrebbe potuto passare inosservata dando origine a sbagliate congetture.

In questi termini mi sono espresso col signor Vallet pregandolo di riferirne al ministro degli Esteri.

Ora, io dovrei appunto in questi giorni intrattenere Bonnet della questione dell'impiego da parte del governo della Somalia francese dell'assassino Ornar Samantar, con evidente scopo di ostilità contro di noi (dispaccio di V. E. n. 208891/c. del 22 marzo u.s.?. Se V.E. non ha nulla in contrario. potrei recarmi da Bonnet fra alcuni giorni. parlargli della suddetta questione ed ascoltare ciò che egli eventualmente mi dicesse sulla situazione dei rapporti italo-francesi. Nel caso che il ministro abbordasse tale questione. mi proporrei di ripetergli quanto gli ho fatto dire dal signor Vallet che cioè la via migliore sarebbe quella di far giungere comunicazioni al Governo Fascista per il tramite dell'Ambasciatore di Francia a Roma.

Prego V. E. di telegrafarmi se approva tale mia linea di condotta.

Mi proporrei anche, sempre ove V.E. approvi, dopo la visita al signor Bonnet di dare un comunicato alla stampa italiana nel senso che io mi sono recato a protestare presso questo ministro degli Esteri circa la questione del noto Ornar Samantar, ciò che avrebbe anche il vantaggio di rendere edotto il pubblico di quest'altra malefatta francese.

Debbo aggiungere che il signor Vallet mi ha anche riferito di avere nelle sue conversazioni con Bonnet accennato alla frase «equivalenza» contenuta nel discorso Daladier, e di avergli chiesto se con ciò si intendesse alludere alla possibilità di scambiare i 250.000 km. delle rocce del Tibesti a noi ceduti mediante gli accordi del '35 con altre cessioni territoriali più vantaggiose per noi. Il signor Bonnet avrebbe risposto affermativamente.

Secondo informazioni giuntemi da altra parte (Allary, già corrispondente a Roma dell'agenzia Havas) questa frase sarebbe stata inserita nel discorso di Daladier proprio a richiesta di Bonnet per lasciare la via aperta ad una trattativa di carattere territoriale. Nel Consiglio dei ministri si sarebbe molto discusso se bisognava impie

3 Non rintracciato.

gare la parola «equivalenza» oppure la frase «dans le cadre des accords de 1935». Dopo vivace dibattito, sostenuto in senso a noi favorevole specialmente da Bonnet e da de Monzie, si sarebbe scelta la parola «equivalenza»4 .

436 1 Il 29 marzo, Daladier aveva pronunciato alla radio un discorso in cui, dopo aver sottolineato che la Francia non era mai stata così unita per la difesa dei suoi ideali e dei suoi diritti, si era riferito lungamente ai rapporti con l'Italia. La Francia-aveva ribadito Daladier-non avrebbe mai ceduto «né un arpento delle sue terre, né uno solo dei suoi diritti» ma, aveva aggiunto, non si rifiutava di esaminare delle proposte che le fossero state fatte «nello spirito e nell'equivalenza degli accordi del 1935». Il testo del discorso è in Relazioni Internazionali, pp. 270-272.

436 2 Vedi serie ottava, vol. X, DD. 566 e 594.

437

L'AMBASCIATORE A PARIGI, GUARIGLIA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. SEGRETO 2208/927. Parigi, ] 0 aprile 1939 (perv. il 3).

Questo ambasciatore di Romania (il signor Tatarescu, ex presidente del Consiglio romeno) è venuto stasera appositamente a visitarmi per dirmi che finora egli aveva tratto dai suoi contatti con gli uomini del governo francese la convinzione che essi fossero assolutamente restii a trattare con l 'Italia circa le nostre rivendicazioni.

Da qualche giorno a questa parte, però, questa sua convinzione era totalmente cambiata, anzi egli poteva assicurarmi formalmente che il governo francese era disposto a entrare in conversazioni con l'Italia. Ciò gli risultava dai contatti avuti tanto con Daladier che con Bonnet. La sola questione imbarazzante, a suo parere, era quella di chi avrebbe fatto il primo passo.

Ho risposto all'ambasciatore romeno che non mi sembrava che la cosa dovesse essere tanto imbarazzante dal momento che esisteva la normale via diplomatica per cui rientrava nelle normali funzioni del signor François-Poncet a Roma di avere una conversazione con V.E. in proposito.

Passando ad altro, Tatarescu mi ha detto:

l) che l'accordo tedesco-romeno1 su cui la stampa francese aveva fatto tanto rumore non aveva in fondo destato reazioni di molta gravità nelle sfere ufficiali francesi tanto più che era stato controbilanciato subito dali 'accordo franco-romeno 2 .

2) Essere certo che il governo polacco avrebbe firmato il patto proposto dall'Inghilterra e che in conseguenza di ciò erano da prevedersi forti reazioni tedesche. 3) Che la Polonia non sarebbe affatto disposta a trattare con la Germania per la questione del Corridoio.

Riferisco tali affermazioni così come mi sono state fatte.

Con T. 5531/1 O l P.R. del 4 aprile, Ciano telegrafava a Guariglia: «Astenetevi dal prendere contatto, se non richiesto, col Quai d'Orsay».

D. 378, nota l).

2 Riferimento al trattato di commercio tra Francia e Romania del 31 marzo (testo in MARTENS, vol. XL, p. 880).

436 4 Il documento ha il visto di Musso lini che sulla prima pagina ha scritto: «No».

437 1 Riferimento al trattato di commercio tra Germania e Romania del 23 marzo precedente (vedi

438

IL CONSOLE A GRAZ, TASSONI ESTENSE, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. SEGRETO l 7 41/111. Graz, ] 0 aprile 1939 (perv. il 3).

Mi permetto segnalare ~per debito di cronista ~la strana aberrazione, per la quale, ancora una volta, ha qui trovato credito la notizia di una nostra retrocessione dell'Alto Adige al Reich.

Tale voce aveva qui circolato una prima volta subito dopo l'Anschluss (rapporto del mio predecessore alla Legazione di Vienna, n. 1203 del 14 marzo 1938) 1 , tanto che il R. Console d'allora aveva dovuto imporre un'immediata smentita per radio, onde evitare dimostrazioni di gioia dinnanzi a questo R. Ufficio. Era stata qui ripetuta nel settembre scorso e di tanto in tanto riaffiorava nelle conversazioni private, nonostante l'inverosimiglianza della cosa.

Dopo gli avvenimenti ultimi di Cecoslovacchia se ne è tornato a parlare e qui si diceva che il discorso del Duce agli Squadristi2 avrebbe contenuto una dichiarazione al riguardo. Gli elementi meno obiettivi di questa popolazione si erano prestati alla diffusione di una simile notizia, di cui non mi fu possibile appurare l'origine3 .

2 Vedi D. 400, nota 5.

3 Il documento ha il visto di Mussolini.

Lo stesso l o aprile, l'ambasciatore Attolico attirava l'attenzione di von Weizsiicker su i contatti in atto tra elementi altoatesini e alcuni uffici tedeschi, menzionando la voce che circolava a Monaco secondo cui Mussolini si apprestava a regalare l'Alto Adige a Hitler in occasione del suo compleanno, tutte cose che lo inducevano a considerare necessario discutere con von Ribbentrop l'intera questione «come parte della politica generale dell'Asse». Sul colloquio si veda il promemoria redatto da von Weizsiicker in DDT, vol. VI, D. 143; negli archivi italiani non è stata trovata una comunicazione di Attolico in proposito.

Sulla questione altoatesina, il ministro-consigliere Magistrati ebbe poi, il 5 aprile, un colloquio con il capo della IV Divisione Politica della Wilhelmstrasse, Heinburg, al quale, dopo aver elencato i motivi di lamentela per l'atteggiamento di quegli altoatesini che dopo l'Anschluss avevano acquistato la cittadinanza germanica e per le iniziative di alcuni uffici tedeschi, prospettò la necessità di risolvere in modo radicale il problema attraverso l'assorbimento di tutti i sudtirolesi da parte della Germania. Anche di questo colloquio non si è trovata documentazione negli archivi italiani: si veda su di esso il promemoria di Heinburg, ibid., D. 163.

438 1 Vedi serie ottava, vol. VIII, D. 323.

439

IL MINISTRO A BUDAPEST, VINCI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

RAPPORTO 1794/547. Budapest, 1° aprile 1939 1•

Dopo la conversazione avuta col conte Csaky (mio telegramma n. 129 del 26 marzo2 e mio rapporto n. 1709/509)3 era palese l'intenzione del governo ungherese di ottenere in un modo o nell'altro un notevole ampliamento delle frontiere occidentali della Rutenia verso la Slovacchia, annettendo con la forza le regioni della Slovacchia orientale, e cioè quasi la metà del Paese.

Se era esatta l'interpretazione ungherese dell'atteggiamento germanico, si poteva allora forse ritenere che, fallite le speranze ungheresi di un'azione in Romania, il Reich avesse voluto chiudere un occhio ad un ingrandimento dell'Ungheria nei riguardi della Slovacchia.

Ma appena giunta a Budapest la Delegazione del governo di Presburgo, -anche senza notare che il suo arrivo coincideva con quello di Goebbels, -con sorpresa di tutti, gli ungheresi limitavano le loro domande ad una leggera rettifica della linea già occupata e che aveva dato luogo ai noti incidenti del 23 marzo4 . (E per loro conto, gli slovacchi pure rinunciavano sollecitamente alla loro pretesa di scambi territoriali).

Mentre il Presidente del Consiglio mostrandomi tale linea sulla carta mi disse già il 29 corrente che era sua intenzione di non inasprire la questione slovacca in nessun modo, il ministro degli Affari Esteri, comunicandomi ieri l'avvenuto accordo, si esprimeva nello stesso senso tenendo quindi con me un linguaggio in completa contraddizione con le dichiarazioni fattemi solo 5 giorni prima (mio te!. n. 129 del 26 marzo e mio rapporto n. 1709/509 della stessa data, mio te!. n. 144 di ieri)5 .

Avendogli infatti chiesto come mai la delegazione ungherese non avesse insistito per ottenere la linea della Poprad, egli mi ha risposto che, mentre lo stesso protocollo che sarà firmato lunedì conterrà una frase secondo cui i ruteni rivendicano sempre tale linea, l'Ungheria non vi aveva insistito, non solo perché non si desiderava inasprire ora le relazioni con gli slovacchi, ma perché si voleva evitare che l'Ungheria si trasformasse poi in uno Stato minoritario; aveva inoltre constatato che anche nella Slovacchia orientale, che egli avrebbe sperato di ottenere, si palesavano i frutti della propaganda antiungherese. Egli ha insistito sopratutto nella violenta opposizione dell'opinione pubblica slovacca verso l'Ungheria.

Mi ha aggiunto che egli non voleva forzare ora una situazione che poteva poi più tardi svilupparsi favorevolmente e non voleva dare motivo di complicazioni nel delicato momento attuale.

2 Vedi D. 396, nota 6.

3 Vedi D. 396.

4 Vedi D. 396, nota 2.

5 T. 1612/144 R. del lo aprile. Riferiva di avere appreso da Csaky che gli ungheresi avevano

improvvisamente rinunciato alle loro rivendicazioni su alcuni territori slovacchi.

In questa sua dichiarazione e nell'aumentata ostilità slovacca, a mio parere, deve ravvisarsi la ragione principale del repentino mutamento dell'atteggiamento ungherese, spontaneo o influenzato che sia.

Nel corso della conversazione egli non mi ha nascosto, d'altra parte, che tutto sarebbe stato pronto per un'azione rivoluzionaria nella regione di Eperjes in favore dell'Ungheria: mentre ha voluto anche dirmi che gli slovacchi sono d'altra parte assai malcontenti della Germania, date le requisizioni di ogni genere che essa compiva continuamente nel territorio della Slovacchia.

Quanto all'atteggiamento della Germania, anche per forza di cose preponderante nella controversia, mentre Csaky pochi giorni fa mi diceva essere sicuro del disinteresse tedesco, il Conte Esterhazy che è sempre magna pars nella questione ed ha quindi continui diretti contatti qui e a Bratislava, mi diceva che anche egli aveva avuto le stesse assicurazioni, benché in forma privata. Tuttavia, localmente in Slovacchia la situazione sarebbe stata sempre molto differente, perché i tedeschi non mancherebbero di aizzare gli slovacchi contro gli ungheresi valendosi anche, come argomento, dei recenti scontri aviatori. Egli non ha nascosto di pensare che il governo di Berlino non sia stato del tutto sincero con gli ungheresi: ha ammesso tuttavia che il comportamento dei tedeschi in Slovacchia potrebbe piuttosto attribuirsi forse ad iniziative dei dirigenti di Vienna, più direttamente interessati nella questione ed in posizione maggiormente favorevole per influenzare l'opinione pubblica ed i capi slovacchi.

439 1 Manca l'indicazione della data di arrivo.

440

ISTRUZIONI DEL CAPO DEL GOVERNO, MUSSOLINI, AL MINISTRO A TIRANA, JACOMONI

APPUNTO. Roma, l 0 aprile 19391•

In data 2 aprile il Duce dettò al ministro in Tirana le seguenti dichiarazioni con le quali fissò l'atteggiamento del governo fascista nei riguardi dello sviluppo delle relazioni italo-albanesi.

«La questione di una modifica dei rapporti fra l'Italia e l'Albania non è stata sollevata da me. Ma dal momento che è stata sollevata deve essere risolta nel senso di rafforzare l'alleanza fino ad accomunare nello stesso destino i due Stati e i due popoli per garantire soprattutto il pacifico progresso del popolo albanese. Io sono disposto a tenere nel dovuto conto tutte le proposte intese a salvaguardare l'indipendenza e l 'integrità del!' Albania come pure le prerogative sovrane della sua dinastia.

Invito Re Zog a considerare che gli ho dato durante tredici anni prova sicura della mia amicizia; sono disposto a continuare nella stessa linea di condotta, ma se ciò fosse inutile le conseguenze ricadrebbero su Re Zog e sul suo Paese».

441.

IL CONSOLE GENERALE A DANZICA, SPECHEL, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 1664/02 R. Danzica, 2 aprile 1939 (perv. il 4). Miei telegrammi n. 13 e precedenti del24 marzo1•

Situazione Danzica pur mantenendosi esteriormente normale segna una più accentuata tensione dei rapporti tedesco-polacchi.

Vi hanno influito: le aumentate preoccupazioni polacche per ingrandimento Germania dopo incorporazione Memel; dimostrazioni anti-tedesche verificatesi in Polonia, particolarmente nel Corridoio (e che questi ambienti polacchi attribuiscono in parte ad agenti provocatori); articoli stampa danzichese e polacca ed ammonimento ufficioso contenuto nella Corrispondenza politica diplomatica di Berlino del 28 marzo; le misure militari prese dalla Polonia.

Tali misure comprendono rafforzamento guarnigione anche nel settore Gdynia e lungo la frontiera verso territorio Danzica, come è facilmente accertabile e come mi ha confermato lo stesso Commissario di Polonia, ministro Chodacki.

Al nervosismo evidente di questi ambienti ufficiali polacchi, accompagnasi sfiducia generale di questa minoranza polacca negli intendimenti del Fiihrer, alla cui parola, anche se convalidata dal Patto decennale2 essa non crede più.

D'altra parte, elementi più intransigenti della maggioranza tedesca ostentano ora maggiore disprezzo per minoranza polacca e continuano propagare voci d'imminente incorporazione di Danzica e del Corridoio nel Reich; e popolazione in genere ne è turbata perché, come da mio telegramma n. 13, essa rifugge dalle complicazioni bellicose e non vuole pregiudicare interessi economici con il retroterra polacco.

È opinione, condivisa anche dagli ambienti governativi danzichesi, che soluzione della questione di Danzica e del Corridoio debba essere risolta quando situazione internazionale sarà meno grave, perché nel caso invece che Berlino o Varsavia volessero risolverla ora bruscamente, essa potrebbe provocare un conflitto irreparabile e non localizzabile.

Dichiarazioni fatte ieri l'altro dal Premier inglese circa garanzia unilaterale anglo-francese alla Polonia3 ha rialzato in parte il morale di questi circoli polacchi, i quali però non vorrebbero che eventuali accordi bilaterali in funzione antitedesca, facessero decadere il Patto decennale con la Germania o comunque togliessero alla Polonia libertà di manovra.

Tale concetto mi è stato esplicitamente affermato ieri dal ministro di Polonia, il quale mi ha dichiarato che, pur essendo iniziativa di Chamberlain bene accettata a Varsa

2 Riferimento al trattato tra Germania e Polonia del 26 gennaio 1934 (vedi D. 27, nota 2). 3 Vedi D. 429.

via, tanto più perché spontanea, il suo governo non si impegnerà in una politica antigermanica; non ritiene quindi che attuale viaggio di Beck a Londra segnerà radicale cambiamento nella politica della Polonia, che potrebbe pregiudicare anche amicizia con l'Italia.

Mi ha ripetuto che questione di Danzica e del Corridoio non deve essere trattata e risolta nell'attuale clima di tensione europea e che misure militari prese alla frontiera verso il territorio della Città Libera sono esclusivamente dettate da scopi precauzionali e dall'intenzione di far comprendere agli altri Stati che «la Polonia non è la Cecoslovacchia».

Il mio collega di Germania4 si è espresso ieri con me in termini nettamente contrari all'iniziativa inglese, nella quale egli non vede che la provocazione e la minaccia di un accerchiamento contro il suo Paese. Ostile per principio ai polacchi e sempre prevenuto contro di essi, egli crede l'iniziativa non spontanea e che sarà seguita da un accordo bilaterale, segnando la rottura del Patto decennale e l'immediata realizzazione delle aspirazioni su Danzica e sul Corridoio sino al mare.

Ammette il fatto, però, che la Polonia, specialmente se consigliata da qualche Nazione amica quale l'Italia, è ancora in tempo ad evitare detta rottura.

Mi ha ripetuto quindi che se non vi saranno provocazioni polacche non vi saranno neppure prossime sensazionali novità a Danzica; ha aggiunto, senza restrizione, che da Berlino sono qui pervenute istruzioni di evitare incidenti.

Lo stesso console generale mi ha affermato che alle misure militari polacche in questo settore non corrispondono analoghe misure tedesche; in realtà, ho personalmente constatato che lungo la zona della Prussia orientale, confinante con il territorio della Città Libera non è visibile alcun concentramento truppe.

L'ora tarda in cui è stato comunicato ieri sera per radio il discorso del Filhrer a Wilhelmshaven5 e la mancanza di giornali danzichesi, stamane è domenica, non consentono rilevanti impressioni suscitate da detto discorso.

440 1 La data del 2 aprile indicata nel documento è da ritenersi inesatta. Il ministro Jacomoni fu ricevuto da Musso lini il l o aprile, come risulta anche dal Diario di Ciano, e il 2 aprile era a Tirana.

441 1 Con TT. 1435/ll R., 1437/12 R. e 1438/13 R. del24 marzo, il console Spechel aveva riferito che, stando alle dichiarazioni raccolte negli ambienti ufficiali di Danzica, si era portati a ritenere che, per il momento, non vi sarebbero state novità nella Città Libera. Anche la popolazione tedesca, pur desiderando sempre di essere riunita alla Germania, non sembrava desiderare soluzioni brusche.

442

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. RISERVATO 2603/798. Berlino, 2 aprile 1939 (perv. il 4).

Con telespresso a parte ho trasmesso a codesto R. Ministero due copie del testo del discorso pronunciato nel pomeriggio di ieri dal Cancelliere Hitler a Wilhelmshaven in una manifestazione di popolo che ha seguito il varo della corazzata Tirpitz 1•

Il discorso si è iniziato con una parte violentemente polemica all'indirizzo dell'Inghilterra e della sua politica di accerchiamento, ed a tale riguardo è interessante notare come la polemica si sia estesa, oltre che agli anni del dopoguerra, anche a

5 Vedi D. 442. 442 1 Il testo del discorso è in Relazioni Internazionali, pp. 273-275.

quelli dell'anteguerra. A tale proposito, il Fi.ihrer, rigettando ancora una volta l'accusa di avere provocato la guerra mondiale, ha affermato che l'unico rimprovero che possa essere mosso alla Germania di allora e soprattutto ai suoi governanti, è quello di avere permesso di farsi accerchiare, senza intervenire tempestivamente ed efficacemente per impedirlo. In questo ordine di idee dev'essere fatta rientrare, secondo il Fi.ihrer, l'azione che ha condotto alla scomparsa della Cecoslovacchia; né contro di essa, infatti, né contro il suo popolo la Germania nutriva odio o volontà imperialistica e l'unica ragione che l'ha costretta alla sua azione è stata quella che la Cecoslovacchia era un'arma nelle mani dei nemici della Germania per comprometterne la sicurezza. Da ciò deriva la chiara minaccia sottolineata anche in alcuni momenti, che, qualora la Germania si trovasse di fronte ad un'analoga necessità, agirebbe egualmente. Va rilevato a tale proposito che il Fi.ihrer, nel suo discorso di ieri, non ha nominato la Polonia, si è limitato ad un vago accenno ai pericoli che correrebbe chiunque si rendesse strumento dei nemici del Reich.

Sembra da tutto questo potersi dedurre che la politica estera della Germania, dopo abbandonata la dottrina della riunione di tutti e soli i Tedeschi, e quella, pur fugacemente accennata, dello spazio vitale, tenda a cercare la propria base su una teoria della sicurezza, che la costringerebbe ad intervenire su qualunque punto dal quale la Germania stessa giudichi che possa venirle una minaccia. Ciò a mio parere ha due scopi:

l) giustificare innanzi a sé stesso, al proprio popolo ed al mondo l'inopinato abbandono della teoria razzista; 2) prender posizione di fronte all'Inghilterra, prevenendo lei-e la Polonia insieme -delle inevitabili conseguenze di una politica di accerchiamento.

Questi atteggiamenti del Fi.ihrer mi sembrano meritare la maggiore attenzione.

Il rimanente della polemica antibritannica contenuta nel discorso non ha fatto che ripetere essenzialmente gli argomenti già sviluppati a sazietà da questa stampa nelle ultime settimane, i quali tolgono all'Impero britannico il diritto di erigersi a giudice di quanto fa la Germania e soprattutto di immischiarsi negli affari dell'Europa Centrale. Senonché questa volta l'argomento acquista speciale valore dal fatto che mentre l'Inghilterra, da Monaco in poi, aveva mostrato di disinteressarsi dell'Oriente Europeo, adesso con la dichiarazione fatta da Chamberlain per la Polonia2 , ha invece dimostrato di voler seguire un atteggiamento nettamente opposto.

La opposizione, se non addirittura lo scontro, delle posizioni è solare e pone fin da ora in chiara luce quelle che saranno le origini della guerra di domani.

Com'è noto, tuttavia, la Germania ha più di una ragione per non precipitare gli avvenimenti. Cosicché per es., contrariamente a quanto si attendeva da molti, il Ftihrer, pur accennando al patto navale con l'Inghilterra3 , non ha fatto alcuna allusione che possa far desumere una sua intenzione di denunciare in un prossimo avvenire il patto stesso ed ha, al contrario, detto che, qualora l'Inghilterra volesse denunciarlo, la Germania non perderebbe per questo la sua calma. È d'altronde evidente che la Germania

D. 189, nota 2.

stessa nel momento attuale non ha alcun interesse a prendere essa l'iniziativa di tale denuncia, non essendo in grado di superare la quota assegnatale dall'accordo stesso.

Sempre nello stesso ordine di idee ed ubbidendo ad una chiara politica di attesa, il Fuhrer, ripetendo la sua professione di fede nella pace, ha annunciato fin da oggi che il Congresso del Partito nazionalsocialista del settembre a Norimberga si chiamerà «Congresso della Pace». Questo conferma come la Germania in questo momento abbia desiderio e bisogno di pace, non solo perché ciò le viene imposto dalle sue condizioni economiche generali, ma anche perché il Fuhrer ha la chiara sensazione di essere giunto attualmente all'estremo limite di quello cui poteva arrivare senza guerra e, finalmente, perché, dopo il passo falso ultimamente compiuto, egli ha bisogno -non fosse altro che per guadagnar tempo -di cercare di riabilitare sé stesso e la sua parola, facendosi, con tutti i mezzi e dovunque possa, banditore della pace. Non vi sarebbe, ripeto, da meravigliarsi che egli fra non molto venga fuori con iniziative a carattere pacifista.

In quanto all'accenno all'Asse Roma-Berlino ed alla sua incrollabile solidità, vi è da osservare che esso si limita ad una parafrasi esatta delle parole pronunciate dal Duce nel suo discorso del26 marzo4 , coll'aggiunta che l'Asse stesso è ben più omogeneo che certe progettate costruzioni d'occasione quale sarebbe l'intesa anglo-sovietica anche se qualcuno afferma che tra l'Inghilterra e la Russia sovietica non esistono divergenze ideologiche.

Per la prima volta, poi, cioè all'indomani immediato della presa di Madrid e della fine della guerra civile spagnola, il Fi.ihrer, mandando un caloroso saluto alla Spagna nazionale, ha accennato all'orgoglio che riempie la Germania per «i molti giovani tedeschi che vi hanno compiuto il loro dovere».

441 4 Martin von Janson.

442 2 Riferimento all'annuncio-il 31 marzo precedente-della garanzia britannica alla Polonia. Vedi D. 429. 3 Riferimento al Trattato per la limitazione degli armamenti navali del 18 giugno 1935. Vedi

443

PROGETTO DI TRATTATO FRA GERMANIA, ITALIA E GIAPPONE

TRAITÉ ENTRE L' ALLEMAGNE, L'ITALIE ET LE JAPON, RELATIF À LA CONSULTATION ET À L' ASSJSTANCE MUTUELLE

Le Gouvemement de l' Allemagne

Le Gouvemement de l'Italie et

Le Gouvemement du Japon

tenant compte du fait que les relations amicales entre l'Allemagne, l'Italie et le Japon se sont approfondies après la conclusion de l'Accord contre l'Intemationale Communiste du 25 novembre 1936, convaincus que l'activité intemationale de l'Intemationale Communiste menace la paix en Europe et en Asie,

fermement résolus, selon l'esprit de l'Accord susmentionné, de renforcer la défense contre la décomposition causée par le communisme en Europe et en Asie, et de sauvegarder !es intérèts communs des trois Puissances Contractantes,

sont convenus des articles suivants:

Article 1.

Dans le cas où une des Puissances Contractantes serait impliquée dans des difficultés par suite de l'attitude d'une on plusieurs Puissances non-contractantes de ce Traité, !es Puissances Contractantes s'engagent à se consulter sans délai sur !es mesures qu'elles prendront de commun accord.

Article 2.

Dans le cas où une des Puissances Contractantes, sans provocation de sa part, viendrait à ètre menacée par une ou plusieurs Puissances non-contractantes de ce Traité, les autres Puissances Contractantes s'engagent à accorder à la Puissance menacée leur appui politique et économique pour écarter cette menace.

Article 3.

Dans le cas où une des Puissances Contractantes, sans provocation de sa part, serait attaquée par une ou plusieurs Puissances non-contractantes de ce Traité, !es autres Puissances Contractantes s'engagent à lui prèter aide et assistance.

Les trois Puissances Contractantes, dans le cas envisagé, se concerteront immédiatement pour décider !es mesures à prendre pour exécuter l'engagement stipulé dans l'alinéa précédent.

Article 4.

Pour le présent Traité l es textes allemand, italien et japonais feront également foi.

Le présent Traité entrera en vigueur le jour de la signature et demeurera en vigueur pour une durée de cinq ans. Les Puissances Contractantes se mettront d'accord, avant l'expiration de la durée de cinq ans, sur la modalité de coopération ulterieure.

En foi de quoi, !es soussignés, dùment autorisés par leurs Gouvernements respectifs, ont signé le présent Traité et y ont opposé leurs cachets. Fait à ... en triple exemplaire, ...

Protocole de signature

Au moment de procéder à la signature du Traité de ce jour, les plénipotentiaires soussignés sont convenus de ce qui suit: a) concemant les articles 2 et 3,

vu le paragrafe 2 du Protocole signé entre le Japon et le Mandchoukou le 15 septembre 1932, la menace ou l'attaque dont le Mandchoukou serait l'objet sera considérée comme la menace ou l'attaque contre le Japon;

b) concernant l'alinéa 2 de l'article 4,

dans le cas où l'obligation de l'appui ou de l'aide et assistance, en vertu du l'artide 2 ou de l'article 3, serait en exécution au moment de l'expiration du Traité, celui-ci demeurera en vigueur jusqu'à la fin de la circonstance qui a donné lieu à l'exécution de ladite obligation.

Fait à ....

Protocole additionnel secret

Au moment de procéder à la signature du Traité de ce jour, les plénipotentiares soussignés sont convenus de ce qui suit:

a) en ce qui concerne les articles 2 et 3, les autorités compétentes des trois Puissances Contractantes examineront ensemble, aussitot après l'entrée en vigueur du présent Traité, des possibilités de conflit ainsi que la nature et l'envergure de l'appui ou de l'aide et assistance à accorder dans chaque cas suivant la situation géographique de chacune des Puissances Contractantes;

b) dans le cas où l es Puissances Contractantes seraient amenées à faire une guerre commune, elles s'engagent à ne conclure ni armistice ni traité de paix que dans l'accord entre elles;

c) dans le cas où l es Puissances Contractantes auraient des obligations incompatibles avec les dispositions du présent Traité, en vertu de traités précédemment conclus avec tierces Puissances, elles ne seront pas contraintes par ces obligations;

d) le présent Protocole Additionnel Secret ne sera ni publié ni communiqué aux Puissances tierces sans consentement des Puissance Contractantes;

e) le présent Protocole Additionnel Secret demeurera en vigueur pour la mème durée que le Traité et le Protocole de signature, et constituera la parti e intégrale de ces derniers.

442 4 Sul quale si veda il D. 400, nota 5.

443 1 Il documento fu consegnato il 2 aprile dall'ambasciatore Shiratori a Ciano che così annotava sul suo Diario sotto quella data: «Ricevo anche Shiratori, latore della risposta giapponese per l'alleanza tripartita. Nel complesso è buona. Fanno però due riserve: 1) di far sapere a Londra, Parigi, Washington che nella mente giapponese l'alleanza è diretta contro Mosca; 2) aggiungere una dichiarazione che, in caso di guerra europea, l'aiuto giapponese potrà essere limitato. Niente osta per la seconda. Per la prima mi sembra invece mettere bene in chiaro quale portata vuole effettivamente avere la riserva, che potrebbe alterare il valore reale del Patto medesimo».

444

L'AMBASCIATORE A VARSAVIA, ARONE, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. S.N. D. RISERVATISSIMO 1653/81 R. Varsavia, 3 aprile 1939, ore 16,50 (perv. ore 20,30).

Telegramma di V.E. n. 701 . Mi era già noto che Nunzio aveva inviato alla Segreteria di Stato notizia di cui al telegramma di V.E. Mentre è escluso che governo tedesco abbia presentato gover

no polacco sua richiesta sotto forma di nota o di ultimatum, confermo che gli avvenimenti si sono svolti nel modo che ho riferito coi miei vari telegrammi e con mio rapporto riassuntivo, spedito per posta, del 31 marzo n. 3402 . Com'è noto, richieste tedesche formarono oggetto di conversazione svoltasi 21 corrente tra Ribbentrop e Lipski3 . Ho riferito pure che tali conversazioni dovevano avere un seguito a Varsavia ma che per un sopravvenuto contrattempo e per successive istruzioni tedesche (sembra per intervento diretto del Cancelliere germanico) il passo previsto fu sospeso.

Quanto richieste tedesche, come riferii, riguardano:

l) il territorio di Danzica (la Westerplate, la ferrovia, eccetera, sono parte dei territori stessi); 2) autostrada con privilegio extraterritorialità attraverso il corridoio.

Circa, infine, progetti tedeschi di collaborazione economica colla Polonia nel bacino industriale polacco de li'Alta Slesia, ne è corsa insistentemente la voce e la notizia appare probabile. Per parte mia ne avevo fatto cenno a questo ambasciatore di Germania che pur non confermandomela non l'aveva per altro esclusa.

444 1 T. 252/70 R. del 2 aprile. Incaricava l'ambasciatore Arone di svolgere accertamenti circa l'esattezza di quanto l'ambasciatore Pignatti aveva appreso in Vaticano a proposito delle richieste avanzate dal governo tedesco alla Polonia (Vedi D. 433).

445

L'AMBASCIATOREA VARSAVIA, ARONE, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 1662/82 R. Varsavia, 3 aprile 1939, ore 21,30 (perv. ore 23,30). Mio telegramma n. 791 .

Dopo soddisfazione manifestata nei giorni passati per la dichiarazione Chamberlain2, la stampa ufficiosa, evidentemente ispirata, tende oggi a non dare alla dichiarazione stessa un valore assoluto e preminente ai fini della politica estera polacca.

Si ribadisce ripugnanza della Polonia a far parte di blocchi e il desiderio invece di non compromettere le possibilità che esistono di regolare direttamente i propri rapporti con gli Stati vicini.

A determinare atteggiamento odierno concorrono pure interpretazioni restrittive date in alcuni ambienti inglesi alla dichiarazione di garanzia, nonché preoccupazione che Inghilterra chieda quale contropartita alla Polonia impegni che essa non desidera assumere. A tutto questo si aggiungono preoccupazioni polacche di evitare ragione di maggiore attrito nei rapporti con la Germania.

3 Vedi D. 398, nota l.

2 Vedi D. 429.

444 2 Vedi D. 428.

445 1 Vedi D. 426.

446

L'AMBASCIATORE A MOSCA, ROSSO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. RISERVATO 1680/37 R. Mosca, 3 aprile 1939, ore 21,50 (perv. ore l del 4).

Odierno comunicato dell'Agenzia Tass (col quale governo sovietico smentisce di avere preso impegni per rifornimenti materiali da guerra alla Polonia in caso di aggressione tedesca e per cessazione della esportazione di materie prime all'aggressore) mostra a mio avviso che Mosca non è disposta partecipare ad accordi parziali, ma intende profittare della presente situazione internazionale per forzare Inghilterra e Francia a farsi aperte promotrici del sistema della sicurezza collettiva. Mi richiamo in proposito al mio telespresso n. 534 del 25 marzo1 . È lecito chiedersi se con simile tattica U.R.S.S. non miri in realtà ad evitare di assumere impegni troppo precisi e definitivi e a mantenersi estranea ad un conflitto europeo che si [ ...... ]2 forse altrimenti. È sempre mia convinzione (come già durante la crisi settembre u.s.) che i dirigenti del Cremlino vedano in una guerra europea possibilità di una rivoluzione proletaria nei Paesi borghesi e spingano Europa in tale direzione cercando al tempo stesso di mantenere propria libertà di movimento onde poter sfruttare situazione al momento più propizio pel trionfo della propria ideologia3 .

447

IL MINISTRO A TIRANA, JACOMONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. S.N.D. PER CORRIERE 5306/013 P.R. Tirana, 3 aprile 1939 (perv. stesso giorno).

Il colloquio col Re non ha portato alcun nuovo elemento. Egli mi ha detto che le manifestazioni avvenute ieri sera1 non gli avevano permesso di esaminare a fondo il progetto2• Subito dopo la mia udienza stamane egli avrebbe proce

2 Nota dell'Ufficio Cifra: «Gruppo indecifrabile».

3 A questo proposito, l'ambasciatore Rosso attirava l'attenzione anche su li' accordo per la pesca concluso tra Giappone e U.R.S.S. Il fatto che i sovietici avessero ceduto alle richieste di Tokio ~osservava l'ambasciatore~ non era dovuto tanto a scarsa fiducia nelle proprie forze quanto, sopratutto, alla convinzione che «non conviene ali 'U.R.S.S. impegnarsi su nessun fronte fino a quando la crisi fra le Potenze totalitarie e le Potenze democratiche non avrà fatto esplodere la guerra mondiale»

(T. 1683/38 R. del 4 aprile).

2 Vedi D. 383, sub B.

duto ad un minuto esame delle proposte con il presidente del Consiglio ed il ministro degli Esteri.

Gli ho letto per tre volte il messaggio del Duce3 . Egli ne è rimasto assai impressionato. Non mi ha dato tuttavia alcuna assicurazione. Con rinnovate espressioni di amicizia e devozione per il Duce, si è limitato a dirmi che avrebbe studiato il progetto col più vivo desiderio di raggiungere l'accordo. Mi ha promesso che mi richiamerebbe domani o al più tardi dopo domani per comunicarmi le osservazioni e le proposte di modifiche al testo che, suggeritegli dal Presidente del Consiglio o dal ministro degli Esteri, fossero da lui condivise.

Non mi dilungo su tutti gli argomenti portati da me a favore di una pronta e, per quanto possibile, integrale accettazione delle proposte. Non ho creduto tuttavia di forzare eccezionalmente la nota e ho mantenuto al colloquio un carattere assolutamente cordiale perché la situazione in Paese diviene di giorno in giorno più agitata e non ritengo opportuno dare al Re elementi che possano facilitare il suo giuoco di apparire il difensore della minacciata indipendenza albanese.

Questo temporeggiare del Re può tendere a prender tempo per metterei di fronte alle sue decisioni allorquando avrà completato la mobilitazione occulta in pieno corso, e nella speranza forse di ricevere nel frattempo definitive promesse di aiuto dall'estero. Non è da escludere infatti che allo stato delle cose il Re abbia ricevuto se non delle vere e proprie assicurazioni almeno degli incoraggiamenti dal di fuori.

Vi sono stati in questi giorni frequenti contatti fra questo ministro degli Esteri ed i ministri di Inghilterra e di Grecia4 e di questi ultimi due fra di loro; si ha notizia di nuovi sbarchi di armi a Sajada, il che fa pensare alla predisposizione oltre frontiera di bande greche.

Ritengo doveroso far presente che questo stato di cose, indubbiamente peggiorato da ieri per il continuo affluire -con mille dettagli -di notizie da Bari, vere o false, su una imminente occupazione dell'Albania, potrebbe far precipitare la situazione per il possibile verificarsi di incidenti a danno di italiani; sono infatti giunti qui dalla montagna elementi torbidi destinati indubbiamente ad esercitare rappresaglie contro gli italiani e contro gli amici degli italiani.

In previsione di torbidi mi sembrerebbe necessario affrettare al massimo possibile la preparazione del corpo di spedizione che, su avviso del Regio Addetto Militare, in caso di intervento, dovrebbe prevedere la possibilità di una forte resistenza specie ali 'interno.

Da notizie giuntemi da Valona risulta che questo ministro dell'Interno attenderebbe -ed avrebbe dato istruzioni ai prefetti per questa eventualità -lo sbarco delle nostre truppe per il 5 o il 65•

4 Pericles Skeferis.

5 Sul documento vi è il timbro: «Visto dal Duce».

448.

L'AMBASCIATORE AD ANKARA, DE PEPPO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 1825/035 R. Ankara, 3 aprile 1939 (perv. l'11).

A complemento delle informazioni trasmesse con mio telegramma per corriere del 24 marzo scorso n. 031 1 sono in grado di precisare la risposta data dal governo turco al passo fatto in marzo dall'ambasciatore d'Inghilterra, inteso a conoscere quale sarebbe l'atteggiamento della Turchia di fronte a proposte concrete di creazione di un blocco di Potenze atto ad arginare eventuali aggressioni tedesche. Il governo turco si sarebbe limitato a dichiarare che non mancherebbe di esaminare tali proposte nello spirito di amicizia che anima i rapporti fra Inghilterra e Turchia.

Questa risposta evasiva e la riserva ufficiale espressa della limitazione degli impegni della Turchia a quelli sanciti dal Patto Balcanico, smentiscono le asserzioni dell'Agenzia Havas di una partecipazione già scontata della Turchia al blocco antitedesco.

Non risulta che vi siamo stati altri passi anglo-francesi in questo senso. L'incaricato di affari di Germania, pur non escludendo che le Potenze così dette democratiche torneranno alla carica, ha peraltro avuto occasione di osservare che, dopo i primi tentativi fatti dall'Inghilterra, le disposizioni della Turchia a consolidare i rapporti commerciali e finanziari col Reich, anziché peggiorare, sono sensibilmente migliorate; tanto da eliminare alcune difficoltà che erano sorte nell'applicazione dell'accordo commerciale turco-tedesco del 25 luglio 193 8 e della convenzione commerciale finanziaria del gennaio 1939.

È qui impressione generale che la Turchia non intenda impegnarsi a fondo ed a priori, né con l'uno, né con l'altro gruppo di Potenze.

449.

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, ALLE AMBASCIATE AD ANKARA, BERLINO, LONDRA, PARIGI, VARSAVIA E WASHINGTON E ALLE LEGAZIONI AD ATENE, BELGRADO, BUCAREST, BUDAPEST E SOFIA

T. S.N.D. 5495/c. P.R. e 5496/c. P.R. Roma, 4 aprile 1939, ore 4,15.

(Per tutti) Vi comunico seguenti notizie circa situazione che si è determinata in Albania per Vostra informazione e per eventuale norma di linguaggio, qualora ne siate richiesti da codesto governo oppure giudichiate voi stesso necessario correggere notizie false o tendenziose.

l) Il giorno 8 marzo, Zog propose al nostro ministro a Tirana di «mettere su più aggiornate basi le relazioni fra i due Paesi», attraverso la stipulazione di un nuovo Patto di Alleanza rinforzata.

2) Il giorno 20 marzo, lo stesso Zog richiese l'invio di truppe italiane in Albania. Poiché apparve chiaro dalle sue asserzioni che nutriva propositi ambigui e pericolosi per la pace nei Balcani, noi declinammo senza meno l'invito rivoltoci.

3) Viceversa, aderendo al desiderio di Zog di cui al capoverso n. l, gli facemmo presentare dal nostro ministro lo schema di un nuovo Patto. Sottolineo che tale documento non comportava, né comporta, diminuzione della sovranità, indipendenza e integrità d eli' Albania, cui noi non vogliamo comunque attentare. Sottolineo, inoltre, che la presentazione del documento è stata fatta seguendo la normale prassi delle negoziazioni diplomatiche e non ha mai, né in alcun modo avuto, carattere di ultimatum.

4) Zog, mentre formalmente dichiarava di riservarsi di esaminare il documento, in realtà procedeva subito e senza alcuna ragione alla mobilitazione e alla concentrazione delle forze regolari nonché delle sue bande armate in Tirana e nel Mathi. Contemporaneamente, venivano organizzate dalle Autorità governative manifestazioni antitaliane da parte di gruppi di armati che assumevano contegno seriamente minaccioso nei confronti degli italiani residenti in Albania. Tuttociò in palese contrasto col contegno cordiale della popolazione che nella sua grande maggioranza assiste rammaricata e impotente a questo nuovo inspiegabile atteggiamento a noi ostile assunto da alcuni elementi del governo apertamente ispirati da Zog.

5) In tale stato di cose è chiaro che noi, pur desiderando arrivare ad un componimento amichevole della vertenza attraverso la continuazione delle conversazioni diplomatiche in corso a Tirana, non possiamo tollerare che la situazione in cui sono stati posti gli italiani in Albania venga più oltre protratta o peggio ancora aggravata. Pertanto il Governo Fascista segue con la più vigile attenzione lo sviluppo degli eventi ed è allo scopo di fronteggiare ogni eventualità che ha iniziato il concentramento di forze in Puglia.

(Solo per Berlino) Quanto sopra è stato da me comunicato a von Mackensen. (Solo per Budapest) Quanto sopra è stato da me comunicato a Villani 1 .

450.

L'AMBASCIATORE A BUENOS AIRES, PREZIOSI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 5325/70 P.R. Buenos Aires, 4 aprile 1939, ore 0,23 (perv. ore 6,45). Mio telegramma n. 681•

Anche questo incaricato d'affari di Germania è venuto oggi a dirmi che nota inchiesta sta seguendo suo corso e che è sua impressione che Autorità argentine vadano ormai convincendoci trattarsi documento apocrifo. Ha però aggiunto essere stato informato che questo governo sarebbe intenzionato cogliere occasione per addivenire a misure restrittive attività organizzazioni politiche straniere. Provvedimento, modellato su quello affermatosi in Brasile, potrebbe essere preso da un giorno all'altro e colpirebbe organizzazioni naziste, fasciste e comuniste. Non gli si sarebbe fatta menzione dei falangisti spagnoli.

Informazione corrisponde a quella a me pervenuta ier l'altro e di cui al mio telegramma suddetto. Quest'ambasciata ha già da qualche tempo segnalato a V.E. intenzioni restrittive questo governo.

Esso vuole innanzitutto colpire temutissima attività politica tedesca; dare una qualche soddisfazione a Londra e a Washington, anche per attenuare colà cattiva impressione suscitata da recentissimo importante accordo di scambi fra Argentina e Reich; dar mostra di volere conformarsi note dichiarazioni di Lima; conciliarsi all'intemo simpatia dei radicali ed estremisti che si affermano sempre più in elezioni provinciali in corso. Nel caso che governo prenda misure restrittive contro di noi e non

Con T. 1639/68 R. del 3 aprile, l'ambasciatore Preziosi aveva riferito che, secondo quanto dichiarava l'incaricato d'affari tedesco, Meynen, quel documento era un falso, forse creato su ispirazione degli Stati Uniti allo scopo di aizzare l'opinione pubblica argentina contro gli Stati totalitari. Comunque-faceva notare l'ambasciatore-c'era da temere che a causa della campagna di stampa che ne era nata si avessero delle forti ripercussioni sull'atteggiamento delle Autorità argentine nei confronti delle organizzazioni straniere, comprese quelle fasciste.

mi siano nel frattempo giunte istruzioni di VE., eleverò viva protesta, facendo osservare a Cantilo che circostanza che nostre organizzazioni non hanno dato mai luogo alcunchè minima osservazione da parte delle Autorità argentine, dà al provvedimento carattere particolare gravità, sul quale domanderò vengano richiamate personali attenzioni Presidente della Repubblica.

446 1 Vedi D. 392.

447 1 Il giorno precedente, vi erano state a Tirana delle manifestazioni che, secondo quanto aveva riferito il ministro Jacomoni (TT. 5225/59 R. del 2 aprile e 5247/61 R. del3 aprile), apparivano organizzate ed avevano assunto carattere antitaliano.

447 3 Vedi D. 440.

448 1 Vedi D. 386.

449 1 Negli archivi italiani non è stata trovata documentazione sui colloqui avuti da Ciano con l'ambasciatore von Mackensen e con il ministro Villani ai quali si fa qui riferimento. Per il colloquio Ciano-von Mackensen, si veda in DDT, vol. VI, D. !50 il resoconto del rappresentante tedesco dove sono riportate dettagliatamente le argomentazioni di Ciano.

450 1 Il 20 marzo, il Presidente della Repubblica Argentina, Ortiz, aveva ricevuto copia fotografica di un documento, risalente al gennaio 1937, sottoscritto dal capo delle organizzazioni naziste in Argentina, Alfred \1iiller, e da un funzionario dell'ambasciata di Germania, in cui fra le altre cose ci si riferiva alla Palagonia come una res nullius per l'abbandono in cui era lasciata dalle Autorità argentine e come una zona suscettibile di «annessione» da parte della Germania per l'opera di valorizzazione che vi avevano realizzato i tedeschi.

451

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. S.N.D. PER TELEFONO 1673/213 R. Berlino. 4 aprile 1939, ore 20,10.

Sembra che le resistenze spagnuole continuino. Qui però si insiste perché la pubblicazione avvenga, se non domattina, almeno nel corso della corrente settimana. Rimangono quindi sospesi gli accordi stampa di cui mio fonogramma 210 1•

452

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, AL MINISTRO A BELGRADO, INDELLI

T. S.N.D. 5594/59 P.R. Roma, 4 aprile 1939, ore 23.

Mio telegramma 5495 e 961• Benché abbia già messo Christié al corrente situazione2 recatevi da codesto ministro degli Esteri e dategli lettura mio telegramma suindicato relativo situazione Albania.

2 Del colloquio di Ciano con il ministro Christié non è stata trovata documentazione negli archivi italiani. Nel Diario di Ciano vi è, in proposito, questa annotazione sotto la data del 4 aprile: «Ricevo Christié. Dopo aver parlato della situazione generale e della visita del Reggente Paolo a Roma, gli espongo la situazione albanese e sottolineo che re Zog rappresenta un elemento di disturbo nelle nostre relazioni con la Jugoslavia. Assicuro che nulla di definitivo sarà fatto senza che Belgrado ne sia informata. Quando mi lascia, Christié è abbastanza calmo, anche se la questione è di estrema gravità per il suo Paese».

451 1 Fonogramma 1667/210 R. del 4 aprile, con cui l'ambasciatore Attolico comunicava di essere stato avvertito che all'indomani la stampa tedesca avrebbe pubblicato con grande risalto la notizia dell'adesione della Spagna al Patto Anticomintem. Ciò restava peraltro subordinato ai risultati dell'azione che si stava svolgendo su Franco, il quale intanto aveva fatto sapere «che avrebbe gradito ancora due o tre settimane di tempo onde facilitare alla Francia la restituzione di tutto il materiale da guerra rosso trovantesi ancora sul suolo francese».

452 1 Vedi D. 449.

453

L'AMBASCIATORE IN CINA, TALIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 1687/86 R. Pechino, 4 aprile 1939, ore 15 (perv. ore 23, 15).

Nuovo appello di Wang Ching-wei per la pace trova suo principale motivo nel desiderio Giappone di affrettare i tempi per la organizzazione dei territori cinesi occupati. Tale desiderio che mi è riuscito sorprendere in più di uno scambio di vedute a Tientsin con Autorità militari e consolari nipponiche è giustificato, sia dalle previsioni di una più pericolosa attività della guerriglia nella stagione estiva, sia dall' opportunità constatata dallo Stato Maggiore giapponese di accorciare e alleggerire alcuni tratti del fronte.

È sintomatico che appello Wan Ching-wei coincida con la messa a punto a Tokio da parte colonnello Doihara delle ultime condizioni poste da Wu Pei Fu per presiedere o sostenere apertamente un nuovo governo centrale.

Comunicato Tokio.

454

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. S.N.D. PER TELEFONO 5375/214 P.R. Berlino, 4 aprile 1939, ore 23,40.

Seguito conversazione telefonica di questa sera da Hotel Kaiserhof, Ribbentrop e Oshima pregherebbero V.E., a necessaria integrazione dell'azione che si svolge da Berlino, confermare direttamente a Shiratori, invitando Shiratori a telegrafare a Tokio, seguenti punti:

l) che governo italiano è di massima d'accordo con progetto giapponese 1; 2) che termine accordo sia-ma solo se ciò non implichi alcuna ulteriore perdita di tempo -portato da 5 a l Oanni;

3) che però sia esclusa nel modo più assoluto una qualunque comunicazione, scritta o verbale, all'Inghilterra e alla Francia, giacché esse non sono contemplate nel Patto in questione, interpretazione del Patto stesso dovendo essere che esso è puramente difensivo e quindi non diretto contro alcuno, ma che, in casi di attacco da parte di terzi, il trattato avrebbe vigore contro chiunque fosse l'attaccante, il quale come tale diventerebbe il nemico di tutti e tre i firmatari del Patto.

Oshima si raccomanda poi perché, come egli ha già fatto qui per il testo tedesco, sia costì preparato, di comune accordo tra V.E. e Shiratori, un testo italiano del Patto da telegrafare subito a Tokio e di cui si gradirebbe avere copia anche qui 2 .

454 1 Vedi D. 443.

455

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, AGLI AMBASCIATORI A LONDRA, GRANDI, E A PARIGI, GUARIGLIA

T. S.N.D. 5597/37 P.R. (Londra) Roma, 4 aprile 1939, ore 23,45. e 103 P.R. (Parigi) 1•

Mio telegramma 54952 .

Se avrà luogo una nostra occupazione militare dell'Albania trovate il modo di far circolare la voce in codesti ambienti, e per tramite di terze persone, che l'azione italiana avrebbe lo scopo di sbarrare la via ad una ulteriore espansione germanica nei Balcani. Sarebbe utile se qualche giornale accennasse a questa ipotesi. Ripeto che tale azione dovrà essere svolta con discrezione per impedire nel modo più assoluto di identificare l'origine di una tale interpretazione del nostro eventuale gesto3 .

456

IL MINISTRO A TIRANA, JACOMONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. S.N.D. PER CORRIERE 5459/ ... P.R. Tirana, 4 aprile 1939 (perv. il 5).

La notizia del rimpatrio degli italiani e dell'arrivo della nave da guerra a tal fine ha molto impressionato questi ambienti politici. È venuto subito a vedermi Abdurraman Mati ed a mezzogiorno sono stato chiamato dal Re.

L'ambasciatore Attolico telegrafava successivamente: «Ribbentrop pregherebbe E.V. insistere presso Shiratori anche per far includere nel testo stesso del trattato la clausola di cui alla lettera D del protocollo aggiunto segreto» (T. 5402/215 P.R.).

2 Vedi D. 449.

3 L'ambasciatore Guariglia rispondeva, con T. s.n.d. 5663/50 P.R. del 7 aprile: «Provveduto nel miglior modo possibile». In proposito si veda anche il D. 522.

Re Zog ha tenuto a darmi ogni assicurazione per gli italiani; ho risposto che obbedivo a ordini ricevuti in seguito a molte segnalazioni giunte a V.E. di manifestazioni ostili e di minacce cui erano stati fatti segno alcuni italiani. Gli ho detto che non sapevo se sarebbe stato ormai possibile modificare gli ordini dati. Egli mi ha quindi informato di aver ricevuto una lettera del generale Sereggi nella quale era detto che il Duce voleva avere una risposta per domani a mezzogiorno. Mi pregava vivamente di !asciargli tempo fino a venerdì a mezzogiorno, per aver tempo di consultare alcuni membri del Parlamento e prendere una decisione che non ricadesse completamente su di lui. Gli ho risposto che avrei subito informato V.E. di questa sua richiesta. Pregherei vivamente di farmi avere una risposta al più presto, possibilmente in serata, anche se negativa.

Giudicherà V.E. se ritenga conveniente, come è mio avviso, di confermargli l'ora entro la quale noi intendiamo avere una risposta. Ad ogni buon fine informo che mia impressione è che il Re cederebbe ormai in via di principio su tutta la parte militare e che la incertezza che egli ha e le ostilità che egli incontra negli ambienti responsabili, vertono principalmente sull'articolo 8. Sarebbero forse disposti ad accettarlo o ve invece di «diritti» si parlasse in esso di privilegi 1•

454 2 Il documento ha il visto di Mussolini.

455 1 Minuta autografa.

457

IL MINISTRO A BUDAPEST, VINCI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 1700/084 R. Budapest, 4 aprile 1939 (perv. il 6).

Telegramma per corriere dell'E.V. n. 5300 P.R./c. del l o aprile1 .

Ho letto l'interessante relazione della conversazione avuta dal R. Console Generale in Vienna col dottor Hammerschmidt. A proposito di essa mi permetto osservare quanto segue.

l) Anche da qui, come ho avuto occasione di segnalare a varie riprese in questi ultimi giorni, si constata che le questioni politiche ed economiche che si riferiscono al sud-est europeo sono piuttosto trattate a Vienna che a Berlino. Ciò che anche, a detta per esempio di Csaky stesso e come ho constatato anche in alcuni aristocratici austriaci, già accaniti antitedeschi, non ha mancato di risvegliare, dopo l'occupazione di Praga, sentimenti imperialisti «viennesi».

2) Le informazioni circa la Slovacchia coincidono con quanto ho segnalato all'E.V. 3) Non mancherò di controllare l'attività del dottor Hammerschmidt a Budapest e i contatti da lui avuti: è nota d'altra parte la viva propaganda che la Germa

457 1 Ritrasmetteva il D. 413.

nia fa da tempo in Ungheria. Di pericolo di bolscevismo non è il caso invece di parlarne.

4) Quanto alla Croazia, attiro invece l'attenzione dell'E. V. sulla segnalazione contenuta nel mio telegramma per corriere n. 0632, e cioè sulla presunta partenza per la Jugoslavia di numerosi agitatori tedeschi che avevano prima il loro campo d'azione a Bratislava.

456 1 Sul documento vi è il timbro: «Visto dal Duce».

458

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. SEGRETO 2668/817. Berlino, 4 aprile 1939 1•

Ho avuto una conversazione con Lipski dopo il suo incontro con Beck. Lipski -è questa la sua evidente norma di linguaggio -sostiene che il «filo diretto» istituito ora (giacché uno indiretto attraverso la Francia esisteva già) con la Gran Bretagna2 non toglie alcun valore agli accordi Hitler-Pilsudski del '343• che costituiscono e continueranno a costituire la base delle relazioni fra la Polonia e la Germania.

Si potrà tutt'al più, egli ha aggiunto, parlare di una «contro-assicurazione» che, nelle circostanze, nessun uomo di governo responsabile avrebbe -una volta spontaneamente offerta -potuto avere il coraggio ed il diritto di declinare, tanto più in presenza dei concentramenti di truppe che, da parte e d'altra, pura titolo puramente precauzionale si sono fatte sulla frontiera polacco-tedesca.

Niente Lipski mi ha saputo dire sulla possibile «reciprocità» delle intese proclamate da Chamberlain, il dubbio però da me avanzato se la «contro-assicurazione» non portasse con sé il pericolo di una evidente e forse maggiore diminuzione nella «assicurazione» non ha saputo opporre che un silenzio altrettanto imbarazzato quanto eloquente.

A sua volta Ribbentrop. che ho visto ieri. ammette che dei concentramenti di truppe effettivamente ci sono. ma che la prima a incominciare è stata la Polonia. A mio avviso le cose devono essere andate in questa maniera. I tedeschi credevano che sarebbe stato possibile venire ad un accordo con i polacchi su Danzica e l'autostrada. Si preparavano quindi ad un ingresso trionfale a Danzica e alla presa di possesso del nuovo corridoietto tedesco. La Polonia avendo visto questi preparativi ha da parte sua subito guarnito la sua frontiera. E il gioco è poi alternativamente continuato.

l croati -aveva aggiunto il ministro Radié -in un primo momento avevano accolto con soddisfazione la creazione di uno Stato slovacco indipendente ma avevano mutato totalmente di atteggiamento quando avevano appreso dell'annessione della Boemia e del protettorato sulla Slovacchia.

Parlandomi ulteriormente del contenuto delle proposte tedesche4 , Ribbentrop mi ha detto che esse rappresentavano il non plus ultra della ragionevolezza: retrocessione di Danzica dietro assicurazioni di facilità economiche; concessione di una striscia di territorio attraversante il Corridoio appena sufficiente per una ferrovia ed una autostrada. In cambio: un trattato di pace e di amicizia, e magari di garanzia di frontiere, per 25 anni (il che, per un Paese mosaico come la Polonia, non sarebbe stato poco vantaggio), più alcune agevolazioni in altri settori. La Polonia, secondo Ribbentrop, aveva fatto molto male a non accettare. È dubbio che una sì generosa proposta possa venire dal Fiihrer rinnovata una seconda volta. Comunque per ora la Germania non intende premere né politicamente né militarmente. Se lo volesse. sarebbe questione di «pochi giorni». L'impresa polacca non rappresentando per la Germania-sempre secondo Ribbentrop -difficoltà militari maggiori di quella della Cecoslovacchia. La Polonia sarebbe annientata in un baleno. Francia e Inghilterra come al solito. non interverrebbero. etc. etc. Ma il Fiihrer-concludeva Ribbentropp-non lo farà.

Richiamo in ogni modo l'attenzione dell'E.V. sopra il mio telespresso in pari data n. 2657/8125 col quale riferisco alcune informazioni d'indole militare ottenute dall'Addetto Generale Marras6 .

457 2 T. per corriere 1279/063 R. del 18 marzo in cui aveva riferito che il suo collega di Jugoslavia gli aveva parlato con preoccupazione della sempre più forte propaganda tedesca in Croazia.

458 1 Manca l'indicazione della data di arrivo. 2 Riferimento alla garanzia britannica alla Polonia secondo le dichiarazioni di Chamberlain del 31 marzo. Vedi D. 429. 3 Vedi D. 27, nota 2.

459

IL MINISTRO A BUDAPEST, VINCI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

RAPPORTO SEGRETO 1825/550. Budapest, 4 aprile 1939 (perv. l'11?).

Un segretario della Legazione ha visto ieri, 2 aprile, il Conte EsterMzy che aveva lasciato Bratislava in mattinata. L'ha trovato molto abbattuto nei riguardi della situazione in Slovacchia, situazione che egli considera ormai senza speranza nei riguardi dell'Ungheria. Richiesto circa la sua opinione sui passati avvenimenti, egli ha ripetuto che i tedeschi hanno sempre fatto un doppio gioco con Budapest; «ordinando» a Budapest la mobilitazione contro la Romania, essi hanno ottenuto dalla Romania un accordo dei più favorevoli 1; una volta ottenuto questo accordo, essi hanno consigliato a Budapest di rimangiarsi lo spirito guerriero rinviando le aspira

5 Non pubblicato. Il generale Marras aveva riferito (con foglio 751 del3 aprile) cha la tensione fra Germania e Polonia pareva momentaneamente attenuata, mentre i problemi di Danzica e del Corridoio sembravano aver perduto di attualità come appariva confermato dalle misure militari in atto e dalle notizie raccolte presso lo Stato Maggiore tedesco. «Nel complesso della situazione -notava il generale Marras -la minaccia tedesca sulla Polonia appare alquanto allentata ma è evidente il disappunto della Germania. La situazione viene definita molto simile alla crisi del maggio scorso, durante la quale il Fiihrer maturò la sua decisione d'intervento nella Cecoslovacchia».

6 Il documento ha il visto di Musso lini.

D. 378, nota l).

zioni transilvane ad altra epoca. Appena terminata la parentesi romena, essi hanno fatto capire che avrebbero lasciato mano libera a Budapest nei riguardi della Slovacchia ben sapendo che un intervento ungherese a mano armata avrebbe completamente alienato da Budapest le simpatie che gran parte degli slovacchi nutrivano per l'Ungheria. Così infatti è avvenuto; attualmente l'odio che gli slovacchi nutrono per gli ungheresi è uguale, se non maggiore, a quello che essi nutrono per i tedeschi.

In questi giorni i tedeschi continuano ad occupare alcune posizioni in Slovacchia; i dintorni di Bratislava, ma non la città; i depositi di materie prime e specialmente di petrolio che la grande industria ceca aveva in Slovacchia.

Mentre noto che il linguaggio di Esterhazy coincide con quanto sull'argomento ho segnalato all'Eccellenza Vostra e da ultimo col mio rapporto n. 1794/547 in data l o aprile2 , nel fare la storia dell'occupazione tedesca della Boemia e Moravia-e su questo punto attiro la speciale attenzione dell'Eccellenza Vostra -Esterhazy ha detto che la preparazione dell'impresa è stata compiuta da un gran numero di agitatori tedeschi inviati da Berlino e specialmente da Vienna, agitatori che avevano scelto come loro quartiere generale Bratislava. Queste persone si recavano nel resto del Paese a fare propaganda pro-germanica fra i tedeschi od agendo come «terroristi» spargendo il panico con bombe, ecc. Molti di essi vennero arrestati dalla polizia ceca e slovacca e poi rilasciati ad operazioni terminate. Furono tutti trovati in possesso di documenti comprovanti la loro nazionalità tedesca. Tutti questi individui, che circolavano liberamente a Bratislava, loro centro d'operazione, sono negli ultimi giorni tutti partiti, ma non rientrati in Germania. Molti di essi si sono recati in Polonia, in vari centri dell'Ungheria e moltissimi in Jugoslavia.

Della presenza di agenti tedeschi in Ungheria e precisamente a Sopron ho già riferito all'Eccellenza Vostra con il mio rapporto n. 1640/475 in data 25 marzo u.s. 3 .

Quanto agli agenti in Jugoslavia, la cui eventuale attività mi sembra per noi particolarmente interessante, non mancherò anche da qui di seguire la cosa con la maggiore attenzione e se possibile avere ulteriori dettagli.

458 4 Vedi D. 398, nota l.

459 1 Riferimento al trattato di commercio tra Germania e Romania del 23 marzo precedente (vedi

460

IL MINISTRO A TIRANA, JACOMONI, AL CAPO DI GABINETTO, ANFUSO

LETTERA. Tirana, 4 aprile 1939.

Vedrai il telegramma per corriere che giungerà con l'aereo odierno1 . Sulla base delle informazioni in esso contenute giudicherete costà se non sia il caso di chiarire subito la situazione a Londra facendo presente che, mentre non abbiamo intenzione di ledere l'indipendenza dell'Albania, ci potremmo trovare invece costretti ad agire

qui per salvaguardare la vita e i beni degli italiani gravemente minacciati in questi giorni e per tutelare i nostri interessi più preminenti.

Non mi nascondo naturalmente che questo passo, se l'Inghilterra non si è fatta già viva verso di noi, può metterei in una grave condizione verso di essa se dovessimo trovare i di fronte ad una recisa opposizione2 .

459 2 Vedi D. 439. 3 Non pubblicato. 460 1 Non è chiaro a quale telegramma si faccia qui riferimento. Si tratta forse del D. 447 in cui si accenna a possibili assicurazioni esterne avute da Re Zog e all'attività del ministro di Gran Bretagna a Tirana.

461

L'ADDETTO NAVALE A BERLINO, PECORI GIRALDI, AL SOTTOSEGRETARIO ALLA MARINA, CAVAGNARI

FOGLIO RISERVATO PERSONALE 455. Berlino, 4 aprile 1939 (perv. l '8).

l -L'Ammiraglio Capo dell'Ufficio Comando di questa Marina mi ha informato di essere a conoscenza che prossimamente, come è noto, avrà luogo un primo scambio di vedute fra il Generale Keitel, Capo dell'Oberkommando delle Forze Armate, e S.E. il Generale Pariani per concretare i limiti di una cooperazione nel campo militare fra Italia e Germania.

L'Ammiraglio sopracitato ha aggiunto di ritenere che in seguito a questa presa di contatto potrebbero svolgersi delle conversazioni anche fra le due Marine.

2 -Ho avuto occasione di parlare abbastanza a lungo con numerosi ufficiali, anche di grado elevato, di questa Marina e di potermi perciò formare un'idea sull'opinione di questo ambiente sull'attuale atteggiamento germanico, in particolare nei confronti della Polonia.

Innanzi tutto mi sembra ben confermato che oggi non sia desiderata una guerra né si pensi ad essa per risolvere per il momento alcun problema, le Forze Armate tedesche avendo bisogno ancora di qualche anno per essere considerate pronte.

La stessa azione politica svolta verso la Polonia si dice sia stata accompagnata da movimenti di truppe lungo la frontiera soltanto allo scopo di intimorire quella Nazione ed ottenere da essa quanto la Germania parrebbe oggi desiderare, ossia, come minimo, il nulla osta all'annessione di Danzica, l'istituzione di un corridoio

tedesco nel Corridoio polacco esistente, onde collegare territorialmente la Prussia orientale al resto della Germania ed infine alcune ulteriori garanzie per il trattamento delle minoranze tedesche in Polonia.

Evidentemente quest'azione diplomatica ha avuto una battuta d'arresto, non solo a causa dell'intervento inglese, ma anche perché il ministro Beck non pare abbia creduto di accogliere subito l 'invito tedesco di venire a Berlino a discutere le varie questioni.

Ciò nonostante, mi sembra che nell'ambiente della Marina tedesca, come forse in altri ambienti, non si abbia la minima preoccupazione che in avvenire il problema possa essere risolto diversamente di come qui auspicato.

Per quanto ha attinenza con le rivendicazioni italiane, ritengo l'opinione generale in Germania sia sempre quella che un giorno bisognerà obbligare la Francia a cedere: quel giorno la Germania sarà senza dubbio pronta a sostenere l'Italia, ma tale appoggio sarà più o meno solido a seconda che a quell'epoca la Germania crederà di cogliere l'occasione per estendere ancora verso levante la sua penetrazione.

3 ~S.E. l'Ambasciatore, che è a conoscenza del contenuto della presente lettera, mi ha dato le seguenti direttive:

a) mantenere un'attitudine di attesa, fino a nuovi ordini, per quanto si riferisce all'inizio delle conversazioni sulla cooperazione militare;

b) nelle conversazioni private ma a sfondo politico che dovessi sostenere con ufficiali di questa Marina, far comprendere che l'Italia è rimasta piuttosto perplessa sul come si sono svolti gli ultimi avvenimenti nel centro Europa e che comunque essa pensa sia giunto oggi il momento di fare agire l'Asse nel suo interesse2 .

PS. L'incontro fra i Generali Keitel e Pariani avrà luogo domattina 5 corrente ad lnnsbruck.

460 2 Il documento ha il visto di Musso lini. Sul documento vi è questa annotazione, resa solo in parte leggibile dall'umidità: «Il Ministro Anfuso ha(...] che l'Ambasciatore d'Inghilterra è stato ricevuto stamane da S.E. il Ministro e che si è dimostrato comprensivo della situazione [ ...] che l'Italia non può tollerare gravi minacce ai suoi interessi. Ciò del resto sembra confermato dal linguaggio della stampa inglese. 4-4-939». Sul colloquio tra Ciano e Lord Perth non si è trovata documentazione negli archivi italiani. Nel Diario di Ciano vi è in proposito questa annotazione (sotto la data del4 aprile): «Ricevo Perth. È preoccupato per la situazione albanese. Lo rassicuro ma insisto sul fatto che non permetteremo a nessuno di interferire in questa faccenda. Mentre si congeda, gli dico, per contentino finale, che non respingeremo una eventuale iniziativa francese per la ripresa dei colloqui. È andato via sollevato e infinitamente meglio disposto sulla questione albanese. È quello che volevo». Per quanto riferiva sul colloquio l'ambasciatore britannico si veda BD, vol. V, DD. 72 e 73.

461 1 Il documento è tratto dali' Archivio Centrale dello Stato, Ministero della Marina, Gabinetto.

462

IL MINISTRO A TIRANA, JACOMONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. S.N.D. URGENTE 5399/70 P.R. Tirana, 5 aprile 1939, ore 1,50 (perv. ore 5,20).

Il console di Valona comunica fermo di due persone notoriamente favorevoli all'Italia. Anche a Tirana hanno avuto luogo oggi alcuni arresti che si sono limitati però a persone che propalavano notizie allarmistiche. La preparazione militare alba

nese continua e in città vi è la più stretta sorveglianza. Ho visto oggi il ministro dell'Interno ed il ministro degli Affari Esteri. Ministro dell'Interno mi ha rinnovato la preghiera fattami dal Re circa la sicurezza. A questo riguardo mi permetto ripetere qui quanto ho avuto l'onore di fare presente e cioè che il governo forse manterrebbe misure energiche di protezione per evitare nell'attuale momento gravi incidenti.

Però, lo stesso governo abbandonerà certamente la protezione dei nostri connazionali se gli fosse annunziato l'avvicinarsi dei convogli di truppe. In questo stato di cose è stato da me ritenuto preferibile sfollare Tirana e Durazzo dagli italiani a cominciare da domani mercoledì. Pregherei telegrafare prefetti Bari Brindisi per assistenza.

Ministro degli Affari Esteri mi ha mostrato un testo di accordo quale egli fino a stamane riteneva potesse essere approvato e nel quale erano aggiunte alla fine degli articoli 2, 3, 4, le parole «d'accordo con governo albanese»; all'articolo 6 invece del 2° capoverso sarebbe detto «a mezzo di tecnici e specialisti italiani»; l'articolo 8 invece di «diritti civili e politici» parlerebbe di «posizione privilegiata».

Anche così ritoccato il progetto di accordo, a quanto mi ha detto Libohova poco prima, incontrerebbe ora difficoltà presso alcuni membri del governo. È stato evidente dalla conversazione Libohova che il governo attendesi sentirsi incoraggiato alla resistenza da affidamenti inglesi e dalle notizie del colloquio che sull'Albania, secondo quanto riferisce una Havas da Roma, avrebbe avuto oggi ambasciatore di Inghilterra con V.E.1 .

461 2 Il comandante Pecori Giraldi faceva presente successivamente (foglio n. 587 dell'Il aprile) che quanto da lui segnalato nell'ultimo capoverso del paragrafo 2 circa l'effettiva disponibilità della Germania ad appoggiare l'Italia andava ora riconsiderato alla luce di quanto il generale Keitel aveva detto a Innsbruck circa il pensiero di Hitler, il quale, partendo dalla premessa che un conflitto tra Italia e Francia non poteva restare localizzato, aveva espresso l'opinione che le due Potenze dell'Asse dovevano muoversi congiuntamente fin dall'inizio: ciò sembrava indicare che la Germania si considerava pronta a sostenere pienamente l 'Italia.

463

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. S.N.D. URGENTISSIMO 5477/215 P.R. Berlino, 5 aprile 1939, ore 12 (perv. ore 12,30).

Ribbentrop mi dice di aver preso nota della comunicazione a Mackensen1 riguardante l'Albania e mi prega assicurare V.E. che Germania vedrà sempre con piacere e simpatia tutto quello che, rinforzando Italia, rinforza anche l'Asse.

Per mia parte attendo istruzioni da V.E. circa eventuali direttive alla stampa tedesca.

462 1 Il documento ha il visto di Mussolini. Per il colloquio tra Ciano e Lord Perth a cui si fa qui ritèrimento si veda il D. 460, nota 2.

463 1 Vedi D. 449, nota l.

464

APPUNTO DEL GABINETTO PER IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

Roma, 5 aprile 1939, ore 16,30.

In relazione al telegramma da Londra n. 141 del4 aprile 1939-XVII 1 il Capo di Gabinetto Ministro Anfuso, d'ordine di S.E. il Ministro, ha telefonato al Consigliere Crolla quanto segue:

«Recatevi al Foreign Office e chiedete quale significato abbia la nota Reuter di cui al vostro telegramma n. 141, nota che appare incomprensibile dato che l'Albania è un interesse esclusivamente italiano e come tale universalmente riconosciuto2».

465

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, AL MINISTRO A TIRANA, JACOMONI

T. 5641/51 P.R. Roma, 5 aprile 1939, ore 19,15.

Mio telegramma odierno n. 47 1• Anche oggi stampa inglese si occupa diffusamente situazione albanese in termini molto favorevoli all'Italia.

Il Times afferma che «vi è ragione di ritenere che il governo italiano sia stato recentemente turbato per la sicurezza dei suoi importanti interessi in Albania e si sia preoccupato per il rispetto dei diritti conferitigli dal trattato in corso. Ciò spiegherebbe alcune precauzioni che sono state prese. Si crede che Re Zog abbia avanzato certe proposte per una alterazione del trattato che regola i rapporti tra i due Paesi e che negoziazioni fra i due governi stiano procedendo».

Il Daily Express sotto il titolo «Il Duce protegge l'Albania» scrive: «Musso lini sta compiendo passi per rafforzare la sua influenza in Albania. Hanno già avuto inizio le negoziazioni dietro esplicita richiesta di Re Zog e l'Italia non ha alcuna intenzione di attentare alla indipendenza e alla integrità albanese. Il nuovo ministro albanese a Roma generale Sereggi si è recato ieri a Tirana e rientrerà a Roma sabato con

2 Per il seguito si veda il D. 475.

la risposta di Re Zog. L'italia mantiene già una guarnigione di 15 mila uomini in Albania e, secondo nuovi accordi che si intendono stabilire, il governo di Roma avrà il diritto di rafforzare a suo piacimento tale guarnigione».

Il Manchester Guardian scrive tra l'altro che «la mossa italiana nei confronti dell'Albania non è presa tragicamente a Londra».

Il New Chronicle sotto il titolo «l'Italia controlla l'Albania» dichiara che «il controllo militare dell'Albania assicurerà all'Italia i frutti di 20 anni di penetrazione e di sacrifici economici».

Il Daily Herald pubblica quanto segue: «si ritiene che le truppe italiane sbarcheranno in Albania oggi o domani. Non si tratta, né di una invasione, né di un'aggressione. Re Zog dietro pressione dell'Italia non ha soltanto aderito alle domande del Duce, ma è giunto fino al punto di chiedere l'assistenza italiana. L'Albania che aveva ottenuto l'indipendenza prima della grande guerra, diventerà un vero e proprio protettorato italiano e verrà rammentato che fin dalla Conferenza degli Ambasciatori del 1921 furono riconosciuti ali' Italia speciali interessi in quella zona. I metodi adoperati in questa occasione dall'Italia, che ha ottenuto il consenso da Re Zog di occupare il suo Regno, sono importanti poiché essi forniscono fin da ora la chiave della risposta italiana ad ogni accusa di violazione dell'accordo italo-britannico. In questo ultimo documento, infatti l'Italia e la Gran Bretagna si impegnano a non mutare lo statu qua relativo alla sovranità nazionale di territori dell'aerea mediterranea. Un mutamento in Albania si verificherà come un libero atto della sovranità nazionale di Re Zog».

Il Daily Sketch scrive: «L'Italia, come si è saputo, ha negoziato con Re Zog il quale non si oppone ad una occupazione militare dell'Albania. In ogni modo va rilevato che l'Albania è già in un certo modo un protettorato italiano».

464 1 Con T. 1676/141 R. del 4 aprile, Crolla aveva trasmesso il testo di una nota diramata dall'agenzia Reuter in cui si affermava che nei circoli ufficiali britannici si aveva difficoltà a credere che l'Italia si apprestasse ad un'azione tale da compromettere l'indipendenza dell'Albania e si rilevava che una tale azione avrebbe costituito una violazione degli accordi itala-britannici per il mantenimento dello status quo nel Mediterraneo. Il testo della nota è riportato in BD, vol. V, D. 88, Allegato.

465 1 T. 5605/47 P.R. del 5 aprile. Trasmetteva il riassunto di un articolo pubblicato dal Times in cui si affermava che probabilmente l'Italia intendeva soltanto realizzare una qualche forma di protettorato sull'Albania per avervi un maggiore controllo e per sviluppare più proficuamente le risorse albanesi.

466

IL CAPO DEL GOVERNO, MUSSOLINI, AL MINISTRO A TIRANA, JACOMONI

T. S.N.D. URGENTISSIMO 5660/52 P.R. 1 . Roma, 5 aprile 1939, ore 20,25.

Recatevi dal Re per dirgli che non mi è possibile dargli la proroga che mi chiede2 dopo tanti giorni di discussioni. Attendo sua risposta negativa o positiva a Roma domani giovedì sei non oltre le ore dodici.

466 1 Minuta autografa. 2 Vedi D. 456.

467

IL MINISTRO A BELGRADO, INDELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. S.N.D. 5491/65 P.R. Belgrado, 5 aprile 1939, ore 20 (perv. ore 22,35). Telegramma di VE. n. 591 .

Ho dato la lettura a Cincar-Markovié della comunicazione di V.E. concernente l'Albania. Egli aveva già avuto le informazioni da Christié2 che aveva telegraficamente incaricato di ringraziare V.E. di averlo voluto mettere esattamente al corrente di una situazione che a suo avviso è l 'attuazione di una manovra in grande stile con la quale la notoria malafede di Re Zog tenta di turbare la cordialità dei rapporti italo-jugoslavi. È particolarmente grato che VE. si sia dichiarato disposto ad incontrarsi con lui ed è pronto a partire al minimo cenno per il luogo del convegno. Ha testualmente aggiunto: «Re Zog è troppo piccolo personaggio per riuscire a disturbare la situazione consolidatasi fra i nostri due Paesi. D'altra parte, sono sicuro che l'azione di Roma terrà conto dello spirito del patto3 che ci lega anche nei riguardi albanesi».

Ha mostrato di rendersi conto delle circostanze che possono imporre una effettiva tutela della difesa degli interessi e delle persone degli italiani residenti in Albania. A mio modo di vedere, ove possibile un incontro di VE. con Cincar sarebbe sommamente opportuno.

468

L'AMBASCIATORE A MOSCA, ROSSO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 1696/39 R. Mosca, 5 aprile 1939, ore 20,40 (perv. ore 23,15).

Attiro l'attenzione di VE. su editoriale Journal de Moscou segnalato con odierno telegramma Stefani n. 32.

Carattere ed ispirazioni ufficiose dell'articolo sono confermate dal fatto che il suo testo è stato comunicato a questi corrispondenti esteri dall'ufficio stampa del Narkomindiel prima che giornale fosse messo in circolazione.

Sono sintomatiche severe critiche rivolte alla politica estera polacca e i dubbi espressi circa sincerità odierno atteggiamento del governo di Varsavia.

2 Vedi D. 452, nota 2.

3 Riferimento agli accordi italo-jugoslavi del 25 marzo 1937 (Vedi D. 86, nota 3).

Ugualmente sintomatiche apprensioni manifestate per l'attività di Chamberlain che si giudica non abbastanza chiara e decisa. Questa ambasciata di Inghilterra se ne mostra fortemente irritata.

Venendo dopo la smentita Tass circa promessa di aiuto U.R.S.S. alla Polonia, odierna manifestazione ufficiosa della politica sovietica, la quale insiste sul tema della sicurezza collettiva con allusione anche ad Estremo Oriente, mi conferma nella opinione già espressa coi miei telegrammi nn. 37 1 e 382 di ieri.

467 1 Vedi D. 452.

469

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, ALL'INCARICATO D'AFFARI A LONDRA, CROLLA

T. S.N.D. 5671/38 P.R. Roma, 5 aprile 1939, ore 23,45.

La stampa inglese di oggi è qui apparsa bene intonata. Continuare per quanto possibile a indirizzarla sulla linea finora seguita accentuando il fatto che ogni questione italo-albanese è da considerarsi come questione di politica interna.

470

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, ALL'AMBASCIATORE A BUENOS AIRES, PREZIOSI

T. 5674/62 P.R. Roma, 5 aprile 1939, ore 23,45.

Vostro n. 70 1•

Senza attendere che misure vengano prese contro nostre istituzioni, trovate occasione di fare opportunamente rilevare che posizione italiani costà, benefici che Argentina ha tratto da lavoro nostri connazionali e lealtà assoluta da questi sempre osservata vi danno diritto ritenere che istituzioni italiane non possano essere parificate ad altre organizzazioni straniere che hanno dato luogo a rilievi o che come quelle comuniste rappresentano un reale pericolo per solidità nazione.

2 Vedi D. 446, nota 3.

468 1 Vedi D. 446.

470 1 Vedi D. 450.

471

IL CONSOLE A BRATISLAVA, LO FARO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 1865/05 R. Bratislava, 5 aprile 1939 (perv. il 13).

Riferimento: mio telegramma per corriere n. 04 del 2 c.m. 1•

I particolari dell'accordo slovacco-ungherese per la delimitazione frontiera Slovacchia Orientale hanno confermato qui impressione che azione militare magiara, come quella diplomatica, si è risolta in un grave scacco in quanto non è riuscita a raggiungere seri obbiettivi propostisi (ferrovia Kassa-Eperjes-frontiera polacca o almeno ferrovia Satoraljaujhely-Michalovce-Humenné-frontiera polacca). Nuovo territorio acquistato dall'Ungheria ha una profondità media di 20-25 Km, con una popolazione -in massima parte rutena -di circa 40.000 abitanti. A parte breve tratto superiore ferrovia Velky Berezny-Runina che non continua verso Polonia, zona annessa non avrebbe importanza di sorta.

Ambienti ufficiali slovacchi sottolineano per converso il vantaggio di avere con poca spesa «definitivamente» liquidato rivendicazioni, sedicenti rutene, fino a Propad, e di avere dato sistemazione giuridica internazionale alla frontiera orientale, che, una volta fissata, rientra sotto la protezione dell'integrità territoriale della Slovacchia prevista dal trattato di Berlino del 23 marzo.

Per quanto il governo dichiari che nessun'altra questione si oppone allo stabilimento di relazioni amichevoli e di larghe intese nel campo economico con l'Ungheria (per queste ultime Budapest si sarebbe dichiarata disposta a trattare prossimamente), permane nell'opinione pubblica un forte risentimento-di cui si fanno interpreti anche elementi responsabili in pubblici discorsi -per il metodo «né cavalleresco, né umano» adottato dal governo ungherese nella questione.

A conferma di elementi informativi da me riferiti sull'atteggiamento antimagiaro dei locali esponenti tedeschi (per ultimo mio telespresso n. 120 del 29 marzo u.s.)2 , aggiungo che, avendo avuto occasione di rilevare in autorevole sede competente il contrasto fra le dichiarazioni -ora conciliative ed ora ostili -degli esponenti slovacchi verso Budapest, mi è stato risposto che quelle ostili «rispondono piuttosto alla necessità del governo slovacco di tenere conto delle disposizioni degli altri verso l'Ungheria ..».

2 Non rintracciato.

472.

COLLOQUIO TRA IL GENERALE P ARIANI ED IL GENERALE KEITEU

PROMEMORIA. Innsbruck, 5 aprile 19392•

l) Il Generale Keitel dichiara per incarico del Fiihrer che la Germania in qualunque caso di guerra sarà a fianco dell'Italia.

2) Il Generale Pariani comunica che il Duce ha sempre confermato l'intangibilità dell'Asse. Il Duce gli ha dato incarico di informare che in caso di guerra contro la Francia isolata l 'Italia chiederà alla Germania soltanto un aiuto in materiali dato che essa ha forze sufficienti per condurre la lotta.

3) Il Generale Keitel accenna alla difficoltà di localizzare la guerra fra l 'Italia e la Francia. È da ritenere che l'Inghilterra, inizialmente in forma larvata venga in aiuto alla Francia e che gradatamente si sviluppi una guerra contro le due Potenze occidentali così che la Germania venga costretta intervenire più tardi in circostanze sfavorevoli per una guerra di rapida decisione.

4) Il Generale Pariani chiarisce che ha inteso riferirsi al caso di un conflitto limitato all'Italia e alla Francia. Se invece il conflitto si dovesse allargare è evidente che sarebbe meglio senz'altro iniziare una guerra insieme con la Germania.

5) Il Generale P ariani e il Generale Keitel concordano nell'opinione che sia inevitabile nell'avvenire un conflitto con le due grandi Potenze occidentali. Le migliori possibilità si avr[ ebbe]r[o s ]e fosse possibile iniziare una guerra insieme e di sorpr[esa in] un momento favorevole per gli Stati totalitari.

6) Il momento più propizio per una tale guerra p[ otrebb]e verificarsi fra qualche anno, quando cioè gli armamenti [dell'Ital]ia e della Germania avessero raggiunto una più completa [efficien]za e d'altra parte gli armamenti dell'Inghilterra fossero ancora incompleti.

7) Il Generale Pariani e il Generale Keitel sono d'accordo nel tenere presente che queste conversazioni riguardano soltanto l'aspetto militare della questione e non le decisioni politiche di competenza dei Capi.

8) Il Generale Pariani e il Generale Keitel sono anche d'accordo nel ritenere che sia necessario prendere in considerazione due eventualità: una guerra di rapida decisione e una guerra di lunga durata.

È in ogni caso di grande importanza che siano assicurati i rifornimenti degli Stati balcanici. Questo verrà ottenuto nel modo migliore col mantenimento dell'indipendenza di tali Stati (Romania, Bulgaria, Jugoslavia) e con lo sviluppo della loro capacità economica per il quale Germania e Italia potranno collaborare.

9) Il Generale Pariani e il Generale Keitel concordano, infine, anche sulla necessità che l'Italia e la Germania si prestino reciproco appoggio non soltanto nel campo militare ma anche in quello economico.

2 Questo documento e gli altri documenti relativi all'incontro di Innsbruck tra i generali Pariani e Keitel indicati nella nota precedente furono inviati in copia dal sottosegretario Pariani a Ciano con lettera segreta del 17 aprile.

473.

L'ADDETTO MILITARE A BERLINO, MARRAS, AL SOTTOSEGRETARIO ALLA GUERRA, PARIANI

PROMEMORIA. Jnnsbruck, 5 aprile 19392 •

l) Il Generale Keitel ha informato che proporrà al Fiihrer un incontro e uno scambio diretto di idee col Duce per l'esame politico della situazione nei riguardi di un futuro conflitto con le Potenze occidentali.

Il concetto espresso dal Generale Keitel e che sembra riflettere il pensiero del Fiihrer è che non convenga impegnare in un avvenire immediato un conflitto con la Francia che inevitabilmente si estenderebbe anche all'Inghilterra [ma] che debba invece atirontarsi la guerra con le Potenze occidentali fra qualche anno (3-4) ossia quando Italia e Germania avranno raggiunto un adeguato grado di apprestamento. La guerra dovrebbe essere iniziata contemporaneamente, di sorpresa nel momento voluto in modo da assicurare le massime probabilità di un rapido successo.

2) Il Generale Keitel ha fatto presente che la Germania avrebbe intenzione di ritirare dalla Spagna le proprie truppe dopo la solenne rivista che si svolgerà a Madrid. Per ogni decision[e] al [ri]guardo intende però mettersi d'accordo con l'Italia e ciò anc[he] per tutte le questioni che riguardano l'azione in Spagna.

In particolare occorre che siano presi accordi circa:

-il rimpatrio delle truppe;

--la cessione di materiali di armamento alla Spagna;

-l'appoggio che potrà essere dato per l'organizzazione milit[are].

Fa presente l'interesse che ha la Germania alla predisp[osi]zione di punti di appoggio per sommergibili sulle coste iberiche o per lo meno a impedire che siffatti punti d'appoggio vengano costituiti dall'Inghilterra o dalla Francia.

3) Nel corso del colloquio è stata messa in rilievo l'importanza di un sollecito esame in comune delle necessità e delle possibilità di rifornimento in caso di guerra e in particolare delle risorse degli Stati balcanici della loro ripartizione e delle vie di affluenza.

In connessione con questo problema e nei riguardi della collaborazione operativa si presenta anche lo studio delle comunicazioni fra l'Italia e la Germania e dell'aumento della loro potenzialità.

Il Generale Keitel ha proposto che il comando superiore della Wehrmacht e in particolare l'ufficio dell'economia di guerra si metta a contatto con gli organi corrispondenti italiani.

2 Questo documento e gli altri documenti relativi ali' incontro di Innsbruck tra i generali P ariani e Keitel indicati nella nota precedente furono inviati in copia dal sottosegretario Pariani a Ciano con lettera segreta del 17 aprile.

471 1 T. per corriere 1694/04 R. del 2 aprile. Riferiva che, come era indicato da molti elementi, nelle trattative in corso tra slovacchi e ungheresi per la delimitazione delle frontiere comuni l'atteggiamento degli slovacchi sembrava essere stato concordato con Berlino, così come era da ritenere che fosse stato su suggerimento di Berlino che gli slovacchi si erano opposti con le armi al tentativo ungherese di penetrare in territorio slovacco. In questo modo, il governo ungherese aveva dovuto rinunciare al suo obbiettivo di giungere ad una spartizione della Slovacchia.

472 1 Questo documento e i DD. 473, 488 e 489 sono stati già pubblicati nel volume XIII di questa serie, appendice III.

473 1 Questo documento e i DD. 472, 488 e 489 sono stati già pubblicati nel volume Xlll di questa serie, appendice rn.

474

IL MINISTRO A TIRANA, JACOMONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. S.N.D. 5498/77 P.R. Tirana, 6 aprile 1939, ore 4,40 (perv. ore 8,30).

Affrettami riferire per dovere d'ufficio che ho ricevuto stasera visita di Abduraman Mati e di Mussa Juka i quali si offrivano di patrocinare accettazione quasi integrale del testo dell'accordo, salvo chiarimenti sul significato dell'articolo 4 circa stabilità o meno di nostre forze qui e di qualche modificazione all'articolo 8.

Sono poi venuti da me presidente del Consiglio e il ministro degli Affari Esteri i quali mi hanno consegnato ufficialmente il testo delle controproposte albanesi. Esse sono:

Articolo l o invariato.

Nell'articolo 2° sarebbero soppresse le parole «sovranità e alla integrità e all'indipendenza» e sarebbe aggiunta dopo la seconda parola l'illustrazione seguente: «come previsto dal trattato di alleanza d'accordo con il governo albanese».

Articoli 3° e 4° fusi in un solo articolo del seguente tenore: «Il governo albanese, riconoscendo la necessità di fornire al governo italiano tutte le facilitazioni necessarie all'adempimento delle reciproche obbligazioni, in base a preventive intese, concederà, al governo italiano l'uso dei porti e delle vie di comunicazioni».

Articolo 5° immutato.

Articolo 6° suonerebbe così: «L'Italia, mediante tecnici e specialisti, presterà tutta la sua assistenza tecnica e finanziaria all'organizzazione e funzionamento dello Stato albanese».

Articolo 7° immutato. Nell'articolo 8° soppressa la parola «politici» e alla fine dell'articolo sarebbe aggiunto «in conformità delle disposizioni statutarie».

Nel farmi fare queste comunicazioni il Re mi ha fatto anche dire che avrebbe gradito di definire, subito dopo la firma, parte militare col generale Pariani 1•

475.

L'INCARICATO D'AFFARI A LONDRA, CROLLA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. S.N.D. 5499/142 P.R. Londra, 6 aprile 1939, ore 0,50 (perv. ore 9,20).

A seguito delle istruzioni telefoniche che mi avete fatto oggi pervenire 1 , mi sono subito messo in contatto col Foreign Office.

Essendo tanto Halifax quanto Cadogan impegnati tutta la giornata e la serata con Beck (il quale era ospite dei Sovrani a Windsor), ho veduto Sargent e gli ho fatto la comunicazione prescrittami.

Gli ho chiesto in particolare, in conformità delle istruzioni di V.E., quale significato abbia la nota diramata da Agenzia Reuter iersera, la quale appare incomprensibile al Governo Fascista dato che l'Albania è un interesse esclusivamente italiano e come tale universalmente riconosciuto.

Sargent ha anzitutto osservato che la nota Agenzia Reuter era una semplice nota giornalistica e che quindi non aveva carattere ufficiale. D'altra parte, egli non era in grado, senza avere consultato il suo ministro, di dirmi se e sino a quale punto il contenuto della Agenzia Reuter coincidesse con il punto di vista del governo britannico.

Sargent ha soggiunto che egli prendeva nota del punto di vista del Governo Fascista ma che intanto, a titolo personale, doveva dirmi che mentre poteva riconoscere la esistenza di speciali interessi italiani Albania, trovava difficile ammettere che tali interessi potessero essere considerati come esclusivi e che ciò fosse senz'altro riconosciuto da tutti.

Sargent mi ha poi chiesto se doveva interpretare la mia comunicazione nel senso che il Governo Fascista consideri l'Albania al di fuori della portata degli accordi italo-inglesi concernenti statu quo nel Mediterraneo. In tal caso egli avrebbe dovuto fare le più ampie riserve.

Gli ho risposto ripetendogli che Governo Fascista considera l'Albania un interesse esclusivamente e incontestabilmente italiano. Sargent a questo punto mi ha manifestato una certa ansietà per la attuale situazione dei rapporti italo-albanesi e mi ha domandato se potevo dargli qualche delucidazione in proposito. Mi sono allora espresso testualmente con Sargent secondo indicazioni contenute nei telegrammi di VE. 5495 e 5496 18 corrente2 sottolineando la pericolosità della situazione che si va sviluppando in Albania.

Sargent mi ha ringraziato delle informazioni che gli davo, di cui ha preso atto. Dopo avermi ripetuto le sue precedenti riserve per quanto riguarda la portata degli accordi italo-inglesi, Sargent ha espresso la speranza che per intanto le conversazioni diplomatiche possono dirimersi a Tirana e condurre ad un amichevole componimento della vertenza italo-albanese, ed ha aggiunto che comunque egli avrebbe subito riferito ad Halifax il contenuto delle mie comunicazioni3 .

476.

L'AMBASCIATORE A VARSAVIA, ARONE, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 1705/86 R. Varsavia, 6 aprile 1939, ore 4,30 (perv. ore 11,40).

Mio telegramma n. 821 .

Mentre notizie qui giunte oggi da Londra lasciano ritenere che conversazioni anglo-polacche2 pur con qualche difficoltà si avviino alla conclusione di un accordo bilaterale di carattere difensivo, si nota in questi circoli politici una maggiore preoccupazione per le reazioni di Berlino.

Pertanto, da parte polacca si fa di tutto per sostenere che eventuale accordo polacco-inglese non dovrebbe portare pregiudizio al patto del 1934 di non aggressione con la Germania3 allo stesso modo che questo ultimo non fu incompatibile coi preesistenti accordi della Polonia con la Francia4 .

Intanto, ad evitare inasprimento della tensione con la Germania mi risulta che questo governo ha dato istruzioni rigorose alle Autorità delle province confinanti con la Germania affinché usino tolleranza verso le minoranze tedesche onde impedire incidenti.

474 1 Sul documento vi è il timbro: «Visto da S.E. Mussolini». Secondo quanto Ciano annotava nel suo Diario (sotto la data del 6 aprile), le controproposte albanesi, ancorché presentate prima dell'ultimatum di Mussolini, non furono prese in considerazione e Mussolini diede l'ordine di imbarco riservandosi di dare in serata quello di partenza.

475 1 Vedi D. 464. 2 Sic. I telegrammi s.n.d. 5495/c. P.R. e 5496/c. P.R. hanno la data del 4 aprile. Sono qui pubblicati come D. 449. 3 Sul colloquio tra Crolla e Sargent si veda anche il circostanziato resoconto contenuto nel dispaccio inviato da Lord Halifax all'ambasciatore Perth in BD, vol. V, D. 88.

477

IL MINISTRO A TIRANA, JACOMONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. S.N.D. URGENTISSIMO 5527/80 P.R. Tirana, 6 aprile 1939, ore 14,30 (perv. ore 16,10)

Ho fatto a Re Zog comunicazione di cui al telegramma del Duce 1 mettendo bene in chiaro che la risposta positiva o negativa doveva riferirsi al testo integrale delle nostre proposte.

Re Zog mi ha risposto che personalmente non poteva prendere impegni, egli non era in grado di modificare di sua iniziativa controproposte presentate ieri e da me riferite all'E.V. 2 essendogli necessario sentire nuovamente Consiglio dei ministri ed alcuni parlamentari.

Ho evocato ai suoi occhi la gravità delle conseguenze che potevano derivare da una tale decisione.

Re Zog visibilmente commosso mi ha dichiarato che la [accettazione] integrale

2 Riferimento alla visita a Londra del ministro degli Esteri polacco, Beck, del 3-6 aprile. Sulle conversazioni avvenute in quella circostanza si veda BD, vol. V, DD. l, 2, l O, Il e 16.

3 Vedi D. 27, nota 2.

4 Riferimento al Trattato di mutua garanzia tra Francia e Polonia del 16 ottobre 1925. Testo in MARTENS, vol. XVIII, pp. 655-656.

2 Vedi D. 474.

delle nostre proposte come suo gesto personale poteva apparire lesiva del suo onore e non poteva ormai che rimettersi alle decisioni del suo governo. Per conoscere queste, egli ha chiesto tempo fino alle ore 18 di oggi. Gli ho promesso di trasmettere a V.E. questa sua preghiera pur ripetendogli, però, che il Duce aveva invece fissato come ultimo termine della sua attesa le ore 12 di stamane: che non sapevo quindi, in ogni caso, se la sua risposta non sarebbe arrivata troppo tardi. Pregherei di telegrafarmi subito l'ora previamente fissata per l'entrata del convoglio nelle acque territoriali albanesi onde averne norma per l'imbarco sulla torpediniera di stanza a Durazzo dei pochi funzionari restati qui non appartenenti alla missione diplomatica3 .

476 1 Vedi D. 445.

477 1 Vedi D. 466.

478

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, AL MINISTRO A TIRANA, JACOMONI

T. S.N.D. 5726/57 P.R. 1 . Roma, 6 aprile 1939, ore 17,40.

Vostro 802 .

Operazioni imbarco e partenza procedono ormai regolarmente e convoglio giungerà Durazzo e negli altri porti prestabiliti ore 4,30 (dico quattro e trenta) di domani venerdì 7 aprile. Sbarco avrà immediato inizio. Qualora Zog modificasse nel frattempo sua decisione ed accettasse nostre richieste faremmo opportune comunicazioni radiotelegrafiche al Comando del Corpo di Spedizione.

479

IL MINISTRO A TIRANA, JACOMONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. S.N.D. 5553/83 P.R. e 5557/84 P.R. Tirana, 6 aprile 1939, ore 20,20 (perv. ore 21).

Re Zog ha inviato da me stasera Libohova e Medi Frasceri per farmi seguente comunicazione che riferisco per dovere d'ufficio:

«Il governo albanese mantiene la controproposta che vi è stata rimessa iersera da noi 1 ma accetta di concludere una convenzione di ordine militare che determinerebbe le condizioni nelle quali il governo accederebbe a uno sbarco delle truppe italiane. Sarebbe desiderio del governo albanese che sia proceduto alla conclusione di

2 Vedi D. 477.

detto accordo possibilmente con il Generale Pariani; senza ciò sbarco di truppe sarebbe considerato dali' Albania come un atto di ostilità armata».

Medi Bey, ex presidente Consiglio, non ha certo contribuito col suo atteggiamento ostile a farmi ricevere questa proposta nemmeno con un minimo di benevolenza. Egli, che ha evidentemente preso sopravvento sul Re, contribuirà certamente ad aggravare situazione e sono convinto dopo colloquio stasera che sarà da attribuire a lui in gran parte se ostilità armata albanese sarà più tenace2•

477 3 Il documento ha il visto di Mussolini.

478 1 Minuta autografa.

479 1 Vedi D. 474.

480

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, ALL'INCARICATO D'AFFARI A LONDRA, CROLLA

T. 5744/40 P.R. Roma, 6 aprile 1939, ore 21,40.

Dite a Chamberlain che il Duce ha letto con molto interesse sue dichiarazioni alla Camera dei Comuni circa Albania 1 e aggiungetegli assicurazione che la soluzione della questione itala-albanese avverrà in forma tale da non provocare crisi nei rapporti itala-britannici e nella situazione internazionale in genere2 .

481

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, AL MINISTRO A TIRANA, JACOMONI

T. S.N.D. 5766/58 P.R. Roma, 6 aprile 1939, ore 23,45.

Vostro 83 1•

Se il governo albanese ha qualche cosa da dire la comunichi al Comandante delle truppe prima che avvenga lo sbarco. Il Comandante truppe riferirà a Roma. Pariani non potrebbe comunque venire essendosi recato in Germania per accordi con Capo Stato Maggiore tedesco. Comunicate quanto precede a codesto governo.

2 Si veda per il seguito il D. 496.

479 2 Per la risposta da Roma si veda il D. 481.

480 1 Rispondendo ad una interrogazione, Chamberlain aveva dichiarato che la Gran Bretagna non aveva interessi specifici in Albania ma solo «un interesse generale alla pace nel mondo» e alla domanda se era stato fatto presente a Roma che una violazione dell'indipendenza albanese avrebbe costituito una violazione degli accordi itala-britannici per il mantenimento dello status quo nel Mediterraneo, si era limitato a rispondere che il governo italiano era perfettamente consapevole dei termini di tale accordo.

481 1 Vedi D. 479.

482

L'AMBASCIATORE A SALAMANCA, VIOLA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. S.N.D. 5588/79 R. San Sebastiano, 6 aprile 1939, ore 24 (perv. ore 7,30 del 7).

Telegramma di V.E. n. 134 1• Si è ottenuto che la questione della pubblicazione adesione Spagna Patto Anticomintem fosse portata ieri davanti Consiglio dei ministri presieduto da Franco.

Consiglio terminato a tarda notte ha deciso favorevolmente. Oggi stabiliremo d'accordo con questo ministro Esteri testo del comunicato che potrà probabilmente essere reso pubblico sabato mattina2• Telegraferò testo appena possibile.

Tengo a segnalare confidenzialmente a VE. che, dietro mio personale interessamento, Serrano Sufier ha svolto in Consiglio dei ministri azione assolutamente decisiva.

483

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. SEGRETO 2712/... Berlino, 6 aprile 1939 1•

Con mia nota 25 gennaio2 io informai l'E.V. che il signor von Ribbentrop aveva tenuto a tutti gli Ufficiali superiori dell'Esercito una conferenza sulle linee generali e gli scopi della «politica estera tedesca», conferenza nella quale il ministro aveva naturalmente tenuto a valorizzare la nuova politica triangolare e specialmente l'Asse.

Von Ribbentrop mi aveva promesso di farmi leggere qualcuno dei brani, più interessanti per l 'Italia, di questa conferenza. Egli ha ora mantenuto la promessa. E l'altro giorno, mentre ero da lui per una conversazione generale-utilizzando una breve parentesi imposta al nostro colloquio dal sopraggiungere del Generale Keitel che doveva partire per Innsbruck (incontro con Pariani? -mi ha pregato, mentre egli si intratteneva con Keitel, di leggere alcuni passi del discorso stesso che aveva fatto appositamente tradurre per me.

2 Telespresso 662/191 de125 gennaio, non pubblicato. Nel riferire in proposito, l'ambasciatore Attolico aveva osservato che l'iniziativa di von Ribbentrop gli era apparsa molto opportuna perché sarebbe servita a svegliare l'interesse dei militari per l'Italia. Il documento ha il visto di Mussolini.

3 Del 5-6 aprile. Vedi DD. 472, 473, 488 e 489.

Io ignoro se Ribbentrop-si trattava di una traduzione in lingua italiana ch'egli non conosce -si sia reso conto che il documento che egli metteva nelle mie mani rappresentava-almeno così ne ho avuta l'impressione-la traduzione completa del suo discorso (31 cartelle formato protocollo). Ignoro pure se egli intendesse che io dovessi leggerne solo determinate pagine ch'egli mi aveva esibito e non altre. Sta in fatto che, dato che la conversazione con Keitel si prolungava oltre il previsto, io ho avuto modo di leggere attentamente tutta la conferenza, fissandone bene nella mia memoria i tratti essenziali.

Il ministro Ribbentrop esordisce ricordando il legame che esiste fra guerra e politica estera, in proposito rievocando la nota definizione essere la politica estera la continuazione «con altri mezzi» della guerra, e stabilisce quindi che politica di pace e politica di guerra formano una sola ed inscindibile cosa, tutto -comprese le forze, e le cosidette leggi, economiche -dovendo essere subordinato ad un unico intento il potenziamento della madre patria al punto da farle acquistare l'assoluto predominio delle situazioni che la confrontano e ciò sia con mezzi pacifici, attraverso il peso stesso della preparazione bellica, sia, occorrendo, con la guerra.

L'oratore stabilisce quindi come segue le tre tappe successive del piano costruttivo del Fiihrer in fatto di politica estera:

l) unione graduale e definitiva di tutti i tedeschi all'interno del Rei c h; 2) raggiungimento della piena sovranità della Germania e della sua uguaglianza di diritti sul piano internazionale; 3) inizio e sviluppo della politica delle alleanze.

Dopo aver tratteggiato a grandi linee gli avvenimenti che hanno successivamente caratterizzato le prime due fasi, Ribbentrop si dilunga più particolarmente sulla terza fase, quella delle alleanze, dicendo espressamente che essa fu iniziata con l'invio a Londra di lui stesso, Ribbentrop, nell'autunno del 1936 ed un tentativo-concreto e ripetuto -di arrivare ad una alleanza con l 'Inghilterra. Questa alleanza rispondeva, secondo le parole dell'oratore, alle naturali inclinazioni del Fiihrer. Ribbentrop-che nella circostanza dimentica di parlare delle inclinazioni proprie -non spiega le ragioni di queste «naturali» inclinazioni del Flihrer, limitandosi ad ammettere in tutta la sua argomentazione come assiomatico che i sentimenti del Fuhrer (riflessioni di Hitler nel Mein Kampf?) e della Nazione tedesca dovessero rivolgersi, in primissimo luogo, verso l'Inghilterra. Mentre, con l'accordo navale del1935 4 , Ribbentrop aveva incominciato con la Gran Bretagna una politica di riavvicinamento, nell'autunno 1936 -rinunziando al posto di ministro degli Affari Esteri del Reich già offertogli dal Fiihrer -va a Londra per svilupparvi tutta una larga politica di alleanza, praticamente intesa a stabilire il predominio anglo-germanico in Europa e nel mondo.

Elementi dell'alleanza: l) riconoscimento definitivo e permanente del predominio marittimo della Gran Bretagna mediante conferma a tempo indeterminato dell'accordo navale del 1935;

D. 189, nota 2).

2) riconoscimento da parte tedesca delle <<frontiere renane» -secondo la concezione di Baldwin-della Gran Bretagna e quindi garanzia della integrità territoriale:

a) della Francia,

b) del Belgio,

c) dell'Olanda;

3) garanzia da parte tedesca di tutto l'Impero Britannico (e quindi anche delle sue comunicazioni) anche con partecipazione attiva sia delle proprie forze di terra, sia di quelle di mare.

E tutto ciò soltanto contro: 4) il riconoscimento da parte inglese del diritto tedesco ad alcuni «riaggiustamenti politici nell'Europa Centrale ed al riacquisto delle sue colonie».

Il trattato avrebbe dovuto avere la durata di 25 anni.

Esso era stato ormai discusso in tutti i suoi particolari e-per ben due volte nel corso del 1937-il Primo Ministro inglese era stato sul punto di venire a Berlino a negoziare. e definitivamente stringere. col Ftihrer. entrambe le volte tuttavia interferenze perturbatrici francesi (Parigi aveva. non si sa come. avuto vento della cosa) essendo all'ultimo momento riuscite a frustrare tutti i progetti dell'inviato di Hitler.

Dal definitivo rifiuto inglese Ribbentrop è costretto a concludere che con la Gran Bretagna non c'era più nulla da fare e, alla prima occasione, si ritira da Londra.

Esclusa ogni possibilità di intesa con l 'Inghilterra. era altrettanto «naturale» -continua nella sua esposizione Ribbentrop -che la Germania mettesse gli occhi sull'Italia.

(Ciò mi fa ricordare le parole di Neurath il quale più di una volta mi ha detto: «In Italia si ritiene che io sia un anglofilo e Ribbentrop un italofilo. Quanto vi ingannate». Evidentemente, Neurath voleva alludere a tutto il lavorio di Ribbentrop per una alleanza anglo-tedesca ed al fatto che la sua italofilia era-per lo meno -di fresca data e comunque conseguente ai disinganni londinesi).

A giustificazione della politica del! 'Asse rimasta ora la sola possibile per la Germania, Ribbentrop invoca: comunanza ideologica; sostegno nella lotta per la uguaglianza dei diritti; contegno dell'Italia nel caso austriaco prima (famoso telegramma del Flihrer al Duce «non dimenticherò mai quello che hai fatto» )5 , e in quello dei Sudeti dopo. Tutti questi elementi risultano, devo dire, nel documento da me visto tutti bene lumeggiati e valorizzati.

Ribbentrop passa quindi ad esporre la ulteriore, evidente convenienza di integrare l'Asse con un punto di appoggio in Oriente mediante un'intesa politica col Giappone, capace di neutralizzare eventuali velleità russe ed americane. Questa intesa a tre, come quella a due, vengono descritte nel documento come di incrollabile solidità, perché basate sulla evidente coincidenza e comunanza di interessi e anzi sulla necessità da parte dei partecipanti all'intesa stessa di andare-checché avvenga-di accordo e sostenersi a vicenda.

Ma la politica del Flihrer non si è fermata né si ferma qui. Il Ftihrer ha compreso che la Germania non può e non deve più combattere su due fronti, eventualità que

sta che viene da Ribbentrop considerata -evidentemente a calmare le ansie dei militari -come assolutamente vitanda. A questo risultato concorrono -secondo Ribbentrop -la dichiarazione Hitler-Chamberlain6 , la dichiarazione RibbentropBonnet di ParigF con conseguente assicurazione delle frontiere del Reno e quindi la pratica esclusione di aggressioni francesi; la politica di amicizia con la Jugoslavia; e, sopratutto, la attitudine tedesca nei riguardi della Polonia, costituente uno dei pilastri della politica hitleriana, destinato (Ribbentrop parlava in gennaio) a schiudere alla Germania le vie dell'Oriente europeo, un solo nemico restando, irreconciliabile e definitivo, per la Germania, e cioè la Russia Sovietica.

Interessante notare che nel quadro di possibili schieramenti futuri sono compresi in un solo gruppo oltre gli 85 milioni di tedeschi e i 45 milioni di italiani (potenziati questi dalla «forza titanica» di Mussolini) anche i 10 milioni di Ungheresi. Nessuna menzione è invece fatta. né dei jugoslavi. né dei polacchi. evidentemente destinati soltanto ad una benevola neutralità.

Segue, nel documento da me visto, una descrizione della crescente potenza della Germania e dei compiti spettanti alle forze tedesche il cui potenziamento -mediante la convergenza di tutte le forze economiche interne e lo sviluppo della politica commerciale estera al solo scopo della guena-rimane il compito primo, se non unico del regime. Ed è solamente attraverso questo potenziamento. e la conseguente dimostrazione della invincibilità tedesca che la Germania-continua sempre Ribbentrop-riuscirà -visto che ogni altro mezzo è mancato -a venire finalmente ad una intesa con l'Inghilterra (interessante come l'intesa con l'Inghilterra rifaccia capolino pure nella nuova situazione come scopo ultimo della politica tedesca), in definitiva raggiungendo quelli che sono gli scopi fondamentali della politica tedesca e cioè:

l) acquisto di uno spazio vitale in Europa corrispondente ai suoi bisogni e alle sue possibilità di vita;

2) acquisto di in impero coloniale «proporzionato alla sua grandezza in Europa».

E il discorso ha così fine. Discorso che se è certamente molto piaciuto agli uditori tedeschi, contiene però ampia materia di ponderata riflessione per i non tedeschi. In tutto il documento non ho trovato in solo accenno alla solenne promessa del Fiihrer8 sulla inviolabilità della frontiera del Brennero9•

ottava, vol. IX, D. 56, nota l, sub 9. 9 Il documento ha il visto di Musso lini che sulla prima pagina ha scritto: «Importante».

484.

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 2 716/819. Berlino, 6 aprile 19391•

Mi risulta da buona fonte che, nelle pochissime ore che il Fiihrer ha passato qui ieri, egli ha tenuto a farsi mettere al corrente, minutamente, della situazione politica. Sembra che egli abbia deciso di prendere interamente la questione nelle sue mani e che, per prima cosa, abbia dato ordine alla stampa, abbandonando l'attitudine aggressiva già assunta per ordine di Ribbentrop, di ripiegare sopra una attitudine di relativo riserbo.

Ciò mostrerebbe l'intenzione del Fiihrer:

a) di non acuire ulteriormente la situazione con la Polonia. pro tanto rinunziando. almeno per il momento. a qualunque velleità di colpi di mano su Danzica. corridoio. etc.;

b) di non voler abbandonare la politica di intesa con la Polonia iniziata con gli accordi del 19342 .

Questi circoli diplomatici sono tuttavia assai preoccupati delle notizie provenienti da Londra sulla reciprocità -voluta da Beck per ragioni di prestigio -della garanzia inglese alla Polonia3 . Questa reciprocità, si argomenta, pone in chiara luce il potenziale inizio di una nuova politica di accerchiamento della Germania. E dato che la eventualità di combattere su due fronti costituisce un vero e proprio incubo per i Tedeschi, ove per poco un sistema di patti simili a quello anglo-polacco dovesse estendersi alla Romania e alla Jugoslavia, l'accerchiamento della Germania diventerebbe evidente e, con esso, fatale e prepotente il bisogno della Germania di Iiberarsene al più presto, magari mediante una guerra preventiva.

Unico elemento di ottimismo nella situazione, è trovato nella possibilità per la Polonia-ora che si sente riassicurata dall'Inghilterra e che quindi ha superato lo stato di panico in cui era evidentemente piombata qualche settimana fa -di trattare ed intendersi con la Germania per Danzica ed il Corridoio. Farlo prima, si argomenta, sarebbe stato per la Polonia mostrare di cedere alla paura; ora invece no, e d'altronde potrebbe venirvi incoraggiata -sempre a situazione più calma -dalla stessa Inghilterra, la quale dopo tutto anche adesso, non desidera complicazioni belliche. Che, se essa ha ecceduto nelle misure di difesa preventiva contro la guerra procedendo prima alle note consultazioni ed ora ai noti patti, ciò è dovuto proprio al suo desiderio di non rischiare ora una guerra continentale.

In questo senso si esprimeva con me oggi questo Ambasciatore del Belgio ritornato or ora da Bruxelles, dove dice avere attinto notizie direttamente a Corte. A Bru

2 Vedi D. 27, nota 2.

3 Vedi D. 429.

xelles, mi soggiungeva pure Davignon, si ritiene anche che, date le relazioni fra la Polonia e l'Italia, questa potrebbe aver modo di esercitare una assai benefica influenza per il ristabilimento di relazioni normali fra Varsavia e Berlino4 .

482 1 T. 256/134 R. de14 aprile con cui-su richiesta di Berlino-si dava incarico all'ambasciatore Viola di affiancare l'azione del suo collega di Germania per indurre il governo spagnolo ad accettare che l'adesione della Spagna al Patto Anticomintern fosse subito resa pubblica.

2 8 aprile.

483 1 Manca l'indicazione della data di arrivo.

483 4 Riferimento al Trattato per la limitazione degli armamenti navali del 18 giugno 1935 (vedi

483 5 Vedi serie ottava, vol. VIII, D. 312.

483 6 Sottoscritta il 30 settembre a Monaco (vedi BD, vol. II, D. 1228 e DDT, vol. II, D. 676). 7 Del6 dicembre 1938. Vedi D. 123, nota 2. 8 Riferimento al brindisi pronunciato da Hitler a Palazzo Venezia il 7 maggio 1938. Vedi serie

484 1 Manca l'indicazione della data di arrivo.

485

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. SEGRETO 2717/820. Berlino, 6 aprile 19391•

Il capo del Comitato di propaganda per l'estero, Hunke. conversando con un giornalista italiano, gli ha dichiarato confidenzialmente quanto segue.

Appena ritornato da Wilhelmshaven2 , Hitler ha convocato i suoi più importanti collaboratori politici, diplomatici e militari, per consultarsi sulla nuova situazione derivante dall'atteggiamento dell'Inghilterra. In seguito a tali consultazioni, è stato deciso di sospendere la campagna contro Londra. in attesa dei risultati della visita di Beck3 e degli ulteriori sviluppi dell'azione britannica.

Hunke ha aggiunto che la Germania vuole realizzare i suoi obbiettivi pacificamente e fino a pochi giorni or sono era convinta di poter risolvere con una «pressione pacifica» le sue questioni con la Polonia. Tale convinzione è adesso tramontata, e la Germania si metterebbe su un piede di attesa, meditando sul nuovo atteggiamento da prendere. Per quel che riguarda l'Italia. Hunke ha detto che la Germania comprende com'essa non abbia simpatia per le nuove tappe del Reich: dovrebbe peraltro tener presente il fine ultimo del Reich. che è quello di garantire completamente la propria sicurezza. prima di dedicarsi a compiti comuni con l'Italia verso mète di grande impegno4 .

484 4 Il documento ha il visto di Mussolini.

485 1 Manca l'indicazione della data di arrivo. 2 Per il varo della corazzata Tirpitz. Vedi D. 442. 3 Dal 3 al 6 aprile. Vedi D. 476. 4 Sul documento vi è il timbro: Visto dal Duce.

486

IL MINISTRO A BELGRADO, INDELLI,

AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 1577/496. Belgrado, 6 aprile 1939 1•

Mio telespresso 1562/490 del 5 corrente2 .

Facendo seguito al mio telespresso di ieri, citato in riferimento, ho l'onore di trasmettere, qui unito, a Vostra Eccellenza copia di una rapporto pervenutomi oggi dal R. Consolato Generale di Zagabria sulla questione croata.

ALLEGATO

IL CONSOLE GENERALE A ZAGABRIA, GOBBI, AL MINISTRO A BELGRADO, INDELLI

TELESPR. RISERVATO 1946. Zagabria, 5 aprile 1939.

In allegato ho l'onore di trasmettere la traduzione integrale di uno schema del nuovo ordinamento jugoslavo. che dovrebbe regolare le future relazioni fra i Serbi. Croati e Sloveni3• Mi è riuscito ad avere copia del documento, che è noto solo ad una ristretta cerchia di dirigenti. Ouesto schema elaborato dal dottor Macek e da alcuni suoi collaboratori. sarebbe stato accettato dai rappresentanti della associata opposizione alloro recente convegno di Zagabria.

Mi consta che lo schema di cui sopra era stato consegnato al presidente Cvetkovié da un inviato del dottor Macek una settimana prima del suo arrivo a Zagabria. Con tale schema il signor Cvetkovié era giunto a Zagabria e non gli erano quindi nuove le richieste dei Croati.

A Vostra Eccellenza è noto il contenuto del comunicato ufficiale redatto al termine dei colloqui Cvetkovié-Macek. Credo doveroso di aggiungere in merito quanto ho saputo in seguito da buona fonte.

Macek si sarebbe fatta l'impressione che Cvetkovié. personalmente. accondiscenderebbe in massima ai desiderati del popolo croato. ma che però egli non è il fattore decisivo. sebbene sia giunto alle trattative in qualità del rappresentante del governo e di mandatario della Corona. Cvetkovié avrebbe esposto a Macek la preoccupante opposizione contro i cambiamenti sostanziali del vecchio Statuto osservata non solo negli ambienti militari superiori. ma anche in qualche ambiente influente. ed infine nello stesso Principe Paolo, il quale al momento di partire per Zagabria gli avrebbe detto: «non potrei accondiscendere alla cessione ai Croati di regioni che il popolo serbo considera non già semplicemente acquisite ma conquistate con le armi (Bosnia)».

2 Dava notizia che i gruppi di opposizione jugoslavi avevano confermato gli accordi presi in occasione della precedente campagna elettorale ed accolto le richieste dei croati circa le riforme da adottare nell'ordinamento statale.

3 Non pubblicato.

Il dottor Macek, avrebbe fatto presente al dottor Cvetkovié che le richieste, formulate nel nuovo sistema statutario, non sono affatto quelle che vorrebbero i nazionalisti croati. Aggiunse che se il governo e la Reggenza le accolgono, esse incontrerebbero tuttavia forti critiche dall'elemento estremista nazionalista croato, ma che tuttavia egli Macek, con il suo partito e con i suoi alleati politici in Croazia, le renderà accettabili dal popolo; che se però Belgrado s'avesse ad opporre anche a queste ridotte richieste croate, egli allora trasporterebbe il problema croato dal campo di politica interna al campo di politica estera e lascerebbe piena libertà di azione all'elemento frankiano.

Cvetkovié e Macek sono rimasti d'accordo che il primo esporrà ai competenti di Belgrado la situazione. che darà inizio alla azione preparatoria. ultimata la quale (non trovando serio ostacolo nei fattori decisivi serbi) si passerebbe a concordare la graduale. però celere applicazione delle richieste croate.

Come appare, le trattative di Zagabria rappresentano essenzialmente un punto di chiarimento e di concordanza di massima fra le due parti.

Però in se stesso il signor Cvetkovié, il quale risulta effettivamente bene animato anche per il suo passato, avendo egli appartenuto al gruppo Protié dal quale era sorto il primo progetto di costituzione su base federale, non ha l'autorità necessaria per imporre la soluzione. Quindi è da prevedersi che l'azione preparatoria, salvo la sua estrinsecazione in qualche provvedimento riparatorio di modesta portata, non possa avere immediatamente il suo primo effetto. Le due parti si sono lasciate impegnandosi a riprendere i colloqui dopo le feste pasquali. Le trattative si svolgeranno costà e per conto del dottor Macek verranno condotte da qualche fiduciario, in particolare dal dottor Sutej.

Le conversazioni di Zagabria si sono portate, in particolare, sopra due principali argomenti: l 'assetto militare e la fissazione delle circoscrizioni territoriali. Circa la parte militare, si è confermato il servizio da espletarsi nell'ambito territoriale, con partecipazione proporzionale ai gradi di comando e però con organizzazione unitaria. Quanto alla divisione territoriale rimane in discussione se la Bosnia verrebbe elevata a provincia autonoma ed a sé stante ovvero vada suddivisa secondo le delimitazioni di cui all'unito schema, Macek darebbe la preferenza alla prima delle due soluzioni stante la notevole prevalenza in tale circoscrizione autonoma dell'elemento croato sia musulmano, che cattolico. Si progetterebbe inoltre di costituire della Voivodina altra circoscrizione autonoma.

È stata inoltre deliberata la questione finanziaria, in rapporto ai dicasteri comuni.

In complesso i colloqui di Zagabria hanno un semplice carattere delibatorio e l'ulteriore fase dipenderà probabilmente assai. nel senso di una maggiore o minore sollecitudine ad essere portata innanzi. dal riflesso su Belgrado della situazione internazionale.

Quanto riferito è ciò che in questo primo momento sono riuscito a sapere, e rappresenta altresì le impressioni che si possono dedurre dall'ambiente più prossimo al dottor Macek, ambiente che del resto ha avuto appena i primi contatti con il proprio capo. L'impressione generale appare sufficientemente ottimistica circa i risultati, ma non si esclude che il corso delle cose possa farsi ancora difficile.

Ieri, il dottor Macek, uscendo dal Banato dopo i colloqui con il presidente Cvetkovié, è stato fatto segno ad ovazioni da parte dei funzionari e personale, dei gruppi degli uffici banovili, stipati alle finestre4 .

487.

L'AMBASCIATORE A MOSCA, ROSSO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

LETTERA PERSONALE1 . Mosca, 6 aprile 1939.

Permettimi di servirmi di una lettera personale per riferirti alcune impressioni e sottoporti alcune considerazioni sulla politica sovietica che non mi sarebbe facile pel momento di formulare in un rapporto ufficiale.

Ieri sono andato a vedere il Vice Commissario Potemkin per trattare la questione dello scambio fra Italiani arrestati nell'U.R.S.S. e marinai sovietici internati in Spagna, e ne ho approfittato per sondare sull'attitudine dell'U.R.S.S. nell'attuale momento internazionale.

Mi interessava in modo particolare di conoscere quali fossero esattamente le intenzioni di Mosca di fronte alla iniziativa di Chamberlain2•

Alle mie domande Potemkin ha risposto con molta cautela e, naturalmente, con la consueta premessa di esprimere unicamente delle opinioni personali. Mi ha sviluppato la tesi ufficiale della sicurezza collettiva e ripetuto in proposito le argomentazioni della stampa sovietica. Il punto su cui ha maggiormente insistito è stato però quello che aveva già fatto una certa sensazione nel discorso di Stalin al Congresso del Partito3• l'accusa cioè all'Inghilterra di aver lavorato per spingere la Germania contro l'U.R.S.S.

Potemkin mi ha ripetuto a questo proposito che al governo sovietico risulta in modo positivo aver Chamberlain. durante la sua visita romana4• cercato di ingaggiare il Duce in una discussione suii'Ucraina come campo naturale dell'espansione tedesca. ma di aver dovuto abbandonare il tema di fronte alla freddezza mostrata dal nostro Capo.

Ho cercato poi di rendermi conto come si considera qui l'attitudine della Polonia e mi è parso di comprendere che anche a questo riguardo si diffida specialmente dell'Inghilterra: si sospetta cioè Londra di fare pressioni su Varsavia per incoraggiarla a non-o dissuaderla dai-Iegarsi strettamente all'U.R.S.S. contro la Germania.

In conclusione. la mia impressione è stata che nel fondo del loro animo questi signori continuino a sospettare che l'Inghilterra lavori sempre per «incanalare il torrente tedesco verso l 'Oriente».

Durante la conversazione ho colto il momento più opportuno per fare a Potemkin, con tono [ ......... ] le la comunicazione della quale mi avevi incaricato5 come risposta alla sua dichiarazione circa una ripresa della collaborazione italo-sovietica6 . Gli dissi cioè che anche il Governo Fascista teneva presente la possibilità di un miglioramento graduale delle relazioni fra Italia e U.R.S.S. Potemkin mi disse allora che l'incaricato

2 Riferimento alla Dichiarazione comune proposta dalla Gran Bretagna, vedi D. 392, nota l.

'Del IO marzo. Vedi DD. 284 e 285.

4 Dell'll-13 gennaio. Vedi DD. 48 e 50.

5 Vedi D. 338.

6 Vedi D. 326.

d'affari a Roma. Helfand. aveva avuto con te una conversazione nella quale tu gli avevi fatto una analoga dichiarazione. del che «si era preso atto con molta soddisfazione».

Potemkin si dilungò su questo tema richiamandosi ai tempi «molto interessanti» della sua ambasceria a Roma, quando egli aveva avuto la fortuna di lavorare in armonia con le vedute dello stesso Capo del governo. Parlò nuovamente degli «interessi comuni». non solo nel campo economico ma anche in quello politico. Questa volta non parlò più di opporre una barriera all'espansionismo tedesco, ma soltanto di «esercitare un'azione comune di equilibrio specialmente nell'Europa sud-orientale».

Se tu mi chiedessi quale valore e quale portata io attribuisca a dichiarazioni del genere, ti risponderei che le giudico perfettamente sincere. È ovvio che all'U.R.S.S. converrebbe di avere un'Italia amica che non ostacoli il traffico ed i movimenti della marina sovietica nel Mediterraneo. Anche più ovvio che le converrebbe un'Italia amica la quale fosse disposta a cooperare con l'U.R.S.S. nel mettere dei freni alla penetrazione tedesca nei Balcani. Ed è questa la ragione per cui, nonostante certi violenti attacchi della stessa contro il nostro Regime e contro la politica dell'Asse (attacchi che, bisogna riconoscerlo, sono una contropartita di quelli non meno violenti della stampa italiana contro i Soviet), l'U.R.S.S. non ha mai rotto definitivamente i ponti con l'Italia ma ha continuato a lasciare la porta aperta ad un possibile miglioramento dei rapporti.

Se però volessi andare fino al fondo del mio pensiero dovrei aggiungere che questo miglioramento nei nostri riguardi è di natura contingente ed ha finalità puramente tattiche cui si interessano più che altro Litvinov ed i suoi collaboratori del Narkomindiel, i quali devono manovrare secondo le esigenze del momento. L'obiettivo ultimo fondamentale del Cremlino, quello che determina le direttive generali del Politbureau, rimane però sempre la rivoluzione proletaria che distrugga l' «accerchiamento capitalista» di cui parla spesso Stalin. Di qui la mia convinzione che i dirigenti dell'U.R.S.S. desiderino ed incoraggino indirettamente una guerra mondiale che metta alle prese i campi antagonisti del mondo capitalista e ne provochi lo spossamento. L'U.R.S.S. farà di tutto per mantenersi estranea. fino a che giunga il momento propizio di intervenire per facilitare l'instaurazione nel maggior numero possibile di Paesi del «novus ardo» comunista.

Posso sbagliarmi ma questo è, a mio avviso, il pensiero intimo di Stalin e compagni.

Permettimi, prima di finire, di accennare alla questione dello scambio. Ho telegrafato ieri raccomandando di ottenere d'urgenza la liberazione dei marinai sovietici internati in Spagna. Potemkin mi ha lasciato capire che con la fine della guerra spagnola, egli si attende che i prigionieri stranieri di parte rossa vengano liberati entro un tempo relativamente breve, visto che manca oramai a Franco l'interesse di mantenerli in custodia. Se e quando ciò si verificasse noi non avremmo più nulla da offrire per negoziare la liberazione dei disgraziati nostri connazionali incarcerati nell'U.R.S.S. Vorrei quindi pregarti caldamente di sollecitare le pratiche di Viola col Quartier Generale spagnolo e darmi la possibilità di concertare al più presto possibile le modalità di scambio7 .

488.

COLLOQUIO TRA IL GENERALE PARIANI E IL GENERALE KEITEU

PROMEMORIA. [Innsbruck], 6 aprile 19392 .

Il Generale Keitel illustra i criteri, la specie e l'entità della organizzazione difensiva delle frontiere est ed ovest della Germania. Accenna ai lavori in corso e conclude che nel 1939 sarà raggiunta la voluta efficienza.

Sulla frontiera occidentale esistono 2 linee, complessivamente l [2.000] opere.

Il Generale Pariani espone i criteri della organizzazione difensiva sulla frontiera occidentale ponendo in risalto l'ostacolo costituito dalla fascia Alpina completa e valorizza le opere costruite e che risultano disposte su tre sistemi.

Il Generale Keitel tratta delle comunicazioni rotabili e ferroviarie che collegano la Germania con l'Italia e con[sidera]ta l'insufficienza di esse, prospetta la necessità di migliorar[/e]. Accenna all'idea di una ferrovia per il Passo di Resia e consi[ dera] indispen[sabile] aumentare la potenzialità della linea di Tarvi[sio].

Il Generale Pariani concorda sulla necessità di migliorare [le comunicazioni]. Una ferrovia per Resia sarebbe certamente utilissim[ a, ma richiede ]rebbe enorme spesa e tempo. Da parte dell'Italia sono in corso provvedimenti per migliorare le comunicazioni di Tarvisio. Per avere altri due itinerari indipendenti sarebbe opportuno pro[ vve]de re agli allacciamenti rotabili ai passi del Rombo e di Vizee. Il problema è di modesta entità.

Il Generale Keitel accetta la proposta che metterà allo studio per una sollecita attuazione. Il Generale Pariani aderisce al programma indicato dalla delegazione tedesca come base per prossime riunioni. Questione delicata e di grande rilievo è quella di un comando unico in caso di guerra di coalizione. Per ora è sufficiente affermare che occorrerà un piano unico ed il più stretto collegamento tra i comandi delle forze armate dei due Paesi. Il Generale Keitel, pur rilevando l'importanza del comando unico, concorda.

2 Questo documento e gli altri documenti relativi all'incontro di Innsbruck tra i generali Pariani e Keitel indicati nella nota precedente furono inviati in copia dal sottosegretario Pariani a Ciano con lettera segreta del l 7 aprile.

489.

NOTE DESUNTE DAI COLLOQUI DI INNSBRUCK DEL 5-6 APRILE 1939

PROMEMORIA2 .

Dai colloqui svoltisi a Innsbruck risultano i seguenti dati circa la valutazione della situazione politica attuale da parte della Germania e circa il suo potenziale militare e alcune concezioni operative.

SITUAZIONE POLITICA

La Polonia viene ritenuta incerta. Occorre attendere l'esito delle conversazioni che si stanno svolgendo a Londra con il ministro Beck. È da presumere che l 'Inghilterra farà ogni sforzo per attirare la Polonia nella sua orbita e sostituirla alla crollata Cecoslovacchia nella funzione antigermanica. È da ritenere che in caso di conflitto la Polonia attenderà per pronunziarsi e che essa si getterà poi dalla parte ove siano maggiori speranze di raccogliere un bottino. È anche certo però che la Polonia deve tener conto della vicinanza dei sovieti come pure del pericolo che presenta la propaganda comunista.

La Russia sovietica viene considerata incapace di un intervento militare attivo salvo per quanto riguarda l'invio di materiale da guerra di velivoli e di quadri isolati. Ciò soprattutto per effetto della distruzione della maggior parte dei quadri elevati. Decorreranno molti anni prima che i quadri possano essere ricostituiti; d'altra parte è da prevedere che Stalin sopprimerà anche in avvenire ogni elemento che riesca ad emergere e a dimostrare vere attitudini di comando.

L'occupazione della Boemia e della Moravia e l'assunzione della protezione della Slovacchia si sono rese indispensabili alla Germania per ragioni di carattere militare. La Germania ha impiegato per l'occupazione del protettorato un complesso di una ventina di divisioni. Si può calcolare che in caso di conflitto generale tali divisioni siano ora completamente disponibili per altri teatri di operazioni.

La Francia possiede un esercito molto solido, bene armato e ben dotato di scorte di mobilitazione. Essa peraltro ha perduto lo spirito aggressivo nel senso che essa non prenderà mai iniziativa di una guerra, né contro la Germania, né contro l'Italia. È certo invece che essa reagirebbe in caso che si volesse toccare la sua integrità territoriale sia nella metropoli sia nelle colonie.

Anche l'aviazione francese viene giudicata buona e così la marina. Quest'ultima per quanto non sia nel personale curata quanto le altre due Forze Armate rappresenta però sempre qualche cosa migliore della marina francese del 1914.

2 Presumibilmente redatto dal generale Marras.

3 Questo documento e gli altri documenti relativi all'incontro di Innsbruck tra i generali Pariani e Keitel indicati nella nota precedente furono inviati in copia dal sottosegretario Pariani a Ciano con lettera segreta del 17 aprile.

L'Inghilterra rappresenta ancora nel campo marittimo la prima Potenza al mondo; i suoi armamenti aerei vengono spinti alacremente e notevoli sforzi si fanno anche per l'esercito. Si può ritenere che l'Inghilterra interverrà certamente a fianco della Francia non per puro sentimento di amicizia ma soltanto in quanto essa si sente toccata nei propri interessi vitali. È interesse dell'Inghilterra impedire che la Francia venga sopraffatta perché il crollo della Francia segnerebbe la perdita di ogni influenza inglese sul continente europeo4 .

486 1 Manca l'indicazione della data di arrivo.

486 4 Il documento ha il visto di Mussolini.

487 1 Il documento è danneggiato dall'umidità.

487 7 Il documento ha il visto di Musso lini.

488 1 Questo documento e i DD. 472, 473, 489 sono stati già pubblicati nel volume Xlii di questa serie, appendice III.

489 1 Questo documento e i DD. 472, 473, 488 sono stati già pubblicati nel volume XIII di questa serie, appendice III.

490

COLLOQUIO DEL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, CON IL MINISTRO DI JUGOSLAVIA, CHRISTIÉ

PROMEMORIA2 . Roma, 7 aprile 1939.

Alle ore 11 di ieri sera il Ministro di Jugoslavia ha chiesto di vedere S.E. Ciano3 , al quale ha fatto una comunicazione urgente relativa alla vertenza i tal o-albanese, che S.E. Ciano mi ha riassunto nei quattro punti seguenti:

l) Il Ministro Christié chiede a S.E. Ciano quale portata abbia la nostra occupazione e quali siano le intenzioni del R. Governo a questo proposito.

S.E. Ciano gli risponde che è nostra intenzione occupare immediatamente i quattro porti del!' Albania e da tali basi stabilire un progressivo irradi amento a seconda della esigenze di carattere generale che si sarebbero presentate al nostro Comando Militare, anche in relazione all'atteggiamento del Governo albanese e sopratutto in relazione alla tutela della vita e degli interessi dei nostri connazionali. Il Ministro Ciano ha aggiunto che nel proclama che veniva lanciato agli albanesi era specificamente detto che l'occupazione delle nostre truppe aveva carattere temporaneo e tendeva principalmente a ristabilire la pace e l'ordine in Albania.

2) Alla domanda di Christié relativa a quelle che sarebbero state le frontiere dell'Albania e ai limiti di estensione dell'occupazione in direzione di queste, il Ministro Ciano rispondeva che egli non poteva impegnarsi.

3) Il Ministro Christié domandava poi su quali basi il R. Governo sarebbe stato disposto ad accordarsi colla Jugoslavia in relazione all'attuale occupazione.

Il Ministro Ciano rispondeva che di molto buon grado egli si sarebbe incontrato con Markovié per discutere detta questione, e prometteva di trattare con lui tale problema.

2 Redatto dal capo di Gabinetto, Anfuso.

3 Come risulta da un'annotazione del suo Diario, Ciano aveva già ricevuto, poco prima, il ministro Christié, il quale aveva raccomandato di non agire in Albania senza prima informare Belgrado e aveva chiesto che fosse salvata, almeno formalmente, l'esistenza dello Stato albanese.

4) Il Ministro Ciano teneva ad assicurare il signor Christié che la formula adottata dall'Italia nell'attuale sua azione in Albania sarebbe stata inspirata al rispetto dell'indipendenza e dell'integrità albanese, mentre la forma di governo che verrebbe conferita all'Albania sarebbe l'espressione della volontà popolare.

Il Ministro Christié ha aggiunto una domanda di carattere personale tendente a conoscere quale sarebbe stato l'atteggiamento del R. Governo in caso di occupazione da parte jugoslava di qualche punto di frontiera.

Il Ministro Ciano ha dichiarato di non poter rispondere a tale domanda che investiva tutto il problema dell'occupazione militare strettamente connessa allo svolgersi degli avvenimenti.

Il Ministro Ciano mi ha detto che Christié, che nel fare tale comunicazione appariva visibilmente depresso, non ha mancato di dirgli che l'opinione pubblica jugoslava era piuttosto colpita dallo svolgersi degli avvenimenti, di cui seguiva con viva attenzione l'attuale corso.

489 4 Sulle conversazioni militari di lnnsbruck si veda, da parte tedesca, il promemoria riassuntivo in DDT, vol. VI, appendice l, documento III. Si vedano inoltre le successive dichiarazioni del generale Pariani all'addetto militare tedesco, von Rintelen, ibid., documento V.

490 1 Ed. in L 'Europa verso la catastrofe, pp. 423-425.

491

IL RE D'ALBANIA, ZOGI, AL CAPO DEL GOVERNO, MUSSOLINI

T. S.N.D. 5580 P.R. Tirana, 7 aprile 1939, ore 1,40 (perv. ore 3).

Votre Excellence n'ignore pas quel prix la Nation albanaise et moi attachons à Votre affection et à Votre amitié. Cette amitié si precieuse constitue un gage inestimable pour la collaboration intime de nos deux Nations et que des liens d'une alliance basée sur la confiance reciproque unissent si intimement. l'ai la conviction que !es propositions presentées par mon Gouvernement sont inspirées du desir le plus sincère et le plus loyal pour advenir à une collaboration absolue. Je demande à Votre Excellence au nom de l'amitié qui nous unit depuis treize ans de ne pas imposer à l'Albanie un dommage que Votre coeur genereux ne voudrait pas lui causer et je propose par consequant que Vous ordonniez l'examen d'un accord militaire qui resoudrait le differend 1•

491 1 Per la risposta di Mussolini si veda il D. 493.

492

IL MINISTRO A TTRANA, JACOMONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. S.N.D. 5582/87 P.R. Tirana, 7 aprile 1939, ore 4 (perv. ore 4,45).

Libohova a nome di Re Zog era venuto per proporre formula che permettesse presenza truppe italiane in Albania. Egli era già d'accordo in principio su conclusione domani mattina convenzione militare che ammetteva nei suoi termini presenza nostre truppe qui. Queste avrebbero dovuto sbarcare poco dopo conclusione detto accordo. Ma mentre questa soluzione, che mi sembra interessante, ha motivato preavviso presente telegramma, stesse proposte portate a Re Zog per approvazione mi sono ritornate senza alcuna menzione circa presenza nostre truppe in Albania. Svuotato così principio accordo raggiunto con Libohova nonostante affermazione che modificazioni portate da Re avevano carattere formale e non sostanziale non mi è restato che comunicare a questo ministro degli Affari Esteri che ogni altra proposta non poteva più essere diretta a me.

493

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, AL MINISTRO A TIRANA, JACOMONI

T. S.N.D. 5772/62 P.R. Roma, 7 aprile 1939, ore 6,40.

Fate pervenire immediatamente a Sua Maestà Zog seguente telegramma del Duce1:

«Nello spirito dell'amicizia italo-albanese che Voi evocate e alla quale Italia intende rimanere fedele, comunico a Vostra Maestà che potete mandare a Durazzo Vostro Plenipotenziario per trattare accordo militare col Generale Guzzoni, Comandante delle truppe italiane da me autorizzato ad ascoltare Vostro rappresentante e a riferirmi. F. to Mussolini».

493 1 Si tratta della risposta al telegramma di Re Zog di cui al D. 491.

494

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, AL GABINETTO DEL MINISTRO DELLA MARINA

T. S.N.D. URGENTISSIMO 5785 P.R. Roma, 7 aprile 1939, ore 15,40.

Si prega trasmettere con precedenza assoluta seguente telegramma del Duce a

S.E. Guzzoni: «Ricevete pure i plenipotenziari di Zog, il cui arrivo è però tardivo. Comunque

ascoltate e riferite continuando in pari tempo operazioni militari. Mussolini» 1 . Si prega assicurare avvenuta trasmissione e ricezione.

495

IL CAPO DEL GOVERNO, MUSSO LINI, AL COMANDANTE IL CORPO DI SPEDIZIONE IN ALBANIA, GUZZONI

T. S.N.D. URGENTISSIMO Roma, 7 aprile 1939, ore [16,35]. PRECEDENZA ASSOLUTA 5788 P.R. 1 .

Proposte Zog sono inaccettabili2 . Non perdere altro tempo e marciate verso la capitale e gli altri obiettivi come già ordinatovi tramite Valle.

2 Re Zog aveva chiesto, attraverso i suoi inviati, che le truppe italiane si arrestassero sulle posizioni raggiunte, che i presidi militari italiani risultassero chiesti da lui e che le forze destinate ad occupare Tirana fossero non superiori ad una divisione e restassero ai suoi ordini. Il generale Guzzoni aveva accettato di sospendere i movimenti in attesa della decisione di Mussolini (telegramma 33 del 7 aprile di Guzzoni). Su questa vicenda vi è nel Diario di Ciano la seguente annotazione (sotto la data del 7 aprile): «Guzzoni ha ricevuto i parlamentari di Zog e invece di proseguire l'azione come il Duce aveva ordinato, ha sospeso tutto per sei ore. Il Duce è furioso: questo ritardo può avere conseguenze gravissime. Noi abbiamo bisogno di arrivare alla capitale per fare la nostra manovra politica. Tramite Valle, il Duce ordina di riprendere la marcia, ma intanto è una giornata perduta e ciò permette alla solita schifosa stampa francese di dire che gli italiani sono stati battuti dagli albanesi».

494 1 Minuta autografa.

495 1 Minuta autografa.

496

L'INCARICATO D'AFFARI A LONDRA, CROLLA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER TELEFONO 5634/14 7 P.R. Londra, 7 aprile 1939, ore 18,25.

Telegramma di V.E. n. 401•

In assenza di Chamberlain, partito ieri sera per la Scozia, mi sono stamane recato da Halifax e gli ho detto che avevo ricevuto istruzioni di vedere subito il Primo Ministro per fargli una urgente comunicazione. Halifax mi ha risposto che, essendo appunto Chamberlain in Scozia, dove sperava trattenersi per una diecina di giorni, vi era l'impossibilità materiale che io potessi vederlo subito, ma che egli, Halifax, si teneva a mia disposizione per far pervenire immediatamente al Primo Ministro quelle comunicazioni che io avessi creduto di fargli.

Ho quindi comunicato a Halifax contenuto del telegramma di V.E. n. 40.

Halifax mi ha ringraziato e ha detto che la comunicazione da me trasmessagli per istruzioni di V.E. era molto rassicurante e che sarebbe stata altamente apprezzata dal Primo Ministro.

Halifax ha soggiunto: «lo sono pienamente convinto che il Duce intende risolvere la questione italo-albanese in forma tale da non provocare una crisi nei rapporti italo-inglesi e nella situazione internazionale in genere. Vi sono però elementi della situazione che sfuggono al controllo del governo italiano, come ad esempio la dichiarata volontà di resistenza del governo di Tirana, con le possibili conseguenze. Sarà utile perciò dirvi che il governo britannico segue con ansietà lo sviluppo degli avvenimenti, dal quale potrebbe risultare una situazione pericolosa. Noi non possiamo disinteressarci da quanto avviene in una zona del Mediterraneo, sia pure questa una zona nella quale riconosciamo gli speciali interessi dell'Italia. Iersera, appunto, io ho inviato un telegramma a Perth incaricandolo di fare subito presente al ministro Ciano il punto di vista del governo britannico sulla questione, anche in relazione agli esistenti accordi italo-britannici concernenti statu quo nel Mediterraneo»2 .

Halifax nel congedarsi de me, mi ha ancora ripetuto cha riponeva la massima fiducia nella volontà di pace del Duce e che, malgrado le notizie pervenutegli stamane sulla situazione in Albania fossero assai preoccupanti, egli si augura che una soddisfacente soluzione potesse essere tuttora raggiunta3 .

2 Secondo quanto risulta dai documenti britannici (negli archivi italiani non si è trovata documentazione in proposito), il 7 aprile l'ambasciatore Perth consegnò a Ciano un promemoria in cui, mentre si riconosceva l'esistenza di speciali interessi italiani in Albania, si ribadiva che, in base agli accordi itala-britannici, era interesse comune dei due governi che restasse inalterata «la sovranità dei territori dell'area mediterranea». Ciano dichiarò che il governo italiano intendeva rispettare pienamente l'indipendenza e l'integrità dell'Albania e lo status quo dell'area mediterranea. Su tuttociò si vedano le istruzioni a Lord Perth (in BD, vol. V, D. 77) e il resoconto del colloquio inviato dall'ambasciatore (ibid., D. 82).

3 Sul colloquio Halifax-Crolla si veda anche il telegramma circolare di Lord Halifax in BD, vol. V, D. 81.

496 1 Vedi D. 480.

497

IL CAPO DEL GOVERNO, MUSSO LINI, AL MINISTRO A BELGRADO, INDELLI

T. PRECEDENZA ASSOLUTA 260/63 R. 1 . Roma, 7 aprile 1939, ore 21,45.

Recatevi personalmente dal Capo del governo e dal ministro degli Esteri per dir loro-a mio nome-che l'atteggiamento della Jugoslavia nell'attuale crisi dei rapporti italo-albanesi è grandemente apprezzato dal governo e dal popolo italiano ed è destinato -come è nelle mie direttive -a rendere sempre più stretti i vincoli di amicizia esistenti fra i due Paesi2 .

498

IL MINISTRO A SOFIA, TALAMO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 1730/54 R. Sofia, 7 aprile 19 3 9, ore 2 3, 15 (perv. ore 2,30 del/'8).

Ho veduto stasera presidente del Consiglio che è stato con me particolarmente premuroso e cordiale.

Mi ha spontaneamente detto di aver già impartito rigorosi ordini alla stampa perché nulla venga pubblicato che possa contrastare interessi nostra azione in Albania.

Mi ha soggiunto peraltro che governo e opinione in Bulgaria seguivano tale azione con piena comprensione e simpatia, sicché agli allarmi manifestatigli da questo ministro d'Inghilterra1 egli aveva avuto occasione replicare azione italiana, oltre che da vecchio diritto Italia in Albania, gli appare giustificata da tentativi coalizionisti cui Potenze Asse non potrebbero rispondere se non consolidando proprie posizioni.

Mi ha letto alcuni telegrammi rappresentanze bulgare Roma, Belgrado, Tirana confermanti informazioni note: inoltre, secondo Belgrado, situazione nei nostri riguardi sarebbe ivi calma; secondo Roma recenti intese Stati Maggiori italiano e germanico assicurerebbero forze germaniche frontiera jugoslava per garantire ad ogni evenienza situazione.

Mi ha detto peraltro risultargli telegramma ricevuto a Londra in giornata da questa legazione d'Inghilterra parlerebbe mobilitazione Germania.

Presidente del Consiglio mi ha affermato infine che consolidamento posizioni Italia nella Penisola Balcanica è destinata -a suo avviso -a giovare interessi Bui

2 Per il seguito si veda il D. 506. 498 1 George W. Rende!.

garia ed ha tenuto dichiararmi che quali che possano essere manovre per attirare intervento verso sistemi, essa non si porrà mai contro di noi2 .

497 1 Minuta autografa.

499

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, COLONNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 1739/70 R. Washington, 7 aprile 1939, ore 19,19 (perv. ore 4,45 dell'B).

Mentre voci incontrollabili attribuiscono governo intenzione di pubblicare una dichiarazione di condanna eventi albanesi e prendere persino misure economiche a noi ostili, per cui sarebbero in corso consultazioni con Presidente assente, da altre parti riserva usata da Hull a conferenza stampa odierna 1 di cui al telegramma Stefani Speciale n. 141, viene interpretata come desiderio non procedere atti precipitati, per una persistente valutazione della solidarietà italo-tedesca, che consiglierebbe una differenziazione di trattamento.

Questo ministro di Albania noto per sua ostilità a Re Zog, si è tuttavia pronunciato contro nostra azione.

500

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, COLONNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 3131/676. Washington, 7 aprile 1939 (perv. il 17).

Con riferimento ai precedenti rapporti sull'argomento e da ultimo al telegramma del 16 febbraio u.s., n. 38 1 , ad ormai poco più di tre settimane dalla data del l 0 maggio in cui verrà a scadere la facoltà discrezionale del Presidente di proclamare o

meno l'applicazione della cosidetta clausola del cash and carry alle merci americane destinate a belligeranti, con esclusione delle armi e munizioni, e dopo le discussioni che a più riprese hanno avuto luogo in questi ultimi mesi nella stampa e al margine del Congresso sulla vessata questione della Legge sulla neutralità in relazione ali'evolversi della situazione politica generale, si è finalmente iniziata in modo formale dinanzi al Comitato per gli Affari Esteri del Senato il dibattito per l'eventuale prolungamento della anzidetta clausola cash and carry entro il l o maggio

p.v. (il che è la cosa più urgente) e subordinatamente la revisione di tutto il Neutrality A et del 193 7.

Mentre il Comitato del Senato ha iniziato la solita escussione di personalità, grandi e piccole, e magari eccentriche, che dicano il loro parere sulla questione, sul terreno più nettamente parlamentare del Senato e della Camera dei Rappresentanti sono state presentate sotto forma di proposte di legge o di emendamenti varie proposte. La più completa e più organica e che si dice riscuota in complesso il maggior favore dell'Amministrazione, è quella presentata dal senatore Key Pittman, presidente del Comitato del Senato per gli Affari Esteri. Tralasciando i dettagli, la proposta di legge Pittman investe tutta la legislazione del Neutrality Act e sostanzialmente porta tutte le esportazioni americane, in caso di conflitto estero, tanto per la parte concernente armi e munizioni quanto quella delle comuni merci, sotto la clausola del cash and carry. Tale proposta di legge conferma completamente le informazioni che confidenzialmente erano state raccolte da questa Ambasciata e comunicate col rapporto dell9 gennaio u.s., n. 61111382 .

Tra le altre proposte, che si presentano con gradazioni e con caratteristiche e sfumature diverse, si passa da alcune che prevedono la abolizione pura e semplice di ogni legislazione di neutralità, nel senso che ha assunto nel sistema americano in questi ultimi anni, a quelle che vorrebbero introdurre nella applicazione o meno dell'embargo (e questo a sua volta più o meno esteso), criteri discrezionali basati sul giudizio che dovrebbe dare o il Presidente o il Congresso tra cosiddetti aggrediti e cosiddetti aggressori. Su quest'ultima linea si distingue la proposta del senatore Thomas, che questa Ambasciata segnalò col telegramma n. 38 del 16 febbraio sopracitato.

Sarebbe molto !ungi dal vero il poter dire che la discussione si presenti con caratteri di chiarezza di idee, di scopi e di proposte: si può anzi dire che in complesso regna la più grande confusione, il che è anche più comprensibile quando nella confusione sulle direttive di politica estera e sulla situazione politica mondiale ed in particolare europea si infiltrano e si intrecciano, come elementi perturbatori, numerosissimi altri motivi di carattere costituzionale interno, quali le preoccupazioni sui limiti dei poteri e delle facoltà presidenziali, sulle interferenze tra politica ed esercito, tra riarmo e libertà politica, tra interessi americani e possibili interferenze straniere che trascinino l'America a combattere per interessi non strettamente americani. Ritorna, del resto, di attualità tutta la fraseologia e tutta la serie di motivi che hanno già in passato ispirato il movimento che ha condotto l'America alla singolarissima legislazione del Neutrality Act, e a cui oggi, dopo l'esperienza dei recenti anni e quella

anche più recente degli ultimi eventi europei, si aggiunge il motivo della democrazia minacciata, delle Potenze totalitarie e sopratutto della potenza germanica che può minacciare l'America nel suo regime interno e nei suoi interessi esteri.

In tali condizioni, è ben difficile far previsioni su quale potrà essere il definitivo orientamento del Congresso e quale lo stato di legislazione che ne risulterà a partire dal l o maggio p.v.

Se il programma massimo dell'Amministrazione rimarrebbe tendenzialmente sempre quello di giungere alla completa abolizione della cosiddetta legislazione di neutralità, restaurando la piena libertà di giudizio, di apprezzamento e di decisione del supremo organo esecutivo del Paese rappresentato dal Presidente, che del resto lo eserciterebbe col controllo costituzionale del Congresso, la seconda linea desiderata dali' Amministrazione è quella della clausola generale del cash and carry estesa a tutti i prodotti, bellici e non bellici degli Stati Uniti con cui, come venne già illustrato, si pensa di tutelare gli interessi economici del Paese, continuando il deflusso normale, ed anzi forse esaltato dai bisogni dei belligeranti, di molti prodotti fondamentali deli'America, sottraendo lo alle complicazioni di un traffico marittimo americano che cadrebbe necessariamente sotto la legge della guerra marittima nonché tagliando all'origine la possibilità di creare un importante debito di guerra.

Tutte queste costruzioni partono dal presupposto che l'America debba realmente tenersi fuori da qualsiasi futuro conflitto, tale essendo tuttora la tendenza di numerosi settori dell'opinione pubblica, pure però coll'altro presupposto che un tale conflitto, in qualunque condizioni di cose si verifichi, non tocchi in modo assiomatico interessi vitali americani. È questa in fondo la ingenua illusione che è a base di tutta la concezione così singolare di auto-limitazione offerta dal Neutrality Act. Sotto questo aspetto è anche probabile che di fronte a eventi nuovi, oggi non prevedibili, la stessa legislazione del cash and carry generale, che del resto difficilmente potrebbe essere considerata e in linea giuridica e in linea politica una vera e propria neutralità, non crei precisamente le condizioni per portare direttamente l'America nelle complicazioni di una guerra generale. Ma di questo per ora non appare fatta menzione e forse può essere questo l'elemento che indirettamente dimostra come in sostanza l'applicazione della clausola cash and carry a tutte le merci, comprese le armi, serva a mistificare il Paese, sollecitandone l'acuto senso commerciale, ma nascondendogli il suo carattere vero e proprio, fin da ora precostituito, di aiuto, il più completo nel quadro delle possibilità politiche e militari americane, alla Francia e ali' Inghilterra. Mi sembra che questo elemento sia da tener presente ove si ritenga di mettere in evidenza tale aspetto del nuovo indirizzo della legislazione americana che, per ovvie ed interessate ragioni, non è oggetto qui, almeno finora, come sopra accennato, di alcuna rilevazione.

498 2 Circa i possibili sviluppi della politica estera bulgara, il ministro Talamo osservava qualche giorno più tardi che se anche, come aveva dichiarato lo stesso Kiosseivanov, la debolezza del governo e l'incerto atteggiamento del Re potevano paralizzare un franco avvicinamento all'Asse, «nondimeno è certo che la nostra azione in Albania, avvicinando le nostre posizioni in Balcania di circa duecento chilometri alla frontiera bulgara si impone all'estrema attenzione, se non, insieme, al salutare timore e alle più o meno manifeste speranze di questo Paese, e peserà senza dubbio fortemente su ogni futura decisione della Bulgaria. Pure è da tenere presente, come ne darebbero qualche indizio i commenti che corrono in alcuni ambienti, che a seguito della nostra azione in Albania considerata come un indebolimento delle posizioni balcaniche di Belgrado tanto più rilevante che ad esso si accompagnerebbe l'indebolimento della compagine interna jugoslava prodotto dalla crisi croata, il ravvivarsi delle vecchie e non mai sopite animosità antiserbe di questo Paese possa contribuire a provocare degli orientamenti politici dei quali fra le Potenze dell'Asse più che noi potrebbe forse porsi in grado di avvantaggiarsi la Germania» (telespresso 1762/762 del l O aprile).

499 1 In realtà, Hull dichiarò che l'aggressione italiana all'Albania era da considerarsi «una nuova minaccia alla pace nel mondo», che contribuiva a distruggere la fiducia e minava la stabilità economica, danneggiando il benessere di tutti i Paesi.

500 1 Vedi D. 263, nota l.

500 2 Vedi D. 76.

501

L'AMBASCIATORE A VARSAVIA, ARONE, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

RAPPORTO 900/366. Varsavia, 7 aprile 19391•

Col mio rapporto n. 839/340 del 31 marzo u.s. 2 ho riassunto a Vostra Eccellenza le principali fasi della crisi verificatasi nei rapporti polacco-tedeschi.

Se invero le relazioni tra Varsavia e Berlino avevano subito una forte scossa in seguito agli avvenimenti di Boemia e Slovacchia, ed ancor più dalla quasi contemporanea liquidazione della questione di Memel, eventi tutti che avevano provocato il vivo risentimento dei circoli militari e dell'opinione pubblica di questo Paese, convintasi che il Reich mirasse ad accerchiare e dominare la Polonia; peraltro la crisi sopraggiunta si sarebbe potuta forse evitare od almeno rinviare se l' Auswiirtiges Amt non avesse voluto anche ricordare alla Polonia «l'esistenza di una questione di Danzica che il Reich desiderava vedere risolta al più presto».

L'iniziativa presa così dal Reich, accompagnata da movimenti di truppe tedesche ai confini polacchi, diede qui la netta sensazione che la Germania si preparasse a risolvere unilateralmente le varie questioni pendenti colla Polonia alla stessa maniera di come aveva agito altrove.

Si generalizzò quindi la convinzione che ormai un conflitto colla Germania, a scadenza più o meno prossima, fosse inevitabile, non essendo concepibile che Berlino rinunciasse seriamente ai propri piani di espansione in Europa Orientale. Ed occorre rilevare che, nella prospettiva, dirigenti e masse polacche si proclamavano unanimamente pronti ad ogni sacrificio per la difesa del territorio e dei diritti della Polonia.

Fu in questa atmosfera che si iniziarono e si svilupparono le note trattative fra Varsavia e Londra.

Si arrivò così alle dichiarazioni pronunciate da Chamberlain ai Comuni il 31 marzo u.s. 3 sulla «provvisoria garanzia unilaterale» offerta dali' Inghilterra alla Polonia, al susseguente viaggio del ministro Beck a Londra4 ed infine ieri alla comunicazione di un corrispondente impegno assunto dalla Polonia nei riguardi della Gran Bretagna5• Questi impegni «unilaterali ma reciproci» assunti dai due Stati costituiscono una premessa ad un più completo accordo che dovrebbe essere trattato e concluso qui a breve scadenza. Interessante rilevare che tali impegni coprono «ogni minaccia

2 Vedi D. 428.

3 Vedi D. 429.

4 Del 3-6 aprile.

5 Il 6 aprile, il Primo Ministro Chamberlain aveva dichiarato ai Comuni che, a seguito delle conversazioni avute a Londra dal ministro Beck, il governo polacco si considerava impegnato, nell'attesa di concludere un accordo definitivo tra i due Paesi, a dare la sua assistenza al governo britannico «alle stesse condizioni di quelle contenute nell'assicurazione temporanea già data dal governo britannico alla Polonia» . L'assicurazione temporanea -si precisava -come anche il trattato definitivo era destinata ad assicurare la mutua assistenza in caso di minaccia, diretta o indiretta, all'indipendenza di uno dei due Paesi. Il testo della dichiarazione di Chamberlain è in Relazioni Internazionali, p. 289.

diretta od indiretta ali 'indipendenza di uno dei due Stati» (la dichiarazione di Chamberlain del 31 marzo non comprendeva tale precisazione).

A quanto mi risulta, sembrerebbe che le conversazioni di Londra abbiano invero presentato qualche difficoltà, il signor Beck desiderando una esplicita assicurazione (cui -secondo qui si dice-alluderebbe anche la dizione adoperata: «minaccia indiretta») sia stata fornita dal governo britannico con un documento destinato, almeno per ora, a rimanere segreto, forse pure per riguardo ad alcuni dissensi nell'opinione pubblica inglese su questo punto.

Allo stato delle cose è difficile prevedere in maniera sicura su quale linea si svolgeranno d'ora innanzi le relazioni tra Varsavia e Berlino. Certo, la Polonia farà, per parte sua, ogni sforzo per riportare i suoi rapporti col Reich su di un piano di apparente formalità. Ho già riferito a Vostra Eccellenza col mio telegramma n. 86 del 5 correnté, la tesi sostenuta sia dal Ministero degli Affari Esteri che da questa stampa ufficiosa circa la piena compatibilità della nuova intesa anglo-polacca col Patto di non aggressione concluso con la Germania nel '347 e ciò in quanto detto Patto non fu a suo tempo ritenuto dal Reich come contrastante con i preesistenti impegni di alleanza polacco-francesi8 .

Si è poi affermato e si afferma che la Polonia continua a rimanere contraria ad ogni politica di blocchi; che essa non intende in alcun modo contribuire ad un accerchiamento della Germania. Si tende anche a dare l'impressione che il governo di Varsavia non è poi alieno dal riprendere, a tempo opportuno, delle conversazioni col Reich in merito allo Statuto di Danzica, escludendosi peraltro, naturalmente, l'annessione della Città Libera alla Germania.

La ferma decisione polacca di salvaguardarsi, per quanto possibile, da ulteriori scosse i rapporti con Berlino, non va, però, interpretata come remissività. La Polonia si sente infatti più sicura oggi di quanto non lo fosse una settimana fa quando si dichiarava pronta a fronteggiare con le proprie forze la situazione. L'odierno Dobry Wieczor, vicino a questo Ministero degli Esteri pubblica oggi un articolo «Seconda risposta alla Germania» che ne costituisce una conferma (mio telespresso odierno n. 894/361)9 .

Al punto in cui sono le cose, in conclusione, l'ulteriore corso dei rapporti tra Polonia e Germania dipenderà da Berlino più che da Varsavia. Ed in proposito, è da rilevare come non siano venute qui meno le speranze che l'antica amicizia dell'Italia per la Polonia possa evere qualche benefica ripercussione.

501 1 Manca l'indicazione della data di arrivo.

501 6 Vedi D. 476, che è datato 6 aprile. 7 Vedi D. 27, nota 2. 8 Vedi D. 476, nota 4. 9 Non pubblicato.

502

L'AMBASCIATORE A PARIGI, GUARIGLIA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 1756/54 R. Parigi, 8 aprile 1939, ore 21,30 (perv. ore 23,30).

Stampa odierna si mostra più eccitata e nervosa di ieri 1 .

A parte sfruttamento motivi sentimentali, tesi preferita è che questione riguarda principalmente Inghilterra perché Italia ha violato statu quo Mediterraneo garantito dall'accordo italo-inglese ed ha voluto prendere posizione contro nuova attività politica britannica.

Occupazione Albania viene, d'altra parte, presentata come prologo di una prossima più vasta azione concertata italo-tedesca.

Si ha così pretesto di rappresentare a Londra necessità adottare coscrizione, a Washington modificare legge neutralità ed alle piccole Potenze convenienza aderire politica anglo-francese.

Reazione governo ed ambienti ufficiali finora nulla tranne consultazione di Bonnet con i ministri di Jugoslavia e di Grecia nell'intento sondare intendimenti Paesi balcanici per base su cui regolarsi.

502 1 L'ambasciatore Guariglia aveva telegrafato il giorno precedente che le prime reazioni della stampa francese all'azione dell'Italia in Albania non erano state «né notevoli, né interessanti», mentre «in autorevoli ambienti politici» veniva dichiarato che l'unico motivo ad avere peso per la Francia sarebbe stata una reazione da parte della Jugoslavia, che invece -si notava -aveva tenuto un atteggiamento passivo (T. 1733/51 R. del 7 aprile). Daladier aveva anche dichiarato ai giornalisti che «l'Adriatico non riguarda la Francia» (T. 1726/52 R. del 7 aprile).

503

L'INCARICATO D'AFFARI A LONDRA, CROLLA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. S.N.D. PER TELEFONO 5692/152 P.R. Londra, 8 aprile 1939 1•

In conformità degli ordini del Duce2 , ho visto oggi Halifax che, a seguito di intese prese in precedenza, ha potuto ricevermi soltanto alle ore 21 ,30.

Ho detto Halifax che il Duce mi aveva incaricato di fornirgli alcuni chiarimenti sulla situazione che il comunicato dell'odierno Consiglio di Gabinetto3 aveva definito «oscura». La situazione, ho aggiunto, è invece chiarissima purché non si abbia l'interesse di oscurarla. Ho quindi illustrato a Halifax uno per uno i sette punti contenuti nella comunicazione del Duce, e cioè: preminenza degli interessi italiani in Albania; spese colossali dell'Italia in Albania; tradimento di Zog verso il popolo albanese, provato dalla sua fuga, malgrado il Duce gli avesse offerto un trattato che contemplava l'indipendenza albanese; appello rivolto all'Italia dallo stesso popolo albanese; calma delle Potenze vicine e maggiormente interessate (Jugoslavia e Grecia); nessuna lesione agli accordi itala-britannici; occupazione pacifica dell'intero territorio albanese che è già un fatto compiuto. Halifax ha ascoltato con la massima attenzione quanto gli dicevo e dopo avermi pregato di ringraziare il Duce per la

2 Nell'archivio dell'ambasciata a Londra vi è questo appunto datato 8 aprile: «Telefonato dal Duce ore 17,50 ricevuto da De Grenet.

La stampa inglese di stamane è molto cattiva, occorre chiarire sia negli ambienti politici che giornalistici, sia al F.O. La situazione non è affatto oscura. Comunque siamo disposti ad accendere alcuni cerini per illuminarla:

l o La preminenza degli interessi italiani in Albania, universalmente riconosciuta;

2° Le spese colossali sostenute dali' Italia in Albania per rialzare il livello di vita di quel popolo;

3° Il tradimento di Zog verso il suo popolo, provato dalla sua fuga, mentre gli avevo offerto un trattato che contemplava l'indipendenza politica dell'Albania; 4° Il popolo ci ha chiamato. Dare massimo rilievo alle lettere dei capi albanesi che veniamo pubblicando, ed al discorso dell'ex Prefetto di Durazzo; 5° Le Potenze vicine e maggiormente interessate, quali Grecia e Jugoslavia rimangono perfettamente tranquille; 6° Non vi è nessuna lesione agli accordi itala-britannici dell'aprile, perché non v'è pericolo alcuno per l'accordo britannico; 7° Tutta l'Albania sarà oggi interamente occupata dalle nostre truppe con il consenso delle popolazioni. Occorre svolgere attivissima azione negli ambienti giornalistici e nei circoli politici: non facciano la sciocchezza di rompere il patto itala-britannico; sarebbe un errore colossale. Crolla vada al F.O. ad illustrare questi punti».

3 Crolla aveva trasmesso il testo del comunicato alle 15,30 con fonogramma 1743/152 R. Nel comunicato si dava notizia di una riunione a Downing Street «dei ministri allora disponibili a Londra» e si aggiungeva: «i ministri hanno preso conoscenza di un rapporto contenente le informazioni attualmente in possesso del governo britannico sulla situazione in Albania. La situazione è tutt'ora oscura in relazione ad un certo numero di importanti elementi. È stato pertanto concordato che i ministri presenti rimangano a Londra o nelle vicinanze di Londra per il momento. Non è stata tuttavia fissata alcuna ulteriore riunione».

comunicazione fattagli, ha aggiunto che la avrebbe testualmente riferita domattina al Primo Ministro.

Ho detto allora ad Halifax che, se erano esatte le informazioni in mio possesso, la stampa di domattina avrebbe constatato un ulteriore peggioramento della situazione generale a seguito dell'azione italiana in Albania e prospettato la possibilità di denunciare gli accordi itala-britannici ed offrire garanzia alla Grecia e ad altri Paesi contro eventuali aggressioni. (Mio telegramma n. 151 )4 . Un simile orientamento -ho detto ad Halifax -non avrebbe mancato di provocare le più serie e legittime reazioni della stampa e dell'opinione pubblica italiana, con il conseguente inevitabile inasprimento della già delicata situazione europea. Ho accennato infine ad una pubblicazione che -a quanto mi risultava -doveva apparire domattina sul Sunday Express nella quale si parlava perfino di una possibile occupazione britannica di Corfù: ho dichiarato ad Halifax che l'Italia non avrebbe mai per un istante tollerato un simile eventuale gesto, di cui gli lasciavo valutare tutta la gravità.

Halifax ha subito reagito, dicendo che i giornali potevano pubblicare tutte le sciocchezze che volevano ma che il governo britannico non aveva mai pensato e mai penserà di occupare Corfù. Quanto al resto, ha detto Halifax, bisognava rendersi conto che l'opinione pubblica britannica era stata profondamente colpita dalla «invasione italiana» dell'Albania la quale avveniva a pochi giorni di distanza dell'invasione tedesca di Cecoslovacchia, accentuando così i preesistenti timori e la sensazione che i patti non contassero più nulla e che la forza fosse l'unica arbitra dell'Europa. Per parte mia, ha continuato Halifax, ho fatto di tutto per calmare la stampa, sono io stesso che nel comunicato diramato a seguito della odierna riunione dei ministri ho insistito nel definire la situazione «tuttora oscura» allo scopo di evitare per quanto possibile che i giornalisti si sbilanciassero in giudizi e reazioni di primo impulso. Temo tuttavia che nonostante gli sforzi che potrà fare il governo per dare alla stampa un maggior senso di misura e di responsabilità, non si potranno probabilmente evitare nei prossimi giorni ulteriori escandescenze di giornali.

Quanto poi all'accordo italo-britannico (e qui Halifax ha parlato con particolare calore) voi sapete quanto Chamberlain ed io ci tenemmo, e che abbiamo impostato su di esso la nostra stessa fortuna politica e potete immaginare per ciò quanto ci addolori il constatare che esso non ha portato quei frutti che noi ci attendevamo. Noi ci rendiamo conto della posizione e dei bisogni dell'Italia e non abbiamo alcun desiderio di ostacolare il suo legittimo sviluppo. Non crediate, per esempio, che non riconosciamo i preminenti diritti degli interessi dell'Italia in Albania. Il conte Ciano mi ha informato delle trattative che si svolgevano col governo di Tirana e delle misure precauzionali prese dall'Italia per la tutela dei suoi interessi, noi non abbiamo avuto nulla da dire, tanto più che allora ci venne data l'assicurazione che l'Italia non aveva l'intenzione di attentare all'indipendenza ed all'integrità dell'Albania. Ma non riusciamo ancora a comprendere per quale motivo a un certo punto abbiate

creduto di intervenire militarmente invece di continuare a negoziare poiché non avremmo avuto alcuna difficoltà a che voi conseguiste con negoziato tutto ciò che ora ottenete con la forza.

Ho interrotto a questo punto Halifax per fargli rilevare che l'intervento militare era più che giustificato dalla gravità della situazione che si era determinata in Albania ai danni nostri, nonché dall'appello rivoltoci dal popolo albanese oppresso dal regime di Zog. Ho aggiunto che, da parte sua, l 'Inghilterra poteva darci utili lezioni a questo riguardo, poiché essa non aveva mai esitato a mandare le sue navi e sbarcare le sue truppe in tutti i punti del globo in cui i suoi particolari interessi erano in giuoco.

Halifax ha risposto che non pretendeva affatto che il suo Paese potesse fare agli altri prediche moraliste e che egli non si permetteva di giudicare a questa stregua l'azione de li 'Italia. «Ma-ha aggiunto -Chamberlain ed io abbiamo riposto una così illimitata fiducia nel Duce e nella sua volontà di pace che siamo stati dolorosamente sorpresi da un gesto spontaneo, per quanto giustificato esso possa essere, che in questo delicato momento di tensione europea appare suscettibile di aggravare ulteriormente la situazione».

Ho fatto osservare ad Halifax che le temute ripercussioni non ci ledevano affatto. I due Paesi vicini ali' Albania e più direttamente interessati nella nostra azione -Jugoslavia e Grecia-rimanevano perfettamente tranquilli, e con ragione poiché l'Italia non minacciava né intendeva nel futuro minacciare nessuno.

Halifax mi ha chiesto allora se potevo dirgli quale sarebbe stato nei propositi del Governo Fascista lo «statuto» politico futuro dell'Albania. Mi ha chiesto anche, con una certa ansietà, quanto tempo sarebbe occorso per l'opera di pacificazione affidata alle nostre truppe e se si prevedeva una lunga e ostinata resistenza.

Gli ho replicato che dalla comunicazione che gli avevo fatto risultava chiaro che l'occupazione di tutta l'Albania avveniva senza incontrare resistenze, ed era già in atto.

Halifax mi ha risposto che, pur riconoscendo la fondatezza delle mie argomentazioni, non poteva esimersi dal considerare la situazione come preoccupante. Un prezioso contributo poteva ancora essere fornito dal Duce: e a tale riguardo, egli, Halifax, riteneva che una pronta decisione per il rimpatrio dei legionari italiani dalla Spagna sarebbe stata particolarmente efficace nel rassicurare l'opinione pubblica britannica sull'effettivo funzionamento degli accordi anglo-italiani.

Halifax ha concluso assicurandomi che, così come aveva fatto nella seduta di oggi, egli si sarebbe adoperato nella riunione del Gabinetto di domani per evitare ogni decisione precipitata5 .

503 1 Un appunto dell'Ufficio Cifra avverte che. secondo istruzioni ricevute dall'ambasciata a Londra, il documento «benché trasmesso alle 6,30 del giorno 9, deve, per non creare equivoci di date nel testo, essere datato 8 aprile».

503 4 Fonogramma 1766/151 R. del 9 aprile. Riferiva che la stampa britannica, che in un primo momento aveva mantenuto un atteggiamento moderato di fronte agli avvenimenti albanesi, aveva cambiato tono dopo la parentesi festiva. Ora si notava in tutti i giornali un irrigidimento crescente nei riguardi del!' azione italiana che si tendeva a presentare come una violazione dei Patti di Pasqua, suscettibile di provocare gravi tensioni internazionali.

503 5 Sul colloquio tra Lord Halifax e Crolla oggetto di questo documento si vedano anche le circostanziate comunicazioni in proposito inviate da Lord Halifax all'ambasciatore Perth in BD, vol. V, DD. 95 e 101.

504

IL CONSOLE A BRATISLAVA, LO FARO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 1867/06 R. Bratislava, 8 aprile 1939 (perv. i/13).

Da una conversazione con questo incaricato d'affari di Polonia1 -qui rientrato dopo chiamata a conferire -ho tratto conferma che Varsavia interpreta in senso esclusivamente anti-polacco sistemazione data da Berlino alle sue relazioni con la Slovacchia. Del resto (mio telespresso n. 738/134 del 7 c.m.)2 nello stesso senso il governo del Reich spiegherebbe ora al governo slovacco la permanenza di forti formazioni militari sui Carpazi e nell'alta vallata del Waag.

Tuttavia, sopraluogo concluso stasera da questo R. Vice Console farebbe ritenere infondate informazioni ungheresi circa nuovi concentramenti di truppe tedesche nella zona, in relazione con trattative anglo-polacche a Londra.

Da una conversazione con questo console di Ungheria3 -rientrato da Budapest -ho tratto impressione di marcato riserbo ungherese nei riguardi della Polonia: sembrerebbe quasi che la raggiunta frontiera comune consigli all'Ungheria maggiore circospezione per evitare di essere coinvolta nella polemica polacco-tedesca. Nè sorprende che locali ambienti ungheresi si consolino delle delusioni pel fallito colpo sulla Slovacchia con la speranza che la Germania darà-in altra occasione-il «via libera», come lo diede per la Rutenia al momento dell'azione su Praga.

Questi ambienti governativi, invece -dopo visita Tiso a Berlino4 -non solo sembrano rincuorati e tranquilli ed ostentano sicurezza sull'avvenire del nuovo Stato nel quadro degli attesi ulteriori sviluppi dell'Europa centro-danubiana, ma anchein conversazioni riservate e con aria or rassegnata or lieta a seconda dell'interlocutore -si mostrano compenetrati del ruolo di strumento, ad un tempo anti-polacco ed anti-ungherese, che la politica tedesca avrebbe assegnato alla Slovacchia.

505

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 2775/844. Berlino, 8 aprile 1939 (perv. iliO).

Ho visto l'Ambasciatore di Polonia, il quale si reca a Varsavia per conferire ulteriormente col ministro Beck, che ha peraltro già incontrato questa mattina in occasione del suo passaggio da Berlino.

2 Non rintracciato.

3 J. de Petravié.

4 Del 5 aprile.

Il signor Lipski mi ha confermato, anche dopo aver rivisto Beck, essere intendimento della Polonia di non alterare le proprie relazioni con la Germania, desiderando che i rapporti con la medesima continuino a svolgersi sulla base degli accordi del 19341 . Non mi ha saputo dire tuttavia in che modo esattamente il signor Beck si proponga, sia nel testo definitivo dell'accordo bilaterale con l'Inghilterra, sia nella pratica della sua politica, di conciliare gli impegni e le situazioni nuove con le vecchie.

Comunque, il Lipski mi ha fatto capire che giusta quanto prevedevo nel mio rapporto del 5 corrente n. 27102 , forse, dopo l'accordo con l'Inghilterra3 , la Polonia potrebbe essere pronta a trattare con la Germania per la soluzione della questione di Danzica e del Corridoio con assai maggiore libertà di prima. Il Lipski mi ha spiegato che, come, a controbilanciare le reazioni dell' Anschluss austriaco, la Polonia si era vista costretta alla sua operazione su Vilna\ e come allo stesso scopo aveva nell'autunno dell'anno scorso dovuto procedere all'operazione di Teschen5 in conseguenza dell'annessione sudetica, così ora l'opinione pubblica polacca avrebbe trovato un compenso all'annessione cecoslovacca, nell'accordo inglese che, ridando alla Polonia la sensazione di poter trattare con la Germania da uguale, le avrebbe anche offerto occasione ad intese su Danzica, forse impossibili in altre condizioni.

Lipski mi ha promesso ulteriori particolari al suo ritorno da Varsavia.

504 1 W. Lacinski.

506

IL MINISTRO A BELGRADO, INDELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T.l761/70P.R. Belgrado, 9 aprile 1939, ore 1,20 (perv. ore 4).

Ho seguito nella nottata e stamane gli ordini del Duce di cui al telegramma 63 1•

Impressione di Cvetkovié e di Markovié è stata profonda. Ambedue mi hanno espresso in termini caldissimi la loro riconoscenza per l'alte parole che ancora una volta giungono in così buon punto confortare azione del governo e opinione pubblica.

Mi hanno ripetuto che seguono gli avvenimenti che interessano tanto da vicino questo Paese con la piena fiducia che danno loro i rapporti creati dal patto di Belgrado2 , che ha fatto nelle presenti circostanze la prova del fuoco. Malgrado ferie Pasqua, ove non è possibile una edizione straordinaria, daranno notizia del telegramma del Duce.

2 Non rintracciato.

3 Vedi D. 501, nota 5.

4 Riferimento all'accordo del 19 marzo 1938 imposto dalla Polonia alla Lituania che obbligava il governo di Kaunas a stabilire rapporti diplomatici normali tra i due Paesi, nonostante la contesa sulla città di Vi1na. 5 Riferimento all'occupazione della zona di Teschen effettuata dalle truppe polacche il 2 ottobre 1938 e alla sua successiva annessione alla Polonia. 506 1 Vedi D. 497. 2 Riferimento agli accordi italo-jugoslavi del 25 marzo 1937, vedi D. 86, nota 3.

507.

IL CAPO DEL GOVERNO, MUSSOLINI, ALL'INCARICATO D'AFFARI AD ATENE, FORNARI

T. 266/46 R. Roma, 9 aprile 1939, ore 12,30.

RecateVi subito a mio nome da Metaxas e ditegli che ho preso atto con vivo compiacimento delle sue dichiarazioni concernenti entrata e soggiorno di Zog in territorio greco 1• Sono sicuro che sarà evitato a Zog o ad altri quanto possa incrinare esistente amicizia fra l'Italia e la Grecia, amicizia che considero la base presente e futura dei rapporti fra i due Paesi.

505 1 Vedi D. 27, nota 2.

508

L'INCARICATO D'AFFARI A LONDRA, CROLLA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. S.N.D. PER TELEFONO 1773/153 R. Londra, 9 aprile 1939, ore 16.

Obbedendo agli ordini del Duce trasmessimi stamani telefonicamente da V.E. 1 mi sono immediatamente recato da Halifax e gli ho fatto la prescritta comunicazione illustrandogli i seguenti punti:

a) l'occupazione di tutta l'Albania si svolge pacificamente e tra l'entusiasmo delle popolazioni. Alle popolazioni albanesi che vivono in assoluto stato di inedia viene elargito dal Governo Fascista un soccorso immediato;

b) lo statuto futuro dell'Albania avrà un carattere ispirato alle tradizioni giuridiche di Roma;

c) stiamo organizzando il rimpatrio dei nostri legionari, i quali torneranno dalla Spagna dopo aver partecipato alla parata militare che il Caudillo sta preparando a Madrid;

d) una eventuale crisi dei rapporti italo-inglesi sarebbe veramente deplorevole. Il giuoco albanese «ne vaut pas la chandelle» dei rapporti tra Italia e Inghilterra che sono vicine in tante parti del globo.

Halifax mi ha pregato di ringraziare il Duce della sua comunicazione e di fargli sapere che:

l) aveva subito riferito punto per punto a Chamberlain, giunto stamani dalla Scozia, il nostro colloquio di iersera2 . Chamberlain aveva vivamente apprezzato comunicazioni del Duce. Halifax non avrebbe mancato di mettersi nuovamente e immediatamente in contatto con Chamberlain per riferirgli odierna nuova comunicazione.

2) Egli Halifax non aveva mai dubitato che il Duce avrebbe mantenuto il suo impegno di ritirare i legionari italiani dalla Spagna ma apprendeva con la più viva soddisfazione che il rimpatrio dei legionari avrà luogo nei prossimi giorni.

3) Occorre in questo così delicato momento che tanto da parte britannica quanto da parte italiana vengano evitati o rimossi tutti quegli elementi suscettibili di aggravare la tensione internazionale.

4) Halifax era rimasto ieri sera tranquillizzato dalle assicurazioni del Duce che la Jugoslavia e la Grecia si mantenevano calmissime. Senonché, stamani erano pervenute ad Halifax informazioni da Atene secondo le quali l'opinione pubblica e governo greco erano veramente perturbati e temevano la possibilità di un'azione italiana sul territorio greco ed in special modo una occupazione italiana di Corfù. Halifax mi ha chiesto se potevo ufficialmente smentirgli che il governo italiano avesse simili intenzioni.

Gli ho risposto che in base allo spirito delle istruzioni di massima impartitemi dal Duce in questi ultimi giorni io mi sentivo pienamente in grado di assumere la personale responsabilità di una categorica smentita.

Halifax mi ha ringraziato aggiungendo che tanto più di ciò egli si rallegrava in quanto egli stava appunto per pregarmi di far presente al Governo Fascista che un'eventuale azione italiana su Corfù in particolare, e sul territorio greco in generale, non solo avrebbe definitivamente distrutto gli accordi italo-britannici ma avrebbe anche compromessa la pace europea.

5) A questo riguardo Halifax mi ha pregato di chiedere al Governo Fascista se esso sarebbe disposto a dare subito alla Grecia assicurazioni che l'Italia non ha intenzione di attentare alla sua indipendenza ed integrità territoriale. Ciò, ove fosse stato fatto, avrebbe rappresentato per il governo britannico un essenziale elemento di distensione per poter superare la crisi attuale. Halifax ha anche aggiunto che, ove simili assicurazioni fossero già state date dal Governo Fascista al governo greco, egli sarebbe stato molto grato di fargliene avere notizia nella stessa giornata di oggi.

6) Halifax mi ha pregato infine di assicurare il Duce e V.E. che tanto lui quanto Chamberlain sono pienamente consapevoli della virtuale importanza che rappresentano in questo momento gli accordi italo-britannici. «Dopo le ripetute assicurazioni che il Duce ha voluto farci pervenire nel corso di questi ultimi tre giorni, ha concluso Halifax, Chamberlain ed io intendiamo fare tutto quello che è in nostro potere per mantenere in vita non solo gli accordi itala-britannici ma anche quella attiva cooperazione itala-britannica che gli accordi stessi mirava a consacrare. Fate sapere al Duce che Chamberlain ed io abbiamo in lui la massima fiducia e desideriamo continuare a collaborare personalmente con lui nell'interesse della pace europea»3 .

507 1 L'incaricato d'affari Fornari aveva telegrafato il giorno precedente di essere stato convocato dal sottosegretario agli Affari Esteri, Mavrudis, il quale gli aveva chiesto di far sapere a Roma che il governo ellenico non avrebbe tollerato nessuna attività politica da parte di Re Zog, allora a Salonicco in attesa di trasferirsi in altro Paese (T. 1759/21 R., 1760/22 R. e 1763/23 R. dell'8 aprile).

508 1 Le istruzioni erano contenute nel T. 271/41 R. del 9 aprile, trasmesso per telefono dal Gabinetto. Crolla era incaricato di recarsi nuovamente da Lord Halifax per comunicargli i quattro punti che qui Crolla ripete verbatim.

508 2 Vedi D. 503. 3 Sul colloquio Halifax-Crolla oggetto di questo documento si veda anche il dispaccio inviato in proposito da Lord Halifax all'ambasciatore Perth in BD, vol. V, D. 109.

509

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, AI MINISTRI A IL CAIRO, MAZZOLINI, E A GEDDA, SILLITTI

T. 270 R./C. Roma. 9aprile 1939, ore 18,15.

Diffondete in codesti ambienti politici e giornalistici ragioni e natura nostra azione in Albania, che ha liberato un popolo musulmano da ignobile tirannia che lo opprimeva e ne comprometteva l'avvenire.

Intervento italiano ha sollevato popolo amico da incredibile inedia e miseria. Sorvegliate reazioni codesti circoli e riferite telegraficamente.

510

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, GUARIGLIA

T. S.N.D. 272/107 R. Roma, 9 aprile 1939, ore 18,45.

Fate comprendere ai giornali francesi che questo è il momento di assumere un atteggiamento obiettivo verso l'Italia. Mostrando comprensione dell'azione italiana in Albania codesta stampa potrà contribuire efficacemente al miglioramento dell'atmosfera italo-francese e servirà in modo concreto gli interessi del proprio Paese.

Riferite telegraficamente esito azione che voi e Landini svolgerete in tal senso 1 .

511

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, ALL'AMBASCIATORE A SALAMANCA, VIOLA

T. S.N.D. 275/144 R. 1 . Roma, 9 aprile 1939, ore 18,50.

Recatevi da Franco e ditegli che -se nulla osta da parte sua -il Duce ha deciso far rimpatriare i Legionari in Spagna subito dopo che avrà avuto luogo la grande parata in Madrid. Ciò, naturalmente, sempre che Franco non abbia particolari motivi per desiderare la permanenza delle truppe nel qual caso i Legionari rimarranno a sua disposizione.

Non appena fatta la comunicazione telegrafateci quanto Franco vi dirà2 .

51 O1 Per la risposta si veda il D. 522.

2 Per la risposta si veda il D. 537.

509 1 Questo telegramma fu inviato anche ai consolati generali a Tangeri, Algeri, Tunisi, Beirut, Gerusalemme e Alessandria e ai consolati a Damasco e Aleppo.

511 1 Minuta autografa.

512

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, ALL'INCARICATO D'AFFARI AD ATENE, FORNARI

T. S.N.D. 274/47 R. 1 . Roma, 9 aprile 1939, ore 19,15.

Recatevi subito da Metaxas e ditegli formalmente a nome del Duce che ogni voce di azione italiana contro la Grecia è falsa e certamente diffusa da agenti provocatori. L'Italia fascista conferma che è suo intendimento di rispettare nel modo più assoluto la integrità territoriale e insulare della Grecia, con la quale intende mantenere e sviluppare sempre più i cordiali rapporti di amicizia che legano i due Paesi, ed è disposta anche a dame prove concrete.

513

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, ALL'INCARICATO D'AFFARI A LONDRA, CROLLA

T. S.N.D. 273/42 R. 1 . Roma, 9 aprile 19392•

Vostro n. 1533 .

Andate subito da Halifax e ditegli quanto segue:

l) il Duce conferma che tutti volontari italiani verranno ritirati dalla Spagna subito dopo la grande parata che avrà luogo prossimamente a Madrid. Di tale decisione verrà quanto prima data notizia pubblica.

2) Il Duce ha già dato le più ampie assicurazioni al governo greco, confermando che l'Italia fascista intende basare i suoi rapporti con la Grecia su una cordiale e solida amicizia4• Nuove istruzioni sono state date al nostro incaricato d'affari in Atene perché assicuri quel governo che ogni voce di nostre intenzioni ostili alla Grecia è falsa poiché noi intendiamo rispettare nella forma più assoluta la integrità territoriale e insulare della Grecia5 .

3) Il Duce apprezza vivamente la cordialità dell'atteggiamento del governo britannico che varrà a rendere più solidi i vincoli che esistono tra i due Paesi. Si augura che un tale atteggiamento si rifletta anche sulla stampa la quale deve rendersi conto dell'alta opera di civiltà e di giustizia che l 'Italia fascista compie in Albania tra il consenso entusiastico del popolo albanese6 .

2 Nota dell'Ufficio Cifra: «Trasmesso per telefono dal Gabinetto di S.E. il Ministro».

3 Vedi D. 508.

4 Vedi D. 507.

5 Vedi D. 512.

6 Per il successivo colloquio Halifax-Crolla si veda il D. 518.

514.

L'AMBASCIATORE AD ANKARA, DE PEPPO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. l 777/31 R. Ankara, 9 aprile 1939, ore 15,20 (perv. ore 19,30). Mio telegramma 30 1•

Questa stampa pubblica telegramma da Bucarest secondo cui visita Gafencu Istanbul non può essere messa in rapporto recenti avvenimenti, essendo stata da tempo decisa.

Circa questione albanese, commenti giornali odierni sono in massima improntati moderazione e riservatezza. Sebbene non manchi qualche sgradevole punta, si riconosce generale prevalenza interessi italiani Albania e si prevede che azione italiana, pur aggravando attuale tensione, non sarà causa di conflitto europeo.

Si afferma, peraltro, che ultime occupazioni effettuate da Asse sono di ordine più strategico che politico. Atteggiamento jugoslavo è considerato tale da escludere immediate complicazioni Balcani, ma si nota senso di preoccupazione non solo per il pericolo che occupazione Albania può costituire per la Grecia e Jugoslavia, ma anche per l'incoraggiamento che da essa potrebbe derivare alla Bulgaria2 .

2 Sull'atteggiamento della stampa turca di fronte all'azione italiana in Albania, l'ambasciatore De Peppo così riferiva qualche giorno dopo: « Mai, forse, come in questa circostanza la stampa turca ha rispecchiato i vari movimenti dell'opinione pubblica davanti ad un avvenimento che direttamente la interessa. Le fasi per le quali essa è passata si possono così definire ed elencare: sorpresa, circospezione e riserva dapprima, poi allarme, infine sensazione dell'urgente necessità di misure difensive nell'ambito dei Balcani. I temi particolarmente trattati dalla stampa quotidiana sono i seguenti: l'azione dell'Italia costituisce una risposta alla Gran Bretagna nel tentativo di quest'ultima di costituire un blocco di Potenze antitotalitarie; è un avvertimento alla Jugoslavia e conseguentemente agli Stati balcanici per renderli inoffensivi; l'Italia vuole crearsi un punto d'appoggio nei Balcani per qualsiasi futura eventualità e sbarrare la strada alla Germania nell'Adriatico e nel Vicino Oriente; timore per l'incitamento che dall'azione dell'Italia può trarre la Bulgaria in favore delle sue rivendicazioni; preoccupazione per una estensione d eli' azione italiana verso la Grecia; pericolo per i Balcani in genere e imprescindibile dovere da parte loro di provvedere da soli alla loro difesa» (telespresso 6911374 del 12 aprile).

512 1 Minuta autografa.

513 1 Minuta autografa.

514 1 T. 1736/30 R. del 7 aprile. Preannunciava l'arrivo di Gafencu a Istanbul. Sulla visita del ministro degli Esteri romeno si vedano i DD. 529, 538 e 570.

515

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, ALL'AMBASCIATA AD ANKARA E ALLE LEGAZIONI AD ATENE, BAGDAD, GEDDA, IL CAIRO E KABUU

T. 277 R./C. Roma, 9 aprile 1939, ore 21,10.

Stampa e radio francese cercano sfruttare avvenimenti Albania per trame nuovi argomenti contro l'Italia2 . Così, ad esempio, stazione francese Radio Levant ha denunciato pretesa distruzione di moschee e uccisione donne e bambini musulmani in Albania.

Si tratta di evidenti menzogne diffuse unicamente ai fini della politica francese, la quale tende così a distogliere attenzione del mondo musulmano dalle malefatte della Francia in Siria.

È falso che siano state distrutte moschee in Albania come è ugualmente falso che siano stati uccisi donne e bambini.

Occupazione italiana Albania, salvo tentativi di resistenza delle bande armate da Zog, si è svolta pacificamente ed è stata accolta col più cordiale entusiasmo dalla popolazione albanese, nella quale i musulmani sono la grande maggioranza. Ciò è una riprova che i musulmani in Albania, cui è nota politica di amicizia e di perfetta comprensione dell'Italia verso i musulmani, sono stati i principali fautori del rovesciamento del regime di Zog e della instaurazione in Albania di un nuovo ordine di cose basato sulla stretta intesa con l 'Italia fascista, che ha sempre rispettato e rispetterà religione, usi e costumi musulmani, ed è stata e sarà larga di aiuto per le popolazioni albanesi sia musulmane che cristiane dell'Albania.

516

L'INCARICATO D'AFFARI AD ATENE, FORNARI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 1785/27 R. Atene, 9 aprile 1939, ore 23,05 (perv. ore 1,40 deliO).

Ho avuto occasione chiedere a Mavrudis che cosa mi potesse dire circa informazioni stampa inglese riferenti offerta garanzia Gran Bretagna a vari Paesi tra cui Grecia analoga a quella data Polonia. Mi ha assicurato che finora nessuna apertura

2 Vedi DD. 524 e 525. Il diffondersi di agitazioni antitaliane come conseguenza dell'occupazione del!' Albania era segnalato in quei giorni anche da altre rappresentanze consolari che tutte sottolineavano come alla loro origine vi fosse l'azione sobillatrice delle Autorità francesi, desiderose anche di distogliere l'attenzione del mondo arabo dalla difficile situazione che si era creata in Siria (T. 5798/34 P.R. del 10 aprile e telespresso 2174/444 stessa data da Beirut; telespresso 786/137 del 10 aprile da Damasco; T. 1844/77 R. d eli' Il aprile da Algeri.

del genere era stata qui fatta. Ha aggiunto che, qualora Gran Bretagna come Italia o qualsiasi grande Potenza comunicasse essere pronta garantire unilateralmente frontiere Grecia, questa non potrebbe che accettare a condizione che ciò non comporti alcun impegno da parte sua.

A proposito delle affermazioni stampa inglese che, come conseguenza garanzia, Gran Bretagna invierebbe proprie navi a Corfù, mi ha detto condividere punto di vista esposto da nostra Tribuna circa evidente rottura in tal caso da parte inglese del Patto Mediterraneo.

515 1 Questo telegramma fu inviato anche ai consolati generali a Gerusalemme, Beirut, Tunisi, Algeri, Bombay, Calcutta e Gibuti, ai consolati a Casablanca, Aleppo, Damasco, Singapore, Batavia, Aden, Tetuan, e al dottor Passera a Sanaa.

517

APPUNTO DEL GABINETTO PER IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

Con pro-memoria rimesso al Conte Ciano il 9 aprile, il governo inglese esprimeva le sue apprensioni sugli avvenimenti albanesi e si dichiarava in diritto di ricevere «i più franchi e più completi chiarimenti non solo sugli attuali sviluppi della situazione italo-albanese, ma anche sulle intenzioni future del governo italiano» 1•

518

L'INCARICATO D'AFFARI A LONDRA, CROLLA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. S.N.D. PER TELEFONO 1778/155 R. Londra, IO aprile 1939, ore 1,15.

Ho visto questo pomeriggio Halifax e gli ho fatto la comunicazione prescrittami da V.E. col telegramma n. 421 .

Halifax mi ha pregato anzitutto di ringraziare nuovamente il Duce per la sollecitudine colla quale egli aveva consentito a fargli pervenire una risposta favorevole sui punti che avevano formato oggetto della conversazione di stamane.

Halifax ha preso atto con il più vivo compiacimento delle assicurazioni date dal Governo Fascista alla Grecia, dichiarando che esse costituivano un importante elemento nella distensione generale.

Passando poi a quanto è contenuto nel punto 3° del fonogramma citato, Halifax ha detto che il governo britannico prende atto con viva soddisfazione dell'importanza che il Duce annette al consolidamento dei vincoli esistenti fra le nostre due Nazioni ed ha aggiunto che il Duce può contare sulla piena volontà di collaborazione del

governo britannico. Quanto alla stampa, Halifax ha detto, che egli non si illudeva che nei prossimi giorni potessero cessare certe spiacevoli reazioni giornalistiche esprimenti quello che era un diffuso stato d'animo del pubblico inglese. Occorreva quindi pazientare ancora per qualche giorno. Comunque, egli ha tenuto a ripetermi, non avrebbe mancato di far il possibile per indurre questa stampa ad un tono di maggiore obiettività.

Halifax mi ha detto, poi, che su richiesta della opposizione il Primo Ministro aveva dovuto acconsentire alla convocazione, nel corso della presente settimana, di una riunione straordinaria del Parlamento per discutere la questione albanese. Poiché tanto Chamberlain quanto Halifax avrebbero dovuto fare dichiarazioni per il governo, egli mi pregava anche a nome del Primo Ministro di chiedere al Duce se non aveva obiezioni a che il governo britannico facesse uso, nel pubblico dibattito, delle varie comunicazioni ed assicurazioni che il Duce gli aveva fatto pervenire in questi giorni. Halifax ha soggiunto che lo scopo di questa sua domanda era quello di mettere in grado il governo di affrontare con maggior successo i prevedibili attacchi della opposizione ed ha detto che egli sarebbe stato grato se il Duce avesse voluto fargli pervenire una risposta al più presto possibile.

Halifax è venuto quindi a parlare dello stato politico futuro dell'Albania riferendosi anche alle passate trattative diplomatiche italo-albanesi ed alla offerta da parte dell'Italia di un trattato che contemplava la indipendenza politica dell'Albania. Premettendo che egli non intendeva affatto ingerirsi in una questione di esclusiva spettanza del Governo Fascista e che si esprimeva con me a titolo puramente personale, Halifax a questo punto ha fatto cenno all'importanza che, a suo avviso, potrà avere ai fini di una rapida distensione, anche nel settore della stampa e dell'opinione pubblica, la scelta della formula costituzionale per il nuovo assetto dell'Albania.

A conclusione del nostro colloquio, Halifax mi ha pregato di trasmettere al Duce ed a V.E. una comunicazione, a nome non solo suo e di Chamberlain ma del governo inglese, in risposta alla comunicazione che io gli avevo fatto oggi stesso.

Trascrivo qui appresso il testo nella sua traduzione letterale:

«Vi prego di ripetere al Duce ed al Conte Ciano che il governo inglese desidera vivamente che l'accordo italo-britannico, al quale esso ha attribuito sempre la maggiore importanza, possa dare i maggiori e più fecondi risultati. Noi lo abbiamo concluso malgrado tutte le opposizioni e contro le opposizioni lo abbiamo mantenuto. È perciò ovvio che noi si desideri fare in modo che esso possa contribuire efficacemente al mantenimento delle amichevoli relazioni esistenti tra i nostri due Paesi.

L'Impero britannico ha nel mondo punti vitali di interesse che esso non può fare a meno di salvaguardare; Vi prego di voler assicurare il signor Mussolini che il governo britannico è lungi dal voler fare alcunché che possa intralciare il mantenimento di quella pace europea, alla quale il Duce ha fatto riferimento nel suo recente discorso, come noi siamo stati lieti di rilevare.

Per quanto sia inevitabile che l'occupazione colla forza di uno Stato avente una linea costiera sul Mediterraneo appaia all'opinione britannica come molto difficilmente conciliabile coll'articolo dell'accordo anglo-italiano relativo al mantenimento dello status qua mediterraneo, ciò non significa affatto che noi non si desideri, come è invece nostro fermo intendimento, di fare ogni sforzo per conseguire dall'accordo

stesso un miglioramento delle relazioni fra i nostri due Paesi e la loro collaborazione per la causa della pace».

Ho assicurato Halifax che avrei immediatamente trasmesso la sua comunicazione2•

517 1 Non si è trovata documentazione negli archivi italiani circa il relativo colloquio tra Ciano e l'ambasciatore Perth. Su di esso si veda il circostanziato resoconto dell'ambasciatore britannico in BD, vol. V, D. 104.

518 1 Vedi D. 513.

519

L'INCARICATO D'AFFARI A LONDRA, CROLLA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER TELEFONO 1779/156 R. Londra, 10 aprile 1939, ore 1,15.

Apprendo che questa sera Lord Halifax ha fatto convocare al Foreign Office i principali rappresentanti della stampa, in relazione agli odierni sviluppi diplomatici della situazione.

Portavoce del Foreign Office ha messo in rilievo seguenti punti:

l) intenso scambio di vedute a Roma e a Londra avvenuto fra il governo italiano e britannico: 2) assicurazioni date dal governo italiano sul carattere strettamente limitato dell'azione italiana in Albania;

3) malgrado serietà colla quale governo britannico considera azione italiana, è stata registrata, a seguito di tali scambi di vedute, nei circoli politici britannici una diminuita ansietà nella giornata di oggi.

Questi elementi sono ripresi e messi in rilievo nelle note diramate questa sera dalle varie agenzie di informazione.

520

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, ALL'INCARICATO D'AFFARI A LONDRA, CROLLA

T. S.N.D. 278/43 R. 1 . Roma, 10 aprile 1939, ore 11.

Vostro 1552 . Nullaosta da parte del Duce a che sia fatto uso nel pubblico dibattito delle assicurazioni e comunicazioni fatte dal Duce. Sarebbe gradito, se possibile, conoscere prima quanto verrà detto.

521.

L'INCARICATO D'AFFARI AD ATENE, FORNARI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. S.N.D. 1803/28 R. Atene, IO aprile 1939, ore 15,30 (perv. ore 18,20).

Tomo in questo momento dall'aver visto Metaxas cui ho comunicato telegramma di V.E. 471 . Metaxas, che ha seguito con visibile soddisfazione mia comunicazione, mi ha pregato trasmettere al Duce e a V.E. suoi vivi ringraziamenti. Ha aggiunto che dichiarazione giungeva quanto mai opportuna per troncare voci di cui governo greco aveva proibito pubblicazione ma che, alimentate da radio straniere, circolavano egualmente nel pubblico.

Da avvenimenti internazionali amicizia italo-greca, che, secondo sua impressione aveva ultimamente attraversato periodo di grande freddezza, usciva rinnovata e rinsaldata dalla conversazione. Avendo avuto occasione far rilevare a Metaxas come stampa greca abbia dato largo spazio notizie e impressioni di fonte franco-inglese, egli mi ha esplicitamente assicurato che avrebbe disposto pubblicazione di qualsiasi informazione pervenisse da Regia Legazione o da agenzia Stefani.

Vedrà V.E. se non sia il caso interessare agenzia Stefani per intensificare invio notizie e commenti nostra stampa.

518 2 Sul colloquio Halifax-Crolla oggetto di questo documento si veda anche il dispaccio inviato in proposito da Lord Halifax all'ambasciatore Perth in BD, vol. V, D. IlO. 520 1 Minuta autografa. 2 Vedi D. 518.

522

L'AMBASCIATORE A PARIGI, GUARIGLIA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. S.N.D. 1802/55 R. Parigi, IO aprile 1939, ore 15,40 (perv. ore 19,30). Mi riferisco al telegramma di V.E. n. 1071 .

Già sabato sera era stato notato inasprimento stampa francese, di cui al mio telegramma n. 542 (il quale del resto rispose a parola d'ordine venuta da Londra, così come riunione precipitosa Consiglio Difesa Nazionale tenutasi ieri fu dovuta voci allarmistiche provenienti stessa fonte circa movimenti truppe germaniche frontiera Olanda). Landini chiamò Vallet (giornalista di cui al mio rapporto 919 del l 0 aprile? incaricandolo far comprendere a Bonnet che stampa manovrata forze estranee governo francese tendeva creare movimento opinione pubblica in contrasto con riserbo e neu

2 Vedi D. 502.

3 Vedi D. 436.

tralità conservati da governo stesso nei riguardi questione albanese. Venne aggiunto che atteggiamento stampa francese poteva peggiorare pessimi rapporti che esistono fra i due Paesi. Bonnet sempre per mezzo di Vallet fece rispondere essere d'accordo.

D'altra parte mi adoperai nel senso ordinatomi da V.E. con telegramma segreto

n. 1034 . La voce attecchì in un primo tempo ma poi suscitò reazioni negli stessi giornali che l'avevano raccolta, perché sopraffatta da notizie divulgate artificiosamente da propaganda a noi ostile nel senso che occupazione Albania da parte nostra era primo atto di un'azione più vasta concertata dettagliatamente fra Italia e Germania.

In seguito telegramma n. l 07 ho iniziato contatto diretto con Journal, Temps ed altri ma stante giornata festiva ed assenza direttori sarà possibile iniziare soltanto domani lavoro anche su altri giornali. Ad ogni modo, non essendo conveniente mettermi io stesso in diretto contatto con Bonnet (telegramma di V.E. n. 101)5 , gli ho fatto pervenire per tramite sicuro e nel modo più efficace consiglio agire su questa stampa per migliorare atmosfera franco-italiana anche nell'interesse francese. Continuerò adoperarmi secondo gli ordini di V.E. riservandomi riferire.

Mi permetto tuttavia sottoporre a V.E. seguenti considerazioni:

l) che i risultati dipendono in primo luogo da direttive che darà governo inglese alla sua azione politica a cui il ministro Affari Esteri francese è completamente subordinato;

2) che l'atteggiamento stampa francese nei riguardi nostre operazioni in Albania non (dico non) è stato determinato dalla questione in se stessa ma dalla situazione politica generale europea, dal timore di una azione combinata italo-tedesca e dal desiderio premere fortemente sull'Inghilterra per adozione coscrizione e sull' America per modificazione Legge neutralità;

3) che la questione albanese è ormai digerita dall'opinione pubblica francese e dal governo, il quale ultimo, bisogna riconoscerlo, ha osservato una corretta neutralità; 4) che per agire su stampa francese non bastano le parole ma occorrono mezzi (mia lettera del29 marzo scorso n. 778)6;

5) che per agevolare azione ordinatami da V.E. occorrerebbe che io fossi in grado di promettere al Matin la riammissione in Italia ed al Temps una certa indulgenza da parte nostra.

521 1 Vedi D. 512.

522 1 Vedi D. 510.

522 4 Vedi D. 455. 5 Vedi D. 436, nota 4. 6 Non pubblicata.

523

L'INCARICATO D'AFFARI A LONDRA, CROLLA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. S.N.D. PER TELEFONO 1799/159 R. Londra, l O aprile 1939, ore 21.

Mi sono recato questo pomeriggio da Halifax e gli ho fatto la comunicazione di cui al fonogramma di V.E. n. 43 1•

Halifax mi ha pregato di far pervenire al Duce i suoi più vivi ringraziamenti per avere ancora una volta sollecitamente acconsentito a dare una risposta favorevole ad un punto da lui sollevato nella nostra conversazione di ieri2 . Questo nuovo gesto del Duce, ha detto Halifax, sarà indubbiamente apprezzato dal Primo Ministro in tutta la sua alta importanza.

Halifax ha continuato dicendo che egli, aderendo al desiderio di V.E., avrebbe fatto il possibile per informare preventivamente il Governo Fascista sul tenore delle dichiarazioni che verranno fatte dal governo nella prossima riunione straordinaria del Parlamento che avrà luogo giovedì 13 aprile. «Ma, ha soggiunto Halifax, voi sapete che molte delle nostre risposte in Parlamento non sono preparate in precedenza e dipendono dallo svolgimento del dibattito e dal corso, spesso imprevedibile, della seduta. Non sono perciò in grado di assicurarvi che tutto ciò che sarà dichiarato in Parlamento coinciderà esattamente con quanto avrò comunicato in precedenza al vostro governo. Ma Vi prometto che farò il possibile per mettervi al corrente di quanto verrà detto».

Ho chiesto allora a Halifax se poteva dirmi qualcosa sulla seduta di stamane nel Consiglio di Gabinetto.

Halifax ha risposto: «Lo faccio molto volentieri. Il Gabinetto ha anzitutto ascoltato la mia esposizione della situazione, che è stata lunga e approfondita, l 'ho messo al corrente nel modo più esatto e più particolareggiato possibile degli scambi di vedute intervenuti negli ultimi giorni e delle assicurazioni comunicate dal Duce. Il Gabinetto ha preso atto di tali assicurazioni con viva soddisfazione ed ha altamente apprezzato il contributo dato ancora una volta e così prontamente dal Duce per distendere una situazione che minacciava di divenire pericolosa. Il Gabinetto infine ha approvato unanimamente tutte le comunicazioni e dichiarazioni che io ho avuto occasione di fargli nel corso di questi ultimi giorni, nonché la politica di collaborazione tra i nostri due governi per la causa della pace, nel quadro degli accordi italabritannici.

Il Gabinetto si è occupato quindi delle reazioni dell'opinione pubblica e i ministri hanno potuto riferire le impressioni da loro riportate nei contatti avuti con il pubblico, non solo a Londra ma anche nella provincia, durante le vacanze pasquali. L'impressione generale è che la reazione dell'opinione pubblica è stata ed è tuttora molto forte. Elementi di carattere sentimentale che hanno colpito l'immaginazione emotiva del popolo inglese sono, a parte la forma violenta con cui l'azione italiana si è svolta,

2 Vedi D. 518.

il fatto che essa sia avvenuta il Venerdì Santo ed insieme le circostanze nelle quali ha avuto luogo la fuga dell'ex Regina a due giorni di distanza dalla nascita del figlio.

Nelle prossime sedute del Parlamento-ha continuato Halifax-i rappresentanti del governo potranno difficilmente non dire cose che in Italia potranno essere sgradevoli. Faremo di tutto però per dirle nel modo migliore possibile. Ma noi non possiamo non tenere conto dello stato della nostra opinione pubblica.

Questo è anzi l 'unico modo con cui potremo superare, dopo i primi sfoghi parlamentari e giornalistici, il profondo turbamento che si è manifestato in questi giorni in tutta l'Inghilterra e perseguire così il nostro proposito, di continuare a collaborare proficuamente col Governo Fascista».

Ho risposto ad Halifax che l'opinione pubblica inglese dovrebbe rendersi conto dell'alta missione civilizzatrice che, con l'eliminazione di Zog, l'Italia potrà svolgere in Albania; circostanza questa dinanzi alla quale appaiono ridicoli questi vani puerili sentimentalismi.

A questo punto, poiché il giornale The Star nel riportare questo pomeriggio il telegramma Reuter che annunzia la partenza dalla riviera francese per ignota destinazione della corazzata britannica Malaya ne traeva la deduzione che la nave stessa potesse essere diretta a Corfù, ho chiesto ad Halifax che cosa ci fosse di vero in questa pubblicazione che a me non poteva non apparire sorprendente.

Halifax mi ha categoricamente smentito che la Malaya fosse diretta a Corfù. E ho chiesto allora se era in grado di dichiararmi che non è intenzione del governo britannico inviare né la corazzata Malaya, né alcuna altra nave da guerra britannica a Corfù.

Halifax ha risposto che il governo britannico non ha intenzione di inviare unità della propria flotta a Corfù e -egli ha soggiunto -a meno che dovessero essere inviate colà navi da guerra italiane, l'Inghilterra per parte sua non ne invierà alcuna3 .

523 1 Vedi D. 520.

524

IL REGGENTE IL CONSOLATO GENERALE A TUNISI, LANZA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 1808/50 R. Tunisi, JOaprile 1939, ore20,45 (perv. ore 4,35 dell'll).

Mi riferisco al telegramma di VE. n. 2701•

Azione militare in Albania, seguita vivissimo entusiasmo da parte di questa collettività italiana, che da vari mesi sopportava pazientemente tormentosa pressione ostile francese. Comprensibile reazione connazionali e loro manifestata gioia e fierezza, hanno portato ad incidenti lievi, culminati bastonate taluni ebrei antifascisti.

Sull'esempio fogli della metropoli, stampa francese locale sforzasi presentare, sotto luce più falsa, tendenziosa, ragioni e fasi dell'azione italiana.

Mentre gli ambienti sinistra sfogano livore antifascista nel modo e nei termini consueti, ambienti destra (soprattutto gruppi vicini arcivescovato, a Stato Maggiore e grandi proprietari) organizzano nuova violenta campagna antitaliana -alla quale partecipano attivamente anche parroci -non nascondono speranza che occupazione Albania possa allentare tensione esistente Tunisia, permettendo una certa ripresa vita economica attualmente del tutto arrestata, nonché ritiro truppe linea Nareth dove, col trascorrere mesi, condizioni sanitarie morali peggiorano.

Ambienti ufficiali sforzansi soprattutto sfruttare in ogni modo nostra azione ai fini antitaliani fra gli arabi, riuscendo -soprattutto mercé assoluto controllo stampa indigena-creare stato d'animo, se non ostile, almeno di marcata deplorazione a nostro riguardo con riflesso anche elementi nazionali.

Mentre ho immediatamente provveduto controbattere con energia tali tentativi, assicuro VE. che sarà mia cura avvalermi opportunamente nuovi utilissimi elementi da V. E. inviati; mi riservo riferire ulteriormente.

523 3 Sul colloquio Halifax-Crolla oggetto di questo documento si veda anche il dispaccio inviato in proposito da Lord Halifax all'ambasciatore Perth in BD, vol. V, D. 123.

524 1 Vedi D. 509.

525

IL CONSOLE GENERALE A TANGERI, DE ROSSI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 1869/039 R. Tangeri, 10 aprile 1939 (perv. il 13).

Mio telegramma n. 1041 e n. 270 di cotesto R. Ministero2• Stampa e radio francesi continuano intensa propaganda antitaliana, specialmente presso musulmani, con notizie false e tendenziose circa operazioni Albania.

Tale campagna, oltre ad aumentare preoccupazioni e anche panico popolazione francese, che suppone ormai essere prossima alla guerra, comincia a far breccia presso gioventù araba francesizzata, mentre elementi classi superiori, che conoscono e mal sopportano giogo francese, non mi hanno nascosto loro soddisfazione per successo italiano e per nuova confessione impotenza politica francese.

Popolazione ebraica, anche perché ad essa si sono in questi ultimi tempi aggiunti loschi elementi provenienti da bassifondi tutta Europa, è completamente costernata, nel timore che successi Stati totalitari possano segnare più completo e profondo abbassamento giudaismo. Ma essi e francesi, coi quali hanno sempre avuto qua comuni tendenze e finalità, non ristanno dal rendere difficile vita ai

2 Vedi D. 509.

nostri connazionali, che ad onta difficoltà continuano vivere completa serenità e fiducia destini Patria.

Popolazione spagnola segue con profonda simpatia successi italiani, manifestando altresì più viva soddisfazione per Patto Anticomintern per nuovi legami che ne deriveranno per difesa comune civiltà.

525 1 T. 5727/104 P.R. del 9 aprile. Riferiva che la stampa e la radio francesi diffondevano notizie false sugli avvenimenti in Albania e tentavano di sobillare la popolazione musulmana alla quale veniva detto che l'Italia in Albania distruggeva <<l'ultimo Stato musulmano in Europa» e calpestava le leggi e le tradizioni musulmane.

526

L'INCARICATO D'AFFARI AD ATENE, FORNARI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. S.N.D. URGENTISSIMO 1806/29 R. Atene, 11 aprile 1939, ore 0,50 (perv. ore 2).

Mavrudis mi prega chiedere a V.E., a nome di Metaxas, se riteniate possa dare alla stampa notizia della comunicazione fattagli stamane 1 e di cui a telegramma V.E.

n. 472 . In caso affermativo, se comunicazione potrà essere riprodotta per intero ovvero in sunto, e se preferiate che pubblicazione avvenga qui ovvero costà. Ha aggiunto Metaxas non volere far niente in proposito che non sia nel desiderio del Duce; sarebbe lieto se risposta giungesse in modo che giornali del pomeriggio di domani 11 corrente possano eventualmente pubblicare comunicato.

Pubblicazione avrebbe qui le più favorevoli ripercussioni e servirebbe a stroncare definitivamente talune voci antitaliane.

527

IL MINISTRO A BUCAREST, GHIGI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. RISERVATISSIMO 1809/129 R. Bucarest, 11 aprile 1939, ore 0,25 (perv. ore 2,35).

Nella giornata di ieri ed oggi, malgrado giornate festive e mancanza giornali, ho avvertito in questi ambienti Corte e governo senso maggiore nervosismo che a mio avviso risale direttamente a Sovrano e che va messo in rapporto con azione inglese, la quale continua particolarmente attiva valendosi anche nostra occupazione Albania. Si accentua altresì in questa opinione pubblica per effetto mobilitazione parziale, nonché

2 Vedi D. 512.

per reazione atteggiamento alcuni elementi minoritari ungheresi e tedeschi, persistente animosità contro Germania e Ungheria e apprensione circa intenzioni Reich.

Anche Gafencu rientrato stamane da Istanbul1 si è espresso con me circa situazione generale in senso assai più pessimista che nei nostri ultimi incontri. Mi ha detto avere trovato in Istanbul atmosfera allarmante e mi ha accennato a timori questa opinione pubblica ed a preoccupazioni generali suscitate circa ulteriori intenzioni Germania. Per quanto concerne occupazione Albania, Gafencu mi ha assicurato che curerà che stampa romena conservi massima obiettività e che venga evitata presa di posizione in tale questione. Mi ha fatto comprendere che maggiori preoccupazioni in questione provengono dalla Grecia.

In complesso, mi sono confermato impressione che Romania si accinga ad accogliere proposte britanniche garanzia possibilmente di carattere unilaterale. Gafencu peraltro si è mostrato riservato, sia su carattere contrattuale o meno proposte britanniche, sia se esse riguardano indipendentemente Romania ovvero Intesa Balcanica.

È comunque difficile formulare precise previsioni circa condotta Romania dipendendo ogni decisione dal Re che è perennemente animo ondeggiante e facilmente mutevole.

526 1 Vedi D. 521.

528

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, ALL'INCARICATO D'AFFARI AD ATENE, FORNARI

T. S.N.D. 283/50 R. Roma, 11 aprile 1939, ore 11,45.

Vostro 29 1 .

Sta bene per pubblicazione costà della nostra comunicazione. Potete anche aggiungere che avrò prossimamente occasione di ribadire pubblicamente note assicurazioni2.

Il 12 aprile veniva diramato, da Roma, il seguente comunicato: «Il ministro di Grecia a Roma ha consegnato oggi a Palazzo Chigi la seguente comunicazione: "Il ministro di Grecia è stato incaricato dal presidente del Consiglio ellenico di esprimere il suo più caldo ringraziamento per la comunicazione che gli è stata fatta il IO aprile dall'Incaricato d'Affari italiano a nome di S.E. il Capo del governo italiano, con la quale gli sono state fomite categoriche assicurazioni che il Governo Fascista rispetterà l'integrità della Grecia, sia per quanto riguarda le sue frontiere terrestri, sia per quanto riguarda le sue frontiere marittime. S.E. Metaxas aggiunge che, prendendo atto con piena soddisfazione di queste dichiarazioni di

S.E. Mussolini, egli ha la convinzione assoluta che non potrebbe sorgere alcun evento suscettibile di turbare in qualsiasi modo l'amicizia tradizionale che, in ogni tempo, unisce i due Paesi e che egli vede cominciare un nuovo periodo di cordialità per la continuazione di questa collaborazione pacifica"». Sul passo compiuto dal ministro di Grecia al quale si fa qui riferimento non è stata trovata documentazione negli archivi italiani.

529.

L'AMBASCIATORE AD ANKARA, DE PEPPO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 2047/041 R. Ankara, 11 aprile 1939 (perv. i/19). Mio telegramma n. 30 del 7 aprile 1 .

Dopo aver avuto due lunghi colloqui col signor Saracoglu, svoltisi nel pomeriggio di sabato 8 corrente e nella mattinata di domenica, 9 corrente, il signor Gafencu è ripartito da Istanbul la sera della stessa domenica con il piroscafo Dacia della linea regolare Costanza-lstanbul, col quale era arrivato (e non con una nave da guerra come da alcune notizie di stampa è stato riferito).

Alla fine dei colloqui è stato diramato il seguente comunicato: «l ministri degli Affari Esteri di Turchia e di Romania hanno profittato del loro incontro a Istanbul per esaminare, alla luce degli ultimi avvenimenti, gl'interessi comuni e solidali dei loro Paesi nell'ambito dell'Intesa Balcanica. I due ministri son d'accordo che la politica pacifica e ferma del! 'Intesa Balcanica, la quale ha per scopo di rafforzare la sicurezza e la indipendenza dei popoli amici ed alleati, nonché di stringere i legami con i popoli vicini nello spirito del Patto di Salonicco2 , dev'essere perseguita con risolutezza».

I due ministri hanno fatto contemporaneamente delle dichiarazioni alla stampa, nelle quali in sostanza è stato ripetuto il concetto dell'identità di vedute esistente fra i due Paesi e del proposito di procedere d'accordo anche in avvenire nell'interesse comune. Nessuna più precisa notizia è trapelata circa le conversazioni Gafencu-Saracoglu. Dalle concordi informazioni che ho potuto raccogliere in questi ambienti diplomatici è lecito peraltro indurre che scopo precipuo della visita del ministro degli Affari Esteri romeno, il quale, come è noto, è attualmente anche presidente di turno dell'Intesa Balcanica, sia stato quello di consultarsi col collega turco circa la comune condotta da seguire nei riguardi delle proposte britanniche di mutua garanzia contro un'eventuale aggressione.

Altro tema dei colloqui è certamente stato quello dei rapporti dell'Intesa Balcanica con la Bulgaria, tema del resto al quale esplicitamente si riferisce il comunicato ufficiale, con l'accenno ai legami con i popoli vicini da risaldarsi nello spirito del Patto di Salonicco. Ancora una volta si sarebbe praticamente esaminata la possibilità di indurre la Bulgaria ad entrare nel Patto Balcanico.

L'azione italiana in Albania, che ha causato nel governo turco, e specialmente in quello greco (pare che da Atene in questi giorni siano piovute, sugli alleati turchi, richieste telegrafiche di informazioni, consigli, collaborazione), un nervosismo a malapena dissimulato, se non è stata certamente la causa determinante della visita, è stata senza dubbio uno degli argomenti principali dei colloqui.

Specifico infine che, contrariamente a quanto hanno pubblicato alcuni giornali, l'attuale viaggio di Gafencu è stato effettuato indipendentemente da quello già progettato e che doveva aver luogo al ritorno di Saracoglu dali 'Iran, verso i primi di maggio. L'ulteriore aggravarsi della situazione internazionale, così come ha indotto Gafencu a procurarsi una più sollecita consultazione con Saracoglu e fatto annullare il viaggio di questo ultimo a Teheran, ha anche reso superflua la progettata visita di cortesia del ministro degli Affari Esteri romeno, visita che, a quanto mi risulta, non avrà più luogo.

Può essere interessante rilevare che, immediatamente dopo la visita di Gafencu, il presidente del Consiglio turco ha fatto ali' Assemblea le dichiarazioni, sulle quali riferisco a parte, in cui per la prima volta compare ufficialmente la parola neutralità.

527 1 Sulla visita di Gafencu a Istanbul dell'8-9 aprile si vedano i DD. 529, 538 e 570. 528 1 Vedi D. 526. 2 Lo stesso Il aprile, l'Agenzia di Atene rendeva pubblica la comunicazione del governo italiano nella dizione di cui al D. 512.

529 1 T. 1736/30 R. del 7 aprile. Riferiva di avere appreso che all'indomani il ministro degli Esteri romeno, Gafencu, sarebbe giunto ad Ankara per incontrarsi con Saracoglu. 2 Vedi D. 61, nota 5.

530

IL MARCHESE DE BOMBELLES AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

LETTERA1• Roma, 11 aprile 1939.

In conformità dell'incarico da Voi affidatomi2 mi permetto farvi qui di seguito una breve esposizione delle mie impressioni e della mia attività negli ultimi giorni. Subito dopo il mio ritorno in patria da Roma mi sono messo in relazione col dottor Macek, per trattare con lui innanzi tutto la questione della propaganda italiana. Egli

Secondo le annotazioni del Diario di Ciano (alle date corrispondenti), il primo di questi colloqui ebbe luogo il 9 marzo: «A Belgrado, alla caccia del Reggente Paolo, conobbi un croato, il marchese di Bombelles, che mi fu descritto come un gentiluomo di campagna amico del principe e gran cacciatore. Oggi l'ho ricevuto a Roma per una visita che credevo di pura cortesia. Invece è entrato appieno nella politica e mi ha dichiarato la sua qualità di agente segreto di Macek. Ha parlato delle relazioni fra Croazia e Serbia ed ha affermato che il solco che separa questi due Paesi è tanto profondo da rendere vana ormai ogni idea di conciliazione. I Croati sono tenuti in uno stato di servaggio morale, politico ed economico. Se un giorno la mobilitazione mettesse le armi nelle mani dei Croati, i fucili sparerebbero da soli contro i Serbi. Ideale della Croazia: un regno autonomo con un principe italiano e meglio ancora con una unione personale col Re d'Italia. Bombelles non chiedeva niente: voleva farci sapere ciò e metterei in guardia contro la politica di Belgrado che è sempre stata infida, ma che, particolarmente dopo la caduta di Stojadinovié, è nettamente orientata per le democrazie e contro l'Asse. Per ragioni evidenti sono stato molto prudente. Ho confermato la nostra fedeltà ai Patti di Belgrado fino a quando i serbi si condurranno bene con noi. Comunque ho detto a Bombelles che sono sempre disposto a tenere i contatti con lui e che, qualora la situazione dovesse modificarsi, noi potremmo, nel decidere la nostra politica, ascoltare il punto di vista croato».

Un secondo contatto si ebbe il 30 marzo: «Ricevo Bombelles. Porta notizie gravi dalla Croazia. Il processo di secessione si sviluppa col moto accelerato della valanga. Non capisco ancora bene i moventi veri della sua visita, salvo due cui mi ha apertamente accennato: prendere dei contatti personali con Pavelié, che è considerato il solo uomo d'azione, e avere un sussidio per svolgere un'azione di propaganda a favore dell'Italia tra le masse croate. Ho fissato un nuovo appuntamento per domenica, dopo aver conferito col Duce».

Seguivano altri due contatti, il 2 e il 5 aprile, sui quali Ciano così annotava: «Autorizzo Bombelles a prendere contatto con Pavelié in forma molto segreta. Per quanto concerne l'azione di propaganda, mi riservo una decisione» (2 aprile); «Vedo anche Bombelles, che ha avuto un colloquio soddisfacente con Pavelié. Adesso torna a Zagabria ove parlerà con Macek. poi verrà nuovamente a Roma per definire la questione del nostro contributo finanziario all'azione di propaganda» (5 aprile).

prese immediatamente interesse alla cosa e aderì completamente ai miei argomenti, e mi dichiarò soltanto che mi sarebbe riconoscente se io mi incaricassi di questa questione.

Con l'occasione mi informò altresì sommariamente sullo stato delle trattative col governo di Belgrado. Poiché il Principe Reggente Paolo asserisce di non potere modificare per ora la costituzione dello Stato, la proposta di Cvetkovié tende a trasferire successivamente tutti i poteri del governo ai Bani, in modo che con questo metodo si costituisca a poco a poco in via di fatto uno Stato federale. Ciò dovrebbe verificarsi insieme per i tre Banati della Sava (Zagabria) Vibas (Banja Suka) e Primorje (Spalato) e separatamente per Lubiana. Il resto rimarrebbe sotto Belgrado, com'è oggi. In comune dovrebbero rimanere soltanto il Ministero degli Esteri, i Ministeri Militari e parte di quelli delle Ferrovie e del Commercio, come pure le Dogane, i Monopoli e la Banca Nazionale. Le questioni comuni dovrebbero essere regolate per mezzo di Delegazioni, similmente a quanto accadeva prima della guerra fra Austria e Ungheria.

Sia per quanto concerne il contenuto, come pure, sopratutto, per quanto concerne i confini territoriali, un'accettazione di queste proposte da parte del dottor Macek non è per il momento ancora possibile, benché naturalmente esse vadano senza paragone molto più lontano di tutte quelle fatte finora.

Riguardo al contenuto, una intesa immediata è ostacolata sopratutto dalle posizioni di influenza decisiva che dovrebbero essere garantite ai croati nelle materie destinate a restare in comune, nonché dall'abbuono almeno parziale dei gravi danni economici causati fino ad ora (tutti gli investimenti dello Stato furono fatti esclusivamente in Serbia mentre i croati ebbero a sopportare soltanto i carichi; ogni capitale pubblico o privato fu diretto, con mezzi di pressione più o meno drastici, a Belgrado). Peraltro la principale difficoltà sta nel fatto che la proposta di Cvetkovié prende per base gli odierni confini dei Banati, ciò che naturalmente il dottor Macek non può accettare in nessun caso. Gli odierni confini dei Banati sono il risultato di una geometria elettorale, raffinatamente escogitata, che ha creato due Banati assolutamente croati, ma ha lasciato in altri tre forti minoranze croate. In alcuni Banati le maggioranze serbe hanno potuto essere costituite soltanto per mezzo di questi capolavori geometrici. Così accade che i confini dei Banati sono così innaturali, che in nessun caso potrebbero essere conservati in un nuovo Regime, a prescindere dal fatto che furono creati a pubblico danno dei croati. I confini storici dei Regni di CroaziaSlovenia-Dalmazia e Bosnia Erzegovina, cioè Drava-Danubio-Sava-Drina, sarebbero più adatti d'ogni altro. Il dottor Macek sarebbe oggi disposto ad accogliere-come prima tappa -un compromesso che si scostasse da questi confini, ma Belgrado mostra ancora poca voglia di accogliere anche soltanto le più elementari richieste dei croati in questo campo.

Il dottor Macek mi ha perciò incaricato di rivolgere a Vostra Eccellenza la preghiera di esaminare la possibilità che il Regio Governo italiano faccia nuovamente, attraverso il suo ministro a Belgrado, un passo per indurre il governo Cvetkovié e il Principe Reggente ad un compromesso.

L'ingresso delle truppe italiane in Albania ha fatto fortissima impressione in tutta la Jugoslavia. I serbi sono intimiditi, i democratici e gli elementi di sinistra in uno stato d'animo molto depresso, mentre la grande maggioranza dei croati ha passato le feste di Pasqua con grande entusiasmo e piena della migliore speranza. Il seguente piccolo episodio caratterizza lo stato d'animo dominante. Domenica, quando attraversai in automobile la frontiera presso Postumia, iniziai una conversazione con tre impiegati delle Finanze e due gendarmi e dissi che speravo che ormai in una Croazia e Slovenia autonome le strade sarebbero state migliori; uno dei presenti mi rispose: «Sì, se però abbiamo ancora tempo per questo, prima che ce le costruiscano gli italiani!». A Zagabria si può sentire cento volte al giorno: «Già, se fossero gli italiani anziché i prussiani a volerei aiutare a liberarci dai serbi».

Il venerdì santo si diceva dappertutto a Zagabria che era imminente una mobilitazione generale della Jugoslavia. Il dottor Macek mi disse sabato che in realtà la generalità serba voleva mobilitare, ma che in definitiva il Principe Paolo si è opposto, poiché anche lo stesso dottor Macek dichiarò di non poter prendere in alcun modo responsabilità per il contegno dei croati in caso di mobilitazione.

Mi sia qui concesso di fare qualche breve osservazione sulle persone e sulle organizzazioni del dottor Macek e del dottor Pavelié.

Nella parte negativa del loro programma, sono entrambi completamente uniti, cioè via dalla Serbia, ciò che già oggi ogni croato desidera ardentissimamente. Ma nella parte positiva esistono naturalmente alcune divergenze. Mentre Pavelié è senza compromesso pro-italiano e filofascista, Macek accetta bensì volentieri l'aiuto dell'Italia contro la Serbia, ma è tuttavia un po' diffidente nei riguardi del Fascismo, ciò che non meraviglia, se si pensa alla sua posizione di presidente del «Partito dei contadini» e alla sua origine sotto Radié. Sopratutto egli ha fra i suoi collaboratori numerosi democratici convinti e orientati verso il «Fronte Popolare», la quale circostanza impone anche a me una certa prudenza nel lavoro con lui e rende anche impossibile preparare e organizzare veramente con l'aiuto delle sue organizzazioni un'azione rivoluzionaria. L'intero popolo croato sta oggi dietro Macek; ciò è vero fino a che Pavelié non può comparire, poiché tutte le organizzazioni di Pavelié hanno oggi l'ordine di votare per Macek. Sono persuaso che Camelutti crede ciò, perché egli poco conosce e poco può conoscere di Pavelié.

Le organizzazioni di Pavelié esistono oggi come anni or sono e non sarebbe difficile rimetterle in attività. Il nome Pavelié significa oggi in Croazia la libertà, mentre Macek incarna soltanto l'opposizione a Belgrado. Nel caso di una libera votazione una parte grandissima della Croazia ~forse più della metà ~si deciderebbe oggi per Pavelié.

Fra i due ~Macek e Pavelié ~esiste personalmente una certa diffidenza, forse anche una piccola gelosia, e io credo che oggi esistano poche ~se non nessuna persona~ che come me possono collaborare contemporaneamente con entrambi.

Se adesso a Pasqua si fosse giunti in Jugoslavia ad una mobilitazione, si sarebbe venuti ad una situazione troppo tesa. La maggioranza dei croati non si sarebbe arruolata e sarebbero accaduti numerosi atti di sabotaggio contro lo spiegamento delle forze; tuttavia la relativa opposizione non è ancora organizzata al punto da render possibile all'esercito italiano un'invasione quasi senza resistenza e da fare scoppiare automaticamente una vera rivoluzione. Per essere completamente pronti per il caso che Belgrado si decida per la politica inglese, ciò che prima o dopo accadrà, dovrebbero essere ancora presi certi accordi sui quali io sono pronto in ogni momento a riferire ed elaborare proposte. Nel campo della mia proposta sulla propaganda italiana mi sono permesso di dare alcune spiegazioni sulle organizzazioni da aiutare a questo scopo; naturalmente le due cose dovettero essere trattate separatamente ed anche condotte attraverso altre persone.

530 1 L'originale del documento è in tedesco. Qui si pubblica la traduzione conservata nelle carte di Gabinetto. 2 Negli archivi italiani non si è trovata documentazione circa i colloqui avuti in precedenza dal marchese de Bombelles con Ciano.

531

IL CAPO DI GABINETTO, ANFUSO, ALL'INCARICATO D'AFFARI A LONDRA, CROLLA

T. S.N.D. PER TELEFONO 6148/46 P.R. Roma, 12 aprile 1939, ore 13,32.

Telegrafate d'urgenza se un nostro comunicato relativo a prossimi rimpatri legionari italiani dalla Spagna riuscirebbe in questo momento utile a Chamberlain 1•

532

L'AMBASCIATORE A PARIGI, GUARIGLIA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. S.N.D. 5920/60 P.R. Parigi, 12 aprile 1939, ore 14,05 (perv. ore 17, 15).

Stampa ed opinione pubblica sono oggi più nervose mentre Consiglio ministri adotta misure precauzionali militari e dichiara associarsi azione diplomatica di Londra. È infatti da Londra che continua venire parola d'ordine perseverare campagna allarmistica per prossimi attacchi itala-tedeschi su tutti i fronti. Si subordina, d'altra parte, non intervento inglese nei Balcani e nel Mediterraneo orientale al ritiro truppe italiane dalla Spagna, argomento questo che è riportato in primo piano in relazione anche con arrivo Maresciallo Pétain a Parigi. Paris Midi riesuma con ironia tesi azione italiana Albania destinata a parare avanzata germanica Trieste ed influenza Germania su Jugoslavia. In sostanza, Francia si dimostra ancora una volta completamente mancipia della politica inglese, ciò che comincia persino a preoccupare alcuni ambienti specialmente militari.

533

L'INCARICATO D'AFFARI A LONDRA, CROLLA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. S.N.D. PER TELEFONO 5917/164 P.R. Londra, 12 aprile 1939, ore 19,45.

Da fonte diretta 1 sono in grado di dire essere opinione del Primo Ministro che un nostro atto relativo a prossimi rimpatri di legionari italiani dalla Spagna avrebbe la più vasta ripercussione nella stampa e nell'opinione pubblica e di conseguenza riuscirebbe utilissima a Chamberlain stesso per fronteggiare domani in Parlamento

attacchi membri dell'opposizione e conservatori di sinistra. Si prevede, infatti, che attacchi opposizione verranno basati non solo su pretesa aggressione Albania, ma anche sul fatto che i legionari italiani non sono ancora stati ritirati dalla Spagna malgrado la guerra sia stata ufficialmente dichiarata finita: argomento questo che oppositori Chamberlain cercheranno di sfruttare per sostenere che non può farsi affidamento sulle recenti assicurazioni date dal governo italiano.

È opinione del Primo Ministro che sarebbe quindi molto utile e forse essenziale per lui se immediato rimpatrio del Corpo Legionario, o quanto meno di un sostanziale contingente di esso, potesse essere pubblicamente annunziato dal Governo Fascista al più presto, e possibilmente non oltre domani mattina. Impressione particolannente favorevole deriverebbe -si aggiunge -da un parallelo iniziale ritiro, come previsto dagli accordi di Roma, di una parte del materiale.

Si sarebbe infine qui molto grati se qualche indicazione di una eventuale decisione in questo senso potesse qui giungere al più presto possibile, avendo il Primo Ministro già in preparazione testo sue dichiarazioni di domani, nel corso delle quali egli avrebbe così modo sottolineare gesto spontaneo del Duce come riprova vitalità e valore accordi italo-inglesi2 .

531 1 Si veda per il seguito il D. 533.

533 1 Secondo quanto risulta dal diario dell'avvocato Dingli, non appena ricevuta la comunicazione di cui al D. 531, l'ambasciata si era rivolta a Sir J. Bali-tramite Dingli-per avere direttamente da Chamberlain una risposta all'interrogativo che veniva posto da Roma.

534

L'INCARICATO D'AFFARI A LONDRA, CROLLA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. S.N.D. PER TELEFONO 5936/166 P.R. Londra, 13 aprile 1939, ore 2,50.

In conformità delle istruzioni impartitemi stasera telefonicamente dal ministro Anfuso, ho trovato modo di far pervenire 1 al P.M. (Primo Ministro) una comunicazione del seguente tenore: «Il Governo Fascista è disposto a corrispondere in via di massima ai desideri manifestati dal P.M. circa il rimpatrio dei Legionari italiani dalla Spagna, ma vorrebbe preventivamente ottenere dal P.M. l'assicurazione che il governo britannico non solleverà obiezioni quanto al nuovo assetto costituzionale dell'Albania, quale proclamato oggi dall'Assemblea costituente albanese».

Alle ore 24 mi è pervenuta la risposta di cui trascrivo qui di seguito la traduzione letterale:

l) il P.M. non ha ancora deciso che cosa dirà domani sulla questione della Corona.

2) Nessun desiderio di dire qualsiasi cosa che possa esacerbare la situazione. Ma è chiaro che il proposto cambiamento solleva uno dei punti dell'accordo angloitaliano cioè la dichiarazione di non desiderare di modificare lo status qua per ciò che concerne la sovranità nazionale di uno qualsiasi dei territori della zona mediterranea. Perciò, benché presentato come emanazione della volontà del popolo albanese, il proposto cambiamento avrà un effetto sfavorevole sull'opinione britannica.

3) Di conseguenza, la miglior cosa sarebbe di cercare di attenuare questa impressione annunciando la messa in atto del ritiro delle truppe dalla Spagna.

534 1 Per il tramite dell'avvocato Dingli e di Sir J. Bali. Vedi D. 533, nota l.

4) In tali circostanze, non sarebbe possibile per il P.M. di accettare le condizioni proposte per il ritiro.

La persona che è stata in contatto col P.M., a commento di questa comunicazione, mi ha detto testualmente quanto segue: «Nell'interpretare la portata della risposta bisogna tener presente che il P.M. si trovava stasera solo e nella impossibilità di consultare non soltanto i suoi colleghi di Gabinetto ma anche gli altri suoi abituali consiglieri. Il P.M. è però animato dalle migliori intenzioni e cercherà domani di evitare il tasto del riconoscimento per non compromettere la questione. Il suo atteggiamento di stasera è dettato sopratutto dalle grandissime difficoltà davanti alle quali egli prevede di trovarsi domani nel corso del dibattito parlamentare».

In previsione di suoi eventuali ulteriori contatti, ho fatto presente al mio interlocutore -a titolo personale -che l'immediata esecuzione del ritiro dei Legionari, contemporaneamente alla accettazione da parte britannica delle nuova situazione creatasi in Albania, avrebbe di colpo sgombrato il terreno ed aperto la strada per quella efficace collaborazione fra i due Paesi che è già prevista dall'accordo itala-britannico. Era quindi chiaro il carattere altamente costruttivo delle offerte italiane2 .

«13 aprile 1939, ore 08.00. An fuso ha telefonato quanto segue: "Il Duce ha letto il tuo fonogramma di stanotte. Noi non possiamo assolutamente fare un altro comunicato dopo quello del Generale Gambara. D'altra parte abbiamo già fatto il possibile in tutti questi giorni, e il Primo Ministro dovrebbe essere contento. Ti puoi valere dei comunicati di cui ti ho parlato ieri sera e che sono molto importanti; quelli sul reclutamento, sulla Grecia, e su Gambara. Ti puoi valere anche degli elementi che hai sulla nostra occupazione in Albania e il suo aspetto civilizzatore, ma sopratutto del comunicato di ieri sera relativo alla decisione dell'Assemblea costituente. Noi abbiamo fatto le cose in modo da non dispiacere agli inglesi; qui c'è un voto, un plebiscito; noi potevamo farne a meno, infischiandocene. Invece abbiamo raccolto i notabili di tutto il Paese e li abbiamo lasciati liberamente esprimere i loro desideri. Questo dovrebbe essere compreso costà. E d'altra parte l'indipendenza è salvaguardata. Cosa vogliono di più?

Un altro comunicato noi non possiamo assolutamente farlo, perché non vogliamo !asciarci trascinare su di un terreno di do ut des che ci sarebbe antipatico. D'altra parta tutto quello che abbiamo già fatto finora unilateralmente dovrebbe bastare a calmare la situazione".

Ho risposto ad Anfuso: "Benissimo. Del resto qui non potrebbero aspettare altro. Abbiamo già dato tanto, e questo io l 'ho fatto rilevare anche a quel signore. Dunque, se ti capisco bene, a parte il fatto di avvalermi del materiale che mi è stato fornito per chiarire e tranquillizzare, io non prendo verso quel signore nessuna iniziativa: io non mi muovo".

Anfuso: "Tu non ti muovi".

Io: "Se però, una probabilità su mille, quel signore prendesse lui stamane una iniziativa, e mi tàcesse chiamare o avvicinare, e mi dicesse o facesse dire di aver riconsiderato e modificato la sua decisione di stanotte, in qual modo mi dovrei comportare con lui? Limitarmi ad ascoltare e poi riferire a voi?"

Anfuso: "Tu gli devi rispondere quello che ho già detto, e cioè che non ci è possibile fare un altro comunicato dopo quello di Gambara, e speriamo che tutto quello che abbiamo già fatto basti ad aiutarlo ...."».

Il comunicato del generale Gambara al quale si fa qui riferimento aveva preannunciato la partecipazione dei legionari italiani alla grande parata di Madrid fissata per il 2 maggio (e poi spostata al 19 dello stesso mese).

Con gli altri comunicati cui fa cenno il ministro Anfuso era stato reso noto: a) che, salvo circostanze eccezionali, l'Italia non avrebbe richiamato altre classi sotto le armi; b) il testo della comunicazione fatta al governo greco circa l'intenzione dell'Italia di rispettare l'integrità territoriale della Grecia e la dichiarazione di Metaxas in cui si esprimeva soddisfazione per questa comunicazione; c) che Mussolini aveva ricevuto il generale Gambara, il quale gli aveva «riferito su questioni concernenti il rimpatrio dei legionari italiani». Come risulta dal Diario dell'avvocato Dingli, l'importanza di questi comunicati come espressione del desiderio del governo italiano di non turbare i rapporti con la Gran Bretagna era stata già segnalata da Anfuso a Crolla in una telefonata del giorno precedente e Crolla si era espresso in tal senso con Dingli perché ciò fosse ben sottolineato a Chamberlain.

535.

L'AMBASCIATORE A VARSAVIA, ARO NE, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. S.N.D. RISERVATO 1889/90 R. Varsavia, 13 aprile 1939, ore 22,40 (perv. ore 24).

Miei rapporti 340 e 366 in data del 31 e del 7 corrente 1 .

La tensione polacco-tedesca non accenna a diminuire. Negli ultimi giorni si è anzi qui notata una ripresa di nervosismo. Su questo stato d'animo dei polacchi hanno influito:

l) voci sparsesi qui di vivaci rimostranze fatte da Ribbentrop all'ambasciatore di Polonia Lipski (egli è effettivamente giunto a Varsavia l' 11 corrente per riferire, ripartendo ieri per Berlino);

2) notizie di ulteriori ingenti concentramenti militari tedeschi in vari punti frontiera polacca; 3) impressione qui destata dal colpo di mano tentato a Kaunas contro il governo di Lituania da esponenti Partito filo-tedesco 2;

4) vari nuovi incidenti con elementi minoritari tedeschi a Lodz e nel Corridoio;

5) timore che l'irredentismo ucraino possa trovare a Berlino maggiore appoggio nell'attuale presente situazione dei rapporti polacco-tedeschi.

Mentre qui vengono tuttora mantenuti i noti provvedimenti militari adottati nel marzo scorso, queste Autorità provvedono ad arresti e ad altre misure preventive contro ucraini in Galizia.

La stampa polacca ha poi riassunto nei riguardi della Germania tono deciso, ribadendo che Polonia non intende cedere a pressioni od ingiunzioni e non ammetterà alcun «fatto compiuto ai propri danni».

Mi è stato riferito che ambasciatori di Francia e di Inghilterra avrebbero disposto per misura precauzionale rimpatrio dei bambini dei rispettivi funzionari. Anche altre legazioni avrebbero adottate analoghe misure.

Vedrò Beck domani e riferirò ulteriormente3 .

2 Avvenuto il 12 aprile. L'ambasciatore Arone sottolineava a questo proposito (telespresso 969/406 del 14 aprile) la preoccupazione provocata a Varsavia dalla prospettiva che la Germania riuscisse ad inserire la Lituania nella sua politica di accerchiamento della Polonia, facendo anche balenare ai lituani la speranza di riacquistare Vilna quale compenso per la perdita di M eme!.

3 Vedi D. 556. Anche l'ambasciatore Attolico segnalava la gravità degli incidenti avvenuti nelle vicinanze di Danzica ed il risalto che ad essi stava dando la stampa tedesca (telespresso 2860/875 del 13 aprile). Quegli incidenti, notava l'ambasciatore, non sembravano di per sé suscettibili di dare luogo a complicazioni gravi ma dovevano essere tenuti presenti come sintomo di una situazione generale sempre più tesa che poteva provocare una situazione di pericolo anche al di là delle intenzioni dei governi

(T. 1878/236 R. del 13 aprile).

533 2 Si veda per il seguito il D. 534.

534 2 Nell'archivio dell'ambasciata a Londra vi è il seguente appunto redatto dall'incaricato d'affari, Cro Ila:

535 1 Vedi DD. 428 e 501.

536

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, COLONNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 1897/72 R. Washington, 13 aprile 1939, ore 7,35 (perv. ore 5 de/14).

Ripercussioni dirette avvenimenti Albania vanno attenuandosi in attesa tuttavia di quella che sarà definitivamente sistemazione albanese. Si nota comunque un irrigidimento dell'atteggiamento generale nei nostri riguardi, con crescente preoccupazione possibilità conflitto generale europeo. Atmosfera preoccupata e tesa in ambienti finanziari.

Per accordi presi con Cunard Line di Londra da ieri sera prezzi assicurazioni per Paesi europei, non bagnati Atlantico, notevole aumento per copertura rischi guerra. Consigliere commerciale riferisce direttamente per fare assicurare, se possibile, a vecchi tassi da nostre compagnie.

Società Chase ha oggi deciso sospendere fidi per l'Italia lasciando crediti in corso fino a loro normale scadenza.

537

L'AMBASCIATORE A SALAMANCA, VIOLA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. S.N.D. 1952/85 R. San Sebastiano, 13 aprile 1939, ore 23 (perv. ore 20,30 del 15). Telegramma di VE. n. 1441 .

Franco è d'accordo per il rimpatrio legionari dopo grande rivista Madrid.

Egli ha voluto anzi sottolineare che tiene in modo assoluto che i legionari italiani siano a fianco dei camerati spagnoli nel giorno che sarà stabilito per celebrare la vittoria.

537 1 Vedi D. 511.

538

L'AMBASCIATORE AD ANKARA, DE PEPPO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 2051/043 R. Ankara, 13 aprile 1939 (perv. i/19).

Mio telegramma per corriere dell'Il corr. n. 041 1 e mio telegramma odierno n. 352 .

Questo ministro di Bulgaria è stato ieri convocato dal ministro degli Affari Esteri turco che gli ha dato i seguenti dettagli sui colloqui d'Istanbul tra Gafencu e lo stesso Saracoglu.

Premetto che antecedentemente alla visita di Gafencu questo ambasciatore di Romania, Stoica, aveva fatto sapere a Saracoglu che il governo rumeno aveva ricevuto dall'Inghilterra una proposta di garanzia unilaterale, subordinata alle seguenti condizioni:

l) che in caso d'aggressione la Romania s'impegnasse con tutte le sue forze;

2) che la Romania stringesse vieppiù la sua alleanza con la Polonia.

Stoica aveva chiesto a Saracoglu se la Turchia aveva ricevuto analoga richiesta da parte dell'Inghilterra e quale sarebbe stata la sua risposta. Saracoglu aveva fatto conoscere a Stoica che, ad un passo inglese riguardante l'atteggiamento della Turchia in caso di attacco tedesco contro la Romania, egli aveva risposto che il governo turco non intendeva prendere altri impegni al di fuori di quelli contemplati dal Patto balcanico e che alla domanda inglese intesa a conoscere l'atteggiamento della Turchia di fronte a proposte concrete per la creazione di un blocco antitotalitario, egli aveva risposto che la Turchia esaminerebbe tali proposte con quello spirito amichevole che regola i rapporti fra Inghilterra e Turchia (queste dichiarazioni di Saracoglu confermano precisamente quanto ho avuto l'onore di esporre coi telegrammi per corriere del 24 marzo e del 3 aprile n. 031 e 035 3).

Ciò premesso, l'improvvisa visita di Gafencu a Istanbul ha avuto questi precisi scop1:

l) Gafencu ha domandato a Saracoglu quale sarebbe l'atteggiamento della Turchia nei riguardi della Romania se quest'ultima entrasse in un conflitto nel quale la Turchia non fosse automaticamente coinvolta. Saracoglu ha risposto che la Turchia assolverebbe tutti gli impegni del Patto balcanico ma non sarebbe disposta ad assumerne altri.

2) Gafencu ha domandato a Saracoglu se in caso di un conflitto in cui la Turchia rimanesse neutrale, la Turchia permetterebbe il libero passaggio attraverso gli Stretti delle flotte inglese e francese. Saracoglu ha risposto che il passaggio per gli Stretti è regolato dalla convenzione di Montreux alla quale la Turchia intende attenersi.

2 T. 1876/35 R. del 13 aprile. Preannunciava l'invio per corriere del presente documento, anticipando che, a quanto risultava, la Turchia era decisa, nonostante le molte pressioni ricevute, «a mantenersi estranea ai tentativi di costituzione di un blocco antitotalitario».

3 Qui rispettivamente come D. 386 e D. 448.

3) Gafencu ha domandato a Saracoglu che cosa risponderà se l'Inghilterra avanzerà alla Turchia la stessa proposta di garanzia unilaterale già fatta alla Romania. Saracoglu ha risposto che la esaminerà con attenzione se e quando gli sarà presentata.

Tra Gafencu e Saracoglu si sarebbe parlato poi della possibilità dell'entrata della Bulgaria nel Patto balcanico e Saracoglu avrebbe fatto pressioni perché la Romania addivenga a concessioni territoriali nella Dobrugia. Gafencu avrebbe opposto un'intransigenza se non proprio assoluta per lo meno tale da escludere ogni immediato impegno.

Saracoglu ha anche detto al ministro di Bulgaria che si attende un passo inglese subito dopo le dichiarazioni che Chamberlain farà ai Comuni oggi.

Da tutto quanto precede risulta (e tale era anche l'impressione del mio interlocutore) che la visita di Gafencu ad Istanbul non ha avuto nessun risultato positivo e che la Turchia, malgrado le pressioni che le vengono fatte dall'Inghilterra direttamente, dalla Francia attraverso la mercanteggiata soluzione della questione siriana, dalla Romania appoggiantesi sul Patto balcanico, intende mantenere una propria posizione di neutralità, posizione che è stata esplicitamente definita dal presidente del Consiglio turco e nella quale si manterràfzno a quando le sarà possibile.

Il ministro di Bulgaria in Ankara, che mi dimostra confidente amicizia, mi ha pregato di tenere rigorosamente segreta la fonte di queste informazioni.

538 1 Vedi D. 529.

539

L'AMBASCIATA DI GRAN BRETAGNA A ROMA AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

PROMEMORIA 1 .

In accordance with the authority conveyed to the Secretary of States by the ltalian Chargé d'Aftàires2 , the Prime Minister in his statement in the house of Commons tomorrow3 will hope to make use of recent assurances given to His Majesty's Government either direct to Lord Perth, or through the ltalian Chargé d'Affaires to the Secretary of States, regarding the indipendence and integrity of Albania, respect for the Anglo-Italian Agreement, i.e. maintenance of the status qua in the Mediterranean, withdrawal from Spain, and Italian intentions not to attack Corfu and to respect the territorial and insular integrity of Greece.

The Prime Minister's statement is bound to take account of the extent to which British and world opinion has been atiected by the ltalian action and will have to

2 Vedi D. 534.

3 Il testo del discorso pronunciato da Chamberlain ai Comuni il 13 aprile è in Relazioni Internazionali, pp. 315-317.

include some criticai references to Italian policy, but these will be couched in a form as little provocative as possible4 .

Finally, the Prime Minister will make a declaration in generai terms to the effect that with the object of assisting the restoration of confidence His Majesty's Government have given a specific assurance to Greece that in the event of action being taken which threatens the indipendence of that country and which the Greek Government accordingly considered it vita! to resist, His Majesty's Government would feel bound to come to the assistance ofthe Greek Government5 .

539 1 Il promemoria è datato 12 aprile ma un'annotazione sul documento dice: «Consegnato la mattina del 13. IV. 1939 XVII». Si veda anche BD, vol. V, D. 150.

540

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. S.N.D. PER TELEFONO 1904/238 R. Berlino, 14 aprile 1939, ore 14,15.

Ritorno ora da Weizsiicker, il quale mi ha avvertito che von Ribbentrop si prepara a comunicare nel pomeriggio con V.E. per telefono 1 su quanto appresso.

L'attitudine tenuta finora dalla Germania per quanto riguarda gli sviluppi della politica di accerchiamento franco-inglese, è stata molto riservata, il governo tedesco essendosi limitato a far sapere ai propri rappresentanti esteri come semplice norma occasiona/e di linguaggio che la partecipazione di tale o tale Paese ad una politica di accerchiamento, pur non suscitando qui la minima apprensione, sarebbe stata riguardata come diretta contro la Germania, questa sentendosi naturalmente obbligata a prendere vis-à-vis del Paese in questione un'attitudine corrispondente.

Dopo tutto quello che ieri è accaduto in Francia ed in lnghilterra2 questi circoli responsabili ritengono che sarebbe poco prudente di continuare in siffatta attitudine di riserbo ed anzi sia il caso, specialmente vis-à-vis della Romania e della Grecia, di agire, e di agire presto. Sarebbe naturalmente desiderio del governo tedesco di agire nel più completo accordo con l 'Italia eventualmente lasciando il passo all'Italia per quanto riguarda la Grecia e alla Germania, per quanto riguarda la Romania.

5 Contemporaneamente ali 'annuncio della garanzia alla Grecia, Chamberlain nel suo discorso annunciò anche, e negli stessi termini, la garanzia alla Romania. Lo stesso 13 aprile, il governo francese comunicava ai governi di Atene e di Bucarest che la Francia si impegnava a dare tutto l'aiuto possibile alla Grecia e alla Romania qualora quei Paesi fossero stati oggetto di un'azione che ne avesse minacciato l 'indipendenza e alla quale essi avessero deciso di resistere con le loro forze. Il testo della dichiarazione francese (in DDF, vol. XV, D. 370) fu reso noto alla stampa lo stesso giorno.

Il punto che più preoccupa i circoli responsabili tedeschi in questo momento, è il seguente: l'azione annunciata da Chamberlain e da Daladier non è destinata ad esaurirsi e quindi a limitarsi a quanto è già stato fatto ed annunziato. Si ha, anzi, la netta impressione che le dichiarazioni franco-inglesi segnino solo l'inizio di un'azione destinata, sia all'allargamento della zona di accerchiamento, sia all'approfondimento della portata delle promesse di garanzia già fatte, con evidente tendenza a legami e ad obbligazioni di reciprocità. Sopratutto questo allargamento e questo approfondimento che si vorrebbe ora prevenire nei due Paesi in questione, come in altri in cui l'azione anglo-francese è appena all'inizio. (Vedi specialmente Turchia).

Naturalmente, nell'azione da svolgere, i governi dell'Asse non potrebbero in ogni caso presumere -per così dire -la colpa, né del governo greco, né di quello romeno, e ciò nonostante che le dichiarazioni franco-inglesi non possano evidentemente essere state fatte, come già nel precedente polacco3 , se non in piena intesa con i governi interessati. Si vorrebbe tuttavia dare l'occasione ai governi di cui si tratta, sia per una messa a punto dell'azione finora avuta in materia, sia per una precisazione delle loro intenzioni in merito agli sviluppi dell'azione diplomatica in corso.

Ciò premesso, si vorrebbe mandare ai rappresentanti tedeschi a Bucarest e ad Atene delle istruzioni in cui, premessa tutta la storia della questione, si giudicherebbe per norma dei rappresentanti diplomatici tedeschi quale è l'apprezzamento che i circoli responsabili tedeschi fanno della situazione. Questo apprezzamento assume naturalmente come premessa le dichiarazioni franco-inglesi di cui si ha per ora notizia solamente traverso i giornali. Si aggiunge che. se queste dichiarazioni sono vere. sarebbe molto difficile credere che esse siano state fatte senza il consenso. anche magari passivo. dei Paesi interessati. Si fa ulteriormente presente che se, invece di un consenso puramente passivo, ci fosse un consenso esplicito e quindi un'accoglienza favorevole anticipata alle proposte franco-inglesi di garanzia, la Germania sarebbe costretta a riguardare l'attitudine romena (o greca) come un gesto ed un'azione ostensibilmente diretto contro le Potenze dell'Asse, essendo evidente che tanto la Romania che la Grecia si sono con questo gesto prestate ad una politica di accerchiamento. Se questa fosse effettivamente l'attitudine romena e greca, è evidente che il governo di Berlino sarebbe portato ad orientarsi ed agire in quei Paesi in una maniera necessariamente corrispondente. E se poi l'azione in parola costituisse effettivamente soltanto un primo passo di un'azione ulteriore, così di allargamento della zona di accerchiamento come di un approfondimento delle promesse di garanzia già fatte, ciò costituirebbe la prova di una vera e propria azione aggressiva nei Paesi in questione nei riguardi della Germania, la quale dovrebbe reagire in conformità.

Tutto quanto precede rappresenterebbe il punto di vista e l'apprezzamento del governo tedesco con la situazione e sarebbe solamente comunicato ai ministri tedeschi a Bucarest ed Atene per informazione.

Le istruzioni invece vere e proprie sarebbero le seguenti:

a) accordarsi con il collega italiano per un passo analogo;

b) presentare ai governi romeni e greco un promemoria scritto contenente le seguenti domande:

Viste le dichiarazioni Chamberlain-Daladier, il governo tedesco si vede costretto a pregare il governo romeno (greco) di volerlo informare per iscritto ed al più presto se con tale forma il governo romeno (greco) sia stato avvicinato dall'Inghilterra e dalla Francia, in merito alle dichiarazioni di cui sopra, e quale sia l'attitudine che esso crede di assumere, sia nei riguardi delle dichiarazioni stesse, sia nei riguardi degli sviluppi futuri delle medesime.

In aggiunta alle istruzioni di cui sopra, si direbbe ai due ministri di sottolineare verbalmente la speciale importanza delle domande presentate, lasciando loro libertà di fare conto di tutti gli apprezzamenti sulla situazione sopra riportata e tutto ciò senza pregiudizio dell'attitudine sincera4 e formale che il governo tedesco si riserverebbe di prendere dopo ottenuta una risposta scritta alle sue domande.

Dei passi compiuti a Bucarest ed Atene sarebbe poi data, a titolo di opportuno avvertimento, comunicazione ad altri Paesi, e specialmente alla Turchia.

Il barone Weizsacker mi ha pregato di portare quanto sopra a conoscenza dell'Eccellenza Vostra al più presto, nonostante si tratti di proposte e sopratutto di certo non ancora approvate dal proprio ministro, ma che, anche in questa forma, potranno servire di utile provvedimento preparatorio per la conversazione telefonica che seguirà tra poco direttamente tra l'Eccellenza Vostra e von Ribbentrop.

Per parte mia aggiungo che, richiesto dal barone Weizsacker del mio parere personale, io, sotto le più ampie riserve delle decisioni che sarebbero per essere prese dall'Eccellenza Vostra, ho avanzato un qualche dubbio sulla possibilità che l'Italia possa fare, specialmente nei riguardi della Grecia un passo esattamente conforme a quello progettato e sopratutto nei termini in cui è stato proposto. Dato che l'Italia, ho detto, ha già fatto essa stessa alla Grecia delle dichiarazioni di garanzia della sua integrità e delle sue frontiere 5 , assicurazioni che sono state dalla Grecia accolte con la massima soddisfazione, difficilmente essa si potrebbe ora senza speciali ragioni dolere con la Grecia di avere accettato delle assicurazioni consimili dall'Inghilterra.

Certo, rimane da vedere se la portata delle assicurazioni inglesi sia identica alle nostre e sopratutto se esse siano tali da limitare nella Grecia la sua libertà così di apprezzamento come di azione nel caso di un'eventuale conflitto europeo. Ma mi sembrava tuttavia che difficilmente l'Italia avrebbe potuto compiere un passo qualsiasi in Grecia senza tener conto di quanto essa stessa aveva già fatto nei riguardi della Grecia qualche giorno fa. Per quanto concerne la Romania, mi sono limitato ad osservare che, ove per ragioni speciali il nostro posto [sic] in Grecia avesse dovuto prendere un atteggiamento diverso da quello suggerito dalla Germania, difficilmente poi avremmo potuto usare termini troppo differenti anche nei riguardi della Romania6 .

5 Vedi DD. 512, 521 e 528, nota 2.

6 Il documento ha il visto di Musso1ini.

541.

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. S.N.D. 1914/239 R. Berlino, 14 aprile 1939, ore 22,27 (perv. ore 23,50). Mio fonogramma 238 1•

Ho comunicato a Ribbentrop risposta telefonica V.E. 2 . Egli ne ha preso buona nota, riservandosi di sottomettere questione al Fiihrer domani. Domani stesso egli mi informerà conclusione raggiunta.

Ribbentrop dichiara di non prendere neanche lui seriamente garanzia inglese, cui attribuisce sopratutto valore propagandistico. Ma egli, pur avendo ormai compreso di esser andato nelle sue primitive proposte troppo in là, ritiene tuttavia «che una qualche cosa» sarebbe pur opportuno fare per non incoraggiare Paesi già garantiti a rendere bilaterali garanzie inglesi (e per evitare che anche altri Paesi cedano alle lusinghe inglesi).

Comunque, ripeto, egli ne discuterà domani con il Fiihrer.

Ribbentrop mi incarica di aggiungere che è felice accogliere proposta incontro con V.E. ma che si riserva, quanto alla data, ulteriore proposta dato che egli ha a Berlino, prima del 22 corrente, visita romena e, subito dopo, visita ungherese. Data possibile sarà forse primi di maggio3 .

2 Secondo quanto risulta da un promemoria di von Weizsacker (in DDT, vol. VI, D. 197), Attolico aveva comunicato a von Ribbentrop, su istruzioni ricevute per telefono da Ciano, che Musso lini non assegnava «la benché minima importanza» alla garanzia data dalla Gran Bretagna alla Grecia e alla Romania e che per quanto concerneva la Grecia egli non intendeva andare al di là dello scambio di vedute avvenuto qualche giorno prima tra Roma e Atene.

3 Il documento ha il visto di Musso lini.

539 4 Su questo punto, Chamberlain nel discorso ai Comuni ribadì la sua convinzione che la politica del governo britannico nel sottoscrivere con l'Italia gli accordi dell'aprile '38 fosse stata giusta ma aggiunse: «Confesso francamente il mio profondo disappunto per l'azione del governo italiano che ha gettato un'ombra sulla sincerità delle sue intenzioni di eseguire i suoi impegni».

540 1 Su questa comunicazione telefonica non è stata trovata documentazione. 2 Riferimento all'annuncio-il 13 aprile-della garanzia francese e britannica alla Grecia e alla Romania. Vedi D. 539.

540 3 Riferimento alla garanzia, data il 31 marzo precedente, dalla Gran Bretagna alla Polonia. Vedi D. 429.

540 4 Sic.

541 1 Vedi D. 540.

542

L'AMBASCIATORE PRESSO LA SANTA SEDE, PIGNATTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. S.N.D. 1933/70 R. Roma, 14 aprile 1939 (perv. il 15 ).

Conformemente all'ordine notificatomi a mezzo del Capo di Gabinetto di S.E., ho informato il Cardinale Segretario di Stato del proposito del Duce di fare erigere una moschea in Roma.

Il cardinale Maglione ha ricevuto la comunicazione con costernazione. Mi ha detto che ne parlerà al Papa e mi riferirà la sua risposta 1•

543

L'AMBASCIATORE PRESSO LA SANTA SEDE, PIGNATTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. S.N.D. PER CORRIERE 1968/71 R. Roma, 14 aprile 1939 (perv. il 16). Mio telegramma 58 del 28 marzo u.s. 1 .

Il Cardinale Segretario di Stato mi ha domandato di andarlo a vedere stamane e, dopo avermi parlato di cose insignificanti, ha portato il discorso sulla situazione internazionale e, da lì, sulle nostre relazioni con la Francia. Egli mi ha manifestato la grande preoccupazione della Santa Sede per l'acuirsi del dissidio ita1o-francese. Mi ha detto che Inghilterra e Francia non esiteranno a fare una guerra, in caso di nuove annessioni da parte delle Potenze dell'Asse. Il cardinale ha osservato non essere possibile sperare in un principio di distensione in Europa se non si verifica un miglioramento nelle relazioni italo-francesi per la qual cosa era necessario che una delle parti facesse il primo passo.

Ho confermato al Segretario di Stato le mie precedenti dichiarazioni. Il Duce aveva indicato alla Francia la strada da seguire. Il signor Daladier aveva dimostrato incomprensione. Ed anche ora, nella questione albanese, il governo francese si era lasciato sfuggire, ancora una volta, una buona occasione. L'impopolarità della Francia aumenta

va di giorno in giorno in Italia e l'astio che i francesi ci dimostravano era cordialmente ricambiato dagli italiani. In queste condizioni, era assurdo parlare di pacificazione.

Il cardinale Maglione ha convenuto che il signor Daladier era stato inabile nel suo discorso2 . Ha insistito però affermando che se si consideravano singolarmente i diversi punti in contestazione, non sembrava difficile raggiungere un'intesa. Egli ha nominato Tunisi, Suez e Gibuti.

Ho creduto opportuno ripetergli, rilevando un suo accenno, non esistere, a mia conoscenza, indicazione alcuna che consenta di affermare che l'Italia pretenda o no compensi territoriali. Ma le difficoltà non diminuivano pure lasciando da parte questo punto. Lo statuto degli italiani stabiliti a Tunisi, costituiva un altro grosso scoglio. Durante le trattative che avevano preceduto la visita di Lavai a Roma nel 1934-35, mi era stato dichiarato dal Segretario Generale del Quai d'Orsay che l'accordo sulla questione degli italiani della Reggenza era considerato fondamentale e che la Francia esigeva che in un periodo determinato di anni, fossero pure dieci, venti o più, la situazione degli italiani stabiliti a Tunisi dovesse rientrare nella normalità, ossia fosse regolata come nel territorio metropolitano.

Bastava questo accenno per considerare molto lontana la possibilità di un accordo con la Francia e mi sembrava che non valesse la pena di parlarne3 .

542 1 Si veda per il seguito il D. 563. Sull'argomento vi è nel Diario di Ciano questa annotazione che è posta sotto la data del!' Il aprile: «Comunico a Pignatti la decisione del Duce di erigere una moschea a Roma in considerazione del fatto che ormai ben 6 milioni di sudditi italiani sono musulmani. Pignatti mi riferisce, dopo aver parlato con Maglione, che in Vaticano sono costernati di questa idea, che è contraria all'articolo l del Concordato. Ma il Duce è deciso ed è molto spinto dal Re, che è sempre ali' avanguardia allorché si tratta di fare una politica anticlericale. Personalmente non vedo la necessità della cosa e comunque sarei più favorevole per costruirla a Napoli, dato che questa città è la vera testa di ponte verso i domini africani. Per quanto poi concerne gli albanesi, bisogna tenere presente che si tratta di un popolo ateo e che alla moschea preferiscono un aumento di salario».

543 1 Vedi D. 403.

544

L'AMBASCIATORE A SALAMANCA, VIOLA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 2015/052 R. San Sebastiano, 14 aprile 1939 (perv. il 18).

In odierna conversazione col Generalissimo, toccando l'argomento della situazione interna dopo il crollo della resistenza rossa, Franco mi ha detto che smobilitazione esercito sarebbe avvenuta il più possibile gradualmente e ciò tanto per ragioni sicurezza interna e per consentire il progressivo riassorbimento dei combattenti nella vita del Paese, quanto perché «non era male» prolungare entro certi limiti la mobilitazione degli spiriti e mantenere atmosfera creata dalla vittoria. Generalissimo terrà per ora mobilitate non meno di sedici divisioni nella Penisola, di cui una buona parte dislocate verso frontiera pirenaica e verso Sud (Gibilterra); cinque divisioni nel Marocco spagnolo; due nelle Baleari: in tutto oltre trecentomila uomini.

Chiestogli se tale mantenimento forze e loro dislocazione avessero anche relazione con situazione internazionale e con recenti difficoltà sorte da inadempienza della Francia circa gli impegni da essa assunti attraverso gli accordi JordanaBérard1, il Generalissimo ha confermato che la Spagna naturalmente desidera un

D. 436, nota l. 3 Il documento fu inviato in visione a Mussolini.

periodo di pace per sanare le sue ferite e dedicarsi alla ricostruzione ma che-evidentemente -era opportuno non abbandonare le normali precauzioni. E, poiché vi era già un esercito mobilitato e allenato, né ciò poteva considerarsi all'estero come ingiustificato o provocatorio, non sarebbe stato questo il momento per smobilitarlo completamente.

Franco ha aggiunto risultargli che uno stato di allarme si è verificato in Gibilterra durante la settimana di Pasqua e che misure straordinarie sono state prese dalle Autorità militari inglesi, mentre si è notato gran movimento di unità da guerra nello Stretto. Queste hanno specialmente sorvegliato le operazioni di trasporto di due divisioni marocchine passate da Algeciras a Ceuta a bordo di navi posamine.

Il Generalissimo si mostrava in certo modo soddisfatto di aver contribuito a tener viva la psicosi di guerra britannica e la commentava facetamente.

543 2 Riferimento al discorso pronunciato alla radio da Daladier il 29 marzo precedente. Vedi

544 1 Vedi D. 227, nota 3. Circa le inadempienze dell'accordo da parte della Francia lamentate dal governo spagnolo si vedano i DD. 553 e 665.

545

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. SEGRETO 2877/877. Berlino, 14 aprile 19391•

Mi permetto richiamare il mio telegramma 214 del 5 aprile2 col quale riassumevo gli accordi intervenuti fra l' E.V., Ribbentrop e Oshima circa le comunicazioni da fare a Tokio in merito al nuovo testo proposto per il trattato triangolare di assistenza.

Questi accordi, risultato di una consultazione telefonica con I'E.V., stabilivano che, pur accettando in massima la controproposta giapponese e rinunciando a qualunque modificazione che avesse in fatto potuto comunque ritardare l'approvazione definitiva del patto, i governi italiano e tedesco mettevano però come punto fermo:

«n. 3) che però sia esclusa nel modo più assoluto una qualunque comunicazione, scritta o verbale, all'Inghilterra ed alla Francia ché esse non sono contemplate dal patto in questione, interpretazione patto stesso dovendo essere che esso è puramente difensivo e quindi non diretto contro alcuno, ma che, in caso di attacco da parte di terzi, il trattato avrebbe vigore contro chiunque fosse l'attaccante, il quale come tale diventerebbe il nemico di tutti e tre i firmatari del patto».

Ribbentrop, preoccupato di precisare ulteriormente le norme di linguaggio da valere nella interpretazione del patto da parte giapponese, ha avuto l'idea di formulare come appresso le norme stesse, che ora sottoporrebbe, prima di dame comunicazione al Giappone, all'approvazione dell'E.V.:

2 Vedi D. 454, che è del 4 aprile.

«Punti destinati per facilitare l'interpretazione diplomatica del Patto. (Norma di linguaggio diplomatico).

l) Il Patto di Consultazione e di Assistenza è un vero patto difensivo. Esso non persegue alcuno scopo aggressivo, ma ha anzi lo scopo di assicurare il mantenimento della pace. Il Patto non contiene quindi alcuna punta contro un qualsiasi Paese.

2) Storicamente l'idea del Patto è scaturita dalla circostanza che le tre Potenze contraenti hanno concordato insieme in questi ultimi anni una difesa collettiva contro l'azione corrosiva del Comintern. Le Potenze contraenti hanno quindi avuto di vista come un acuto pericolo per la pace le aspirazioni del comunismo provenienti dalla Russia Sovietica.

3) Non è da supporsi che l'America, l'Inghilterra o la Francia attaccheranno una delle Potenze partecipanti al Patto. Non vi è quindi alcun fondamento per ritenere che il Patto abbia una pratica applicazione contro una delle Potenze summenzionate.

4) Qualora una delle Potenze partecipanti al Patto sia oggetto di un attacco non provocato, allora le conseguenze derivanti per queste Potenze risultano dal testo del Patto».

Mi permetto di osservare in proposito che, mentre i punti di cui ai nn. 1-3 riproducono ad abundantiam tutto ciò che è nell'interesse del Giappone di dire e di far apparire, il n. 4 --l'unico che interessi gli altri due firmatari del Patto e sul quale (secondo quanto io stesso a suo tempo udii della conversazione telefonica con Ribbentrop) V. E. insistette in modo speciale-sia troppo conciso e non abbastanza chiaro, non contenendo, in ogni caso, alcuno degli elementi positivi di cui alla mia comunicazione telegrafica del 5 aprile.

Ciò premesso, in linea generale, mi permetto ancora osservare che il n. 2 (secondo membro del paragrafo) delle proposte Ribbentrop sopra riportate insiste troppo sul carattere antisovietico del patto, facendo nascere il dubbio che la portata stessa del Patto ne sia conseguentemente caratterizzata e limitata.

Mi sembrerebbe quindi, in ogni caso, necessario: a) togliere dal n. 2 la seconda parte «le Potenze contraenti (fino a) Russia Sovietica»;

b) allargare il n. 4 chiarendo che, pur non essendo il Patto diretto contro alcuno, quando tuttavia un Paese qualsiasi aggredisse uno dei firmatari, tutti gli altri firmatari reagirebbero all'aggressore chiunque esso fosse.

Ho detto che un siffatto chiarimento mi sembrerebbe necessario in ogni caso. Aggiungo di più: v'è da domandarsi se, nel silenzio di Tokio (che ancora non ha risposto a tratto ai telegrammi Oshima-Shiratori del 6 aprile )3 , il proporre noi stessi e prima ancora che il Consiglio Segreto giapponese abbia approvato il testo del Patto, una norma interpretativa di esso, per giunta concepita nei termini proposti, non rappresenti di per se stesso un pericolo. È chiaro che il Giappone cerca di tirar l'acqua al proprio mulino il più possibile; è chiaro ch'esso tende ad impegnarsi, nei confronti

degli altri, il meno che può, tantoché il valore effettivo del trattato sta negli sviluppi ~invero da parte nipponica limitati ~che sarà possibile dare alla lettera A del protocollo aggiuntivo segreto. Ma, se tutto questo è vero, è anche vero che il trattato ha, in mancanza di un valore sostanziale ~soprattutto in questo momento ~un valore figurativo e dimostrativo.

Orbene è allora, in difetto del valore sostanziale, questo valore figurativo e dimostrativo che bisogna, a qualunque costo, salvaguardare e non compromettere. Le norme di linguaggio interpretative sulla portata del Patto hanno quindi un valore specialissimo. Bisogna cioè evitare che, attraverso una interpretazione troppo lata del Patto, anche la facciata del Patto stesso non ne risulti demolita.

Mi sembra quindi che fornire noi stessi ai Giapponesi, prima ancora che il Consiglio Segreto esamini il progetto proposto, una interpretazione del progetto stesso sufficiente a svalutame il contenuto, significhi dare al Giappone la prova che noi siamo i primi ad accettare la svalutazione del Patto non solo nella sua sostanza, ma persino nella sua forma esteriore e nella sua apparenza.

Mi sbaglierò, ma io ai Giapponesi in questo periodo non direi nulla. Io aspetterei che essi, come è loro dovere, rispondano intanto alle nostre comunicazioni del 6 aprile e prenderei norma per l'azione avvenire dal tenore della risposta loro.

Che anzi, una sola cosa farei, ed è quella di sollecitare una risposta, tanto più sembrandomi chiaro che, continuando di questo passo, il Patto in questione non potrà essere firmato neanche per la data ultimamente prevista.

Mi si dice che Shiratori si appresta a venire a Berlino. Ne ignoro le ragioni. Appena le saprò ne terrò informato l'E.V.

PS.: Vengo a sapere ora da Weizsacker, cui io avevo francamente esposta qualcuna delle mie esitazioni in materia, che Ribbentrop si rende conto del mio punto di vista e che comunque non considera affatto la questione come urgente. Egli in fondo si era solamente posto il problema dell'opportunità di tenere pronte, per il momento dato, delle eventuali norme di linguaggio per l 'interpretazione del patto. Il testo proposto va quindi considerato, secondo lo stesso Ribbentrop, come, un semplice abbozzo, suscettibile di tutte le modificazioni che saranno ritenute del caso4 .

545 1 Manca l'indicazione della data di arrivo.

545 1 Non è stata trovata indicazione circa il contenuto dei telegrammi. In precedenza, l'ambasciatore Attolico aveva riferito (T. 928/ l 09 R. del 6 marzo) che i due ambasciatori avevano telegrafato a Tokio offrendo le loro dimissioni qualora non si fosse giunti a concludere un'alleanza con le Potenze dell'Asse.

545 4 Sul documento vi è la seguente aggiunta scritta a mano dall'ambasciatore Attolico: «Ribbentrop mi ha ulteriormente telefonato per confermare egli stesso quanto sopra. Si raccomanda poi in modo specialissimo che della sua idea non venga data notizia alcuna ai giapponesi. L'ho rassicurato. Ho avuto l'impressione che in questi giorni Ribbentrop sia un po' nervoso. Si è ritirato in campagna e di là non fa che architettare ogni momento una nuova cosa».

546

L'AMBASCIATORE A PARIGI, GUARIGLIA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 2514/1061. Parigi, 14 aprile 1939 (perv. il 18).

La coincidenza dell'azione italiana in Albania con l'adesione della Spagna al Patto Anticomintern ha permesso alla stampa di far passare in secondo piano questo nuovo smacco della politica francese. Ma per quanto i giornali abbiano cercato di fare «buon viso a cattiva sorte», non per questo il colpo è stato meno risentito, facendo crollare non poche delle pie illusioni che, nella loro beata ingenuità, gran parte dei francesi si erano fatte sui possibili risultati del riconoscimento di Franco e dell'invio a Burgos del Maresciallo Pétain. Tale delusione è stata ancor più accentuata dal ritorno a Parigi per 48 ore del vecchio Maresciallo e dalle notizie che sono trapelate circa i suoi colloqui con Daladier e Bonnet. Si era sparsa addirittura la voce che Pétain volesse dare le dimissioni. Ho visto oggi Lequerica, il nuovo Ambasciatore di Spagna, che già conoscevo. Egli mi ha detto che anche a lui Pétain aveva fatto visita e che non credeva che tale notizia avesse alcun fondamento. Quello che par certo invece è che Pétain è rimasto male per l'accoglienza abbastanza fredda avuta in Spagna e per le difficoltà che la sua missione incontra, tanto da parte spagnola che da parte francese. Egli avrebbe perciò fatto vive insistenze presso Daladier e Bonnet perché venga al più presto data piena esecuzione agli accordi Bérard-Jordana, sopratutto per quanto concerne la restituzione completa del materiale da guerra esportato dai miliziani rossi. Ma, come mi ha detto Lequerica, tale materiale è stato già utilizzato in gran parte dai francesi che ne hanno mandato perfino in Tunisia. E perciò Franco ha fatto chiudere nuovamente la frontiera e si rifiuta di ricevere i profughi, con grande imbarazzo del governo francese.

Segnalo a questo proposito la dichiarazione che Lequerica ha fatto mercoledì scorso nel ricevere i giornalisti francesi. Egli ha detto fra l'altro: «La firma degli accordi Bérard-Jordana fu un passo iniziale importante, il cui valore sarebbe annullato se non fosse seguito da un'esecuzione leale completa e rapida. La Spagna sarebbe estremamente delusa se le decisioni concordate non fossero messe in pratica, dato che esse costituiscono la base della ripresa dei nuovi rapporti ufficiali franco-spagnoli». Tali esplicite dichiarazioni non hanno fatto molto piacere negli ambienti ufficiali francesi e hanno vivamente irritato i giornali d'opposizione.

547

IL SOTTOSEGRETARIO ALLA GUERRA, PARIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

FOGLIO SEGRETO 122/c.S. Roma, 14 aprile 1939 (perv. il l 8 ?) .

Come sai il nostro Servizio Informazioni Militare collabora da tempo con quello germanico nello scambio di notizie relative alle Forze Annate della Francia e della Gran Bretagna.

Ora, durante l'incontro di Innsbruck1 , l'ammiraglio Canaris ha proposto al colonnello Tripiccione di orientare la collaborazione a tìni insurrezionali in alcuni Paesi del vicino Oriente. Scopo: economia di mezzi, evitando reciproci intralci.

Gli è stato risposto che, trattandosi di questione di delicato ordine politico, occorreva sentire la competente autorità centrale.

Ti sarei grato se volessi esprimere il Tuo pensiero in merito ed eventualmente indicarmi se, in quali limiti, e verso quali Paesi si dovrebbe esercitare una tale forma di collaborazione2•

548

IL MINISTRO A SOFIA, TALAMO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 1974/67 R. Sofìa, l 5 aprile 1939, ore 0,40 (perv. ore 4, 30).

Vivo risentimento presidente del Consiglio contro l 'Inghilterra per le garanzie accordate Grecia, Romania, sembra confennare precedenti lusinghe britanniche alla Bulgaria. Egli mi ha riferito averlo apertamente espresso a questo ministro d'Inghilterra che avrebbe tentato affermargli non trattarsi «precisamente» di garanzia tfontiera e che una volta di più gli avrebbe fatto quadro allarmante pericolo imminente di guerra. Mi ha espresso anche suo sdegno per consigli britannici, non meglio precisati, eventuali garanzie Bulgaria frontiere greche.

Era poi informato che Turchia si sarebbe tìnora schermita da garanzie inglesi, manifestando inoltre intendimento attenersi scrupolosamente convenzione Stretti circa passaggio naviglio anglo-francese Mar Nero in caso ostilità.

Mi ha soggiunto in caso diverso essere parimenti informato che, mentre Grecia avrebbe più che altro subito garanzie sottraendosi impegni bilaterali, per Romania essa sarebbe stata insistentemente richiesta a Londra dalla Francia.

Mi ha letto con commenti assai forti comunicato romeno circa garanzie inglesi «che farebbe tramontare progetti illusori dei vicini a danno Romania», soggiungendomi Gafencu avrebbe lasciato ultimamente intendere ministro di Bulgaria Bucarest! essere disposto affrontare soluzione problema Dobrugia contro impegno Bulgaria difesa frontiere esterne Balcani, mentre peraltro Bulgaria rifiuta.

Ansioso avere precisione atteggiamento Roma, Berlino in conseguenza degli sviluppi politica inglese, mi ha fatto nuove dichiarazioni nel senso più stretto riavvicinamento Asse ormai qui facilitato contro opposizioni, da predette garanzie che eliminerebbero ogni possibile credito buona volontà britannica verso Bulgaria e mi ha confermato suo probabile viaggio Berlino mese prossimo, cui mi ha espresso suo proponimento poter fare seguire suo successivo viaggio Roma.

547 1 Non è stato trovato nessun documento relativo a questo contatto tra l'ammiraglio Canaris e il colonnello Tripiccione. 2 Il documento ha il visto di Mussolini. Per la risposta di Ciano si veda il D. 576.

549

IL MINISTRO A BUCAREST, GHIGI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 1934/140 R. Bucarest, 15 aprile 1939, ore 2 (perv. ore 5,15).

Dichiarazioni garanzia Francia e Inghilterra1 concretatesi dopo lunghi negoziati con governo inglese, il quale a quanto pare insisteva per accordo bilaterale, sono state accolte da questo governo con compiacimento, temperato soltanto da preoccupazione presente armonizzare accoglimento da parte Romania nel modo più opportuno nei riguardi di Potenze Asse. Sforzo mostrare gratitudine verso Parigi e Londra e assicurare pari tempo Berlino e Roma reale desiderio collaborare appare anche stampa odierna ed è particolarmente espressivo articolo fondo Timpul (mio telegramma chiaro O189) inspirato da Gafencu nonché dichiarazioni presidente del Consiglio (mio telegramma chiaro 0190)2 .

Il ministro Ghigi riferiva poco dopo che Gafencu aveva tenuto a minimizzare con lui la portata della garanzia franco-britannica e ad assicurarlo che essa non modificava il desiderio del governo romeno di realizzare un avvicinamento ali 'Italia (T. 1957/146 R. del 15 aprile).

550.

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER TELEFONO 1942/241 R. Berlino, 15 aprile 1939, ore 14,20.

Ancora nessuna reazione ufficiale ali 'appello telegrafico del Presidente Roosevelt1 al Fiihrer, appello di cui è stato dato ordine per ora di non parlare affatto sulla stampa.

Quanto al merito della cosa, sono in corso conversazioni a Monaco fra Ribbentrop ed il Fiihrer, il quale non ha fino al momento in cui telefono preso una decisione definitiva su !l'atteggiamento da adottare. Ribbentrop rientra a Berlino questa notte.

In attesa e sempre sotto riserva delle decisioni del Fiihrer, si osserva, peraltro, in questi circoli che al gesto di Roosevelt non può essere attribuito che un valore propagandistico più che politico. Pur tenendo conto della mentalità e dei metodi americani è evidente che se effettivamente Roosevelt si fosse proposto di indurre la Germania e l'Italia a partecipare ad una conferenza internazionale avrebbe scelto una via ben diversa procedendo in anticipo a sondaggi altrettanto efficaci quanto discreti. In queste condizioni una risposta nettamente positiva sembra da escludere.

Appena io venga in possesso di ulteriori notizie non mancherò di telefonare2 .

548 1 Sava Kirov. 549 1 Del 13 aprile precedente. Vedi D. 539. 2 Nota dell'Ufficio Cifra: «i due telegrammi in chiaro surrichiamati non figurano pervenuti, né portano la numerazione prescritta dal Ministero».

551

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER TELEFONO 1950/244 R. Berlino, 15 aprile 1939, ore 22.

Il commento all'appello di Roosevelt 1 è molto forte e aspro.

Non è la prima volta~ si dice~ che un Presidente degli Stati Uniti avanza proposta di pace dopo aver fatto di tutto per preparare la guerra. Ma non è la prima volta che è stato fatto cattivo uso della fiducia della Germania (allusione ai 14 punti di Wilson). È quindi comprensibile lo scetticismo tedesco di fronte a questa nuova proposta.

La Germania non ha, d'altra parte, alcuna speranza nel successo di conferenze internazionali il cui valore può essere misurato dalle esperienze del passato. Nè si può ammettere che i problemi mondiali siano racchiusi e risolti con formule esclusi

2 Il documento fu inviato in visione a Mussolini. 551 1 Vedi D. 562, nota l.

vamente giuridiche, senza tener conto delle concezioni ideologiche delle diverse nazioni. Nessun compromesso è possibile con chi si considera sullo stesso piede di uguaglianza e di politica (parola mancante).

Un tentativo quindi di far garantire dalla Germania tutti i Paesi menzionati da Roosevelt nello stesso momento in cui le democrazie cercano un'intesa col bolscevismo appare come una troppo grande ed evidente manovra. Il messaggio di Roosevelt risulta perciò inviato ad un indirizzo sbagliato e si può essere sicuri che un secondo caso Wilson non sarà ripetuto.

Quanto sopra, di cui prego dare comunicazione Ministero Cultura Popolare, per ciò che riguarda la stampa. Per quanto riguarda la risposta formale e personale a Roosevelt, Hitler ha deciso di non darla se non verso il 22 o 23 corrente, cioè dopo il proprio genetliaco. Egli farà sapere appena possibile al Duce il tenore della risposta che intende dare e sarebbe grato se altrettanto facesse il Duce per la risposta propria2•

552.

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. S.N.D. 1961/243 R. Berlino, 15 aprile 1939, ore 22,58 (perv. ore 1,20del16). Mio telegramma n. 239 in data di ieri 1•

Ribbentrop mi fa informare che rientrando a Berlino solo questa notte, si riserva di parlare ulteriormente con me della questione lunedì.

Apprendo tuttavia che, come già prevedevo, qui si persisterebbe a ritenere che «una qualche cosa» sia pur necessaria onde impedire che una supina acquiescenza da parte tedesca possa essere interpretata come incoraggiamento:

l) ai Paesi già garantiti per approfondire le proprie garanzie.

2) a quelli non ancora garantiti per entrare nel cerchio della garanzia e quindi d eli 'influenza anglo-francese.

Ove V.E. avesse in proposito nuove istruzioni da darmi pregherei telegrafarmi in tempo per Junedì2 .

2 Il documento ha il visto di Musso lini.

550 1 Vedi D. 562, nota l.

551 2 Il documento fu inviato in visione a Mussolini. 552 1 Vedi D. 541.

553

L'AMBASCIATORE A SALAMANCA, VIOLA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 2014/053 R. San Sebastiano, 15 aprile 1939 (perv. il 18).

Così Franco, come i suoi ministri Jordana e Serrano Sui'ier, mi hanno parlato con indignazione dell'inadempimento degli impegni assunti dalla Francia cogli accordi Jordana-Bérard1• Specialmente Jordana, ritenendosi più personalmente interessato ha stigmatizzato violentemente l'attitudine francese. Risulta a Burgos che convogli di materiale bellico e navi con materiale di aviazione erano già partiti a destinazione della Russia. Gli equini di pertinenza spagnola formano già in Francia oggetto di mercato e i bovini vengono ormai abbattuti su larga scala per i bisogni locali. A Burgos si respinge sdegnosamente l'argomento francese relativo alla necessità di rivalersi almeno in parte delle spese che il governo della Repubblica sta incontrando per i profughi spagnoli. Sembra che a Barcellona siano stati rinvenuti documenti comprovanti l'incoraggiamento dato a suo tempo da Parigi al governo di Negrin di far riparare in Francia le milizie rosse di Catalogna onde evitare il completo disastro e rendere possibile la ripresa di ulteriore resistenza in altra epoca e su altri settori. Inoltre, nulla poteva giustificare l'esodo della popolazione civile che la Francia ha favorito, più che subito.

Dalle responsabilità del governo francese nelle attuali inadempienze si dichiara a Burgos doversi tenere estraneo il Maresciallo Pétain, il quale anzi avrebbe apertamente disapprovato l'atteggiamento di Parigi e avrebbe dichiarato voler rinunciare alla sua missione qualora gli impegni assunti dal suo governo non vengano mantenuti.

Secondo notizie pervenute oggi a Burgos, il Maresciallo Pétain, recatosi appunto a Parigi la settimana scorsa per chiarire la situazione, si disporrebbe a fare ritorno a Burgos latore di proposte accettabili che concilierebbero la soluzione della questione dei profughi con quella della restituzione dei beni spagnoli detenuti dalla Francia.

554

IL CONSOLE A GRAZ, TASSONI ESTENSE, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 2015/13 8. Graz, 15 aprile 1939 1•

Negli ambienti clericali si assiste, qui, impotenti ed impressionati, all'introduzione nella Marca Orientale della legislazione germanica relativa all'insegnamento religioso nelle scuole ed al mutamento o l'abbandono di una confessione religiosa da parte dei ragazzi.

554 1 Manca l'indicazione della data di arrivo.

D'ora in poi, non soltanto l'istruzione religiosa, anche in queste province, non sarà più obbligatoria nelle scuole, ma, per ottenere che essa venga impartita ad un ragazzo a titolo facoltativo ed extra scolastico, occorrerà la concorde richiesta dei due genitori.

Genitori e tutori potranno stabilire l'appartenenza o meno del bambino ad una confessione religiosa fino al suo l oo anno di età. Tra i l Oe i 12 anni il bambino deve essere presentito circa un tale atto. Da 12 a 14 anni non può avvenire un mutamento confessionale contro la volontà del ragazzo. Sopra i 14 anni è il ragazzo che decide.

Non sono tanto le suddette disposizioni ad impensierire, qui, fedeli ed ecclesiastici, quanto la loro possibile applicazione, da parte di elementi estremisti del Partito Nazionalsocialista, al movimento di apostasia dalla Chiesa cattolica. Infatti, la possibilità, così concessa, ai genitori di uscire dalla Chiesa, compilando i noti moduli, e di includere in tale decisione tutti i figli minori di lOanni e, praticamente, di anni 12, può avere gravi risultati per la Chiesa stessa. Più significativa ancora, la possibilità ai ragazzi con più di anni 14, -spesso oggetto di viva propaganda dottrinale nelle organizzazioni giovanili nazionalsocialiste-di abbandonare liberamente la religione professata.

553 1 Vedi D. 227, nota 3.

555

IL MINISTRO A BUDAPEST, VINCI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 2058/628. Budapest, 15 aprile 1939 (perv. il 21).

Miei telegrammi nn. 153 1 , 159 e 1602 .

Ho già telegraficamente riferito sulle mie conversazioni con il ministro degli Affari Esteri circa la tensione ungaro-romena. Benché gli avvenimenti siano superati dalla risposta dal ministro degli Affari Esteri romeno3 , aggiungo alcuni dettagli alle conversazioni:

2 T.l923/159 R. e T. 1925/160 R. del 15 aprile. Ritèriva che Csaky aveva dichiarato a lui e ai rappresentanti di Germania, Jugoslavia e Polonia che, se la mobilitazione romena non avesse avuto termine entro 48 ore, il governo ungherese sarebbe stato costretto a prendere «severe misure militari», ciò di cui il governo romeno era stato informato attraverso un passo del ministro di Ungheria a Bucarest. Da parte ungherese, aveva ribadito Csaky non si era in nessun caso disposti a fàre una dichiarazione di garanzia delle frontiere attuali che, del resto, riteneva non sarebbe stata nell'ordine di idee delle Potenze dell'Asse. Il documento fu inviato in visione a Mussolini.

1 Dopo che, il 13 aprile, Csaky aveva dichiarato alla Commissione parlamentare per gli Affari Esteri che l'Ungheria intendeva rispettare la frontiera con la Romania, il governo di Bucarest aveva reso noto, il 15 aprile, che avrebbe proceduto alla smobilitazione delle forze schierate al confine tra i due Paesi.

l. Come ho telegrafato, il Conte Csaky ha insistito sulle continue misure militari romene e sulle sue dichiarazioni del 14 corrente. Mi ha ricordato che alla Commissione per gli Affari Esteri (come riferisco con telespresso a parte) aveva detto che il governo romeno faceva tutto il possibile per far credere al mondo di aver ragione di supporre intenzioni ostili da parte dell'Ungheria, pur sapendo che il governo ungherese mantiene immutata la proposta di concludere un accordo circa le minoranze, per affrettare sostanzialmente il miglioramento dei rapporti fra i due Stati. Mi ha dichiarato però che non sarebbe stato possibile ormai per lui fare nuove dichiarazioni conciliatrici dato che gli erano poi pervenute notizie di gravi vessazioni verso le minoranze ungheresi, di Transilvania (requisizioni, brutalità da parte delle truppe romene nei villaggi abitati da ungheresi ecc.). Mi ha mostrato un numero del settimanale transilvano Glas Romanescu con la dizione «censurato», quindi cioè vagliato dalle autorità, contenente una serie di violentissimi articoli contro l'Ungheria e lo stesso Horthy, fra cui uno che spinge i romeni a marciare su Budapest. (È annunciato oggi che il governo romeno ha ordinato il sequestro del giornale). In tale situazione non poteva più oltre resistere alle pressioni delle Autorità militari che avrebbero voluto prendere immediatamente misure analoghe a quelle tuttora in corso in Romania.

2. -Spiegandomi il passo fatto fare ieri presso Gafencu dal ministro di Ungheria a Bucarest, Csaky mi ha detto che doveva escludere che la Germania avesse intenzioni aggressive verso la Romania dopo il favorevole patto economico4 con essa concluso; che l'Ungheria non aveva intenzioni aggressive; ma non mi ha nascosto che se fosse stato costretto a prendere di nuovo delle misure militari, la situazione avrebbe potuto diventare molto grave mentre se le vessazioni continuassero da parte romena non mi ha escluso la possibilità di moti rivoluzionari fra le minoranze ungheresi e sassoni alle quali certamente non potrebbe restare indifferente e se per esempio si dovessero produrre dei fatti di speciale gravità non potrebbe non intervenire. 3. -Durante la conversazione, Csaky che era agitato e preoccupato, mi ha detto di aver, giorni fa, fatto sapere al governo britannico che se l'Inghilterra avesse garantito l'integrità della Romania, il pericolo sarebbe stato gravissimo, aumentando ciò certamente la tracotanza romena: il governo britannico gli aveva però fatto sapere che la garanzia riguardava solo l'indipendenza. 4. -Effettivamente allo stato delle cose, persona di mia fiducia che si è recata nei giorni di Pasqua a Oradea Mare (Nagyvarad) mi ha detto che nella regione di frontiera sussistono tuttora da parte romena le più palesi misure militari. Truppe sono scaglionate in profondità in grande numero: tutta la linea di frontiera è chiusa da reticolati. Misure di mobilitazione di parecchie classi sarebbero state prese anche negli ultimi due o tre giorni. Regna il più grande nervosismo e il più grande timore di un attacco ungherese. Elementi della minoranza ungherese si sarebbero espressi nel senso che si attende da un momento all'altro un'azione ungherese. Da parte ungherese non ha notato misure militari, e la presenza di truppe solo a 60 Km. dalla frontiera.

D. 378, nota l).

5. Oggi la situazione è superata; si attendono le misure di smobilitazione da parte romena. Csaky era oggi, come ho telegrafato, molto soddisfatto e sollevato. È un fatto però che l'opinione pubblica ungherese specie gli elementi di destra, e i militari sono montati contro la Romania. Gli stessi acquisti che l'esercito sta facendo appaiono in funzione di un'azione verso la Romania. La questione almeno in certi ambienti è considerata soltanto sospesa.

Indubbi però sono gli sforzi di Csaky per arrivare ad una conciliazione.

555 1 T. 18581153 R. del 12 aprile. Riferiva che il conte Csaky gli aveva fatto presente che, persistendo le misure militari romene alla frontiera, il governo ungherese si sarebbe trovato nella necessità di prendere misure analoghe. l romeni-aveva aggiunto Csaky-erano convinti che attualmente l'Ungheria non aveva intenzioni aggressive ma temevano che in caso di conflitto generale approfittasse per occupare la Transilvania e con il loro atteggiamento miravano ad ottenere una garanzia delle frontiere attuali che l 'Ungheria non era assolutamente disposta a dare.

555 4 Riferimento al trattato di commercio tra Germania e Romania del 23 marzo precedente (vedi

556

L'AMBASCIATORE A VARSAVIA, ARONE, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. RISERVATISSIMO 1967/94 R. Varsavia, 16 aprile 1939, ore 8 (perv. ore l 1,30).

Beck che ho visto iersera non mi ha nascosto sua preoccupazione per la situazione attuale. Per quanto particolarmente riguarda i rapporti polacco-tedeschi, questo ministro Affari Esteri, pur in forma molto circospetta, mi ha detto che la maggiore responsabilità dell'attuale tensione tra Varsavia e Berlino doveva secondo lui attribuirsi allo strano procedere di Ribbentrop che mirava risolvere in modo assolutamente unilaterale la questione esistente fra i due Paesi. Inoltre -secondo il mio interlocutore -Berlino aveva visto di malanimo che la politica di Varsavia non rimanesse esclusivamente circoscritta allo scacchiere Europa Orientale: da ciò anche il malumore del governo germanico per il rafforzamento legami anglo-polacchi. Questo ministro Affari Esteri ha insistito cercando di dimostrare come anche la posizione assunta dalla Polonia fosse nettamente contraria alla formazione di antagonismi ed in particolare alla infiltrazione della Russia nella politica europea. Concludendo, questo ministro Affari Esteri, dopo aver accennato alla simpatia da cui Cancelliere germanico era sembrato animato in passato verso Polonia, ha osservato che, se a Berlino si desiderasse effettivamente mantenere le relazioni polacco-tedesche nello spirito del trattato del 19341 come è stato ripetutamente assicurato, non vi sarebbero stati ostacoli ad una lunga amicizia fra i due Paesi.

556 1 Vedi D. 27, nota 2.

557

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. SEGRETO 2923/899. Berlino, 16 aprile 19391•

Ho visto, in rapporti di altre RR. Rappresentanze inviatemi in comunicazione2 , avanzate ipotesi diverse sulle ragioni che hanno potuto indurre la Ungheria a cambiare ad un tratto di attitudine nei riguardi della Slovacchia e a intendersi subitamente con essa sulla questione delle frontiere.

Stando a Berlino, ho la netta impressione, per quanto non basata, né su confidenze ungheresi (il ministro Szt6jay si mantiene nei riguardi di questa ambasciata abbastanza riservato e poco espansivo), né su confidenze tedesche, che la principale, se non la sola, causa che ha determinato un siftàtto cambiamento vada trovata in un preciso intervento tedesco a Budapest.

Da una parte, la Germania non gradisce in questo momento in Europa Centrale complicazioni di sorta; dall'altra, essa non vuole, dopo averle dato la Rutenia, ingrandire e rafforzare troppo l 'Ungheria prima di esserne completamente sicura. La Germania ha sull'Ungheria vedute precise: essa intende-pur rispettandone l'indipendenza esteriore -aggiogarla a mano a mano completamente al proprio carro e dominarla. Donde la tendenza tedesca -che la nostra presa di possesso dell'Albania, non può certo diminuire -a condurre nei confronti di Budapest una politica sempre più risoluta e più forte.

La Gennania essendo riuscita a dare all'Ungheria la sensazione di essere stata la sola a concederle la Rutenia, si ha di qui l'impressione che Budapest intenda mostrarsi, almeno nelle apparenze, deferente ai desideri di Berlino. Dico nelle apparenze, sembrandomi impossibile che l'Ungheria non percepisca il pericolo implicito in troppo spinti e quasi «esclusivi» legami con la Germania.

La visita di Teleki e Csaki a Roma fornirà alla E.V. propizia occasione per approfondire questo punto. È comunque mio dovere richiamare sulla questione la speciale attenzione della E.V., avendosi di qua--ed io non sono il solo-la sensazione netta che la Germania miri a stabilire su Budapest un chiaro patronato tedesco.

557 1 Manca l'indicazione della data di arrivo. 2 Vedi D. 439.

558

IL SOTTOSEGRETARIO ALLA GUERRA, PARIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

LETTERA PERSONALE. Roma, 16 aprile 1939.

Per semplice conoscenza:

Risulterebbe che il signor Subbotié delegato della Jugoslavia alla S.d.N., avrebbe dichiarato al suo collega bulgaro Karadjov che «la Jugoslavia desidera partecipare al piano inglese di accerchiamento».

Notizia sicura ma da tener segreta, per il modo col quale è stata ottenuta.

559

IL MINISTRO A LISBONA, MAMELI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 1975/41 R. Lisbona, 17 aprile 1939, ore 3 (perv. ore 7).

Mi riferisco al telegramma n. 40 in data 15 corrente1•

Dato crescente dilagare notizie tendenziose circa nostri volontari che assumono ormai netto carattere manovre sia contro Italia e Spagna che contro regime Salazar, ho comunicato stamane a Segretario Generale Affari Esteri informazioni telegrafatemi da V.E. 2 .

Oggi stesso, presidente Salazar nell'esprimermi sua riconoscenza verso Governo Fascista per gesto spontaneo ed amichevole, ha sottolineato che di solito non ripone eccessiva fiducia smentite, ma che riteneva che in questo caso fosse comune interesse farlo e mi ha sottoposto formula nota ufficiosa da pubblicarsi qui immediatamente e che rispecchia anche tali concetti.

Tenore sostanziale nota è infatti il seguente: ministro d'Italia ha comunicato che proprio governo ha notato e apprezzato calma e amichevole fiducia governo portoghese di fronte dilagare voci tendenziose circa ammassamento volontari italiani frontiera portoghese ed ha informato che reparti italiani più vicini frontiera

è In seguito alle notizie inviate dal ministro Mameli, Ciano aveva telegrafato che i legionari italiani erano concentrati nella zona di Alicante e aveva autorizzato Mameli a servirsi dell'informazione nel modo che avesse ritenuto migliore (T. 292/40 R. dell5 aprile).

portoghese trovansi zona Alicante (questa formula è stata adottata per evitare possibilità che sia comunque sfruttata esatta divulgazione nostri concentramenti in nota ufficiale).

Governo portoghese, che non ritiene valga la pena smentire numerosissime voci allarmistiche questi giorni, desidera invece in questo caso corrispondere gesto italiano pubblicando spontanea amichevole informazione. Presidente Salazar mi ha con molta franchezza domandato consentirgli immediata pubblicazione sottolineando che qualsiasi ritardo le toglierebbe ogni valore.

In base alle istruzioni impartitemi da V.E. con il telegramma sopra citato, considerata situazione e tenendo anche conto che nota pone in evidenza relazioni italaportoghesi in tono particolarmente amichevole, ho consentito.

Nota ufficiosa sarà pubblicata domani. Ne trasmetterà testo a mezzo telegramma Stefani Speciale. Ho informato questa sera stessa ambasciata di Spagna che mi ha espresso suo cordiale apprezzamento3 .

559 1 Con T. 1928/40 R. -che è datato 14 aprile -il ministro Mameli aveva riferito sul diffondersi di voci circa il concentramento di reparti italiani alla frontiera ispano-portoghese con l'obbiettivo di attaccare il Portogallo e realizzare, d 'intesa con gli spagnoli, l 'unificazione della Penisola Iberica. Queste voci -faceva osservare il ministro Mameli -non potevano essere considerate alla stregua delle solite notizie allarmistiche ma, era ormai chiaro, costituivano una campagna sistematica diretta a suscitare l'ostilità del popolo portoghese nei confronti dell'Italia.

560

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER TELEFONO 1986/247 R. Berlino, 17 aprile 1939, ore 12,20 (perv. ore 13, 15).

Riferimento miei fonogrammi e telegrammi di ieri1 . Informo che Fiihrer tiene molto a sapere reazione personale Duce in merito messaggio Roosevelt. Sarà grato qualche cortese notizia in proposito nonché qualche informazione circa istruzioni generali impartite in materia alla stampa italiana2•

559 3 Su tutto l'episodio si veda anche il D. 575. 560 1 Vedi DD. 550 e 551, che sono del 15 aprile. 2 Il documento fu inviato in visione a Musso lini.

561

L'AMBASCIATORE A V ARSAVIA, ARONE, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. RISERVATO 2012/96 R. Varsavia, 17 aprile 1939, ore 23,35 (perv. ore 1,50 de/18). Mio telegramma n. 941 .

In questi ambienti diplomatici si va formando l'opinione che a Londra non si sia eccessivamente soddisfatti della politica di questo ministro degli Affari Esteri.

Questi infatti. pur avendo in linea di massima aderito al progetto di accordo bilaterale proposto dali 'Inghilterra. mostrerebbe delle perplessità per quanto ne riguarda la realizzazione pratica. Inoltre, a Londra si rimprovererebbe a questo ministro degli Affari Esteri la posizione negativa sino ad ora mantenuta nei riguardi delle proposte inglesi per un avvicinamento alla Russia, mentre poi questo ministro degli Affari Esteri, come è noto, ha declinato il progetto britannico per l'assistenza alla Romania dichiarando che i rapporti tra Polonia e Bucarest devono essere regolati direttamente.

Una prova della scarsa soddisfazione britannica si vuole anche vedere nel fatto che non avrebbe avuto sino ad ora seguito l'idea di un prestito inglese alla Polonia di cui si è tanto parlato in occasione visita di questo ministro degli Affari Esteri2 .

Va rilevato, d'altra parte, che le garanzie offerte dall'Inghilterra alla Grecia e alla Romania3 hanno avuto in Polonia eco sfavorevole. Ciò sopratutto -come ha detto questo ministro Affari Esteri -perché la Polonia non intende affatto essere associata. sia pure indirettamente. alla politica inglese nel Mediterraneo.

D'altra parte, il linguaggio che qui tiene questa ambasciata di Germania darebbe l'impressione che a Berlino si marchi per il momento una battuta di arresto nei riguardi delle note rivendicazioni verso la Polonia4 .

562.

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, COLONNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 2010/76 R. Washington, 17 aprile 1939, ore 19,28 (perv. ore 6,15 del 18).

Inatteso appello diretto dal Presidente al Duce e al Cancelliere' ha riscosso, come risulta dai telgrammi Stefani, approvazione quasi generale di questi ambienti.

Le poche voci discordi trovano che Presidente ha preso troppo apertamente posizione a favore dei cosiddetti Stati democratici, circostanza questa che può, a parere dei dissenzienti, impegnare già troppo atteggiamento degli Stati Uniti d'America, pregiudicando nello stesso tempo esito iniziativa.

Maggior parte questa opinione pubblica tuttavia ritiene che con suo appello Presidente si è reso interprete del sentimento del popolo americano contrario per principio all'idea della guerra.

Si nota inoltre che il Presidente, col dirigersi direttamente al Duce ed al Ftihrer non ha fatto che dare seguito a pensiero da lui in precedenti occasioni manifestato, di cercare cioè di contribuire con tutto il peso morale e materiale di questo Paese ad evitare un conflitto.

Dalla risposta che verrà data all'appello dipenderà, è da ritenersi, il definitivo atteggiamento di questo governo che continua però a dare l'impressione di una certa comprensione nei riguardi nostri: cosa questa a cui contribuisce in parte la deferenza che il Presidente non ha nascosto in più occasioni di manifestare per la persona del Duce.

Per quanto in certi ambienti si affermi che appello presidenziale sarebbe stato preceduto da sondaggi in ambienti finanziari di New York su come vietare aiuti a Potenze totalitarie, specialmente Italia sul terreno economico, fino a questo momento non mi è stato possibile accertare se in proposta del Presidente conferenza economica vi siano idee concrete oltre riaffermazione fiducia in solito metodo soluzione problemi internazionali per mezzo conferenza.

Sulle prime reazioni di Mussolini al messaggio di Roosevelt vi è questa annotazione nel Diario di Ciano (sotto la data del 15 aprile): «Roosevelt manda il messaggio per proporre dieci anni di tregua. Il Duce da prima rifiuta di leggerlo, poi lo definisce "un frutto della paralisi progressiva"».

561 1 Vedi D. 556. 2 Riferimento alla visita di Beck a Londra del 3-6 aprile. Vedi D. 476, nota 2. 3 Vedi D. 539. 4 Il documento ha il visto di Mussolini.

562 1 Riferimento al messaggio inviato il 15 aprile dal Presidente Roosevelt a Hitler e a Mussolini, nel quale si chiedeva l'impegno a non attaccare, per un periodo minimo di dieci anni, il territorio e i possedimenti di altri Stati di cui si dava l'elenco. Ciò avrebbe consentito poi di lavorare per una pace permanente, in primo luogo liberando i popoli dal fardello degli armamenti e aprendo a tutti le strade del commercio internazionale. Il testo del messaggio è in FRUS, 1939, vol. l, pp. 130-!33.

563

L'AMBASCIATORE PRESSO LA SANTA SEDE, PIGNATTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. S.N.D. PER CORRIERE 2024/73 R. Roma, 17 aprile 1939 (perv. i/18).

Mio telegramma per corriere n. 70 del 14 aprile corrente 1•

Il Papa, informato dal Cardinale Segretario di Stato della comunicazione da me fatta, ha risposto che la questione era già stata sollevata con il Suo Predecessore, il quale aveva espresso opinione recisamente negativa, opinione che egli faceva sua e confermava. Pare che Pio XI avesse anche detto che avrebbe preferito morire piuttosto che vedere sorgere una moschea a Roma. Il cardinale Maglione ha soggiunto che l'intero mondo cattolico risentirebbe l'offesa, se il deprecato avvenimento dovesse verificarsi.

È fuori di dubbio che quest'ultima osservazione risponde al vero, nel senso che l'emozione dei cattolici del mondo intero sarebbe grande e avrebbe incalcolabili ripercussioni, anche perché i nostri nemici non mancherebbero di fame una speculazione.

Il Cardinale Segretario di Stato non ha precisato quale sarebbe l'atteggiamento della Santa Sede se venisse eretta la moschea.

È mio dovere richiamare l'attenzione sul capoverso dell'art. l o del Concordato che sarebbe invocato dalla Santa Sede per una sua eventuale protesta che certamente non mancherà. Esso dice: «In considerazione del carattere sacro della Città Eterna, sede vescovile del Sommo Pontefice, centro del mondo cattolico e meta di pellegrinaggi, il governo italiano avrà cura di impedire in Roma tutto ciò che possa essere in contrasto col detto carattere».

Se fossi richiesto di parere sarei molto guardingo nel darlo, perché evidentemente vi sono ragioni serie che inducono il Duce a desiderare che a Roma sorga una moschea. Aggiungerei, remissivamente, che se i nostri supremi interessi lo consentissero, converrebbe fare il sacrificio della moschea2 .

2 Il documento fu inviato in visione a Mussolini.

563 1 Vedi D. 542.

564

NOTA DI EDIZIONE

Dal 14 al 17 aprile, il Maresciallo Goring fu in visita a Roma dove ebbe colloqui con Mussolini e con Ciano. Di tali colloqui non è stata trovata documentazione negli archivi italiani, nonostante che Ciano annoti nel suo Diario di avere redatto i verbali dei due colloqui avvenuti a Palazzo Venezia fra Mussolini e il Maresciallo tedesco (un altro «lungo» colloquio ebbe luogo, il 16 aprile, tra Ciano e Goring al circolo delle Forze Armate).

Da parte tedesca, vi sono due circostanziati promemoria sui due colloqui di Palazzo Venezia (in DDT, vol. VI, DD. 205 e 211 ), dai quali risulta che tra gli aspetti più rilevanti toccati in quella occasione vi furono:

a) L'atteggiamento da tenere nei riguardi della Jugoslavia dopo la caduta di Stojadinovié (argomento al quale fu dedicato quasi tutto il primo colloquio). A questo proposito Goring dichiarò che la Germania considerava la Jugoslavia come rientrante «al cento per cento nella sfera di influenza d eli 'Italia» (nel secondo colloquio ripete questa dichiarazione ma nei riguardi della sola Croazia) e che pertanto da parte tedesca non si intendeva dare seguito ad eventuali aperture dei croati verso Berlino. Da parte sua, Mussolini osservò che vi era interesse ad una Jugoslavia unita solo se questo Paese avesse seguito una politica chiaramente favorevole ali'Asse. Fu quindi stabilito di sospendere ogni decisione in attesa di vedere quale sarebbe stato l'atteggiamento del governo di Belgrado.

b) Circa un futuro conflitto con le Potenze occidentali -considerato da entrambi inevitabile-Goring, che aveva sollevato l'argomento, indicò gli anni 1942-1943 come i più favorevoli per l'Asse perché allora sarebbe stato maggiore il divario di armamento tra Germania e Gran Bretagna. Mussolini convenne che le Potenze d eli'Asse avevano bisogno «di due o tre anni» per affrontare un conflitto nelle condizioni migliori. A questo proposito, Goring sottolineò, precisando che questa era anche l'opinione del Fiihrer, che in caso di conflitto, Francia e Gran Bretagna avrebbero sicuramente fatto blocco e Mussolini, su domanda del Maresciallo, si dichiarò della stessa opinione.

In connessione con l'evoluzione subita dai rapporti tedesco-polacchi, Goring prospettò l'eventualità di un riavvicinamento all'Unione Sovietica. L'idea fu approvata «molto calorosamente» da Mussolini, il quale affermò che, a suo parere, se il Giappone non avesse sollevato obiezioni, quel riavvicinamento si sarebbe potuto realizzare con relativa facilità con l'obiettivo di indurre Mosca a lasciar cadere le offerte di alleanza delle Potenze occidentali per assumere una posizione di neutralità.

Sulle impressioni lasciate a Roma dai contatti avuti con Goring, vi è nel Diario di Ciano questa annotazione (sotto la data del 16 aprile): «Per quanto egli [Goring] parli molto di guerra e la prepari con molta attenzione, pure mi sembra che non respinga affatto le prospettive di pace, almeno per qualche anno ancora. La cosa che più mi ha preoccupato nei colloqui, è stato il tono con cui ha descritto le relazioni con la Polonia: ricordava troppo singolarmente quello usato in altri tempi per l'Austria e per la Cecoslovacchia. Però si sbagliano se pensano di poter agire in modo analogo: i polacchi saranno travolti, ma non abbasseranno le armi, prima di aver duramente combattuto».

565

L'AMBASCIATORE A TOKIO, AURITI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. S.N.D. RISERVATISSIMO 2022/291 R. Tokio, 18 aprile 1939, ore 8 (perv. ore 15,30).

Pur non confidandomisi particolari, mi si dice sotto il vincolo maggiore segretezza che difficoltà sopravvenute circa formule più precise di quelle primitive. ora in discussione costà. derivano oltre che dalle preoccupazioni per non ancora risolta questione cinese e da consueta riluttanza giapponese ad impegni concreti, anche e per molto da influsso noti circoli di corte nonché residui partigiani vecchia politica.

Tali elementi hanno ampliato in questi ultimi tempi loro interferenze e intrighi cui non sono estranee pressioni e attività questa ambasciata Inghilterra specialmente dopo inizio politica Chamberlain.

Riferisco per debita informazione 1•

566

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, COLONNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 2037/77 R. e 2036/78 R. Washington, 18 aprile 1939, ore 2,10 (perv. ore 6,30 de/19).

Desidero ad ogni buon fine segnalare, sia pure nel loro parziale semplicismo, varie informazioni raccolte tra ieri e oggi in ambienti ufficiali da varie fonti bene informate.

Esclusione accenni a questioni politiche nel testo del messaggio 1 sarebbe dovuta desiderio astenersi da qualsiasi giudizio circa controversie politiche europee a cui America si reputa estranea e assolutamente incompetente di giudicare.

America si reputa invece qualificata per potenza propri mezzi produttivi e liquidi monetari a poter contribuire alla pace e alla soluzione dei problemi prevalentemente economici nel quadro della collaborazione mondiale che sono, secondo il suo giudizio, alla base delle rivendicazioni evidentemente soltanto politiche.

In questo senso il messaggio è specialmente rivolto all'Italia in cui problemi economici si differenziano da quelli germanici e possono trovare nel contributo americano un deciso avviamento alla loro soluzione.

Mi è stato detto espressamente, per esempio, che le questioni di Gibuti e di Suez e in buona parte della stessa Tunisia non solo vengono considerate con simpatia e giuste ma nel pensiero americano sono di natura nettamente economica e rientrano pertanto nell'invito del Presidente a risolverle per via di accordi.

Mi è stato assicurato che a questo governo risulta, ed è risultato nei giorni scorsi, che la Francia sarebbe più che disposta a trattare su tali questioni.

L'offerta americana di contribuire con tutti i propri mezzi economici e finanziari alla pacificazione sarebbe assolutamente sincera, concretizzabile domani anche con sacrificio, nel presupposto che l'inevitabile costo che sarebbe imposto alla economia americana da una conflagrazione, sia pure nelle sue sole conseguenze commerciali e finanziarie, sarebbe volentieri pagato dall'America anticipatamente a fondo perduto per evitare il conflitto.

Mi viene assicurato da altre parti che la politica americana, a parte l'indiretto appoggio a Francia e Inghilterra per solidarietà di fatto d'interessi almeno in certa parte, è tuttora libera da impegni e compromissioni e si svolgerà su linea autonoma.

Situazione viene giudicata ancora immatura per il ripetersi degli eventi dell'anno 1917, salvo la riforma della legge di neutralità nel senso già noto ed indicato. Reazioni ufficiose e di stampa nostra e tedesca vengono accolte con preoccupazione e sono oggetto di rammarico che appare in fondo sincero. Da alcuni mi è stato espresso dubbio che risposte a messaggio potrebbero mettere America in posizione delicata costringendo a precisare accuse di quelle finalità aggressive attribuite Roma e Berlino2 .

565 1 Il documento ha il visto di Musso lini.

566 1 Riferimento al messaggio inviato il 15 aprile dal Presidente Roosevelt a Hitler e a Mussolini. Vedi D. 562, nota l.

567

IL CAPO DI GABINETTO, AN FUSO, AL MINISTRO A TIRANA, JACOMONI

T. PER CORRIERE 6567 P.R. Roma. 18 aprile 1939.

Dalle segnalazioni delle RR. Rappresentanze nei Paesi musulmani risulta che, artificialmente suscitata dalle Autorità francesi, va sviluppandosi in detti Paesi una campagna antitaliana diretta a dimostrare che l'Italia ha violato l'indipendenza di uno Stato prevalentemente musulmano quale l'Albania1•

Questo Ministero ha già provveduto ad impartire alle dette RR. Rappresentanze opportuni elementi di contro propaganda, comunicando loro fra l'altro i telegrammi di adesione inviati al R. Governo da notabili albanesi musulmani.

Prego fornire ogni utile elemento e suggerimento in proposito. Inoltre, prego esaminare se non converrebbe provocare una qualche dichiarazione opportunamente redatta emanante da Autorità religiose albanesi, dichiarazione che potrebbe fra l'altro mettere in luce in modo particolare i seguenti concetti:

l) la politica filo-musulmana da tempo voluta dal Duce è la migliore garanzia per i musulmani albanesi, che sono sicuri del pieno rispetto della loro religione, tradizioni e costumi;

2) l'Italia è venuta in Albania invocata da tutte le popolazioni albanesi ed in particolare dai musulmani albanesi; 3) la popolazione musulmana albanese ha costantemente trovato da parte del Governo Fascista efficace assistenza;

4) l'Albania, Paese in maggioranza musulmana, ora strettamente associata all'Italia, costituirà d'ora innanzi nuovo elemento e ragione di collaborazione e di amicizia fra l'Italia ed il mondo musulmano.

Prego riferire con la maggiore possibile sollecitudine.

566 2 Il documento fu inviato in visione a Mussolini.

567 1 In proposito si vedano i DD. 524 e 525 e il D. 515, nota 2. Ulteriori segnalazioni di agitazioni antitaliane in conseguenza dell'azione in Albania erano inviate dai consolati a Damasco (T. 1962/13 R. e telespresso 8281142 del15 aprile), Gerusalemme (telespresso 1941/479 dell5 aprile) e Tunisi (telespresso 9033/2191 del 18 aprile) che rilevavano un intensificarsi dell'ostilità verso l'Italia da parte della popolazione musulmana con pesanti conseguenze sul piano locale, specie in Tunisia dove -riferiva il console Salimbani -le Autorità francesi approfittavano della situazione per seguire una linea chiaramente persecutoria nei riguardi degli italiani. «L'animosità che da qualche giorno l'elemento arabo manifesta contro gli italiani-notava il console-è il frutto di un'attiva campagna di propaganda che l'Autorità francese fa svolgere nei principali centri e nelle campagne, speculando sui recenti avvenimenti albanesi presentati in forma menzognera e fantastica come una minaccia del Fascismo verso il mondo islamico. Tale propaganda viene agevolata dal fatto che le Autorità francesi esercitano il più completo controllo sulla stampa araba e dall'isolamento in cui esse cercano tenere le masse indigene da ogni contatto con gli stranieri».

568

IL MINISTRO A BUCAREST, GHIGI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 2049/019 R. Bucarest, 18 aprile 1939 (perv. il 19).

Il ministro degli Esteri di Romania è partito ieri per Berlino non senza gravi preoccupazioni per l'accoglienza che gli sarà riservata nella capitale del Reich.

Non è infatti -a quanto ritengo -sfuggito al signor Gafencu che vi sono, nelle sfere tedesche che si occupano delle relazioni con la Romania, due correnti in contrasto fra loro. La prima di queste correnti che fa, almeno localmente, capo a questo ministro di Germania, persegue tenacemente lo scopo di dare al più presto possibile e nel modo più ampio possibile applicazione al trattato economico romeno-tedesco1. Questa corrente si rende infatti perfettamente conto che l'integrale applicazione del trattato in questione significa, a scadenza non troppo lontana, un pressoché totale assorbimento economico e politico della Romania nell'orbita del Reich. Essa è pertanto favorevole ad una collaborazione intima con il Re e con l'attuale regime, contraria ad ogni perturbamento interno della Romania e ad ogni minaccia esterna d'ordine territoriale, quindi alle rivendicazioni ungheresi, relativamente indulgente aijlirt romeni con la Francia e Inghilterra, in quanto non li considera troppo pericolosi e, se

mai, lievemente più preoccupata delle tendenze filo-italiane di recente manifestate in questo Paese.

L'altra corrente, che a quanto sembra, è sostenuta in Romania ed in Germania da esponenti del partito nazista, non ha invece dimenticato la repressione della Guardia di Ferro e l'uccisione di Codreanu2 , nutre disistima e peggio per il regime pseudo-totalitario del Re «Ebreo» e dei suoi collaboratori, ed ha preso -stando a quello che mi viene riferito -in mala parte l'accettazione da parte della Romania delle dichiarazioni di garanzia franco-britanniche, considerandole incompatibili col trattato tedesco-romeno.

Questa situazione complica non poco il compito del ministro degli Esteri a Berlino, dove già mi consta non essere riuscita soverchiamente gradita la circostanza che egli continui il suo viaggio a Londra e a Parigi, sia pure per concluderlo a Roma.

Intanto, forse per facilitare il compito di Gafencu e per mascherare in qualche modo i sentimenti della maggioranza di questa classe dirigente, tutt'altro che favorevoli al Reich, il governo romeno ha dato istruzioni alla stampa di mantenere, quanto meno in questi giorni, atteggiamento amichevole verso la Germania e favorevole ad intese col governo di Berlino.

568 1 Vedi D. 378, nota I.

569

IL MINISTRO A BUCAREST, GHIGI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 2052/020 R. Bucarest, 18 aprile 1939 (perv. i/19).

Come ho riferito a V.E. 1 , gli esponenti del governo romeno cercano, almeno di fronte alla Germania e all'Italia, di minimizzare l'importanza e la portata delle dichiarazioni di garanzia franco-britanniche. Gli argomenti che tanto il ministro degli Esteri, portavoce ufficiale del Sovrano, quanto il ministro di Corte, che come è noto è la persona più vicina al Re, hanno svolto con il mio collega di Germania e con me, si possono così riassumere:

«Le dichiarazioni di garanzia non mutano l'atteggiamento della Romania, né determinato una maggiore attività di questa nei confronti delle grandi Potenze democratiche. Se tale fosse stata l'intenzione del governo romeno, esso avrebbe aderito ad un patto bilaterale che gli veniva insistentemente proposto.

La Romania desidera mantenersi equidistante fra l'Asse Roma-Berlino e l'intesa Londra-Parigi. Se Germania e Italia faranno la guerra, la Romania non sarà con loro. Se Francia e Inghilterra faranno la guerra, la Romania non sarà con loro. Se invece la Romania sarà attaccata da qualcuna delle Potenze vicine, si difenderà con le armi, ed è grata a chi le promette, in tale evenienza, il suo appoggio.

569 1 Vedi D. 549, nota 2.

La Romania ha accolto di buon grado le dichiarazioni di garanzia franco-britanniche: assai più di buon grado accoglierebbe analoghe garanzie da parte delle Potenze dell'Asse, in quanto tali garanzie, avrebbero ben altra portata e ben altro valore».

Così, in un contrasto giornaliero di idee, di sentimenti e di interessi, la Romania continua la rotta difficile e incerta della sua politica «equidistante e plurilaterale», determinata in buona parte dalla sua posizione geografica, dalla sua potenza economica e dalla sua debolezza militare, dal troppo fortunato ingrandimento in seguito alla Grande Guerra e dalle rivendicazioni dei Paesi vicini ma complicata da esitazioni e reazioni, da duplicità e timori, dal temperamento della classe dirigente e dal carattere oscillante e ad un tempo impulsivo del Re.

568 2 Vedi serie ottava, vol. X, D. 490.

570

L'AMBASCIATORE A MOSCA, ROSSO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. RISERVATO PER CORRIERE 2124/641 R. Mosca, 18 aprile 1939 (perv. il 24).

Questo Ambasciatore di Turchia ha fatto ad un collega-che me le ha ripetute delle confidenze circa il recente viaggio del ministro degli Esteri romeno ad Istanbul ed i di lui colloqui col ministro degli Affari Esteri turco 1•

Pur trattandosi di materia estranea al campo di mia diretta osservazione, riferisco a mia volta tali confidenze a V.E. per quel che possano valere, e più che altro come elemento di raffronto con le notizie fomite sullo stesso argomento dal Regio Ambasciatore ad Ankara o dal Regio Ministro a Bucarest.

Secondo le informazioni dell'Ambasciatore Apaydin (il quale aveva ricevuto in proposito un ampio resoconto telegrafico dal suo Ministero), l'incontro fra Gafencu e Saracoglu avrebbe avuto risultati pochissimo soddisfacenti, che si potrebbero anzi dire nettamente negativi. Il comunicato ufficiale pubblicato alla fine dei colloqui avrebbe cercato di coprire, sotto frasi generiche e vaghe, un effettivo contrasto di vedute e di direttive.

Gafencu avrebbe difeso a spada tratta la politica inglese delle garanzie unilaterali ed avrebbe parlato quasi come se fosse stato egli stesso incaricato di offrire alla Turchia la garanzia britannica.

Saracoglu avrebbe risposto in tono risentito e sdegnato, proclamando anzitutto l'indirizzo neutrale della politica turca, ed osservando poi che l'Inghilterra avrebbe dovuto, se mai, interpellare direttamente il governo di Ankara. Avrebbe aggiunto che la Turchia non sollecitava garanzie da nessuna Potenza e che considerava una garanzia unilaterale come offensiva e poco dignitosa, oltre che pericolosa.

Saracoglu avrebbe poi messo in guardia Gafencu contro la possibile concessione all'Inghilterra di una base navale a Costanza, perché la Turchia «intendeva rimanere libera nel Mar Nero e non desiderava affatto che vi si insediassero gli inglesi».

Saracoglu avrebbe chiesto infine a Gafencu che cosa la Romania sperava dall'appoggio dell'Inghilterra. Al che Gafencu avrebbe risposto che la garanzia inglese era stata accettata nella speranza di poter con ciò attenerne una consimile anche dalla Germania. Egli si proponeva anzi di avanzare tale domanda in occasione del suo prossimo viaggio a Berlino, e per raggiungere lo scopo era pronto a fare nuove e larghe concessioni di carattere economico.

Il governo turco-sempre secondo le confidenze dell'Ambasciatore Apaydinsarebbe rimasto «disgustato» dalla tortuosa e poco dignitosa politica di Gafencu ed avrebbe perduto ogni fiducia nel governo di Bucarest.

Aggiungo per mio conto che da parte di questa ambasciata di Turchia si mostra molta sorpresa anche per l'atteggiamento odierno della Jugoslavia, che si arriva a qualificare come una «politica di suicidio».

Per quanto riguarda il proprio Paese, l'Ambasciata stessa affetta una certa tranquillità di fronte agli odierni avvenimenti, perché essa ritiene che la via tracciatasi dall'espansionismo tedesco passi nella parte nord della penisola balcanica con direzione Mar Nero-Caucaso-Iran, non dando quindi alla Turchia serio motivo di preoccupazione2 .

570 1 Sulla visita di Gafencu a Istanbul dell'S-9 aprile si vedano i DD. 529 e 538.

571

L'AMBASCIATORE PRESSO LA SANTA SEDE, PIGNATTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. SEGRETO 1312/378. Roma, 18 aprile 1939 1•

Domenica 16 corrente, il Papa ha pronunciato, alla radio, un messaggio alla nazione spagnuola. Ne invio qui unito il testo in lingua spagnuola e la traduzione ufficiale italiana, pubblicati da l'Osservatore Romano2 .

Considero il discorso del Santo Padre pienamente soddisfacente. La stampa francese lo critica.

Da notare inoltre che il Papa, ricevendo sabato 15 le Delegazioni dell'Unione Internazionale delle Leghe Femminili d'Azione Cattolica, ha avuto un gesto di speciale considerazione per la delegazione spagnuola. Infatti, dopo aver ricevuto l'immagine di Nostra Signora del Pilar che Gli veniva offerta, il Pontefice ha con mossa spontanea baciato la bandiera della Gioventù Cattolica Femminile di Spagna la quale reca le tracce di sangue di quattro giovani uccise. in odio alla fede. in Chiesa. mentre cercavano di opporsi alla furia devastatrice dei profanatori della Casa di Dio.

L'atto mi è stato riferito da persone presenti e confermato al Consigliere della

R. Ambasciata da Monsignor Montini, Sostituto della Segreteria di Stato. L 'Osservatore Romano nel dare il resoconto dell'udienza ha tralasciato l'episodio significativo del bacio della Bandiera.

Un po' per volta il Papa appare quello che è e che vuole essere. La stampa francese, come ho detto, dà segni d'impazienza. L'Ordre ha scritto: «Che cosa succede in Vaticano? Le democrazie hanno salutato con gioia l'elezione di Pio XII, ma ora cominciano a non capire nulla del Suo atteggiamento e dei Suoi Messaggi se non proprio in favore del Fascismo, certo del loro agente spagnuolo». (Fono-bollettino Francia n. 106). L'Oeuvre scrive: «Londra sarebbe scandalizzata dell'atteggiamento di Franco e del discorso del Papa tanto più che il Cardinale Verdier sarebbe stato incaricato di riservare al Papa una residenza in Francia in caso di conflitto». Le Figaro e La Justice dimostrano la stessa perplessità nei riguardi del Papa.

li più deluso di tutti dev'essere certamente il Cardinale Verdier. L'Arcivescovo di Parigi si è fatto notare ultimamente per un'intervista accordata al giornale L 'Epoque, che, per quanto mi consta, non è stata mai smentita. li Cardinale francese, di ritorno a Parigi dopo il conclave, confidava al giornale amico alcune dichiarazioni fattegli dal Papa nella Cappella Sistina qualche minuto dopo la Sua elezione. Pio XII avrebbe detto al Porporato: «Vous savez que je Vous aime»; qualche giorno dopo il Pontefice avrebbe aggiunto: «Je Vous accorde tout ce que Vous voudrez, car j'aime passionnément la France et Paris».

Non escludo, anzi considero probabile, che Pio XII abbia fatto al Cardinale Verdier, che è stato uno dei Suoi grandi elettori, le dichiarazioni attribuitegli. Credo che debba essere giudicato più severamente l'atto dell'Arcivescovo di Parigi per avere comunicate alla stampa le confidenze fattegli dal Papa.

Ho, naturalmente, richiamato a suo tempo l'attenzione del Cardinale Segretario di Stato sulle dichiarazione dell'Arcivescovo di Parigi. Il Cardinale Maglione le conosceva e le ha commentate, testualmente, così: «qui non conoscono i francesi. bisognerà che imparino ad essere prudenti quando parlano a dei francesi».

Quanto al Papa, sono più che convinto che preparerà altre delusioni ai francesi e ai loro amici se, da parte nostra, manterremo l'atteggiamento corretto verso la Santa Sede fin qui seguito e se il Reich si presterà a comporre la grave vertenza che turba da tempo le relazioni germano-vaticane. Disgraziatamente le notizie che mi giungono in proposito sono pessime. Il Cardinale Maglione nel confermarmi ieri l'atteggiamento sempre più ostile delle Autorità del Reich e specialmente del Fiihrer, aggiungeva che il Papa è risoluto di proseguire nel Suo tentativo di pacificazione. Egli andrà se necessario fino ali 'umiliazione -così mi ha dichiarato il Segretario di Stato -perché sia chiaro che la Santa Sede avrà tutto tentato per raggiungere lo scopo3 .

570 2 Il documento ha il visto di Musso lini che sulla prima pagina ha scritto: «comunicare a Berlino». Un'altra annotazione dice: «Già fatto-2614». 571 1 Manca l 'indicazione della data di arrivo. 2 Non pubblicati. Nel suo messaggio Pio XII aveva salutato in termini vibrati la vittoria sulle forze dali 'ateismo in Spagna. Il testo del messaggio è in Relazioni Internazionali, pp. 314-315.

571 3 Il documento ha il visto di Mussolini.

572

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 2972/911. Berlino, 18 aprile 1939 (perv. il 20).

Fra le manifestazioni che si svolgeranno il 20 corrente per festeggiare il 50° compleanno del Flihrer, acquistano particolare importanza, per le loro eventuali reazioni nel campo religioso, quelle di cui si è fatta iniziatrice o a cui ha condisceso la Chiesa cattolica. Il Nunzio Apostolico 1 sarà ricevuto in udienza speciale da Hitler per porgergli gli auguri del Pontefice. (A tale proposito deve però notarsi che nel programma pubblicato da questi giornali, mentre è specificato a nome di chi le altre Delegazioni presentano gli auguri, per il Rappresentante Papale è semplicemente detto «Gratulation des Apostolischen Nuntius»). Inoltre, sempre nella giornata del 20, le campane della Chiesa suoneranno a festa e verranno recitate pubbliche preghiere per il Capo dello Stato.

Nella stampa d'oggi sono poi apparsi due articoli, già segnalati con il bollettino stampa di stamane, rispettivamente nel West-deutscher Beobachter e nella Borsen Zeitung con i quali si elogia il messaggio del Papa agli spagnoli2 per la condanna in esso contenuta del comunismo e per il giudizio da lui espresso circa l'interdipendenza fra comunismo e democrazia.

Sono tutti questi sintomi interessanti che mi propongo seguire con attenzione e che vanno posti in relazione con l'atteggiamento di grande riservatezza tenuto dalla stampa tedesca per la nomina del nuovo Pontefice.

Pur permanendo il contrasto ideologico fondamentale fra la dottrina nazionalsocialista e quella cattolica, tutto ciò potrebbe essere interpretato quale un primo cauto tentativo per giungere ad un miglioramento di atmosfera. E che questo possa forse essere un momento opportuno per raggiungere un tal fine potrebbe anche trovare conferma nel fatto che il Nazionalsocialismo, in questo momento di grave tensione internazionale in cui un certo qual senso di malessere comincia a serpeggiare nel Paese, ha forse per la prima volta bisogno di avere la Chiesa con sé e non contro di sé.

572 1 Cesare Orsenigo. 2 Vedi D. 571, nota 2.

573

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. SEGRETO 2986/917. Berlino, 18 aprile 19391•

La situazione generale vista qui da Berlino non si presenta molto rassicurante. Mentre da principio in questi circoli ufficiali si affettava la più sovrana indifferenza per tutto quanto avveniva nel mondo, si vede invece che questa indifferenza copre un preoccupante e preoccupato nervosismo. Ribbentrop è in fondo assai più agitato di quanto non dimostri. Due settimane or sono diceva e ripeteva che la politica inglese di accerchiamento era un bluffpropagandistico, ma dopo appena qualche giorno dava ordine ali' Auswartiges Amt di preparare nientedimeno che una specie di ultimatum scritto per la Romania e la Grecia, da estendere anche alla Turchia2 . L'attitudine della Polonia che da principio veniva quasi con disprezzo trascurata se non addirittura ignorata, adesso viene invece assunta a motivo di mal celate inquietudini. Il messaggio di Roosevelt3 che avrebbe potuto essere facilmente fatto cadere nel ridicolo, viene invece preso al tragico. La questione giapponese viene volta a volta riesumata e lasciata cadere senza una vera consistenza e congruenza di linea.

Ma è soprattutto la situazione polacca che merita di essere segnalata alla speciale attenzione dell'E.V. La Polonia sta un po' perdendo la testa. Invece di [ringraziare] la Provvidenza che il colpo cecoslovacco [abbia automatica]mente messo le rivendicazioni tedesche [su Danzica e il] Corridoio sopra un piano di assai maggiore [difficoltà] che non per il passato, i polacchi arrivano ora ad avanzare essi stessi rivendicazioni proprie contro la Germania. Sono dei polacchi che vociano di voler Danzica tutta per essi come se fosse polacca. Lungi dal cedere il Corridoio alla Germania, vi sono nelle Università polacche degli scalmanati che chiedono l'annessione della Prussia Orientale alla Polonia. Il sentimento antitedesco in Polonia cresce di giorno in giorno. Per quanto non siano vere le voci, che pure hanno circolato, di scontri fra Forze Armate di frontiera, è però vero, e lo so da fonte sicura e non tedesca, che i maltrattamenti e gli insulti in Polonia contro gli allogeni tedeschi sono frequentissimi.

Né il governo di Varsavia si preoccupa di prendere tempestivamente iniziative diplomatiche atte a prevenire complicazioni. Dopo la risposta data alle proposte tedesche il 26 marzo4 , risposta considerata qui come negativa e senz'altro dismessa prima da Ribbentrop e poi dal Fiihrer, il Gabinetto di Varsavia non si è più fatto vivo. Lipski è più volte andato, tornato, ma tace. Evidentemente non ha istruzione alcuna per riprendere, com'egli stesso sperava, le conversazioni. Con l'appoggio-che essa crede cieco oltreché onnipotente -di Londra e di Parigi, Varsavia si è ulteriormente irrigidita. Le

2 Vedi D. 540.

3 Vedi D. 562, nota l.

4 Riferimento al memorandum del governo polacco (vedi D. 398, nota 2) di risposta al memorandum del governo tedesco del 21 marzo.

misure di mobilitazione. checché si dica in contrario. progrediscono da parte e d'altra di giorno in giorno. La partenza per la Germania di 90.000 rurali polacchi per i lavori nei campi nelle regioni confinanti tedesche è stata improvvisamente sospesa.

Usque tandem? Io non so se il Fiihrer sia disposto a [pazientare a te ]mpo indefinito. Da una parte. come è noto. egli [non vuole]. e ancora per un paio d'anni. la guerra. Dall'al[tra Ribb]entrop lo assicura in maniera assoluta, direi perentoria che, come già in settembre, anche ora, ove la Germania volesse far valere i suoi diritti sulla Polonia, non un solo soldato inglese né un solo soldato francese si muoverebbero. Ribbentrop ha in questo momento grande ascendente sul Fiihrer. l due si montano a vicenda. Come se la minaccia di accerchiamento -quell'accerchiamento che costituisce per ogni tedesco e per il Fiihrer specialmente un vero incubo -non bastasse, si aggiunge ora il messaggio Roosevelt.

Il Fiihrer vi risponderà il 28. Nulla si sa ancora di quelle che saranno per essere in proposito le sue idee definitive. Può darsi che egli -dopo alcune premesse polemiche di cui si hanno sulla stampa di questi giorni chiarissimi saggi -passi a rifare -come gli è caro -la «storia» dell'azione tedesca e dei contributi alla pace europea e mondiale ch'egli crede di aver dato. Richiamando in proposito le diverse iniziative pacifiste finora da lui prese (famoso discorso del 31 marzo 1936)5 egli -eventualmente aggiornandone qualcuna -cercherà forse di rovesciare la situazione, domandando agli altri se accettino o meno la tale e tale proposta sua, allo stesso tempo enunciando quelle che potrebbero essere le condizioni minime della Germania per un nuovo accordo europeo:

a) esclusione della Russia Sovietica,

b) intimazione ai Paesi dell'Oriente Europeo resisi più o meno direttamente strumento dell'accerchiamento anglo-francese. di dichiararsi. Questa intimazione sarebbe naturalmente diretta soprattutto alla Polonia. In questo caso, il discorso di Berlino del 28 aprile6 potrebbe costituire nei riguardi della Polonia lo stesso alto-là che il discorso di Norimberga del 13 settembre 19387 costituì già per la Cecoslovacchia.

Né si tratta di semplici congetture. lo so che il Fiihrer-punto nel suo amor proprio e disilluso nel vedere la Polonia frustrare quella amicizia che egli ha sempre considerata come la pietra fondamentale della sua nuova politica europea-e dall'altra parte spinto dal risentimento popolare che considererebbe debolezza e mortificazione l'arrestarsi proprio di fronte alla più santa e alla più giusta delle rivendicazioni tedesche, io so. dico. che il Fuhrer è entrato nei riguardi della Polonia in quello stato sfingeo che prelude ad ogni suo nuovo colpo. lo so che la proposta secondo la quale il Fuhrer, contro-bisogna riconoscerlo-tutta l'opinione pubblica tedesca, si contentava di un'autostrada legante la Prussia Orientale al resto del Rei c h, garantendo per 25

6 Su di esso si veda il D. 610.

7 Sic. Il discorso fu pronunciato il 12 settembre. Su di esso si veda serie ottava, vol. X, D. 4.

anni alla Polonia tutto il resto del Corridoio, io so. dico. che quella proposta o non sarà dal Fuhrer più rinnovata oppure lo sarà soltanto sotto forma ultimativa.

Io prego V.E. di non domandarmi l'origine di queste mie informazioni. Ma esse mi provengono da persona che può e deve sapere. I prossimi 15 giorni saranno per la Germania di una estrema delicatezza.

Ma non per la Germania soltanto. La situazione politica in Europa è ormai così nettamente definita e così chiari i campi delle rispettive azioni e reazioni da non rendere difficile trarre, sulla base delle premesse che ho sopra sottoposto all'E.V., delle conclusioni.

Quando la Germania, subito dopo il colpo cecoslovacco, ebbe la sensazione che noi potessimo essere tentati di compiere una azione armata contro la Tunisia, si affrettò -di sua iniziativa-a farci sapere ch'essa non era pronta ad una guerra europea8 . Questo avvertimento implicava un giudizio di merito sulla possibile estensione del conflitto e la convinzione che un conflitto europeo, per qualunque ragione scoppiasse, non sarebbe rimasto limitato. Orbene, lo stesso ragionamento si può fare per la Polonia. Un mese fa no. Ora sì. Né. ripeto ancora una volta. il Flihrer vuole una guerra europea. Egli potrebbe indursi a tentare il colpo polacco nella supposizione che né Francia né Inghilterra interverrebbero. Senonché, ove la supposizione si rivelasse falsa, le conseguenze ne ricadrebbero non sulla sola Germania bensì anche sull'Italia. In queste condizioni. credo che. noi avremmo interesse e diritto a non trovarci di fronte ad un nuovo fatto compiuto ma bensì a discutere tempestivamente insieme le probabilità e gli elementi di un conflitto che. una volta scoppiato. coinvolgerebbe automaticamente anche noi.

Le preoccupazioni che io ho sentito il dovere di sottoporre più sopra a V.E. non sono basate sulle solite «voci». lo non ho mai riferito all'E.V. tutti gli infiammati «si dice» del Corpo diplomatico. Mi sono anche astenuto dal riferire fatti comunque sintomatici e cioè la partenza da Berlino di famiglie di diplomatici e soprattutto di bambini. Di queste partenze ne ho visto parecchie e non mi fanno granché impressione. Ma mi fa impressione il vedere con i miei occhi e sentire con le mie orecchie elementi tedeschi responsabili dirmi che una nuova situazione si va delineando che «richiama alla mente» quella del settembre 1938. situazione in presenza della quale tutte le possibilità sono. come allora. nuovamente aperte.

Se così stanno le cose, io reputo mio dovere domandare all'E.V. se da parte nostra non possa essere opportuno assumere l'iniziativa diplomatica necessaria a evitare di essere, nostro malgrado, sorpresi dagli avvenimenti. Oltreché domandare «ufficialmente» le intenzioni ed i programmi tedeschi sulla Polonia. io insisterei per l'incontro già progettato di V.E. con Ribbentrop.

In questi ultimi tempi ho notato in certi circoli nostri delle preoccupazioni -altrettanto giuste quanto fondate -circa la sufficienza, in caso di guerra, del valico del Brennero per il trasporto del carbone necessario alle nostre industrie di guerra e ferrovie. Aggiungo ora di più e cioè che, in caso di guerra, la Germania, preoccupata di fare funzionare per la difesa propria tutte le sue industrie compre

se quelle cecoslovacche nuovamente acquisite, assai difficilmente avrebbe del carbone da mandare ad altri, anche se questi altri fossero degli alleati. Noi avremmo quindi bisogno di avere già nel Paese delle riserve sufficienti a far fronte a qualsiasi situazione9 .

573 1 Manca l'indicazione della data di arrivo. Dal Diario di Ciano risulta che il documento fu sottoposto a Mussolini il20 aprile.

573 5 Si riferisce presumibilmente al discorso pronunciato da Hitler al Reichstag il 7 marzo 1936. Del 31 marzo è il Piano di pace del governo tedesco (presentato a Londra il giorno successivo) in cui si prevedeva, tra l'altro, la conclusione di accordi sostitutivi dei Patti di Locarno e di un Patto aereo (testo in DDT, serie C, vol. V, D. 242).

573 8 Riferimento alle dichiarazioni di Hitler all'ambasciatore Attolico nel corso del colloquio del 20 marzo, vedi D. 352.

574

L'AMBASCIATORE A PARIGI, GUARIGLIA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR.2587/1095. Parigi, 18 aprile 1939 (perv. i/21).

Con miei precedenti rapporti ebbi a riferire a V.E. sull'attività delle organizzazioni antifasciste di Francia, le quali, alimentate ed incoraggiate dagli ambienti ufficiali ed ufficiosi, si erano finora chiassosamente atteggiate a paladine dell'amicizia franco-italiana.

In quest'ultimo periodo, ha avuto luogo un ulteriore sviluppo di questa azione antifascista che fa sempre capo soprattutto alla nota Unione Popolare. Non si tratta ormai più solo di riaffermare la cosiddetta fraternità fra i due popoli, ma bensì di una vera e propria organizzazione di reclutamento militare. Si tratta di spingere gli italiani a impegnarsi a combattere contro i proprio fratelli sotto la bieca maschera della lotta ideologica contro il fascismo. Facendo eco ai recenti decreti sul servizio militare degli stranieri, i dirigenti dell'Unione Popolare Italiana sono diventati dei propri e veri agenti prezzolati del reclutamento cosiddetto volontario. Essi hanno iniziato una attiva propaganda per spingere i connazionali a dare la loro adesione e la loro assicurazione che, in caso di guerra, si arruoleranno volontari nell'esercito francese.

Funzionari dell'Unione Popolare ed elementi di base del Partito Comunista si recano, specie nei paesi della regione parigina, anche nelle case private per chiedere l'adesione degli italiani ai cosiddetti «gruppi degli amici della Francia». Questi tristi individui prendono il nome su apposite schede, le quali, secondo quanto viene riferito da fonte confidenziale attendibile, sono portate in copia negli uffici della gendarmeria e nei commissariati di polizia. Coloro che si rifiutano di aderire sarebbero senz'altro segnalati alle Autorità francesi.

A proposito di questo documento vi è nel Diario di Ciano questa annotazione sotto la data del 20 aprile: «Ho mostrato al Duce un molto grave rapporto di Attolico che denuncia come imminente l'azione tedesca contro la Polonia. Sarebbe la guerra, quindi abbiamo diritto di essere informati per tempo. Dobbiamo poterei preparare e dobbiamo preparare l'opinione pubblica ad un evento che non può arrivare di sorpresa. Ho quindi dato ordine ad ATTOLICO di accelerare il mio incontro con von Ribbentrop»

Le istruzioni all'ambasciatore Attolico furono date, a quanto sembra, per telefono. L'ambasciatore telegrafò il 24 aprile (T. s.n.d. 6806/260 P.R.) che von Ribbentrop era disposto a venire in Italia tra il 6 e 1'8 maggio, lasciando a Ciano la scelta del giorno che preferiva.

Propaganda attiva viene svolta oltre che dall'Unione Popolare, che ha ormai insediato delle sezioni formatesi in tutti i centri francesi abitati da italiani, anche dal Partito Socialista Unitario di Nenni, dal Partito Comunista e dalla Lega dei diritti dell'uomo a mezzo del presidente Campolonghi Luigi, il quale viaggia per la Francia e tiene conferenze in molte località ove l'emigrazione italiana è rilevante. l più attivi propagandisti sono: Romano Cocchi, Alessandro Bocconi, Silvio Bettini (presidente degli ex-combattenti antifascisti) e Giuseppe Di Vittorio. Si afferma che il Campolonghi ed il Cocchi siano regolarmente stipendiati dal 2ème Bureau francese.

Il Cocchi si vanta di essere il rappresentante ufficiale dell'emigrazione italiana in Francia, parla e promette mari e monti a nome degli italiani, viene ricevuto dai sindaci e, come è accaduto a Belfort alcuni giorni fa, anche dai vice-prefetti.

Tutta la stampa francese di destra e di sinistra dà con sinistra ipocrisia ampio rilievo ai vari ordini del giorno che questa triste compagine di fuoriusciti più o meno criminali emette dai vari centri di Francia e la più indegna speculazione è messa in atto sul sentimento di attaccamento al regime delle nostre collettività che qualche volta sono costrette a subire, per timore di rappresaglie, pressioni e minacce in silenzio.

Trasmetto, per opportuna conoscenza, qualche ritaglio stampa 1 concernente tali manifestazioni ed il resoconto del congresso regionale dell'Unione Popolare che ha avuto luogo a Lilla domenica scorsa, sotto la presidenza del sindaco del luogo. A tale congresso, che è stato finora il più importante e sul quale la stampa locale ha particolarmente insistito nella sua campagna di menzogne e di panzane, hanno preso parte circa 500 italiani.

È da notare che il Partito Repubblicano, il movimento Giustizia e Libertà, i gruppi anarchici dipendenti ed il Partito Socialista Massimalista, non hanno aderito all'iniziativa dell'Unione Popolare poiché vorrebbero, in caso di guerra, formare una legione composta esclusivamente da italiani, comandata da ufficiali italiani e dotata di una certa autonomia. Vorrebbero fare fra l'altro scegliere la frontiera e la Nazione contro cui combattere.

Praticamente però anche i militanti dei sopraccennati partiti si sottraggono difficilmente alla propaganda dell'Unione Popolare e sono obbligati ad iscriversi nelle liste per non attirare le ire delle Autorità locali.

In aggiunta a questa organizzazione composta di antifascisti italiani, si è formata sotto gli auspici del gruppo nazionale di francesi mobilizzabili e di alcuni parlamentari fra i quali Moutet, ex-ministro socialista, Dommange, deputato di Parigi, Le Bail, il duca d'Harcourt, un gruppo di stranieri volontari per la difesa della Nazione francese. Tale gruppo sarebbe destinato a riunire i migliori elementi stranieri per formarne dei battaglioni di volontari scelti per la difesa della Francia.

Come vedesi questo Paese non ha più ormai nessuno scrupolo nella sua frenesia di arruolamento mercenario che dovrebbe raggruppare sotto la maschera ideologica tutte le forze più o meno ostili al fascismo che possano servirle per colmare le lacune della sua deficienza demografica.

È logico quindi prevedere che in caso di una guerra contro la Francia si verificherebbe qui in proporzioni cento volte maggiori il fenomeno riscontrato recente

mente in !spagna e cioè la formazione di brigate internazionali di grande valore militare. Ed è con questa organizzazione volontaria che gli Stati Uniti darebbero alla Francia il loro primo e più efficace aiuto.

573 9 Il documento ha il visto di Mussolini.

574 1 Non pubblicato.

575

IL MINISTRO A LISBONA, MAMELI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. RISERVATO 1286/451. Lisbona, 18 aprile 1939 (perv. il 22).

Mio telegramma n. 41 in data 17 corrente1•

La sistematica campagna di voci allarmistiche segnalata nei miei successivi telegrammi era giunta sabato 15 corrente a questa notizia concordemente sparsa in tutto il Paese: le truppe italiane sono concentrate presso la frontiera portoghese (zona di Badajoz, Fuentes de Onoro) pronte ad invadere il Portogallo per realizzare d'accordo con la Spagna la «unione iberica».

Il governo portoghese, nelle mie conversazioni già segnalato con l' Ambasciatore Sampayo come in ogni altro atteggiamento, manteneva una tranquillità e una calma piena di fiducia. Tuttavia, mentre la stampa era rigorosamente controllata, non mancavano segni del suo evidente e comprensibile imbarazzo di fronte al dilagare dell'azione sistematica. L'amichevole fiducioso atteggiamento verso di noi era perciò tanto più da rilevarsi.

Domenica mattina 16 aprile, in possesso del telegramma di V.E. n. 40 in data 15 corrente2 , comunicavo al Segretario Generale del Ministero degli Affari Esteri l'informazione circa il concentramento delle nostre truppe nella zona di Alicante.

Nel tardo pomeriggio dello stesso giorno il Presidente Salazar, nel rinnovarmi l'espressione della sua riconoscenza verso il Governo Fascista, mi faceva presente che di solito egli non era propenso alle smentite ma che in questo caso la riteneva necessaria ed urgente. Mi pregava quindi di esaminare la formula di una «nota ufficiosa» (il sistema consueto del governo portoghese che non possiede agenzia ufficiale o ufficiosa) che il Segretario Generale del Ministero degli Affari Esteri mi avrebbe sottoposto, e di concordare se possibile che la nota fosse data in tempo alla stampa per essere pubblicata il mattino seguente. Il Presidente Salazar insisteva sul fatto che ritardando oltre sarebbe venuto a mancare ogni scopo.

L'ansia del Presidente Salazar è comprensibile se si pensa che dalle precise informazioni in mio possesso -certamente altrettanto ben conosciute dal Capo del governo portoghese -questa volta non agivano soltanto gli elementi di primo e secondo piano dell'offensiva britannica intensamente in atto-come ripetutamente

2 Vedi D. 559, nota l.

segnalato -in questo Paese, ma vi partecipavano con tutta l'autorità della loro posizione, e con la loro diplomatica immunità, uomini responsabili dell'Ambasciata di

S.M. Britannica in Lisbona, che non si sono peritati di diffondere, arricchire e colorire tali catastrofiche quanto false notizie. Per citare solo quelli di cui ho sicura notizia, il Consigliere della predetta Ambasciata3 , gli Addetti Navale4 e Militare\ l'Addetto Stampa. Non sono mancati solerti fiancheggiatori della legazione di Francia e ad essi si è unito l'Incaricato d'affari di Romania6 , il quale non brilla per eccessiva intelligenza ed è affetto da psicosi di guerra acuta. Non ha esitato ad ogni modo a qualcuno che gli obbiettava che si trattava di panzane a dare «la sua parola d'onore» che le truppe italiane erano concentrate alla frontiera pronte ad invadere il Portogallo!

La formula proposta, d'indubbia abilità, era altrettanto chiara ed efficace, quanto redatta in termini cortesi e detèrenti verso di noi. Sopratutto poneva le relazioni italo-portoghesi in una luce assai amichevole e particolarmente significativa in questo momento. La mia principale obiezione fu che per quanto le mie istruzioni mi lasciassero completa latitudine, io dovevo preoccuparmi che il crisma ufficiale dato all'esatta indicazione del concentramento delle nostre truppe in Spagna non si prestasse ad essere sfruttato in qualsiasi maniera. Nel concetto che la smentita riguardava strettamente la frontiera portoghese, l'altra formula fu rapidamente studiata, che, mentre salvaguarda la riserva da me formulata, ha non minore efficacia nei riguardi della smentita.

Considerata la situazione in base alle istruzioni impartitemi da V.E. ho ritenuto di dover consentire al desiderio espressomi dal Presidente Salazar.

Il testo della «nota ufficiosa» diramata alla stampa da questo Ministero degli Affari Esteri (già trasmesso con il telegramma Stefani Speciale n. 64 in data 17 corrente) è, nella traduzione italiana, il seguente:

«Il Ministro d'Italia ha comunicato al Ministero degli Affari Esteri quanto il suo Governo aveva apprezzato la calma e piena fiducia rivelata dal Governo portoghese di fronte a certi rumori correnti in Lisbona negli ultimi giorni, e che era autorizzato a dichiarare trovarsi nella zona di Alicante le forze legionarie italiane più prossime alla frontiera portoghese e che ciò poteva essere reso pubblico se giudicato conveniente.

Benché non fosse stato considerato che valesse la pena di smentire rumori inconsistenti per la loro assurdità, il Governo sente di dover corrispondere alla cortesia della spontanea dichiarazione del Governo italiano dando pubblicità al fatto surriferito».

La nota, pubblicata il 17 corrente, è stata accolta con generale sollievo e soddisfazione dalla stampa e dali' opinione pubblica. Ha nettamente stroncato una manovra pericolosa e ha segnato un insuccesso clamoroso per gli autori di essa, tanto più bruciante in quanto porta l'impronta di relazioni particolarmente amichevoli italaportoghesi.

H.D. Owen. 5 P.T. Chamberlayne.

M. Camaracescu.

Accludo alcuni ritagli di giornali portoghesi con il testo della nota7•

È da rilevare fra gli altri un notevole articolo del quotidiano clericale Novidades, non sempre a noi favorevole, che esaminando l'attuale situazione, mentre apertamente critica il messaggio Roosevelt, termina ponendo in luce l'opportunità della «nota ufficiosa» e l'amichevole cortesia del governo italiano. Tale articolo che trasmetto con separato rapporto stampa, viene attribuito alla penna dello stesso Presidente Salazar.

Vale la pena di studiare le ragioni per cui si è insistito talmente nelle false voci concernenti i nostri volontari, visto che esse non corrispondono ad uno dei tanti rumori allarmistici di questi giorni, ma devono essere considerate come uno degli elementi principali di una campagna organizzata sistematicamente, ed oggi, molto a causa della nota ufficiosa, nettamente fallita.

Da un punto di vista generale è chiaro l'interesse delle Potenze cosidette democratiche a gettare il panico anche in questo settore contro di noi, a turbare i rapporti tra la Spagna Nazionale e l'Italia da una parte ed il Portogallo dall'altra. Lo scopo attribuito alla fantastica concentrazione di nostre truppe presso la frontiera portoghese, quello cioè di realizzare «l'unione iberica», appare particolarmente velenoso a chi conosce la sensibilità portoghese ai fenomeni del cosidetto «iberismo». Paralizzare a proprio vantaggio il recente trattato luso-spagnuolo, controbilanciare la sconfitta rappresentata dalla adesione della Spagna al patto anti-comunista, trascinare mediante il panico il Portogallo fuori del suo equilibrio, ecco gli scopi generali.

Ma vi è anche uno scopo preciso. Ottenere la mobilitazione portoghese. Sappiamo che questo era uno degli scopi della sensazionale visita del ministro della Guerra britannica8 a Lisbona, oggi rimandata senza che la data ne sia stata ancora fissata. Dopo la mobilitazione polacca, le annunciate misure militari della Romania, della Grecia, della Turchia, la stampa portoghese si impadronì voracemente della mobilitazione olandese, facendo apparire la guerra certa e imminente. In piena campagna di rumori allarmistici, la settimana scorsa il R. Addetto Militare raccolse un elemento significativo. Il ministro di Olanda9 si era recato a far visita al Sottosegretario alla Guerra10 il quale è uno degli elementi notoriamente anti-inglese. Oggi sappiamo che neppure questa manovra ebbe successo.

Ma come poteva essere indotto a mobilitare il Portogallo che non è minacciato da nessuno, che ha recentemente concluso un trattato di amicizia e non aggressione con la Spagna, con cui ha la totalità delle sue frontiere terrestri? Semplicissimo: i volontari italiani alla frontiera per realizzare l'unione iberica!

Il R. Addetto Militare ha avuto una confidenziale e molto interessante conversazione (di cui trasmetto separatamente il rapporto)11 con il Sottosegretario di Stato alla Guerra. Da essa appare che come di consueto l'Inghilterra perseguiva un semplice scopo: quello commerciale non meno che quello politico. All'Inghilterra cuoce fra l'altro che Italia e Germania la battano in Portogallo nelle forniture di materiale bellico. Con la mobilitazione diretta contro gli Stati totalitari, le cose avrebbero dovuto cambiarsi.

8 Leslie Hore-Belisha.

9 J.G. Sillem.

1 °Fernando dos Santos Costa.

11 Non rintracciato.

Ho ritenuto di dover riferire estesamente gli elementi di questa manovra, perché essa è fase caratteristica dell'azione in corso anche in questo settore della Penisola Iberica. Fra l'altro aveva una importanza particolare dal punto di vista interno, visto che era precisamente diretta contro il governo Salazar. Perché è evidente che esso resiste come può affinché l'alleanza inglese non tomi ad essere asservimento, ciò che nessun governo riuscì a fare compiutamente nel passato, e ciò che nessun altro potrebbe fare nell'attuale situazione.

Senza drammatizzare in alcun modo gli avvenimenti, può essere sicuramente affermato che l'Inghilterra e la Francia hanno qui giuocato nei giorni scorsi una grossa carta e l'hanno perduta. Elementi efficacissimi se non decisivi di tale insuccesso sono stati la nostra comunicazione al governo portoghese e la «nota ufficiosa».

575 1 Vedi D. 559.

575 3 Oswald-Arhur Scott.

575 7 Non pubblicati.

576

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, AL SOTTOSEGRETARIO ALLA GUERRA, PARIANI

LETTERA SEGRETA 3061. Roma, 18 aprile 1939.

Ti ringrazio per la tua segnalazione n. 122 c.s. del 15 corrente1 , con la quale mi informi della offerta di collaborazione avanzata dali' Ammiraglio Canaris al Colonnello Tripiccione per un'azione concordata nel Vicino Oriente.

Poiché il mio Gabinetto da tempo intrattiene segretamente continui rapporti con elementi responsabili dei movimenti ai quali tu accenni, non mi sembra opportuno iniziare per il momento almeno una nuova attività che potrebbe in alcuni casi interferire sul normale svolgimento dell'azione che fa capo a questo Ministero.

577

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 2063/254 R. Berlino, 19 aprile 1939, ore 21,35 (perv. ore 23,50).

Conversazioni a Berlino di Gafencu 1• Ribbentrop ha naturalmente esordito con questione britannica2 . Gafencu ha assicurato in modo sicuro che:

2 Riferimento alla garanzia data il 13 aprile dalla Gran Bretagna (e dalla Francia) alla Romania (e alla Grecia).

l) iniziativa era stata assolutamente inglese;

2) Romania si era nettamente rifiutata accordare reciprocità;

3) non esiste alcun impegno al di là delle dichiarazioni fatte da Chamberlain alla Camera dei Comuni3 .

Senza nulla domandare alla Germania, Gafencu ha anche fatto comprendere che Romania non si sarebbe comportata diversamente di fronte ad una garanzia tedesca.

Assicurazioni di cui sopra sono qui ritenute, nelle circostanze, abbastanza soddisfacenti, nonostante che, naturalmente, non bastino a cancellare ogni sospetto di una tendenza romena verso l'altra parte della barricata.

Ribbentrop ha ben chiarito valore attribuito dalla Germania al gesto inglese. Mentre da una parte non garantisce la pace, esso non ha (Cecoslovacchia insegni) alcun effettiva portata militare. È quindi pura propaganda, intesa ad esacerbare ulteriormente l 'Europa ed a determinare una situazione politica della quale il Gabinetto Chamberlain possa vantarsi davanti propria opinione pubblica ed al mondo.

Ribbentrop ha altresì fatto capire a Gafencu desiderio tedesco che Romania non entri in nuove combinazioni del genere.

È stato parlato anche di economia e raccomandato alla Romania, sia di applicare recente trattato di commercio4 nello stesso spirito in cui è stato concluso, sia di non cercare di vendere troppe care le proprie derrate.

Gafencu ha visto anche il Fiihrer, il quale -premesso largo quadro generale della situazione europea -ha sottolineato interesse germanico ad un lungo periodo di pace.

Gafencu è uscito dalla Cancelleria convinto che Hitler non vuole che la pace.

Sembra che il Fiihrer si sia espresso in termini alquanto risentiti nei riguardi Polonia di cui ha lamentato la miopia nel trattare come ha fatto -cioè in maniera sostanzialmente negativa-le sue proposte5 . Il futuro-ha aggiunto--dirà se essa abbia fatto bene. Da parte di Gafencu nulla è stato detto circa intenzioni polacche, né nulla è trapelato dal contenuto del suo colloquio ferroviario con Beck6 .

6 Il 17 aprile, Beck si era recato a Cracovia per incontrare Gafencu che era lì di passaggio diretto a Berlino. Sul contenuto del colloquio si veda quanto lo stesso Gafencu dichiarava ad Attolico (vedi D. 579).

576 1 Vedi D. 547.

577 1 Il ministro degli Esteri romeno fu in visita a Berlino il 18-19 aprile. Sui suoi colloqui con von Ribbentrop e con Hitler si veda, da parte tedesca, DDT, vol. VI, DD. 227 e 234. Si veda inoltre il resoconto fatto da Gafencu a Lord Halifax durante la sua visita a Londra in BD, vol. V, D. 279.

577 3 Vedi D. 539. 4 Riferimento al trattato tra Germania e Romania del 23 marzo precedente (vedi D. 378, nota l). 5 Riferimento alla nota del governo polacco del 26 marzo (vedi D. 398, nota 2) di risposta alla nota del governo tedesco del21 precedente (vedi D. 398, nota 1).

578

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, COLONNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 3480/743. Washington, 19 aprile 1939 (perv. il 2 maggio).

Trasmetto il testo del discorso pronunciato dal Presidente Roosevelt alla Pan American Union il 14 corrente1 che, senza costituire una affermazione di politica nuova, dopo quanto a più riprese è stato dichiarato da un anno a questa parte, significa tuttavia un rafforzamento degli impegni di difesa anche militare di tutto il continente americano, compreso il Canada, di fronte a qualsiasi minaccia extracontinentale. Si precisa così sempre più quel concetto di solidarietà panamericana a cui gli eventi e le minacce di conflitto che agitano gli altri continenti stanno dando un contenuto sempre più netto e formale.

Sul terreno militare e politico e nel campo ideologico vogliono essere l'affermazione del modo di essere e di manifestarsi di tutta una civiltà che sarebbe caratteristica del continente americano.

Poiché nel suo discorso, il Presidente Roosevelt ha toccato lo scottante argomento della indipendenza economica dei Paesi del Sud America ed ha avanzato una offerta di aiuti, evidentemente, senza dirlo, contro la cosiddetta minaccia di penetrazione economica soprattutto da parte della Germania, è stata messa in circolazione da fonte semi-ufficiale la voce che l'aiuto che gli Stati Uniti sarebbero disposti a fornire ai Paesi sud-americani potrebbe svolgersi sulle linee degli accordi conclusi recentemente con il Brasile.

È in sostanza un chiaro invito ai Paesi sud-americani a farsi avanti e infatti notizie non controllate assicurerebbero che, come viene separatamente riferito, Paesi come il Paraguay e il Cile già progetterebbero forniture e lavori pubblici da compiere con il concorso tecnico e finanziario degli Stati Uniti.

579

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 2108/053 R. Berlino, 20 aprile 1939 (perv. il 22).

Ritorno ora da Gafencu 1 . Informazioni da lui datemi circa sue conversazioni berlinesi coincidono in generale con quelle di fonte tedesca già da me telegrafate2 . Egli ha detto di avere trovato qui completa comprensione. Per parte sua, ha assicurato che Romania ha fatto e farà ben capire a Londra e Parigi come non intenda

579 1 Allora in visita in Germania. 2 Vedi D. 577.

rinunziare ai benefici trattato commercio con Germania3 , benefici resi possibili dalla complementarità delle due economie (base sulla quale egli ha aggiunto augurarsi che anche l'Italia e la Romania possano venire ad analoghe intese). Dall'altra, ha anche assicurato, che in pieno accordo con la Polonia, la Romania non si appoggerà mai alla Russia Sovietica.

Tutto ciò, insieme alle spiegazioni date sul carattere puramente spontaneo ed unilaterale della iniziativa inglese di garanzia (vedi mie comunicazioni di ieri)4 ha, secondo Gafencu, completamente rassicurato Berlino.

Gafencu ha tuttavia potuto constatare egli stesso che punto nevralgico situazione è ora costituito da tensione rapporti germano-polacchi. Egli dice di aver cercato -Beck avendogliene fatto espressa preghiera -di chiarire qui il punto di vista polacco ma ciò senza gran risultato, il Ftihrer essendosi espresso nei riguardi della Polonia in maniera molto ferma e risentita.

Richiesto da me cosa Beck gli avesse precisamente detto nel colloquio avuto con lui in treno5 , Gafencu mi ha risposto che il suo collega polacco aveva specialmente insistito sopra i punti seguenti:

l) Polonia non vuole fare politiche di accerchiamento, né vuole partecipare a blocchi. Messa in presenza di domande tedesche esorbitanti dal quadro degli accordi del '346 , essa ha soltanto accettato una «riassicurazione». Del resto, la Polonia aveva già una alleanza con la Francia7 che era stata trovata dalla Germania perfettamente compatibile con gli accordi Hitler-Pilsudski. Beck non comprende perché lo stesso non possa essere ora per l'alleanza con l'Inghilterra, tanto più questa essendo già da prima «indirettamente» legata alla Polonia attraverso la Francia.

2) Polonia non intende deflettere da sua politica sostanzialmente antirussa.

3) Beck ha infine dichiarato che l'ultima parola non è ancora stata detta per quanto riguarda le proposte tedesche su Danzica ed il Corridoio, avendo egli nelle mani dei margini sufficienti per nuove trattative. Non ha detto quali siano questi margini, né autorizzato Gafencu a menzionare affatto questo terzo punto ai tedeschi.

Gafencu si era quindi limitato a svolgere, come propri, i punti l e 2 ma, ripeto, con assai scarso risultato specialmente per quanto riguarda il l 0 . Egli sperava, però, che Beck non si sarebbe fermato lì e mi ha aggiunto di aver parlato in questo senso a Lipski «con molta energia». Si meravigliava, anzi, che Lipski non avesse già cercato di riannodare qui le sue conversazioni.

Io ho fatto considerare a Gafencu che la Polonia aveva, con la famosa garanzia inglese, messo la Germania nella stessa situazione morale in cui era stata messa per la questione sudetica in seguito alle altrettante famose dichiarazioni anglo-francesi successive al falso annunzio di mobilitazionex. Gafencu ne ha convenuto, aggiungendo anche esplicitamente che il mondo non avrebbe compreso una guerra per Dan

Vedi D. 577. 5 Vedi D. 577, nota 6. 6 Riferimento alla Dichiarazione comune tedesco-polacca del 26 gennaio 1934. Vedi D. 27, nota 2. 7 Trattato di mutua garanzia tra Francia e Polonia del 16 ottobre 1925 (Vedi D. 476, nota 4). R Sulla crisi del maggio 1938 si veda serie ottava, vol. IX, DD. 124, 133, 139, 145, 146 e 178.

zica e che quindi bisognava impedire che la questione polono-tedesca fosse lasciata andare alla deriva, in proposito osservando, e anzi sottolineando, che non solo l'inghilterra, ma anche-dati i suoi rapporti con la Polonia -l'Italia avrebbe potuto far moltissimo per chiarificare la situazione.

Nell'accomiatarsi, Gafencu mi ha pregato di porgere i suoi omaggi a VE. lieto di aver riservato il suo viaggio a Roma pour la bonne bouche9 .

578 1 Non pubblicato. Vedi Relazioni Internazionali, pp. 320-321.

579 3 Riferimento al trattato del 23 marzo precedente. Vedi D. 378, nota 1.

580

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. S.N.D. PER CORRIERE 2110/056 R. Berlino, 20 aprile 1939 (perv. il 22).

In occasione del ricevimento per il genetliaco del Fi.ihrer ho incontrato oggi Shiratori. Gli ho chiesto quale risposta egli ed il suo collega di Berlino avessero avuto dal Giappone. Nessuna. Eppure-gli ho detto -le controproposte giapponesi sono state accettate quasi nella loro integrità. Sì -mi ha risposto -ma la grande differenza rimane nello «spirito».

I tedeschi sono seccatissimi di questo ostinato silenzio giapponese.

581

L'ADDETTO NAVALE A WASHINGTON, CUGIA, AL MINISTERO DELLA MARINA 1

FOGLIO RISERVATO 455. Washington, 20 aprile 1939 (perv. il 3 maggio).

Tra i passi effettuati in queste due ultime settimane dal Presidente Roosevelt di fronte agli sviluppi della crisi europea, l'ordine impartito alla Flotta ( 15 aprile) di interrompere la prevista ed intrapresa crociera nei porti atlantici e di muovere al

più presto verso le basi del Pacifico, confermerebbe una volta di più l'attitudine essenzialmente partigiana assunta dal governo degli Stati Uniti. Nella forma apparente, come si sforza di commentare certa stampa, il trasferimento potrebbe essere interpretato nel senso di voler alleviare una minaccia potenziale e locale diretta verso gli Stati cosidetti totalitari, corroborando immediatamente con i fatti il messaggio di «pace» indirizzato a Roma e Berlino lo stesso giorno ( 15 aprile )2 . Senonché, nella sostanza, la concentrazione della Flotta nelle basi occidentali significherebbe quale efficace sostegno la Nazione americana si prepari a concedere alla coalizione sedicente democratica. Fonti di solito ben informate, attribuiscono la mossa del signor Roosevelt ad un accordo intervenuto all'ultima ora (mattino del 15) fra l'Ammiragliato britannico e la Marina degli Stati Uniti, nella prospettiva che lo scoppio di un conflitto in Europa si profilasse incombente. Sta il fatto che su una linea collaborativa nel teatro del Pacifico, i due Stati Maggiori sin dal gennaio 1938 avevano iniziato conversazioni3 , pur condotte con estrema cautela, come consigliato dall'atteggiamento dell'opinione pubblica americana, allora palesemente avversa ad ogni sorta di legami internazionali suscettibili di infrangere la rocca dell'isolazionismo. Per quanto fosse stabilito che la Flotta al principio di giugno dovesse far ritorno alle normali stazioni della California, il carattere improvviso ed anticipato della dislocazione è indice di uno specifico schieramento, che intenderebbe conferire maggiore elasticità alle forze britanniche, ove ingaggiate in altri settori; in secondo luogo, rappresenta un larvato monito al Giappone, rivolto a vincolare la libertà d'azione di quella Flotta, qualora, approfittando della assenza in Estremo Oriente delle divisioni navali franco-britanniche, intendesse sviluppare direttive di espansione o verso la Indocina, o le Indie Olandesi o le Isole della Sonda o delle Filippine, direttive delle quali la recente occupazione delle Isole Spratly (31 marzo) potrebbe confermare il fondamentale orientamento. Ad ogni modo, la decisione presidenziale, laddove dovrebbe raffigurare un gesto senza dubbio ostile nei riguardi di quella Potenza, cade su di un 'atmosfera di assoluta distensione di rapporti tra le due Nazioni. In questi stessi giorni l'i.p. Astoria esegue una crociera di «amicizia» nei porti giapponesi\ ciò che dà luogo a reciproche manifestazioni improntate ad una cordialità che da almeno sette anni non aveva trovato una via di realizzazione. La stampa organizzata dà risalto con enfasi al nuovo tono delle relazioni nippo-americane e rileva soddisfatta che l'opinione pubblica di laggiù~ almeno sino ad ora~ non ha voluto cogliere nell'annunciato concentramento della Flotta degli Stati Uniti in Pacifico, motivi che potrebbero turbarne lo stato presente. Ma una stessa nota, della quale sfuggono le ragioni recondite, sembra aleggiare nelle correnti di propaganda nipponica in questo Paese ~sempre intense, se pur assai sottili ~, dove si appalesa lo sforzo di presentare la politica dell'Impero come assolutamente sganciata da quella della Germania.

4 Nota del documento: «Come è noto, l'i.p. Astoria ha trasportato a Yokohama, per espresso ordine del Presidente Roosevelt, le spoglie dell'ex ambasciatore Saito, deceduto a Washington il 26 febbraio u.s.».

Le recenti dichiarazioni degli elementi responsabili, le discussioni che oggidì avvengono nel Congresso, e sopratutto la montante corrente del pensiero popolare, pochi dubbi lascerebbero ancora sussistere circa l'atteggiamento che gli Stati Uniti potranno assumere in caso di conflitto europeo. Poiché, ove si volesse proiettare una conclusione alquanto probabile, extrapolando da fatti testé occorsi, si dovrebbe indurre che gli Stati Uniti considerino di offrire ai membri della coalizione amica, oltre alla sicurezza militare in Estremo Oriente, le immense risorse di materie prime e forse la vasta potenzialità domestica in fatto di armi, di munizioni e velivo

li. Esaminandola sotto questo punto di vista, alcuni osservatori vedono anzi nella politica del riarmo nazionale delinearsi quale precipuo obiettivo quello di poter armare le Nazioni cosidette democratiche, come le trascorse vendite di aeroplani alla Francia e Gran Bretagna hanno messo in luce, attitudine questa che, per aver superato la debole ostilità dell'opinione pubblica, potrà subire in avvenire notevoli perfezionamenti e sviluppi.

Per spiegare l'evoluzione delle masse in marcia da un piano prettamente ideologico su una china che discende verso posizioni più attive ed operanti, occorrerà risalire, come momento di origine, al Convegno di Monaco. Una tendenza sostanzialmente antieuropea, quantunque nella forma apparisse soltanto antitotalitaria, sedicente morale e religiosa, allignava gia allora nel clima favorevole dell'incomprensione storica e geografica e del facile luogo comune. Su questa piattaforma, una costante opera di propaganda, alla quale parteciparono gli elementi più rappresentativi del Paese, riusciva a trovare il lievito propizio per convincere i diversi strati del!' opinione pubblica che un presunto e triplice pericolo incombeva sulla Nazione, determinato dalla infiltrazione delle invise ideologie antidemocratiche nelle Repubbliche del Sud, dall'infringimento potenziale dell'edificio di Monroe ed infine dalla minaccia alle esportazioni nord-americane nei vari mercati mondiali, e sopra tutto in quelli del!' America Latina, come conseguenza dei potenziati commerci itala-germanici.

Ad irrobustire le forze della Crociata, la stampa addomesticata abilmente sfruttava le reazioni di consenso che l'artificioso orgasmo del Paese provocava all'Estero, per produrre nuove e più vaste ripercussioni ali 'interno. I discorsi pronunciati dal signor Roosevelt in susseguenti occasioni, costituiscono la cronistoria fedele delle fasi attraverso le quali il processo evolutivo del pensiero pubblico andava con successo realizzandosi. 11 messaggio di «pace» recentemente lanciato a Roma e Berlino, poiché lo rappresentava alla puritana immaginazione popolare nella figura messianica di apostolo, scompaginava.~ almeno temporaneamente-la resistenza dell'esiguo, se pur combattivo blocco isolazionista. Così oggi, all'ombra del vessillo dell'intervento <<con ogni mezzo tranne la guerra», il popolo degli Stati Uniti potrebbe apparire solidamente unanime nel ritenere le frontiere ideali della Nazione estese sino nel cuore dell'Europa e nel considerare le Forze Armate della Francia e della Gran Bretagna come gli avamposti della organizzazione difensiva del Continente americano. Manifestazioni sentimentali e che di giorno in giorno si fanno più frequenti, interferendo anche nelle relazioni private, se ricordano con spiccata analogia quanto avvenne nel 1917, sono indizio certo preoccupante della rotta su cui sembra avviarsi l'emotività popolare. Ma una simile impressione conduce d'altra parte al convincimento che, se nel prossimo avvenire le masse avranno campo di constatare che l'allarme cui oggi vengono gettate in preda, posa su basi artificiose e fallaci, anche l'incastellatura ideologica che le contiene dovrà fatalmente crollare, producendo profonde modifiche e rinsavimenti nell'interpretazione oggi confusamente unilaterale ed ostile degli eventi europei.

579 9 Sulle conversazioni di Gafencu a Berlino riferiva anche, da Varsavia, l'ambasciatore Arone. Secondo le notizie ottenute «da ottima fonte» Gafencu aveva dichiarato a von Ribbentrop: a) che la Romania non avrebbe partecipato ad alcuna coalizione anti tedesca; b) che era escluso un ritorno della Romania alla politica di Titulescu; c) che per concorde decisione dei due Paesi il trattato di garanzia tra Polonia e Romania del26 marzo 1926 restava limitato all'ipotesi di un aggressione da parte dell'Unione Sovietica (T. 2118/103 del 22 aprile. Il documento fu inviato in visione a Mussolini). Notizie analoghe erano inviate, da Bucarest, dal ministro Ghigi dopo un colloquio con il suo collega di Germania, Fabricius, il quale gli aveva confidato che, dopo le assicurazioni date da Gafencu, von Ribbentrop a sua volta aveva assicurato a Gafencu che «la Romania non aveva alcunché da temere nei riguardi delle mire revisionistiche ungheresi» (T. per corriere 2225/031 R. del 28 aprile).

581 1 Il documento è tratto dall'Archivio Centrale dello Stato, Ministero della Marina, Gabinetto.

581 2 Vedi D. 562, nota l. 3 Nota del documento: «V. rapporto n. 64 del 31 gennaio 1938 "Ripercussioni negli Stati Uniti dell'attuale situazione in Cina"».

582

NOTA DI EDIZIONE

Dal 18 al 20 aprile, il presidente del Consiglio ungherese, Teleki, e il ministro degli Esteri, Csaky, furono in visita ufficiale a Roma dove ebbero ripetuti colloqui con Mussolini e con Ciano.

Negli archivi italiani non è stata trovata documentazione di tali colloqui. Su di essi vi sono, nel Diario di Ciano, queste annotazioni:

«18 aprile-Riceviamo gli ungheresi alla stazione. Teleki fa anche al Duce una buona impressione: Csaky è quello che è: un piccolo uomo presuntuoso e, cosa preoccupante, un debole fisico e morale che vuole assumere sempre atteggiamenti eroici.

Ha luogo il primo colloquio nel pomeriggio. Niente di trascendentale. Csaky espone minuziosamente la situazione e cerca di dare alle sue parole un sapore antitedesco. Soprattutto batte sul tasto della Slovacchia: spera-meglio, s'illude-che la Germania ne possa far cortese dono a Budapest. Non riassumo più a lungo la conversazione che non mette molto conto. Il Duce l'ha descritta così: "Mancava solo un litro di vino sulla tavola!";

19 aprile -Continuano le conversazioni più o meno inutili con gli ungheresi. Csaky è sempre più prolisso ed inutile nelle sue argomentazioni. Ha la specialità di sfondare le porte aperte. "Prende una lunga rincorsa-dice Mussolini-per saltare una paglia";

20 aprile-Nel pomeriggio, terzo e, per grazia di Dio, ultimo colloquio con gli ungheresi, anzi con Csaky perché Teleki non ha quasi mai aperto bocca. La mia impressione su Csaky è sempre più negativa. Con una leggerezza senza pari oggi ha detto essere sua convinzione che Hitler è pazzo. Basa queste sue osservazioni da lui fatte sulla pupilla del Flihrer. E diceva queste assurdità con un aplomb senza pari. Speriamo che questo presuntuoso individuo non sia il Guido Schmidt del! 'Ungheria. Il Duce ha così riassunto: l) Italia e Germania vogliono alcuni anni di pace e fanno il possibile per mantenerla; 2) Ungheria fa e farà la politica dell'Asse; 3) nessuno vuole lo smembramento jugoslavo, anzi si lavorerà per il mantenimento dello statu qua. Se lo smembramento però avvenisse, gli interessi italiani in Croazia sono esclusivi; 4) nei confronti del problema slovacco l 'Ungheria adotterà un atteggiamento d 'attesa e non farà niente in contrasto con la Germania».

Da parte ungherese si veda il circostanziato resoconto di Csaky in DU, vol. IV,

D. 90.

583

L'AMBASCIATORE IN CINA, TALIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 21 00/98 R. e 2098/99 R. Shanghai, 21 aprile 19 3 9, ore 16 (perv. ore 3 del 22).

In due cordiali colloqui, generale Sugiyama, ex ministro della Guerra e comandante forze giapponesi nella Cina del Nord mi ha dichiarato e confermato:

l) sua convinzione della necessità di fare del Patto Anticomintem la base sicura della politica mondiale; 2) sua fede nella amicizia itala-giapponese cui vincoli si augurava divenissero sempre più forti e operanti; 3) la sua gioia e quella di ogni suo soldato per soluzione italiana del problema albanese.

Si dichiarò assolutamente ottimista circa situazione militare nella Cina del nord. Per mio conto, completando le di lui caute notizie con quelle da me raccolte da altre fonti e con le osservazioni del Regio Addetto Militare sui luoghi, rilevo:

l) che pur impiegando scarsissimi effettivi distribuiti su enormi distanze, il che dà impressione di povertà di mezzi, i giapponesi tengono il Paese con assoluta fermezza; 2) che la guerriglia, male rifornita, ha perduto molto del suo mordente malgrado la intensificata propaganda bolscevica; 3) che la strombazzata offensiva di aprile, falliti i primi assalti, non pare che riesca a concretare alcuna azione importante 1;

4) che nell'organizzazione politica dei territori occupati il Comando militare, solo arbitro, intende procedere senza fretta e con ogni cautela: pezzi principali nel giuoco sono sempre Wang Ching-wei e Maresciallo Wu-Pei-fu;

5) desiderio di battere militarmente la Russia è sempre vivissimo. Di ogni Comando, specialmente in Mongolia, fanno parte sceltissimi ufficiali di Stato Maggiore designati come «esperti per la Russia».

In ogni circostanza durante il mio viaggio nella Cina del Nord le Autorità Militari giapponesi hanno apertamente dimostrato massima ammirazione per Duce e Italia fascista. Mi ha sopratutto colpito profondo interesse e soddisfazione dimostrati nel modo più cordiale per l'Albania italiana, che per l'esercito giapponese, significa una Italia meglio preparata e più forte.

583 1 Circa le prospettive della situazione in Cina l'addetto navale Giorgis osservava che la superiorità navale giapponese era indiscussa ma che il grande obiettivo del Giappone e cioè il crollo del regime di Chiang Kai-shek non sembrava poter essere raggiunto in un prossimo avvenire, manu militari (Giorgis al Ministero della Marina, R. 554 del22 aprile).

584

L'AMBASCIATORE A VARSAVIA, ARONE, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. l 059/440. Varsavia, 21 aprile 19391•

È noto a codesto R. Ministero, attraverso i rapporti e telegrammi di questa Ambasciata, quale sia il punto di vista polacco riguardo ad una partecipazione sovietica al nuovo sistema difensivo escogitato dall'Inghilterra e dalla Francia.

Tale punto di vista è stato confermato in occasione delle recenti conversazioni che avrebbero avuto luogo a Mosca in questi giorni con i rappresentanti di quelle Democrazie occidentali.

In realtà si è qui convinti che un'assistenza militare sovietica non solo sia di assai dubbia efficienza pratica. data la situazione interna dell'U.R.S.S. e la disorganizzazione dell'Armata Rossa. ma debba anche ritenersi del tutto indesiderabile per i pericoli che potrebbero derivare alla Polonia.

Questi concetti sono ripresi oggi dalla stampa locale che dedica ali 'argomento considerevoli spazi. Così l'organo democratico Kurier Polski rispondendo a notizie date dalla stampa estera e secondo le quali le trattative anglo-sovietiche riguarderebbero da vicino la Polonia, nega tale informazione aggiungendo che è noto l'atteggiamento ostile di questo Paese al passaggio per il suo territorio di truppe od aeroplani sovietici.

Il quotidiano Express Poranny portavoce abituale di questi ambienti governativi scrive che l'ultima crisi europea ha permesso di fare delle constatazioni assai istruttive circa l'efficienza politica e militare dell'U.R.S.S. Infatti, alle richieste inglesi per una partecipazione sovietica contro un'eventuale aggressione in Europa, il governo di Mosca non ha risposto secondo il desiderio di Londra ma ha invece chiesto a sua volta delle garanzie alla Francia e all'Inghilterra nel caso che esso venga aggredito dal Giappone. Ciò dimostra-continua il giornale-che l'U.R.S.S. non è all'altezza del compito che l'Inghilterra le vorrebbe affidare e che l'Unione Sovietica, avendo concentrato i suoi interessi in Estremo Oriente, non può conchiudere in Europa che dei patti di non aggressione.

Non si deve inoltre dimenticare-conchiude l'articolista-che il fine ultimo di Mosca è la diffusione del comunismo e che quindi una partecipazione fortunata dei Soviet ad una guen·a europea non mancherebbe di provocare lo sgretolamento anche delle Nazioni vittoriose2 .

585.

L'AMBASCIATA DI GRAN BRETAGNA A ROMA AL MINISTERO DEGLI ESTERI

NoTA. Roma, 21 aprile 1939 1•

In the present time of crisis in world affairs His Majesty's Govemment are as determined as ever to do everything in their power to maintain peace and to seek a satisfactory settlement of difficulties without resort to war. They recognise that there are problems, some of them very difficult, that require to be sol v ed, but they are convinced that i t is possible to fin d a solution of these problems by peaceful negotiations without resort to world war which could not but be disastrous not only for those powers directly involved, but also for humanity in generai.

His Majesty's Government have publicly declared their intention to resist aggression in certain specified cases, but this does not mean that they have any desire to encircle or threaten Italy or Germany. His Majesty's Govemment have not themselves any aggressive designs against any other power, nor would they permit themselves to be made parties to any act of aggression by others. From their close association with the French Govemment, His Majesty's Govemment feel able to assure signor Mussolini that this is equally the policy ofFrance.

584 1 Manca l'indicazione della data di arrivo. 2 Il documento ha i! visto di Mussolini.

586

L'AMBASCIATA DI GRAN BRETAGNA A ROMA AL MINISTERO DEGLI ESTERI

NOTA. Roma, 21 aprile 19391•

The ltalian Govemment w ere informed of the departure of Lord Perth an d their agreement was asked for Sir Percy Loraine as his successor a considerable time ago. The Italian Govemment signified their approvai of Sir Percy Loraine's appointment on December 30th, 1938, and his credentials were signed in due form by king George on March 28th, 1939.

The future status of Albania is not yet clear to His Majesty's Govemment and they feel that they cannot be expected to take decisions on such an important matter

unti! the position has been clarified. They therefore earnestly trust that the Italian Government will not cause difficulties for His Majesty's Government in a case where i t appears to them no sacrifice of principi e is asked from the Italian Government.

His Majesty's Government could cite various precedents in 1937, when, for instance in November, the Italian Government accepted the present American Ambassador in Rome although his credentials were not made out to the King of Italy and Emperor of Abyssinia, and they earnestly trust that the Italian Government will agree that Anglo-Italian friendship deserves a similar concession after the strain to which it has been so recently exposed. They therefore desire to make a strong appeal to the Italian Government to help them in this question of credentials in the generai interests ofAnglo-Italian relations.

They ha ve no wish to enter into a complicated discussion of the le gal principi es involved. They ask the Italian Government to treat the question on broad lines and to second the efforts made by His Majesty's Government to prevent any undue weakening ofAnglo-Italian friendship, a friendship evidenced by the continued maintenance ofthe Anglo-Italian Agreement of 1938 to which his Majesty's Government believe the ltalian Government attach no less importance than they do themselves.

585 1 Come risulta da un'annotazione su una copia del documento, la nota fu consegnata da Lord Perth il 21 aprile, quando fu ricevuto in visita di congedo da Mussolini (sul relativo colloquio si veda il circostanziato resoconto dell'ambasciatore britannico in BD, vol. V, D. 242).

586 1 Su una copia del documento vi è la seguente annotazione: «Consegnato da Lord Perth il 21 aprile 939-XVII. S.E. ha scritto "Sì" sull'originale inviato al Cerimoniale». In proposito Ciano annotava sul suo Diario (sotto quella data): «È stato deciso di accettare le credenziali del suo successore senza il titolo di Re d'Albania perché il gradimento fu chiesto in precedenza».

587

L'AMBASCIATORE AD ANKARA, DE PEPPO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 2273/051 R. Ankara, 22 aprile 1939 (perv. i/2 maggio).

Riferimento mio telegramma per corriere n. 043 del 13 corrente'.

Quando Saracoglu ha parlato a Gafencu della opportunità di fare delle concessioni in Dobrugia alla Bulgaria, Gafencu ha risposto in modo vago che si potrebbe anche studiare in avvenire la possibilità di una rettifica di frontiera, ma che le frontiere non avrebbero più importanza se la Bulgaria entrasse nella famiglia balcanica in modo da costituire un solo blocco di circa settanta milioni di persone.

Immediatamente dopo il colloquio di Istanbul con Gafencu, Saracoglu ha tàtto avanzare per il tramite del suo ministro a Sofia2 un formale invito di adesione della Bulgaria ad un blocco balcanico avente scopo di difesa contro ogni eventuale aggressione. Kiosseivanov ha risposto in modo egualmente formale che egli non intende impegnare la Bulgaria in un blocco che possa comunque oggi apparire rivolto contro le Potenze dell'Asse, mentre l'entrata della Bulgaria in una qualunque combinazione balcanica è da escludersi fin quando la Bulgaria non avrà ottenuto soddisfazioni di ordine territoriale. Questa seconda parte della risposta di Kiosseivanov corrisponde

2 Ali Sevki Berker.

alle dichiarazioni da lui fatte in seno alla Commissione degli Affari Esteri e qui vistosamente riprodotte nei giornali del 21 corrente.

Può essere interessante aggiungere che questi circoli politici hanno lasciato comprendere di essere contenti della risposta negativa data da Kiosseivanov al passo fatto dalla Turchia dietro istigazione della Romania.

587 1 Vedi D. 538.

588

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 3051/932. Berlino, 22 aprile 1939 1•

Mio rapporto segreto del 19 aprile n. 2986/917 2 .

Sempre dalla solita sicura fonte apprendo che in questi ultimi giorni la situazione polacca non ha fatto progressi pericolosi ed è riguardata come relativamente meno acuta.

Mentre da una parte questa situazione di relativa stasi è determinata dalle forti resistenze che la corrente bellicista ha incontrato all'interno, dall'altra si crede che effettivamente Beck abbia intenzione di riannodare le conversazioni. Ma si ritiene pure che il «margine» di ulteriori concessioni che egli sembra possedere sia molto esiguo e non certo tale da poter essere considerato come sufficiente dal Fiihrer. Che anzi, fino a quando le cose di mantengano in questi termini è forse meglio che la Polonia non faccia passi ed approcci di sorta e ciò per non esporsi a rifiuti che peggiorerebbero ancora la situazione.

Alla relativa distensione segnalatami non può non aver contribuito la tempestiva benefica iniziativa assunta dal Duce con il suo discorso in Campidoglio3 che a parer mio non mancherà di influenzare anche il discorso Hitler del 28 aprilé.

~Vedi D. 573 che è del 18 aprile.

; Il 20 aprile, Mussolini aveva pronunciato, a chiusura di un incontro di lavoro preparatorio per l'Esposizione Universale di Roma del 1942, un discorso in cui aveva ripetutamente sottolineato che l'Italia non aveva intenzioni aggressive verso nessuno, come era confermato anche dal fatto che si dedicava ad un'opera di così vasta mole come l'organizzazione di un'esposizione universale. Mussolini aveva anche fatto riferimento al messaggio di Roosevelt, respingendo, perché da considerarsi condannata al fallimento, la «conferenzissima» prospettata dal Presidente americano. Il testo del discorso è in MussoLINI, Opera Omnia, vol. XXIX, pp. 265-266.

·l Il documento ha il visto di Musso lini.

588 1 Manca l'indicazione della data di arrivo. Dai «Rapporti al Duce» risulta peraltro che il documento fu sottoposto a Mussolini il 24 aprile.

589

L'AMBASCIATORE A PARIGI, GUARIGLIA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. SEGRETO 2617/1100. Parigi, 22 aprile 1939 (perv. il 28 ?).

La situazione attuale a mio giudizio è la seguente: dopo il discorso di V.E. 1 e quello del Duce2 i nervi in Francia si sono alquanto distesi. Ma quattro elementi conservano tutta la loro efficacia:

l) la pressione inglese che vuole approfittare della tensione europea per attivare la sua politica di riarmo e cercare di strappare all'opinione pubblica britannica il consenso all'adozione del servizio militare obbligatorio;

2) la stessa necessità evidente per la Francia di non permettere che il Paese si culli nell'illusione di un definitivo mutamento delle cose in senso pacifico e si abbandoni perciò di nuovo alle lotte politiche interne e si rifiuti ai gravi sacrifici materiali e morali che richiede la difesa francese. È soltanto con lo spauracchio terrificante della guerra che il governo ha potuto imporre ieri alla Francia quindici miliardi di nuove imposte, la settimana di quarantacinque ore, ecc.;

3) la fiducia perduta dopo l'operato della Germania nel riguardi della Cecoslovacchia;

4) la sensazione che in Italia l'opinione pubblica non sia completamente favorevole alla Germania e che quindi un periodo di ulteriore attesa, sotto la preoccupazione della possibilità di una guerra, possa farla evolvere ancor più verso la Francia.

Bonnet ha continuato a farmi pervenire indirette sollecitazioni a recarmi al Quai d'Orsay. Io ho continuato da parte mia a !asciarle cadere.

L'ambasciatore di Spagna3 mi ha assicurato di aver visto una nota consegnata a Daladier da uomini di affari francesi di ritorno dall'Italia (?) in cui si parlava dello stato dell'opinione pubblica italiana nel senso di cui sopra al n. 4. Ugualmente si sarebbe espresso con lui il capo di Gabinetto di questo ministro dell'Interno.

Superfluo assicurare V.E. come io, tanto all'ambasciatore di Spagna quanto alle persone specie francesi che mi è dato frequentare, assicuri che, se il governo francese crede di poter speculare su queste pretese informazioni o sui gruppi italiani antifascisti che esistono in Francia e si agitano più che mai in questo momento, andrà incontro a sicure disillusioni del genere di quelle che successivamente si è procurato in questi ultimi anni per la sua irrimediabile cortezza di vista4•

Albania da parte di Vittorio Emanuele III. Testo in Relazioni Internazionali, pp. 308-31 O. 2 Del20 aprile in Campidoglio. Vedi D. 588, nota 3. 3 José Félix de Lequerica y Erquiza. 4 Il documento ha il visto di Mussolini.

589 1 Del 15 aprile alla Camera dei Fasci e delle Corporazioni per l'assunzione della Corona di

590

L'AMBASCIATORE A MOSCA, ROSSO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR.... 1 . Mosca, 22 aprile 1939.

L'Ambasciatore dell'U.R.S.S. a Londra, Maiski, è arrivato ieri a Mosca da Helsinki, dove era giunto in volo via Stoccolma.

Sui negoziati in corso fra Litvinov e l'Ambasciatore Seeds continua a mantenersi un riserbo assoluto da entrambe le parti e le notizie che circolano in proposito non possono essere che delle pure induzioni.

Fra le voci diffuse in questi ultimi tempi vi è quella secondo la quale l'U.R.S.S., in cambio dell'assistenza militare che Inghilterra e Francia le chiedono ad Occidente, reclamerebbe un'analoga assistenza inglese e francese in Estremo Oriente.

Tale voce potrebbe, a mio avviso, essere fondata. Essa è anzitutto in armonia col concetto sovietico della sicurezza collettiva, risponde poi alla logica della situazione, giacché è naturale che l'U.R.S.S. non voglia assumere degli impegni che potrebbero eventualmente portarla ad entrare in conflitto colla Germania se non le viene assicurata una contropartita nei confronti del suo avversario potenziale ad Oriente, cioè il Giappone.

Intanto è chiaro che a Mosca si seguono con particolare attenzione i negoziati anglo-turchi, ai quali l'U.R.S.S. non può mancare di sentirsi direttamente interessata, in quanto essi mettano in gioco il problema del passaggio degli Stretti.

591

IL MINISTRO A BUCAREST, GHIGI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 2122/159 R. Bucarest, 23 aprile 1939, ore 12,40 (perv. ore 15,35).

Visite Italia presidente del Consiglio e ministro degli Affari Esteri Ungheria 1 nonché ministro degli Affari Esteri Jugoslavia2 hanno qui suscitato vivo interesse commisto peraltro a senso di preoccupazione. Si ritiene infatti in questi circoli politici che tali visite preludano intesa ungaro-jugoslava sotto l'egida Italia e probabile ulteriore riavvicinamento Jugoslavia Asse Roma-Berlino e, mentre si riconosce nuova importante affermazione politica estera fascista, si esprime timore che ciò possa determinare rafforzamento aspirazioni revisionistiche Ungheria nei riguardi questo Paese3 .

2 Vedi D. 593.

3 Preoccupazioni circa un appoggio del governo italiano alle rivendicazioni ungheresi nei confronti della Romania erano state espresse al ministro Ghigi anche dal ministro della Rea! Casa, Urdareanu, in un colloquio del giorno precedente (T. per corriere 2160/025 R. del 22 aprile).

590 1 L'originale da Mosca di questo documento non è stato rintracciato. Si pubblica qui il testo ritrasmesso dal Ministero ad alcune ambasciate e legazioni con telespresso 213832/c. del 6 maggio.

591 1 Vedi D. 582.

592

L'AMBASCIATORE AD ANKARA, DE PEPPO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 2271/053 R. Ankara, 23 aprile 1939 (perv. il 2 maggio).

Mio telegramma per corriere n. 052 del 22 corrente 1•

Da notizie assunte in questi circoli autorizzati risulta che fino ad oggi la Turchia non ha preso nessun impegno nei riguardi dell'iniziativa inglese. L'Inghilterra esercita tuttavia una tenace pressione, direttamente ed indirettamente.

Per girare la posizione avrebbe fatto anche chiedere alla Turchia se è disposta a stringere ancora più la sua alleanza ed i suoi impegni con la Grecia, così da ottenere, anche senza una esplicita adesione turca, che la Turchia rientri nella garanzia accordata alla Grecia. Avrebbe inoltre chiesto alla Turchia se è disposta a rafforzare i patti che la legano con le altre Potenze balcaniche (leggasi: Romania).

La Turchia si sarebbe finora mantenuta nella posizione già segnalata e cioè: l) non assumere altri impegni al di fuori di quelli del Patto balcanico; 2) restare neutra in un eventuale conflitto ed applicare, nel caso, la convenzione di Montreux; 3) non legarsi a priori con le Potenze occidentali o con gli Stati totalitari, ma cementare un blocco balcanico.

Vi sono tuttavia due incognite. La prima è che le conversazioni si svolgono sopratutto a Londra e nessuno qui è sicuro di ciò che fa e dice Rtistii Aras. L'altra è l'atteggiamento della Jugoslavia: questo potrebbe diventare tale da comportare una revisione di tutta la politica balcanica, ragione per cui qui si seguono col più vivo interesse ma anche con una certa apprensione l 'incontro italo-magiaro2 e le conversazioni di Venezia fra V.E. e Markovié3 .

593

NOTA DI EDIZIONE

Il 22-23 aprile, Ciano incontrò a Venezia il ministro degli Esteri jugoslavo, Cincar Markovié. Negli archivi italiani non è stata trovata documentazione su quei colloqui. Nel Diario di Ciano vi sono in proposito queste annotazioni:

2 Riferimento alla visita di Teleki e Csaky a Roma del 18-20 aprile. Vedi D. 582.

3 Nell'incontro di Venezia del22-23 aprile. Vedi D. 593.

«Ii primo colloquio è andato bene. Lo ho trovato subito ragionevole e comprensivo mentre Indelli, con un allarmismo fuori di posto, aveva fatto credere ad una eccitazione jugoslava che non c'era e che, se c'era in qualche zolla dell'opinione pubblica, non aveva affatto raggiunto gli ambienti responsabili. La nostra conversazione ha toccato gli argomenti che seguono:

Albania. Accettato il fatto compiuto. Comprese le ragioni del nostro invio di truppe. Apprezzata la decisione di non farle salire più a Nord di Durazzo-Tirana, in grandi masse. Data da parte mia assicurazione di disinteresse nel Kossovese.

Germania. Volontà di collaborazione sempre più stretta con l'Asse, senza per ora aderire al Patto Anticomintern per ragioni di politica interna, ma senza neppure respingere senz'altro la possibilità. Rifiuto di qualsiasi mediazione britannica. Formula politica della Jugoslavia: in caso di conflitto, neutralità disarmata con appoggio economico all'Italia e alla Germania. Naturalmente nel sistema del!' Asse e gravitando soprattutto su Roma.

Ungheria. Graduale miglioramento delle relazioni allo scopo di non compromettere gli obblighi esistenti verso la Romania, la cui politica Markovié ha apertamente e aspramente criticato.

Società delle Nazioni. Disinteresse progressivo.

Nel complesso, la visita ha dato risultati ottimi. Il comunicato diramato alla fine dei colloqui è molto piaciuto ai nostri giornalisti e molto dispiaciuto a quelli francobritannici. Il che vale a riprova della sua bontà.

Markovié ha fatto un'impressione simpatica a chi lo ha avvicinato: è piaciuto più lui di Stojadinovié, forse perché ha un tratto più modesto e un fisico più attraente. Fatica molto a nascondere una prepotente calvizie ed a tal fine mobilita tutti i capelli delle tempie e della nuca. Ha detto che quei capelli sono i soli richiamati jugoslavi nella crisi albanese.

Tornato a Roma, riferisco al Duce, che è molto soddisfatto. Jacomoni, in seguito a mio ordine, ha firmato l'accordo per la parità dei diritti civili e politici degli italiani e degli albanesi. La cosa è molto importante e, di fatto, vale già quanto l'annessione». Il testo del comunicato diramato alla fine dei colloqui al quale si fa qui cenno è in Relazioni Internazionali, p. 332.

Circa il valore delle assicurazioni date da Ciano a proposito del Kossovo, vi è nel suo Diario questa annotazione sotto la data del 21 aprile: «Ho un colloquio con Stylla, ex-ministro a Belgrado. Mi intrattiene soprattutto sul problema dei Cossovesi, cioè 850.000 albanesi fortissimi fisicamente, saldi moralmente, entusiasti all'idea di un'unione alla madre Patria. Pare che i serbi ne abbiano un terrore panico. Oggi non bisogna neppure lasciare immaginare che il problema attira la nostra attenzione: anzi bisogna cloroformizzare gli jugoslavi. Ma in seguito bisogna adottare una politica di vivo interessamento per il Cossovo: ciò varrà a tener vivo un problema irredentista nei Balcani che polarizzerà l'attenzione degli stessi albanesi e rappresenterà un pugnale piantato nel dorso alla Jugoslavia».

592 1 T. per corriere 2272/052 R. del 22 aprile. Riferiva che secondo quanto pubblicava il giornale Vakit di Istanbul si erano conclusi positivamente i negoziati per inserire la Turchia nel blocco degli Stati antitotalitari: la notizia, però, non era riportata da nessun altro giornale turco.

594

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. S.N.D. PER TELEFONO 2127/259 R. Berlino, 24 aprile 1939, ore 20,45.

Ho visto adesso il ministro Ribbentrop, il quale mi ha detto che gradirebbe assai di essere con cortese sollecitudine informato dall'E.V. del contenuto dei colloqui veneziani avuti con Markovié1 in modo da poteme tenere il dovuto conto nelle conversazioni successive che egli si prepara ad avere qui con lo stesso Markovié.

Sopratutto interesserebbe a Ribbentrop di sapere se e quali accenni siano fatti dal! 'E. V. e con quale risultato per quanto riguarda una eventuale adesione della Jugoslavia al Patto Anticomintern e ciò anche in relazione a precedenti sondaggi fatti, com'è noto, in questo senso dallo stesso Ribbentrop prima della partenza di Markovié da Berlino2•

Come è noto Markovié arriverà qui il giorno 263 .

595

IL MINISTRO A BUCAREST, GHIGI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 2162/026 R. Bucarest, 24 aprile 1939 (perv. il 26).

Mio telegramma per corriere n. 025 del 22 corrente 1 e mio telegramma filo

n. 159 stessa data2 .

Il comunicato conclusivo dell'incontro di Venezia fra V.E. e il ministro degli Esteri di Jugoslavia3 e la notizia del prossimo viaggio del Principe Paolo a Roma, hanno sensibilmente confermato in questi ambienti ufficiali le prime impressioni da me segnalate con i telegrammi in riferimento. È da un lato generale il riconoscimento dell'importanza del nuovo successo della politica di V.E., e mentre si attende a breve

2 Vedi D. 165. Sul contenuto del suo incontro con Cincar Markovié a Venezia, Ciano informò l'ambasciatore von Mackensen lo stesso 24 aprile (si veda DDT, vol. VI, D. 256; sul colloquio non si è trovata documentazione da parte italiana).

l Il ministro degli Esteri jugoslavo fu in visita a Berlino il 25 e il 26 aprile. Sui suoi colloqui con von Ribbentrop, con Hitler e con Goring si veda DDT, vol. VI, DD. 262, 271 e 279. Non si è trovato alcun documento in proposito inviato dall'ambasciata a Berlino o dalla legazione a Belgrado.

2 Vedi D. 591. l Del22-23 aprile, per il quale si veda il D. 593. Il testo del comunicato è in Relazioni Internazionali, p. 332.

scadenza un accordo fra Budapest e Belgrado si considera anche la Jugoslavia come ormai completamente entrata a far parte del sistema politico italiano e aderente all'Asse Roma-Berlino.

Affiora d'altro lato il timore che nella nuova situazione di cose le aspirazioni revisionistiche dell'Ungheria possano essere rafforzate a danno della Romania.

Permangono qui infatti, nei riguardi di Budapest le preoccupazioni e i sospetti ben noti, aggravati forse anche dal senso di delusione di questo governo per non essere riuscito ad ottenere quella dichiarazione ufficiale di rispetto delle frontiere che in queste ultime settimane aveva insistentemente chiesto al governo ungherese.

E mentre questi circoli politici, che fino a pochi giorni or sono prestavano alla Germania intenzioni e propositi favorevoli alle aspirazioni magiare, manifestano ora, od ostentano di manifestare -dopo la firma del trattato economico4 e la visita di Gafencu a Berlino5 -maggiore tranquillità nei riguardi del Reich, va invece oggi registrata una certa apprensione circa la possibilità che l'Ungheria, risolte le sue difficoltà con la Jugoslavia e forte dell'appoggio italiano, rivolga con più forza verso la Romania le sue rivendicazioni territoriali6 .

594 1 Riferimento all'incontro di Venezia del 22-23 aprile tra Ciano e il ministro degli Esteri jugoslavo, Cincar Markovié. Vedi D. 593.

595 1 T. per corriere 2160/025 R. del 22 aprile. Riferiva che, secondo quanto gli aveva dichiarato il ministro di Corte, Urdareanu, gli affidamenti ottenuti da Berlino avevano molto attenuato le apprensioni nutrite dall'opinione pubblica romena nei confronti della Germania, mentre si diffondeva la preoccupazione per l'appoggio che le rivendicazioni ungheresi verso la Romania trovavano nel governo italiano.

596

IL MINISTRO AD ATENE, GRAZZI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR.... 1 . Atene, 24 aprile 1939.

Ho l'onore di riferirmi al telegramma per corriere in data 4 aprile u.s. 2 , con cui codesto Ministero ha voluto cortesemente portare a mia conoscenza alcune informazioni riferite dal R. Ministro in Budapest su possibili accordi greco-britannici circa l'isola di Creta.

Codesto Ministero ha presente come, fin dal tempo del conflitto etiopico, ricorra periodicamente la voce, più o meno circostanziata e precisa, circa la imminente o già avvenuta firma tra Grecia ed Inghilterra di accordi o convenzioni intese ad assicurare alle navi britanniche l 'uso di svariati punti delle coste e delle isole greche e specialmente Creta, Corfù, Navarino, Mudros, (Lemno), ecc.

È noto anche come, all'epoca del trattato di Nyon, la Grecia ebbe a concedere alle forze navali inglesi, destinate a reprimere gli atti di «pirateria», l 'uso di alcuni suoi ancoraggi (Mudros, Skyros, Navarino) con l'espresso divieto di sbarcare perso

5 Del 18-19 aprile. Vedi DD. 577 e 579.

6 Il documento fu inviato in visione a Mussolini.

2 Ritrasmetteva il T. 1608/143 R. del 31 marzo da Budapest, con cui il ministro Vinci aveva riferito di essere stato informato da Csaky che, secondo una fonte considerata sicura, «la Grecia fin dalla crisi del settembre u.s. aveva concesso ali 'Inghilterra, in caso di guerra, il libero uso come base militare, navale ed aerea dell'isola di Creta».

naie o materiale e di stabilire comunque sbarramenti di mine, nonché difese fisse o volanti a terra.

Infine, è ugualmente notorio che quasi tutti gli anni durante le periodiche visite di forze navali inglesi in Grecia, ufficiali britannici sono stati visti circolare tranquillamente (per esempio a Navarino, Suda, Corfù) per prendere rilievi topografici, eseguire scandagli, preparare piani di ancoraggi, ecc.

Ciò premesso, mentre è certamente probabile vi siano state più volte conversazioni su tale argomento tra Inghilterra e Grecia, sembra per contro assai dubbio si sia giunti alla firma di un vero e proprio accordo.

E ciò per due principali ragioni:

a) perché la Grecia si è sempre sforzata di seguire una politica di stretta neutralità verso le due Potenze mediterranee che più la interessano, Inghilterra ed Italia, ed ha per conseguenza costantemente evitato con ogni cura qualunque atto che potesse comprometterla verso l 'una o l 'altra parte;

b) perché l'esistenza di un vero e proprio accordo del genere, sarebbe, in pratica, superflua. Intatti: da parte inglese si sa benissimo che al momento del bisogno le navi inglesi non avranno che da occupare gli ancoraggi già prescelti e accuratamente studiati fin dal tempo di pace, senza incontrare altra opposizioni che qualche platonica protesta; da parte greca si ammette come fatto ineluttabile che allo scoppio di una guerra gli ancoraggi che gli inglesi hanno specialmente tenuto d'occhio debbano essere automaticamente occupati dalle navi britanniche.

Quanto ho qui sopra fatto presente può anche ripetersi per quanto riguarda la voce, giunta al ministro ungherese degli Affari Esteri e a suo tempo riferita anche a uno dei funzionari di questa R. Legazione da questo ministro d'Ungheria3 , che attribuisce alla Grecia il consenso alla richiesta inglese di occupazione dell'isola di Creta (e le sue basi navali e aeree); essa circola da molto tempo e da parecchi è garantita sicura, specie in ambienti turchi; altre fonti da ritenersi più attendibili, atfermano invece che l'adesione è stata negata. Non sembra però esservi dubbio che gli inglesi hanno messo gli occhi addosso all'isola di Creta per il grande valore che ad essa dà la sua posizione geografica ed è da prevedere che la occuperanno in caso di necessità, sia pure con il pretesto di evitare che altri possano «toglierla alla Grecia». Durante la crisi di settembre era opinione corrente ed accettata come evento già scontato in anticipo che l'Italia avrebbe occupato Corfù e l'Inghilterra Creta, ma la Grecia sarebbe rimasta ostinatamente neutrale.

Quanto precede concorda con le informazioni in possesso di questi RR. Addetti Militare e Navale.

595 4 Riferimento al trattato tra Germania e Romania del23 marzo precedente (vedi D. 378, nota l).

596 1 L'originale da Atene di questo documento non è stato rintracciato. Si pubblica qui il testo ritrasmesso dal Ministero ad alcune ambasciate e legazioni con telespresso 214422/c. dell3 maggio.

596 3 Lajos Rudnay.

597

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. S.N.D. 2134/261 R. Berlino, 25 aprile 1939, ore 0,45 (perv. ore 3,50).

Shiratori -il quale riparte questa sera per Roma -mi ha comunicato che risposta da Tokio è arrivata ieri ma è completamente negativa.

Gabinetto giapponese mantiene le due note riserve:

l) esclusione della Francia e dell'Inghilterra ed eventualmente anche dell'America dall'orbita del trattato; 2) esclusione di ogni effettivo contributo bellico all'infuori del caso di guerra con l'U.R.S.S.

Come se non bastasse, la risposta aggiunge esplicitamente che il governo giapponese riserva in ogni caso unicamente a se stesso ogni decisione circa l'entrata in guerra e la conseguente dichiarazione da parte del Giappone.

Così Oshima come Shiratori si sono resi conto che tutto questo non va e ieri sera stessa hanno risposto domandando il proprio richiamo. Contemporaneamente, addetto militare giapponese in Italia è partito per Giappone per via aerea.

Shiratori aggiunge essere convinto che in definitiva Tokio finirà con cedere, ma ritiene prima necessarie dimissioni ministro degli Affari Esteri e ministro della Marina entrambi contrari trattato.

Ribbentropp, che ho visto prima, mi ha detto avere fatto comprendere a Oshima che, sia Germania che Italia, hanno bisogno sapere in maniera definitiva le reali intenzioni del Giappone e ciò al più presto (possibilmente prima del discorso Hitler al Reichstag). Mentre da una parte Ribbentrop ha anche accennato ai discreti sondaggi che sta facendo Russia per riprendere relazioni commerciali normali così con Berlino come con Roma. dall'altro ha aggiunto che qualora Tokio esitasse ancora Germania e Italia-pur non allontanandosi dalle linee di politica generale ormai proprie alle Potenze del triangolo -comincerebbero e mettersi d'accordo intanto tra loro mediante patto bilaterale, lasciando al Giappone possibilità di associarsi ad esso se mai più tardi.

Ribbentrop ha anzi aggiunto a me personalmente che -al caso -egli si riserva di portare con sé a Como uno schema di patto tra Germania e Italia e pregherebbe

V. E. di fare altrettanto per parte sua 1•

597 1 Il documento ha il visto di Mussolini.

598

L'AMBASCIATORE AD ANKARA, DE PEPPO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 2269/057 R. Ankara, 25 aprile 1939 (perv. il 2 maggio).

Il successo della lungimirante e dinamica politica estera fascista è qui generalmente riconosciuto, ma a denti stretti.

Tra le innumerevoli voci sparse nei giorni scorsi (si è persino parlato di uno sbarco italiano a Kusadasi-Scalanova) e l'incalzare delle notizie delle Agenzie (si distinguono per falsità quelle dell'Havas e per insinuazioni quelle della Reuter), l'opinione pubblica cui il governo ha lasciato entro certi limiti libertà di espressione, evidentemente disorientata, ha seguito con ansioso interesse ma anche con vivo senso di preoccupazione il recente convegno di Venezia1 , per il suo significato e per le sue conseguenze. Sono appunto tale interesse e tali preoccupazioni che dimostrano che la politica italiana colpisce nel segno.

Nota predominante e concorde, che corrisponde certamente a concezioni ufficiali, è il timore che la Jugoslavia, stringendo vieppiù i suoi rapporti con l'Italia e l 'Ungheria, si allontani dal patto balcanico e debba essere considerata perduta per la solidarietà balcanica. Attorno a questo timore si frammischiano e s'alternano richiami ed allarmi rivolti alla Jugoslavia, speranze che le attuali pessimistiche previsioni non si avverino.

Altro argomento nel quale qui si è tutti più o meno concordi è che l'incontro di Venezia, immediatamente successivo a quello di Roma2 , è efficace manifestazione dell'attività politica italiana tendente a rompere il cerchio che le Potenze democratiche cercano di chiudere intorno all'Asse, ed a passare all'offensiva, in un'azione di raggruppamento di Nazioni e di interessi complementari de II' Asse.

599.

L'AMBASCIATORE A MOSCA, ROSSO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 1678/698. Mosca, 25 aprile 1939 (perv. il l o maggio). Riferimento: mio telegramma odierno n. 491 .

La notizia dell'improvvisa-o per lo meno inaspettata-partenza per Ankara di questo Vice Commissario del Popolo per gli Affari Esteri, signor Potemkin, è stata conosciuta ieri sera, quando il Potemkin aveva già lasciato Mosca per Odessa. Da Odessa egli proseguirà per ferrovia attraverso la Romania e la Bulgaria aJia volta di Istanbul.

Da parte sovietica non vi è stata alcuna menzione del viaggio, e tanto meno delle ragioni che possono averlo determinato.

Alcuni miei colleghi lo spiegano col fatto che l'Ambasciatore dell'U.R.S.S. in Turchia si trova attualmente a Teheran per le cerimonie deJie nozze del Principe Ereditario dell'Iran e che molto verosimilmente il governo sovietico non ha creduto opportuno, nel momento attuale, lasciare la sua rappresentanza ad Ankara sotto la direzione di un Incaricato d'Affari.

Questa spiegazione mi pare insufficiente, perché l'invio di una personalità come Potemkin non sembrerebbe giustificata da un semplice compito di reggenza temporanea.

Sono invece incline a pensare che il Vice Commissario sia partito con l'incarico di assolvere una missione specifica, la quale a mio avviso deve essere messa in relazione coi negoziati diplomatici in corso fra Turchia e Gran Bretagna.

Si tratterà per Potemkin di discutere la possibilità di inserire l'U.R.S.S. in un eventuale patto di mutua assistenza anglo-turca? Interverrà egli, dietro richiesta di Londra, per incoraggiare il governo di Ankara a firmare un patto del genere, oppure per assicurarsi che gli interessi politici dell'U.R.S.S. non risultino minacciati da possibili concessioni all'Inghilterra per quel che riguarda il passaggio degli Stretti?

Non possedendo informazioni positive, non mi azzardo a pronunciarmi su queste diverse ipotesi. Quello che però risulta evidente dal viaggio del Vice Commissario per gli Affari Esteri è il particolare interesse che l'U.R.S.S. attribuisce in questo momento alle sue relazioni con la Turchia ed agli sviluppi della situazione politica nel Vicino Oriente.

598 1 Riferimento all'incontro Ciano-Cincar Markovié del 22-23 aprile. Vedi D. 593. 2 Riferimento alla visita di Teleki e Csaky del 18-20 aprile. Vedi D. 582.

599 1 T. 2143/49 R. del25 aprile. Riferiva che il Vice-Commissario del Popolo per gli Affari Esteri, Potemkin, era partito per Ankara: il suo viaggio sembrava doversi mettere in relazione con negoziati per una possibile adesione dell'U.R.S.S. ad un patto di assistenza tra Gran Bretagna e Turchia. Il documento fu inviato in visione a Mussolini.

600

L'AMBASCIATORE A BUENOS AIRES, PREZIOSI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI CIANO

TELESPR. 1862/835. Buenos Aires, 25 aprile 1939 (perv. il 16 maggio).

Il messaggio che il Presidente Roosevelt ha inviato ai governi d'Italia e di Germania1 ha avuto in Argentina una notevole ripercussione. Del pari, quello responsivo del Presidente Ortiz -che accludo in copia2 -ha sollevato molteplici, per quanto disparati commenti.

Non v'ha dubbio che l'Argentina ha fatto un passo in avanti verso la concezione del «Fronte unico» continentale, benché anche questa volta, come già alla Conferenza di Lima, essa abbia voluto far sentire che la sua solidarietà coll'America non vuoi significare una rottura, o anche solo un allentamento, dei rapporti che la uniscono ali 'Europa. Difatti, il signor Ortiz, pur aderendo nella sua risposta all'iniziativa di Roosevelt, ha tenuto a precisare che la Repubblica Argentina, sebbene lontana dai conflitti che dividono il mondo europeo, si considera tuttavia «legata all'Europa da vincoli d'ogni genere».

Ciò premesso, resta sempre -come ho già accennato -che l'Argentina ha fatto un passo innanzi, sia pur condizionato, verso il concetto della solidarietà panamericana. Quali le cause? Esse si assommano, in sostanza, in una sola, e che è sempre la stessa: e cioè che la politica di Buenos Aires, non essendo che il riflesso di quella generale di Londra, non si distaccherà mai, stante le note ragioni di stretta dipendenza finanziaria e commerciale, dalla politica britannica.

Difatti, se l'Argentina fu aspramente sanzioni sta, lo fu sovratutto per immedesimarsi con Londra; se in tempi più recenti, e specie a Lima, è stata riservata verso i cosidetti ideali panamericani di Washington, ciò è principalmente da ascriversi alla strenua difensiva qui esercitata dalla Gran Bretagna contro le invadenze nordamericane; e se in oggi essa si è affrettata ad aderire all'iniziativa di Roosevelt, ciò si deve al fatto che la Gran Bretagna si è questa volta completamente solidarizzata col gesto politico nordamericano contro i Paesi totalitari, pur restando invece sulla difensiva per quanto riguarda i suoi interessi in questo Paese; donde la già ricordata riserva del signor Ortiz circa i permanenti suoi legami coll'Europa.

Tutto quanto precede trova poi una diretta conferma nell'atteggiamento di sospetto e di diffidenza che questo governo ha assunto, di recente, nei rispetti dei detti Paesi totalitari e delle loro collettività in Argentina. Tale atteggiamento si è infatti qui delineato subito dopo l'occupazione tedesca della Cecoslovacchia ed il conseguente mutamento sopravvenuto nella politica di moderazione e d'intesa del signor Chamberlain; ha preso forza e consistenza a mano a mano che il Primo Ministro britannico è andato passando ali' offensiva contro gli Stati totalitari; ed è destinato a modificarsi solo se, ed in quanto, l 'atteggiamento generale britannico subirà modificazioni verso Roma e Berlino.

2 Non pubblicato.

Le osservazioni che precedono valgono anche a chiarire le condizioni cui in realtà resta subordinata la coincidenza che si intravede fra gli interessi britannici e quelli degli Stati totalitari, nella loro difesa contro i tentativi di predominio di Washington in questo Paese.

Per quanto poi riguarda il messaggio di Roosevelt è da rilevare sopratutto come questa volta non si sia verificata tra i grandi quotidiani la completa sincronizzazione che si è potuta notare in analoghe occasioni. Infatti, mentre alcuni organi hanno esaltato il messaggio rooseveltiano come un monumento di abilità diplomatica, altri non hanno esitato a definirlo un documento di ingenuità, di presunzione e di leggerezza.

Altri ancora, e sono i fogli più seri, hanno fatto severe riserve.

Il cattolico El Pluebo ha scritto: «il signor Roosevelt non possiede affatto l' autorità morale per essere ascoltato da tutto il mondo. Ed invero il suo recente atteggiamento nei confronti di alcuni Stati indipendenti di America, minacciati nella loro sovranità (come Santo Domingo), gli impediscono di atteggiarsi a paladino della democrazia; il passato suo intervento a favore della dittatura rossa spagnola, gli vietano di apparire come difensore dell'umana libertà; l'odierna sua iniziativa adottata nell'esclusivo interesse dei Paesi sedicenti democratici e che cercano l'alleanza del governo bolscevico e dispotico di Mosca, non può ispirare fiducia nella rettitudine ed imparzialità del suo gesto».

In un successivo articolo, lo stesso giornale ha osservato che, mentre Roosevelt si preoccupa di rendersi mallevadore morale della indipendenza politica, geografica ed economica delle Nazioni europee, trascura di dichiarare che il patto di non aggressione della durata di dieci anni, da lui propugnato, è applicabile anche agli Stati Uniti nei confronti delle minori Repubbliche americane.

La Prensa ha notato come la prima impressione causata dal messaggio del Presidente Roosevelt sia stata di sorpresa, tanto per il documento in sé, quanto per i termini nei quali esso è stato redatto; detto messaggio infatti contiene proposizioni che e per la loro forma e per la loro sostanza, appartengono al genere di quelle già cadute in disuso nelle comuni consuetudini diplomatiche. Il giornale stesso, poi, ha messo in particolare rilievo la parte del documento nordamericano che «vuoi mostrare al mondo come il vero nodo da sciogliere per ridare la tranquillità agli spiriti ed assicurare le basi di una pace duratura risiede nell'aprire nuove vie al commercio internazionale», intendendo con ciò fare un chiaro accenno alle anormali relazioni commerciali che oggi esistono tra la Repubblica degli Stati Uniti e quella Argentina.

Questo tema è stato ripreso da La Raz6n che lo ha svolto nei seguenti vivacissimi termini: «L'Argentina sta soffrendo da cinque anni un ingiusto trattamento nel mercato yanqui. Provvedimenti protettitivi ostacolano decisamente l'introduzione dei prodotti argentini; la convenzione sanitaria giace negli archivi del Senato di Washington; nuove aggressioni contro il commercio argentino sono state di recente organizzate n eli 'Unione; le lane sono state incluse nell'indice protezionista. Il commercio internazionale langue per una sola ragione: perché cioè, nei circoli dirigenti di Washington e di New York prevale un nazionalismo rabbioso posto al servizio di interessi regionali. Se la solidarietà panamericana appare indebolita nel campo commerciale, la colpa non è nostra».

A sua volta, l'ufficiosa Naci6n ha osservato non essere possibile «contemplare senza scetticismo le prospettive di esito che offre la plausibile e generosa iniziativa del Presidente Roosevelt».

Infine, violentemente aggressivi contro il Presidente e la Repubblica degli Stati Uniti si sono mostrati i nazionalisti ma poco diffusi Bandera Argentina e Crisol.

Ecco quanto quest'ultimo giornale ha scritto su Roosevelt, a chiusura di un vivace editoriale: «Il Nazionalismo ripudia questo patrigno che vuole infilarsi di straforo in casa nostra. Ed una volta ancora, attira l'attenzione di tutti i Paesi d'America sopra il pericolo che Roosevelt ed il suo Paese rappresentano in questo continente della pace».

600 1 Vedi D. 562, nota l.

601

L'AMBASCIATORE PRESSO LA SANTA SEDE, PIGNATTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. S.N.D. PER CORRIERE 2167/78 R. Roma, 26 aprile 1939 (perv. stesso giorno).

Il cavaliere Silj, primo segretario di questa ambasciata, ha avuto ieri una conversazione con monsignor Bemardini, nunzio a Bema, suo parente. Il cavaliere Silj mi ha riferito il colloquio nei seguenti termini.

«Monsignor Bemardini, che ho visto ieri, mi ha detto di essere stato ricevuto il giorno innanzi lungamente dal Santo Padre. Pio XII gli aveva tra l'altro confidato che uno dei suoi primi atti, dopo l'assunzione alla Tiara, era stato quello di proibire al conte dalla Torre di pubblicare sull'Osservatore Romano «articoli irritanti» o comunque a carattere polemico e questo, sia nei nostri riguardi che nei confronti della Germania.

Monsignor Bemardini mi ha confermato la ferma intenzione del Santo Padre di evitare il ripetersi di quegli attriti tra Santa Sede e R. Governo, così frequenti nell'ultimo periodo del pontificato del Suo predecessore e il cambiamento di indirizzo, in via di attuazione, dell'Azione Cattolica, dalla quale era stato allontanato il cardinale Pizzardo che egli riteneva poter annoverare, sia pure con le dovute attenuanti, tra i responsabili dei noti inconvenienti.

Il Pontefice desidererebbe anche ardentemente di poter realizzare se non un accordo in profondità, forse troppo arduo per l'acuta antitesi di principi, almeno un modus vivendi con la Germania nazista.

Monsignor Bemardini mi ha confidato, a tale proposito, che il Santo Padre aveva tenuto due lunghe sedute con i cardinali tedeschi prima che questi ripartissero da Roma e che, oltre alla solita lettera ufficiale in latino con la quale partecipava la Sua elevazione alla Cattedra di S. Pietro, aveva indirizzato al Fiihrer anche una altra lettera personale in tedesco.

Il Papa, parlando del Suo discorso di Pasqua 1 , aveva inoltre detto a monsignor Bemardini, che, allorché aveva parlato di patti non osservati, si era riferito anche a quelle violazioni fatte dagli Stati democratici a danno degli Stati totalitari.

Parlando infine del prossimo Concistoro con monsignor Bemardini, ho creduto poter capire che tra i nuovi cardinali saranno quasi certamente monsignor Borgoncini Duca, Aloisi Masella (Brasile) e Micara (Belgio)»2 .

601 1 Nel!" omelia pasquale, del 9 aprile precedente, Pio XII aveva sottolineato che «i patti solennemente sanciti e la parola data hanno perduto quella sicurezza e quel valore che sono base indispensabile della reciproca fiducia, senza la quale il tanto desiderato disarmo materiale e morale riesce di giorno in giorno meno attuale». Il testo dell'omelia è in ACTES, D. 7.

602

L'AMBASCIATORE A PARIGI, GUARIGLIA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 2205/036 R. Parigi, 26 aprile 1939 (perv. il 28).

Colloqui di Venezia 1 sono stati qui seguiti con molta attenzione e malcelato disappunto. Atteggiamento jugoslavo nella questione albanese aveva già disperso quasi tutte le illusioni che la partenza di Stojadinovié aveva suscitato in molti ambienti (se non forse in quelli veramente responsabili). Perciò incontro di V.E. con Markovié e annuncio del prossimo viaggio a Roma del Principe Paolo non hanno fatto che confermare pessimismo già esistente circa possibilità di intaccare rapporti della Jugoslavia con Italia e Germania.

Testo comunicato ufficiale2 è stato sviscerato in tutti i sensi. Si fa rilevare che non è stato concluso alcun nuovo accordo, che Jugoslavia non ha aderito finora Patto Anticomintem; se ne conclude che essa cerca resistere alla pressione esercitata da Roma e Berlino; e non manca solito accenno ai «veri» sentimenti del popolo jugoslavo, il quale sarebbe contrario all'indirizzo di politica estera impresso da Stojadinovié e seguito, seppur in modo meno appariscente, da Markovié.

Ha destato sopratutto interesse l'accenno agli imminenti negoziati tra Jugoslavia e Ungheria, nei quali si teme che Italia e Germania facciano da arbitri. Un accordo di non aggressione, che lasciasse intatte rivendicazioni ungheresi verso Romania, rappresenterebbe infatti una minaccia o almeno un mezzo di pressione energica su detta Potenza.

In sostanza si considera che colloqui Venezia costituiscono tappa importante dell'offensiva diplomatica sferrata dall'Asse in risposta alla manovra delle democrazie; offensiva che mira a trascinare Jugoslavia nell'orbita dell'Asse e a disgregare Intesa Balcanica.

601 2 Il documento fu inviato in visione a Mussolini. 602 1 Riferimento all'incontro Ciano-Cincar Markovié del 22-23 aprile precedenti. Si veda su di esso il D. 593. 2 Testo in Relazioni Internazionali, p. 332.

603

L'AMBASCIATORE A TOKIO, AURITI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. S.N.D. RISERVATISSIMO 2189/302 R. Tokio, 27 aprile 1939, ore 8,30 (perv. ore 16).

Mio telegramma n. 291 1•

Da confidente militare non si negano intrighi degli anglofili a sostegno della Gran Bretagna secondo era stato comunicato da confidente civile. Si afferma però che tali intrighi sono di importanza secondaria e che ragione fondamentale delle obiezioni del Giappone è sua limitata libertà di azione derivante da svolgimento operazioni in Cina. Sembra quindi prevalere considerazione di cui alla fine del mio telegramma n. 291.

604

L'INCARICATO D'AFFARI A BELGRADO, GUIDOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 2187/88 R. Belgrado, 27 aprile 1939, ore 14,50 (perv. ore 16).

Secondo notizie da Zagabria, l'accordo con i croati sarebbe virtualmente raggiunto.

Comunicato di imminente pubblicazione annunzierà favorevole conclusione accordo Macek Cvetkovié. Dopo di che si procederebbe alla costituzione nuovo governo che avrebbe il compito di elaborare le leggi destinate tradurre in atti i principì concordati nel corso delle trattative. Accordo prevede larga autonomia province.

603 1 Vedi D. 565.

605

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 2223/062 R. Berlino, 27 aprile 1939 (perv. il 29).

Sono qui pervenute ieri due notizie che hanno entrambe provocato un certo ritorno al pessimismo ed un rincrudimento nella situazione generale che pure aveva segnato negli ultimissimi giorni una relativa distensione:

l) l'annunzio della coscrizione obbligatoria in Inghilterra; 2) la notizia che la Turchia, sotto le pressioni combinate dell'Inghilterra e della Russia, si prepara a far causa comune con gli avversari del Reich.

Tanto l'uno che l'altro avvenimento hanno fatto qui grande impressione. La Turchia era sempre considerata come un ex-alleata. La Germania vi si sentiva legata dai ricordi della guerra e continuava a contarci e farci assegnamento. L'avere l'Inghilterra guadagnato alla propria causa proprio la Turchia, ha prodotto una profonda, amara delusione. È la porta di Oriente che si chiude. E in ciò la Germania vede un nuovo tangibile progresso della politica di accerchiamento, politica che essa, in fatto, intimamente paventa.

Contemporaneamente, l'Inghilterra annunzia l'inizio della coscrizione obbligatoria. È la mobilitazione morale dell'Inghilterra che comincia e che anzi raggiunge forme e limiti che nessuno riteneva essa fosse capace di sorpassare. E tutto questo contro chi? Contro la Germania.

Ogni premessa, quindi, di possibile amicizia fra Inghilterra e Germania è distrutta. Anche questo cagiona profonda amarezza, tanto più profonda quanto a suo tempo ardente era stato il desiderio di pervenire con l'Inghilterra ad una intesa.

La coscrizione obbligatoria significa pure che l'Inghilterra non intende più-sia pure tacitamente -riconoscere il diritto al predominio terrestre della Germania, così come questa a suo tempo, pro bono pacis, si era adattata a riconoscere il predominio dell'Inghilterra sul mare. Anche qui è l'ultima illusione che tramonta. È tutta una concezione, se non una situazione, che crolla e le premesse medesime dell'accordo navale1 a suo tempo negoziato da Ribbentrop senz'altro svaniscono.

La Germania sente quindi il bisogno di reagire. E la reazione assumerà la forma della denunzia dell'accordo navale che, salvo decisioni in contrario dell'ultima ora, il Fiihrer annunzierà forse domani stesso nel suo discorso.

Tutto questo ingenera un vago pessimismo nei circoli politici tedeschi, un pessimismo naturalmente più marcato nei circoli diplomatici2 .

606.

IL MINISTRO A BUDAPEST, VINCI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 2244/0 112 R. Budapest, 27 aprile 1939 (perv. il l o maggio). Mio telegramma n. 181 in data odierna1 .

Appena giunto a Budapest, ho chiesto udienza al ministro degli Affari Esteri col quale mi sono espresso secondo le istruzioni avute verbalmente dall'E.V. circa i risultati dell'incontro dell'E.V. con il ministro degli Affari Esteri jugoslavo2 .

Pregandomi di ringraziare vivamente l'E.V. della comunicazione, il conte Csaky mi ha detto che già da tempo, come ho avuto occasione di ritèrire alla E.V., aveva fatto sapere a Belgrado di essere disposto ad incontrare dove egli volesse il signor Cincar Markovié. Mi ha ripetuto che con la Jugoslavia egli non vedeva alcuna difficoltà e le buone disposizioni di quel governo gli erano confermate anche da Belgrado. Pur prendendo atto di quanto gli avevo detto da parte dell'E.V. circa un atteggiamento meno rigido della Jugoslavia nei riguardi dei suoi rapporti con la Romania, mi ha ripetuto quello essere sempre l'ostacolo, non essendo l'Ungheria certamente disposta, per le ragioni che sono note all'E. V. a procedere in modo analogo nei riguardi della Romania.

La stampa ungherese, che ha seguito con la maggiore soddisfazione il successo di Venezia e i suoi risultati, mantiene il più favorevole atteggiamento verso la Jugoslavia.

Questo ministro di Jugoslavia che ho pure visto oggi, mi ha confermato la proposta di Csaky di un incontro col signor Cincar Markovié cui però non era stato finora dato un seguito, «data la situazione internazionale».

605 1 Riferimento al trattato anglo-tedesco per la limitazione degli armamenti navali del 18 giugno 1935 (vedi D. 189, nota 2). 2 Il documento fu inviato in visione a Mussolini.

607

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. SEGRETO 3197/978. Berlino, 27 aprile 1939 (perv. il 29).

Appena ricevuto il telegramma odierno n. 69 del R. Consolato a Praga 1 , ho domandato al R. Addetto Militare Generale Marras di assumere subito in materia precise informazioni presso questo Ministero della Guerra. Eccone la risposta avuta:

«Lo Stato maggiore tedesco dichiara che i movimenti di truppe che possono essere stati osservati nel Protettorato sono dovuti a ritiro di reparti che rientrano nelle

primitive guarnigioni del vecchio Reich o a spostamenti di truppe per un migliore assestamento dei presidi nel Protettorato stesso.

La situazione nei riguardi della Polonia viene considerata come meno tesa rispetto ai giorni scorsi; la Polonia avrebbe cominciato a ritirare qualche reparto dalla zona del Corridoio.

Nei giorni scorsi invece, notizie di fonte polacca avevano segnalato l'afflusso nella zona di frontiera di una divisione corazzata tedesca e di numerosi piccoli drappelli di riservisti».

Per parte sua, il R. Addetto Aeronautico Generale Liotta mi riferisce quanto appresso:

«Si afferma che il Fiihrer giudichi essere questo un momento non favorevole alla soluzione di forza del problema del Corridoio polacco. Sembra però che il Fiihrer abbia ordinato la minuziosa preparazione di tutte le energie per poter tenere pronto allo stato potenziale anche questo colpo di mano.

Si afferma che la scissione della Prussia prodotta dal Corridoio è assolutamente intollerabile e che, pur tenendo la Germania diversi problemi internazionali contemporaneamente in primo piano per non scoprire troppo le proprie carte, quello del Corridoio è fondamentale.

Naturalmente la Germania non si accontenta affatto della soluzione proposta con l'annessione di Danzica e la costruzione d'un'autostrada extraterritoriale, soluzione consigliata da parte tedesca unicamente per facilitare l'inizio di trattative che, condotte poi coi già noti metodi tedeschi, avrebbero dovuto condurre molto più lontano.

Risulta con certezza che attualmente lo Stato Maggiore dell'Arma Aerea tedesca è in periodo di intensissimo lavoro condotto giorno e notte e che il Capo di Stato Maggiore e il Capoufficio Operazioni sono spesso a rapporto dal Maresciallo Goring, anche per ore intere.

Sembra però che il Filhrer speri ancora di poter al momento opportuno sfruttare il peso della perfetta preparazione militare, presentata al di là dei confini con abile opera propagandistica, per ottenere ancora una volta un successo politico e una conseguente marcia incruenta delle proprie truppe. Naturalmente a tale opera di propaganda giovano molto le notizie della stampa internazionale sugli incontri ufficiali italo-tedeschi e in particolare sugli incontri militari a cui da parte tedesca si tiene in modo eccezionale.

L'attuale aspirazione tedesca a trattative militari con l'Italia, non mantenute segrete, va giudicata sotto l'accennato attuale aspetto del problema del Corridoio polacco».

Come si vede, le due informazioni non coincidono completamente. L'informazione di fonte aeronautica anticipa i tempi e brucia le tappe. Ma, per il momento (il Generale Brauchitsch parte domani in viaggio di diporto per due settimane), io do più peso alla informazione del Ministero della Guerra.

Senonché, bisogna riconoscere che la questione polacca, da domani, e cioè con la dichiarazione di decadenza del trattato del 19342 , viene senz'altro posta agli effetti politici e diplomatici, all'ordine del giorno.

Bisogna riconoscere pure che la situazione in cui la Germania si pone con la dichiarazione di cui sopra nei confronti della Polonia, comporta da parte tedesca una assai maggiore libertà. Fino a quando il trattato polono-tedesco era in vigore, nessuna azione militare, anche solo su Danzica, era virtualmente ammissibile. Ora invece, con la constatazione che la Polonia ha, per fatto proprio, posto nel nulla il trattato togliendogli ogni valore giuridico, la posizione della Germania migliora.

Berlino incomincia col dare a Varsavia un preciso avvertimento, costituendola, per così dire, in mora. La Polonia dovrà comprendere essere suo interesse negoziare, e negoziare subito, e, ove non lo comprendesse, sarà forse cura dei suoi garanti il farglielo comprendere. Henderson mi diceva l'altro giorno che /"ultima cosa che la Gran Bretagna aveva inteso di fare con le sue garanzie era quella di scoraggiare pacifiche negoziazioni fra tutti coloro che avessero dei conti reciproci da regolare. Ed egli mi diceva questo proprio a proposito della Polonia, della cui intransigenza si mostrava già francamente preoccupato.

Per superare questa situazione senza scosse violente occorrerebbe però sempre del tempo. La Germania attenderà? Hitler disse a me stesso, ancora qualche settimana fa, ch'egli si imponeva, nelle questioni internazionali, la regola del «sapere attendere». Saprà imporsela anche in questo caso? Speriamo di sì. Comunque non credo che sarà il suo ministro degli Esteri a consigliarglielo convinto com'è che-qualunque cosa la Germania facesse ad Oriente -né Francia, né Inghilterra avrebbero tempo e voglia di intervenire. Si aggiunga che, nel caso speciale, l'impresa del Corridoio è specialmente propugnata dall'aeronautica tedesca che, auspice lo stesso Goring, sembra sinceramente convinta di poter fare il colpo -fulmineo -e quindi senza pratiche possibilità di reazioni, da sola.

Se questi elementi prevarranno, si andrà incontro all'avventura e, ciò che è peggio ancora, ci si andrà incontro senza esservici preparati né moralmente, né materialmente.

606 1 T. 2191/181 R. del 27 aprile. Riferiva di essersi espresso con Csaky secondo le istruzioni ricevute e si riservava di riferire in proposito per corriere (vedi D. 608). 2 Riferimento all'incontro di Venezia del22-23 aprile. Vedi D. 593. 607 1 T. 2171/69 R. del 27 aprile. Riferiva di avere appreso che in alcune zone della Mora via erano state prese delle misure in vista del transito di forze germaniche che si riteneva sarebbero state molto rilevanti.

607 2 Annunciata da Hitler nel suo discorso al Reichstag del 28 aprile. Vedi D. 610, nota 9.

608

IL MINISTRO A BUDAPEST, VINCI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

RAPPORTO SEGRETO 2248/705. Budapest, 27 aprile 19391•

Riferendomi al mio telegramma n. 181 del 27 aprile2 , preciso che il mio interlocutore, che si è diluito in molti particolari, ha insistito sopratutto nel dirmi, in sostanza, che ove si dovesse produrre un conflitto, come egli teme, fra Germania e Polonia, l'Ungheria non potrà prendere le armi contro la Polonia; non permetterà, adducendo proprie necessità militari, che la Germania si serva comunque delle ferrovie ungheresi per i l trasporto di truppe (ciò che sarebbe stato già richiesto); senza prendere al

2 Vedi D. 606, nota l.

riguardo l'iniziativa di entrare in argomento, ove la Germania chiedesse all'Ungheria di restare neutrale in caso di conflitto, l'Ungheria dichiarerà la sua neutralità. Mi ha aggiunto che, in caso, l'Ungheria potrà eventualmente fare la guerra, accanto alla Germania, alla alleata della Polonia, cioè alla Romania.

608 1 Manca l'indicazione della data di arrivo.

609

L'AMBASCIATORE A TOKIO, AURITI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. S.N.D. RISERVATISSIMO 2199/303 R. Tokio, 28 aprile 1939, ore 3,45 (perv. ore 10,30).

Mio telegramma n. 3021 .

Ultime notizie molto favorevoli. Pare ne avrete presto comunicazione ufficiale2 .

610

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 3223/983. Berlino, 28 aprile 1939 1•

Oggi a mezzogiorno il Cancelliere Hitler ha tenuto al Reichstag il suo annunziato discorso2 di risposta al telegramma inviatogli il 17 u.s. dal Presidente degli Stati Uniti, signor Roosevelt3 . È stata scelta un'ora meridiana anziché una notturna, onde facilitare la trasmissione ed il commento del discorso da parte dei giornalisti esteri.

2 Il documento ha il visto di Mussolini. A proposito di questo documento, vi è nel Diario di Ciano questa annotazione sotto la data del 28 aprile: «Ricevo notizie dal Giappone: sembra che adesso si decidano a firmare l'alleanza. Dico a Shiratori che comunque bisogna tàr presto a dirci il sì o il no: tra pochi giorni mi incontrerò con von Ribbentrop e dobbiamo prendere le nostre decisioni, tanto più che il lavoro diplomatico delle democrazie si è fatto molto intenso in questi ultimi giorni e che l'alleanza anglosovietica sembra ormai un fatto concreto e concluso». Di questo colloquio non si è trovata documentazione negli archivi italiani.

2 Il testo del discorso è in Relazioni Internazionali, pp. 352-362. Dei punti salienti del discorso che Hitler si apprestava a pronunciare, von Ribbentrop aveva informato Attolico che ne aveva riferito a Roma con T. 2188/270 R. del 27 aprile. A questo proposito vi è nel Diario di Ciano questa annotazione (sotto la data del 27 aprile): «Da Berlino informano che il Fiihrer nel discorso di domani denuncerà il Patto navale con l'Inghilterra nonché il Patto di amicizia con la Polonia. Ciò è molto grave. La situazione che in questi ultimi giorni aveva avuto un'innegabile schiarita, può tornare ad essere molto torbida da un'ora all'altra. Il Duce, cui ho trasmesso l'informazione alla Rocca delle Caminate, ha telefonato per avere maggiori particolari; ma anch'egli non nasconde la sua preoccupazione per la denuncia del patto con la Polonia. Quella che concerne invece il Patto con la Gran Bretagna appare molto meno allarmante».

3 Vedi D. 562, nota l.

L'attesa per tale discorso era oltremodo viva e la sala delle sedute del Reichstag, nel Kroll-Oper, assolutamente gremita. Presenti per la prima volta i deputati prescelti per rappresentare -in via provvisoria e fino al giorno di eventuali elezioni plebiscitarie -il territorio di Memel e le terre sudetiche. Nel primo banco dei Ministri si notavano, con von Ribbentrop, Hess, Frick e Goebbels, il Protettore della Boemia, von Neurath ed il Grande Ammiraglio Raeder.

Anche la tribuna del Corpo diplomatico era gremita. Ma gli Ambasciatori erano questa volta solamente, con me, quelli del Giappone, del Belgio, di Turchia e di Spagna. Notata l'assenza degli Ambasciatori di Francia. Inghilterra e Argentina, tutti attualmente presenti a Berlino e notatissima e commentata. quella d eli' Ambasciatore polacco. signor Lipski, il quale si assentava da una simile cerimonia per la prima volta in molti anni, e non aveva neanche tenuto a farsi rappresentare, come ad esempio aveva fatto lo stesso Ambasciatore d'Inghilterra, da altro membro della sua ambasciata. Presente invece l'Incaricato d'Affari degli Stati Uniti d'America.

In uno dei palchi speciali aveva preso posto il Governatore di Roma, Principe Colonna.

Il discorso ha avuto la durata esattamente di due ore e 25 minuti ed è stato pronunziato con molta vivacità e con rapidità ancora maggiore dell'ordinaria. Il Fiihrer, che ha usato questa volta sopratutto toni polemici ed ironici, suscitando più volte l'ilarità e i clamorosi consensi dei Deputati, è apparso più volte sorridente e, si può dire, compiaciuto delle sue stesse argomentazioni. In una parola, egli ha dato l'impressione di essere in ottima forma.

Il discorso, nel complesso, può dividersi in tre grandi parti:

a) esame e commenti agli avvenimenti che storicamente vanno dall'Accordo di Monaco del 29 settembre 1938 alla dichiarazione del Protettorato sulla Boemia e sulla Moravia;

b) esposizione della situazione politica internazionale della Germania, con polemica con l'Inghilterra e con la Polonia, nonché nuova affermazione delle linee basilari dell'azione germanica;

c) risposta vera e propria al telegramma del Presidente Roosevelt.

Nella prima parte non è apparsa alcuna dichiarazione che abbia il sapore di novità. Può anzi dirsi che, forse per certe debolezze di argomentazione, l'esposizione relativa agli avvenimenti cecoslovacchi può essere considerata la meno felice del discorso. Interessante soltanto la rivelazione che il Re di Romania aveva chiesto al Cancelliere una comunicazione diretta con la Germania.

La seconda parte ha contenuto invece, per il grande pubblico, due novità di grande significato; la constatazione di decadenza d eli' Accordo Navale anglo-tedesco del 19354 nonché di quello tedesco-polacco del 19345 . La cosa è particolarmente importante se si pensa che quegli accordi erano i primi ed i principali insieme conclusi dalla Germania nazionalsocialista. Dichiarando decaduti i due trattati, il Ftihrer in ambedue i casi non ha però voluto chiudere la porta per l'avvenire. E mentre, quanto

all'Inghilterra, ha ripetuto il suo convincimento personale della possibilità di una intesa fra i due grandi Paesi, quanto alla Polonia il Fiihrer ha in certo modo invitato Varsavia ad iniziare trattative allo scopo di giungere ad una nuova intesa, capace di sostituire quella ora distrutta.

In questa seconda parte del discorso sono stati nuovamente. e con forza. esaltati i legami che uniscono la Germania nazionalsocialista all'Italia fascista ed è stata nuovamente proclamata tutta l'importanza della politica dell'Asse nonché il valore. per l'avvenire del mondo. del blocco itala-tedesco-giapponese. Dichiarazioni queste che sono state accolte da nutriti applausi, rinnovatisi quando il Cancelliere ha accennato alla vittoria della Spagna nazionale, ottenuta mercé il valore dei soldati di Franco e di quello dei Volontari italiani e tedeschi.

Di particolare interesse è stato anche l'accenno alle necessità vitali per l'Italia. pienamente riconosciute e comprese dalla Germania. nei riguardi dell'Albania.

La terza parte infine, durata oltre un'ora, è stata dedicata, come ho sopra accennato, alla vera e propria risposta al telegramma del Presidente Roosevelt. In 21 punti il Cancelliere ha qui ripreso tutti gli argomenti contenuti in quel messaggio, rispondendo sia con dati di fatto sia con battute ironiche che hanno suscitato più volte il consenso dell'Assemblea. L'argomentazione si è mantenuta però nel complesso nel campo della pura polemica, senza che siano state avanzate proposte o controproposte di alcuna natura. Quanto alla iniziativa americana per una conferenza generale, Hitler si è infatti limitato sopratutto a porre in rilievo l'inutilità di tali conferenze, pur senza proclamare che la Germania è ad ogni costo decisa a non prendervi parte. Quanto, infine, alla sostanziale questione della garanzia da parte tedesca dei Paesi elencati nel telegramma, il Cancelliere ha dichiarato che il Reich non è naturalmente alieno a concederla qualora però richiesto direttamente e non a mezzo del Profeta americano così ignaro degli effettivi problemi europei.

Tutta questa polemica è stata presentata in tono, occorre dire, alquanto elevato, ed il Cancelliere non ha mai trasceso ad attacchi personali contro il Presidente Roosevelt o a frasi veramente offensive nei riguardi del popolo americano.

La felicissima perorazione infine, pronunciata con voce quasi commossa ed in tono alto, ha suscitato le calde approvazioni dell'uditorio che, secondo il solito ha, prima che la seduta venisse sciolta dal presidente Goring, cantato in coro gli inni della Patria.

In fondo, l 'odierno discorso-anch'esso, come i precedenti, di vastissima mole sopratutto per la lunghezza della polemica relativa al telegramma di Roosevelt-non contiene. se si fa eccezione della denuncia dell'Accordo navale anglo-tedesco e dell'Accordo polacco-tedesco. alcun elemento capace di giustificare l 'impazienza e il nervosismo con cui era atteso.

Può anzi dirsi che esso si sia mantenuto nel complesso unicamente in termini polemici o negativi, senza che sia stata data alcuna indicazione nei riguardi dell'azione futura della Germania. Per la Polonia, anzi, non vi è stata che l'enunciazione delle proposte di Berlino6 e delle controproposte polacche 7 che, come è noto, hanno portato ali' odierna denuncia. Nulla di preciso per l'avvenire all'infuori di un vago invito a negoziare.

7 Memorandum del governo polacco del26 marzo 1939. Vedi D. 398, nota 2.

Quanto all'Inghilterra, la denuncia del Trattato era già in certo modo attesa e scontata e quindi essa è apparsa più come un atto di doverosa per quanto amara e disillusa reazione che non un indice di una precisa azione futura.

Sarà mia cura riferire al più presto circa le impressioni suscitate in questi circoli politici dal discorso, che, nel complesso, è già apparso alla maggioranza dei diplomatici che lo hanno ascoltato, come una riaffermazione della volontà tedesca di reagire alla altrui politica di accerchiamento, ed è stato anche già definito come atto a «non chiudere. in nessun senso. completamente le porte».

Invio qui unito il discorso nella sua traduzione in lingua italiana.

Una copia del discorso, in tedesco, è stata consegnata all'Incaricato di Affari Americano a titolo di risposta al messaggio di Roosevelt. Analogamente, una parafrasi della parte riguardante l'accordo navale con l'Inghilterra è stata consegnata, sotto forma di nota, a Londra8 , mentre una parafrasi della parte riguardante il trattato con la Polonia è stata consegnata a Varsavia9 .

609 1 Vedi D. 603.

610 1 Manca l'indicazione della data di arrivo.

610 4 Trattato per la limitazione degli armamenti navali del 18 giugno 1935. Vedi D. 189,nota 2. 5 Dichiarazione Comune del 26 gennaio 1934, vedi D. 27, nota 2.

610 6 Vedi D. 398, nota l.

611

L'AMBASCIATORE A BRUXELLES, LOJACONO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR.... 1 . Bruxelles, 28 aprile 1939.

Nella dichiarazione fatta al Parlamento dal Primo Ministro Pierlot, nel presentare il suo Gabinetto bi-partito, composto di esponenti cattolici e liberali, sono da notare l'impegno preso per la continuazione della politica estera detta di «indipendenza» e la richiesta di una limitata sfera di pieni poteri da qui al 31 dicembre 1939.

Il resto delle dichiarazioni riguarda il risanamento del bilancio, la necessità di una messa a punto di vari congegni fiscali, un variopinto ritocco ad alcuni trattamenti di quiescenza e ad altri capitoli di spese fisse, ed infine un tenue accenno allo scottante problema delle due lingue, nel senso di un armonioso e parallelo sviluppo delle due culture e di un adeguato orientamento degli organi del Ministero dell 'Educazione, a ciò preposti.

Nella richiesta dei pieni poteri e nel relativo progetto di legge, vari motivi fiscali e di bilancio ricompaiono nell'intento di assicurare al governo i mezzi per una rapida ed efficace messa in applicazione; ma la facoltà di azione più notevole che il governo si propone di svolgere appare, senza dubbio, quella relativa alla preparazione di una difesa antiaerea attiva e passiva.

Attraverso questa esigenza di carattere militare riaffiora palesemente la preoccupazione della situazione internazionale e della politica estera del Paese. Poiché i voti delle

61 O8 Nota del governo tedesco al governo britannico del27 aprile 1939, testo in DDT, vol. VI, D. 277.

9 Nota del governo tedesco al governo polacco del 27 aprile 1939, testo ibid., D. 276.

Il documento ha il visto di Mussolini.

Camere hanno dato fiducia al governo ed hanno approvato il disegno di legge sui pieni poteri, è forse il caso, per la prima volta dopo quattro mesi, di considerare sopra una base minima di stabilità e di serietà la politica del Belgio in questo delicato momento.

Innanzi tutto, è necessario guardare alla concessione dei pieni poteri come una novità che vale non tanto per l'ampiezza dei poteri concessi quanto per l'affermazione di principio che vi risulta connessa e che per la prima volta introduce nella vita parlamentare di questo Paese un provvedimento che non è certo la migliore esaltazione del classico potere legislativo, ma che, a forza di urti esterni della realtà e di crepe interne delle utopie, si va generalizzando anche nei Paesi più refrattari. La legittimità delle misure straordinarie è poggiata sull'ansia che si va determinando nell'opinione pubblica belga sotto l'incalzare degli avvenimenti europei. Da qualunque parte essa guardi, questa opinione pubblica non riesce a trovare un orizzonte di riposo.

Non vi ha dubbio che, di fronte all'antica politica di alleanza col gruppo anglofrancese, la nuova politica di indipendenza vorrebbe disimpegnare il Belgio dall'ingranaggio delle guerre da sostenere nell'interesse altrui per portarlo in una zona di equilibrio estranea alle competizioni ed alle operazioni di guerra dei colossi circostanti. Tutti sentono, però, che questa è una semplice aspirazione unilaterale la cui realizzazione rimane forse nel regno delle utopie. Se le previsioni di guerra fossero semplicemente terrestri si potrebbe ammettere una ripetizione di quello che qui si chiama il «miracolo del 1870» che permise ai due eserciti prussiano e francese di scontrarsi in una lotta breve e decisiva, senza coinvolgere nelle operazioni il territorio del Belgio. Il miracolo sarebbe, la prossima volta, ancora più incredibile giacché se l'esempio del 1914 non deve apparire invogliante alla invasione del Belgio, il carattere totalitario delle operazioni condotte con tutte le forze ed in tutti i sensi e la necessità di avere una decisione a qualunque costo prima che le linee si immobilizzino porterà evidentemente uno qualsiasi dei belligeranti, se non ambedue, a ricercare attraverso il Belgio l'aggiramento dell'ala avversaria.

Ma come se ciò non bastasse, alle necessità della classica guerra terrestre, si aggiungono quelle marittime ed aeree, in base alle quali il soggetto attivo o passivo della manovra attraverso il Belgio non sarebbe tanto la Francia quanto l'Inghilterra che si presenta sin da ora come il massimo coordinatore delle forze occidentali e come il massimo obiettivo da colpire. Una linea offensiva britannica che puntasse sulla Germania dovrebbe passare per le coste o pel cielo del Belgio, come una linea offensiva germanica puntata sopra Londra dovrebbe avere identico ed opposto percorso.

Guardando le cose sotto questo prisma, appare sempre più adeguato il rapporto tra l 'interesse tradizionale dell'Inghilterra al triangolo strategico del Belgio e la pressione costante che la sua politica vi esercita. D'altra parte, il Belgio guarda alla Inghilterra come all'elemento decisivo preponderante a cui ricorrere nelle estreme occorrenze; e ciò, sia perché l'opinione pubblica considera uno sbarco inglese come meno ingrato di una invasione tedesca o francese, sia perché essa è ancora sotto il fascino della invincibilità britannica, e sia infine perché l'Inghilterra ci si mette con tutto il suo peso ad alimentare il dogma della soggezione dei destini del Belgio al tridente britannico. È certo che i metodi della diplomazia inglese, pratici, persistenti, sempre duri quanto vellutati, oltrepassano la portata del semplice sentimentalismo democratico-letterario della Francia e precorrono, con una vera strategia di pace, i metodi violenti della Germania soltanto accessibili nel quadro della guerra.

Tuttavia, se è vero che la trincea britannica è prevista come l'ultima ratio del Belgio, è altrettanto vero che prima di arrivare al caso estremo, che comporta sempre il funesto risultato di una triplice invasione, la politica belga cerca a qualunque costo un punto solido al quale possa aggrapparsi per rimanere immune. Questo punto solido dovrebbe essere, secondo la dottrina politica in auge, la formazione di un blocco di resistenza con l'Olanda, sulla quale incombono, almeno nel dominio della guerra aerea e navale, gli stessi pericoli.

La capacità di resistenza di questo blocco è evidentemente relativa e non vi è alcuno a cui questa scarsa valutazione sfugga; ma con la formazione del blocco non si pretende arrestare-una volta in moto-un avversario della mole di quelli circostanti, bensì si pretende farlo meditare prima che si metta in moto, rendendo discutibile l'opportunità di accrescere le alee e gli sforzi in una lotta che già presenterebbe tante alee e tanti sforzi tesi sino al margine estremo.

È sul giuoco e sull'efficacia di tale motivo di meditazione che riposano le sorti della neutralità belgo-olandese. Le ragioni strategiche, traboccando col loro peso, risponderanno al quesito angoscioso, sul quale possono influire -e non bisogna mai trascurarlo -non soltanto le esigenze della lotta in Europa ma anche le situazioni estremo-orientali ove un immenso Impero olandese si trova esposto alle linee di espansione di un Paese che potrebbe anche essere un eventuale belligerante.

Intanto, Belgio e Olanda si affrettano ad eliminare le poche e mercantili cause di contrasto che sussistevano attraverso la secolare competizione dei loro porti e dei rispettivi hinterlands, e cominciano a manifestare, se non una vera e propria cooperazione, almeno un certo sincronismo ed un eguale angolo di osservazione nell'adozione delle misure militari e nella valutazione degli avvenimenti. Questa tendenza procede, prevedibilmente, verso una intensificazione, sempre nella speranza che il potenziale del blocco di resistenza neutrale possa riescire ad allontanare dalla mente di un eventuale trasgressore la tentazione della trasgressione; al che si riducono quei pochi ritagli di speranza che la situazione generale consente di accordare alla tesi della inviolabilità di questo particolarissimo triangolo strategico.

611 1 L'originale da Bruxelles di questo documento non è stato rintracciato. Si pubblica qui il testo ritrasrnesso dal Ministero ad alcune ambasciate e legazioni con telepresso 213698/c. del 5 maggio.

612

L'AMBASCIATORE A V ARSAVIA, ARONE, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 2227/109 R. Varsavia, 29 aprile 1939, ore 16,20 (perv. ore 20,10).

Discorso Cancelliere germanico 1 e la contemporanea consegna noto memorandum tedesco2 hanno avuto qui complessa reazione. Da una parte, infatti, ha provocato un certo sollievo il fatto che la Polonia non sia stata posta dal Fiihrer di fronte ad un

2 Vedi D. 610, nota 9.

preciso ultimatum e che sia stata aperta la porta a trattative. D'altra parte, però, si è rimasti sorpresi dali' inattesa denunzia tedesca dell'accordo del 1934, il che rende molto più difficili i rapporti fra i due Paesi. In sostanza posizione polacca oggi può essere riassunta come segue:

l) decisamente negativa per quanto concerne richiesta tedesca di un regime di extraterritorialità per le comunicazioni attraverso il Corridoio, pur essendo Polonia pronta a concedere le maggiori facilitazioni al transito tedesco;

2) negativa per l'annessione di Danzica alla Germania, pur mostrandosi il governo polacco pronto ad un accordo con Germania che per altro salvaguardi indipendenza della Città Libera. Da parte polacca si risponderà alla Germania con un altro memorandum mentre poi signor Beck farà delle precisazioni al Parlamento.

612 1 Vedi D. 610.

613

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 3277/ 1005. Berlino, 29 aprile 1939 (perv. il ] 0 maggio).

Ho inviato ieri -per corriere tedesco -le prime notizie e le prime impressioni sul discorso di Hitler1• Esso, in generale, ha in un primo momento scoraggiato. Non pochi erano quelli che si attendevano dal Fiihrer una qualche proposta «costruttiva».

Ma, in compenso, se questa è mancata non sono comunque mancate le «novità». Esse sono due ma entrambe erano a noi note e quindi non hanno prodotto, per quanto riguarda l'Italia, sorpresa alcuna. Esse erano del resto, specialmente la prima, già largamente scontate anche nei Paesi interessati. Ma, pure con questo, non perdono del loro intrinseco valore.

Delle due, peraltro, la denuncia dell'accordo navale con l'Inghilterra2 , non rappresenta un vero e proprio pericolo, né tanto meno immediato.

Non così l'altra e cioè la denuncia del trattato germano-polacco del 1934\ la quale apre un nuovo e certo delicatissimo capitolo nella storia delle relazioni fra i due Paesi. La nota tedesca è stata consegnata a Varsavia; questa ha dichiarato di volerla studiare molto attentamente per quindi rispondervi. Una prima presa di posizione si avrà il 5 maggio con le già preannunciate dichiarazioni di Beck. Immagino però che gli uomini di governo polacchi preferiranno tenersi sul vago e che, confutata e respinta ogni propria responsabilità per la nulliticazione del trattato, probabilmente, per il resto, si limiteranno a esprimere la loro «dispozione» a negoziare.

D. 189, nota 2. 3 Vedi D. 610.

Fin qui nulla di male. Il difficile verrà dopo. Negoziare su quali basi? Una cosa mi sembra certa ed è che la Germania non si contenterà più della eventuale accettazione delle proposte già fatte. Molto istruttiva è l'espressione usata al riguardo dal Ftihrer nel suo discorso: «l posteri decideranno se sia stato giusto rifiutare questa mia proposta, presentata un 'unica volta». In sostanza. io vedo anche in questo caso delinearsi la tattica hitleriana. già sperimentata con successo nel caso cecoslovacco e che consiste nell'aumentare le proprie pretese ad ogni tappa nuova. e ciò sfruttando il rifiuto avversario nella tappa precedente.

È qui che vedo il pericolo. Se la Polonia assai difficilmente accetterà -per quanto ragionevoli -le proposte già fatte da Hitler. a maggior ragione non vorrà neanche soltanto considerare proposte nuove e più dure.

La negoziazione non sarà quindi facile e anzi si presenta sin da ora come votata ad un quasi sicuro insuccesso. Donde l'interesse per i «garanti» di Varsavia di tempestivamente seguirla, dirigerla, adeguarla alle mete da raggiungere. Vedo quindi, necessariamente, entrare in gioco l'Inghilterra e la Francia, più ancora la prima della seconda, e, mano mano, -per quanto indirettamente -tutti i Paesi che si sentiranno minacciati e spauriti dalle conseguenze di una possibile guerra.

D'altra parte, come ho già detto alla E.V. in altra mia, coloro che nei circoli diplomatici guardano all'Italia come al Paese che, nel seno i stesso dell'Asse, possa autorevolmente intervenire per salvare nuovamente la pace europea, non sono pochi, anzi aumentano sempre più. Senonché, mentre solo l'avvenire potrà dimostrare l'opportunità o meno di una simile azione da parte nostra, quello che io ho il dovere di dire ora stando qui è che una azione simile, in questo momento, sarebbe assolutamente prematura. Aggiungo che, pure per quanto riguarda l'azione degli altri, il peggiore consiglio che si possa dare oggi alla Polonia sarebbe quello di aprire dei negoziati sopra basi suscettibili di essere dalla Germania ritenute insufficienti.

Dal punto di vista tattico potrebbe pure convenire alla Polonia di mettere il suo avversario in condizione di rifiutare, onde addossare ad esso, anziché a sé medesimo, la responsabilità di un punto morto e di un insuccesso. Ma se questo costituirebbe per la Polonia un vantaggio tattico e propagandistico, non vedo quale vantaggio obbiettivo potrebbe risultargliene ai fini di una soluzione effettiva della questione. La prudenza, specie in questo primo periodo, non sarà mai eccessiva.

Il Conte Moltke, Ambasciatore di Germania a Varsavia è ancora qui. Ritornerà a Varsavia forse alla fine della settimana entrante. Nessuna istruzione gli è stata ancora data. Quando ciò avverrà non mancherò di teneme debitamente informato l 'E. V.

Per il momento. comunque. la Germania non mostra eccessiva fretta. Essa pensa che il tempo è tutto a suo favore4 .

613 1 Vedi D. 610. 2 Riferimento al trattato per la limitazione degli armamenti navali del 18 giugno 1935. Vedi

613 4 Il documento ha il visto di Mussolini.

614

L'AMBASCIATORE A PARIGI, GUARIGLIA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR.2805/1195. Parigi, 29 aprile 1939 (perv. 2 maggio).

Il discorso di Hitler1 , malgrado le varie opinioni espresse dai giornali e la cattiva luce in cui è stato presentato, non ha fatto in realtà cattiva impressione sul pubblico francese. Molti ne fanno anzi l'elogio. Il punto su cui sono concentrate tutte le preoccupazioni è quello della Polonia per le imprevedibili conseguenze che potrebbe avere una eventuale azione di forza della Germania nei riguardi di Danzica e del Corridoio. Non sembra però che da Parigi vengano dati al governo polacco consigli di resistenza ad oltranza. Anzi, la tendenza è piuttosto quella di considerare che tali questioni debbano presto o tardi ricevere una soluzione più o meno conforme ai desiderata germanici e che meglio sarebbe eliminarle al più presto dall'ordine del giorno europeo per cominciare a vederci un poco più chiaro.

Ciò che impressiona infatti è la stasi della vita economica che attualmente si verifica in Francia. Il mese di aprile è stato specialmente disastroso per la stagnazione degli affari.

Questa incertezza e questa quotidiana paura di un prossimo avvenire favoriscono la formazione nel pubblico di una mentalità fatalistica che. accettando a poco a poco l'ineluttabilità di una guerra. finisce quasi per desiderarla allo scopo di liberarsi una buona volta dall'incubo.

Tale è il lato oscuro della situazione, il peso morto che non compensa il governo della facilità con cui, mediante l'esagerazione dello spauracchio bellico, trova i mezzi per mettere il Paese in assetto di guerra2 .

615

L'AMBASCIATORE A PARIGI, GUARIGLIA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 2816/1202. Parigi, 29 aprile 1939 (perv. il 3 maggio).

Secondo informazioni ricevute da questo Regio Addetto Navale, il signor Campinchi -che fa parte, come è noto, dell'ala bellicista del Gabinetto Daladieravrebbe detto ad una personalità francese, in contatto con questa ambasciata di Germania, che, secondo lui e secondo il generale Gamelin, una guerra doveva considerarsi inevitabile e che la Francia non nut[riva] dubbi sul suo esito favorevole.

2 Il documento ha il visto di Mussolini.

Il signor Campinchi avrebbe aggiunto che le navi francesi avevano avuto ordine di attaccare senz'altro le navi tedesche che avessero tentato un colpo su Tangeri e che la Francia sarebbe senz'altro entrata in guerra se la Germania avesse attaccato la Polonia.

Occorre tener presente che il signor Campinchi ha tenuto tale linguaggio sapendo che la conversazione sarebbe stata riportata all'ambasciata di Germania1•

614 1 Del28 aprile. Vedi D. 610.

616

L'INCARICATO D'AFFARI AD ANKARA, BERlO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. RISERVATO 807/433. Ankara, 29 aprile 1939 (perv. il l O maggio).

Questo ministro di Jugoslavia mi ha descritto le reazioni turche agli avvenimenti albanesi. Gli ambienti responsabili turchi sono ossessionati dall'idea di una minaccia italiana verso l'Asia Minore: questa. che si può chiamare un'idea fissa. domina qualsiasi altra preoccupazione di politica estera. Il signor Adzemovié ha avuto continue occasioni di raccogliere l'espressione di questi sentimenti turchi e-da sincero amico dell'Italia quale realmente è-si è sforzato di calmarli. Vi è spesso riuscito, ma non sempre. L'azione italiana in Albania ha ora esacerbato gli allarmi di questo Paese: i turchi vedono la spinta italiana dirigersi verso l'Egeo e parlano di una minaccia su Candia, precisando che Candia in mano dell'Italia significherebbe la chiusura dell'Egeo e la fine della libertà di navigazione negli Stretti. Particolarmente preoccupati essi si sono mostrati in questi ultimi giorni in seguito a voci qui pervenute di nuovi invii di truppe italiane in Albania. Ne hanno domandato al signor Adzemovié il quale ha risposto di non saperne nulla.

È superfluo aggiungere che ho incoraggiato in tutti i modi il signor Adzemovié a perseverare nella sua opera di moderazione e persuasione 1•

617

L'AMBASCIATORE A PARIGI, GUARIGLIA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

LETTERA 2804/11941 . Parigi, 29 aprile 1939 (perv. il 2 maggio).

L'altra sera[....... ] pranzavo da una signora amica del ministro de [Monzie]; questi si presentò ancora in abito da viaggio perché tornato poche ore prima da Varsavia. Era accompagnato dal noto signor Lagardelle, residente in Italia.

616 1 Il documento ha il visto di Mussolini. 617 1 Il documento è danneggiato dall'umidità.

Il de Monzie nel descrivere il suo viaggio in Polonia affermò enfaticamente che aveva sentito vibrare con lui l'anima del popolo polacco. Poi, rimasto solo con me, mi espresse il suo rammarico per il fatto che non fosse ancora possibile cominciare a conversare fra l'Italia e la Francia e mi disse che Daladier incontrava ancora molti ostacoli nel suo stesso Gabinetto e nei suoi amici tanto di destra quanto di sinistra, giacché quelli di destra più che quelli di sinistra, pur non essendo decisamente contrari ad una conversazione, volevano che l 'Italia facesse il primo passo. De Monzie aggiunse però che sperava le cose sarebbero state più facili dopo il 15 maggio, cioè quando si fosse avuta la prova che l'Italia manteneva il proprio impegno di ritirare le truppe dalla Spagna.

Risposi a de Monzie che il governo italiano non aveva più niente da dire diplomaticamente dopo la nota del 17 dicembre2 e che se il governo francese voleva far sapere qualche cosa a Roma, era naturale e tàcile di farlo attraverso il signor François-Poncet.

Il de Monzie mi disse allora apertamente ciò che da parecchio tempo mi era giunto come una voce incontrollabile. e cioè che Daladier non era contento dell' opera di François-Poncet. non aveva fiducia in lui e credeva che anche il governo italiano non lo considerasse persona molto grata. Risposi naturalmente che non avevo elementi per rispondergli, e la conversazione cadde.

Invece il Lagardelle mi disse le seguenti cose:

l) che aveva trovato Daladier ancora molto restìo e duro nelle questioni italafrancesi.

2) Che la conversazione avuta da te con François-Poncet3 (conversazione a cui i giornali francesi hanno appena accennato) era stata considerata come un ottimo principio di contatti. Bonnet era rimasto favorevolmente impressionato. ma l'atmosfera era ancora difficile perché occorreva agire soprattutto su Daladier. il

3 Si riferisce ad un colloquio avvenuto il 25 aprile in occasione della firma di un accordo commerciale, nel corso del quale si era anche parlato dell'andamento generale dei rapporti itala-francesi. Di tale colloquio non è stata trovata documentazione negli archivi italiani ma nel Diario di Ciano vi è, sotto quella data, la seguente annotazione: «François-Poncet prende lo spunto dalla firma di un accordo commerciale per parlarmi delle relazioni itala-francesi. Egli dice di essere stato informato da Perth di quanto il Duce ha detto circa i negoziati cominciati con Baudouin e poi interrotti. Vuoi far sapere che su tale base il governo francese è sempre pronto a discutere. Faccio le più ampie riserve ma, a sua richiesta, aggiungo che non ritengo vi sia niente di mutato nelle nostre direttive politiche. Gli domando a mia volta se debbo considerare questa sua apertura come ufficiale. Egli mi dice di averla fatta autorizzato dal suo governo».

Secondo il resoconto dell'ambasciatore francese (in DDF, vol.XV, D.489), Ciano aveva affermato di continuare a ritenere che i due Paesi potevano arrivare senza troppe difficoltà ad intendersi e, rispondendo ad una domanda di François-Poncet, aveva dichiarato che le richieste italiane concernevano <<Una zona franca nel porto di Gibuti, una parte della ferrovia di Addis Abeba, due posti di amministratore nel Consiglio della Compagnia di Suez con una revisione delle tariffe ed un prolungamento dello Statuto del 1896 in Tunisia». Le questioni -concludeva François-Poncet -non erano state approfondite perché entrambe le parti avevano convenuto che spettavano ai due governi dare alla cosa il seguito ritenuto opportuno.

Circa l'accoglienza di Mussolini a questa apertura, vi è nel Diario di Ciano questa annotazione (sotto la data del 26 aprile): «Riferisco telefonicamente al Duce il colloquio con François-Poncet. Non sembra attribuirgli troppo peso. Dice: "Comunque non intendo cominciare i negoziati con la Francia se non dopo la firma del trattato con la Germania"».

quale anche per la sua situazione di politica interna non si fidava troppo né di Bonnet. né di Poncet.

3) Che gli ambienti industriali francesi (coi quali il Lagardelle è specialmente in contatto) comprendevano le rivendicazioni italiane e molto erano disposti a fare per noi. come lo prevedeva il recente discorso del grande industriale Mercier (mio rapporto odierno n. 281411201)4 .

4) Che il cammino da percorrere era ancora irto di difficoltà per la perdurante azione delle sinistre su Daladier e forse anche per una certa influenza che Blum continua ad esercitare su quest'ultimo5 .

615 1 Il documento ha il visto di Musso1ini.

617 2 Vedi serie ottava, vol. X, D. 566.

618

LA DIREZIONE GENERALE DEGLI AFFARI D'EUROPA E DEL MEDITERRANEO AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

APPUNTO. Roma, 29 aprile 1939.

Il R. Ambasciatore a Berlino ha riferito 1 che da parte tedesca gli è stato fatto presente come le stazioni radio inglesi non lascino occasione di svolgere nel mondo musulmano propaganda antitaliana, prendendo particolarmente a pretesto gli avvenimenti d'Albania.

Il R. Ministero della Cultura Popolare (Ispettorato Radio), confermando che si è verificata in questi ultimi tempi una intensificazione della propaganda contro di noi svolta dalla radio araba di Londra (Daventry), chiede se non si debba far riprendere alla radio Bari la sua azione di propaganda antinglese, per controbattere quella della radio Daventry.

Si sottopone quanto precede al giudizio di VE.

Si potrebbe, prima di riprendere la propaganda anti-britannica, richiamare l'attenzione dell'Ambasciata d'Inghilterra; e riprendere poi la propaganda ove la radio inglese perseverasse2 .

5 Il documento ha il visto di Musso lini.

2 Al ministero della Cultura Popolare veniva risposto, con telespresso 213580 del 4 maggio: «Non ritengo che sia per ora il caso di far riprendere alla radio Bari l 'azione prospettata nel telespresso di codesto R. Ministero cui si risponde. Gradirò tuttavia essere tenuto al corrente dell'azione antitaliana che la radio araba di Daventry dovesse continuare a svolgere».

617 4 Non pubblicato.

618 1 Con tel espresso 2932/90 l del 17 aprile, non pubblicato.

619

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. S.N.D. 2243/274 R. Berlino, 1° maggio 1939, ore 1,46 (perv. ore 6, 15).

Nonostante le voci in contrario apparse sulla stampa estera, Ribbentrop ritiene che il Giappone si prepari a cedere e che anzi una decisione in questo senso sia già stata presa. Questa l'informazione giuntagli già da qualche giorno da ambasciata di Germania a Tokio.

Ribbentrop mi ha aggiunto peraltro che istruzioni definitive non sono ancora state inviate agli ambasciatori giapponesi a Berlino e a Roma, ciò perché il ministro degli Affari Esteri incaricato della esecuzione delle decisioni del Consiglio. e che è contrario al trattato. vuoi temporeggiare.

Ribbentrop spera però ancora in una soluzione conforme ai suoi desideri 1•

620

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. S.N.D. 2242/275 R. Berlino, 1° maggio 1939, ore 1,50 (perv. ore 6,15).

Sono andato da Ribbentrop a presentargli gli auguri (oggi è il suo genetliaco) anche da parte di V.E.

Nell'occasione l'ho pregato di giungere ad una decisione per quanto riguarda la data ed il luogo del suo incontro con V.E. Egli da principio si è mostrato ancora esitante, dicendo che avrebbe preferito attendere ancora qualche giorno per sapere come contenevasi, a proposito della nota questione, il Giappone.

Ho osservato che a prescindere da quella questione vi era un complesso di altre questioni da esaminare nonché tutta una messa a punto comune della situazione generale europea che urgeva e che non sembrava opportuno, nell'interesse reciproco, ritardare ulteriormente.

Ribbentrop ha finito con convenirne, fissando definitivamente per l'incontro i giorni sei e sette maggio. Quanto al luogo, egli apprezzava molto le ragioni delle preferenze di V.E., ma riteneva che, per il momento e dato il carattere non ufficiale dell'incontro, un posto più tranquillo gli sarebbe sembrato più opportuno tanto più avendo egli intenzione farsi accompagnare dalla moglie e trattenersi con lei da turisti in Italia qualche giorno in più. Ho allora insistito almeno per Gardone e Ribbentrop ha accettato, promettendomi poi ulteriori dettagli al più presto1•

620 1 Il documento ha il visto di Musso lini.

619 1 Il documento ha il visto di Mussolini.

621

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. S.N.D. URGENTISSIMO 2241/276 R. Berlino, 1° maggio 1939, ore 1,45 (perv. ore 6, 15).

Come già telegrafai a V.E. in data 26 corrente n. 268 1 qui sono pervenute sicure notizie di un progressivo accostarsi della Turchia al blocco anglo-francese. Secondo Ribbentrop, si starebbero anzi discutendo attualmente ad Ankara i termini economici politici e militari di una vera e propria alleanza difensiva anglo-franco-turca (cui la Turchia accederebbe anche nella speranza di ulteriori concessioni nel Sangiaccato ).

Preoccupatosi di questo, Ribbentrop ha spedito in tutta fretta von Papen (sostituendolo all'ultimo momento ad altro ambasciatore già nominato). Von Papen ha preso immediato contatto col presidente del Consiglio turco, avendo con lui delle spiegazioni di cui Ribbentrop mi ha letto il resoconto.

Von Papen avrebbe incominciato con l'assicurare la Turchia che la Germania e le Potenze dell'Asse in generale sono animate dai sentimenti migliori e più pacifici nei riguardi di tutti ma che, d'altra parte, sono pronte a resistere a qualunque azione aggressiva altrui. In questa situazione ed a questi fini, von Papen ha aggiunto che la Germania annetteva speciale importanza alla neutralità della Turchia.

Il presidente del Consiglio ha risposto che effettivamente una «neutralità negativa» era la regola ed il programma che la Turchia si era imposti fin qui. Ma nonostante i migliori sentimenti di amicizia nutriti per la Germania essa non poteva ignorare, anche alla luce della precedente azione dell'Italia (armamenti di isole, rinforzo di guarnigioni, ecc.), il nuovo fatto compiuto italiano in Albania. A parte ogni altra considerazione, l'occupazione albanese da parte dell'Italia si imponeva all'attenzione della Turchia sopratutto dal punto di vista strategico. Ha aggiunto che la Turchia non conduceva con l'Inghilterra in questo momento negoziati «per iscritto»; vi erano da parte inglese soltanto dei sondaggi per sapere come la Turchia si comporterebbe in caso di una azione armata di carattere aggressivo, nel Mediterraneo o in Paesi dell'Intesa Balcanica, da parte delle Potenze dell'Asse.

Von Papen ha allora domandato se la Turchia si preparasse a fare in materia una qualche «dichiarazione» suscettibile di fissare definitivamente la posizione della Turchia, ammonendo che questa non sarebbe, naturalmente, potuta riuscire gradita alla Germania.

Ha ulteriormente cercato -ma senza risultato -di eliminare le preoccupazioni e le ansietà nutrite dalla Turchia nei riguardi dell'Italia (preoccupazioni ed ansie apertamente confermate anche a me da questo ambasciatore di Turchia )2 .

2 Hamdi Arpag.

Presidente Consiglio turco ha naturalmente concluso dando a von Papen e nei riguardi della Germania una quantità di assicurazioni, il cui valore sembra peraltro a Ribbentrop assai dubbio e tanto più alla luce delle informazioni segrete, ma sicure, pervenute qui da altre fonti e che ho sopra riferito.

Si tratta ora, mi diceva Ribbentrop, di impedire-o almeno cercare di impedireche la Turchia si impegni con l'Inghilterra subito e definitivamente. Se si potesse ottenere questo, si potrebbe poi cercare, con lavoro abile e paziente, di ricondurre la Turchia all'Asse. Per raggiungere tali fini, e dato che le principali diffidenze turche si appuntano in questo momento sull'Italia, è questa, più che la Germania, che dovrebbe agire, dando subito alla Turchia delle assicurazioni e delle garanzie atte a tranquillizzarla tanto quanto basti per impedire il suo immediato e definitivo passaggio nel campo avversario.

Ribbentrop ha discusso ieri la questione col Fuhrer, attenendone l'autorizzazione a rivolgere in questo senso un appello ali'E.V. ad al Duce. Egli ricorda che già altra volta fu autorizzato dal Duce a tranquillizzare la Turchia. Forse il Duce potrebbe, prendendo occasione dali' occupazione dali' Albania, rinnovare ora egli stesso, direttamente all'ambasciatore di Turchia a Roma, una assicurazione del genere.

È indubitato che la Turchia detiene una di quelle che, agli effetti di una prossima guerra, possono essere definite posizioni chiave. Assicurarsi la neutralità della Turchia significherebbe per l'Asse (essendo esso d'altra parte già sicuro, oltre che della Jugoslavia, anche della Romania) di mettersi in una situazione che nulla potrebbe scuotere.

Ribbentrop è il primo a dubitare dell'effetto di questo tentativo, ma crede che varrebbe comunque la pena di compierlo dato che -anche in caso di insuccesso -sarebbe sempre un vantaggio poter mettere la Turchia nel torto. Ribbentrop si riprometteva di sottomettere questa questione personale all'E.V. nel prossimo incontro ma preferisce, dato che la situazione ad Ankara sembra precipitare, indirizzarsi a VE. subito per mio tramite.

È inutile dire che, con questa segnalazione, Ribbentrop non intende minimamente contestare il diritto dell'Italia a indirizzare la politica nel Mediterraneo dell'Asse. Egli desidera soltanto richiamare l'attenzione dell'E.V. e del Duce sopra uno dei punti più delicati dell'attuale situazione generale, e che tocca-agli effetti della politica comune-gli interessi vitali dell'Asse.

Ribbentrop sarà grato di conoscere al riguardo le decisioni che il Duce e l'E.V. saranno per prendere al riguardo3 .

Il 3 maggio, Ciano ebbe un colloquio con l'ambasciatore di Turchia sul quale vi è nel suo Diario questa annotazione (di esso non si è trovata documentazione negli archivi italiani): «Per calmare un po' le apprensioni turche nei nostri confronti e soprattutto per far piacere ai tedeschi che ritengono possibile una contromarcia nei confronti della Francia e della Gran Bretagna, ho dato delle assicurazioni all'Ambasciatore di Turchia nel senso che l'Italia non ha mire né economiche, né politiche, né territoriali nei confronti del suo Paese. L'Ambasciatore era molto soddisfatto di queste mie dichiarazioni e, nonostante facesse del suo meglio per nascondere tali suoi sentimenti, ciò era evidente».

621 1 Con T. 6959/268 P.R. del 27 aprile, l'ambasciatore Attolico aveva così riferito: «Giungono non buone notizie da Ankara. Pare accertato che govemo turco, pur subdolamente ricoprendosi col manto della neutralità, stia per passare senz'altro nel campo avversario». Per altre notizie inviate in proposito dall'ambasciatore Attolico si veda il D. 605.

621 3 Lo stesso lo maggio, l'ambasciatore von Mackensen mise al corrente Ciano dei primi colloqui avuti da von Papen dopo il suo arrivo ad Ankara, dai quali risultava la profonda diffidenza dei dirigenti turchi nei confronti dell'Italia, e suggerì che Mussolini facesse una dichiarazione volta a rassicurare il governo turco. Ciano, pur non respingendo il suggerimento, espresse l'opinione che la mossa avrebbe avuto scarsa efficacia ma che comunque l'atteggiamento della Turchia non aveva un'importanza decisiva, ora che il possesso del bastione albanese metteva gli Stati balcanici alla completa dipendenza delle Potenze dell'Asse. Sul colloquio si veda il resoconto dell'ambasciatore von Mackensen in DDT, vol. VI, D. 303; negli archivi italiani non è stata trovata documentazione in proposito.

622

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. SEGRETO 3297/1009. Berlino, 1° maggio 19391•

Ho visto oggi sia Teleki che Csaky2• Ho domandato loro se avessero qualche cosa di interessante da riferirmi in rapporto alla loro visita, sia nei riguardi speciali dell'Italia, sia nei riguardi della situazione generale.

Risposta: Dal punto di vista italiano, le cose che gli ungheresi hanno udito in questa occasione e che possono in un qualunque modo interessarci, sono:

l) Qui si capisce perfettamente che la Jugoslavia sta entrando oramai sempre più a far parte della zona di influenza «italiana», e questo senza che da parte tedesca ci sia obiezione o risentimento. Si aggiunge inoltre di avere qui constatato che la Germania ha rinunciato all'idea di dividere la Jugoslavia «in quattro pezzi».

2) L'apprezzamento della solidità dell'Asse e dell'importanza dell'apporto italiano non è stato mai così forte come in questo momento. Le espressioni su questo punto sono state, sia da parte di Hitler che da parte di Goring e di Ribbentrop, quanto mai nette ed univoche.

3) Goring ha ricevuto dalle manovre a cui ha assistito in Libia un'impressione veramente straordinaria e si potrebbe dire unica, che egli ha trasmesso tanto a Hitler che a Ribbentrop, i quali se ne sono fatti, con pari entusiasmo, portavoce.

Dal punto di vista della situazione generale, l 'unica questione che in questo momento campeggia, è evidentemente la questione polacca. I Ministri ungheresi erano partiti dalla capitale ungherese molto preoccupati ed inquieti e ciò per notizie sicure ricevute antecedentemente nel senso che la Germania si preparasse senz'altro ad un'azione di forza. Essi sono stati lieti di constatare invece che le disposizioni del Ftihrer al riguardo sono «in questi ultimi giorni» cambiate. Egli. cioè. è pronto ad attendere per la soluzione della questione polacca-e lo ha esplicitamente dichiarato -anche «uno o due anni». e ciò avendo acquistato la convinzione che il tempo agisce a favore della Germania.

Quali siano le ragioni che abbiano potuto determinare, secondo i miei interlocutori, in questi ultimi giorni, un siffatto cambiamento di attitudine, i Ministri ungheresi non hanno saputo specificare. I tàtti nuovi intervenuti nel frattempo sono: la proclamazione della coscrizione obbligatoria in Inghilterra, (indice della determinazione inglese di andare oramai fino in fondo); l'attitudine assunta dal Duce col suo discorso del 20 aprile3 . Forse vi ha contribuito-continuavano i miei interlocutori-anche «qualche altra ragione» che essi per il momento non erano riusciti però ad identificare. Ma una cosa è sicura. ed è che. dal primo all'ultimo. tutti quelli con cui i Ministri ungheresi hanno parlato qui si sono espressi nel senso che la Germania è oramai di

2 In visita a Berlino dal 29 aprile al 2 maggio.

3 Vedi D. 588, nota 3.

sposta ad attendere. Se così è. concludevano Teleki e Csaky. ci sarebbe da bene sperare per la pace dell'Europa. dato che. frattanto. l 'Inghilterra indubbiamente si metterà all'azione per indurre la Polonia a cedere.

In proposito, i due Ministri mi hanno accennato ad un particolare che vale la pena di riferire e cioè che, secondo loro, le proposte del Flihrer non sono state alla Polonia rappresentate in tutta la loro integrità: Varsavia insiste, per esempio, nel dire che la idea di una garanzia a tre per la Slovacchia non è stata mai avanzata. L'ipotesi più plausibile è che Ribbentrop, nel far presenti a Lipski le proposte del Flihrer, le abbia in certo modo attenuate, tanto da restringerne praticamente la portata. Una prova in questo senso si potrebbe trovare nel fatto che, effettivamente, il testo delle proposte tedesche alla Polonia, quale risulta dalla nota ufficialmente consegnata a Varsavia il 28 del mese scorso 4 , è in certi punti assai più comprensivo di quanto non risulti dal dettagliato elenco fattone dal Flihrer nel suo discorso deJlo stesso giorno 5 . Ma l'esistenza virtuale di margini da una parte e d'altra -osservavano i Ministri ungheresi-potrebbe essere un elemento favorevole a future negoziazioni.

Comunque -ripetevano Teleki e Csaky -noi partiamo da Berlino assai più tranquilli di come siamo arrivati. tanto più che l'Ungheria non desidera la guerra perché -a parte ogni altra considerazione -in caso di sconfitta. sarebbe annientata. in caso di vittoria. si troverebbe di fronte ad una Germania strapotente e perciò stesso estremamente -e forse troppo -pericolosa.

Tanto Teleki che Csaky mi hanno incaricato di presentare al Duce e aJJ'E.V. il loro saluto più devoto e pregato di considerare le informazioni fornitemi come assolutamente confidenziali6 .

622 1 Manca l'indicazione della data di arrivo.

623

L'AMBASCIATORE PRESSO LA SANTA SEDE, PIGNATTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. S.N.D. PER CORRIERE 2276/80 R. Roma, 2 maggio 1939 (perv. stesso giorno).

Il Cardinale Segretario di Stato mi ha detto che il Papa è molto preoccupato per l'aggravarsi della situazione generale, in Europa. Tutte le persone; di qualsiasi nazionalità, che visitano il Santo Padre esprimono lo stesso timore, ossia che si finisca con la guerra.

Il cardinale Maglione che, com'è noto, fu nunzio a Parigi per una decina d'anni, ha aggiunto che il popolo francese si sta abituando all'idea di una guerra e pensa che è meglio farla al più presto.

5 Al Reichstag. Vedi D. 61 O.

6 Il documento ha il visto di Mussolini.

Sulla visita di Teleki e Cs:iky a Berlino si veda anche il D. 662.

Nella sua visita odierna al Pontefice e al Cardinale Segretario di Stato, il ministro degli Esteri romeno 1 si è dichiarato convinto che il governo italiano non solo non desidera la guerra, ma farà il possibile per evitarla. Le dichiarazioni del signor Gafencu non hanno rassicurato completamente gli ambienti vaticani, in quanto si teme che, a malgrado delle indubbie disposizioni esistenti nei governanti dei principali Stati di non arrivare agli estremi, ci si avvii ciononostante fatalmente al conf1itto.

Per quanto non mi sia stato detto esplicitamente, ho l'impressione che la Santa Sede abbia seri dubbi sulle intenzioni pacifiche della Germania.

Il cardinale Maglione ha portato, come di consueto, il discorso sulle relazioni itala-francesi senza dirmi nulla di nuovo. Soltanto, a un certo punto, parlandomi di una visita di François-Poncet all'E.V. per firmare non so quale atto, il porporato ha detto che quello era stato un pretesto che l'ambasciatore aveva colto per introdurre il discorso su le questioni che dividono Italia e Francia2 . Il Cardinale Segretario di Stato mi ha confermato vigorosamente la sua opinione che l'accordo sarebbe facilmente raggiungibile, qualora una delle due parti prendesse l'iniziativa di promuovere negoziati. Ho risposto che non saremo noi.

622 4 Per la denuncia del trattato del 26 gennaio 1934. Vedi D. 610, nota 9.

624

IL MINISTRO A BUDAPEST, VINCI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 2301/0116 R. Budapest, 2 maggio 1939 (perv. il 4).

Il R. Addetto Militare mi ha detto avere avuto stamane una conversazione con un alto ufficiale di questo Stato Maggiore che a proposito del viaggio del ministro Gafencu a Berlino, Londra e Parigi, gli avrebbe detto risultargli quanto segue:

«A Berlino 1 il ministro romeno avrebbe chiesto una garanzia delle frontiere, analoga a quella offerta dall'Inghilterra, ma gli sarebbe stato risposto negativamente, col motivo che il confine romeno non tocca in alcun punto il territorio tedesco.

Gli sarebbe invece stato assicurato che, finché la Romania terrà lealmente fede alle convenzioni economiche recentemente stipulate, la Germania conserverà sempre verso di essa atteggiamento amichevole.

A Londra2 Gafencu avrebbe trattato in particolare la questione del prestito inglese (intorno ai 6 milioni di sterline). L'Inghilterra avrebbe offerto però soltanto 2 miliardi in denaro, pronta a convertire la rimanente somma in materiali bellici di tipo antiquato. Da parte romena tale proposta sarebbe stata dichiarata inaccettabile.

2 Si veda in proposito il D. 617, nota 3.

2 Nella visita del 24-26 aprile.

Nel campo politico gli inglesi, allo scopo di attirare anche la Bulgaria nella propria sfera di influenza, avrebbero cercato di persuadere il ministro romeno della necessità di qualche sacrificio territoriale in Dobrugia, in compenso della garanzia britannica delle frontiere. Ma Gafencu avrebbe risposto che il suo Paese, pur disposto a concedere una certa autonomia alle minoranze bulgare, non intende assolutamente cedere la benché minima parte del territorio.

A Parigi 3 sarebbero state spese molte parole per convincere la Romania ad instaurare più intimi rapporti con la Russia sovietica. Anche qui però il ministro romeno avrebbe opposto difficoltà e non avrebbe preso nessun impegno, dichiarando che una siffatta politica avrebbe posto il suo Paese in netta opposizione alle Potenze dell'Asse, alienandogli le simpatie di Berlino e sopra tutto di Roma, alle quali Bucarest non vuole rinunciare».

Mi riservo controllare tali segnalazioni e riferire ali' E. V.

623 1 In visita a Roma dal 30 aprile al 3 maggio.

624 1 Nella visita del 18-19 aprile. Su di essa si vedano anche i DD. 577 e 579.

625

IL MINISTRO A BUDAPEST, VINCI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 2302/0118 R. Budapest, 2 maggio 1939 (perv. il 5).

Telespresso di codesto Regio Ministero n. 312343/c. (A.E.M. Uff. l o del 4 aprile u.s.)i.

È indubbio, anche a mio parere, come ho più volte riferito, che il repentino cambiamento dell'atteggiamento dell'Ungheria nei riguardi della Slovacchia, dopo i noti incidenti del 23 marzo scorso 2 , è stato dovuto principalmente al fatto che essa si è trovata di fronte all'opposizione della Germania, il cui atteggiamento non poteva non essere preponderante nella controversia (mio rapporto n. 1794/54 7 del l o aprile)3 . Come appare da quanto esposto nel mio rapporto n. 1764/527 del 28 marzo4 , tutto lasciava supporre che la Germania aveva in un primo tempo spinto l'Ungheria contro la Romania e subito dopo la firma dell'accordo economico romeno-tedesco5 ne aveva arrestata l'azione; fu allora che il ministro di Ungheria a Berlino giunse qui, il 21 marzo e, da quanto mi diceva il conte Csaky, espressamente per far conoscere che la Germania si disinteressava della Slovacchia e lasciava liberi gli ungheresi «di fare quello che credessero». Il 23 ed il 24 avvennero i noti seri incidenti, che altro non rappresentavano che un tentativo ungherese di iniziare la marcia per conquistare la Slovacchia fino alla linea del Poprad.

2 Su tale incidente si veda il D. 396, nota 2.

3 Vedi D. 439.

4 Non rintracciato.

5 Riferimento al trattato del23 marzo precedente. Vedi D. 378, nota l.

Si venne poi all'improvviso cambiamento di atteggiamento dell'Ungheria ed alla rapida conclusione degli incidenti. Neppure a me è stato fatto parola di un diretto intervento tedesco e, d'altra parte, anche se si fosse verificato, gli ungheresi sarebbero stati gli ultimi evidentemente ad ammetterlo. D'altra parte, ho sentito spesso parlare in quel momento da persone autorevoli e bene informate, come ho riferito, piuttosto di doppio gioco della Germania. (Mio rapporto n. 1794/542 del l o aprilet

Condivido inoltre l'opinione del Regio Ambasciatore a Berlino che la Germania non gradiva in quel momento in Europa Centrale complicazioni di sorta e che d'altra parte essa non vuole, prima di esserne completamente sicura, ingrandire e rafforzare troppo l'Ungheria. Aggiungo tuttavia che in questi ambienti ufficiali si è sempre parlato e si continua a parlare tuttora di disinteressamento tedesco per la Slovacchia, nonostante le dure lezioni della realtà; ciò che potrebbe far ritenere, come da varie conversazioni avute con vari uomini politici, che la Germania quindi non avrebbe (o almeno certamente qui lo si lascia credere) precisato le sue intenzioni ed il recente ripetersi di incidenti alla frontiera dovuti più che altro, secondo la mia impressione, a saggi dell'esercito ungherese sulla resistenza degli slovacchi, ne potrebbero anche essere un sintomo, non ritenendo che l'Ungheria potrebbe tentare di agire, qualora sapesse chiaramente di essere in aperto contrasto con la Germania. In ciò concorderebbe anche la segnalazione del conte Esterhazy, di cui al telegramma per corriere n. 011 Odel R. Incaricato d'Affari in data del 25 aprile7 .

Quanto alle tendenze tedesche nei riguardi dell'Ungheria in linea generale, confermo anche da qui la stessa impressione del R. Ambasciatore a Berlino: la preoccupazione con la quale il presidente del Consiglio ed il ministro degli Affari Esteri sono partiti per la Germania, ne sono la più recente prova.

624 3 "Jella visita del 27-29 aprile.

625 1 'lon rintracciato.

626

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. SEGRETO 3296/1008. Berlino, 2 maggio 19391•

In una mia precedente2 , io ho avvertito l'E. V. che il signor von Ribbentrop, nell'annunziarmi l'ultima-almeno allora poco favorevole fase-dei negoziati col Giappone aveva aggiunto che ove per il momento nulla si fosse potuto concludere a

7 T. per corriere 2181/0 Il OR. del 25 aprile. Riferiva che alla frontiera ungaro-slovacca non era avvenuto più niente di rilevante ma in quelle sfere ufficiali e nell'opinione pubblica ungherese permaneva la convinzione che un giorno o l'altro la questione slovacca dovesse essere risolta in favore dell'Ungheria perché la Germania aveva pochi interessi in quella zona che si riteneva tenesse sotto controllo solo in funzione dei suoi contrasti con la Polonia. Il documento fu inviato in visione a Mussolini.

2 Si veda il D. 597.

tre, era pronto intanto a fare qualche cosa a due, lasciando al Giappone di accedere, quando avesse voluto e potuto, come terzo. Egli diceva anzi che, venendo in Italia, avrebbe portato con sé un schema di patto a due da discutere eventualmente con l'E.V.

Nelle ultime conversazioni, von Ribbentrop non ha più ripreso questo argomento e ciò anche perché (mio telegramma n. 274 del 30 aprile) 3 , sono risorte in lui delle speranze per un patto a tre. patto a cui -pur ridotto come sarebbe ora ad una pura facciata -egli tiene in modo particolarissimo, rappresentando per lui come il coronamento di tutta la sua concezione e costruzione politica non solo europea, ma addirittura mondiale.

Ove egli, all'ultimo momento, cambiasse opinione e si apprestasse a portare con sé un qualche progetto di patto a due, io non mancherei di telegrafare subito all'E.V. Senonché, in questo caso, io mi permetto di esprimere l'opinione che a noi non converrebbe nelle presenti condizioni di negoziare un simile patto così in fretta e quasi su due piedi.

Un patto puramente italo-tedesco non potrebbe essere una cosa vaga, sul tipo di quello preparato per il Giappone. Esso dovrebbe essere necessariamente più preciso, tener conto di talune premesse insopprimibili (Brennero: fissando anche gli obblighi per la soluzione della questione allogena), dovrebbe non solo fare stato del reciproco diritto ad uno «spazio vitale» autonomo, ma anche segnare i limiti e le forme di una compenetrazione di interessi nelle zone miste, sancendo il nostro diritto ad una equa compartecipazione al commercio ed alla espansione balcanica e danubiana etc.

Un patto politico di alleanza con la Germania non potrebbe, inoltre, mancare, sulla base concreta della esperienza passata, di fissare in maniera inequivoca la portata di quell'obbligazione reciproca di consultazione in tutte le questioni di interesse comune che è e deve essere, fra alleati, fondamentale.

Così pure, un patto politico italo-tedesco non potrebbe fare meno di scendere nel campo militare ad assai maggiori dettagli che non un vago patto a tre di rafforzamento dell' Anticomintem.

Orbene, non solo tutto questo non si improvvisa e avrebbe bisogno di pacata elaborazione, ma presenterebbe dal punto di vista nostro difficoltà assai minori se venisse negoziato quando la situazione giapponese fosse definitivamente chiarita e cioè quando l'animo di Ribbentrop fosse sgombro dalle tanto affascinanti visioni orientali che per il momento ancora lo dominano. Quando, cioè, egli sapesse definitivamente o di non poter arrivare col Giappone al conseguimento dei suoi sogni, oppure di poterei arrivare fino ad un certo e modestissimo limite, e quindi si fosse definitivamente convinto che l'Italia è l'unico Paese su cui la Germania possa effettivamente contare, allora il nostro cammino sarebbe libero da ostacoli e la preparazione di un patto italo-tedesco per noi conveniente enormemente facilitata4 .

625 6 Non rintracciato.

626 1 Manca l'indicazione della data di arrivo.

626 3 Vedi D. 619 che è del l o maggio. 4 Il documento ha il visto di Mussolini.

627

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 2194/981. Londra, 2 maggio 1939 (perv. 1'8?).

Sono stati formalmente presentati ieri ai Comuni i progetti di legislazione preannunciati da Chamberlain nelle sue dichiarazioni del 28 aprile relativi alla introduzione di un sistema di servizio militare obbligatorio in Inghilterra (telegramma di questa ambasciata n. 194 del 27 aprile u.s.) 1•

Come del resto aveva già precisato il Primo Ministro, i provvedimenti di ordine militare decisi dal governo rientrano sotto due capitoli distinti: una legge sull'addestramento obbligatorio militare (Military Training Bill) e una legge sulle Riserve e Forze Ausiliari (Reserve & Auxiliary Forces Bill).

La prima, in sostanza, conferisce al governo la facoltà di chiamare per un periodo di istruzione militare di sei mesi tutti gli uomini compresi tra il 20° e 21 o anno di età, ai quali incomberà successivamente un ulteriore periodo di tre anni e mezzo di obblighi militari o nell'esercito territoriale o nella riserva (totale 4 anni); la seconda mira a semplificare la procedura per la mobilitazione delle riserve e delle forze ausiliari, le quali potranno esser richiamate dai rispettivi ministeri con semplice provvedimento di carattere amministrativo, e cioè senza la necessità di ricorrere alla previa e più complicata procedura di un «Proclama Reale».

Trasmetto qui unito, assieme al testo dei due progetti di legge in questione, copia di un breve rapporto interpretativo, di carattere preliminare, preparato da questo R. Addetto Militare2 .

Ne riassumo schematicamente le considerazioni essenziali.

l) L'esercito inglese consiste di un Esercito Regolare e di un Esercito Territoria

le, così composti: Esercito Regolare: Forza bilanciata Forza effettiva odierna in servizio attivo 224.000 204.000 riserva 144.000 140.000 riserva supplementare 68.000 35.000 Totale 436.000 379.000 Esercito Territoriale: Forza bilanciata Forza effettiva odierna di campagna (a seguito 325.000 167.000 dei recenti aumenti) della difesa 96.000 80.000 Totale 421.000 247.000

Deficienza attuale 231.000 uomini (20 mila nell'esercito regolare;

174.000 nell'esercito territoriale; 37.000 nelle riserve dell'Esercito Regolare).

2) Col provvedimento relativo alla istruzione militare obbligatoria, e presumendo che entro il prossimo mese di giugno verrà chiamato il primo contingente di giovani tra i 20-21 anni per un totale di 200 mila uomini, la Gran Bretagna potrà verso la fine del corrente anno disporre praticamente del personale occorrente per portare gli effettivi dei due rami del suo esercito alla loro attuale forza bilanciata, con un totale di circa 800.000 uomini già istruiti. Con l'addestramento, negli anni successivi, delle nuove classi tra i 20-21 anni, l'Inghilterra dovrebbe poter disporre nel 1943, di una forza istruita di circa altri 600.000 uomini, con un totale di 1.400.000 uomini. Tale cifra rimarrebbe successivamente stazionaria, rappresentando infatti il massimo immediatamente disponibile di personale addestrato conseguibile in base alla nuova legislazione (nel 1943 avrebbero infatti termine gli obblighi di servizio militare dei giovani attualmente tra i 20-21 anni).

3) Rimane tuttora il programma degli armamenti. Calcolando che l'Esercito Regolare Metropolitano dispone attualmente di 6 divisioni completamente armate (5 divisioni di fanteria e l divisione corazzata), e che l'Esercito Territoriale possa disporre entro la fine di giugno di materiale sufficiente per armare un totale di 6 divisioni-portando la forza Metropolitana disponibile a un totale di 12 divisioni pienamente armate-sembra dubbio che l'attuale ritmo di produzione bellica possa servire nei mesi successivi ad approntare più di una divisione al mese.

Devonsi, a questo riguardo tener tuttavia presenti l'esistenza delle unità regolari dislocate attualmente nei territori dell'Impero (circa 12 divisioni), nonché la possibilità-sulla quale si fa qui assegnamento-che, in caso di guerra, gli Stati Uniti forniscano immediatamente all'Esercito britannico materiali per armare le divisioni territoriali non ancora approntate.

4) Dal punto di vista militare, il provvedimento non altera notevolmente le possibilità belliche della nazione, in quanto il ricorso alla coscrizione era previsto, ed ammesso tacitamente anche dai partiti dell'opposizione, per il tempo di guerra. Tuttavia la sua istituzione ora, anticipando i tempi, consentirà alla Gran Bretagna di compiere preventivamente le delicate operazioni connesse col provvedimento e, in caso di conflitto, accelerare la propria mobilitazione.

***

Questi, tradotti in cifre approssimative e suscettibili naturalmente di larghi aggiustamenti -dovuti ad esempio ad una variazione nel gettito annuale di reclute tanto nei riguardi dell'arruolamento volontario quanto nei riguardi di quello obbligatorio -i risultati pratici che possono esser attesi dalla nuova legislazione; essa stessa, a sua volta, suscettibile di successivi mutamenti sia in senso restrittivo che in senso estensivo.

Risultati pratici che, se raffrontati alla mole degli eserciti continentali lentamente e solidamente costituiti attraverso una quasi secolare prassi di coscrizione, non possono se non apparire modesti, e comunque non all'altezza dei compiti che l'Inghilterra si è andata assumendo nel corso delle ultime settimane e dei quali i nuovi provvedimenti militari vogliono essere solenne conferma.

Sta di fatto tuttavia che l'introduzione in Gran Bretagna di queste «misure per l'addestramento militare obbligatorio» -frase con la quale il Primo Ministro ha ancora cercato di marcare la differenza, più formale che reale, tra il metodo prescelto e la «coscrizione» -costituisce sotto certi aspetti il più importante provvedimento di carattere «eccezionale» che il governo britannico abbia potuto adottare e imporre alla nazione in un periodo sia pure di latente crisi internazionale ma non di guerra.

È superfluo a questo punto ricordare con quale gelosa poltroneria il popolo inglese abbia custodito le sue cosidette «tradizioni di libertà individuali» per opporsi anche nel recente passato, con sorda ma incrollabile determinazione, a qualsiasi misura sia pure lontanamente reminiscente della «coscrizione». Le ripetute assicurazioni date dal governo alla Camera dei Comuni -ed ora rinfacciate allo stesso governo da parte delle opposizioni -nel senso che la coscrizione in tempi di pace non sarebbe stata applicata, denotano del resto quanto insormontabile esso giudicasse l'atteggiamento d eli' opinione pubblica inglese su questa questione. Atteggiamento che del resto trovava i suoi più strenui difensori sia nella stessa compagine politica sostenitrice dell'attuale governo-basterà ricordare il tenace «isolazionismo» di alcuni settori del Partito conservatore -sia nel pensiero di una serie di autorevoli critici militari come il Liddell Hart che tuttora sostengono il principio degli impegni militari limitati -«limited military commitments» -per quanto concerne l 'intervento inglese in una guerra continentale europea.

Queste stesse opposizioni interne, che appena qualche settimana fa sembravano -ed indubbiamente erano -tuttora insormontabili, danno la più esatta misura della portata psicologica dei nuovi provvedimenti, sotto ogni aspetto assai più significativo della loro immediata portata pratica.

In un certo senso la decisione relativa alla introduzione della «coscrizione» può esser considerata lo sviluppo logico, per quanto a quel tempo impensato, del noto discorso di Chamberlain a Birmingham3 . Discorso pronunciato in parte sotto l'influsso di elementi sentimentali e personali, ma soprattutto sotto la pressione di correnti popolari e politiche interne le quali, come tutte le non controllate correnti popolari e politiche, non si rendevano conto di quelle che dovevano essere in ultima analisi le conseguenze necessarie dei loro impulsi e dei loro demagogici postulati.

Chamberlain, e con lui il governo britannico, ha di fatto tagliato a Birmingham i ponti di una onorevole ritirata. Forse inconsapevolmente; forse, come sovente accade nei regimi deboli, per conferire un necessario coraggio. L'approvazione popolare che egli si è assicurata in quell'occasione in Parlamento e nel Paese è stata acquistata a caro prezzo: per Chamberlain, il sacrificio della propria libertà d'azione; per il Paese, l'abbandono di quella politica di tergiversazioni che, nonostante le vociferanti manifestazioni dei vari Churchill, Sinclair, Attlee, tutto sommato rispondeva al proprio intimo sentimento.

La rassegnazione con la quale intanto il popolo britannico ha accettato la rinuncia, d'un colpo di penna, ad una delle sue più care illusioni-quella di poter combattere le guerre per procura; con gli altisonanti articoli di giornali, le esortazioni ed i finanziamenti ad altri Paesi, la resistenza passiva ed il blocco a distanza-è comunque l'indice

di una nuova mentalità che si va formando. Disperatamente attaccata alla pace, che è ragione oltre tutto della propria continuata e comoda predominanza, l 'Inghilterra sta rapidamente evolvendosi ad accettare ormai la fatalità di una guerra. Fatalità pesante ed angosciosa, anche perché nel vicolo cieco in cui ormai si è posta, la Gran Bretagna dubita molto della possibilità di una seconda «Monaco» ma che, come tutte le cose inevitabili o ritenute tali, ha conferito al Paese un senso di passiva determinazione.

Ai Comuni e fuori, l'opposizione laburista non ha trovato di meglio che attaccare le decisione del governo accusandolo di malafede e di esser venuto meno ad un impegno solennemente preso in precedenza di fronte al Paese; i liberali, ancor più debolmente, hanno portato le loro critiche sul fatto che la produzione del materiale bellico non essendo ancora sufficientemente avanzata, era quanto meno prematuro preoccuparsi del reclutamento di personale che non avrebbe di che equipaggiarsi. Ma nell'un caso che nell'altro le opposizioni non sono riuscite a conferire alle loro argomentazioni il carattere di vero e proprio convincimento, né hanno trovato il modo di camuffare l'intima contraddizione insita nella loro avversione ad una misura che è, tutto sommato, la logica conseguenza della politica estera da esse costantemente evocata e che, come il riarmo, esse saranno prima o dopo costrette a sanzionare.

627 1 T. 2186/194 R. del 27 aprile. Riportava senza commenti le dichiarazioni di Chamberlain ai Comuni del giorno precedente. Il testo di quelle dichiarazioni è in Relazioni Internazionali, pp. 349-350. 2 Non pubblicato.

627 3 Vedi D. 355, nota 3.

628

IL CONSOLE GENERALE A INNSBRUCK, ROMANO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

RAPPORTO RISERVATO 7564/253. Innsbruck, 2 maggio 1939 (perv. il 4).

Di seguito al mio rapporto n. 144 del 6 marzo u.s. 1 mi onoro riferire a V. E. sulla situazione religiosa in questa regione.

Mi viene confermato che il governo germanico, adducendo di non annettere alcuna validità al Concordato stipulato fra la S. Sede e l'Austria2 non ha voluto approvare la nomina di monsignor Rush a Vescovo di Innsbruck e Feldkirch. E difatti il Rusch, come ho già riferito, non è ancora riuscito a mettersi in contatto con le Autorità locali, non riceve sovvenzioni statali e vive modestamente di sussidi in un stanza di un pensionato per famiglie nobili decadute. Il suo nome non è stato incluso nel libro ufficiale degli indirizzi del Tirolo.

Il famoso Canisianum è stato completamente occupato da uffici pubblici e la cappella sigillata; il rettore Rev. P. Schwendemann, originario della Svizzera, è stato espulso nel termine di tre giorni per avere opposto resistenza alle Autorità e per aver

2 Concordato fra la Santa Sede e la Repubblica Austriaca del 5 giugno 1933 (testo in MARTENS, vol. XXIX, pp. 42-70).

detto che «quanto succede in Austria equivale ad eleggere il furto ad istituzione giuridica». Il seminario vescovile che trovava posto nel Canisianum è stato chiuso e gli studenti hanno dovuto far ritorno in famiglia.

La facoltà pontificia di teologia continua a funzionare in modo sempre più ridotto in uno degli edifici dell'Ordine dei Gesuiti, frequentata solo da pochi studenti germanici e da due italiani. Gli studenti stranieri sono stati invitati a consegnare i passaporti alla Polizia, che vi ha iscritto il provvedimento di espulsione e l'inibizione del reingresso nel Reich, e li ha restituiti agli interessati con l'ingiunzione di partire entro pochi giorni. Gli studenti italiani che hanno manifestato a questo R. Consolato Generale il desiderio di rimanere, hanno ottenuto, in seguito a mio intervento, il relativo permesso.

La stampa ha dato notizia che, in conformità di una legge germanica del 1921, entrata in vigore nel Land col l o marzo 1939, sono stati riformati in Austria i regolamenti relativi all'educazione religiosa dei ragazzi. L'informazione dice testualmente: «Ormai dipende dalla libera decisione dei genitori se il ragazzo deve ricevere un insegnamento religioso e in quale confessione. In caso di divergenza di opinioni decide il tribunale tutorio. Se i genitori cambiano confessione, essi hanno -in contrasto col passato-il diritto di chiedere che anche i figli abbraccino la nuova confessione, qualora essi siano in un'età fra i 7 e i 12 anni. Compiuti i 12 anni, il ragazzo può eventualmente dichiarare di conservare la sua confessione. A partire dai 14 anni il fanciullo ha pieno diritto di disporre della sua ulteriore educazione religiosa».

Con un'altra misura il governo dei Reich ha privato degli assegni statali tutti coloro che impartiscono l'insegnamento religioso nelle scuole.

Tutti questi provvedimenti, come ho avuto occasione di riferire altre volte, mirano a svellere le profonde radici della Chiesa cattolica in questo Paese, premendo sopratutto sui ragazzi, i quali, se sottratti ad influenze familiari e del clero fino al momento della ragione, sono completamente guadagnati alle direttive naziste in materia.

Finora, stando a dichiarazioni ufficiali, sono state chiuse nel Tirolo 34 scuole contèssionali. Ciò prova che il Gauleiter Hofer ha mantenuto la promessa fatta l'anno scorso di liberare questa regione da ogni influenza ecclesiastica prima del 20 aprile 1939, compleanno del Fiihrer. Egli del resto non tralascia occasione per ribadire la sua netta attitudine in materia. Recentemente, in una seduta della Lega degli Insegnanti, si è espresso in termini vivaci contro il clero e la Chiesa. In un articolo dedicato al primo anniversario dell' Anschluss e pubblicato sulle Innsbrucker Nachrichten, organo ufficiale del Partito, ha fatto ancora una volta ammonire la cricca clericale che dovrà rassegnarsi a scomparire.

Continuano le pressioni verso gli organizzati e verso i dipendenti statali perché abbandonino la religione cattolica. Ora è anche la volta di molti pensionati che manifestano troppo apertamente i loro sentimenti religiosi: a costoro, secondo i casi, viene decurtata la pensione di un terzo, di un quarto, ecc., senza alcuna spiegazione.

Recentemente il parroco di Gotzens, un villaggio tirolese, consigliò una ragazza a rinunziare al matrimonio da lei progettato con un divorziato, avvertendola che la Chiesa non poteva riconoscere, perché in contrasto col diritto canonico, la sentenza di divorzio qui ottenuta dal fidanzato e che pertanto egli non avrebbe potuto celebrare un nuovo matrimonio religioso. Venuto il fatto a conoscenza delle Autorità il parroco venne arrestato «per reato contro l'incremento demografico della Nazione» ed alcuni giorni fa è stato inviato al campo di concentramento a Dachau.

Una constatazione si impone peraltro a chi osservi e segua questo aspetto della vita tirolese: la Chiesa, attraverso i suoi organi, assiste impassibile all'attuazione dei mille espedienti accuratamente studiati per annientarla e guarda con soddisfazione alla sostanziale inanità di questi sforzi che cozzano contro la incrollabile sua esistenza. Ed in tale atteggiamento attingono fiducia e coraggio i credenti, i quali in ogni occasione manifestano la loro fede, come, ad esempio, è avvenuto a Pasqua, allorché le chiese rigurgitavano di fedeli di ogni sesso ed età.

628 1 Riferiva che la stampa locale aveva dato scarsissimo rilievo all'elezione di Pio XII ma che era diffusa la speranza che, grazie all'abilità di negoziatore da lui dimostrata in passato, il nuovo Pontefice riuscisse a risolvere, almeno in parte, i problemi della Chiesa di fronte allo Stato nazista.

629

IL MINISTRO A BELGRADO, INDELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 2343/021 R. Belgrado, 3 maggio 1939 (perv. il 5).

Il fatto che l'accordo fra Cvetkovié e Macek, contrariamente alle prime previsioni, non è stato ancora pubblicato, ha dato luogo a molte e contraddittorie ipotesi. Negli ambienti serbi più contrari alla realizzazione dell'accordo, e in modo speciale in quelli dei partiti di opposizione che si erano associati a Macek per la campagna elettorale e che si dimostrano ora i più ostili, si è parlato addirittura di un naufragio delle trattative.

In realtà sembra che un accordo, in via personale, sia stato già raggiunto fra Macek e Cvetkovié e che si sia ora entrati nella fase della traduzione della materia dell'accordo nelle misure legislative necessarie. Sembra anche che la questione della delimitazione delle circoscrizioni territoriali sia rimasta in sospeso e sia ora quella per la quale si incontrano le maggiori difficoltà. I croati hanno avanzato richieste che tendono ad includere la Bosnia Erzegovina nel nuovo territorio al quale dovrebbe essere data ampia autonomia provinciale amministrativa, senza tuttavia giungere alla realizzazione dello Stato federale; alternativamente, qualora cioè la Bosnia dovesse rimanere come corpo amministrativo autonomo, distinto dalla Croazia e dalla Serbia, hanno chiesto che il territorio croato includa tutto lo Srem fino a Zemun, cioè alle porte di Belgrado.

Queste richieste hanno suscitato molta opposizione, sopratutto negli ambienti dello Stato Maggiore, il quale si preoccupa naturalmente, che la nuova delimitazione delle frontiere provinciali possa costituire un precedente pericoloso e, per così dire, il punto di possibile frattura, qualora le circostanze dovessero un giorno portare alla separazione della Croazia dallo Stato jugoslavo. Se l'opposizione dello Stato Maggiore dovesse persistere senza possibilità di trovare un compromesso, si parla di lasciar cadere il generale Nedié attuale ministro della Guerra, il quale non entrerebbe così nel nuovo Gabinetto che dovrebbe essere costituito all'indomani dell'accordo.

Comunque, i contatti fra Belgrado e Zagabria continuano attivamente in vista di un'intesa completa, la cui realizzazione del resto si impone per ovvie ragioni nell'attuale situazione internazionale.

630.

L'INCARICATO D'AFFARI AD ANKARA, BERlO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 2435/061 R. Ankara, 3 maggio 1939 (perv. iliO). Mio telespresso n. 821/441 del l o maggio1•

Ho visto due volte in questi giorni il nuovo ambasciatore di Germania, von Papen. La prima volta il primo maggio ad un pranzo presso il consigliere dell'ambasciata di Germania e la seconda volta oggi facendogli la visita ufficiale d'uso. Mi ha parlato in modo aperto e cordiale manifestando il desiderio di tenersi in stretto contatto con la R. Ambasciata. In ambedue i colloqui ha insistito sui rapporti tra l'Asse e la Turchia e oggi mi ha pregato di portare a conoscenza di V.E. alcune sue impressioni raccolte durante i primi contatti con i dirigenti turchi. Riassumo qui di seguito il suo pensiero:

Tanto il Presidente della Repubblica, lnonli, quanto il ministro degli Esteri, Saracoglu, gli hanno manifestato le più vive apprensioni circa la politica italiana nei Balcani. Secondo von Papen, i turchi hanno timore della Germania per la sua spinta verso il Sud Est ma più di tutto temono l'Italia. Saracoglu gli ha fatto la storia delle relazioni fra i due Paesi, ricordando che nel passato, e per ultimo durante la guerra etiopica, la Turchia aveva mobilitato tre volte per premunirsi da temuti attacchi italiani; ha insistito sul pericolo che rappresentano per la Turchia le isole italiane nell'Egeo e per ultimo gli ha parlato de Il' Albania dove, sempre secondo Saracoglu, l'Italia avrebbe portato il primitivo effettivo di occupazione composto di 20.000 uomini a

70.000. Il governo turco non sa spiegarsi le ragioni di questo asserito aumento di effettivi e teme che sia disegno dell'Italia servirsene per un'azione di sorpresa verso l'Egeo attraverso la Grecia, la quale non sarebbe in grado di opporre resistenza. Di qui la paventata minaccia sugli Stretti e l'Asia Minore.

Von Papen teme che i turchi si lascino trascinare nel fronte antitotalitario promosso dalla Gran Bretagna. Ad evitare ciò egli ha fatto a questo governo le dichiarazioni più esplicite rassicurandolo delle intenzioni assolutamente pacifiche della Germania e cercando di dissuaderlo in tutti i modi dall'impegnarsi su di una strada compromettente e pericolosa. «La vostra maggior sicurezza è la neutralità» egli ha detto e ripetuto; ma gli allarmi turchi verso l'Italia, che gli sono stati manifestati in forma cosi esplicita, fanno temere che questo Paese possa lasciarsi prendere dal panico. Egli si permetteva quindi di far presente se non fosse consigliabile un gesto da parte italiana che, mediante assicurazioni al governo turco, servisse a calmare le apprensioni di questo Paese e pertanto lo incoraggiasse a resistere alle pressioni britanniche.

Ho detto a von Papen che avrei riferito a V.E. il nostro colloquio. Non ho mancato tuttavia di fargli notare come tutto ciò fosse dovuto all'estrema suscettibilità e diffidenza turca e ali' attività sobillatrice delle cosiddette democrazie.

630 1 Riferiva che la nomina di von Papen ad ambasciatore di Germania -che in precedenza il governo turco aveva mostrato di non gradire -era accolta con qualche riserva da alcuni settori della stampa turca, i quali invitavano il nuovo rappresentante germanico a non dimenticare che la Turchia attuale era molto diversa da quella che lui aveva conosciuto nel 1917, quando aveva combattuto agli ordini di Gema! Pascià.

631

L'INCARICATO D'AFFARI AD ANKARA, BERlO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 2434/063 R. Ankara, 3 maggio 1939 (perv. iliO).

Telegramma per corriere di questa ambasciata n. 050 del 22 aprile 1•

Si nota da qualche tempo su questa stampa -evidentemente per istruzioni superiori -un assoluto riserbo per quanto riguarda le questioni inerenti alla Siria. Questo atteggiamento fa contrasto con la campagna di fiancheggiamento alle rivendicazioni turche in Siria condotta sui giornali fino ad alcune settimane fa e lascia supporre che da parte turca si sia effettivamente rinunciato -almeno per ora -alle aspirazioni su Aleppo e si tenda evitare che le conversazioni con la Francia possano essere turbate da inopportuni interventi di stampa.

A questa ambasciata di Francia lo stato attuale delle conversazioni viene precisato come segue:

l) può ritenersi acquisito che l 'Hatay sarà incorporato alla Turchia. Si tratta solo di scegliere il momento e di trovare una formula giuridica adatta. (Il capo dell 'Hatay, Tayfur Sokmen, è stato nei giorni scorsi ad Ankara, e, dopo essere stato ricevuto da Inonii, ha dichiarato alla stampa che «pur essendo per formalità il Capo dello Stato dell'Hatay, non sono, in realtà, che un semplice funzionario inviato per applicarvi e eseguirvi gli ordini del capo eterno Atatiirk e del Presidente Inonii» );

2) si esclude che la Francia sia disposta a fare concessioni su Aleppo;

3) il trattato di garanzia delle frontiere hatayane2 dovrà essere sostituito da un nuovo trattato concernente le frontiere che risulteranno dall'annessione alla Turchia dell'Hatay. Questo nuovo trattato sarà perfezionato e reso noto allorché le «circostanze generali» lo consiglieranno. (Ciò confermerebbe che il complesso della questione siriana viene inquadrato nelle conversazioni generali in corso tra la Turchia e altri Paesi).

Frattanto, reduce dall'Iran dove ha rappresentato la Francia alle nozze del Principe ereditario, il generale Weygand è qui giunto il l o maggio e ripartirà stasera 3 maggio. Fra i rituali festeggiamenti e visite ufficiali che hanno avuto luogo in questa occasione, vengono qui messi in particolare rilievo la visita a Inonii e i colloqui con il

2 Trattato tra Francia e Turchia di garanzia dell'integrità territoriale del Sangiaccato di Alessandretta del 29 maggio 1937. Testo in MARTENS, vol. XXXVI, pp. 654-656.

capo di Stato Maggiore, Fevzi çakmak. Non si ha alcuna informazione circa gli scopi precisi del viaggio del Weygand: in questi circoli diplomatici si ricorda che egli fu a suo tempo Alto Commissario francese in Siria e si tende a ritenere che l'attuale visita voglia sopratutto essere un gesto generico di cortesia destinato a rafforzare i rapporti turco-francesi ed a facilitare le conversazioni in corso.

631 1 T. per corriere 2274/050 R. del 22 aprile, con cui l'ambasciatore De Peppo aveva comunicato che, secondo fonti attendibili, la Turchia aveva accettato di concedere alla Francia la garanzia di tutte le frontiere siriane in cambio della cessione dell'Hatay e della garanzia dei suoi porti, ciò che, evidentemente, per il momento pregiudicava le aspirazioni turche su Aleppo.

632

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. SEGRETO 3345/1031. Berlino, 3 maggio 1939 1•

Mentre l'altro giorno ho riferito alla E.V. le notizie del Conte Teleki2 completamente rassicuranti per quanto riguarda le intenzioni attuali della Germania nei riguardi polacchi, devo registrare oggi una voce che sembrerebbe andare in senso contrario.

L'Ambasciatore di Spagna, Marchese de Magaz, mi dice infatti di aver visto ieri Ribbentrop il quale, parlando della situazione generale e delle conquiste fatte dalla Germania in questi ultimi tempi, gli aveva detto che fra qualche mese -se non fra qualche settimana -Magaz avrebbe assistito ad «un nuovo sbalzo in avanti della Germania». e ciò senza che. né Francia. né Inghilterra avessero avuto tempo di mobilitare un sol uomo. etc.

Dopo aver riportato-per debito di uftìcio-l'informazione, devo peraltro aggiungere che io non vi annetto soverchia importanza. Nella bocca di Ribbentrop frasi simili sono consuete e rappresentano ormai quasi dei «modi di dire». La cosa può essere interessante solo in quanto dimostra che la testa di Ribbentrop lavora sempre in una stessa direzione. D'altra parte. Ribbentrop è in questo momento assai stanco e vive in uno stato di eccitazione nervosa che lo porta spesso a frasi lampeggianti, tantoché i suoi più intimi e gli stessi familiari non fanno che raccomandargli un po' di riposo

Comunque, per tornare alla Polonia, posso aggiungere che l'atmosfera si mantiene sufficientemente carica di elettricità. anche perché è la stessa opinione pubblica tedesca che -nel caso speciale -spinge alla azione.

Oggi, in un tea di signore si annunziava senz'altro che le truppe tedesche stavano entrando nel Corridoio e sarebbero arrivate a Danzica domani. Si tratta, naturalmente, di una fandonia, anch'essa, però, indicativa così della tensione come delle aspettazioni3 .

633.

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, ClANO

TELESPR. 3346/1032. Berlino. 3 maggio 19391•

Ho già telegrafato all'E.V. 2 che da parte tedesca è stato testé offerto, così ai Paesi Baltici come a quelli scandinavi, un patto di non aggressione.

Questa mane ho visto in proposito il ministro di Estonia3 , il quale mi ha confermato la cosa, aggiungendo anche che effettivamente, se un'iniziativa c'è stata. essa è venuta da parte del! 'Estonia e della Lettonia.

Il testo del patto, quale è stato ieri consegnato ai ministri interessati, è semplicissimo e si compone di soli due articoli, di cui il primo stipula l'obbligo a) di non ricorso alla guerra per tutte le questioni che possano sorgere fra le parti contraenti e b) di neutralità in caso di guerra in cui uno dei due contraenti sia impegnato con un Paese terzo. Il secondo articolo si riferisce solamente alle ratifiche.

È da attendersi che Estonia e Lettonia accetteranno senz'altro il trattato, sotto riserva forse di fare constatare in un apposito protocollo che così l 'Estonia come la Lettonia sono legate fra di loro da un vincolo di alleanza. La cosa sarà tanto più facile, in quanto si prevede una firma simultanea dei due patti, da avvenire a Berlino, dove i ministri degli Esteri dei due Paesi Baltici interessati si recherebbero su invito di Ribbentrop. È previsto che tutto ciò possa accadere nel giro di un paio di settimane e anche prima.

Nel caso della Lettonia è anche da prevedere che, simultaneamente al trattato, si arrivi ad un accordo sul trattamento delle minoranze, dato che il numero dei tedeschi in Lettonia, e specialmente a Riga, non è trascurabile.

Nell'occasione, ho discusso col ministro di Estonia la nuova situazione creata per i Paesi Baltici dal conflitto polono-tedesco. Il ministro ha osservato in proposito che la Polonia rappresentava per i Paesi Baltici un elemento di primaria importanza nei limiti in cui essa, trovandosi in amichevoli rapporti con la Germania, potesse avere un buon numero di divisioni da opporre ad un'eventuale aggressione russa contro i Paesi Baltici. Ora questa situazione è completamente cambiata e da una parte la Polonia sarà costretta ad immobilizzare tutte le sue forze per la difesa della sua frontiera occidentale, dall'altra si delinea la possibilità di una intesa fra la Polonia e la Russia sovietica. In queste condizioni i Paesi Baltici preferiscono appoggiarsi alla Germania. donde l'idea-dovuta ripeto alla stessa Lettonia ed Estonia-della stipulazione di un patto di non aggressione e di neutralità con il Reich tedesco.

2 Con T. 2240/273 R. del l o maggio, l'ambasciatore Attolico aveva riferito di essere stato messo al corrente da von Ribbentrop della richiesta avanzata alcuni giorni prima da Estonia e Lettonia di avere una garanzia analoga a quella che la Germania aveva accordato alla Lituania. Hitler aveva deciso in senso affermativo e da lì era nata l'idea di estendere l'offerta a Danimarca, Finlandia, Norvegia e Svezia.

3 Karl Tofer.

Queste reazioni baltiche mi sembrano molto interessanti e costituiscono un primo, utile risultato dei tentativi anglo-francesi per far tornare in Europa la Russia Sovietica.

Nulla si sa ancora circa le reazioni dei Paesi Scandinavi i quali appaiono peraltro, per il momento, un po' imbarazzati4 .

632 1 Manca l 'indicazione della data di arrivo. 2 Vedi D. 622. 3 Il documento ha il visto di Mussolini.

633 1 Manca l'indicazione della data di arrivo.

634

IL MINISTRO A LISBONA, MAMELI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 1588/533. Lisbona, 3 maggio 1939 (perv. il 6).

Mio telespresso n. 773/262 in data 9 marzo u.s. 1•

Questo Ambasciatore di Spagna, Nicolas Franco, mi ha detto di essere ritornato in questi giorni, durante una conversazione con il Segretario Generale del Ministero degli Affari Esteri, sull'argomento dell'attuale politica estera britannica.

Egli ha posto nuovamente in guardia il diretto collaboratore del Presidente Salazar sui pericoli e le incognite dell'attuale carattere «bellicoso» di tale politica anche per il Portogallo. Ho chiesto ad abundantiam quale fosse stata l'impressione prodotta da tale nuovo avvertimento. Mi ha risposto che l'Ambasciatore Sampayo era rimasto ancora una volta perplesso e con parecchi «se» e non pochi «ma», aveva sostanzialmente ammesso tali pericoli e tali incognite.

L'azione di Nicolas Franco è tanto più notevole in quanto non solo indica o conferma una importante tendenza del governo Nazionale, ma manifesta assieme ad altri indizi minori una presa di posizione di carattere politico da parte della Spagna nei riguardi di questo Paese.

Era prevedibile ed è stato facilmente preveduto che con l'affermarsi del trionfo delle armi nazionali, il Portogallo si sarebbe preoccupato della nazione vicina vittoriosa e potente. Tale concetto in uno dei suoi aspetti spinto all'estremo con l'esagerazione dei fenomeni del cosidetto «iberismo» è stato nei giorni scorsi ampiamente sfruttato con rumori assurdi anche sulla concentrazione dei nostri legionari alla frontiera portoghese tentando di far apparire la minaccia territoriale imminente, e spingere il Portogallo alla mobilitazione. (Mi riferisco al carteggio ed alla nostra azione in proposito)2• Sono attuali le manifestazioni di uno dei conosciuti sostenitori portoghe

L'ambasciatore Attolico comunicava successivamente (con T. per corriere 2573/073 R. del 17 maggio) che, mentre le trattative con Estonia e Lettonia procedevano in modo favorevole, tra gli altri Paesi solo la Danimarca sembrava propensa ad accettare l'offerta della Germania, mentre la Finlandia, in un primo momento orientata positivamente, ne era trattenuta dalla Svezia con cui desiderava procedere all'accordo.

2 Vedi DD. 559 e 575.

si della causa nazionale spagnuola: il capitano Moniz, di cui segnalo gli articoli con il rapporto n. 1585/522 in data odierna3 .

D'altra parte, la Spagna non può non preoccuparsi dello Stato limitrofo, alleato dell'Inghilterra, che, come settore atlantico e mediterraneo, assume una preminenza di scacchiere politico-militare di primo piano ogni giorno più evidente. Mediterraneo in quanto l'importanza delle eventuali basi di Lagos e di tutta la costa da Capo San Vincente al confine spagnuolo verso lo stretto, aumenta in proporzione al diminuire del valore di Gibilterra. Gli avvenimenti politico-militari che sottolineano tale situazione sono in questi giorni la visita della squadra tedesca, affrettatamente ed improvvisamente preceduta da quella di una divisione navale francese.

L'insistenza dell'Ambasciatore di Spagna mostra che il governo Nazionale sente la necessità che invero è evidente, di attrarre questo settore ne li' orbita della sua politica. Lo sforzo, che urta evidentemente e principalmente contro l'alleanza britannica, segna già varie tappe, tra cui le più notevoli sono il trattato di amicizia e non aggressione luso-spagnuolo4 e l'adesione della Spagna al Patto Anticomintern 5 .

È uno sforzo di cui sarebbe errore non valutare le difficoltà, come d'altra parte occorre ricordare che l'antica e tradizionale alleanza è stata oggi posta da Salazar su piede di parità, do ut des, e sotto molti aspetti non poco pesa a molti portoghesi e non poco li intimorisce nell'ipotesi di conflitto. In ogni caso, da molti sintomi è da registrare che lo sforzo è in atto.

L'azione spagnuola dovrebbe evitare qualunque eccesso del cosidetto «iberismo», che possa essere fatto apparire come minaccia all'integrità ed indipendenza portoghesi. Ciò provocherebbe una reazione immediata e vastissima. Ma in quanto tenda ad attrarre il Portogallo a gravitare n eli' orbita della sua politica e quindi ad avvicinarlo a noi, mi sembra che l'azione della Spagna meriti di essere da parte nostra incoraggiata ed appoggiata.

633 4 Il documento ha il visto di Mussolini.

634 1 Vedi D. 265.

635

IL MINISTRO AD ATENE, GRAZZI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 3085/468. Atene, 3 maggio 1939 (perv. ili0?).

A qualche settimana di distanza dagli avvenimenti che hanno culminato con lo sbarco delle nostre truppe in Albania e la proclamazione colà del nuovo regime, ritengo doveroso riassumere e prospettare sinteticamente all'Eccellenza Vostra le ripercussioni che la nostra azione ha determinato sia nell'opinione pubblica, sia negli ambienti ufficiali della Grecia.

4 Del12-17 marzo precedente. Vedi D. 374.

5 Del 27 marzo precedente. Vedi D. 346, nota 3.

Devo subito dire che. mentre la prima ha reagito ostilmente. per un complesso di ragioni che cercherò brevemente di esporre. il contegno delle Autorità e. in primo. luogo. quello del governo centrale. è stato non solo corretto. ma amichevole. Di entrambi gli atteggiamenti non solo ho potuto rendermi conto personalmente ma ho avuto anche esplicita conferma da quanto in proposito hanno riferito, con rapporti diretti anche a codesto Ministero, i dipendenti RR. Uffici Consolari.

Non mi dilungo su quelle ragioni di ordine storico e psicologico per le quali l'opinione pubblica media in Grecia, è stata sempre piuttosto ostile al nostro Paese e diffidente verso le sue manifestazioni sopratutto espansionistiche, ragioni abilmente sfruttate dalla propaganda franco-britannica. Esse hanno, peraltro, senza dubbio contribuito a dar credito alle note voci di mire aggressive italiane in Epiro e a Corfù e a generare quell'atmosfera di freddezza verso gli italiani e di allarme per le possibili conseguenze della nostra azione in Albania, risentite specialmente alla periferia ove minore è il controllo degli organi di governo e la loro opera giunge naturalmente sfasata rispetto agli avvenimenti. Ma anche a prescindere da tali voci -a stroncare le quali vennero così opportune le dichiarazioni che Vostra Eccellenza fece fare al presidente Metaxas 1 che qui ebbero la più grande risonanza-è facilmente spiegabile l'allarme dell'opinione pubblica di un Paese sulla cui lunghissima e quasi aperta frontiera settentrionale, ove già pesano le note rivendicazioni bulgare verso la Tracia e le latenti aspirazioni jugoslave verso la Macedonia, viene a gravare anche la forza di una Grande Potenza.

Quando a ciò si aggiunga l'ostilità degli elementi venizelisti-che se pur rappresentano soltanto il residuo di una casta politica già potentissima conservano sempre un notevole seguito -verso il regime totalitario di Metaxas e il loro interesse a servirsi di ogni motivo per gettare i bastoni fra le ruote dell'attuale governo e quindi, nel caso dell'Albania, a seminare il panico e a creare difficoltà al presidente del Consiglio, si avrà un quadro approssimativamente esatto per quanto sommario delle ripercussioni su quest'opinione pubblica della nostra azione in Albania.

A riscontro di tale ostilità, è doveroso invece rilevare l'atteggiamento più che corretto di questo governo e (dopo un primo breve periodo d'incertezze) delle Autorità periferiche nonché di alcune correnti più sane, atteggiamento dettato del resto in gran parte dalle stesse preoccupazioni di cui sopra, ma inspirato a una visione più intelligente, più realistica e più serena della situazione presente e futura.

Di tale atteggiamento si è avuta e si continua ad avere conferma nei quotidiani contatti che questa R. Legazione ha dovuto e deve tenere con queste Autorità in relazione alle varie questioni nate successivamente alla nostra occupazione dell'Albania, su cui non si è mancato di tenere opportunamente informata l'Eccellenza Vostra2 .

2 Il documento ha il visto di Mussolini.

636.

NOTA DI EDIZIONE

Il ministro degli Esteri romeno, Gafencu, fu in visita a Roma dal 30 aprile al 3 maggio ed ebbe dei colloqui con Mussolini e con Ciano. Su tali colloqui non è stata trovata documentazione negli archivi italiani. Nel Diario di Ciano vi sono, in proposito, le seguenti annotazioni:

30 aprile. «Primo colloquio con Gafencu. È un uomo simpatico, un po' timido, abbastanza acuto. Facciamo il cosidetto giro di orizzonte. Non nascondo il nostro disappunto per aver la Romania accettato la garanzia britannica. A che potrebbe praticamente servire se Ungheria e Bulgaria attaccassero? Parla delle relazioni con Budapest e sottolinea l 'intransigenza irragionevole dei magiari. Su questo punto son d'accordo con lui: gli ungheresi hanno sempre una protervia assurda. Anche il loro atteggiamento nei nostri confronti non mi piace, si degnano di accettare quei tàvori che hanno sollecitato. Gafencu parla anche delle nostre relazioni con la Francia: è al corrente del mio ultimo colloquio con François-Poncet. Dice che la tendenza di Bonnet sarebbe per la conciliazione; quella di Léger per attendere che noi si prenda l'iniziativa. Attenderanno a lungo>>.

l o maggio. «Gafencu è ricevuto dal Capo. Il colloquio ha un inizio piuttosto freddo. Mussolini, nel fondo è prevenuto contro i romeni che disprezza come soldati. Poi si lascia trascinare dal suo amore di discussione e di polemica. Critica in modo aperto l'accettazione romena della garanzia britannica: in tal modo la Romania assume il ruolo di Paese protetto. Gafencu spiega le ragioni che lo hanno indotto ad accettarla: sopratutto la pressione dell'opinione pubblica preoccupata delle affermazioni territoriali tedesche sulla base della teoria dello "spazio vitale". Continua il giro di orizzonte: niente di particolarmente interessante».

2 maggio. «Ultimo colloquio con Gafencu. Abbiamo decisamente simpatizzato. Mi invita a Bucarest per ottobre. Va bene, in massima, ma non c'è il caso che di qui a ottobre molti progetti debbano essere sottoposti a revisione per causa di forza maggiore?»

Indicazioni molto più ampie sul contenuto di questi colloqui si hanno dai ricordi di Gafencu (Derniers jours de l'Europe. Un voyage diplomatique en 1939, Friburgo, 1946, pp. 170 e 172-186), dai quali risulta che Gafencu, proveniente da Parigi dove si era incontrato con Bonnet, era stato incaricato dal ministro degli Esteri francese di recare un messaggio a Roma: «Dovevo dire a Ciano che mi era sembrato che il governo francese non si sarebbe rifiutato di metter fine alla tensione che opponeva la Francia all'Italia e di fargli osservare che, considerata la situazione generale nel Mediterraneo con la concentrazione di una flotta anglo-francese la cui superiorità numerica era evidente, l'Italia aveva tutto l'interesse ad unirsi alle Potenze occidentali. Gli ultimi "suggerimenti" del governo italiano riferiti dall'ambasciatore di Francia rafforzavano la convinzione che era possibile un accordo immediato; si sperava dunque a Parigi che il governo di Mussolini avrebbe moderato le violenze della stampa fascista perché nulla ritardasse la conclusione di un accordo. Il «messaggio» fu riferito da Gafencu direttamente a Musso lini nel colloquio del l 0 maggio. Mussolini rispose: «Le difficoltà che esistono tra l'Italia e la Francia sono serie ma non gravi. Queste difficoltà sono di ordine coloniale e non di ordine territoriale. Non è per esse che noi faremo la guerra».

Sull'atteggiamento nei confronti del ministro Gafencu da parte italiana poté influire il fatto che il Servizio Informazioni Militare (S.l.M.) era venuto in possesso di una copia (conservata nelle carte di Gabinetto) dei documenti britannici sui colloqui avuti dal ministro romeno con Chamberlain e con Lord Halifax durante la sua visita a Londra del24-26 aprile. I documenti sono pubblicati in BD, vol.V, DD. 278, 279, 285 e 295.

634 3 Non pubblicato.

635 1 Vedi D. 512.

637

IL SOTTOSEGRETARIO DI STATO ALLA MARINA, CAVAGNARI, AL COMANDANTE IN CAPO DELLA MARINA TEDESCA, RAEDER

LETTERA 1• Roma, 3 maggio 1939.

Gli Ammiragli Salza e De Courten, di ritorno dalla loro recente missione in Germania2 in occasione del 50° genetliaco del Fiihrer del Reich, mi hanno riferito le cortesi espressioni, con le quali avete manifestato il desiderio di uno scambio di vedute fra le nostre due Marine su problemi relativi ad una reciproca collaborazione nelle questioni di maggiore attualità.

Convinto della opportunità di dare più ampio sviluppo alle direttive di cooperazione già in atto per alcuni settori, sono lieto di comunicarVi che anche la Marina Italiana è pronta a dare seguito alle progettate conversazioni e che, a questo scopo, volentieri conferirei con Voi, signor Grande Ammiraglio, nell'epoca e nella località che Vi prego volermi indicare di larga massima.

Per evitare un eccessivo allontanamento dalle rispettive sedi di servizio, Vi prospetto l'opportunità di scegliere all'uopo una località della Germania del Sud o dell'Alta Italia.

Riterrei anche conveniente che, per una migliore preparazione degli elementi di discussione, la Marina tedesca indicasse in linea di massima gli argomenti che essa gradirebbe fossero posti all'ordine del giorno3 .

2 Nella relazione sulla sua missione, l'ammiraglio Salza aveva osservato che negli incontri iniziali non era stato fatto alcun accenno da parte tedesca all'eventualità di successivi contatti con la Marina italiana. La delegazione era stata poi ricevuta da Hitler, il quale aveva ripetuto «l'assicurazione che la Germania sarebbe stata al fianco dell'Italia in ogni circostanza» ed aveva espresso la sua soddisfazione per l'incontro avvenuto tra i generali Keitel e Pariani. Ma l'ammiraglio Raeder non aveva dato seguito alle parole del Fiihrer, dando così l'impressione «che non si desiderasse uno scambio di idee su questioni concrete o che si preferisse attendere un approccio da parte italiana», cosa-precisava l'ammiraglio Salza-«che io avevo istruzione di evitare». Solo al momento della visita di congedo, l'ammiraglio Raeder, facendo riferimento alle parole di Hitler, aveva detto «che la Marina tedesca era pronta a iniziare colloqui sulla reciproca collaborazione e che avrebbe volentieri conferito in merito con S.E. Cavagnari» (l'ammiraglio Salza al sottosegretario alla Marina, Cavagnari, relazione del 24 aprile).

3 Il Grande Ammiraglio rispondeva con lettera del 17 maggio proponendo un incontro a Friedrichshaven sul lago di Costanza che poi si conveniva dovesse avvenire il 20-21 giugno. Su tale incontro si veda la relazione dell'ammiraglio Cavagnari nella serie ottava, vol. Xlll, appendice IV e da parte tedesca i documenti pubblicati in DDT. vol. VI, appendice l, DD. XII, Xlii e XIV.

637 1 Il documento è tratto dall'Archivio dell'Ufficio Storico dello Stato Maggiore della Marina.

638

IL MARCHESE DE BOMBELLES AL DOTTOR PAVELIÉ

LETTERA. Roma, 3 maggio 1939.

È durato più del previsto finché ecco posso di nuovo scrivervi, e ciò perché il Conte è stato molto occupato, motivo per cui mi è stato difficile avvicinarlo. Ho dovuto poi rimanere qui fino ad oggi perché prima non ho potuto avere la risposta decisiva. Ecco come si è svolta la faccenda.

Quasi subito dopo il nostro colloquio sono stato con lui per la prima volta. Mi ha ricevuto cordialmente dicendo: «Ebbene, siete soddisfatti?». Io in un primo momento non capivo nemmeno a che cosa ciò possa attribuirsi -tanto più che ero preoccupato dell'allora già preannunciato incontro di Venezia2 -ed egli allora mi dice «La nostra occupazione de li' Albania è un colpo terribile per Belgrado ed ora la questione croata certamente maturerà presto». Ha ascoltato con interesse quando gli ho raccontato di casa e di Voi dicendomi che mi prega in tutti i modi di restare fino al suo ritorno da Venezia, che allora forse potrà dirmi di più. Ha aggiunto che cercherà comunque da Belgrado perché si assoggetti completamente ali'Asse, altrimenti li abbandonerà. Io gli ho subito accennato che nel primo caso egli deve nel proprio interesse insistere sulla completa risoluzione della questione croata, altrimenti non gli giova il collaboratore. Egli ha afferrato subito e con ciò ci siamo separati.

Dopo il suo ritorno l'ho veduto solo per il momento mentre si scusava di non aver tempo perché come sappiamo ha degli svariati ospiti. Ieri finalmente ho avuto con lui un lungo colloquio3 , che mi ha alquanto seccato, naturalmente e soprattutto perché anch'io stesso, come tutti noi, sono un po' impaziente.

Mi ha domandato come sta l'affare dell'accordo. Quando io gli ho detto che egli dovrebbe saperlo meglio, mi ha detto che non sa nulla, ma che sente soltanto che Vladko4 dovrebbe diventare il successore di Cvetkovié quale presidente. Gli pare che da noi sia tutto in accordo e in «dolce jubilo», così con questi dati e fino a che non saprà esattamente di che si tratta non potrà decidersi a mutare la sua passività. Belgrado -egli accentua-si comporta vis-à-vis all'Asse del tutto correttamente, ha aggiunto sorridendo, naturalmente non può diversamente, e quindi ripete quanto mi aveva detto ancora prima: «Noi (Italiani) non prenderemo alcuna iniziativa nella questione serbo-croata, però se il fosso tra Belgrado e Zagabria diventasse più profondo

2 Tra Ciano e Cincar-Markovié del 22-23 aprile (vedi D. 593).

3 Su questo colloquio vi è la seguente annotazione nel Diario di Ciano sotto la data del 2 maggio: «Ricevo Bombelles. Dopo quanto è avvenuto con la Jugoslavia, non intendiamo svolgere azione di sorta che possa indebolime la compagine statale. D'altro lato, non si sa bene quello che i croati fanno. Sembra che l'accordo coi serbi sia stato raggiunto. Quindi ho confermato in pieno quanto avevo detto nei precedenti colloqui circa il nostro attivo interesse alle sorti della Croazia ma ho detto che per il momento non intendevo fare niente».

4 Vladko Macek.

e si arrivasse al fitto, specialmente se i croati ci chiamassero, beh, anche se non ci chiamassero proprio direttamente, noi interverremmo, perché non possiamo permettere che chiunque altro intervenga, né tampoco che ai nostri contini si battano. Se voi rompete tutto con Belgrado noi siamo con voi subito e completamente».

Questo, in una forma simile, mi ha ripetuto tre volte, sempre accentuando che vogliamo il loro aiuto l'iniziativa deve scaturire da noi, ed essi ciò subito saluteranno ed accoglieranno. Però naturalmente -egli dice -che se Vladko diventa il presidente dei ministri jugoslavo, noi non possiamo né fare la propaganda, né altro per deviare la faccenda dal punto morto.

Tale atteggiamento essi hanno assunto, come ho potuto intuire, dopo l'altra deliberazione con Musa KesedzijaS, che sarebbe uno dei motivi pei quali ho atteso così a lungo.

Comunque ora prima vedrò che cosa dice Vladko e se il suo programma è sempre quello di staccarsi da Belgrado, non tenendo conto de !l'accordo, oppure se è forse soddisfatto ed ha abbandonato l'idea dello scioglimento del governo. E come appare quest'accordo lo vedrò subito.

Questo comunicherò subito al Conte, col quale ora posso corrispondere senza pericolo.

Se Vladko considera quest'accordo solo come una tappa allora la faccenda è in ordine e dobbiamo solo attendere che la stessa maturi. Ma che cosa se non lo è? Possiamo pro e contro Vladko affrontare la situazione che qui desiderano per poter intervenire in nostro favore? E come e quando. Ciò forse lo vedremo già quando vengo la prossima volta in Italia e verrò subito nuovamente da Voi per comunicare. Come Vi ho detto la volta scorsa, io avevo anche prima del nostro incontro riportato per iscritto tutte le parti deboli di Vladko e dei suoi collaboratori accentuando che egli non deve essere sempre l'incarnazione di tutte le aspirazioni del popolo croato. Ma poiché qui hanno la testa piena di un'infinità di altri affari, ciò non gli ha forse suscitato il concetto desiderato, per cui penso che sarebbe molto bene se Voi aveste la possibilità, specialmente in caso che Vladko lasciasse la nostra linea avvicinandosi a Belgrado, di informare anche da parte vostra M usa Kesedzija nel senso simile.

Probabilmente fra qualche settimana sarò nuovamente qui e mi rallegro di poter nuovamente conversare con voi e spero che le notizie che vi porterò saranno migliori, per quanto momentaneamente temo.

PS. Prego non dimenticate di dare a casa il consiglio che Mko e Mile si pacifichino e stringano le file. Denari naturalmente qui non ne ho ricevuti.

638 1 Sul documento vi è questa annotazione: «Lettera rimessa da Bombelles per la consegna a Pavelié e che Conti dietro conformi istruzioni non ha consegnato».

638 5 Pseudonimo dato a Mussolini.

639

L'AMBASCIATORE A TOKIO, AURITI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. S.N .D. 2320/315 R. e S.N. D. 2322/316 R. Tokio, 4 maggio 1939, ore 20,30 (perv. ore 18,40).

Arita mi ha comunicato oggi alle ore 16 seguente «messaggio orale» del presidente del Consiglio Hiranuma per il Duce aggiungendo che un estratto ne sarà forse telegrafato a codesto ambasciatore del Giappone.

Traduzione letterale dal francese: «Ho profonda ammirazione per il modo con cui S.E. Mussolini persegue con alta chiaroveggenza e volontà ferrea grandiosa ricostruzione suo Paese e stabilimento pace internazionale basata su giustizia. Dal canto mio come Primo Ministro del Giappone dedico egualmente miei sforzi consolidamento pace e stabilimento in Asia Orientale nuovo ordine ispirato posizioni giustizia morale. In quest'ora così grave mi è gradito constatare quanto efficace si riveli intesa anticomunista per attuare compiti che ci incombono. E se oggi considero possibile conclusione convenzione relativa rafforzamento Patto e per rendere più intima cooperazione Giappone Italia e Germania, ciò non faccio in uno spirito puramente utilitario ma cosciente del nostro compito comune, nella speranza contribuire consolidamento pace universale fondandola su giustizia morale. Circa rafforzamento stesso dei nostri rapporti posso assicurare che Giappone "sarebbe" deciso in modo fermo ed immutabile essere al fianco dell'Italia e Germania anche nel caso in cui l'una o l'altra "fosse attaccata" da uno o più Stati diversi dall'Unione Repubbliche Sovietico-Socialiste e di apportare ad esse la propria assistenza politica economica così come fornire loro nella misura del possibile assistenza militare in suo potere. Giappone è quindi pronto adottare ai termini di questa Convenzione principio assistenza militare a Italia e Germania; tuttavia. a causa delle circostanze in cui si trova esso non è ora in grado né lo sarà in un prossimo avvenire di fornire loro praticamente un efficace aiuto militare.

Beninteso ove ciò divenisse possibile per il mutamento delle circostanze l'aiuto del Giappone sarebbe dato loro. Desidererei in modo particolare ottenere su questo punto consenso preciso dell'Italia e della Germania. Inoltre, Giappone sarebbe costretto a causa della sua situazione internazionale ad usare massima circospezione circa spiegazioni che darà nel momento pubblicazione Convenzione e mi sarebbe gradito ottenere anche su ciò gradimento preciso Italia e Germania.

Mi sia pennesso aggiungere che progettata Convenzione si basa su reciproca fiducia: mettere in dubbio per poco che sia sincerità mio apprezzamento sarebbe scuotere fondamenta stesse della Convenzione e renderne impossibile effettuazione. Mie idee suesposte derivano da considerazioni di ordine morale e spirituale e non subiscono l'influsso di argomenti utilitari. Se ho tentato esprimerle con ogni franchezza è stato soltanto perché spinto da sincero desiderio vedere conseguita da nostri sforzi una soddisfacente conclusione. Fine della dichiarazione».

Nel rimettermi documento, Arita non appariva molto soddisfatto: da quanto mi si dice egli stesso insieme con ministro della Marina avrebbe desiderato formula anche meno impegnativa. Arita non ha aggiunto commenti e considerazioni di sorta ed io mi sono limitato assicurarlo che vi avrei subito comunicato messaggio.

Mio collega Germania è stato convocato dopo di me per ricevere identico messaggio 1•

640

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. S.N.D. 2324/283 R. e S.N.D. 2323/284 R. Berlino, 4 maggio 1939, ore 21,45 (perv. ore 23,20).

Contrariamente alle prime impressioni, ordini sono stati dati oggi all'Ufficio giuridico del ministero degli Affari Esteri tedesco di preparare uno schema di patto a due, da sottoporre o meno all'E.V. secondo le decisioni che sarà per prendere ultimo momento ministro Ribbentrop e comunque mai con intenzione di procederne a una discussione immediata. Esitazioni si spiegano con stato d'animo di Ribbentrop sempre affascinato dall'idea di un patto a tre.

In ogni modo, si va facendo strada anche in lui convinzione, non solo che Giappone ha ormai l'obbligo di decidersi in un senso o in un altro, ma anche che, piuttosto che fare col Giappone patto privo di alcuna serietà contenuto, sia meglio fare niente. C'è in proposito chi pensa che o Giappone non si schiererà in alcun caso, oppure lo farà per il proprio interesse e quindi spontaneamente e senza condizioni. Patto a due avrebbe al caso tutti i caratteri solennità e sancirebbe una alleanza al cento per cento suscettibile quindi «di fare impressione».

A mia richiesta se progetto relativo si ispirerebbe a progetti già scambiati anno scorso e ciò anche in relazione questione Brennero, mi è stato risposto che ad ogni modo progetto in parola astrarrebbe da tutti quelli che, in un testo definitivo, sarebbero al caso destinati formare le premesse ed il preambolo del patto da stipulare.

Fra le altre questioni speciali che ho sentito menzionare come possibile discussione a Villa d'Este credo opportuno segnalare, per informazione confidenziale dell'E.V. (oltre naturalmente situazione in Alto Adige, questione croata, ecc.) le seguenti:

l) capacità delle comunicazioni ferroviarie e stradali esistenti fra l 'Italia e Germania agli effetti di possibili scambi ed integrazioni reciproche in caso di guerra e provvedimenti necessari pararne l'evidente insufficienza;

2) discussione in sede politica dei sistemi da seguire in una possibile guerra comune e anche agli effetti della cosiddetta «guerra breve» che sembra essere patrocinata dal nostro Stato Maggiore e che qui incontra un crescente scetticismo;

Con riferimento a questo telegramma, l'ambasciatore Auriti telegrafava successivamente: «Mi riservo ritelegrafare dopo assunte maggiori informazioni per più esatti elementi di giudizio. Difficoltà di valutare situazione derivano anche dal fatto che rarissimi e quanto mai circospetti sono confidenti attendibili e che questi stessi talvolta riferiscono decisioni prevalse nei propri Ministeri ma non ancora accettate dal Gabinetto» (T. 232!/317 R. del 4 maggio. Il documento ha il visto di Mussolini). Si veda per il seguito il D. 645.

3) intese preliminari per quello che -anche a prescindere dalla possibilità effettiva di una guerra-potrà essere la prossima e forse non lontana crisi europea e ciò in connessione coi rapporti tedeschi-polacchi, la cui situazione mi è stata confidenzialmente descritta come meno ottimistica di quella rappresentata a Teleki 1•

Tutto ciò, ripeto, per informazione personale e riservatissima dell'E.V. 2

639 1 Il documento ha il visto di Mussolini.

641

IL CAPO DEL GOVERNO, MUSSOLINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

APPUNT01 . Roma, 4 maggio 1939.

È mia ferma opinione che le due Potenze europee dell'Asse, hanno bisogno di un periodo di pace di durata non inferiore ai tre anni. È solo dal 1943 in poi che uno sforzo bellico può avere le più grandi prospettive di vittoria. Un periodo di pace è necessario all'Italia per le seguenti ragioni:

a) per sistemare militarmente la Libia, l'Albania e pacificare l'Etiopia, dalla quale deve uscire un'armata di mezzo milione di uomini b) per ultimare la costruzione e il rifacimento delle 6 navi di linea attualmente in corso

c) per il rinnovamento di tutte le nostre artiglierie di medio e grosso calibro

d) per spingere innanzi la realizzazione dei piani autarchici che devono rendere vano ogni tentativo di blocco da parte delle democrazie possidenti e) per realizzare l 'Esposizione del 1942, la quale oltre a documentare il l o ventennio del Regime, può fornirci riserve di valute i) per effettuare il rimpatrio degli italiani dalla Francia, problema di natura militare e morale, molto serio g) per ultimare il già iniziato trasferimento di molte industrie di guerra dalla Valle del Po nell'Italia meridionale

h) per approfondire sempre più i rapporti non solo fra i governi dell'Asse ma fra i popoli, al che gioverebbe indubbiamente una distensione dei rapporti fra Chiesa e Nazismo distensione che è anche molto desiderata dal Vaticano.

Per tutte queste ragioni l'Italia fascista non desidera di anticipare una guerra di carattere europeo, pur convinta ch'essa sia inevitabile. Si può anche pensare che fra tre anni il Giappone abbia condotto a termine la sua guerra in Cina.

GB.

l rapporti dell'Italia con la Gran Bretagna appartengono al genere delle amicizie formali, più che sostanziali. In realtà il protocollo del 16 aprile2 ha avuto sin qui un'applicazione più negativa che positiva. Può essere utile -in determinate circostanze -anche per Berlino che questo protocollo rimanga ufficialmente in vigore.

Francia

Niente di nuovo dopo le aperture di Baudouin3 . Il governo fascista non ha fretta, dato che il dissidio fra noi e la Francia è oramai una questione di natura morale. Nel caso di un conflitto limitato tra Francia e Italia, il governo italiano non domanda aiuti di uomini alla Germania, ma di mezzi se necessario.

Spagna

Azione comune dell'Asse, per avere una Spagna amica e rinnovata all'interno.

Svizzera

L'atteggiamento dell'opinione svizzera e della stampa è nettamente anti-asse. Data la situazione bisogna tenerne nota e abbozzare.

Jugoslavia

La politica italiana è definita. La Jugoslavia entra nella sfera prevalente degli interessi italiani.

Grecia-Egitto -Turchia-Bulgaria4 Una politica colla Russia?

Per evitare una adesione della Russia al blocco, sì; ma non oltre, poiché tale politica, essendo nettamente antitetica alle attuali posizioni, sarebbe incomprensibile all'interno dei Paesi dell'Asse e ne indebolirebbe la compagine.

Alleanza militare

L'Italia è favorevole ad un'alleanza [a] due o a tre, secondo la decisione di Tokio. Gli accordi militari devono essere attentamente preparati, in modo che-specificate le circostanze-divengano quasi automaticamente operanti.

1 Vedi DD. 109, 335 e 365.

4 Su una copia del documento conservata nelle carte di Gabinetto vi è un'annotazione, in parte indecifrabile, che dice: «Polonia. Politica di collaborazione ... adesione [a Patto Anticomintern?]».

Questione Alto Adige

a) l'attività è condotta da ex-austriaci, i quali vi mettono un doppio rancore b) può servire e serve di speculazione ai nemici dell'Asse c) può provocare qualche grosso incidente.

Settore economico

Carbone e macchinari.

Atteggiamento in generale

Parlare di pace e prepararsi alla guerra.

640 1 Nella sua visita a Berlino del 29 aprile-2 maggio. Si veda in proposito il D. 622. 2 Il documento ha il visto di Mussolini. Nel redigere le istruzioni a Ciano di cui al D. 641, Musso lini non poté tenere conto di quanto Attolico comunicava con questo telegramma che giunse a Roma nella notte del 4 maggio.

641 1 Autografo di Mussolini. Un'annotazione nel fascicolo che contiene il documento dice: «Istruzioni autografe del Duce al Conte Ciano circa le questioni da discutere con Ribbentrop nel prossimo incontro a Milano».

641 2 Riferimento agli accordi itala-britannici del 16 aprile 1938.

642

L'AMBASCIATOREA VARSAVIA,ARONE, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. URGENTE 2334/119 R. Varsavia, 5 maggio 1939, ore 2,15 (perv. ore 5,40).

Dimissioni Litvinov hanno prodotto vivissima impressione nei circoli governativi i quali prevedono nuovo orientamento politica estera Mosca nel senso che

U.R.S.S. intende mantenersi estranea ad ogni sistema di garanzia patrocinata dall'Inghilterra. D'altra parte, lettera di Lord Rushcliffe pubblicata sul Times 1 che propugna un altro tentativo di accordo con la Germania ha aumentato senso di disorientamento polacco. Questi due fatti sembrano destinati a esercitare influenza moderatrice nel tono delle dichiarazioni che questo ministro degli Affari Esteri farà domani al Senato.

642 1 Del 3 maggio. Nella lettera si auspicava la riunione di una conferenza internazionale per discutere il problema di Danzica e del Corridoio polacco, le richieste italiane verso la Francia e le rivendicazioni tedesche in materia coloniale, allo scopo di evitare lo scoppio di un conflitto.

643

IL REGGENTE IL CONSOLATO GENERALE A MONACO, MELLINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. S.N.D. URGENTISSIMO 2337/14. Monaco di Baviera, 5 maggio 1939, ore 15,45 (perv. ore 16).

Ambasciatore Attolico comunica quanto segue: «Messaggio Primo Ministro giapponese al Duce ed al Fuhrer1 ha rimesso ordine del giorno Patto triangolare, di cui si considera ora come possibile la stipulazione, subordinata tuttavia alle condizioni seguenti:

l) scambio di note segrete in cui Giappone ci dichiari e noi validiamo che, in caso aggressione da parte di terzi, pur considerandosi in istato di guerra esso stesso, Giappone non si considera peraltro obbligato accordare -fino a che durino suoi attuali impegni in Cina-aiuto bellico efficace;

2) adozione di norme interpretative del trattato da parte del Giappone ispirate concetti seguenti:

a) carattere del trattato è puramente difensivo;

b) origine "storica" del trattato è l'Unione Sovietica, ancora adesso considerata dai giapponesi come elemento più "acuto" situazione; c) assenza obblighi reciproci in caso di aggressione da parte di terzi deve risultare dalla lettera stessa del trattato; d) assenza di qualunque obbligo in caso di guerra difensiva.

In tutto questo non vi è nulla di definitivo e, mentre Ribbentrop ne riferisce al Ftihrer a Berchtsgaden, io ne do notizia a V.E. solo quale elemento preparatorio alle conversazioni di domani»2 .

644

L'AMBASCIATORE A MOSCA, ROSSO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. RISERVATO 2341/51 R. Mosca, 5 maggio 1939, ore 13 (perv. ore 18,30). Mio telegramma n. 50 di ieri notte 1 .

Sulle cause del ritiro di Litvinov (il quale viene sostituito nella direzione del Commissariato del Popolo per gli Affari Esteri dal presidente del Consiglio dei Commissari

del Popolo Molotov) si possono fare soltanto delle congetture perché nulla finora è trapelato da fonte sovietica circa ragioni specifiche di questo sensazionale colpo di scena.

È per me fuori di dubbio che si è trattato di profonde divergenze fra Stalin e Poi i t bureau da una parte e Litvinov dali'altra sulle direttive generali della politica estera d eli 'U.R.S.S.

Ho ragione di credere che Litvinov abbia attivamente lavorato in questi ultimi tempi per rendere possibile stretta collaborazione politico-militare con Inghilterra e Francia, mentre dirigenti del Cremlino continuavano a nutrire profonda diffidenza verso le Potenze democratiche occidentali. Sono quindi incline a pensare che caduta Litvinov significhi fallimento dei negoziati fra Mosca e Londra. Può darsi che si sia trattato anche di divergenze connesse con missione di Potemkin ad Ankara2•

Ho comunque impressione che partenza Litvinov marchi insuccesso della corrente collaborazionista che voleva rafforzare blocco democratico a prevalenza di quello isolazionista, la quale desidera guerra fra le Potenze totalitarie e Potenze democratiche (giudicate entrambe nemiche perché egualmente capitalistiche e quindi anticomuniste) nella speranza di vedeme derivare violenta crisi sociale come condizione necessaria per successo di una rivoluzione proletaria europea.

Quanto precede è frutto di mie semplici induzioni perché mi manca qualsiasi elemento positivo di informazione. Non escluso quindi eventualità di dovere rettificare qualcuna delle mie conclusioni.

643 1 Vedi D. 639. 2 Il documento ha il visto di Mussolini. 644 1 T. 2297/50 R. Riferiva che Litvinov era stato esonerato dalle sue funzioni di Commissario del Popolo per gli Affari Esteri.

645

L'AMBASCIATORE A TOKIO, AURITI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. S.N.D. RISERVATISSIMO 2360/321 R. Tokio, 5 maggio 1939, ore 1,10 (perv. ore 21,15). Mio telegramma n. 3171•

Da notizie raccolte da varie fonti militari riferisco quanto segue: «Contenuto messaggio rappresenta massimo che militari abbiano potuto ottenere per ora dal Consiglio Ristretto dei ministri che decide nelle maggiori questioni.

Hiranuma, nella cui rettitudine hanno ogni fiducia, e ministro delle Finanze hanno sostenuto ministro della Guerra, mentre ministro degli Affari Esteri e ministro della Marina (quest'ultimo per istigazione del suo vice-ministro) sono stati timidi oppositori.

Militari, pur non avendo potuto ottenere in tutto accoglimento loro richieste, dicono ci si debba accontentare per adesso di quanto è stato conseguito. Arita secondo loro dovrebbe restare sino a formale conclusione accordo per essere poi sostituito.

Sembra che richieste da loro fatte e non accolte riguardassero qualche più preciso impegno che avrebbe dovuto prendersi nel messaggio anche per il caso di un con

flitto con Paesi diversi dalla Russia. Militari dicono tuttavia bisogna sia considerata differenza di situazione fra noi e Giappone, il quale oltre alle difficoltà che ha in Cina si trova isolato e nella necessità tener conto che incognita americana è per esso fonte di maggiore preoccupazione che non per noi.

Militari sono convinti che in nessun caso Giappone potrà decidere immediatamente sua entrata nel conflitto salvo quello con la Russia ma credono che ciò malgrado ce ne venga eguale vantaggio in quanto avversari non potrebbero non prendere in considerazione militarmente fino dall'inizio eventuale posteriore entrata del Giappone.

Secondo militari nostro rifiuto proposte Hiranuma potrebbe suscitare crisi di Gabinetto e sono convinti che al Giappone ne deriverebbe danno in questo momento di preparazione nuove operazioni in Cina. Insistono nel dichiarare ormai via del Giappone è fatale e coincide con la nostra»2 .

644 2 Del 27 aprile-5 maggio. Vedi DD. 664, 709 e 711. 645 1 Vedi D. 639, nota l.

646

L'AMBASCIATORE PRESSO LA SANTA SEDE, PIGNATTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. S.N.D. PER CORRIERE 2365/83 R. Roma, 5 maggio 1939 (perv. il 6).

Questa mattina sono passato al Gabinetto di V.E. chiedendo di essere ricevuto dalla Eccellenza Vostra. Avrei desiderato domandare aii'E.V. se è al corrente di quello che sta preparando il Papa. Suppongo che V.E. sia informato 1•

647.

IL MINISTRO A BUDAPEST, VINCI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 2402/0126 R. Budapest, 5 maggio 1939 (perv. l '8).

Mentre sarò ricevuto domattina dal ministro degli Affari Esteri, che ho potuto vedere solo di sfuggita appena tornato da Berlino', ho tratto l'impressione da conversazioni avute in ambienti ufficiali che i delegati ungheresi abbiano avuto la sensazione che in Germania non si voglia giungere, almeno al momento attuale, ad un conflitto, non attribuendo attualmente alla questione di Danzica una così grande importanza da giustificare una guerra, e che tale sentimento prevarrebbe anche in Polonia; d'altra parte, sia in Germania che in Polonia, gli spiriti sarebbero talmente eccitati che, se si tentasse di risolvere subito ad ogni costo la questione, non si potrebbe che giungere ad un conflitto, conflitto che certamente non potrebbe allora rimanere localizzato. Mentre Ribbentrop si sarebbe mostrato più riservato e pessimista, sembrerebbe che Hitler, Goring e Goebbels sarebbero stati concordi nel sostenere che la Germania non voleva andare incontro ora a complicazioni con un'azione contro la Polonia.

Si potrebbe quindi ritenere per lo meno che la questione sia stata rinviata. Il fatto che la Polonia avrebbe rinunciato a chiedere il protettorato su Danzica, come era stato pubblicato da alcuni giornali di Varsavia, ciò che sarebbe in assoluto contrasto con la tesi tedesca e che non avrebbe potuto che acutizzare la questione, sarebbe considerato un sintomo di forte distensione.

Questo ha naturalmente prodotto negli ungheresi un grande senso di sollievo, data la delicatissima situazione in cui evidentemente l'Ungheria si verrebbe a trovare in caso di un conflitto tra Germania e Polonia.

Una riprova di questa sensazione dei delegati ungheresi, si constata nelle dichiarazioni fatte ieri da Csaky (mio telespresso n. 2429/764 del 6 corrente)2 per le seguenti ragioni:

l) Csaky ha riparlato ora dell'amicizia polacca, dopo un periodo di riserbo (mio tel. 0125 del 6 corrente)3 poiché ciò può meno pregiudicare l'Ungheria, se la guerra non è imminente. Teleki non aveva trovato modo a Roma neppure di nominare la Polonia, quando la situazione tedesco-polacca era più tesa; d'altra parte, parlare allora di Polonia avrebbe potuto significare prendere nella controversia non solo un atteggiamento che avrebbe potuto spiacere ai tedeschi, ma anche costituire in certo modo un impegno di solidarietà con la Polonia.

2 Non pubblicato.

3 T. per corriere 2399/0125 R., che è del 5 maggio. Riferiva che. appena delineatosi il contrasto tra Germania e Polonia, stampa e uomini responsabili ungheresi si erano astenuti da qualsiasi commento in proposito, mentre, a quanto aveva appreso, le dichiarazioni di piena adesione all'Asse rilasciate da Teleki durante la sua visita a Roma avevano suscitato viva irritazione a Varsavia.

2) Csaky ha parlato molto di avvicinamento con la Romania ciò che risponde a mio parere attualmente alla tesi tedesca; e cioè quando si prevede la guerra alle porte, la Germania incoraggia le aspirazioni magiare in Transilvania, poiché l'aiuto dell'Ungheria può aiutarla a mettere piede in Romania: quando invece la situazione si prevede pacifica, preferisce sfruttare tranquillamente la comoda e fruttuosa situazione creatasi con l'accordo romeno-tedesco4 .

3) Quanto alla Slovacchia, secondo quanto mi ha detto il Conte Esterhazy, i dirigenti tedeschi avrebbero ripetuto che l'interesse del Reich in quella regione era strettamente connesso agli ulteriori sviluppi delle relazioni polacco-tedesche ma in complesso Berlino si sarebbe poi disinteressata delle sorti future di quello Stato. Si vorrebbe quindi far apparire che i tedeschi abbiano promesso di nuovo ali 'Ungheria per il futuro e una volta risolta la questione polacca, la possibilità di una soluzione a loro favorevole. Per ora intanto si annuncia la nomina di una rappresentanza diplomatica ungherese a Presburgo.

Come sempre in circostanze analoghe, corrono le voci più varie sui risultati e sul contenuto delle conversazioni di Berlino; non mancherò di controllarle e vagliarle, mentre mi riservo riferire nella mia imminente conversazione col Conte Csaky5 .

645 2 Sul documento vi è il timbro: «Visto dal Duce».

646 1 Si riferisce al progettato invio da parte del Pontefice di un messaggio ai Capi di Stato di Francia, Germania, Gran Bretagna e Polonia per proporre una conferenza in cui affrontare le questioni che dividevano i loro Paesi. Mussolini era stato informato di questo progetto attraverso padre Tacchi Venturi in due colloqui avvenuti il l o e il 2 maggio e si era dichiarato favorevole al! 'iniziativa, osservando che «la Germania non può illudersi che le riesca di fare con la Polonia ciò che le è riuscito di fare con gli altri senza spargimento di sangue; la Polonia resisterà, sarà sopraftàtta dalla prevalente forza tedesca ed avremo il principio di una guerra europea»; aveva solo suggerito di attendere prima il discorso che il ministro degli Esteri polacco, Beck, avrebbe pronunciato il 5 maggio. Sui colloqui di Mussolini con padre Tacchi Venturi si veda il resoconto inviato da padre Tacchi Venturi al cardinale Maglione in ACTES, vol. l, D. 18.

647 1 Il presidente del Consiglio, Teleki e il ministro degli Esteri, Csaky, erano stati in visita a Berlino dal 29 aprile al 2 maggio. Si vedano in proposito i DD. 622 e 662.

648

L'AMBASCIATORE A VARSAVIA, ARONE, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 2403/015 R. Varsavia, 5 maggio 1939 (perv. !'8).

Come V.E. rileverà dal mio rapporto odierno n. 4661 pagina 5, Beck nel riferirsi a conversazioni avute con «eminenti Rappresentanti del governo del Reich» ha accennato ad allusioni da essi fattegli «che andavano molto al di là della questioni trattate» riservandosi il diritto, «in caso di necessità» di ritornare su li'argomento.

Questa insinuazione sibillina ha destato vivi commenti specie in questi circoli diplomatici e si vorrebbe interpretare come un accenno a progetti espansionistici tedeschi in Europa orientale, specie contro la Russia, che sarebbero stati adombrati in eventuali collaborazioni con la Polonia.

Si crede di vedere in tale insinuazione l'intenzione di Beck di avvalersi eventualmente delle allusioni che gli sarebbero state fatte dalle predette alte personalità, in relazione, sia ai possibili mutamenti delle direttive della politica estera sovietica in seguito al defenestramento di Litvinov, sia forse anche allo sviluppo della azione politica della Germania negli Stati Baltici.

(D. 378, nota 1).

5 Su di essa si veda il D. 662. 648 1 Vedi D. 651.

Ed effettivamente tanto gli ultimi avvenimenti di Mosca quanto la repentina offerta tedesca di patti di non aggressione ali 'Estonia ed alla Lettonia2 hanno sorpreso e preoccupato vivamente queste sfere politiche.

647 4 Riferimento al trattato di commercio tra Germania e Romania del 23 marzo precedente

649

L'AMBASCIATORE A VARSAVIA, ARONE, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 2046/477. Varsavia, 5 maggio 1939 (perv. !'8).

L'Eccellenza Vostra sarà già a conoscenza del testo del memorandum fatto consegnare stasera all' Auswiirtiges Amt dal governo polacco 1 , in risposta a quello rimesso qui il 28 aprile scorso dal governo del Reich2 . Ne trasmetto, comunque, qui unito il testo in lingua francese. D'altronde, volendosi attenere all'analoga precedenza seguita dalla Germania, del memorandum polacco viene data qui stasera comunicazione alla stampa.

Il memorandum, pur seguendo nelle linee generali lo schema del discorso pronunciato stamane da Beck3, ha un'intonazione polemica molto più vivace, che si è cercato di mascherare con argomentazioni giuridiche di efficacia e di gusto molto discutibile. Basti pensare alla quanto mai inopportuna affermazione contenuta nel memorandum secondo la quale il governo polacco in base ad una pretesa reciprocità di trattamento ha ritenuto che il patto del 19344 gli desse il pieno diritto di concludere il noto accordo con l'Inghilterra5 , così come la Germania aveva per parte sua contratto impegni con l 'Italia e tanto più aveva stipulato i noti accordi del marzo scorso con la Slovacchia6 .

Era già noto che i polacchi non sono dei buoni argomentatori giuridici. Ma è deplorevole che siano state usate argomentazioni del genere, del tutto controproducenti, per la stessa Polonia.

Il memorandum conclude parafrasando la parte finale di quello tedesco, confermando che il governo polacco è disposto a trattare.

In complesso, però, il tono usato segna come un regresso rispetto se non altro all'intonazione piuttosto calma del discorso pronunciato stamane da questo ministro degli Affari Esteri.

2 Vedi D. 610, nota 9.

3 Vedi D. 651.

4 Vedi D. 27, nota 2.

5 Riferimento all'accordo raggiunto durante la visita di Beck a Londra del 3-6 aprile precedente. Vedi D. 501, nota 5.

6 Riferimento al trattato di protezione tra Germania e Slovacchia del 23 marzo 1939. Testo in DDT, vol. VI, D. 40.

650.

L'AMBASCIATORE A MOSCA, ROSSO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. RISERVATO 1816/751. Mosca, 5 maggio 1939 (perv. il 15). Riferimento: mio telegramma n. 51 in data di ieri 1•

Col telegramma di ieri ho dato a V.E. la mia interpretazione del colpo di scena verificatosi con l'esonero di Litvinov dalle funzioni di Commissario del Popolo per gli Aftàri Esteri e la nomina al di lui posto di Molotov, presidente del Consiglio dei Commissari del Popolo dell'U.R.S.S.

Parlo di «interpretazione» perché al riguardo non è stato possibile, né a me, né ad alcuno dei miei colleghi, di ottenere da fonte sovietica la minima informazione sulle ragioni dell'improvviso-o per lo meno inaspettato-cambiamento.

Io ho creduto di dover mettere tale cambiamento in relazione coi negoziati anglo-sovietici ed ho espresso l'opinione che la caduta di Litvinov significhi probabile fallimento delle trattative fra Londra e Mosca. Non saprei infatti spiegare il ritiro (che si è voluto fare apparire come volontario!) del principale negoziatore sovietico altrimenti come una sconfessione del suo operato; e siccome si ha ragione di credere che Litvinov fosse personalmente favorevole alla collaborazione con Londra e desideroso di raggiungere un accordo con le Potenze democratiche occidentali, debbo concludere che i dirigenti sovietici -cioè Stalin ed il Politbureau del Partito siano invece decisi a far abortire le trattative.

Ignorando in che cosa abbiano esattamente consistito le proposte e le controproposte di Londra e di Mosca, cui ha più volte alluso la stampa britannica in questi ultimi giorni, non posso naturalmente fare che delle congetture. Ho però la convinzione di non essere lontano dal vero spiegando lo sviluppo degli avvenimenti nel modo seguente.

Nel momento di maggior tensione provocato dalla crisi cecoslovacca, quando si parlava insistentemente di mire tedesche verso l'Ucraina, Litvinov aveva lanciato la sua proposta di conferenza, che Chamberlain si era però affrettato di declinare, suggerendo invece dei negoziati attraverso il consueto tramite diplomatico. Questi negoziati si svolsero in un primo tempo all'infuori, o per lo meno con scarsa partecipazione, dell'U.R.S.S. Nel frattempo Mosca aveva intanto avuto la sensazione di non essere realmente minacciata dalla Germania e si è trovata quindi nella posizione favorevole di chi non deve più sollecitare ma viene anzi sollecitato: ragione per cui, quando il governo britannico ha incominciato a premere su quello sovietico per farlo partecipare ad un blocco contro gli Stati totalitari, esso ha posto le sue condizioni, escludendo impegni di carattere parziale e limitato ed insistendo invece sulla creazione di un largo sistema di sicurezza collettiva.

È tuttavia lecito pensare che la domanda della sicurezza collettiva sia stata avanzata da Mosca a scopo puramente tattico, e cioè senza una reale intenzione di

impegnarsi. In altre parole, io credo che le proposte sovietiche siano state avanzate nella convinzione che, data la loro natura ed ampiezza, il governo britannico non si sarebbe mai deciso di aderirvi.

Che nell'ultima fase di questo gioco diplomatico Litvinov si sia lasciato trascinare dalle sue simpatie personali e si sia impegnato troppo sulla via di un possibile compromesso, provocando con ciò la sconfessione di Stalin e del Politbureau: è questa l'ipotesi che io sono tentato di avanzare per spiegare la caduta di Litvinov, pur riconoscendo di non possedere alcun elemento positivo per suffragarla.

Comunque, la mia interpretazione si basa sulla logica dei seguenti fatti, che ritengo incontestabili:

l) l 'U.R.S.S. non desidera partecipare ad una guerra perché ne teme le conseguenze sia agli effetti interni che esteri. l dirigenti del Cremlino si augurano probabilmente una guerra fra Potenze capitaliste, ma col fermo proposito di non !asciarvisi coinvolgere, per lo meno fino a quando non giudichino essi stessi conveniente di entrare in azione. Mi richiamo in proposito alle parole pronunciate da Stalin il l Omarzo scorso quando, esponendo i compiti del Partito Comunista nel campo della politica estera, ha detto fra l'altro: «Occorre agire con prudenza e non permettere che i provocatori della guerra, abituati a far togliere le castagne dal fuoco per mano di terzi, coinvolgano l'U.R.S.S. in conflitti internazionali». (Mio rapporto n. 1045/412 del12 marzo u.sf

2) Con l'impegno di assistenza assunto verso la Polonia, la Gran Bretagna ha allontanato la possibilità di una collaborazione militare germano-polacca. Con ciò essa ha fornito indirettamente -e gratuitamente -all'U.R.S.S. una importante garanzia di sicurezza, in quanto l'Unione Sovietica non deve nel momento preoccuparsi del pericolo di un attacco tedesco attraverso la Polonia, e magari col concorso di quest'ultima.

Ora, in un momento in cui l'U.R.S.S. non si sente direttamente minacciata, è difficile vedere quale potrebbe essere l'interesse sovietico di partecipare ad accordi politici e militari i quali, senza accrescere sostanzialmente la sua sicurezza, avrebbero invece il probabile risultato di provocare l'ostilità della Germania e quindi di far nascere il pericolo di minacce future.

Considerando la situazione dal punto di vista sovietico, tanto in relazione alla finalità rivoluzionaria del comunismo quanto agli effetti degli immediati interessi nazionali dell'U.R.S.S., la presunzione più logica è quindi che Mosca non voglia lasciarsi trascinare nelle complicazioni di una manovra antitotalitaria.

Avendo esposto queste opinioni e considerazioni, non voglio nascondere che da taluni diplomatici miei colleghi vengono date all'esonero di Litvinov interpretazioni diverse.

Vi è infatti chi vuole spiegare il cambiamento di titolare del Narkomindiel unicamente colla volontà di Stalin di affidare la direzione della politica estera dell'U.R.S.S. a persona assolutamente fidata e godente della piena fiducia del Politbureau, quale è Molotov. Secondo i colleghi che esprimono tale opinione, la scomparsa di Litvinov non vuole necessariamente significare un cambiamento di rotta,

quantunque anch'essi ammettano che delle divergenze possano essersi verificate fra Litvinov ed il Politbureau nel corso delle trattative anglo-sovietiche.

Vi è poi chi arriva a dire che si è trattato di un «cambiamento di guardia» totalmente estraneo alla politica e dovuto a motivi esclusivamente personali, e che pertanto le direttive finora seguite da Litvinov non saranno mutate. È questa l'opinione che viene manifestata nelle loro conversazioni da taluni membri dell'ambasciata britannica, la quale sembra ancora sperare che i negoziati fra Londra e Mosca possano giungere ad una favorevole conclusione, e magari essere affrettati dalla nomina di Molotov a Commissario per gli Affari Esteri.

Per concludere dirò che tutte queste diverse interpretazioni sembrano avere un punto in comune: quello di essere basate esclusivamente su congetture ed induzioni individuali.

648 2 Vedi D. 633.

649 1 Testo in DDT, vol. VI, D. 334, Allegato.

650 1 Vedi D. 644.

650 2 Vedi D. 285.

651

L'AMBASCIATORE A VARSAVIA, ARONE, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

RAPPORTO 2032/466. Varsavia, 5 maggio 1939 (perv. !'8).

Col mio telegramma n. 121 in data d'oggi 1 , ho riferito a V.E. le prime impressioni sul discorso pronunciato stamane al Sejm da questo ministro degli Affari Esteri, in risposta alle dichiarazioni fatte al Reich il 28 aprile scorso dal Fiihrer2 sulla situazione creatasi nei rapporti polacco tedeschi.

È nota ali' Eccellenza Vostra, attraverso i telegrammi di questa Regia Ambasciata e le segnalazioni della stampa, l'atmosfera di preoccupazione e di irrequietezza formatasi in Polonia dopo le anzidette dichiarazioni di Hitler e la contemporanea denuncia tedesca del patto di non aggressione del 19343 . La vivace polemica dei giornali polacchi, specie di quelli nazionalisti con la stampa germanica, aveva poi contribuito ad alimentare l'agitazione di questa opinione pubblica contro le richieste tedesche per l'annessione di Danzica al Reich e la concessione di vie di comunicazioni «extraterritoriali» attraverso il «Corridoio» polacco. Negli scorsi giorni poi, e sino a ieri mattina, la risoluta intransigenza polacca si era ancora accentuata. L'autorevole Polska Zbrojna, organo delle Forze Armate, aveva sostenuto la necessità per questo Paese di «polonizzare» Danzica, non potendosi ammettere che la Germania si installasse alle foci dell'unico grande fiume polacco. Le sue orme erano state seguite da vari giornali nazionalisti che erano giunti persino ad adombrare la tesi dell'opportunità di rivendicare il protettorato della Polonia su Danzica, da sostituire all'attuale statuto di marca societaria, mentre d'altra parte si andava farneticando sui diritti storici della Polonia su province del Reich (Prussia Orientale; Slesia tedesca; frontiera

2 Vedi D. 610.

3 Vedi D. 610, nota 9.

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portata all'Oder), e si cercava di porre in rilievo il profitto che la Polonia poteva trarre dall'attuale congiuntura internazionale, che si pretendeva ad essa favorevole!

Invero, nella giornata di ieri questo stato di esaltazione andava cedendo di fronte alle perplessità qui suscitate dalle inattese dimissioni di Litvinov e da qualche dubbio circa l'incondizionato appoggio che l'Inghilterra e Francia sarebbero per portare alla Polonia ove la situazione precipitasse in seguito a manifestazioni di intransigenza polacca per Danzica. Mi risulta che ancora ier sera negli ambienti di questo Ministero degli Affari Esteri si considerava la possibilità che all'ultimo minuto venissero apportate delle modifiche al discorso da pronunciarsi oggi da Beck, il cui testo era già stato discusso dal Consiglio dei Ministri ed approvato dal Presidente della Repubblica e dal Maresciallo Smigly-Rydz. Infatti, se le dichiarazioni fatte ieri da Chamberlain (questo Ambasciatore di Inghilterra si è recato ieri due volte al Ministero degli Affari Esteri), nonché quelle fatte da Bonnet miravano a rassicurare la Polonia riguardo all'appoggio anglo-francese anche nella questione di Danzica, invece la possibilità di radicali mutamenti nelle direttive di politica estera dell'U.R.S.S. e delle conseguenze che ne sarebbero potute derivare alla situazione della Polonia creavano un certo disorientamento in queste sfere dirigenti. A tale ultimo riguardo, ho appreso che questo Ministero degli Affari Esteri ha chiesto immediatamente un rapporto telegrafico all'ambasciata di Polonia a Mosca, mentre il Direttore degli Affari Politici di Europa Orientale, Colonnello Kobylanski, si rivolgeva a questo Ambasciatore del Giappone (che è stato undici anni in posto a Mosca), chiedendogli delle informazioni sulla possibile portata delle dimissioni di Litvinov. Mi è stato riferito che l'Ambasciatore Sakoh abbia espresso l'opinione che l'assunzione del Commissariato degli Esteri da parte di Molotov potesse persino significare un ritorno alla vecchia politica di Rapallo, così temuta, per ovvie ragioni dalla Polonia.

In questa atmosfera agitata, dunque, Beck ha pronunciato stamane il suo atteso discorso di fronte al Sejm affollatissimo. Alla seduta assistevano molti capimissione qui accreditati (tranne gli Ambasciatori di Germania, rientrato peraltro proprio stamane a Varsavia, del Giappone e questo ministro di Bulgaria. Anche io mi sono astenuto dall'assistervi, come telegrafai ieri a Vostra Eccellenza)4 .

Ho l'onore di rimettere, qui accluso, il testo ufficiale del discorso in lingua francese, di cui rilevo i seguenti punti più importanti:

l) Dopo una premessa sugli avvenimenti e sui mutamenti nella situazione internazionale, «le cui conseguenze hanno raggiunto negli ultimi tempi le frontiere della Polonia», Beck ha spiegato la portata dell'accordo polacco-inglese «basato sul principio della mutua assistenza in caso di minaccia diretta od indiretta all'indipendenza dei due Paesi», sottolineando come la dichiarazione di Chamberlain del 6 aprile, concordata col governo polacco, «deve essere considerata quale un accordo concluso tra i due governi».

2) Beck ha, poi, rilevato «che le analoghe dichiarazioni dei Governanti francesi hanno constatato che Parigi e Varsavia sono d'accordo nel ritenere che l'efficienza dell'accordo difensivo tra i due Paesi non può essere indebolita da mutamenti nelle congiunture internazionali ma che detto accordo deve invece costituire uno degli elementi essenziali della struttura politica dell'Europa».

3) Passando, poi, ad esaminare la denunzia tedesca del patto del 1934, Beck, premesso un cenno storico sulle circostanze che portarono alla conclusione di tale patto (senza peraltro accennare-il che è sorprendente-all'opera svolta al riguardo dal Maresciallo Pilsudski), ha affermato che esso «perdette il suo vero carattere nel momento in cui si manifestarono delle tendenze ad interpretarlo sia in senso restrittivo della politica polacca, sia come base per esigere dalla Polonia delle concessioni unilaterali ed incompatibili coi suoi vitali interessi».

Beck, rinviando alle cosidette argomentazioni giuridiche svolte nel memorandum polacco di risposta a quello tedesco, rimesso oggi stesso a Berlino, si sforza di dimostrare che il governo del Reich avrebbe preso la propria decisione «basandosi su informazioni di stampa circa la portata dell'accordo polacco-inglese», senza voler conoscere le spiegazioni che il governo polacco era pur pronto a dare riguardo al carattere di tale accordo. Egli ne vuole dedurre che il governo del Reich, col patto del 1934, «mirava ad isolare la Polonia e ad impedirle una collaborazione normale ed amichevole colle Potenze occidentali» interpretazione che la Polonia non avrebbe mai potuto accettare.

4) Il ministro degli Esteri è poi entrato nel vivo della questione sollevata dalle richieste tedesche:

Danzica. Prescindendo dagli spunti polemici, in sostanza egli ha detto che il problema di Danzica «è la risultanza di una compenetrazione positiva di interessi polacchi e tedeschi: non soltanto lo sviluppo ma la ragione di essere di questa città derivano dalla sua situazione sulla foce del grande fiume polacco, il che era un fattore decisivo in passato, questa via .fluviale e la linea ferroviaria principale assicurano oggi l 'allacciamento della Polonia col Baltico: verità che nessuna nuova formula può cancellare».

Beck afferma che il governo polacco si è sempre posto e si pone sul terreno dei diritti ed interessi commerciali e marittimi della Polonia a Danzica e che nella ricerca di soluzioni ragionevoli e concilianti si è astenuto volontariamente dall'esercitare una pressione qualsiasi sul libero sviluppo nazionale ideologico e culturale della maggioranza predominante tedesca della popolazione di Danzica.

Dopo aver ricordato che il 26 marzo5 il governo polacco aveva fatto a quello tedesco la proposta di garantire in comune l'esistenza ed i diritti della Città Libera, proposte rimaste senza risposta od anzi considerate come un rifiuto a negoziare, il ministro si pone il quesito se in realtà si tratti per la Germania «della libertà della popolazione tedesca di Danzica che non è minaccia, di una questione di prestigio ovvero del piano di tagliar via la Polonia dal Baltico». Ed afferma: «la Polonia non si lascerà tagliar via dal Baltico». Lo stesse considerazioni -egli dice -valgono anche per le:

5) Comunicazioni extraterritoriali attraverso il «Corridoio». Il termine «Corridoio» premette Beck, è artificioso, giacché si tratta in realtà del voievodato della Pomerania, provincia che è stata sempre polacca, con infima percentuale di coloni tedeschi.

Il ministro conferma che il governo polacco è disposto ad estendere al traffico automobilistico tutte le facilitazioni già accordate per il transito ferroviario (esenzioni doganali. di passaporti, ecc.). Tuttavia la Polonia non vede perché debba limitare la propria sovranità su tale parte del proprio territorio.

6) In entrambe le predette questioni -prosegue Beck -la Germania chiede delle concessioni unilaterali senza contropartite, poiché da parte polacca non si considerano tali le proposte tedesche che mancherebbero di chiarezza. Egli dice infatti:

a) la proposta relativa alla Slovacchia (che Beck definisce come un «condominio tripartito») sarebbe stata fatta per la prima volta da Hitler nel suo discorso del 28 aprile; le allusioni a possibilità di discutere la questione slovacca nel caso di un accordo generale, fatte in precedenti conversazioni, non erano state approfondite da parte polacca «trattandosi di interessi altrui»;

b) la proposta di prolungare per 25 anni la durata del patto di non aggressione non era stata presentata dalla Germania in una forma concreta nelle ultime conversazioni, pur essendo state fatte delle allusioni non ufficiali da eminenti rappresentanti del governo del Reich. Peraltro «vi erano state anche altre allusioni che andavano molto più in là degli argomenti trattati». E Beck «si riserva il diritto, in caso di necessità, di ritornare su tale questione»;

c) infine, la proposta del Fiihrer di riconoscere ed accettare come definitiva la frontiera polacco-tedesca, non costituirebbe -secondo Beck -una contropartita, «trattandosi del riconoscimento de jure et de facto d'incontestabile proprietà polacca». Mi risulta che secondo le prime impressioni di questa ambasciata di Germania tale dichiarazione sarebbe destinata a suscitare vivissimo malumore a Berlino.

7) Beck afferma che il fine della politica polacca è la pace aggiungendo che affinché questa espressione abbia il suo vero valore due condizioni sono indispensabili: l) delle intenzioni pacifiche e 2) dei metodi pacifici di azione. Se il governo del Reich si ispira a questi due principi nei rapporti colla Polonia si rende possibile ogni conversazione che tenga peraltro conto dei punti suesposti.

Se si iniziassero delle conversazioni di tal genere, il governo polacco tratterebbe in modo oggettivo, tenendo conto della esperienza degli ultimi tempi colla migliore buona volontà.

La generazione attuale -conclude Beck -provata dalle guerre è ben meritevole di un periodo di pace. Ma per i polacchi non esiste la nozione di una pace pagata a qualunque prezzo e che non salvaguardi l'onore.

Con rapporto a parte riferisco circa il memorandum polacco inviato questo pomeriggio a Berlino6 .

651" Vedi D. 649.

652.

IL MINISTRO AD ATENE, GRAZZI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 2364/14 7 R. Atene, 6 maggio 1939, ore 12 (perv. ore 13,45). Mio telegramma posta 0401 .

Metaxas mi ha convocato stamane e dopo aver premesso che egli personalmente ha la più assoluta fiducia nelle assicurazioni del Duce, mi ha detto che specialmente nella regione di Florina regna viva inquietudine per il concentramento imponenti forze militari italiane nella zona di Coritza, che ascenderebbero a due Divisioni.

Anche nella zona di Argirocastro sarebbero concentrate forze considerevoli. Ripetendo che egli personalmente non avrebbe alcuna inquietudine «neppure se l'Italia avesse concentrato tre Corpi d'Armata» mi ha detto che si trova, però, nella necessità rassicurare popolazione province di frontiera. Ho risposto che a me non constava niente di preciso in proposito; che di più conveniva tener presente necessità avere forti presidi in un Paese vasto ed impervio come l'Albania, necessità che Metaxas ha subito ammesso. Comunque l'ho assicurato che avrei immediatamente posto

V.E. al corrente della nostra conversazione, alla quale Metaxas ha tenuto dare tono estrema cordialità.

651 1 T. 2342/!21 R. del 5 maggio, non pubblicato.

651 4 T. 23141118 R., non pubblicato.

651 5 Vedi D. 398, nota 2.

653

IL REGGENTE IL CONSOLATO GENERALE A MONACO, MELLINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. S.N.D. URGENTE 2358/16 R. Monaco di Baviera, 6 maggio 1939, ore 15 (perv. ore 17,35).

Comunico seguente telegramma ambasciatore Attolico: «Seguito a mio telegramma !51• Oggetto colloquio odierno nunzio apostolico-Hitler, era di domandare l'avviso

del Ftihrer sopra l'opportunità di riunire conferenza delle quattro Potenze di Monaco, più la Polonia, per risolvere, senza pregiudizio e pacificamente, le questioni di Danzica e le aspirazioni italiane nei riguardi della Francia.

Fiihrer ha risposto che l'iniziativa in questo momento non gli sembrerebbe opportuna, ma che, comunque, riservasi di consultarsi col Duce. Ribbentrop ne parlerà domani a V.E.2•

Prego comunicare quanto precede al Duce e S.E. Ciano a Milano».

652 1 T. per corriere 2373/040 R. del 5 maggio. Il ministro Grazzi riferiva che negli ultimi giorni si era notata una ripresa di sospetti circa le intenzioni dell'Italia, provocata dalla notizia dell'arrivo in Albania di truppe italiane in misura maggiore di quella richiesta per l'occupazione del Paese. Il documento ha il visto di Musso lini.

653 1 T. 2354/15 R. del 5 maggio. Riferiva da parte dell'ambasciatore Attolico che nel pomeriggio avrebbe avuto luogo a Berchtesgaden un incontro-che si desiderava mantenere segreto-tra Hitler e il nunzio apostolico, incaricato di fare al Fiihrer una comunicazione urgente da parte del Pontefice.

654

IL MINISTRO A BELGRADO, INDELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 2386/94 R. Belgrado, 6 maggio 1939, ore 23,10 (perv. ore 0,40 del 7).

Faccio seguito al mio telegramma n. 93 del 5 corrente 1• Circa motivo fallimento trattative serbo-croate, Macek ha fatto conoscere al Regio Console Gobbi quanto segue: «Accordo deve considerarsi fallito in seguito rifiuto opposto dalla Reggenza accogliere proposte relative plebiscito per Bosnia e Sirmio previsto nelle precedenti discussioni; a sua volta Macek ha nettamente respinto controproposte della Reggenza che prevedeva l) attribuzione previo plebiscito alla circoscrizione serba o croata distretti abitati in maggioranza da cattolici ed ortodossi; 2) attribuzione alla Serbia dei distretti mussulmani; 3) trasferimento alla Croazia di un limitato tratto del Sirmio. Dopo il rapporto fattogli da Subasié sull'esito negativo sua missione a Belgrado Macek ha diretto presidente del Consiglio una lettera con la quale prende atto mancata accettazione da parte Reggenza accordo intervenuto il 27 aprile fra Cvetkovié nella sua qualità di Capo del governo e mandatario della Corona e lo stesso Macek. Convocazione deputazione croata è prevista per lunedì 8 corrente».

655

IL MINISTRO A BELGRADO, INDELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 2387/95 R. Belgrado, 6 maggio 1939, ore 23,10 (perv. ore 0,40 del 7).

Nei colloqui avuti a Belgrado 1 , Gafencu ha riaffermato intenzione della Romania di tenersi egualmente lontana da qualsiasi blocco seguendo una politica indipendente e, sino a quando sia possibile, di neutralità anche in caso di conflitto fra le grandi Potenze. Ha detto che nell'incontro di Berlino2 ha dovuto fornire ampie assi

curazioni, circa garanzia offerta dall'Inghilterra che gli è stata rimproverata come atto suscettibile di interpretazioni tendenziose. Sforzandosi di dissipare sospetti tedeschi, Gafencu ha assicurato Ribbentrop che disposizioni recente trattato commercio3 avranno piena e leale esecuzione. Circa rapporti con Ungheria, Gatèncu si è mostrato riservato, nonché perplesso di fronte possibilità di sviluppi positivi nei rapporti fra Jugoslavia e Ungheria adombrati nelle recenti manifestazioni di Roma4•

653 2 Si veda in proposito il D. 666. 654 1 Con T. 2357/93 R. del 5 maggio, il ministro Indelli aveva riferito che, secondo notizie attendibili, Macek aveva respinto le ultime controproposte del governo e che le trattative erano state interrotte. 655 1 Il 5 maggio. 2 Del18-19 aprile. Vedi DD. 577 e 579.

656

L'INCARICATO D'AFFARI AD ANKARA, BERlO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 2384/50 P.R. Ankara, 6 maggio 1939, ore 20,30 (perv. ore 3 del 7).

Miei telegrammi nn. 47 1 e 492•

Questo ambasciatore di Germania è venuto a vedermi e mi ha riferito, in via strettamente confidenziale, un colloquio avuto pochi momenti prima con il Segretario Generale degli Affari Esteri turco. Questi gli ha confermato la notizia della conclusione di un accordo turco-britannico -data dal giornale Aksam di oggi -che sarà reso di pubblica ragione nei primi giorni della prossima settimana e contempla la mutua assistenza nel caso in cui uno dei due Stati fosse vittima di una aggressione nel Mediterraneo.

Von Papen non ha nascosto a Numan il suo vivo disappunto per questa decisione improvvisa che costituisce un fatto compiuto ed è intervenuto prima che potessero essere esaminate eventuali proposte itala-tedesche che egli aveva sottoposto a Berlino in vista dell'incontro di V.E. con Ribbentrop.

Numan ha risposto che la situazione nel Mediterraneo era giudicata troppo minacciosa per la Turchia perché questa tardasse oltre ad assicurarsi le garanzie ritenute necessarie e ciò nonostante che ambasciatore di Turchia a Roma avesse recentemente ottenuto da V.E. assicurazioni3 che qui erano state molto apprezzate.

Numan si è affrettato dimostrare che il nuovo accordo non è diretto contro nessuno avendo scopo puramente difensivo, non deve in alcun modo essere interpretato come una provocazione.

2 T. 2385/49 R. del 6 maggio. Riferiva che il Vice Commissario del Popolo Potemkin aveva lasciato Ankara, mentre diventavano più insistenti le voci di un prossimo patto di mutua assistenza nel Mediterraneo tra Gran Bretagna e U.R.S.S.

3 Vedi D. 621, nota 3.

Von Papen ha telegrafato a Berlino prospettando due soluzioni circa l'interpretazione da dare sulla stampa all'avvenimento: o presentarlo come una nuova manifestazione della politica di accerchiamento promossa dall'Inghilterra e sfruttarlo in conseguenza, o, ed è questa la soluzione che egli preferirebbe, minimizzarlo anche per non aumentare la tensione degli spiriti e facilitare, nel campo della politica generale, la ricerca di soluzioni pacifiche.

655 3 Riferimento al trattato tra Germania e Romania del 23 marzo precedente (vedi D. 378, nota l). 4 Riferimento alla visita di Gafencu a Roma del 30 aprile-3 maggio precedenti (vedi D. 636). 656 1 T. 2313/4 7 R. del 4 maggio. Riferiva in modo sintetico sul colloquio avuto con von Papen oggetto del presente documento.

657

L'AMBASCIATORE A VARSAVIA, ARONE, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 2391/122 R. Varsavia, 6 maggio 1939, ore 22,50 (perv. ore 4 del 7). Mio telegramma n. 121 1•

Mio collega germanico rientrato ieri da Berlino è venuto a vedermi oggi. Abbiamo lungamente discusso discorso pronunciato ieri da questo ministro degli Affari Esteri2 nonché memorandum polacco consegnato iersera a Berlino3 .

Questo ambasciatore di Germania si è mostrato molto pessimista giacché, secondo lui, nessun nuovo elemento di distensione era stato apportato alla situazione dei rapporti fra i due Paesi. Specie memorandum, data sua redazione aspra e risentita, segnava un passo indietro rispetto discorso questo ministro degli Affari Esteri.

Moltke era sicuro che tale documento avrebbe fatto pessima impressione a Berlino di cui non sapeva quale sarebbe stata la reazione4 .

Ho convenuto con questo ambasciatore di Germania che memorandum era quanto mai infelice ed inopportuno, osservando, però che, a mio avviso, nel discorso questo ministro degli Affari Esteri, per quanto concerne la questione di Danzica, si potevano trovare elementi suscettibili di qualche sviluppo positivo, specie ove si tengano presenti i ripetuti accenni di questo ministro degli Affari Esteri all'impossibilità per la Polonia di fare concessioni senza compensi sostanziali.

Quanto all'intonazione intransigente della stampa polacca odierna, essa ha più che altro un valore tattico in attesa di reazioni tedesche. Certo, ove tali reazioni dovessero assumere una forma grave, la Polonia a sua volta controreagirebbe5 .

2 Vedi D. 651.

3 Vedi DD. 649 e 658.

4 Sulle reazioni di Berlino si veda il D. 658.

5 Il documento fu inviato in visione a Mussolini.

657 1 Vedi D. 651, nota l.

658

L'INCARICATO D'AFFARI A BERLINO, MAGISTRATI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. RISERVATO 3434/1053. Berlino, 6 maggio 1939 1•

Mi riferisco al mio telegramma odierno n. 2872 .

Ieri sera alle ore 18 l'incaricato d'Affari di Polonia, Principe Lubomirski, si è presentato alla Wilhelmstrasse per consegnare al Segretario di Stato, von Weizsacker, nell'assenza di von Ribbentrop, già partito per Monaco e Milano, il memorandum di risposta alla comunicazione tedesca del 28 aprile3 .

A quanto sembra, il governo di Varsavia ha desiderato che tale memorandum venisse consegnato dal! 'Incaricato d'Affari e non dal!' Ambasciatore Lipski, richiamato a tale scopo in patria, perché precedentemente la nota tedesca era stata trasmessa dall'Incaricato d'affari del Reich nella Capitale polacca e non dall'Ambasciatore von Moltke, assente da Varsavia.

Il documento, come ho già telegrafato, è stato consegnato nelle mani di von Weizsacker nel solo testo polacco, senza alcuna traduzione in altra lingua, in modo che non ha potuto fare oggetto se non di brevissima conversazione tra il Segretario di Stato e il Principe Lubomirski. Esso in seguito, nella traduzione, è apparso più o meno la ripetizione dei noti argomenti polacchi, già fatti nel pomeriggio presenti, nel suo discorso, dal Ministro Beck4 . Il tono che è, similmente, poco conciliante e la conclusione, nella quale il governo di Varsavia si dichiara unicamente disposta a studiare eventuali nuove proposte tedesche senza a sua volta formularne alcuna, è stata qui trovata senz'altro del tutto negativa e non atta a far riprendere le interrotte conversazioni.

Il Segretario di Stato von Weizsacker, nel commentarmi tali aspetti negativi del documento, soggiungeva che, con ogni probabilità, si avrà ora un periodo di stasi dato che tanto la Germania quanto la Polonia sembrano destinate a rimanere con le braccia conserte, in attesa delle altrui proposte. Il pericolo però, egli concludeva, è ora sopratutto costituito dal fatto che i Polacchi appaiono in preda ad una vera crisi di esaltazione patriottica che può provocare nelle province dove risiedono elementi tedeschi, incidenti di imprevedibile conseguenza. In altre parole la pace di Europa «è ora affidata alle mani di un qualsiasi sotto-prefetto polacco»!

Del documento polacco la stampa tedesca non ha, fino a questo momento, fatto parola.

658 1 Manca l'indicazione della data di arrivo. 2 T. 2372/287 R. del 6 maggio. Riferiva in modo più conciso sullo stesso argomento. 3 Vedi DD. 649 e 657. 4 Vedi D. 651.

659

L'INCARICATO D'AFFARI A BERLINO, MAGISTRATI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 3439/1055. Berlino, 6maggiol9391•

Con i fonogrammi di questi giorni, diretti al R. Ministero della Cultura Popolare, questa R. Ambasciata ha già riferito circa le prime impressioni degli ambienti della stampa tedesca per la caduta del Commissario per gli Affari Esteri sovietico, Litvinov-Finkelstein.

Aggiungo che il fatto, proprio per essersi verificato nel corso delle trattative di Mosca con le Potenze occidentali, è stato qui accolto, da tutti, con malcelata soddisfazione ed ha dato luogo ad induzioni e supposizioni favorevoli nei riguardi dei futuri rapporti tra la Germania e l 'Unione Sovietica. In un primo momento, anzi, la stessa stampa se ne era fatta eco alludendo ai vantaggi per il Reich di una nuova politica isolazionista della Russia.

In un secondo tempo, anche per l'incertezza delle notizie che provengono da Mosca, si è qui preferito scegliere la via di una maggiore riservatezza e la stampa stessa, seguendo il sistema ad essa molto caro, ha preferito riprodurre i commenti apparsi all'estero, senza continuare a pubblicarne dei propri.

660

L'INCARICATO D'AFFARI A BERLINO, MAGISTRATI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. RISERVATO 3440/ l 056. Berlino, 6 maggio 1939 (perv. 1'8).

Mi riferisco al mio telegramma odierno n. 288 1 . Questo Nunzio apostolico, Monsignor Orsenigo, ebbe a chiedere l'altro ieri, a mezzo della Wilhelmstrasse, al Cancelliere Hitler un'udienza, con carattere di urgenza.

Nella stessa serata dell'altro ieri egli aveva un colloquio col ministro degli Affari Esteri von Ribbentrop, il quale gli comunicava la decisione del Fi.ihrer di riceverlo senz'altro, all'indomani, a Berchtesgaden.

Il l\'unzio apostolico partiva così ieri mattina da Berlino, in apparecchio speciale posto a disposizione dal governo tedesco, e si incontrava con Hitler nella sua villa, alla presenza di von Ribbentrop, restando colà fino alle quattro del pomeriggio, per poi rientrare a Berlino, nella stessa serata, sempre per via aerea2 .

659 Manca l'indicazione della data di arrivo. 660 T. 2370/288 R. del 6 maggio. Riferiva di avere appreso da von Weizsacker che il nunzio apostolico aveva chiesto di essere ricevuto d'urgenza da Hitler. 2 Sul colloquio tra Hitler ed il nunzio apostolico si veda il rapporto di monsignor Orsenigo in ACTES, vol. I, D. 29 ed il promemoria tedesco in DDT, vol. VI, D. 331.

Lo scopo e l'oggetto principale della conversazione devono essere già stati riferiti all'E.V., a Milano, dallo stesso ministro von Ribbentrop3 .

Aggiungo che il Nunzio, come egli stesso mi ha dichiarato, è rimasto soddisfatto dell'accoglienza ricevuta da Hitler, il quale si è mostrato, nel corso della non breve conversazione, animato dalla migliore comprensione.

Terminato il colloquio, il Fuhrer ha pregato il Nunzio di rimanere con lui per prendere insieme una tazza di tè, ed in questa occasione ha rievocato il suo viaggio a Roma, senza naturalmente fare alcun accenno alla sua mancata visita in Vaticano. E, proprio nell'esaltare le bellezze dei monumenti romani, egli ha posto in contrasto la grandiosità dell'opera costruttiva del Fascismo con le rovine causate alla Spagna dalla guerra civile, usando, su tale argomento, espressioni di profonda e grande ammirazione per la azione pronta e tempestiva del Duce in tutta la questione spagnola.

Della visita del Nunzio a Berchtesgaden non è stata qui data fino a questo momento alcuna notizia: e ciò ha naturalmente provocato, in questi ambienti diplomatici e giornalistici, non poche voci e supposizioni, a nuova testimonianza della nervosità che da qualche tempo li domina qui nettamente.

661

L'AMBASCIATORE A PARIGI, GUARIGLIA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 2992/1276. Parigi, 6 maggio 1939 (perv. 1'8).

L'E.V. è al corrente dei numerosi episodi di violenza a danno di connazionali che si stanno verificando da qualche tempo in alcune regioni francesi e in modo particolare nella Savoia, in Corsica e nel dipartimento del Var.

Ho raccolto in una succinta esposizione 25 casi del genere, tutti di notevole gravità, avvenuti nella seconda quindicina di aprile e ne ho fatto oggetto di nota che mi proporrei di mandare al Quai d'Orsay.

Prima di compiere questo passo e data l'importanza della comunicazione. gradirei ricevere da Vostra Eccellenza un cenno telegrafico di benestare. Trasmetto qui unito il testo di detta nota 1 e resto in attesa di istruzioni2•

2 Il documento ha il visto di Mussolini.

Con T. 8773/138 P.R. del 13 maggio, veniva così risposto all'ambasciatore Guariglia: «Potete far pervenire a destinazione quella nota aggiungendovi ultimi casi di espulsione di impiegati dei RR. Consolati». Sulla questione si veda anche il D. 678.

660 3 Vedi D. 666.

661 1 Non pubblicato.

662

IL MINISTRO A BUDAPEST, VINCI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR.... 1• Budapest, 6 maggio 1939.

Come ho comunicato all'E.V. con mio telegramma 1892 in data odierna, il ministro degli Affari Esteri mi ha messo diffusamente al corrente delle conversazioni avute dal Conte Teleki e da lui a Berlino3 . Egli mi ha detto che, se era partito molto preoccupato una settimana fa, tornava ora dalla Germania alquanto più tranquillizzato. Innanzi tutto le accoglienze avute in Germania erano state molto cordiali e calorose.

l) Conversando con gli uomini politici tedeschi, aveva avuto l'impressione che la Germania non desiderava precipitare la situazione nei riguardi della Polonia: la Germania, secondo una frase di Hitler, voleva ora «digerire» e aveva bisogno di un certo tempo di pace e di ricostruzione: Hitler avrebbe addirittura parlato di due anni. Parlando separatamente coi principali uomini politici tedeschi, egli aveva trovato Ribbentrop più fanatico e più riservato sull'argomento, mentre Hitler, Goring e Goebbels mostravano di non voler ora provocare un conflitto con la Polonia, conflitto che d'altra parte non potrebbe allo stato delle cose rimanere localizzato. Certo è che, però, l'opinione pubblica tedesca è nettamente ed acerbamente antipolacca, così come era anticeca nel settembre scorso; se dunque, mi ha detto Csaky, al momento attuale non sarebbe da prevedere una azione di sorpresa e di forza contro la Polonia, evidentemente la questione, quali che ne siano gli sviluppi immediati e temporanei nel pensiero dei tedeschi, non è, se mai, che rinviata. Goring gli aveva detto esplicitamente che non sarebbe stato difficile al momento opportuno, di provocare complicazioni per mezzo delle minoranze tedesche in Polonia, ed aveva aggiunto che comunque se si dovesse arrivare a un conflitto, solo la guerra contro la Polonia sarebbe popolare in Germania ed è quindi da questa parte che eventualmente il conflitto potrebbe se mai iniziarsi.

2) Mai come oggi Csaky aveva constatato la incrollabile saldezza dell'Asse e la più evidente volontà degli uomini politici tedeschi di una sempre più intima e stretta intesa con l'Italia Fascista. Il peso e il prestigio dell'Italia in seno all'Asse sono grandemente aumentati, mentre i tedeschi danno la sensazione di far di tutto per «ricercarla». Goring aveva avuto la più grande impressione ed ammirazione della saldezza, della potenza e delle perfette condizioni di addestramento dell'esercito italiano, sia metropolitano che coloniale.

3) Egli aveva tratto l'impressione, da qualche frase dei tedeschi, a meno che non si tratti di un giuoco politico, che essi mostrino di riconoscere ormai effettivamente la preminenza degli interessi italiani in Jugoslavia.

4) Su questi tre punti egli aveva già informato il R. Ambasciatore a Berlino4 e l'E.V. per mezzo del Barone Villani5 . Mi ha aggiunto che altro punto importante delle conversazioni, che mi pregava pure di riferire all'E.V., era stato quello concernente la Spagna. Avendone domandato a Hitler, questi gli aveva risposto che in caso di conflitto egli avrebbe chiesto dalla Spagna soltanto di mantenere una benevola neutralità.

5) A mia domanda, mi ha detto che allo stato delle cose non si era quindi posta la questione ora, come pensava prima di partire per Berlino, circa l'atteggiamento dell'Ungheria in caso di conflitto con la Polonia: non si era parlato quindi ora di passaggio di truppe né di neutralità; tuttavia visto che anche la Jugoslavia aveva dichiarato di mantenere eventualmente la neutralità benevola, la questione dell'atteggiamento dell'Ungheria poteva ritenersi determinata di conseguenza.

Egli era del parere che un conflitto con la Polonia avrebbe degenerato in conflitto generale, ed in questo caso, l 'Ungheria avrebbe seguito i suggerimenti delle Potenze de li'Asse, ma soprattutto quelli d eli 'Italia che evidentemente avrebbe dato all'Ungheria delle indicazioni e dei consigli più disinteressati e non egoistici.

6) Parlandomi della Jugoslavia, Csaky si è lamentato che Cincar Markovié avesse detto a Berlino che egli sarebbe andato in giugno a Belgrado. Csaky aveva rettificato coi tedeschi che se così fosse stato stabilito non avrebbe mancato di informarne il governo del Reich mentre egli aveva soltanto dichiarato, senza alcuna maggiore precisione, di essere disposto eventualmente ad incontrare Cincar Markovié dovunque, aggiungendomi ancora a questo proposito che avrebbe preferito l'incontro avvenisse in caso in Italia. Occorreva comunque attendere ora gli sviluppi della situazione interna in Jugoslavia date le nuove difficoltà sorte nelle trattative fra croati e serbi.

Quanto alla Romania, egli non credeva di poter fare ora di più ed attendeva di vedere quale seguito avrebbe avuto la sua dichiarazione di iniziare e attivare i contatti per le questioni minoritarie. Egli del resto non voleva mostrare di aver fretta di fronte ai due vicini.

7) Quanto alla Slovacchia, Csaky mi ha detto che i tedeschi gli avrebbero fatto comprendere che essa interessava loro solo in funzione della Polonia, altrimenti si sarebbero disinteressati della sua sorte. Mi ha aggiunto anche che i tedeschi avevano voluto una formale assicurazione che eventualmente nessun territorio slovacco sarebbe ceduto o attribuito alla Polonia.

Il governo ungherese aveva già dato il gradimento ad un rappresentante slovacco a Budapest e deciso la nomina di un rappresentante ungherese a Presburgo: esso tuttavia non era ancora stato scelto.

8) Poiché in questi giorni, come di solito in simili occasioni e specie in ambienti ebraici, erano corse voci disparate soprattutto circa vincoli economici più stretti (si parlava di nuovo di unione doganale) e circa ulteriori allargamenti dei diritti delle minoranze tedesche in Ungheria, ho voluto chiederne a Csaky; per quanto si riferisce alle questioni economiche, di nuovo smentendomi la possibilità di una unione doganale, egli mi ha detto che i tedeschi avevano qualche tempo fa presentato un memoran

dum molto dettagliato concernente le basi su cui dovrebbero fondarsi i reciproci rapporti economici e commerciali allo scadere dell'attuale accordo che scade nel 1940. Secondo tale memorandum, che effettivamente in un primo tempo era apparso a lui come a Nickl contenere proposte non accettabili, ma che ora si convinceva poteva essere una base di discussione, i tedeschi suggerivano ad esempio che gli ungheresi desistessero dali 'idea di fabbricare automobili di tipo turistico ed anche camion potendo tali veicoli essere fomiti dalla Germania; suggerivano di non prendere il petrolio direttamente dalla Romania, ma di acquistarlo attraverso la Germania, consigliavano di coltivare semi oleosi ecc. Csaky trovava che per esempio per quello che si riferiva al petrolio l'Ungheria avrebbe il vantaggio di non pagare il 40% in divisa, come deve fare a termini degli accordi con la Romania; d'altra parte i tedeschi non erano del tutto al corrente della potenza ed efficienza dei giacimenti di petrolio ungherese che avrebbero ridotto assai se non annullato ben presto il fabbisogno ungherese d'importazione. Mi ha anche parlato di due esperti venuti a Budapest presso la Banca Nazionale per studiare quali sarebbero i migliori mezzi per risanare le finanze dell'Ungheria.

Su questi importanti argomenti ed in relazione anche a quanto accennò il Reggente non mancherò di fare le più accurate indagini e riferire dettagliatamente all'E.V.

9) Quanto alle minoranze tedesche, Csaky mi ha detto che non se ne è parlato a Berlino, ma mi ha aggiunto che giungerà prossimamente a Budapest Frick ciò che mi induce a credere che effettivamente allora tale argomento sarà toccato e non mancherò di riferime all'E.V.

662 1 L'originale da Budapest di questo documento non è stato rintracciato. Si pubblica qui il testo ritrasmesso dal Ministero ad alcune ambasciate e legazioni con telespresso 214670/c. del 16 maggio. 2 T. 2380/189 R. del 6 maggio con cui il ministro Vinci aveva riferito in modo più sintetico sul colloquio avuto con Csaky. 3 Riferimento alla visita del 29 aprile-2 maggio, sulla quale si veda anche il D. 622.

662 4 Vedi D. 622. 5 Negli archivi italiani non è stata trovata documentazione circa un colloquio tra Ciano e il ministro Villani su tale argomento.

663

NOTA N. 30 DELL'INFORMAZIONE DIPLOMATICA 1

Roma, 6 maggio 1939.

Negli ambienti responsabili romani vengono particolarmente sottolineate le accoglienze, eccezionalmente calorose, che la popolazione di Milano ha tributato al ministro degli Esteri germanico von Ribbentrop. Una folla di parecchie centinaia di migliaia di persone, schierata nelle strade per salutare l'ospite illustre, ha dimostrato che anche nella politica del!' Asse, come in tutto il resto, Milano è perfettamente in linea come sempre. Solo dei giornalisti stranieri dalla fantasia malata e specializzati nella diffusione della menzogna, divenuta un abito professionale, potevano illudersi che fosse il contrario. Le loro fole sono spazzate via in un attimo dal grido della moltitudine milanese. Solo chi non conosce il fierissimo, ardente, geloso patriottismo di Milano, solo chi non conosce da vicino il Fascismo milanese formidabilmente inquadrato, solo chi non è stato mai a contatto con la vita di questa potente città, che ha una parte così importante nella vita della nazione, solo un individuo di siffatto genere può nutrirsi di illusioni ridicole e covare pietose speranze quali sono quelle che hanno alimentato di recente la cronaca del giornalismo francese.

Quanto alla sostanza dei colloqui tra von Ribbentrop e il conte Ciano si osserva nei circoli responsabili romani che la materia da prendersi in attento esame non manca. Molti problemi sono stati risolti, per molti ancora si cerca una soluzione. La situazione generale, più che pericolosa, è fluida, e attende quindi di cristallizzarsi in forme definite, onde permettere ai popoli europei di riprendere tranquillamente il lavoro. È appena inutile di aggiungere che, secondo le impressioni dei circoli responsabili romani, mentre non accadrà nulla di sensazionale, l'Asse uscirà ulteriormente ratTorzato dai colloqui di Milano. Ma soprattutto apparirà ancora una volta chiaro che l'Asse, pur essendo pronto a difendersi strenuamente contro ogni tentativo di accerchiamento, non è un fattore di guerra ma uno strumento di pace.

663 1 Minuta autografa di Mussolini.

664

L'INCARICATO D'AFFARI AD ANKARA, BERlO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 2538/064 R. Ankara, 7 maggio 1939 (perv. i/16). Mio telegramma n. 49 del6 maggio1•

Dopo la partenza di Potemkin2 da Ankara, è stato pubblicato un comunicato di cui trasmetto il testo integrale con telespresso n. 842/451 in data odierna3 .

Il comunicato dichiara che, in questa «presa di contatto», è stata constatata una volta di più la comunanza di vedute tra i due governi amici nelle questioni internazionali e su quelle particolari turco-sovietiche; afferma la volontà di consolidare ancora di più i legami tra i due Paesi; conclude che i governi turco e sovietico continueranno nei loro sforzi paralleli per il mantenimento della pace e della sicurezza e si terranno in contatto per comunicarsi ogni informazione riguardante gli interessi comuni.

Il comunicato è giudicato anodino in questi ambienti diplomatici; esso conferma che per ora nessun risultato concreto è stato raggiunto fra i Sovieti e Ankara. Tuttavia alcuni elementi meritano di essere posti in rilievo: l) la dichiarazione ufficiale che i due governi intendono rafforzare «ancora di più» i legami fra i due Paesi, ciò che lascia intravedere la possibilità della conclusione di eventuali nuovi accordi; 2) l'affermazione che i due governi continueranno i loro sforzi per il mantenimento della pace e della «sicurezza». La parola «sicurezza» -messa anche in rapporto con la notizia del raggiunto accordo di sicurezza turco-britannico -indica a sufficienza l'oggetto principale delle conversazioni svoltesi o che si svolgeranno.

Si dice che la continuazione delle conversazioni è comunque subordinata ali' andamento di quelle anglo-sovietiche.

I rapporti politici turco-sovietici sono attualmente regolati dal patto di amicizia e di neutralità del 17 dicembre 19254 e dal protocollo firmato ad Ankara il 17 dicembre 19295 . La validità del patto e protocollo è stata prorogata per dieci anni con atto del novembre 19356 . L'art. 2 del protocollo stabilisce tra altro quanto segue: «Chacune des deux Parti es s'engage à ne pas entamer, sans en référer à l'autre Partie, des négociations tendant à la conclusion d'accords politiques avec !es Etats se trouvant dans le voisinage immédiat de terre ou de mer de la dite Partie et de ne conclure de tèls accords qu'avec le consentement de celle-ci». Mi risulta da varie fonti attendibili che circa due mesi fa tra Sovieti e Turchi sarebbe intervenuto un accordo segreto che precisa l'assistenza sovietica alla Turchia nel caso in cui quest'ultima si trovasse implicata in un conflitto. I Sovieti si sarebbero impegnati a rifornire la Turchia l) di petrolio 2) di materiale aeronautico 3) di munizioni in proporzione delle forniture di armi effettuate finora dai Sovieti alla Turchia7 .

664 1 Vedi D. 656, nota 2. 2 Il Vice-commissario del Popolo sovietico, Potemkin, era stato in visita ad Ankara dal 27 aprile al 5 maggio. Su quella visita si vedano anche i DD. 709 e 711. 3 Non pubblicato.

665

L'AMBASCIATORE A SALAMANCA, VIOLA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 2663/684. San Sebastiano, 7 maggio 1939 (perv. il 12).

L'esecuzione degli impegni assunti dal governo francese con l'accordo Bérard-Jordana1 , concernenti la restituzione del noto materiale spagnolo, che si trova ancora in Francia, è questione giudicata da questo Ministero degli Affari Esteri tuttora lontana da una soluzione, dato il persistente ostruzionismo dimostrato dal governo di Parigi. Recentemente il Direttore Generale degli Affari Politici, nel dim1i che, tanto per il problema del materiale che per quello dei rifugiati, si era in altissimo mare, ha soggiunto, a titolo di commento: «La Francia continua a mancare alla sua parola».

La visita di Pétain a Burgos, avvenuta circa una quindicina di giorni or sono, subito dopo il suo ritorno da Parigi, contrariamente ad alcune ipotesi ottimistiche, cui essa in un primo tempo aveva dato luogo, ha lasciato invece la situazione sostanzialmente invariata.

Si era detto che Pétain non condivideva il modo di agire del suo governo e che si era recato a Parigi per convincere il Quai d'Orsay della necessità ed opportunità di

5 Protocollo per prorogare la durata di validità del trattato di amicizia e di neutralità del 17 dicembre 1925. Testo in MARTENS, vol. XXIII, pp. 681-683.

6 Protocollo tra Turchia e U.R.S.S. del 7 novembre 1935. Testo in MARTENS, vol. XXXVII, pp. 28-29.

7 II documento fu inviato in visione a Mussolini.

non più oltre indugiare nell'esecuzione degli impegni sottoscritti ma, ammesso che ciò sia vero, si deve oggi concludere che il Maresciallo ha fallito il suo scopo. Infatti, tutto fa ora ritenere che Pétain sia giunto a Burgos senza portare alcuna importante concessione, giacché la restituzione, verificatasi successivamente alla sua venuta, di un certo numero di aeroplani ex-rossi e di un centinaio di navi peschereccie (v. ritaglio stampa qui unito) appare essere poca cosa di fronte a tutto il materiale bellico e non bellico che la Francia da oltre un mese si è impegnata a restituire alla Spagna. Fra l'altro, figura ancora fra questo tutto il materiale dello sconfitto esercito della Catalogna e tutto il bestiame e tutti gli automezzi che dalla Catalogna furono fatti passare in Francia sotto l'incalzare rapido delle divisioni nazionali. Anche i pescherecci, che ora vengono restituiti, sia pure sommati agli altri cinquantanove consegnati precedentemente (telespresso di questa R. Ambasciata n. 2293/566 del 20 aprile u.s_)1, sono pochi se considerati di fronte agli oltre quattrocento che furono internati nei porti francesi.

Il dispetto che qui causa questo equivoco comportamento della Francia è tanto più forte in quanto si è convinti che più il tempo passa più il materiale che deve essere restituito si assottiglia e si polverizza attraverso le larghe manomissioni dell'autorità militare francese e la trascurata manutenzione. Risulta anche che importanti partite di esso siano state inviate in Algeria e in Tunisia e si è detto che alcuni quantitativi dovrebbero formare oggetto di spedizioni in Russia.

Per quanto riguarda il rimpatrio dei rifugiati (quasi quattrocentomila), che si trovano in Francia, il problema è altrettanto insoluto. Per esso però la situazione tra Burgos e Parigi è diversa, giacché (telespresso di questa R. Ambasciata n. 1865/445 del 25 marzo u.s.)3 se è vero che il governo di Franco, per motivi sentimentali e di prestigio nazionale, non può disinteressarsi della sorte di tante migliaia di spagnoli, anche se molti di essi furono dei rossi, è tuttavia altrettanto vero che non può non preoccuparsi di tutti i gravissimi inconvenienti cui darebbe luogo un loro troppo rapido rientro in Spagna; mentre d'altra parte la fretta del governo francese a volersi liberare da una tale massa di gente, che gli procura forti spese e notevoli preoccupazioni d'indole interna, concorre a far ritenere utile al governo spagnolo di attendere ancora, almeno fino a quando Parigi non dimostrerà una maggiore buona volontà per la restituzione del materiale ex-rosso.

A proposito di ciò ho chiesto anche nei giorni scorsi al Ministero degli Esteri se vi era qualche cosa di vero in certe notizie stampa secondo cui il governo della Repubblica intenderebbe indennizzarsi delle spese di mantenimento ed assistenza ai rifugiati attraverso l 'incameramento di una parte del materiale spagnolo; ma mi è stato risposto che finora nessun accenno in proposito è stato fatto al governo Nazionale e che pertanto le notizie di cui trattasi vanno considerate destituite di fondamento.

3 L'ambasciatore Viola aveva fatto rilevare che in un primo momento il governo francese aveva accolto «con ostentata ospitalità» i rifugiati venuti dalla Catalogna, mentre il governo spagnolo si era sforzato di tàrli rientrare il più rapidamente possibile, ma che successivamente le posizioni si erano invertite dato l'enorme peso finanziario che bisognava sostenere per il mantenimento di 400.000 rifugiati.

Altre due circostanze, cui viene qui attribuita notevole importanza agli effetti dello stato attuale delle relazioni internazionali della Spagna sono la sua recente denuncia dell'adesione all'Atto Generale per il Regolamento delle Controversie internazionali (telespresso di questa R. Ambasciata n. 2435/605 del 27 aprile u.s.)4 e l'aspirazione manifestata dal governo Nazionale ad avere una maggiore influenza nell'amministrazione della Zona Internazionale di Tangeri (telespresso di questa R. Ambasciata n. 2483/604 del 28 aprile u.s.)5• Per quanto riguarda questa seconda questione, come noto, sono stati fatti da tempo dei passi a Parigi per ottenere la sostituzione dell'attuale Amministratore della Zona, che è un francese, con un Amministratore di nazionalità spagnola, ma ancora la Francia non ha fatto conoscere il suo pensiero in proposito.

Questa situazione viene messa anche in relazione con tutta la recente campagna giornalistica dei Paesi democratici, specie francese, con la quale si è voluta dare ad alcuni recenti atti militari spagnoli in Andalusia e nel Marocco spagnolo (l'invio in quest'ultimo di forti contingenti di truppe marocchine, la grande adunata militare di Siviglia, e l'assegnazione permanente di due divisioni alla frontiera con la zona di Gibilterra) un rilievo eccessivo ed interpretazioni tendenziose, quali quella della presunta intenzione della Spagna di occupare Tangeri (telegramma Stefani Speciale n. 50 del 23 aprile e telespresso di questa Ambasciata n. 2468/599 del 25 aprile u.sf Infatti, si dice, l'invio delle truppe marocchine nel Marocco spagnolo non è che un logico provvedimento di smobilitazione delle forze fino ad ora tenute in armi nella Penisola per la guerra; l'adunata militare di Siviglia è stata effettuata per la parata della vittoria svoltasi in tale città in forma molto grandiosa alla presenza del Caudillo; e l 'assegnazione delle due divisioni alla frontiera con la Zona di Gibilterra è l'adozione di una misura, che, sebbene sospesa durante i tempi della Repubblica e della guerra civile, era però sempre stata applicata durante la Monarchia.

Per contro non si manca qui di osservare che, anziché dalla Spagna, veri e propri preparativi militari su larga scala nel settore Gibilterra-Marocco sono stati invece effettuati da parte dell'Inghilterra e della Francia; ciò che non ha mancato di suscitare negli spagnoli un certo risentimento; e proprio in questi giorni mi viene segnalato che nella popolazione della zona spagnola vicina a Gibilterra vi è una marcata animosità contro gli inglesi.

Naturalmente la vasta attività militare e navale franco-inglese nel settore Gibilterra-Marocco, più che contro la Spagna di per se stessa, è qui considerata diretta contro la Spagna come eventuale alleata de11e Potenze de11' Asse; ed infatti si considera un sintomo significativo di ciò l'inquietudine recentemente dimostrata dai francesi e dagli inglesi per la crociera della flotta tedesca nei porti spagnoli e le sue annunciate manovre nel Sud. Inoltre mi è stato riferito che Pétain, nella sua ultima visita a Burgos, si sarebbe mostrato molto preoccupato di conoscere quando i Legio

5 Non rintracciato.

6 Non rintracciato.

nari italiani avrebbero lasciato la Spagna; curiosità che non sarebbe stata soddisfatta, perché nulla il Maresciallo avrebbe potuto sapere sull'argomento di più delle comuni imprecise notizie pubblicate dai giornali.

Intanto, viene agitata da questa stampa un'altra questione che contribuisce al cattivo andamento dei rapporti franco-spagnoli e cioè quella relativa ali 'appoggio trovato in Francia presso l'opinione pubblica ed anche presso le sfere ufficiali, da parte di molti capi rossi spagnoli e dai separatisti baschi.

Tale atteggiamento viene qui considerato per lo meno inamichevole e come un altro indizio che la Francia, nonostante il suo riconoscimento de jure, continua in sostanza ad essere favorevole ai nemici del movimento che ha fatto trionfare il governo di Franco. Naturalmente da parte spagnola non si lascia perdere alcuna occasione per ripagare la Francia della stessa moneta; è così infatti che viene generalmente interpretata la solennità e la risonanza avuta nella stampa delle varie cerimonie svoltesi in molti centri della Spagna il 2 maggio, anniversario della sollevazione di Madrid contro l'invasione napoleonica, nonché anche la nomina ad Addetto Militare a Parigi del Tenente Colonnello Barroso che già aveva tale incarico ali 'inizio del movimento e che essendo un fedele di Franco fu costretto a lasciare la Francia.

Infine, non molti giorni or sono Serrano Sufier, che in una intervista data al Volkischer Beobachter non si è lasciata sfuggire quest'altra occasione per fare delle dichiarazioni di politica estera, è uscito nella seguente frase, evidentemente diretta contro la Francia, e riprodotta dal Temps del 2 corrente: «Comprendo que el momento politico es ahora distinto en Francia. El nombramiento del Mariscal Pétain por el presidente Daladier es un gesto que nos honra muchisimo y he dicho siempre que el heroe de Verdun debia ser recibido con toda la consideraciòn que merece. Ponga, sin embargo, a sus compatriotas en guardia contra la ilusiòn que algunas sonrisas y amables conversaciones bastaran para disipar la amargura del corazòn de los espafioles. Nuestro pueblo es facilmente cortés en su acogida, pero su sensibilidad queda intacta».

664 4 Testo in MARTENS, vol. XVIII, pp. 658-659.

665 1 Vedi D. 227, nota 3.

665 2 Non rintracciato.

665 4 Non pubblicato, il suo argomento è qui indicato. l n proposito l'ambasciatore Viola riferiva che al ministero degli Esteri spagnolo gli era stato fatto comprendere che la denuncia andava considerata «come un primo passo verso la liquidazione da parte della Spagna degli impegni ginevrini presi dai passati regimi».

666

COLLOQUI DEL 6-7 MAGGIO A MILANO DEL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, CON IL MINISTRO DEGLI ESTERI TEDESCO, VON RIBBENTROP 1

PROMEMORIA.

Ho dato conoscenza a Ribbentrop dell'appunto redatto dal Duce2 e mi sono soffermato ad illustrare ogni singolo punto di esso. Ribbentrop ne ha preso attenta nota e ha dato le risposte che seguono:

2 Vedi D. 641.

l) Coriferenza proposta dal Papa3 . Il Fuhrer ha ricevuto il Nunzio Apostolico Monsignor Orsenigo e ha ascoltato quanto veniva da lui proposto. Ha però evitato di dare qualsiasi risposta decisiva poiché intendeva prima consultarsi col suo «amico Mussolini».

Il Ftihrer ritiene che l'idea della Conferenza non sia accettabile, in primo luogo perché metterebbe l'Italia e la Germania sempre nella incomoda posizione della inferiorità numerica dato che dall'altra parte l'Inghilterra, la Francia e la Polonia, formerebbero presumibilmente un blocco unico, in secondo luogo perché ritiene che nell 'attuale stato di cose la Conferenza non potrebbe raggiungere alcun risultato pratico, e al contrario renderebbe più esasperato «l'isterico stato d'animo dei polacchi». Il Fuhrer propone di far sapere al Vaticano che si è grati dell'iniziativa del Papa, ma che non si ritiene possibile di accettarla poiché l'atmosfera creata artificialmente contro le Potenze dell'Asse non permette di sperare che una Conferenza dia utili frutti.

2) Polonia. Ribbentrop ritiene che il Governo polacco, e particolarmente Beck, sono vittime della situazione interna per aver permesso in questi ultimi tempi una propaganda troppo attiva contro la Germania. I polacchi, che sono di natura megalomane, sono stati esasperati al punto tale da non rendersi conto della più elementare realtà e cioè che in caso di scontro militare alcune divisioni tedesche e le forze dell'aviazione basteranno a liquidare il conflitto sul fronte orientale in meno di due settimane.

Le proposte di accordo fatte da Hitler sono particolarmente vantaggiose poiché nessun uomo politico tedesco che non fosse lui avrebbe mai potuto affrontare l'impopolarità determinata dall'accettazione e dalla garanzia del corridoio. Allo stesso Reichstag, quando il Fuhrer fece conoscere tali sue proposte, si notò un movimento che significava molto chiaramente la sorpresa e forse anche la reazione degli ascoltatori. Ma il Ftihrer è deciso di marciare su una strada di conciliazione e insiste per ottenere l'autostrada extra territoriale, poiché questo varrebbe anche a modificare la situazione psicologica tedesca. Viceversa il Ftihrer non può e non intende rinunciare a Danzica, la violazione delle cui frontiere da parte polacca sarebbe considerata come la violazione della stessa frontiera tedesca. l tedeschi non faranno più offerte alla Polonia. Ma non per questo considerano la porta chiusa ai negoziati. Il programma è quello di non prendere iniziative: il tempo giuoca in favore della Germania tanto più che già si notano segni di stanchezza in Francia ed in Inghilterra nei confronti del problema polacco, ed è sicuro che tra qualche mese, né un francese, né un inglese marcerà per la Polonia. Comunque, Ribbentrop conferma che è intenzione tedesca di lasciare stagionare la questione, pronto però a reagire nella forma più dura, qualora da parte polacca si cercasse di passare ad una politica di offensiva.

3) Periodo di pace. Anche la Germania è convinta della necessità di un periodo di pace che dovrebbe essere non inferiore ai 4 o 5 anni. Il Governo tedesco intende impiegare molto attivamente questo tempo per la preparazione dell'esercito, sia dal punto di vista degli armamenti che da quello dei quadri, tuttora incompleti, e per la costruzione della Marina che, nel giro di quattro anni, sarà, anche se non estremamente imponente come tonnellaggio, molto efficiente dal punto di vista bellico.

Ciò non vuoi dire che prima di questo periodo la Germania non sia pronta alla guerra. Qualora vi fossimo forzati, il Hihrer intende tentare di risolverla attraverso un rapido corso di operazioni. Ma se ciò sarà impossibile, si prepara anche a sostenere

una guerra di durata pluriennale. Comunque ritiene che l'iniziativa sia sempre all' Asse, la cui posizione militare e politica si è molto rafforzata in questi ultimi tempi attraverso la soluzione del problema cecoslovacco e l'occupazione del!' Albania. Dal punto di vista diplomatico ritiene anche che la stipulazione di un Patto di non aggressione con i Paesi Baltici e successivamente con i Paesi Scandinavi, sia di grande vantaggio per la Germania e per l'Italia.

4) Gran Bretagna. Ribbentrop prende atto di quanto gli comunico circa le nostre relazioni con Londra. Non ha niente di particolare da dirmi per quanto concerne i rapporti anglo-germanici.

5) Francia. Ribbentrop è assolutamente d'accordo con la politica che il Duce intende seguire. Non ritiene però possibile una guerra isolata tra l'Italia e la Francia poiché la Gran Bretagna non lascerebbe mai battere la sua alleata continentale senza tentare ogni sforzo per sal varia. Ciò provocherebbe l 'automatico intervento della Germania.

6) Spagna. Il Governo tedesco è soddisfatto dell'atteggiamento di Franco. Concorda sulla necessità di continuare a svolgere un'azione comune dell'Italia e della Germania per rafforzare ancora i legami tra l'Asse e la Spagna; bisognerebbe possibilmente giungere ad una vera alleanza, poiché pur non facendo soverchio assegnamento sulle forze armate spagnole, sarebbe per noi di grande utilità inchiodare alcuni Corpi d'Armata francesi alla difesa della frontiera pirenaica.

7) Svizzera. Si concorda nel considerare la Svizzera una Nazione fondamentalmente ostile ali' Asse e si concorda anche sulla opportunità di non rilevare la cosa pubblicamente e formalmente fino a nuove disposizioni.

8) Jugoslavia. A Berlino si è rimasti molto soddisfatti dei colloqui avuti con Markovié4 che ha ripetuto quanto aveva già detto a Venezia5: in ogni eventualità la Jugoslavia si manterrà neutrale con appoggio economico alle Potenze dell'Asse.

Ribbentrop ritiene che è, allo stato degli atti, nel comune interesse di salvaguardare lo statu qua jugoslavo. Qualora però la dissoluzione del Regno trino avvenisse per processo interno, Ribbentrop conferma che dovrà l'Italia, quale Paese che ha interessi assolutamente prevalenti in Jugoslavia, dirigere la soluzione della crisi.

9) Grecia. Ribbentrop ritiene che, dopo l'occupazione dell'Albania, l'importanza della Grecia sia molto diminuita e che sia comunque più facile esercitare una influenza dell'Asse su questo Paese. A tal fine bisognerebbe arrivare a sostituire l 'attuale Re, ostilissimo ali' Asse, col Principe Ereditario, che è di idee assolutamente opposte. Ciò non dovrebbe essere impossibile data la caotica situazione interna e le moltissime ostilità che convergono sulla persona del Re attuale.

l O) Turchia. Attendere di conoscere con precisione la portata dei suoi nuovi impegni con l'Inghilterra.

Il) Bulgaria. Continuare a svolgervi una politica di collaborazione ai fini sopratutto di impedire che la Bulgaria dia la sua adesione al Patto balcanico così come viene continuamente sollecitata dalla Turchia e dalle democrazie occidentali.

12) Russia. Ribbentrop è convinto che bisogna cogliere l'occasione che si pre

5 Nell'incontro con Ciano del 22-23 aprile. Vedi D. 593.

senta favorevole per impedire l'adesione della Russia al blocco antitotalitario. ma concorda in pari tempo sull'assoluta necessità di svolgere una tale azione con molta discrezione e con un assoluto senso di misura. Qualsiasi esagerata manifestazione in senso filorusso avrebbe dei risultati negativi. Però insiste sulla necessità di continuare e di sottolineare la distensione che si è prodotta nei rapporti tra l'Asse e l'Unione Sovietica.

13) Alto Adige. Ho parlato a Ribbentrop con molta chiarezza del problema e gli ho dato una quantità di particolari di cui egli non era a conoscenza. Mi sono formato la convinzione che fino ad oggi il problema non gli era mai stato prospettato nella sua pienezza e nella sua serietà6 . Ribbentrop, dopo avermi ripetuto l'assoluto disinteresse presente e futuro del Governo del Reich per l'Alto Adige, mi ha dichiarato che intende mettersi immediatamente all'opera, insieme ad Attolico, per risolvere al più presto almeno il problema che concerne l'evacuazione dei 10.000 tedeschi ex-austriaci. Attolico oggi stesso conferirà con Mastromattei e, subito dopo il suo ritorno a Berlino, prenderà contatto con Ribbentrop per dare al problema una soluzione concreta.

14) Alleanza militare. Per quanto concerne l'alleanza militare Ribbentrop si riserva di mandarci al più presto uno schema di trattato di alleanza che dovrebbe venire da noi esaminato e discusso. La firma del Patto propone che abbia luogo a Berlino non appena possibile ed in forma molto solenne. Ribbentrop, che non ha del tutto abbandonato l'idea di acquisire il Giappone all'alleanza militare, ha molto apprezzato

Una ripresa delle conversazioni in proposito era stata sollecitata il lo aprile dall'ambasciatore Attolico in un colloquio con von Weizsacker (promemoria von Weizsacker in DDT, vol. VI, D. 143) e ne era seguito, il 5 aprile, un colloquio tra Magistrati e il capo della Divisione IV della Wilhelmstrasse, consigliere Heinburg, durante il quale Magistrati, dopo aver elencato i molti aspetti della situazione in Alto Adige che suscitavano preoccupazione a Roma, aveva dichiarato che occorreva adottare una soluzione radicale, anche per porre fine ai contrasti sempre più torti tra gli altoatesini di razza tedesca e gli elementi di razza italiana che il governo aveva trasferito ed intendeva ancora trasferire in Alto Adige. L'unica soluzione etlìcace -aveva concluso Magistrati -era il trasfèrimento in Germania di tutti gli altoatesini di razza tedesca, una soluzione ora facilitata dai rapporti di amicizia esistenti tra i capi dei due Paesi dell'Asse (promemoria Heinburg, ibid., D. 163).

Magistrati era stato quindi convocato appositamente a Roma, dove era stato ricevuto da Mussolini, e il 27 aprile aveva incontrato nuovamente il consigliere Heinburg al quale aveva dichiarato che Mussolini, preoccupato per la possibilità di incidenti in Alto Adige. considerava necessario che fossero prese rapidamente delle misure per evitarli. La prima cosa da fare -aveva precisato Magistrati -era trasferire in Germania gli ex cittadini austriaci ora divenuti cittadini germanici, ciò che avrebbe fatto capire in Alto Adige che la Germania aveva rinunciato definitivamente alle sue pretese sulla zona: il trasferimento degli altri altoatesini di razza tedesca era meno urgente. Heinburg aveva assicurato che il piano per un trasferimento di popolazione era allo studio ma che non si era ancora in grado di precisare una data per la sua esecuzione (in proposito si veda quanto annotava il consigliere Heinburg in DDT, vol. VI, D. 318, nota 5).

Anche Ciano era tornato sulla questione in un colloquio del 3 maggio con l'ambasciatore von Mackensen, al quale, dopo aver espresso l'irritazione del governo italiano per l'attività del console generale di Germania a Milano, Bene, aveva ricordato l'idea espressa a suo tempo da Hitler di trasferire nel territorio dei Sudeti la popolazione tedesca dell'Alto Adige. E siccome l'ambasciatore von Mackensen faceva rilevare le ditlìcoltà che si frapponevano alla realizzazione di quel progetto, Ciano aveva dichiarato che intanto un passo concreto nella giusta direzione sarebbe stato il trasferimento dei circa diecimila ex austriaci che andavano considerati la principale fonte di disordine (sul colloquio si veda il resoconto dell'ambasciatore von Mackensen ibid., D. 318).

Di tutti questi contatti non si è trovata documentazione negli archivi italiani.

il suggerimento del Duce di formulare l'alleanza in modo tale da costituire un Patto aperto all'adesione di quegli Stati che intenderanno in seguito parteciparvi1.

666 1 Ed. in L 'Europa verso la catastrofe, pp. 428-434.

666 3 Vedi DD. 646,653,660,672,715 e 717.

666 4 Nella sua visita in Germania del 25-27 aprile.

666 6 l problemi connessi all'Alto Adige erano stati posti nuovamente sul tappeto durante il mese di aprile per iniziativa italiana.

667

IL MARCHESE DE BOMBELLES AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

LETTERA. Zagabria, 7 maggio 1939 1•

Subito dopo il mio ritorno a Zagabria2 e ancora prima della mia visita a Macek, ho potuto constatare che le cose non marciano così e che anche prima non marciavano così come lo premettevamo in occasione della ultima discussione. Anche stavolta si è confermata la mia previsione, che la controparte non desidera e mai acconsentirà ad un accordo convenevole. Specialmente si è addimostrata esatta la mia dichiarazione, essere insolubile la questione della spartizione territoriale fra serbi e croati, fino a tanto che solo i serbi saranno gli arbitri di essa.

Venerdì 5 corrente ho avuto una più lunga conferenza con Macek, cui ho riferito, ed egli mi ha dettato nella penna, pregandomi di trasmettere a Voi verbalmente, quanto segue:

«Addì 27 aprile u.s. mi sono accordato con Cvetkovié, stilando un accordo scritto, senza però firmarlo, perché entrambi sapevamo che esso non potrebbe avere validità senza la firma del Principe Paolo.

Poiché l'Ufficio Stampa di Belgrado aveva annunziato a tutto il mondo, meno che a me, la notizia che l'accordo sarebbe già un fatto compiuto, ho inviato il lo maggio il deputato alla Camera dottor Giovanni Subasié al Principe Paolo e al presidente dei Ministri, con l'incarico di portarmi una risposta decisiva se la R. Luogotenenza avesse accettato, o meno, l'accordo del27 aprile u.s.-Invece di una risposta esatta il Subasié è rientrato con una controproposta alquanto confusa. Ciò mi ha messo nella determinazione di dettare una lettera al dottor Subasié, diretta a Cvetkovié, in cui constatavo, che

Nel Diario di Ciano vi è in proposito questa annotazione sotto la data corrispondente: «Ho trovato, per la prima volta, il mio collega germanico in una gradevole distensione nervosa. Non voleva, come di consueto, menar botte all'impazzata. Anzi, si è fatto anche personalmente alfiere di una politica di moderazione e di intesa. Naturalmente, ha detto che tra qualche anno dovranno andare qua e prendere là, ma il rinvio del suo dinamismo è già un notevole evento.

L'alleanza, o meglio l'annunzio immediato dell'alleanza è stato deciso sabato sera subito dopo il pranzo al Continental, in seguito ad una telefonata del Duce. Dopo il colloquio avevo riferito a Mussolini i risultati soddisfacenti per il nostro punto di vista. Egli, come sempre quando ha ottenuto qualcosa, chiede di più e mi ha domandato di fare annunziare il patto bilaterale ch'egli ha sempre preferito all'alleanza triangolare.

Ribbentrop. che nel fondo del cuore ha sempre mirato all'inclusione del Giappone nel Patto, ha dapprima nicchiato, ma poi ha finito col cedere, con la riserva dell'approvazione di Hitler. Il quale, telefonicamente interpellato, ha dato la sua immediata approvazione ed ha personalmente collaborato alla redazione del comunicato. Quando il Duce ne è stato da me informato, al mattino di domenica, ha manifestato una particolare soddisfazione».

2 Il marchese de Bombelles era stato ricevuto da Ciano il2 maggio. Vedi D. 638.

la R. Luogotenenza non aveva accettato il nostro accordo. Nello stesso tempo ho convocato per 1'8 corrente l'Assemblea dei rappresentanti croati alla Camera.

L'essenziale dell'accordo era: Immantinente congiunzione dei Banati di Zagabria e di Spalato in una unità denominata Banato Croazia, della estensione definitiva da regolare con plebiscito in Bosnia, nell'Erzegovina e nel Sirmio.

Alla cerchia di Autorità del Banato Croazia sarebbero da passare le competenze di tutti i dicasteri, ad eccezione degli esteri, dell'esercito e dell"'Amministrazione superiore dello Stato". Si avrebbe da formare subito una vasta coalizione ovvero un governo di concentrazione, il quale avrebbe da apparecchiare tutto il necessario alla trasformazione della unità statale ed in tale occasione sarebbe da garantire la situazione separata della Croazia con lo Statuto, rispettivamente con un trattato».

Dappresso a ciò, il dottor Macek mi ha dato le seguenti spiegazioni:

Sul principio lo stesso Cvetkovié era piuttosto sincero e subito mi aveva informato sul limite del suo mandato. Egli diceva di non trattare con me come Capo del governo ma come mandatario della Corona. Come è noto, egli fece più volte ritorno a Belgrado per prendere nuove istruzioni: risulta quindi inventata di sana pianta la versione circolante a Belgrado, che Cvetkovié avesse oltrepassato i limiti del mandato affidatogli.

Macek richiedeva dapprima come suo territorio tutta la Bosnia occidentale fino ai fiumi Bosna e Narenta, poi Ragusa, Cattaro ecc. Dopo varie titubanze qua e la, Cvetkovié dichiarò di non poter consegnare nelle mani di Macek le minoranze serbe della Bosnia occidentale, senza interrogarle.

Qui Macek afferrò abilmente queste parole per ribattere: Sono d'accordo con la interrogazione del popolo, ma allora dobbiamo interrogare tutti e non solo quelle minoranze. In seguito a ciò si venne alla decisione del plebiscito nelle su riferite regioni contese.

Detto plebiscito era poi l'effettivo ostacolo contro la approvazione dell'accordo da parte del Principe-Reggente, perché i serbi temevano giustamente che la loro politica del saccheggio e della tirannia, esercitata per oltre 20 anni, si potesse vendicare e che tutte le regioni passassero a Macek.

Per !'«Amministrazione superiore dello Stato», mi disse Macek, tanto egli che Cvetkovié hanno fatto una reservatio mentalis: perciò anche tale punto rimase imprecisato.

Ciò che Macek intenda concludere l' 8 corrente coi suoi deputati, ancora il 5 corrente egli stesso non era in grado di precisare, tuttavia mi ha dichiarato di non avere ancora l'intenzione di tagliare completamente i ponti coi serbi.

Mi adopererò per conoscere ciò prima ancora dalla partenza della presente lettera, sul cui risultato informerò brevemente con postilla aggiuntiva.

Qualora dopo l' 8 corrente la situazione si inasprisse realmente ed essa forse richiedesse una azione, ancora in settimana Carnelutti si recherà a Roma per informarVi oralmente e per sottoporVi eventuali concrete proposte.

Di tutto ho informato esattamente Carnelutti e Macek, ad eccezione del mio viaggio con Eccellenza Conti 3 di che prego anche l'Eccellenza Vostra di non fare menzione a Carnelutti.

Macek stesso era molto rallegrato e grato di poter riferire direttamente, per il mio tramite, all'Eccellenza Vostra ed era sorpreso che siete così diversamente informato sull'andamento della politica quaggiù, nonostante che il Comm. Gobbi, locale Console Generale fosse bene a giorno di tutto il movimento croato, da lui seguito con profonda competenza.

Che Macek stesso fosse preso in considerazione ed in combinazione per la successione di Cvetkovié alla Presidenza del Gabinetto, è un puro parto di fantasia.

Sebbene Macek per riguardo all'ambiente che lo circonda. di marca democratica. non si esprima in merito, tuttavia alcuni indizi giustificano la speranza che egli consideri l'accordo come una tappa alla più assoluta riscossione della Croazia, mercé l'aiuto dell'Italia.

Anche il vice presidente del partito macekiano, Ing. Kosutié, si è espresso qualche giorno fa, conforme a tale combinazione.

La mobilizzazione parziale, da me all'Eccellenza Vostra già segnalata, si conferma pienamente. Varie persone fra i miei stessi dipendenti sono state richiamate, per cui non temo smentite al riguardo. Asseritamente sono stati occupati, con le truppe di rinforzo, i confini albanesi e quelli verso l 'Italia.

I croati seguono le convocazioni con sussurri espressivi e si possono udire imprecazioni contro Macek per non aver egli rilasciato alcun manifesto contro tali convocazioni.

In molte parti della Croazia, specialmente in quelle della Bosnia e della Dalmazia, la notizia dell'accordo ha provocato una vera costernazione ed una critica clamorosa, e anche troppo clamorosa, se vogliamo, contro la rimessibilità di Macek.

Anche tale circostanza dimostra che io aveva ragione con la mia affermazione, che la gran parte della nazione croata stesse dietro al radicale Pavelié, e seguisse a malincuore Macek soltanto per ordine di Pavelié, e fino a tanto che Macek stesse in opposizione contro Belgrado.

La predisposizione degli animi dei serbi e dei Generali serbi è attualmente più italofoba che mai: espressioni del genere sono da tutte le parti all'ordine del giorno. È con visibile ripugnanza che la maggior parte dei croati segue la propaganda serba e antitàscista, che si fa sempre più forte nelle scuole, nella stampa ecc. Al riguardo -per Io più per contraddizione -si fanno osservare in Croazia sempre maggiori umori italofili. Qualora l'Eccellenza Vostra volesse un po' rinvigorire tali umori, su di che ho nuovamente conseguito l'approvazione del dottor Macek, prego di volermi informare per il tramite del locale Consolato, per recarmi senz'altro a Roma ed accogliere i desideri dell'Eccellenza Vostra.

Annessa alla presente l'Eccellenza Vostra troverà l'originale ed una traduzione della edizione speciale del giornale di Macek, comunicante la rottura definitiva dell'accordo.

Le notizie di Belgrado, che le trattative continuerebbero, sono false e tendenziose.

Ringrazio l'Eccellenza Vostra per la correttezza devolutami in misura stragrande. Assicuro l'Eccellenza Vostra che sarò sempre pronto di fare tutto il possibile per conseguire prossimamente la mèta comune, per la Vostra e per la mia Patria.

PS. La Assemblea dei Deputati croati, incominciata 1'8 corrente alle ore 9 di mattina dura ancora alle ore 19, prima di chiudere il corriere. Quindi nessuna risoluzione è stata finora presa. Nella mattinata, alcuni Komitagì volevano turbare la seduta o commettere un attentato contro Macek. Un tafferuglio subentrò subito dopo fra i squadristi di Macek ed i Komitagì, cui la polizia pose presto un fine facendo uso dell'arma da fuoco, col risultato di due Komitagì gravemente feriti 4 .

666 7 Il documento ha il visto di Mussolini. Sui colloqui oggetto di questo documento si veda, da parte tedesca, il promemoria pubblicato in DDT, vol. VI, D. 341.

667 1 Manca l'indicazione della data di arrivo.

667 3 Una annotazione sul documento dice: «=visita a Pavelié».

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IL MINISTRO A TEHERAN, PETRUCCI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 2413/55 R. Teheran, 8 maggio 1939, ore 18,40 (perv. ore 23,20).

Conte von Schulenburg, ambasciatore di Germania a Mosca, che attendeva qui di essere ricevuto dallo Scià, è stato richiamato urgentemente per conferire a Monaco con von Ribbentrop circa nuova situazione creatasi a Mosca in seguito alle dimissioni di Litvinov. Partirà domani mattina con Lujihansa per scendere a Monaco all'Hotel Continental per non essere notato. Mi ha detto che dimissioni Litvinov erano imprevedute, quantunque l'ultimo discorso di Stalin lasciasse prevedere un cambiamento nella politica estera dell'U.R.S.S. Ha aggiunto che non osa far previsioni, ma che da lungo tempo l 'U.R.S.S. cercava di riavvicinarsi alla Germania, e che se ciò non è avvenuto è colpa tedesca per l 'intemperanza di linguaggio ufficiale e della stampa. Egli avanza tre ipotesi:

l) Stalin ha voluto sbarazzarsi di Litvinov troppo compromesso per il sistema sicurezza collettiva che ha fatto completo fallimento.

2) Che la debolezza mostrata da Litvinov e la sua paura di compromettersi a fondo contro il Giappone in favore della Cina, contro la Germania in favore della Cecoslovacchia e, all'ultima ora, in favore della Polonia, abbia irritato Stalin che intende ora, impegnarsi a fondo.

3) Che l'imprudente azione inglese e l'atteggiamento polacco, decisamente anti-tedesco, avvicinando il pericolo di una guerra in Oriente, abbiano consigliato Stalin a svincolarsi dalla politica seguita da Litvinov per cercare un'intesa con l'Asse Roma-Berlino.

Egli ritiene quest'ultima terza ipotesi come la più probabile.

667 4 Il documento ha il visto di Mussolini.

669

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, AL MINISTRO AD ATENE, GRAZZI

T. 331/69 R. Roma, 8 maggio 1939, ore 24.

Vostri telegrammi 040 1 e 1472 del 5 e 6 corrente.

Sta bene linguaggio da Voi tenuto circa movimenti nostre truppe Albania.

Potrete confermare a Metaxas che movimenti di cui trattasi non hanno niente di ostile verso chicchessia e neanche verso la Grecia. Si tratta di truppe di cui riteniamo che convenga dotare il Paese e che vengono progressivamente dislocate nelle sue varie parti in relazione alle esigenze locali e alle locali possibilità di acquartieramento.

670

L'AMBASCIATORE A SALAMANCA, VIOLA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 2412/103 R. San Sebastiano, 8 maggio 1939, ore 14,30 (perv. ore 2 del 9).

Miei telespressi 382 e 605 rispettivamente del 17 marzo e 27 aprile 1• Gabinetto.

In questo momento Consiglio dei ministri ha deliberato ritiro della Spagna dalla Società delle Nazioni. Jordana nel darmene immediatamente comunicazione telefonica, ha aggiunto che la relativa notizia a Ginevra veniva telegrafata oggi stesso2 .

671

L'INCARICATO D'AFFARI A BERLINO, MAGISTRATI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. S.N.D. RISERVATO 2421/297 R. Berlino, 9 maggio 1939, ore 13,49 (perv. ore 14,30).

Weizsacker mi informa che ieri si è recato da lui questo ambasciatore del Giappone, generale Oshima, per chiedergli con urgenza dettagli dei colloqui di Milano e pregarlo in pari tempo di porlo in condizioni di fornire al suo governo, possibilmente,

assicurazioni che patto italo-tedesco era destinato rimanere nelle antiche linee degli accordi con il Giappone. Gli sono state date assicurazioni generiche e gli è stato consigliato di attendere ritorno a Berlino di Ribbentrop che avrà luogo probabilmente domani.

669 1 Vedi D. 652, nota l. 2 Vedi D. 652. 670 1 Il telespresso 382 del 17 marzo non è stato rintracciato. Per il telespresso 605 del 27 aprile si veda il D. 665, nota 4. 2 Il documento fu inviato in visione a Mussolini.

672

L'AMBASCIATORE PRESSO LA SANTA SEDE, PIGNATTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. S. N.O. PER CORRIERE 2429/85 R. Roma, 9 maggio 1939 (perv. iliO).

Ho fatto oggi al Cardinale Segretario di Stato la comunicazione oggetto delle istruzioni da V.E. impartitemi stamane, verbalmente 1 . Ho dichiarato al cardinale Maglione che V.E. apprezzava l'iniziativa del Pontefice ed il pensiero che l'aveva ispirata, ma che, d'accordo anche col signor von Ribbentrop 2 , considerava che il momento non era dei più adatti per darvi pratica attuazione.

Il Cardinale Segretario di Stato mi ha risposto che il Santo Padre aveva, nella mattinata, preso una decisione nel senso suddetto dopo avere letto una particolareggiata relazione del nunzio a Berlino3 . Il porporato non mi ha nascosto che la Santa Sede aveva riportato un'ottima impressione del colloquio del signor Hitler con monsignor Orsenigo.

Il Ftihrer aveva promesso che non avrebbe preso nessuna decisione senza essersi consultato con il Duce. Ha soggiunto che, pure non avendo un'alleanza con il Governo Fascista -l'incontro di Milano non era ancora avvenuto-tutto l'esercito tedesco sarebbe corso in aiuto dell'Italia se fosse stata attaccata.

Ha osservato tuttavia non sembrargli che le nostre divergenze con la Francia fossero tali da precipitare in un conflitto; quanto alle relazioni tedesco-polacche, il Ftihrer ha detto di avere rese pubbliche le sue domande alla Polonia, e che Egli può aspettare fino al '42, al '44 al '45.

Il Santo Padre è rimasto soddisfatto e rassicurato. Egli ha dichiarato al cardinale di considerare raggiunto lo scopo che si era prefisso con le consultazioni diplomatiche e di non giudicare necessario, né opportuno andare oltre4 .

2 Nell'incontro di Milano del6-7 maggio. Vedi D. 666.

3 In ACTES, vol. I, D. 29. Sul colloquio tra Hitler e monsignore Orsenigo si veda qui il D. 660.

4 Il documento fu inviato in visione a Mussolini.

673.

IL MINISTRO A SOFIA, TALAMO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 2473/055 R. Sofia, 9 maggio 1939 (perv. il 12).

Mio telegramma n. 921 e mio telegramma per corriere n. 0542•

Incaricato d'affari germanico mi ha detto che desumeva da una sua conversazione odierna con Kiosseivanov, nella quale questi gli aveva confermato quanto riferitomi circa il colloquio da lui avuto ieri 3 con Potemkin, che il governo di Mosca avrebbe ad un certo momento delle ultime conversazioni turco-sovietiche considerato l'eventualità di una estensione di accordi nel sud-oriente europeo, sì che avrebbe finanche tàtto accenno ad Ankara de li 'eventualità di una garanzia turca delle frontiere romene più ampia di quella derivante dal Patto balcanico; argomento su cui la Turchia si sarebbe però mantenuta negativa. Che peraltro l'accordo anglo-turco poteva considerarsi come effetto di una riduzione di più ampie prospettive, se pur Potemkin si sarebbe mostrato evasivo circa espressione Mediterraneo, se cioè comprensiva oltre che dell'Egeo, dei connessi Stretti e Mar Nero.

672 1 Non è stata trovata documentazione che consenta di accertare il contenuto preciso di queste istruzioni che, come indicato dal D. 716, comprendevano anche un passo da compiere direttamente presso il Pontefice per indurlo a prendere l'iniziativa di un negoziato con Berlino.

674

IL REGGENTE IL CONSOLATO GENERALE A MONACO, MELLINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 2425/21 R. e 2426/22 R. Monaco di Baviera, 10 maggio 1939, ore l (perv. ore 4,50).

Trasmetto seguente telegramma dell'ambasciatore Attolico: «Oggi Ribbentrop ha conferito con vari "esperti", fatti venire appositamente a Monaco, per discutere della situazione russa. È prevalsa l'idea che l'U.R.S.S. tenda a mantenersi al di fuori delle complicazioni europee e che quindi possa valere la pena di non accentuare le

2 T. per corriere 2436/054 R. dell'8 maggio. Riferiva che, nel suo colloquio con Kiosseivanov, Potemkin aveva mostrato di credere alla possibilità di staccare l'Italia da Berlino, ipotesi che subito dopo era stata esclusa dall'annuncio che le due Potenze dell'Asse si apprestavano a concludere un'alleanza. Il documento fu inviato in visione a Mussolini.

3 In realtà, il 7 maggio.

manifestazioni di ostilità nei suoi confronti, onde non darle la sensazione che le Potenze dell'Asse nutrono verso di essa speciali intenzioni aggressive e quindi costituiscano per essa un diretto pericolo. Contemporaneamente si ritiene che potrebbe essere opportuno riprendere con l'U.R.S.S. contatti e rapporti di commercio e politici in graduale ed utile sviluppo. Si attendono comunque, anche su questo, le istruzioni del Fiihrer che Ribbentrop vedrà a Berchtesgaden questa sera.

Uno degli esperti delle questioni russe, convocato ed arrivato oggi stesso dall'Olanda, ha riferito che l'annunzio dell'alleanza politico-militare italo-tedesca, !ungi dal suscitare nei circoli finanziari ed economici olandesi delle apprensioni, ha prodotto impressione favorevole in quanto, legando definitivamente i destini dei due Paesi, renderà ciascuno di essi necessariamente più guardingo sull'azione svolta dall'altro e faciliterà perciò -attraverso un aumentato reciproco controllo -il mantenimento della pace.

Richiesto da me se egli -che è uno dei più grossi industriali della Germaniaesprimesse una opinione propria, l'esperto ha assicurato che-sempre limitatamente ai circoli citati -il Patto veniva effettivamente considerato elemento atto a conferire una maggiore stabilità di sicurezza nella situazione europea»1•

673 1 T. 2407/92 R. dell'8 maggio. Riferiva che Kiosseivanov aveva avuto un lungo colloquio con Potemkin, di passaggio per Sofia diretto a Bucarest. Il Vice-Commissario del Popolo sovietico aveva dichiarato a Kiosseivanov che l'accordo tra Gran Bretagna e Turchia poteva ritenersi praticamente concluso e che sarebbe stato limitato al Mediterraneo, ciò che lo faceva considerare come rivolto soprattutto contro l'Italia. Il governo sovietico-aveva aggiunto Potemkin-si era mantenuto al di fuori delle trattative. Il documento fu inviato in visione a Mussolini.

675

L'AMBASCIATORE A MOSCA, ROSSO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 2452/52 R. Mosca, 10 maggio 1939, ore 18,36 (perv. ore 20, 15).

Odierno comunicato Tass 1 che rettifica notizie diramate da Agenzia Reuter circa negoziati anglo-sovietici mostra che esiste notevole divario fra proposte sovietiche e controproposte britanniche. Comunicato sembra accusare Inghilterra e Francia di voler sfruttare aiuto dell'U.R.S.S. senza assumere corrispondenti impegni a favore di Mosca. È evidente che il governo sovietico reclama impegno di solidarietà assoluta e generale in tutte le circostanze e quindi forse anche nel settore di Estremo Oriente.

Circa colloquio di ieri fra Molotov ed ambasciatore d'Inghilterra nulla è finora trapelato ma in questi ambienti britannici si rileva nota piuttosto pessimista.

674 1 Il documento fu inviato in visione a Mussolini. 675 1 Testo in Relazioni Internazionali, p. 393.

676

L'AMBASCIATORE A VARSAVIA,ARONE, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 2453/124 R. Varsavia, 10 maggio 1939, ore 22,15 (perv. ore 2,50 del!' 11).

Potemkin giunto ieri notte da Bucarest è partito per Mosca questo pomeriggio. Circostanze sua fermata Varsavia non sono ancora molto chiare. Comunque egli ha avuto oggi lungo colloquio con questo ministro degli Affari Esteri r. È da ritenere che questo ministro degli Affari Esteri abbia tenuto a spiegare al Vice Commissario sovietico atteggiamento piuttosto negativo nei riguardi collaborazione dell'U.R.S.S. assunto dalla Polonia nelle precedenti settimane, magari giustificandolo colla necessità di non offrire alla Germania ulteriori ragioni di malcontento.

Certamente Beck non si è lasciato stùggire l'occasione per informare Potemkin dei colloqui avuti in passato con «eminenti rappresentanti del Reich» che gli avrebbero esposto dei piani contro la Russia facendo offerte alla Polonia perché vi collaborasse (oggetto telegramma per corriere n. O15 del 5 corrente )2•

Evidentemente, di fronte ali 'attuale situazione sovietica tutt'altro che chiara, Beck manovra per impedire un'eventuale evoluzione dei rapporti russo-tedeschi. Ne consegue un maggiore interesse di Varsavia per Mosca, che, nella persistente tensione grave polacca tedesca, è auspicato anche da questi circoli nazionalisti.

677

L'INCARICATO D'AFFARI AD ANKARA, BERlO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 2536/066 R. Ankara, 10 maggio 1939 (perv. il 16). Mio telegramma n. 50 del 6 maggior.

In un colloquio che ho avuto oggi per questioni di carattere amministrativo con Saracoglu, questi mi ha fatto alcune dichiarazioni circa l'attuale fase delle politica turca. Secondo Saracoglu, la Turchia è rimasta tranquilla e decisa alla neutralità fino al giorno in cui la Germania ha occupato tutta la Boemia e la Moravia. Da quel

momento si è precisata la minaccia tedesca sulla Romania e ciò ha dato molto da riflettere alla Turchia. È interessante notare che parlando con von Papen il segretario generale degli Esteri Menemencoglu ha insistito sugli aspetti della politica italiana in Albania come ragioni determinanti dell'atteggiamento turco. Con me invece Saracoglu si è dilungato a parlare del pericolo tedesco, dopo di che ha accennato, quasi timidamente, alle pretese minacce italiane intraviste dopo l'occupazione de li'Albania. «In tale occupazione, egli ha detto, noi non possiamo scorgere che una mossa strategica e ci domandiamo quali nuovi disegni concepirà l'Italia nel Mediterraneo». Mi è stato facile controbattere con ovvi argomenti questa affermazione di Saracoglu, spiegando l'origine d eli'azione italiana in Albania e i vincoli tradizionali che legano i due Paesi; e gli ho detto sembrarmi poco verosimile che il governo turco avesse preso sul serio tutte le notizie fantastiche diffuse ad arte dai Paesi cosidetti democratici circa le intenzioni dell'Italia.

Il colloquio è stato breve e di carattere strettamente personale, né per parte mia ho ritenuto di doverlo approfondire ponendo a Saracoglu domande concernenti il futuro sviluppo dei negoziati circa il quale egli mostrava evidente riserbo.

Da varie fonti mi risulta che avverrebbe tra qualche giorno una dichiarazione concomitante ai Comuni e alla Grande Assemblea Nazionale da parte dei rispettivi uomini di governo nella quale si indicherebbero le basi dell'accordo anglo-turco. Non si esclude -come del resto è stato dichiarato presso questa stessa ambasciata di Francia-che l'accordo possa prendere più vaste proporzioni conglobando la Francia e prevedendo la sicurezza non solo nel Mediterraneo, ma anche nei Balcani ( quindi garantendo non solo le frontiere interbalcaniche, come è previsto dal patto balcanico, ma anche quelle tra Paesi balcanici e terzi Stati). A un vago accenno che ho fatto a Saracoglu su queste voci, egli, quasi a smentirle, ha riportato il discorso sugli interessi diretti della Turchia nel Mediterraneo.

676 1 Su tale colloquio si veda quanto lo stesso Potemkin dichiarava all'ambasciatore Rosso (DD. 709 e 711) e inoltre il D. 691 da Varsavia. 2 Vedi D. 648. 677 1 Vedi D. 656.

678

L'AMBASCIATORE A PARIGI, GUARIGLIA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 3008/1282. Parigi, 10 maggio 1939 (perv. i/12).

Facendo seguito al telespresso n. 299211276 del 6 corrente1 ho l'onore di attirare l'attenzione dell'E.V. sui rapporti di questi ultimi giorni (diretti o comunicati per conoscenza al R. Ministero) coi quali il R. Console di Tolone ha dato notizia di altre espulsioni pronunciate dalla locale Prefettura a danno di impiegati o corrispondenti consolari.

La situazione della collettività italiana e della rappresentanza consolare nel Var sta diventando grave2 . Il sistema di espellere impiegati consolari dopo averli sottoposti a rilievi antropometrici è inammissibile.

Pur sembrandomi che n eli'attuale situazione non vi sia altro rimedio pratico da parte nostra che adottare tutte le possibili rappresaglie, mi sembrerebbe tuttavia opportuno che questa Ambasciata intervenisse presso questo governo chiedendo che sia posto termine a un tale stato di cose.

Prima di compiere detto passo attenderò ricevere autorizzazione dali 'E.V. e sapere se desiderate che sia dato al passo stesso forma verbale, nel qual caso mi recherei personalmente al Quai d'Orsay, o se riteniate preferibile la protesta scritta nel qual caso mi proporrei di inviare a questo Ministero degli Esteri la nota di cui

. .

UTIISCO COpia.

Oltre di ciò, debbo attirare l'attenzione di V.E. sulla recrudescenza impressionante del favore delle Autorità locali francesi verso gli anti-fascisti italiani e le loro

. . .

orgamzzaz10m.

Le manifestazioni di queste ultime sono ormai quotidiane, come quotidiane sono le notizie date alla stampa di arruolamenti di nostri rinnegati nell'esercito francese o almeno di eroiche promesse fatte da parte loro alla Francia in caso di guerra.

Certo è che il governo francese vede di buon occhio questa odiosa attività antiitaliana esplicata purtroppo da gente del nostro stesso sangue. In alcune località. e sono forse le più numerose. dove rimangono Autorità di polizia e prefettizie ligie al Fronte Popolare. il favoreggiamento anzi l'incoraggiamento di queste mene raggiunge limiti veramente intollerabili.

Prego pertanto V.E. di voler considerare se non sia giunto il momento di attirare ufficialmente l'attenzione del governo francese su questo stato di cose ed in caso affermativo impartirmi ordini circa la forma da dare ai miei passi3 .

Ad ogni modo resto in attesa di istruzioni possibilmente telegrafiche nei riguardi dei casi segnalati nel Var4•

3 Per la risposta si veda il D. 661, nota 2.

4 Il documento ha il visto di Mussolini.

678 1 Vedi D. 661.

678 2 Il console a Tolone, Odenigo, aveva riferito (telespresso 652111073 del22 aprile) che, secondo la sua impressione, i decreti relativi agli stranieri pubblicati pochi giorni prima dal governo francese «non vanno considerati alla stregua di una misura contingente dettata dalle preoccupazioni del momento. Essi mi sembrano far parte, per quanto ci riguarda, di un programma di governo inteso a scindere, nettamente e definitivamente, la nostra emigrazione in due campi: da un lato gli antifascisti e coloro a cui si possa imporre, a breve scadenza, la naturalizzazione: dall'altra coloro che, anche senz' essere fascisti, non sono disposti all'abiura. Da una parte tutti coloro che o come volontari dell'antifascismo o come neo cittadini francesi si possano schierare contro l'Italia: dall'altra gli italiani che avendo rifiutato o l'arruolamento "volontario" o la naturalizzazione, sono, per tale fatto, considerati nemici della Francia e come tali proposti per l'espulsione. Chiedere l'applicazione dell'art. 4 della Convenzione di stabilimento è inutile. Esso è violato nello spirito; non nella lettera. Le autorità locali non impongono agli italiani l'arruolamento nell'esercito francese: consigliano loro di farlo "volontariamente". E l'espulsione che presto o tardi segue al rifiuto, è misura che le autorità francesi non sono tenute a motivare e meno ancora a giustificare». Il console faceva notare a questo proposito che alcuni operai italiani i quali avevano dichiarato che in caso di conflitto sarebbero rientrati in Italia erano stati espulsi immediatamente.

679

L'AMBASCIATORE A PARIGI, GUARIGLIA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 3030/1296. Parigi, IO maggio 1939 (perv. i/12).

L'annunzio del patto politico-militare di Milano ha suscitato naturalmente impressione in questi ambienti politici, nonostante la parola d'ordine data dalle sfere responsabili perché fosse affettata la massima indifferenza di fronte al nuovo rafforzamento dei legami fra Italia e Germania.

I commentari ufficiosi si sono così sforzati di mettere in rilievo che il nuovo patto non muta sostanzialmente la situazione preesistente poiché era nota la piena collaborazione militare già in atto tra i due grandi Stati autoritari. Nel mentre da una parte le più fantasiose e tendenziose ipotesi sono state fatte sui moventi che hanno determinato la conclusione del patto -ricercati sopratutto nella volontà tedesca di assicurarsi definitivamente il concorso italiano -si finisce, comunque, con dedurne che stipulazione nuova alleanza impone Stati democratici imperioso ed urgente dovere di accelerare gli armamenti e di coordinare i loro sforzi al massimo. Si tratta di fronteggiare ormai un blocco indubbiamente compatto di 130 milioni di abitanti che in caso di conflitto potrà mettere in linea quindici milioni di mobilitati.

È da rilevare inoltre che tutti i commenti ufficiosi si sono sopratutto dilungati ad esaminare il nuovo patto in funzione tedesca, limitandosi a considerare come contropartita italiana la promessa da parte germanica di assumere un atteggiamento prudente nei riguardi polacchi adattando la sua politica alle possibilità del momento.

Minor rilievo è stato invece dato alla collaborazione che la Germania potrà dare all'Italia per la soluzione della questione mediterranea, la quale sostanzialmente costituisce il principale problema che preoccupa la Francia.

Se l'opinione più diffusa ritiene ormai che problemi Europa orientale e Mediterraneo saranno presentati in blocco da parte delle Potenze autoritarie, affiora comunque ancora in qualche ambiente la tendenza a non considerare la situazione dei rapporti franco-italiani come irreparabile, nella speranza -sia pur molto tenue -che l'Italia si sia riservata una certa libertà di azione che le permetta di entrare direttamente in contatto con la Francia.

In sostanza quindi non vi è dubbio che la conclusione del patto di Milano ha aumentato, specie negli ambienti responsabili, il senso di incertezza e di allarme per l'avvenire.

Tutte le forze ebraiche ed antifasciste in genere ne hanno profittato per rincrudire il loro atteggiamento di ostilità che già avevano manifestato contro ogni presa di contatto o negoziato con l'Italia.

È da presumere che tale situazione avrà ripercussione in seno al Consiglio dei Ministri, cha esaminerà oggi riflessi patto di Milano, rendendo più difficile una eventuale realizzazione dei propositi finora esclusivamente intenzionali di Bonnet e Daladier circa esame rivendicazioni italiane.

680

L'AMBASCIATORE A MOSCA, ROSSO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR.... 1 . Mosca, 10 maggio 1939.

Il comunicato della Tass 2 che è stato pubblicato dai giornali di stamane ha finalmente portato un po' di luce sui negoziati in corso fra Londra e Mosca. Non che esso chiarisca interamente la situazione, essendo anzi evidente che non tutti i punti in discussione vi sono stati precisati e che taluni sono probabilmente taciuti del tutto. Il comunicato permette non di meno di rendersi conto dello stato odierno delle trattative e delle divergenze sostanziali che si sono manifestate.

Vale la pena di esaminare attentamente questo comunicato, il quale è anche interessante come prima manifestazione pubblica dell'azione del nuovo titolare del Commissariato per gli Affari Esteri, signor Molotov. Il comunicato ha un contenuto prevalentemente negativo, in quanto si limita in buona parte a smentire e rettificare le informazioni di fonte britannica diramate dalla Reuter. Esso infatti dichiara:

l) non essere esatto che il governo britannico abbia proposto a quello sovietico di dare la propria garanzia individualmente ad ogni singolo Stato confinante con l'U.R.S.S.

2) Non essere esatto che l'Inghilterra si sia dichiarata pronta ad impegnarsi a prestare aiuto all'U.R.S.S. nel caso in cui l'Unione Sovietica dovesse entrare in guerra come effetto della esecuzione degli impegni di garanzia da essa assunti. Per contro il comunicato afferma che, mentre il governo sovietico è stato richiesto di impegnarsi ad appoggiare Inghilterra e Francia nel caso ove queste due Potenze dovessero entrare in guerra per effetto delle garanzie date alla Polonia ed alla Romania, le controproposte britanniche non contengono alcuna menzione dell'aiuto che Francia ed Inghilterra si impegnerebbero a dare all'U.R.S.S. nei casi in cui quest'ultima dovesse entrare in guerra in esecuzione degli obblighi assunti nei riguardi di «questi o questi altri Stati d eli' Europa Orientale».

Nel testo del comunicato trovo significative alcune espressioni. Anzitutto, nella smentita di cui al n. l, le parole «ogni singolo Stato confinante con l'U.R.S.S.». Esse vogliono dire, a mio avviso, che il governo sovietico giudica necessario che una garanzia contro l'aggressione venga data, non soltanto a Polonia e Romania, ma anche agli altri Stati con cui l'U.R.S.S. ha frontiere comuni, e cioè Estonia, Lettonia, e Finlandia.

Significativa anche la menzione dell'«immediato appoggio» che l'U.R.S.S. dovrebbe dare alla Gran Bretagna e Francia, il che sembra indicare che le controproposte inglesi contemplano una entrata in azione automatica dell'U.R.S.S. quando Gran Bretagna e Francia venissero coinvolte in un conflitto per la protezione della

Polonia e della Romania. In altre parole, sarebbero la Gran Bretagna e la Francia che in pratica determinerebbero, con la propria decisione, l'intervento dell'U.R.S.S. Nella parte finale del comunicato la parola più significativa è quella della «reciprocità» e qui il governo sovietico ha evidentemente voluto dire che esso non intende entrare in patti che non siano di mutua assistenza piena e completa, tale da dare all'U.R.S.S. positive garanzie di un appoggio senza riserve.

A che cosa ha voluto mirare questo comunicato sovietico il quale, in pieno negoziato condotto finora nel più grande segreto, viene e rendere di pubblica ragione le serie divergenze manifestatesi fra le due parti? È una manovra per rendere più difficili ulteriori trattative e quindi allontanare la possibilità di assumere impegni? Oppure ha lo scopo di influenzare l'opinione pubblica britannica e mettere colle spalle al muro il Gabinetto di Chamberlain per forzarlo ad assumere una posizione più decisa nel senso della «sicurezza collettiva»?

Io propendo per la prima ipotesi, pur non escludendo che al tempo stesso Stalin abbia mirato ad acuire le discordie fra conservatori e liberali-laburisti nel mondo politico londinese.

680 1 L'originale da Mosca di questo documento non è stato rintracciato. Si pubblica qui il testo ritrasmesso dal Ministero ad alcune ambasciate e legazioni con telespresso 215343/c. del 22 maggio. 2 Vedi D. 675.

681

L'AMBASCIATORE A MOSCA, ROSSO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 2464/53 R. Mosca, 11 maggio 1939, ore 21 (perv. ore l de/12).

Attiro particolare attenzione di V. E. sull'editoriale del!' lzvestija riassunto con mio telegramma odierno stampa 58. Articolo editoriale è di eccezionale interesse ed importanza in quanto indubbiamente espone il pensiero ufficiale del governo sovietico.

Mi permetto segnalare in modo particolare passaggio dove politica sovietica viene qualificata «difensiva e pacifica» in contrapposizione con carattere aggressivo che si sforzavano di attribuirle certe «calunniose» voci di ispirazione straniera.

Parimenti interessante è argomentazione sovietica che mette in luce carattere egoistico delle proposte britanniche. Inghilterra e Francia vengono apertamente accusate di pretendere dall'U.R.S.S. impegni fermi e precisi senza reciprocità, nonché di riservare a se stesse ogni decisione circa l'esistenza o meno di un'aggressione e circa l'inizio della resistenza armata.

Dall'editoriale odierno che illustra e completa il comunicato dell'Agenzia Tass 1 di ieri, risulta adunque evidente che il governo sovietico pone come condizione per la sua collaborazione di carattere «difensivo» con Inghilterra e Francia la conclusione di un Patto di mutua assistenza generale e rigidamente impegnativo, il quale dovrebbe diventare operante a favore dell'U.R.S.S. in qualsiasi caso

in cui l 'U.R.S.S. fosse coinvolta in una guerra per garantire i propri vicini, Devo supporre che con ciò il governo sovietico intenda contemplare anche i Paesi Baltici e la Finlandia. Sembrami poi ovvio che la concezione sovietica della mutua garanzia implichi la necessità de li'appoggio reciproco anche da parte della Polonia e della Romania.

681 1 Vedi D. 675.

682

L'INCARICATO D'AFFARI AD ANKARA, BERlO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 2535/068 R. Ankara, Il maggio 1939 (perv. i/16). Mio telegramma per corriere n. 066 del l Omaggio1 .

La forte pressione che è stata esercitata sulla Turchia da Francia, Inghilterra e Sovieti, per indurla ad uscire dalla neutralità si è manifestata attraverso i seguenti fattori principali:

l) Questione d eli' Hatay, che è stata evidentemente innestata nel quadro generale dei nuovi accordi di sicurezza.

2) Promessa che sarebbe stata fatta dall'Inghilterra alla Turchia di un rilevante prestito di parecchie diecine di milioni di lire Turche destinato sopratutto al rafforzamento degli armamenti sui Dardanelli.

3) Visita di Potemkin2 che ha comunque rafforzato l'azione congiunta francobritannica.

4) Visita del Generale Weygand3 , ex Alto Commissario Francese in Siria, che ha per lo meno avuto effetto morale verificandosi proprio nei giorni della più intesa attività diplomatica.

Questo notevole spiegamento di forze e di mezzi indica a sufficienza l'importanza de li' azione svolta sulla Turchia dal fronte antitotalitario.

Tale azione si è iniziata subito dopo gli avvenimenti cecoslovacchi, incontrando in un primo tempo resistenza; si è intensificata dopo gli avvenimenti albanesi con lo spauracchio delle pretese minaccie italiane; ha trovato terreno favorevole nella morbosa diffidenza turca verso l'Italia, nel desiderio assillante della Turchia di risolvere la questione dell'Hatay, nelle crescenti preoccupazioni turche per l'atteggiamento della Jugoslavia e la conseguente disgregazione dell'Intesa Balcanica, infine nella particolare sensibilità di questi ambienti politici e finanziari di fronte al miraggio del denaro britannico.

L'intensa attività spiegata da questo ambasciatore di Germania per cercare di neutralizzare l'azione degli antitotalitari non ha avuto effetto. Occorre del resto ricor

2 Sulla visita ad Ankara del Vice-Commissario del Popolo sovietico si vedano i DD. 664, 709 e 7 I l.

3 Vedi D. 631.

dare che il governo turco è prevenuto nei confronti di von Papen la cui designazione ha interpretato come un mezzo di pressione da parte del Reich. A riprova è da rilevare che la Politische Diplomatische Correspondenz del 4 maggio pubblicava un articolo con il quale si esortava in modo esplicito la Turchia a mantenere la neutralità svolgendo all'uopo argomenti analoghi a quelli di cui von Papen -come egli stesso ebbe a dichiararmi4 -si era servito nei suoi colloqui con i dirigenti turchi. A tale articolo la stampa turca unanime, per evidenti istruzioni ricevute, reagiva in modo vivace, attribuendo ali'articolo stesso carattere intimidatorio e dichiarando che la Turchia non accettava consigli (mio telespresso n. 873/471 dellO maggiof

682 1 Vedi D. 677.

683

L'INCARICATO D'AFFARI A BELGRADO, GUIDOTTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 2009/665. Belgrado, Il maggio 1939 (perv. i/13).

Facendo seguito al telespresso di ieri n. 2003/6601 ho l'onore di trasmettere, qui unito, a Vostra Eccellenza, copia di un rapporto pervenutomi dal R. Console Generale di Zagabria.

ALLEGATO

IL CONSOLE GENERALE A ZAGABRIA, GOBBI, AL MINISTRO A BELGRADO, INDELLI

TELESPR. RISERVATO 2506. Zagabria, 7 maggio 1939.

Ho accennato nei miei due ultimi telegrammi2 alla impressione riportata da costà dal deputato Subasié circa l'atteggiamento, quanto meno, agnostico germanico nei riguardi della soluzione croata.

Il deputato Subasié, parlando con il dottor Macek, avrebbe aggiunto che la Germania dimostra piuttosto le sue preferenze per una Jugoslavia centralizzata, o per lo meno per un sistema di autonomia di portata limitata e circoscritta all'ambito amministrativo.

Per mia parte, concordo con l'impressione di cui sopra, sia arguendo da qualche espressione di questo mio collega tedesco, sia riferendomi all'attitudine pressoché indifferente, nei riguardi della questione croata, particolare a vari elementi che fanno capo o sono in contatto con la sfera germanica.

5 Non pubblicato.

2 Non sono stati trovati dei telegrammi da Zagabria sull'argomento qui indicato.

In sostanza io credo che il pensiero germanico, pur non manifestandosi chiaramente, tenda a preferire che le cose rimangano qui più o meno allo stato attuale, con il movente di poter farsi largo più lungamente e profondamente con espansione economica e con intelaiatura di interessi e di organizzazione, già, come è noto, particolarmente notevoli ed ancora fortemente accresciuti con la recente acquisizione delle attività economiche ceche.

Non mi sembra errato supporre che la Germania ha attualmente in vista il principio e l'interesse di realizzare il più possibile nei campi dell'organizzazione e della economia, trovandosi in questo momento in difetto quanto a situazione politica in questi luoghi, rispetto a noi e rispetto agli stessi croati. Perciò una soluzione politica nei riguardi croati non apparirebbe costituire, in atto, un interesse tedesco, perché, a parte ogni altro motivo, la soluzione stessa potrebbe, con al comando un nazionalismo locale reso sensibile e responsabilmente guardingo, convertirsi in fattore contrario alle posizioni germaniche.

682 4 Vedi D. 630.

683 1 Dava notizia che i gruppi politici croati, riuniti 1'8 maggio a Zagabria, avevano dato incarico a Macek di proseguire le trattative con il governo. Ciò indicava il desiderio di evitare una rottura considerata, a Zagabria come a Belgrado, troppo pericolosa in quel particolare momento politico.

684

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, ALL'AMBASCIATORE A V ARSAVIA, ARONE

T. S.N.D. 337/94 R. 1 . Roma, 12 maggio 1939, ore 15.

In una vostra prossima conversazione con Beck dovrete fargli presente che è vivo desiderio del Governo Fascista che Germania e Polonia possano tornare alla normalità delle relazioni dopo aver pacificamente regolato loro questioni. Ma dovete in pari tempo aggiungere che qualora ciò non fosse e la crisi dovesse prodursi, nessuna illusione deve essere nutrita a Varsavia sulla linea di condotta italiana: noi ci schiereremo nettamente a fianco della Germania2•

685

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. S.N.D. URGENTISSIMO 2470/309 R. Berlino, 12 maggio 1939, ore 14,40 (perv. ore 16).

Ribbentrop sarà a Berlino domani. Credo che egli si proponga di vedere oggi tanto me che questo ambasciatore giapponese, a questo ultimo tenendo a far comprendere che possibilità di un patto triangolare rimane sempre aperta. Ciò sembra qui specialmente opportuno in presenza certe recenti e alquanto sfavorevoli reazioni giapponesi, come ad esempio ultima pubblicazione agenzia Domei e diffusione per radio di articoli di stampa contrari all'Asse. È evidente che, mentre annunzio di Milano sprona gli amici, induce invece avversari ad intrigare.

Ritengo che Ribbentrop possa darmi domani stesso o al più tardi dopodomani, un progetto scritto di patto, che io farei seguire a Roma per aereo. Data nel momento contemplata per la visita sarebbe quella del 21-24 maggio. con arrivo mattino del 21 corrente e partenza la mattina del 24 1•

684 1 Minuta autografa. 2 Per il colloquio dell'ambasciatore Arone con Beck in esecuzione di queste istruzioni si veda il D. 699.

686

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, AL MINISTRO A SOFIA, TALAMO

T. S.N.D. 340/67 R. 1 . Roma, 12 maggio 1939, ore 22.

Trovate l'occasione di recarVi da codesto ministro degli Esteri e di appurare convenientemente quali sono le intenzioni e i progetti bulgari nell'attuale situazione internazionale.

Nel corso della conversazione attirate l'attenzione del Vostro interlocutore sull'evidente utilità per la Bulgaria di assumere ormai un atteggiamento più definito di quello mantenuto finora. Fate rilevare come la linea di condotta di tutti gli Stati Balcanici sia in corso di progressiva chiarificazione e che la Bulgaria, continuando nelle sue attuali incertezze ed esitazioni, rischia di compromettere gravemente i suoi interessi e le sue aspirazioni più vitali. Queste aspirazioni e questi interessi potranno essere viceversa tutelati solo mediante un chiaro avvicinamento della Bulgaria all'Asse. Potrete anche far rilevare che l'atteggiamento bulgaro per essere così agnostico non pone codesto Paese in una posizione vantaggiosa di fronte a Romania e Turchia, la prima alla ricerca di ogni genere di tutele per garantire le sue frontiere, la seconda ormai decisamente orientata verso l 'Inghilterra e perciò a favore, nella migliore delle ipotesi, di uno statu qua balcanico non certo tale da soddisfare le rivendicazioni bulgare.

Esponete tali considerazioni nella forma più opportuna e senza, naturalmente, dare alle vostre parole carattere di pressione. Appena conferito, riferite 2 .

687

L'AMBASCIATORE A VARSAVIA, ARONE, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 24861125 R. Varsavia, 12 maggio 1939, ore O, 15 (perv. ore 5,39 de/13).

Questo ambasciatore del Giappone è partito ieri improvvisamente per Berlino. Mi risulta che tale viaggio si proporrebbe una cauta esplorazione di questi ambienti politici per vedere se, malgrado estrema tensione dei rapporti polacco-tedeschi, si possa intravedere qualche possibilità per smuovere la situazione dal punto morto in cui si trova oggi.

686 1 Minuta autografa. 2 Si veda per il seguito il D. 697.

È chiaro che il governo giapponese si preoccupa dell'attuale tensione polacco-tedesca che potrebbe avere come effetto non soltanto un avvicinamento della Polonia alla Russia (cosa già poco desiderabile per il governo giapponese) ma ancora più un sistema di garanzia reciproca tra Russia e le Potenze occidentali con estensione all'Estremo Oriente.

Questa sera, a questo ministero degli Affari Esteri è stato smentito ai rappresentanti stampa che il governo giapponese avesse preso l'iniziativa per un'azione conciliativa. Evidentemente l'azione dell'ambasciatore Sakoh, che oggi è tenuta strettamente segreta, dovrà essere considerata come un'iniziativa personale almeno fintanto che non uscirà dalla fase dei sondaggi preliminari.

685 1 Il documento ha il visto di Mussolini.

688

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 2515/012 R. Londra, 12 maggio 19 3 9 (perv. i/15).

Dalle informazioni che ho potuto raccogliere sulla visita di Blum a Londra e sui suoi contatti con Chamberlain, Halifax, e altre personalità britanniche, è risultato quanto segue:

l) Blum è venuto a Londra, naturalmente con il consenso di Daladier, sopratutto per mettersi in contatto con rappresentanti delle Trades Union e del Partito Laburista e cercare di vincere la loro opposizione «di principio» alla coscrizione in Inghilterra. Ciò spiega le calorose accoglienze che il Blum ha trovato presso personalità di questo governo ed elementi -come Churchill e Eden-che anche se di tendenze assai dubbie nei riguardi di Chamberlain sono però favorevoli alla coscrizione. Nel suo discorso di ieri (mio fonogramma n. 205)1 Chamberlain ha infatti fatto esplicito accenno ali'opinione espressagli da Blum a proposito della coscrizione e che può riassumersi nei termini seguenti: il più grande pericolo di guerra è oggi il dare all'Europa l'impressione che la Gran Bretagna e la Francia non fanno sul serio e non sono in grado di efficacemente mantenere le loro promesse.

2) Blum ha anche parlato a Londra dell'auspicato accordo anglo-russo, naturalmente premendo sulle personalità del governo e dei partiti di destra da lui incontrate per una totale accettazione del punto di vista sovietico, che corrisponde alle ben note tesi di Blum in favore della cosidetta sicurezza collettiva.

3) Nonostante il rilievo che alla visita del Blum hanno dato alcuni giornali, e le accoglienze fattegli nella stessa Camera dei Comuni (o ve egli è stato invitato a pran

zo da Attlee e da un largo gruppo di deputati), nessun elemento è finora emerso che permetta di constatare che l'opposizione liberale e laburista abbia in qualche modo modificato, a seguito delle raccomandazioni del famigerato caporione socialista francese, il proprio atteggiamento nei riguardi delle misure proposte da Chamberlain per la coscrizione.

688 1 T. 2471/205 R. del 12 maggio. Riferiva, senza commenti, i passi principali del discorso pronunciato da Chamberlain all'Albert Hall ad una riunione dell'associazione femminile del partito conservatore. Chamberlain aveva detto che l'annessione della Boemia e Moravia da parte della Germania aveva fatto nascere il sospetto che si stesse assistendo soltanto al primo passo di una politica che aveva per scopo di «inghiottire uno Stato dopo l'altro con l'intenzione di giungere a dominare tutto il mondo»: di fronte a ciò, la Gran Bretagna non intendeva restare inerte e per stabilizzare la situazione aveva garantito Polonia, Romania e Grecia ed era entrata in trattative con l'Unione Sovietica e con la Turchia. Il testo del discorso è in Relazioni Internazionali, pp. 409-411.

689

L'AMBASCIATORE A VARSAVIA, ARO NE, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 2516/016 R. Varsavia, 12 maggio 1939 (perv. il 15).

Questo addetto militare di Jugoslavia1 ha testé confidato che, secondo notizie pervenutegli da Belgrado, il suo governo si sarebbe convinto negli scorsi giorni dell'opportunità di modificare radicalmente le proprie direttive di politica estera, previamente basate sul mantenimento della neutralità degli Stati dell'Intesa balcanica in caso di guerra tra l'Asse e le Potenze occidentali. In seguito agli impegni contratti dalla Turchia coll'Inghilterra2 , di cui la Jugoslavia non era stata preavvertita malgrado gli obblighi sanciti nel Patto balcanico, il governo di Belgrado si sarebbe infatti persuaso della necessità di allentare i propri legami cogli altri Stati d eli'Intesa balcanica e di orientarsi ormai decisamente sull'Asse Roma-Berlino3 .

690

L'AMBASCIATORE A VARSAVIA, ARO NE, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 2517/017 R. Varsavia, 12 maggio 1939 (perv. i/15).

Dopo il discorso del ministro Beck alla Dieta del 5 corrente 1 , e il memorandum presentato a Berlino lo stesso giomo2 , la Polonia ha assunto nei riguardi della Germania una posizione di attesa. Intanto, l'incertezza sugli sviluppi dell'azione tedesca grava come un incubo su quest'atmosfera politica ed alimenta lo stato di allarme. La situazione continua ad essere giudicata con molta serietà e preoccupazione da parte di queste sfere dirigenti. D'altra parte, questo ambasciatore di Germania, che dopo

2 Riferimento alla Dichiarazione comune del 12 maggio, vedi D. 712, nota l.

1 Il documento fu inviato in visione a Mussolini.

2 Vedi i DD. 649 e 658.

l'assenza di circa un mese è rientrato a VARSAVIA fin dal 5 corrente, non si è recato finora a questo ministero degli Affari Esteri. Al riguardo, mi diceva ancora ieri che, non avendo istruzioni in merito alle note questioni, riteneva più opportuno astenersi dal promuovere colloqui con i dirigenti della politica estera polacca.

Sono infine da segnalare alcune misure militari di carattere precauzionale che, secondo informazioni assunte da questo R. Addetto Militare e da lui riferite al R. Ministero della Guerra, queste autorità competenti hanno adottato in questi ultimi giorni. Secondo dette informazioni, altre due divisioni sono state avviate nel nord del Corridoio nella zona tra Starograd-Grodzisk e Torun, in aggiunta alle tre che erano state precedentemente concentrate nella stessa zona; inoltre, le linee di fortificazioni polacche alla frontiera verso la Prussia Orientale risulterebbero presidiate da contingenti di truppa tratti dalle regioni di Varsavia e di Bialystok.

Tali misure confermano la decisione di questo governo di respingere ogni tentativo di risolvere unilateralmente le questioni oggi pendenti.

689 1 M. Kaludjercic.

690 1 Vedi D. 651.

691

L'AMBASCIATORE A VARSAVIA,ARONE, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 2105/496. Varsavia, 12 maggio 1939 (perv. il 16).

Mio telegramma n. 124 del l Ocorrente1 .

Com'è noto il Vice Commissario del Popolo agli Affari Esteri dell'U.R.S.S. di ritorno dal suo viaggio nei Balcani è stato, prima di rientrare a Mosca, di passaggio a Varsavia2 . Giunto in questa capitale la sera del 9 corrente a tarda ora, è ripartito l'indomani nel pomeriggio. A marcare il carattere non ufficiale del passaggio da Varsavia di Potemkin, si è recato da parte polacca ad attenderlo alla stazione soltanto un funzionario della sezione orientale di questo Ministero degli Affari Esteri. Nella mattina del l Ocorrente, Potemkin si è recato al Ministero stesso, dove ha avuto prima un colloquio di circa mezz'ora con il Segretario Generale, signor Arciszewski, e quindi ha conferito lungamente con il ministro Beck. I circoli governativi polacchi mantengono al riguardo il massimo riserbo. Il comunicato ufficiale si è limitato a dare notizia dell' arrivo del Vice Commissario sovietico, del suo incontro con Beck il l O corrente e della partenza per Mosca avvenuta alle 16.45 dello stesso giorno. Secondo informazioni attendibili che ho potuto raccogliere, nel colloquio con questo ministro degli Affari Esteri Potemkin avrebbe avuto soprattutto uno scambio di vedute sulle principali questioni internazionali del momento che interessano questa parte dell'Europa. Riguardo ali 'incognita nella politica estera sovietica rappresentata dalle recenti

691 1 Vedi D. 676. 2 Sulla visita di Potemkin a Varsavia si vedano anche i DD. 709 e 711.

dimissioni di Litvinov, Potemkin avrebbe fatto qualche dichiarazione importante, affermando che, mentre la politica estera dell'U.R.S.S. resterebbe invariata (le direttive del Kremlino che hanno ispirato la politica di Litvinov essendo quelle che continueranno ad ispirare la politica del suo successore), verrebbe a subire delle modificazioni soltanto la tattica per l'applicazione di detta politica. Potemkin avrebbe a tale riguardo accennato alla possibilità di non appoggiarsi più a quei metodi (sicurezza collettiva, S.d.N., Fronte Popolare) dimostratisi inefficaci e dei quali Litvinov era stato il più convinto assertore. Potemkin avrebbe peraltro confermato che la politica sovietica intende mantenere i buoni rapporti con le Potenze democratiche aggiungendo che sarebbero continuate le note trattative in corso con l 'Inghilterra.

Il fatto stesso che il Vice Commissario sovietico ritornando dalla Romania invece di proseguire direttamente per la Russia abbia voluto fermarsi a Varsavia, anche se il suo passaggio qui abbia avuto soltanto scopo informativo, costituisce un segno eloquente di un miglioramento dei rapporti polacco-sovietici. È altresì da mettere in relazione con la nomina avvenuta proprio in questi giorni del nuovo Ambasciatore sovietico a Varsavia (posto rimasto vacante da circa un anno e mezzo) nella persona del signor Sciaronof, già ministro ad Atene, per il quale il governo polacco si è affrettato a dare il gradimento ed a pubblicare la notizia della avvenuta concessione.

Anche in questi giorni è avvenuta la nomina del nuovo addetto commerciale sovietico, signor Nikitin, che sarà a capo della Rappresentanza Commerciale dell 'U.R.S.S. in Polonia, da istituirsi in applicazione di un accordo economico tra i due Paesi che risale al 14 giugno 1936, ma che è stato messo in vigore soltanto quest'anno con una recente ordinanza del Presidente della Repubblica (rapporto di questa R. Ambasciata del 12 corrente n. 491)3 .

Da parte polacca si cerca di valorizzare tutti questi elementi, come lo prova la nota ufficiosa del!' Agenzia polacca lskra, di cui si allega copia per opportuna documentazione4. In detta nota si cerca anche di propiziarsi i favori sovietici, sfruttando, con discutibile senso di opportunità politica, quell'assoluto e puritano disinteresse vantato dalla Polonia nei confronti delle asserite seduzioni tedesche avvenute a suo tempo e tendenti ad attirarla in un preteso piano di spartizione di zone di influenza sopra territori dell'U.R.S.S. Tale dichiarazione a mezzo della stampa chiarisce ora l'allusione sibillina contenuta nel discorso del ministro Beck alla Dieta del 5 corrente (telegramma per corriere di quest'ambasciata n. O 15 del 5 stesso )5 .

Da parte sua il Vice Commissario Potemkin in un'intervista accordata in treno (prima di giungere a Varsavia) a un redattore del giornale liberale democratico Kwjer Warszawski accennando ai rapporto polacco-sovietici si è limitato a rilevare che «lo sviluppo delle relazioni economiche è nell'interesse dei due Paesi». Egli ha aggiunto peraltro che «attribuiva una grande importanza al ruolo della Polonia nell'opera di organizzazione della pace».

4 Non pubblicato.

5 Vedi D. 648.

691 3 Non rintracciato.

692

L'AMBASCIATORE A MOSCA, ROSSO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR.... 1 . Mosca, 12 maggio 1939.

Fra la pubblicazione del comunicato Tass2 e l'articolo deii'Jzvestija3 erano intervenute le dichiarazioni alla Camera dei Comuni4 con le quali Chamberlain aveva cercato di spiegare la secca messa a punto del governo sovietico attribuendola ad un «malinteso». Non è quindi da escludere che l'editoriale dell'organo ufficioso moscovita abbia voluto essere una contro-risposta a Chamberlain.

Col mio telegramma di ieri5 ho attirato l'attenzione di V.E. sull'importanza particolare di questo articolo, il quale mette in luce e precisa le divergenze manifestatesi nei negoziati in corso fra Londra e Mosca. Tale importanza è anche accresciuta dal fatto che lo stile dell'editoriale sembra indicare che la sua redazione deve attribuirsi allo stesso Stalin. I punti sostanziali dell'articolo possono così riassumersi:

l) l'Asse Roma-Berlino costituisce oramai un blocco unitario avente una politica comune, ed è pericolosa e sciocca illusione pensare di romperlo; 2) il cosiddetto Patto Anti-comintern non è diretto contro la Terza Internazionale bensì contro Francia ed Inghilterra;

3) dopo l'occupazione della Cecoslovacchia e dell'Albania i Paesi democratici si sono finalmente accorti della pericolosa situazione in cui si trovano, e per questo hanno incominciato a sollecitare l'appoggio dell'U.R.S.S.;

4) i Paesi democratici non hanno però perduto la loro abitudine dell'intrigo ed hanno incominciato a manovrare facendo circolare voci calunniose circa l'attitudine dell'U.R.S.S. Gli hanno infatti attribuito il progetto di concludere un'alleanza militare con Francia ed Inghilterra e perfino di attaccare senz'altro gli aggressori. Tali voci sono assurde: l'U.R.S.S. non vuole alleanze militari e non intende prendere l'iniziativa della guerra;

5) la politica sovietica, basata sul concetto della sicurezza collettiva, mira invece alla costituzione di un fronte unico di mutua assistenza. Essa sarebbe quindi favorevole ad un patto fra U.R.S.S., Inghilterra, Francia e Polonia, o per lo meno fra U.R.S.S., Inghilterra e Francia. Tale patto dovrebbe garantire l'assistenza reciproca fra i due contraenti allo scopo di garantire gli Stati del!' Europa Centrale ed Orientale che siano minacciati da aggressione;

6) l'Inghilterra non ha mostrato simpatia per il progetto sovietico basato sulla reciprocità e sull'uguaglianza di obblighi. Essa vorrebbe soltanto un patto in forza

ritrasmesso dal Ministero ad alcune ambasciate e legazioni con telespresso 215814/c. del 26 maggio.

2 Vedi D. 675.

3 Per il quale si veda il D. 681.

4 Nella seduta del l O maggio. Testo in Relazioni Internazionali, p. 393.

Riferimento al D. 681.

del quale l'U.R.S.S. si impegnerebbe ad aiutare Francia ed Inghilterra nel caso che queste due Potenze fossero coinvolte in un conflitto per la protezione della Polonia e della Romania. Con ciò essa si astiene dall'assumere impegni verso l'U.R.S.S. nel caso in cui l 'Unione Sovietica dovesse entrare in guerra per garantire «tali o tali altri Paesi dell'Europa Orientale». L'Inghilterra non tiene conto cioè del fatto che Romania e Polonia non sono gli unici Stati confinanti con l'U.R.S.S. (È qui evidente l'allusione alla eventualità che l'U.R.S.S. possa intervenire per difendere gli Stati Baltici e magari anche la Finlandia).

7) Inoltre, secondo le proposte britanniche, Inghilterra e Francia riserverebbero a se stesse la decisione sulla convenienza o meno di entrare in campo contro gli aggressori e sul momento del loro intervento, mentre l'U.R.S.S., pur essendo destinata a sopportare il peso maggiore della resistenza, dovrebbe entrare automaticamente in azione come conseguenza di una decisione anglo-francese.

8) Non è esatto quanto affermano gli inglesi, e cioè che venendo alla difesa della Polonia e della Romania, Francia ed Inghilterra difenderebbero in pratica le frontiere occidentali dell'U.R.S.S. In primo luogo questa frontiera non sarebbe difesa se l'U.R.S.S. venisse attaccata lungo la frontiera che la divide da altri Stati (Lettonia, Estonia, Finlandia). In secondo luogo venendo in soccorso della Polonia e Romania (come sono obbligate di farlo in forza dei loro impegni), Inghilterra e Francia difenderebbero effettivamente se stesse e non già l'U.R.S.S.

9) Le controproposte inglesi chiedono l'appoggio sovietico senza offrire la necessaria contropartita, e senza impegnarsi ad appoggiare l'U.R.S.S. in tutti i casi in cui essa potrebbe venire minacciata per effetto degli impegni che le si vogliono addossare. L'articolo conclude colla frase: «Dove non vi è reciprocità, non vi è possibilità di organizzare una vera collaborazione».

Usando parole diverse e talvolta integrando anche il testo nei punti dove esso si esprime con semplici allusioni, ho esposto qui sopra il punto di vista sovietico quale mi sembra risultare chiaramente dall'editoriale de\l'Jzvestija. La richiesta sovietica reclama adunque, come condizione sine qua non dell'accordo, una solidarietà completa ed una reciprocità assoluta di obblighi di mutua assistenza. In altre parole il governo di Mosca vuole avere la sicurezza che, se la Germania marciasse contro l'U.R.S.S., non soltanto attraverso la Polonia o la Romania, ma anche attraverso i Paesi Baltici e magari la Finlandia, Inghilterra e Francia entrerebbero in campo con tutte le loro forze in sua difesa. Mi pare verosimile che l'U.R.S.S. desideri anche sapere in anticipo in che cosa potrà consistere effettivamente l'apporto militare francese ed inglese.

L'articolo dell'Izvestija non menziona affatto il fronte d'Estremo Oriente, ma è lecito chiedersi se tale aspetto del problema non sia stato esso pure prospettato dal governo di Mosca nelle sue trattative con quello di Londra.

Allo stato attuale dei negoziati sorge naturale il quesito: nel\ 'ipotesi che Inghilterra e Francia si decidessero ad accettare tutte le condizioni sovietiche e garantissero all'U.R.S.S. una solidarietà completa e senza restrizioni, prenderanno i dirigenti del Cremlino la decisione di entrare in un patto che -lo si chiami pure di mutua assistenza-si risolverebbe in pratica in una vera e propria alleanza militare anglo-franco-sovietica?

Giorni sono io ho interpretato6 la caduta di Litvinov come una conseguenza dell'opposizione di Stalin e del Politbureau a soluzioni di compromesso nella conclusione di un patto con Inghilterra e Francia, ed in ultima analisi come manifestazione della tendenza a non impegnarsi.

Riuscirà la diplomazia inglese a trionfare su quella del Cremlino? VorTà essa servirsi delle odierne dichiarazioni sovietiche per accettare una forma di «sicurezza collettiva» che metta i negoziatori di Mosca colle spalle al muro, come il comunicato della Tass e l'articolo dell'Izvestija ha messo colle spalle al muro il Gabinetto di Chamberlain?

Mi limito ad enunciare il quesito senza tentare di rispondervi, non possedendo elementi di informazione positivi che mi permettano di esprimere una opinione la quale non sia puramente congetturale.

692 1 L'originale da Mosca di questo documento non è stato rintracciato. Si pubblica qui il testo

693

IL MINISTRO AD ATENE, GRAZZI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

RAPPORTO 3324/501. Atene, 12 maggio 1939 (perv. i/17).

È noto all'Eccellenza Vostra come, secondo quanto dispone l'art. 28 del Trattato di amicizia. di conciliazione e di regolamento giudiziario concluso tra Italia e Grecia il 23 Settembre 1928 1 , col30 Settembre del corrente anno il Trattato stesso venga a scadere.

Detto articolo è infatti redatto nei seguenti termini:

« ... , le traité aura une durée de ci n q ans à partir de la date de l' échange d es instruments de ratification. S'il n'est pas dénoncé six mois avant l'expiration de ce délai, il restera en vigueur pour une période de cinq ans encore».

Lo scambio delle ratifiche avendo avuto luogo in Roma il l0 ottobre 1929, il l o ottobre p.v. il Trattato non sarà più in vigore.

Qualora da Vostra Eccellenza sia ritenuto opportuno di procedere alla sua rinnovazione ovvero alla sua sostituzione con un altro Accordo di maggiore o di minore contenuto, sarebbe forse conveniente iniziare fin d'ora eventuali conversazioni con questo governo. Ad ogni modo mi tornerebbe particolarmente utile conoscere il pensiero di Vostra Eccellenza al riguardo, anche per mia eventuale norma di linguaggio nel caso che qui mi si accennasse alla questione.

È superfluo che in proposito sottolinei il significato che potrebbe assumere nell'attuale momento (e sopratutto dopo gli avvenimenti di Albania e le conversazioni per un Patto di sicurezza tra Francia e Gran Bretagna da una parte e Turchia -quest'ultima unita alla Grecia da intimi vincoli di amicizia-dall'altra), sia una rinnovazione, eventualmente anticipata, del Trattato sia illasciarlo tacitamente giungere alla scadenza2 .

2 Il documento ha il visto di Musso lini. Per la risposta da Roma si veda serie ottava, vol. XII, D. 35.

692 6 Vedi il D. 650.

693 1 Testo in Trattati e Convenzioni, vol. XXXVIII, pp. 480-488.

694

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. S.N.D. 2483/312 R. e S.N.D. 2484/313 R. Berlino, 13 maggio 1939, ore 2,38 (perv. ore 6,45).

Progetto del Trattato fatto preparare da Ribbentrop e da me telefonato questa sera a V.E. 1 non contiene alcun riferimento alla questione del Brennero, ritenendosi qui che la questione stessa debba intendersi definitivamente risoluta con le note dichiarazioni fatte dal Fiihrer a Palazzo Venezia2 . Sembra rimessivamente a me che, se questa ragione è ottima per quanto riguarda la parte dispositiva del Trattato, non lo è altrettanto per quanto riguarda la parte introduttiva, nella quale si sono volute registrare tutte le premesse storico-politiche del Trattato stesso. E siccome è evidente che a questo Trattato -senza le premesse del Filhrer sopra ricordate -non si sarebbe arrivati mai, così non si comprenderebbe come, proprio di quel fatto fondamentale, non venisse fatta menzione alcuna.

Il progetto da me telefonato del resto contiene già, nel secondo comma, un cenno «alle basi ed allo scopo della politica comune già fissati anteriormente». Nessuno si meraviglierebbe se questo accenno venisse ulteriormente sviluppato in un alinea successivo (di cui Gaus vedrebbe anche facile la formulazione) e che richiamasse gli accordi intervenuti in merito al rispetto così -magari con le stesse parole di Hitler-delle proprie frontiere, come dei rispettivi spazi vitali. Un richiamo del genere,

a) Nel preambolo:

~Non vi sono all'inizio del primo capoverso le parole <<considerato che, con le frontiere comuni, fissate per sempre, è stata creata fra l'Italia e la Germania la base sicura per un reciproco aiuto ed appoggio»;

~nel secondo capoverso vi è l'espressione «per la realizzazione dei loro eterni diritti di vita», poi sostituita con «per la sicurezza del loro spazio vitale».

b) L 'articolo 7 era, nella traduzione telefonata dali 'ambasciata, del seguente tenore:

«Questo Patto entra in vigore immediatamente al momento della firma.

Le due parti contraenti sono disposte a mantenere questo stato di amicizia e di alleanza confermato dal presente Patto senza limite di tempo. Esse tuttavia concertano sottoporre a riesame le singole disposizioni del Patto alla scadenza di un periodo in bianco. allo scopo di adattarle alle esperienze fatte tino a quel momento e alla situazione politica allora esistente».

Al momento di ricevere il testo del progetto tedesco, l'ambasciatore Attolico ebbe un colloquio con il capo dell'Ufficio Giuridico della Wilhelmstrasse. Gaus, sul quale non risulta abbia riferito a Roma. Secondo il promemoria redatto in proposito da Gaus (in DDT, vol. VI, D. 371), Attolico lasciò capire di considerare «eccellente» il progetto ma fece presente che vi erano due punti che andavano inseriti: un riferimento «storico» alla frontiera del Brennero e l 'impegno a rispettare le reciproche sfere di interesse. Si trattava ~precisò Attolico ~non di un suo punto di vista personale ma di un preciso desiderio di Mussolini e di Ciano che peraltro poteva essere realizzato senza introdurre altri articoli nel trattato ma inserendo questi due punti nel preambolo.

2 Riferimento al «brindisi di Palazzo Venezia» pronunciato da Hitler il 7 maggio 1938. Vedi

D. 483, nota 8.

!ungi dal fare sfavorevole impressione sui terzi, verrebbe da questi considerato come un elemento di forza e di solidità del Trattato, in quanto proverebbe che esso poggia sopra una chiarificazione definitiva ed integrale dei rapporti fra i due Paesi.

Lascerei la formulazione dell'aggiunta agli stessi tedeschi, onde farla meglio quadrare col testo già da essi apprestato. Senonché, naturalmente, nulla sarà possibile senza una domanda formale a Ribbentrop che io potrei avanzare soltanto sui precisi ordini dell'E.V.

Che se, da parte tedesca, si preferisse non parlare affatto della questione nel Trattato, si potrebbe allora, alternativamente, ritornare alla idea già avanzata dal Duce in gennaio, di un pubblico atto del Filhrer, che, facendosi garante degli impegni assunti nel 1938, ne annunziasse la messa in esecuzione mediante un piano progressivo di dettaglio.

Senza l'una o l'altra di queste soluzioni io vedrei praticamente come assai problematica la possibilità di effettiva e rapida soluzione del problema dell'Alto Adige.

Come si vede dalla lettura del progetto, termini Trattato escono nettamente dall'ordinario e stabiliscono un tipo di patto per così dire totalitario, destinato evidentemente a creare presso terzi una vera e propria sensazione.

Così ad esempio vengono abbandonate tutte le formule consuete di «aggressione non provocata» per arrivare ad una solidarietà talmente integrale da fare -ed a giusto titolo -ritenere che essa sia non solo difensiva, ma anche offensiva. Altrettanto sensazionale è il preambolo, nel quale si parla fra l'altro (fine terzo comma) di «realizzazione» (io direi comunque affermazione) dei «diritti eterni di vita» dei due Paesi, espressione che si presta alle più variate ed allarmistiche interpretazioni.

Se tutto questo -come potrebbe sotto certi riguardi convenire e salvo la correzione di dettagli or ora indicata -dovesse da parte nostra essere rispettato [leggasi: accettato], io mi permetterei tuttavia di rispettosamente suggerire che trovasse un correttivo almeno nel titolo del trattato che potrebbe forse essere chiamato «patto di difesa politico-militare italo-tedesco», ché altrimenti il patto-per la stessa novità della sua concezione e la forza della sua terminologia -susciterebbe senza dubbio preoccupazioni e timori che, per quanto ingiustificati, non mancherebbero, contrariamente al desiderio dei contraenti, di aumentare fino allo spasimo la già acutissima tensione europea.

Per la stessa ragione, ritengo anche nell'ultima clausola (durata del trattato) il criterio della manifestazione [sic] del Trattato possa pure essere accettato, ma per contro i periodi di revisione dovrebbero -in vista rapidità stessa del ritmo della vita politica moderna e del mutamento della situazione che ne consegue -essere quinquennali. Ove mai, tuttavia, i tedeschi accettassero tutti i punti precedenti si potrebbe eventualmente contentarli su questo.

È inutile dire, peraltro, che io mi asterrò da ogni e qualunque direttiva [sic] fino a che non abbia ricevuto istruzioni precise da V.E.

694 1 Con fonogramma 24 75/311 R. del 12 maggio, l 'ambasciatore Attolico aveva trasmesso a Roma la traduzione del progetto di alleanza consegnatogli dalla Wilhelmstrasse. A prescindere dalle differenze formali dovute alla fretta con cui era stata fatta la traduzione, il testo telefonato a Roma corrisponde a quello poi sottoscritto il 22 maggio, al quale si rimanda (D. 735). salvo in questi punti successivamente modificati su richiesta da parte italiana (vedi D. 695):

695

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. S.N.D. PER TELEFONO 2495/316 R. Berlino, 13 maggio 1939, ore 17,30.

Brennero, Alto Adige. Ho conferito oggi con Ribbentrop il quale:

l) propone senz'altro di modificare, nel progetto di Patto già da me telefonato ieri1 , il secondo alinea del preambolo come appresso:

«Dopo che, con le comuni frontiere, fissate per sempre, tra la Germania e l'Italia, è stato creato il ponte sicuro per l'aiuto e per il sostegno reciproco, i due governi riconfermano la politica che è stata già da loro precedentemente fissata nelle sue basi e nei suoi scopi e che si è dimostrata ricca di successo tanto per lo sviluppo degli interessi dei due Paesi quanto per la sicurezza della pace in Europa». Le parole riguardanti le frontiere sono tolte dal discorso del Ftihrer a Palazzo Venezia2 •

2) Ribbentrop si è dichiarato altresì pronto a discutere con me la settimana prossima sui mezzi praticamente più adatti a risolvere la «questione dei l 0.000». Egli ha già in proposito il pieno assenso del Ftihrer cui ha riferito le dichiarazioni di Vostra Eccellenza a Milano e sembra disposto a contemplare la istituzione di una Commissione mista italo-tedesca per i rimpatri dell'Alto Adige (che a mio parere costituirebbe già un buon passo sulla via di una soluzione concreta del problema).

Ho preso atto3•

696

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. S.N.D. PER TELEFONO 2497/317 R. Berlino, 13 maggio 1939, ore 18,45.

Ribbentrop ha visto stamane lungamente Oshima, il quale gli ha fatto parte dei suoi timori circa le reazioni sfavorevoli che il Patto italo-tedesco, di imminente conclusione, potrebbe avere in Giappone. È stato fatto osservare ad Oshima che, al contrario, il nuovo patto italo-tedesco, servendo a rinforzare ulteriormente l'Asse e que

D. 483, nota 8.

3 Il 14 maggio, l'ambasciatore Attolico era incaricato di chiedere due altre modifiche al progetto di trattato. La prima alla fine del terzo alinea del preambolo, dove le parole «realizzare i loro eterni diritti di vita» dovevano essere sostituite con «per la sicurezza del loro spazio vitale». La seconda concerneva l'articolo 7 che si chiedeva fosse riscritto nella dizione poi adottata nel testo del trattato (vedi D. 735). L'ambasciatore Attolico compiva il passo prescrittogli il giorno successivo (promemoria Gaus in DDT, vol. VI, D. 386).

sto aumentando quindi di valore agli occhi di tutti, sarà più facile ai fautori del Triangolo di sostenere l'opportunità di assicurarsene la solidarietà mediante un Patto a tre.

Comunque, dinanzi alle insistenze di Oshima, Ribbentrop sarebbe d'accordo per un ulteriore tentativo che, senza nulla ritardare o modificare gli accordi presi per il Patto bilaterale itala-tedesco, mostri nello stesso tempo in forma concreta il desiderio nostro di non abbandonare l'idea di un Accordo triangolare.

Subordinatamente al consenso dell'E.V., Ribbentrop sarebbe quindi pronto ad autorizzare Oshima a telegrafare a Tokio proponendo che il giorno stesso della firma solenne del Patto itala-tedesco a Berlino, si possa altresì procedere alla parafa del Patto triangolare quale risulta dal documento da me precedentemente inviato. Il Patto triangolare potrebbe poi essere definitivamente e pubblicamente firmato in seguito. Rimarrebbe inteso che:

a) ad impedire che il sovrapporsi del Patto triangolare a quello a due possa ingenerare un qualunque indebolimento del Patto itala-tedesco, avente necessariamente una fisionomia tutta a sé, verrebbe inserito nel progetto del Patto triangolare già in possesso dell'E.V., immediatamente prima dell'articolo finale (4°), un nuovo articolo del seguente tenore:

«Il governo tedesco e il governo italiano constatano, con l'assenso del governo giapponese che il Patto di amicizia e di alleanza fra la Germania e l'Italia, firmato il 22 maggio 1939, in nessun modo è toccato dal presente Patto e che quindi il presente Patto trova applicazione nei rapporti tra Germania ed Italia solo in quanto il Patto di amicizia e di alleanza fra la Germania e l'Italia non abbia stabilito per questi due Paesi obblighi più vasti».

b) Verrebbe ulteriormente consentito, ali' atto della parafa, al plenipotenziario giapponese, Oshima, di dichiarare verbalmente ai plenipotenziari italiano e tedesco, i quali verbalmente ne prenderebbero atto, che il Giappone non può per il momento e in un prossimo avvenire porre in atto, se non in misura limitata, gli obblighi di aiuto e di assistenza militare assunti per l'articolo terzo del Patto. l dettagli relativi all'assistenza militare che dovrebbe essere concordata, nel caso, in avvenire, saranno oggetto delle conversazioni previste nel protocollo segreto del Patto.

c) Oshima darebbe ugualmente atto ai plenipotenziari italiano e tedesco che il governo giapponese si riserva, nei confronti di Paesi terzi, di dare sulla portata del Patto l'interpretazione seguente:

«l) Il Patto è un Patto puramente difensivo. Esso non persegue alcuno scopo aggressivo ma è destinato ad assicurare il mantenimento della pace. Per tale motivo il Patto non contiene alcuna punta diretta contro un qualsiasi Paese.

2) Per quanto concerne la sua genesi storica, il Patto è la conseguenza dell'unione delle tre parti contraenti nel corso di questi ultimi anni in vista di una comune difesa contro l'azione sovversiva del Comintern. Nell'attuale situazione internazionale il Giappone si sente da parte sua minacciato innanzitutto dagli sforzi fatti dall'Internazionale Comunista. Per tale ragione il governo giapponese ha considerato come il pericolo più imminente per il Patto questi sforzi del comunismo provenienti dalla Russia sovietica.

3) Qualora una delle Potenze contraenti fosse oggetto di una aggressione non provocata, le conseguenze che ne deriverebbero per le Potenze stesse sono previste dal testo del Patto. Fino a quando terze Potenze non minaccino o attacchino le Potenze contraenti, gli obblighi di prestare appoggio e di dare aiuto e assistenza non saranno applicabili».

I testi sopra riportati sono, con opportune modifiche, quelli già comunicati all'E.V. a Milano.

Ribbentrop terrebbe molto, ripeto, a mostrare con questo ultimo tentativo, e provare al Giappone che l'Asse non intende sottrarsi alla politica triangolare e che anzi apprezza non meno di prima il concorso del Giappone. Oshima pensa d'altra parte che, in questo momento, un simile passo potrebbe servire di più utile stimolo al governo giapponese per arrivare rapidamente ad una decisione definitiva.

Tanto Ribbentrop che Oshima pregherebbero V.E. di una risposta telefonica immediata e ciò in vista della brevità del tempo disponibile: i telegrammi per Tokio sono già pronti e non attendono per essere spediti che il «via» dell'E.V.

Dato che i rapporti italo-tedeschi formano ormai oggetto di una stipulazione separata, resa affatto indipendente dalle sorti del Patto triangolare, quest'ultimo tentativo non sembrerebbe presentare inconveniente alcuno. Esso potrebbe d'altra parte cancellare l'impressione che sembra vadasi formando a Tokio che le Potenze de li'Asse, ora che si sono messe d'accordo fra di loro, hanno perduto ogni interesse ad un Patto triangolare.

Sarò quindi grato di una cortese immediata risposta 1•

695 1 Vedi D. 694, nota 1. 2 Riferimento al «brindisi di Palazzo Venezia» pronunciato da Hitler il 7 maggio 1938. Vedi

697

IL MINISTRO A SOFIA, TALAMO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. S.N.D. 2502/95 R. Sofia, 13 maggio 1939, ore 22,45 (perv. ore 3 del 14).

Telegramma di V.E. n. 671• Dovevo necessariamente vedere oggi il presidente del Consiglio, per cui mi è riuscito opportuno intrattenerlo argomenti del telegramma suddetto di V.E. Dal colloquio ritengo seguenti punti:

l) presidente del Consiglio, pur contando mantenere, nelle attuali condizioni politico-militari del Paese, il già dichiarato atteggiamento neutrale, concorda pienamente su sola possibilità da parte Asse, principalmente Italia, tutela aspirazioni interessi Bulgaria che dovrebbero essere realizzati in Dobrugia e in Tracia.

2) Nonostante attuali deficienze riarmo in corso, Bulgaria potrebbe quindi risolversi per Asse ove fosse assicurato analogo atteggiamento Jugoslavia e ove Jugoslavia si impegni neutralizzare, all'occorrenza, contrario atteggiamento romeno a danno

697 1 Vedi D. 686.

Bulgaria. Presidente del Consiglio dichiarasi convinto che, se in accordo con Belgrado e garantite le spalle nei confronti Romania, Bulgaria potrebbe ali'occorrenza anche nelle sue condizioni militari attuali far fronte Turchia e Grecia. Insiste affermando che è posizione Romania che occorre acclarare.

3) Dopo sollecitazioni adesione Bulgaria blocco balcanico in contropartita sistemazione questioni Dobrugia, da lui respinte, presidente del Consiglio afferma non aver avuto altre pressioni, ma ne prevede non improbabili da parte britannica dopo conclusione accordo anglo-turco, pur non credendo possa portare a nulla [leggasi: qualcosa] di positivo. Mi assicura si terrà a contatto con me e mi terrà di tutto esattamente prevenuto2 .

696 1 Per la risposta si veda il D. 702, nota 3.

698

L'AMBASCIATORE A BUENOS AIRES, PREZIOSI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 8288/96 P.R. Buenos Aires, 13 maggio 1939, ore 21,43 (perv. ore 3 de/14).

Mio telegramma n. 92 1•

Giornali avendo pubblicato esser imminente decreto restrittivo attività politica straniera, ho veduto lungamente ministro Affari Esteri. Mi sono intrattenuto altresì con altre personalità politiche. Ho ripetuto noti e già riferiti argomenti, insistendo su punto che statuto dei Fasci all'Estero è rispettosissimo politica interna Paesi che li ospitano. Cantilo ha replicato che suo governo è lontanissimo dal nutrire una qualsiasi ostilità contro organizzazioni italiane e che esso è pienamente consapevole grande opera compiuta da italiani in Argentina, nonché loro perfetto lealismo; ma che decreto in questione si proporrebbe esclusivamente formare finalmente una «coscienza argentina» e quindi regolamentare situazione in guisa da evitare che ideologie estere possano influire nella vita interna, portandola ad orientamenti che devono restare estranei. A mia richiesta di precisazioni, Cantilo ha detto di non conoscere ancora senso e portata decreto, ma che escludeva nel modo più assoluto che esso avesse intenzione dirigersi contro italiani, o del resto contro altri cittadini esteri, suo scopo essendo unicamente quello di «regolamentare amministrativamente attività politica, stabilendo non soppressione ma controlli». Ho replicato che sue parole erano abbastanza vaghe che comunque lo pregavo prestare la più attenta considerazione su quanto gli ero andato dicendo in questi ultimi tempi circa irreprensibile attività e grande benemerenza associazioni italiane, le quali hanno sempre operato alla piena

luce del giorno. Ho soggiunto che annunzio decreto aveva già prodotto la peggiore impressione sugli italiani in Argentina.

Le assicurazioni di Cantilo sono in contrasto con progetti gravemente restrittivi d'iniziativa parlamentare presentati ieri. Onde mio timore resta sempre che questo governo si proponga avvalersi speciosa campagna parlamentare per addurre poscia moderazione sue misure rispetto a quelle ventilate Parlamento2 .

697 2 Il documento fu inviato in visione a Mussolini.

698 1 T. 766'8/92 P.R. del 5 maggio, con cui l'ambasciatore Preziosi aveva riferito che le richieste avanzate dal Procuratore Generale nel processo contro i nazionalsocialisti in Argentina (vedi D. 450, nota l) sarebbero state sicuramente inserite in un progetto di legge di iniziativa parlamentare che avrebbe consentito al governo argentino di giustificare, di fronte ai Paesi interessati, <<Un'azione di contenimento» nei confronti delle associazioni straniere.

699

L'AMBASCIATORE A V ARSAVIA, ARONE, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. S.N.D. URGENTE 2501/126 R. Varsavia, 13 maggio 1939, ore 23,47 (perv. ore 4,30 de/14). Telegramma di V.E. n. 941•

Beck, al quale avevo chiesto stamane un colloquio per uno dei prossimi giorni, mi ha pregato di passare stasera da lui.

Nella conversazione che ho avuto, ho fatto presente a Beck che a Roma si era preoccupati della piega che avrebbe potuto prendere la situazione tra Polonia e Germania; il che era naturale per il fatto che mentre la Germania era nostra alleata i rapporti che ci univano alla Polonia erano di sincera amicizia, non essendovi alcuna questione che direttamente ci dividesse. Che d'altra parte, qualora la situazione avesse dovuto degenerare in una crisi, questa non avrebbe non potuto avere gravi ripercussioni nei nostri rapporti con la Polonia. L'Italia, infatti, in tale deprecata eventualità avrebbe preso netta posizione accanto Germania. Speravamo pertanto sinceramente e profondamente che non si arrivasse a questo punto; che le questioni oggi pendenti potessero essere risolte pacificamente e così i rapporti tra i due Paesi ritornassero alla normalità.

Beck mi ha ascoltato con tranquillità come se mio linguaggio non gli riuscisse inatteso. Con tono calmo ma fermo egli ha replicato che: «prendeva atto di quanto avevo

detto; apprezzava franchezza del Governo Fascista; da essa la Polonia traeva una maggiore libertà d'azione». Beck ha quindi rilevato con una certa amareza che la posizione della Polonia verso la Francia aveva in un certo senso dei punti di somiglianza con la nostra nei riguardi della Germania. Eppure, la Polonia si era sempre rifiutata di allargare i propri impegni con la Francia in rapporto alla situazione italo-francese, resistendo ad ogni pressione di Parigi e mantenendosi nello spirito delle conversazioni avute da Beck con Roma. Danzica ed il corridoio -ha continuato Beck -hanno un grandissimo interesse nazionale per la Polonia ed uno molto trascurabile per la Germania. Il punto di vista del governo polacco rimane quindi quello esposto da Beck il 5 corrente2 . Se la Germania ha creduto di spingere le cose malgrado gli avvertimenti che egli aveva dato a suo tempo al ministro degli Aftàri Esteri tedesco, risale ad esso la responsabilità della situazione attuale.

Dal tono della conversazione odierna ho tratto una nuova conferma che Polonia è decisa di arrivare, se occorre, fino alle estreme conseguenze piuttosto che subire una soluzione unilaterale3 .

698 2 Tornando sull'argomento alcuni giorni più tardi, dopo che-il 15 maggio-il governo argentino aveva emanato il decreto sulle associazioni straniere, l'ambasciatore Preziosi osservava: «Sebbene da più parti mi siano pervenute assicurazioni che le note disposizioni sono dirette più che contro di noi, contro le organizzazioni nazionalsocialiste, e sebbene sia evidente in tutti i settori democratici un risentimento verso i tedeschi assai più vivace che non verso di noi, non ho dubbio che le misure restrittive saranno applicate senza attenuazioni anche nei nostri riguardi poiché l'attuale governo si va sempre più orientando verso una collaborazione coi partiti di sinistra, capeggiati da ebrei intransigenti e combattivi». L'ambasciatore faceva anche presente che a preoccupare le Autorità argentine non era tanto il possibile propagarsi nel Paese di idee in contrasto con i principi democratici, quanto il fatto che le associazioni straniere ritardavano l'assorbimento degli immigrati nella massa della popolazione argentina. Data la situazione che si era venuta a creare, l'ambasciatore Preziosi suggeriva perciò di procedere allo scioglimento dei Fasci senza attendere l'applicazione del decreto e di creare una «consociazione» che consentisse di raccogliere il maggior numero possibile di italiani, sfruttando anche le reazioni provocate nella collettività italiana dalle misure restrittive adottate dallo Stato argentino (telespresso 2256/1051 del 25 maggio).

699 1 Vedi D. 684.

700

L'AMBASCIATORE A PARIGI, GUARIGLIA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 3178/1358. Parigi, 13 maggio 1939 (perv. i/15).

Il Parlamento si è riaperto ieri per ascoltare il messaggio del Presidente della Repubblica, dopo la sua rielezione, e la risposta del governo che si è sopratutto polarizzata sulle questioni di politica estera.

Nel mentre il messaggio presidenziale1 ha mantenuto un carattere calmo e protocollare, il discorso di Daladier ha assunto un tono forse maggiore [sic] di quello dei precedenti discorsi del presidente del Consiglio. Il linguaggio di Daladier2 tuttavia è per una buona parte da spiegarsi come manovra di politica interna. Egli ha voluto prevenire e bloccare qualsiasi speculazione politica che tentasse di sfruttare un atteggiamento non abbastanza fermo della Francia dopo il discorso di Hitler all'Opera KrolJ-l e l'annunzio dell'alleanza militare di Milano. Tanto più in quanto stampa e circoli politici non avevano in questo scorso periodo mancato di mettere in raffronto la lentezza di azione della Francia di fronte alla attività del governo britannico per assicurare agli Stati democratici un equilibrio favorevole nell'azione antitotalitaria e sopratutto antigermanica intrapresa dopo gli avvenimenti cecoslovacchi.

Il discorso di Daladier non apporta però nella sostanza nessun nuovo elemento determinante e non tratta specificamente nessuno dei problemi che preoccupano maggiormente l'opinione pubblica francese. Per chiudere la bocca alle sinistre -che non intende scontentare, senza nel contempo attrarle nella sua maggioranza parlamentare -afferma per la prima volta in tono categorico la validità del patto francosovietico\ considerando come essenzialmente desiderabile la partecipazione dell'U.R.S.S. all'organizzazione della mutua assistenza antigermanica. Conferma che le trattative franco-turche proseguono in vista di realizzare un accordo analogo a quello turco-inglese5 . Nessun accenno pero è fatto alle rivendicazioni turche di fronte alle quali pare si attenui tuttavia l 'intransigenza.

Nessuna frase specifica è dedicata alle questioni italiane. Tutto il discorso nella sua intonazione non fa che ribadire i motivi della campagna che infierisce in Francia sempre più violenta contro la Germania. considerata come la principale responsabile dell'attuale situazione internazionale. A questo rinnovato furore antigermanico si accompagna, d'altra parte, una concorde aumentata campagna giornalistica destinata ad accreditare nel pubblico la convinzione che il Rei c h esercita su li'Italia una pressione ogni giorno maggiore, attraverso un'infiltrazione nazista in tutti i gangli vitali della vita del nostro Paese, allo scopo di garantire l'inevitabilità dell'appoggio del Governo Fascista alla realizzazione dei disegni di espansione tedesca. Si insiste sull'ostilità del popolo italiano contro la Germania e sul carattere di «imposizione» che ha la politica estera del Duce in aperto contrasto colle aspirazioni e col sentimento popolare. Le fandonie sui disordini di Milano e le altre quotidiane panzane della stampa gialla francese circa la situazione interna in Italia sono ormai verità assolute per la grande opinione pubblica francese.

Degno di nota è infine nel discorso di Daladier l'insistenza con cui egli ha marcato la volontà francese di mantenere in atto tutte le misure militari finora predisposte, sia dal punto di vista mobilitazione di uomini che di mezzi, fino a che la Francia non senta ristabilita un'atmosfera di sicurezza e di pace. Al fine di assicurare larghe possibilità in tal senso è stato predisposto un nuovo prestito a cui pare sia stato già garantito il concorso del capitalismo francese, che ha ricevuto come contropartita delle larghe facilitazioni e rimunerazioni attraverso la politica finanziaria di Pau! Reynaud.

È indubbio comunque che Daladier, trincerandosi dietro la situazione internazionale, è riuscito a far ingoiare con rassegnazione i forti sacrifizi finanziari imposti al popolo francese, rassegnato ormai a seguire senza esitazione le decisioni del presidente del Consiglio, nella scia dell'azione britannica la quale a sua volta non manca di preoccuparsi di mantenere vivo anche in Francia il senso del pericolo e della necessità di reagire a qualsiasi nuova iniziativa di espansione totalitaria.

Nell'attività politica di questi ultimi giorni degna di nota è anche l'azione svolta da Blu m che, nonostante militi sempre apertamente nell'opposizione, continua a

mantenere contatti con Daladier, svolgendo in materia di politica estera ogni qual volta si presenti l'occasione, un'azione fiancheggiatrice di quella governativa.

Richiamo al riguardo l'attenzione sulla missione che egli ha compiuto negli scorsi giorni in Inghilterra, missione di inspirazione evidentemente ufficiosa che mira a favorire l'adesione dei laburisti inglesi alla politica di Chamberlain. Le parole pronunziate in Parlamento dal Premier britannico sui colloqui da questi avuti con Blum6 -che hanno messo in rilievo la necessità per gli Stati democratici di non dare adito ad incertezze e dubbi sulla loro ferma determinazione di resistenza-hanno avuto in Francia una favorevole ripercussione ed hanno indubbiamente rialzato le azioni del presidente del partito socialista, il quale ha visto citare la propria opinione con simpatia pubblicamente dal Capo del governo britannico.

L'atteggiamento fiancheggiatore di Blum, su cui richiamai l'attenzione di V.E. colla mia lettera n. 2804/1194 del 29 aprile scorso7 , è confermato dalla sua azione alla Camera nelle discussioni di questi giorni. È da tener presente infatti che seppure Blum ha formato oggetto ancora una volta delle ostilità delle destre ed ha riconfermato apertamente la sua avversione alla politica finanziaria di Pau! Reynaud, egli tuttavia ha dichiarato apertamente che l'approvazione dei socialisti è acquisita per la politica estera di Daladier.

Particolarmente interessanti sono gli accenni che Blum ha fatto alla questione italiana ed alla questione spagnuola, accenni che confermano le impressioni che ebbi a rappresentare con mio precedente rapporto sulla speranza sia pur tenue, che qui ancora sussiste, di potere eventualmente regolare la questione italiana separatamente dalla Germania. Con questo si spiega la certa qual riservatezza che è mantenuta nei riguardi italiani.

Blum ha nettamente dichiarato alla Camera che solo qualora si possa staccare l'Italia dalla Germania si può avere la certezza della pace. «D'altra parte-egli ha aggiunto -nessuno in Francia è così ingenuo da dire ali' Italia: noi non ci intenderemo con voi se, nel!' ora che viene, voi non vi staccate solennemente dali' Asse. Ma io penso, dopo avervi maturamente e scrupolosamente riflettuto, che la condizione preventiva di ogni accordo con l'Italia è che essa abbia potuto darci una certezza sufficiente del suo desiderio di amicizia e di pace e che tutte le conversazioni che potrebbero in seguito intavolarsi siano poste precisamente su questo terreno di amicizia reciproca e di sforzi per la pace europea» (Applausi all'estrema sinistra socialista).

Concludendo, non vi è dubbio che il governo Daladier, trascinato dall'azione britannica nella politica dei patti continentali, ha in quest'ultimo tempo consolidato all'interno la sua posizione e realizzata una seria restaurazione economica e militare la quale dà al popolo francese l'impressione non solo di poter rispondere con maggior senso di sicurezza ad ogni eventuale offensiva degli Stati totalitari, ma di poter resistere indefinitamente ai tentativi di logoramento morale e finanziario cui la Francia viene sottoposta con una prolungata mobilitazione.

È questo infatti il punto di attualità del discorso di Daladier, il quale non ha esitato in sostanza a rilevare al pubblico la guerra in tempo di pace che è in

7 Vedi D. 617.

atto in Europa mediante la mobilitazione militare esistente nei vari Paesi, mobilitazione secondo lui contrastante coi desideri di pace espressi tanto a Roma che a Berlino, e corrispondente ad un nuovo sistema di intimidazione sul tipo di una doccia scozzese.

Quanto poi alle reali possibilità per la Francia di resistere indefinitamente anche a tale nuovo metodo che si attribuisce agli Stati totalitari, le baldanzose assicurazioni di Daladier corrispondono. come ho detto. ad un innegabile potenziamento della situazione militare. sociale. politica e finanziaria francese che dal mese di dicembre scorso segna senza alcun dubbio un movimento ascendente.

Non manca certo qualche voce sul malcontento della popolazione e dei mobilitati specialmente per il prolungarsi di questa anormale situazione. Ma tali voci hanno in realtà assai scarso valore.

Certo è che. se non intervengono nuovi elementi. l'ottimismo di Daladier sulla capacità di resistenza francese si fonda su basi abbastanza sicuré.

699 2 Nel suo discorso al Sejm. Vedi. 651. 3 Il documento fu inviato in visione a Musso lini. 700 1 Testo in Relazioni Internazionali, pp. 394-395. 2 Si tratta della «dichiarazione ministeriale» letta l'Il maggio da Daladier alla Camera e dal vicepresidente Chautemps al Senato. Testo in Relazioni Internazionali, pp. 395-396. 3 Discorso al Reichstag del 28 aprile. Vedi D. 610.

700 4 Riferimento al Trattato di mutua assistenza tra Francia e U.R.S.S. del 2 maggio 1935 (testo in MARTENS, vol. XXXI, pp. 645-648). 5 Riferimento alla Dichiarazione comune dei governi britannico e turco del 12 maggio 1939 (vedi D. 712, nota 1).

700 6 Vedi D. 688.

701

L'AMBASCIATORE A TOKIO, AURITI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. S.N.D. 2511/330 R. Tokio, 14 maggio 1939, ore 14,55 (perv. ore 12). Mio telegramma 325 1•

Confidente militare informa continuano discussioni e contrasti fra Esercito e Marina sopra notizie giunte in questi giorni da Roma e Berlino delle quali peraltro ignorasi contenuto. Tali dissensi sarebbero acuiti da carattere più spiccatamente anti-inglese preso da politica italo-tedesca in seguito annunziata conclusione patto militare.

Militari insistono opportunità, nel comune interesse e quando anche non si vogliano accettare proposte nipponiche, che si eviti almeno di rompere trattative.

700 8 Il documento ha il visto di Musso lini.

70 l 1 Con T. s.n.d. 2420/325 R. del 9 maggio, l'ambasciatore Auri ti aveva attirato l'attenzione sulle dichiarazioni alla stampa del ministro alla Guerra, generale ltagaki, il quale aveva affermato che lo spirito animatore del Patto Anticomunista era così profondamente radicato in Giappone da rendere possibile un accordo militare con le Potente dell'Asse.

702

IL CAPO DI GABINETTO, ANFUSO, AL CAPO DELLA SEGRETERIA DI MUSSO LINI, SEBASTIANI

FONOGRAMMA URGENTISSIMO S.N. Roma, 14 maggio 1939, ore 13.

S.E. Ciano da Firenze 1 ti prega di fare la seguente comunicazione al Duce: «Attolico chiede di urgenza una risposta al telegramma n. 3172 già a voi pervenuto, relativo a richiesta Oshima Ribbentrop.

l) Considero il tentativo di Ribbentrop inutile poiché i giapponesi non prenderanno in sei giorni quelle decisioni che non hanno preso in sei mesi; 2) Considero che il Patto triangolare come proposto adesso da Ribbentrop e Oshima est superfluo et forse dannoso; 3) In considerazione però della importanza che Ribbentrop attribuisce alla questione, sarei favorevole a concedere il nulla osta.

Questo per quanto si riferisce alla richiesta Ribbentrop Oshima.

Attolico mi fa sapere inoltre che date 25-28 et 26-29 per mia permanenza a Berlino sembrano assolutamente inadatte a Ribbentrop sia perché in quei giorni il Fuhrer sarà fuori di Berlino sia perché concordano [leggasi: coincidono] con festa Pentecoste durante la quale i berlinesi lasciano la città per la campagna.

Ribbentrop insiste, perciò, perché mia visita avvenga come prima proposta cioè dal 22 al 24. Scartando senz'altro una mia permanenza in Berlino il 24 potrei, salvo la vostra approvazione, essere a Berlino dal 20 al 23 o dal21 al23.

Prima di dare una risposta ad Attolico sui due predetti argomenti attendo il benestare del Duce. Ciano»3 .

2 Vedi D. 696.

3 Al documento è allegato questo estratto di un appunto di Anfuso: «Su conformi istruzioni del Duce ho comunicato a S.E. Attolico quanto segue: [ ... ] 2) Nullaosta a che sia dato corso alla proposta Ribbentrop-Oshima 14 maggio 1939 (comunicato per telefono a Firenze alle 13,30)». Per la susseguente azione tedesca a Tokio si vedano le istruzioni all'ambasciatore Ott (in DDT, vol. VI, D. 382) e il progetto di «trattato di consultazione di mutua assistenza tra Germania, Italia e Giappone» (ibid., D. 383).

702 1 Dove si era recato per accompagnare il Reggente di Jugoslavia, principe Paolo e Cinkar-Markovié.

703

L'AMBASCIATORE A SALAMANCA, VIOLA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 2566/065 R. San Sebastiano, 14 maggio 1939 (perv. i/18).

Mio telespresso n. 2663/684 del 7 corrente1 .

Jordana mi ha messo al corrente dello stato della questione relativa all'esecuzione dei suoi accordi con Bérard2 . Non è esatto che il governo spagnolo abbia posto a quello francese un ultimatum per l'esecuzione, dopo di che romperebbe le relazioni diplomatiche; però esso ha proposto la costituzione di una commissione franco-spagnola che dovrebbe risolvere entro un termine prestabilito tutte le questioni inerenti all'esecuzione degli accordi. Questo consigliere dell'ambasciata di Francia, Gazel, è partito per Parigi latore della proposta spagnola. Se essa non fosse accettata, o se la commissione non riuscisse, per fatto dei francesi, a concludere nel termine fissato, è probabile che la Spagna ritiri il suo ambasciatore a Parigi.

Ciò che ha acuito recentemente il risentimento del governo di Burgos è che i francesi, più che rifiutarsi apertamente alla esecuzione degli accordi, vanno procedendo alla restituzione degli averi spagnoli in modo irrisorio e quasi canzonatorio. Negli ultimi giorni, ad esempio, hanno inviato in Spagna alcuni pezzi di artiglieria che furono riscontrati fuori uso e qualche po' di materiale ferroviario rotabile in pessimo stato. Si fanno difficoltà per la consegna delle opere d'arte depositate a Maison Lafitte, e, in genere, per i preziosi appartenenti al patrimonio delle chiese, così, per l'oro della Banca di Spagna e per i depositi, circa cui sembra accertata l'intenzione, quantunque inconfessata, di ritenerli a garanzia di rimborso delle spese di mantenimento dei profughi. Bonnet sarebbe propenso a tener fede agli accordi ma incontra l'opposizione dei vari Zay, Campinchi, Mandel, Pomaret, ecc. Quest'ultimo -secondo quanto è stato riferito a Burgos -avrebbe, durante una colazione ufficiale, interpretato il pensiero dei suoi colleghi proclamando «essere inutile che la Spagna speri di riavere l'oro e le armi finché farà la politica de li'Asse». Daladier, pervaso di psicosi bellica, non pare incline ad appoggiare, in materia, le oneste intenzioni del suo ministro degli Esteri. Frattanto, il Maresciallo Pétain pare sempre più disgustato e si disinteressa della sua ambasciata. Reduce dal suo viaggio di diporto in Andalusia (dove non gli era stata fatta, per ordine espresso, nessuna accoglienza) e dalla sua punta a Gibilterra, è caduto ammalato di bronchite e travasi degente a San Sebastiano.

703 1 Vedi D. 665. 2 Vedi D. 227, nota 3.

704

IL MINISTRO A SOFIA, TALAMO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 2347/10I2. Sofia, 14 maggio 1939 (perv. i/17).

Mio telegramma n. 95 1 .

Ho avuto l'opportunità di poter riscontrare subito col mio surriferito i quesiti posti col telegramma di Vostra Eccellenza n. 672 .

Alcunché ho da aggiungere a quanto esposto all'Eccellenza Vostra del mio colloquio con questo presidente del Consiglio.

Ferma rimanendo una sostanziale disposizione a paventare risoluzioni ed impegni, etTetto questo anche della psicologia di un popolo che già coinvolto in un più vasto conflitto è stato militarmente e diplomaticamente sconfitto senza avere una intima forza e possibilità di risollevarsi, mi pare che nelle dichiarazioni fattemi dal presidente del Consiglio si possa tuttavia registrare un passo avanti, giacché rimarrebbero pur sempre acquisiti i punti seguenti:

l) che si è fatta ormai strada la predominante convinzione che solo da parte dell'Asse la Bulgaria possa sperare una concreta realizzazione delle proprie aspirazioni;

2) che per contro da parte dell'Inghilterra. e dei sistemi dipendenti dalla politica britannica. poco questo Paese abbia da sperare. come hanno dimostrato anche ultimamente le fallite aperture per la soluzione della questione dobrugiana. e forse anche. a seguito delle recentissime repressioni di Belitza3• la riprova della irriducibile ostilità romena.

Da tali premesse consegue perciò qui una visione abbastanza definita del finale indirizzo che i propri interessi consigliano alla Bulgaria, ma dalle parole di Kiosseivanov risulta anche più chiaro che per risolversi essa avanza due postulati:

l) una garanzia di sicurezza nei confronti d eli' atteggiamento jugoslavo da una parte e contro eventuali reazioni romene dall'altra. senza la quale la Bulgaria si troverebbe immediatamente costretta nella morsa automatica dell'Intesa Balcanica;

2) una effettiva certezza nei confronti della realizzazione delle proprie aspirazioni nazionali in Dobrugia e in Tracia. rispetto alle quali tuttavia la Bulgaria non pone altro ordine di gradualità se non quello che fosse per essere determinato dagli avvenimenti.

Ora, circa le aspirazioni dobrugiane, le sole in merito alle quali la Bulgaria abbia fatto finora qualche più concreta affermazione, Kiosseivanov mi osservava che da parte tedesca ogni incoraggiamento sia venuto meno, se pure è che mai ve

2 Vedi D. 686.

3 Riferimento all'uccisione, avvenuta alcuni giorni prima, di un gruppo di irredentisti bulgari

della Dobrugia che, arrestati dalla polizia romena, erano stati poi massacrati con la giustificazione di un loro tentativo di fuga.

ne fosse di più apertamente manifestato, e ciò coincide con quanto già ebbi a riferire all'Eccellenza Vostra. È quindi anche a questo aspetto della situazione che crederei convenga riferire l'insistenza posta dal presidente del Consiglio nel dirmi che «era la posizione romena che occorreva acclarare». Quanto poi a ciò che segnalai a Vostra Eccellenza di quel che qui risultava di una certa freddezza germanica nei riguardi della Bulgaria, giustificata per altro verso dallo stesso ritroso atteggiamento di questo Paese, ne trovo una eco in quanto Kiosseivanov ha avuto a dirmi circa la mancanza di sostanziali facilitazioni da parte tedesca per il riarmo bulgaro, recentemente trattato a Berlino.

A parte tale elemento di perplessità circa le reali disposizioni germaniche verso la Bulgaria, credo in definitiva possa concludersi che questa non si impegnerà verso l'Asse, se non in una combinazione che le dia con la piena sicurezza, un concreto affidamento per le proprie aspirazioni nazionali: vale a dire che le assicuri totalmente tutti gli elementi favorevoli. E questa posizione pare anche in parte riprodurre quella che alla vigilia della Grande Guerra, col negoziato del ristabilimento delle frontiere preesistenti al 1913 e, allora, dell'attribuzione della Macedonia, dopo un non breve periodo di indecisione, pose finalmente la Bulgaria in mano a chi seppe dargli promessa ferma della soddisfazione delle proprie aspirazioni.

Circa poi i due elementi dell'attuale tesi bulgara, sicurezza e rivendicazioni territoriali, rimarrebbe pur sempre da considerare in che misura essi possano praticamente assumere proporzione uno rispetto all'altro, vale a dire se a un determinato momento, date le pavide disposizioni bulgare, il problema della sicurezza non abbia il predominio: e questo è questione di pressione, o, se si voglia, di forza.

Ora, come scarse e a caro prezzo sono state le promesse, così può affermarsi che dalla parte a noi avversa, salvo la minaccia permanente ma incerta del Patto Balcanico, la pressione non è stata finora molto forte, sebbene la presenza di otto divisioni turche in Tracia continui a preoccupare non poco questo governo. Nondimeno il presidente del Consiglio non sembra escludere neppure che essa possa diventarla proprio ad iniziativa di Ankara, che, dopo la scarsa efficacia dei mezzi conciliativi da essa sperimentati, dall'Accordo di Salonicco4 a quelli più recenti interessanti il problema dobrugiano e a certe suggestioni anti-jugoslave a cui Kiosseivanov mi ha vagamente accennato, implicanti possibili soluzioni della questione macedone, potrebbe essere tentata di agire altrimenti verso la Bulgaria, oggi che può ritenere di derivare maggiore forza dall'accordo raggiunto con l'Inghilterra, il quale appunto, standone a pubblicazioni più o meno ispirate, dovrebbe trovare le sue conseguenze anche nei Balcani.

D'altra parte, mi osservava Kiosseivanov, comunque si voglia, l'accordo angloturco, anche a stame nei limiti della convenzione di Montreux, potrebbe avere i suoi effetti in .\llar Nero, e forse non è senza ragione che l'accordo stesso è stato designato come patto di assistenza, che, ove stipulato nel quadro societario, consentirebbe alla Turchia, ai termini di quella convenzione, la libera disponibilità degli Stretti. Circostanza questa che potrebbe creare alla Bulgaria l'ulteriore preoccupazione di un fronte marittimo.

Né il presidente del Consiglio sembra ritenere di poter eventualmente sperare su di un'azione equilibratrice della Germania che in questi ultimi tempi, come egli ancora mi affermava, aveva ostentato nei riguardi di Ankara una sicurezza, rivelatasi alla luce degli attuali avvenimenti troppo poco fondata, sì che egli mi diceva di dubitare che da parte tedesca si sia tuttora disposti a concorrere al riarmo turco di artiglierie di grosso calibro, che la Germania, a quanto pare, si era impegnata di fornire.

Il complesso di queste circostanze. congiunte alla pavidità bulgara e alle troppo note inclinazioni filobritanniche del Sovrano. potrebbe pertanto nell'ulteriore prossimo sviluppo della situazione arrestare la Bulgaria. se non prevenuta a tempo. sulla strada di una sua possibile conversione ali' Asse5 .

704 1 Vedi D. 697.

704 4 Vedi D. 61, nota 5.

705

NOTA DI EDIZIONE

Dal l O al 14 maggio, il Principe Paolo ed il ministro degli Esteri jugoslavo, Cincar-Markovié, tùrono in visita in Italia ed ebbero diversi colloqui con Mussolini e con Ciano. Negli archivi italiani non si è trovata documentazione di tali colloqui, sui quali vi sono nel Diario di Ciano queste annotazioni:

l O maggio. «A Palazzo Venezia, colloquio Duce-io-Markovié. Nessun elemento nuovo per quanto riguarda le relazioni dirette tra Roma e Belgrado. I punti di Venezia sono stati tutti confermati. Ma il fatto nuovo è rappresentato da una netta presa di posizione jugoslava contro la Turchia e la proposta di costituire un blocco romenojugoslavo-bulgaro con finalità di opposizione alla Turchia. Per giungere a questo, bisogna ottenere un accordo tra magiari e romeni. La cosa è interessante».

Il maggio. «Rivista navale. Durante la navigazione ho avuto un lungo colloquio con il Reggente Paolo. È molto preoccupato delle minacce di guerra e -credo-solo fino ad un certo punto ha tenuto conto delle mie assicurazioni in senso pacifico».

13 maggio. [A Firenze] «Parlo con Markovié per il problema della loro permanenza a Ginevra. Fa ancora delle resistenze ma si rende conto dell'utilità di abbandonare il Mausoleo ginevrino. Credo che finirà con l'accettare il nostro consiglio».

15 maggio. «Tomo a Roma. La visita jugoslava è andata bene anche se non è stato fissato o definito alcun elemento nuovo. La minaccia turca è quanto più preoccupa Belgrado: bisogna sfruttare questa condizione psicologica per attirare sempre più gli jugoslavi n eli' orbita dell'Asse».

Come risulta dal Diario di Ciano (alla data del 18 maggio), questo documento fu mostrato da Ciano al ministro di Jugoslavia, Christié, che aveva chiesto delle informazioni circa l'atteggiamento della Bulgaria. «A Belgrado~ annotava Ciano in proposito~ si è sempre più preoccupati dell'enigmatica politica turca e si cerca di creare una solidarietà slava a carattere antiturco. Ciò a noi conviene». Sul colloquio Ciano-Christié non è stata trovata documentazione negli archivi italiani.

Qualche giorno più tardi, Palazzo Chigi venne a sapere, da un'intercettazione, che prima della partenza Cincar-Markovié si era impegnato a non assumere impegni durante la visita a Roma e che il Principe Paolo aveva assicurato che la visita avrebbe avuto carattere di pura cortesia.

704 5 Il documento ha il visto di Musso lini.

706

IL MARCHESE DE BOMBELLES AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

LETTERA. Zagabria, 14 maggio 19391•

Fo uso del privilegio per me onorifico di poter riferirVi direttamente portando quanto segue a conoscenza dell'Eccellenza Vostra. Come scrissi la settimana scorsa2 e come era da prevedere, la tensione fra Belgrado e Zagabria si è vieppiù inasprita negli ultimi giorni.

L'assemblea dell'8 corrente dei deputati croati, presieduta da Macek, ebbe un corso più o meno burrascoso. Il primo discorso di Macek, come pure il relativo ordine del giorno, la cui traduzione porta Carnelutti a Roma per sottoporla all'Eccellenza Vostra, sono tenuti in un tono piuttosto mite, sebbene il pubblico non è più in dubbio ~come neppure l'avversario ~che essi contengano una implorazione all'Italia invocante aiuto.

Dopo il primo discorso, vari deputati chiesero la parola e molti di essi, in seduta aperta, si espressero sulla assoluta disdetta a Belgrado, sulla ribellione e sulla aperta richiesta di appoggio all'Italia. (Politica di Pavelié).

Sotto l'impressione di tali esigenze radicali e specialmente dopo aversi convinto coi propri occhi e letto dai volti dei deputati che, come io sempre dissi all'Eccellenza Vostra, i croati ne avrebbero di Belgrado a sazietà, e che essi non si lascerebbero guidare da alcuno, neppure da Macek, se non soltanto per agire contro Belgrado, Macek tenne poi un secondo discorso, più forte del primo, in cui promise di tener conto degli animi di tutto il popolo.

Qualora Macek facesse un accordo alla mercé di Belgrado. perderebbe imminentemente la popolarità. Tale circostanza è appunto ben nota anche a Belgrado. Ciò riconosce per esempio lo stesso Zivkovié, già Capo del governo, che ora appartiene alla opposizione, dicendo che Belgrado, con le sue conferenze, avrebbe soltanto interesse a discreditare Macek presso i croati ed a seminare zizzania fra le sue file compatte, ma che mai avrebbe seriamente pensato a fare un accordo coi croati.

L'8 andante, dopo l'assemblea, Macek era per alcuni giorni molto occupato, per cui non abbiamo potuto prima di lunedì lasciare partire Carnelutti, che appena martedì 16 corrente potrà presentarsi a Voi.

2 Vedi D. 667.

Il mandato di Carnei utti è il seguente: anzitutto ha da sottoporre ali' Eccellenza Vostra la domanda se il R. Governo d'Italia si fosse in questi giorni legato tanto forte al Principe Paolo e a Belgrado, da non essere più in grado di appoggiare i croati nello spirito delle Vostre precedenti dizioni e se l'Italia rinunziasse in ogni caso ad una intervenzione ne li 'interno della Jugoslavia.

Tale domanda si fa Macek, come ognuno di noi, con cuore angosciato, ma sempre fermamente fiducioso che ciò non sia avvenuto e che il Vostro punto di vista sarebbe rimasto immutato, cioè di non intraprendere da sé alcuna iniziativa. ma di appoggiarci qualora incominciassimo noi. Ogni croato spera oggi, come sperava durante il soggiorno del Principe Paolo a Roma, che il Duce e Voi non dimentichereste ciò che i Vostri antenati 2000 anni or sono intendevano quando dicevano «Timeo Danaos et donaferentes».

Alla sincerità della politica belgradese verso di noi ho già accennato; sulla sincerità verso di Voi vengo ancora a parlare.

Qualora dunque il Vostro punto di vista verso di noi e verso la Jugoslavia fosse rimasto invariato, incombe a Carnelutti la ulteriore mansione di pregare direttamente il Vostro appoggio. Su tale argomento non intendo di prevenire le sue esposizioni, tanto più che ancora per lunedì, 15 andante, egli è convocato da Macek per udire definitivamente il suo mandato.

Stavolta ho con intenzione così arrangiato, che Carnelutti e non io, si assumi l 'incarico ufficiale datogli da Macek come capopartito per conseguire la finalità di mettere Macek ed il suo partito dalla parte dell'Italia; ma non perciò eravamo io ed i miei amici, in tale incontro oziosi spettatori. lo stesso ritengo di essere più utile alla mia patria ed alla nostra causa, mantenendo maggiore libertà di azione ed una posizione alquanto indipendente. Ciò ha da agevolare la possibilità di poter io, oggi o domani, eseguire anche tali mansioni dell'Eccellenza Vostra, che non volesse impartire direttamente ai delegati di Macek, e ciò non ostante che io sia attualmente un leale collaboratore alla azione di Macek e come l 'Eccellenza Vostra vede, sempre informato di prima mano.

Dalla stessa su riferita fonte dell'ex Capo del governo Zivkovié ho ricevuto la seguente informazione, del tutto attendibile.

I Generali serbi e l'esercito mai permetteranno che la Jugoslavia si metta dalla parte del!' Asse. specialmente da parte d eli'Italia. Un eventuale Patto relativo sarebbe forse accolto con silenzio, ma mai mantenuto. Qualora la persona del Principe Paolo o qualsiasi altra persona (Stojadinovié ecc.) fosse d'impiccio alla su riferita mancanza del mantenimento, sarebbe senza misericordia eliminata secondo i noti mezzi serbi. L'Eccellenza Vostra può essere convinta che la Serbia. come n eli' anno 1914. combatterà al fianco delle Potenze occidentali e ciò non potrà essere modificato né da un Patto. né da una minaccia. né da un accerchiamento. né da qualsiasi pericolo.

I veri fattori al potere in Serbia e purtroppo conseguentemente anche in tutto il nostro Stato, non sono il governo, la Corte, ancora meno i partiti politici o la Camera, ovvero forse i vari Ministri Stojadinovié, Cvetkovié, Cincar-Markovié, o come tutti quanti si chiamino; essi sono invece la Mano Nera e la Mano Bianca e forse ancora altri, in cui un Occidentale, quindi anche un croato, mai potrà penetrare. Tali organizzazioni e le loro influenze rimarrà per Voi e per tutti gli Occidentali sempre un enigma come gli eruditi di Storia dell'Occidente fino ad oggi non sono riusciti a spiegare ciò che erano veramente in Bisanzio i verdi ed i celestini, cosa essi pretendevano e perché avevano cagionato tanto spargimento di sangue, tante rivoluzioni ecc.

Tali organizzazioni in Serbia raggiungevano sempre il loro intento, non sempre con i guanti infilati (Belgrado 1903, Sarajevo 1914 ecc.) e Voi, Eccellenza, assieme a tutto il Regno d'Italia assieme anche a tutto il mondo, non avrete la facoltà di influire su di esse in via definitiva.

Non mi sta e non mi arrogo di fare suggerimenti all'Eccellenza Vostra, per la direzione della politica italiana estera, ma mi sia concesso di additare modestamente alla differenza, già da me a voce accennata all'Eccellenza Vostra, che subentrerebbe in Italia se invece dello Stato nemico, o per lo meno sempre infido, ortodosso e democratico sorgesse alla sponda orientale dell'Adriatico uno Stato strettamente alleato ali 'Italia. cattolico e Fascista. che completerebbe del tutto l'autarchia italiana con combustibile. ferro e rame ed in maggior parte con prodotti del suolo: agricoli e boschivi.

Quello che io qui dico e faccio, faccio per profonda convinzione patriottica e con la più pura coscienza, certo che il popolo croato troverebbe la sua fortuna alla parte dell'Italia, specialmente se i suoi destini verrebbero illuminati dal Grande Genio, dei cui vincoli di parentela Voi potete felicemente vantarVi.

Perciò sostengo con gioia tutti i disagi, le spese, la fatica ed il pericolo della mia attuale azione, nella ferma convinzione di soddisfare ai miei doveri patriottici, giovando al mio popolo con tutte le mie forze3 .

706 1 Manca l'indicazione della data di arrivo.

707

L'AMBASCIATORE A MOSCA, ROSSO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 2520/55 R. Mosca, 15 maggio 1939, ore 15,05 (perv. ore 18).

Attiro attenzione di V.E. sull'odierno editoriale Izvestija riassunto con telegramma Stefani n. 42 il quale esprime incondizionata approvazione del Patto anglo-turco 1• È sintomatica parte conclusiva dell'articolo in cui si insiste su strettissimi legami fra governo dell'U.R.S.S. e governo turco. Sembra quindi poter desumere che

Un ulteriore contatto con i croati si ebbe, come qui preannunciato, qualche giorno più tardi attraverso l'ingegnere Carnelutti che il 18 maggio fu ricevuto da Ciano. Nel Diario vi è questa annotazione in proposito: <<Carnelutti, inviato da Macek, vuole notizie sui nostri colloqui ed eventuali impegni con Paolo. Niente di cambiato da parte nostra, dato che Belgrado non ha preso nessun impegno formale di adesione ali' Asse. Allora egli mi comunica quanto segue: l) Macek non intende fare più alcun accordo con Belgrado; 2) riprende la sua azione per la separazione; 3) chiede un prestito di 20 milioni di dinari; 4) nel tempo di sei mesi, a nostra richiesta, è pronto ad insorgere. Gli do appuntamento al mio ritorno dalla Germania per continuare le trattative».

Per i successivi contatti con gli elementi croati si veda l'Appendice II di questo volume.

recente viaggio Potemkin ad Ankara ha avuto risultato specialmente di armonizzazione politica sovietica con quella anglo-turca nel Mediterraneo Orientale2 .

706 3 Il documento ha il visto di Musso lini.

707 1 Riferimento alla Dichiarazione anglo-turca del 12 maggio. Vedi D. 712, nota l.

708

L'AMBASCIATORE A PARIGI, GUARIGLIA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 3258/1408. Parigi, 15 maggio 1939 (perv. i/21).

Questa Ambasciata ha già avuto più volte occasione di riferire circa l'attività del signor Bullitt, ambasciatore degli Stati Uniti a Parigi che una certa stampa francese ama qualificare come «uno degli uomini politici più influenti del mondo (!)». Il Bullitt, prima di Parigi, è stato ambasciatore a Mosca, dove aveva iniziato la sua carriera di giornalista durante la guerra mondiale. A Parigi è venuto nell'autunno del 1936 ed ha assistito a tutto lo sviluppo di quella politica del Fronte Popolare che la sua mentalità era particolarmente portata a comprendere e ad appoggiare. Difatti, i suoi rapporti con gli uomini politici di sinistra -e specialmente con Blum -sono stati fin dali 'inizio assai stretti, a mezzo anche del suo segretario particolare, ebreo di origine italiana, di cui egli si è servito e si serve principalmente in questo settore della sua attività, nonché del secondo segretario dell'ambasciata che alloggia nella stessa casa di Blum.

La caduta del Fronte Popolare non ha rallentato il suo ardore e tanto meno i suoi rapporti con Blum, a cui aveva organizzato un viaggio di propaganda negli Stati Uniti, viaggio che non ha avuto luogo per la mutata situazione internazionale, ma il cui progetto rimane pronto per la prima favorevole occasione.

Amico di Roosevelt, di cui si dice sia, al pari dell'ambasciatore Kennedy a Londra, consigliere speciale per quanto riguarda gli affari europei, il Bullitt svolge un'attività infaticabile per spingere gli Stati Uniti sempre più sulla via dell'intervento diretto nella politica europea. Fin dal primo momento prese posizione favorevole ai rossi nella questione spagnola e fu il tramite dei cordiali rapporti mantenuti sempre, oltre che dal governo degli Stati Uniti, personalmente dalla famiglia Roosevelt con i tristi figuri del sedicente governo di Barcellona, da Azafia a Negrin. Nell'estate scorsa fece di tutto per incitare il governo francese alla intransigenza nella questione cecoslovacca, dichiarando apertamente a destra e a manca che, in un conflitto europeo, gli Stati Uniti si sarebbero subito schierati a fianco della Francia. Nei giorni precedenti il Convegno di Monaco esercitò presso Roosevelt forti pressioni per indurlo a intervenire con le sue inopportune dichiarazioni e recentemente non vi è dubbio che alla sua azione sia dovuto il puerile e disgraziato messaggio dello stesso Roosevelt al Duce e al Fiihrer1• Infatti di tale messaggio era

708 1 Vedi D. 562. nota l.

già corsa voce qui a Parigi negli ambienti americani fin dalla mattinata del 15 aprile; e, da indiscrezioni trapelate, sembra che nei giorni precedenti tutti i segretari erano stati sottoposti a un lavoro assolutamente eccezionale per la cifratura e decifratura di lunghissimi telegrammi.

Pare anche che la nota fornitura di aeroplani americani alla Francia sia stata decisa da Roosevelt in seguito alle insistenti pressioni di Bullitt che trovavasi in quel momento negli Stati Uniti.

Recentemente il Bullitt-essendo stato rinviato il viaggio di Blum -ha fatto trasmettere da La Guardia l'invito a Herriot, quale sindaco di Lione, di recarsi a New York in occasione dell'Esposizione, viaggio a cui Herriot ha recentemente rinunciato, col pretesto degli avvenimenti internazionali.

Quando cadde in Ungheria il governo lmrédy2 , il Bullitt mandò a chiamare questo ministro d'Ungheria3 per dichiarargli senza perifrasi che sperava l'Ungheria avesse colto l'occasione per abbandonare definitivamente l'amicizia dell'Italia e della Germania.

Quando Beck è tornato dal suo ultimo viaggio a Londra4 , Bullitt si è sentito in dovere di andargli incontro al suo sbarco in Francia e di accompagnarlo in ferrovia fino alla frontiera tedesca. Ciò soltanto allo scopo di far credere agli ingenui che gli Stati Uniti esercitano sulla Polonia una influenza decisiva.

Infine, per quanto riguarda più specialmente il suo atteggiamento verso il nostro Paese, dirò soltanto che l 'Unione Popolare italiana gli ha recentemente indirizzato un messaggio da trasmettere a Roosevelt «in nome degli italiani liberi»; messaggio a cui egli non ha mancato di rispondere in termini cordiali.

Il Bullitt è uno dei maggiori responsabili dell'artificioso allarmismo che regna negli Stati Uniti e del confusionismo stabilizzatosi nel cervello del Presidente Roosevelt. Le sue informazioni da questo preteso centro di vita europea che molti si ostinano ancora a vedere in Parigi sono quelle su cui maggiormente si basano le inframmettenze della politica americana in Europa.

Uomo di mediocre intelligenza, esponente tipico della mediocrità delle classi dirigenti americane, il Bullitt ha ormai legato le sue fortune presenti e future alla politica di adulazioni e di lusinghe che le democrazie francese e britannica hanno adottato verso l'America.

P.S. In questi ultimi tempi il signor Bullitt si sta adoperando specialmente a catechizzare questo ambasciatore di Polonia.

707 2 Il documento fu inviato in visione a Musso lini.

708 2 Il 15 febbraio precedente. 3 Sandor Khuen-Hédervary. 4 Del 3-6 aprile.

709

L'AMBASCIATORE A MOSCA, ROSSO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 2546/57 R. Mosca, 16 maggio 1939, ore 23,59 (perv. ore 2,30 del 17).

In una lunga conversazione di tono confidenziale Vice Commissario Potemkin mi ha riferito impressioni riportate dal suo recente viaggio circolare. Ne riassumo punti più interessanti.

l) Sua visita ad Ankara 1 era stata sollecitata dal governo turco, il quale desiderava consultarsi con governo amico prima di concludere patto con l'Inghilterra. Avendo constatato che il progettato patto armonizzava con la concezione sovietica della mutua assistenza contro aggressori, governo dell'U.R.S.S. ne aveva incoraggiata conclusione.

2) Accordo anglo-turco potrà essere allargato per coprire possibilmente tutta la Penisola Balcanica o per lo meno creare gran parte di sicurezza nel [leggasi: sicurezza in gran parte del] Mar Nero. U.R.S.S. è favorevole a tale estensione ed è disposta a parteciparvi se giungeranno a conclusione favorevole attuali negoziati con Londra per patto di mutua assistenza anglo-franco-sovietica.

3) Negli ambienti politici e governativi di Ankara regna atmosfera di vivo sospetto ed apprensione per politica italiana. Diffidenza turca si è molto acuita dopo l'occupazione dell'Albania anche per riflesso dei timori dell'alleata Grecia.

4) Conversazioni con Presidente della Repubblica, presidente del Consiglio, ministro degli Affari Esteri e numerose personalità politiche hanno dato a Potemkin sensazione della assoluta sicurezza del governo turco verso il governo sovietico e della sua decisa volontà di piena collaborazione con Mosca.

5) Potemkin è rimasto molto soddisfatto delle accoglienze cordialissime fattegli tanto a Sofia2 che a Bucarest3• Ha riportato impressione che il governo romeno si rende conto oggi più chiaramente che nel passato della importanza del fattore sovietico per la salvaguardia della sua indipendenza ed ha richiesto la sollecita collaborazione di Mosca.

6) Conversazione con colonnello Beck4 è stata molto interessante, amichevole ed esauriente. Governo polacco è fermamente deciso a non cedere, né per incorporazione di Danzica al Reich, né per l'autostrada extraterritoriale attraverso il Corridoio. Potemkin ha dimostrato a Beck che, in caso di pericolo, Polonia potrà essere efficacemente sostenuta soltanto dali 'U.R.S.S. perché aiuto militare francese e inglese rimane molto «teorico». Dopo il suo ultimo discorso al Parlamento\ Beck è diventato molto popolare in Polonia.

In complesso, Potemkin si è mostrato estremamente compiaciuto del suo viaggio per aver potuto constatare una situazione generale stazionaria. Gli risulta tuttavia che la recente pubblicazione della tesi sovietica (articolo editoriale dell'lzvestija)6 ha provocato favorevoiF reazioni negli ambienti britannici «ed ha smentito anche alcuni autorevoli membri del Gabinetto Chamberlain».

Potemkin mi ha detto infine che aveva letto attentamente testo integrale del discorso torinese del Duce8 e lo aveva apprezzato sia per il tono che per il contenuto.

709 1 Del 27 aprile-5 maggio. Su di essa si vedano anche i DD. 664 e 711. 2 Dove aveva sostato il 7 maggio (vedi DD. 673 e 711 ). 3 Il 7-8 maggio. 4 Sulla sosta di Potemkin a VARSAVIA del 9-1 O maggio, si vedano anche i DD. 676, 691 e 711. 5 Del 5 maggio. Su di esso di veda il D. 651.

710

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 3694/1140. Berlino, 16 maggio 1939 (perv. i/19).

Giorni fa il Segretario di Stato Barone Weizsacker ha richiamato la mia attenzione sopra un discorso tenuto dal nostro Ambasciatore a Washington per l'apertura del padiglione italiano all'Esposizione mondiale di Nuova York, discorso in cui il Principe Colonna si sarebbe espresso in termini particolarmente elogiativi per Fiorello La Guardia. sindaco di Nuova York. che. come è noto. è un feroce avversario del nazismo. contro il quale ha scagliato e scaglia periodicamente i fulmini della sua eloquenza.

Ho risposto al Barone Weizsacker che, se il La Guardia era un nemico del nazionalsocialismo, non per questo era più tenero per il Fascismo e che in più di un 'occasione egli non aveva risparmiato i suoi strali anche all'Italia. Se in questa occasione le nostre autorità avevano avuto qualche parola cortese per il La Guardia, era semplicemente perché questi, una volta tanto, aveva detto delle cose cortesi per noi. A riprova ho mostrato al Segretario di Stato copia del commento alla cerimonia di inaugurazione pubblicato dal Povolo d'Italia. in cui appunto si sottolineava che «una volta tanto» il sindaco di Nuova York aveva avuto per l'Italia delle espressioni gentili 1•

7 Nota dell'Ufficio Cifra: «Gruppo controllato esatto». Leggasi evidentemente «sfavorevole».

8 Il 14 maggio, Mussolini aveva pronunciato a Torino un discorso in cui aveva affermato che non c'erano «attualmente in Europa questioni di ampiezza e di acutezza tale da giustificare una guerra che da europea diventerebbe per logico sviluppo di eventi universale». Mussolini aveva poi ribadito la piena solidarietà esistente tra Italia e Germania che l'imminente sottoscrizione dell'alleanza avrebbe ancora rafforzato creando «una comunione inscindibile dei due Stati e dei due popoli» ed aveva messo in dubbio che le grandi democrazie avessero lo stesso desiderio di pace degli Stati totalitari. Il testo del discorso è in MusSOLINI, Opera Omnia, vol. XXIX, pp. 272-275.

71 O1 Il documento ha il visto di Musso lini.

711.

L'AMBASCIATORE A MOSCA, ROSSO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. RISERVATISSIMO 1879/800. Mosca, 16 maggio 1939 (perv. il 22). Ritèrimento mio telegramma odierno n. 57 1•

Quanto mi ha detto il signor Potemkin circa la sua recente missione in Turchia ed i colloqui da lui avuti a Bucarest, Sofia e Varsavia, merita forse qualche commento.

Dal mio telegramma V.E. ha certamente potuto rilevare l'ottimismo quasi esuberante che il Vice Commissario ha affettato nel confidarmi le impressioni riportate dal suo recente viaggio circolare.

Ho avuto l'impressione che tale ottimismo non fosse del tutto artificiale. Ho sentito infatti che Potemkin era realmente soddisfatto dei risultati della sua visita ad Ankara. come pure dei contatti avuti cogli uomini di governo romeni. bulgari e polacchi. Ad aumentare tale soddisfazione hanno probabilmente contribuito gli speciali riguardi e cortesie che gli sono state usate durante il viaggio da parte delle Autorità dei Paesi che ha attraversato. Potemkin è notoriamente molto sensibile alle manifestazioni esteriori di considerazione, che lusingano il suo amor proprio. Egli mi ha infatti informato particolareggiatamente dei vagoni speciali messi ovunque a sua disposizione, dei capi di protocollo che sono andati ad incontrarlo alla frontiera, degli immediati inviti a colloqui con presidenti del Consiglio e ministri degli Affari Esteri, del programma di festeggiamenti preparato dal governo turco e da lui modestamente ridotto a proporzioni minori, ecc., ecc. Egli si è insomma sentito una personalità importante, rappresentante di un'U.R.S.S. rispettata, temuta e corteggiata da varie parti.

A ciò si aggiunga che con la caduta di Litvinov la posizione di Potemkin nel Commissariato degli Affari Esteri ha guadagnato in autorità, e questo aumento di prestigio personale ha indubbiamente influito sulla sua naturale tendenza ad un facile ottimismo per i problemi dei quali si occupa.

Mi rendo conto in pari tempo che il quadro molto roseo dipintomi dal Potemkin quando mi ha parlato del profondo rispetto per la politica dell'U.R.S.S. da lui constatato in tutte le capitali visitate, degli aumentati consensi alla tesi sovietica sulla sicurezza e delle fondate speranze di successo finale delle direttive di Mosca hanno avuto anche lo scopo di impressionare, con un tono di affettata sicurezza, il rappresentante di una delle Potenze dell'Asse.

Ciò premesso, aggiungo qualche maggiore ragguaglio alle informazioni già telegrafate.

Circa i suoi colloqui di Sofia2 il signor Potemkin si è espresso in modo piuttosto vago e generico, pur sforzandosi di darmi l'impressione che quegli uomini di governo hanno considerato la sua visita come quella di un «amico». Non ha voluto dirmi

711 1 Vedi D. 709. 2 Dove aveva sostato il 7 maggio. Vedi D. 673.

se abbia o meno discusso a Sofia ed a Bucarest le possibilità di una parziale soddisfazione delle rivendicazioni bulgare per la Dobrugia.

Sui colloqui di Bucarest3 è stato anche generico, ma più positivo, in quanto mi ha espresso la convinzione che «tosto o tardi la Romania finirà per riconoscere la necessità di una più stretta collaborazione con l'U.R.S.S.».

Parlando degli scopi della sua vera missione. cioè della visita ad Ankara\ Potemkin me l'ha spiegata col desiderio del governo turco di consultarsi col «governo amico» prima di prendere una decisione così importante come quella della conclusione di un accordo di mutua assistenza con l'Inghilterra. Mi ha lasciato capire che nelle questioni riguardanti il passaggio degli Stretti l'U.R.S.S. si considera sempre come la principale interessata e che il governo sovietico intendeva quindi assicurarsi che l'accordo turco non ledesse in nessun modo i suoi interessi.

Potemkin mi ha detto che il governo turco lo aveva messo esattamente al corrente dei suoi negoziati con l'Inghilterra e che egli aveva riferito a Mosca tutte le informazioni ricevute, esprimendo l'avviso che il progettato accordo era in perfetta armonia con la concezione sovietica della mutua assistenza contro l'aggressione. Mosca aveva risposto dichiarando di condividere tale avviso, ed egli era stato quindi in grado di comunicare al governo di Ankara l'approvazione e l'incoraggiamento del governo sovietico.

Nel mettermi al corrente della sua attività ad Ankara, Potemkin ha molto accentuato «la assoluta lealtà e sincera amicizia» verso l'U.R.S.S. di cui avevano dato prova in quell'occasione gli uomini politici turchi, dal Presidente della Repubblica Ismet lnonii (col quale aveva avuto lunghissimi colloqui), al presidente del Consiglio, al ministro degli Affari Esteri ed alle personalità più autorevoli del Parlamento.

Potemkin mi accennò poi alla possibilità che l'accordo anglo-turco venisse allargato fino a coprire l'intera Penisola balcanica. Per tale allargamento -ha detto esistono già dei «punti fissi» e cioè: l) Patto balcanico; 2) garanzia britannica alla Grecia; 3) garanzia britannica alla Romania; 4) stretta collaborazione turco-sovietica.

Aggiunse che, se anche un accordo non potesse essere raggiunto fra tutti i governi della penisola balcanica, esistevano condizioni favorevoli per una organizzazione di mutua assistenza che garantisse per lo meno il bacino del Mar Nero.

Chiesi a questo punto a Potemkin se l'U.R.S.S. intendesse associarsi al patto anglo-turco o partecipare al patto più largo da lui prospettato. Mi rispose che pel momento nessuna decisione definitiva era stata presa da Mosca, e che «molto dipendeva dagli sviluppi dei negoziati attualmente in corso coli' Inghilterra per un patto anglo-franco-sovietico».

È adunque sempre più evidente che i dirigenti sovietici concepiscono la loro collaborazione coll'Inghilterra soltanto sulla base di una mutua garanzia che abbia come campo di azione l'intera fascia di Stati estendentisi dal Baltico al Mar Nero, in modo da rendere l'Inghilterra completamente solidale con gli interessi politici dell'U.R.S.S.

È stato nel corso del resoconto della sua attività in Turchia che Potemkin mi ha detto in modo molto esplicito che negli ambienti politici e governativi di Ankara egli

4 Del 27 aprile-5 maggio. Su di essa si vedano i DD. 664 e 709.

aveva constatato un sentimento molto profondo e generale di sospetto e di apprensione per la politica italiana. La diffidenza turca ai nostri riguardi si era molto acuita dopo l'occupazione dell'Albania, anche per riflesso dei timori che essa aveva fatto nascere nel Paese alleato, e cioè nella Grecia.

Mi adoperai a dimostrare a Potemkin l'assurdità di simili sospetti, ma egli ribatté che ad Ankara si teme l'imperialismo italiano e che talune manifestazioni di certi scrittori e giornalisti fascisti non sono fatte per calmare le apprensioni turche. (Mi citò a questo riguardo degli articoli di Francesco Coppola nei quali si sarebbe parlato di Salonicco come mèta dell'espansionismo italiano).

Sulla sua conversazione col colonnello Beck5 il signor Potemkin non mi disse molto. Insistette sulla grande cordialità dell'incontro, sullo scambio di vedute molto franco e leale e sulla soddisfazione di entrambe le parti per tale contatto personale. Mi è parso di capire che il ministro polacco avrebbe cercato di spiegare e giustificare all'interlocutore sovietico i motivi dell'attitudine riservata e prudente della Polonia nei riguardi di una eventuale collaborazione militare con l'U.R.S.S. Potemkin mi ha detto che, dal canto suo, aveva dimostrato a Beck che in caso di pericolo l'aiuto sovietico era l'unico realmente efficace, perché la Francia poteva essere fermata dalla Germania dietro la cosidetta linea Siegfried, mentre per arrivare nel Baltico la flotta inglese avrebbe dovuto superare ostacoli non indifferenti. L'aiuto dei garanti francese ed inglese rappresentava quindi per la Polonia un fattore quanto mai problematico.

Chiesi a Potemkin se, nella sua conversazione con Beck, avesse potuto chiarire il senso delle allusioni fatte dal ministro polacco nel suo ultimo discorso al Parlamento, quando egli aveva velatamente accennato a proposte tedesche per una azione comune di vasta portata, e quindi presumibilmente contro l'U.R.S.S. A questa mia domanda Potemkin si limitò a rispondere con un gesto di indifferenza, come per significare che non attribuiva alcuna importanza a rumori del genere.

Al momento di prendere congedo Potemkin menzionò il discorso pronunciato dal Duce a Torino6 , dicendomi che lo aveva letto attentamente nel suo testo integrale in italiano e che lo aveva apprezzato tanto per il suo tono quanto per il suo contenuto.

Aggiunse che «un 'autorevolissima personalità straniera» (non volle dirmi di chi si trattasse) gli aveva espresso la convinzione che, se la Francia avesse preso l'iniziativa di fare proposte eque e ragionevoli, il Governo Fascista sarebbe stato ben disposto a regolare e normalizzare le proprie relazioni con la vicina d'oltralpe.

Potemkin concluse con una nota ottimista, manifestando l'opinione che gli ultimi sviluppi degli avvenimenti europei (e con ciò egli alludeva alla attività della politica inglese ed alla aumentata influenza del fattore sovietico) avessero allontanato in una certa misura il pericolo di una guerra europea7 .

709 6 Vedi DD. 681 e 692.

711 3 Del 7-8 maggio.

711 5 Sulla sosta di Potemkin a Varsavia del 9-1 O maggio, si vedano i DD. 6 76, 691 e 709. 6 Del 14 maggio. Vedi D. 709, nota 8. 7 Il documento ha il visto di Musso1ini.

712

L'INCARICATO D'AFFARI AD ANKARA, BERlO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. RISERVATO 901/484. Ankara, 16 maggio 1939 (perv. il 24).

Con il sacrificio dell 'Hatay e, a quanto pare, con la promessa di un prestito di molti milioni di sterline nonché di speciali concessioni nello sfruttamento dei pozzi di petrolio di Mossul, Francia e Inghilterra hanno trascinato la Turchia nel fronte antitotalitario e l'hanno indotta a dare la propria adesione ad un accordo 1 che è manifestamente diretto contro l 'Italia. Si tratta di una svolta decisiva nella storia della politica turca; può quindi essere interessante, oggi che la situazione è chiarita, di riandare all'inizio del movimento politico culminato nella dichiarazione comune franco-britannica2 per aveme una veduta d'insieme e trame le opportune conseguenze.

La politica della neutralità ha costituito la caratteristica essenziale della politica turca fin dali 'inizio della Repubblica: fare il pendolo fra gli interessi delle varie Potenze cercando di sfruttare, ora questa, ora quella senza impegnarsi in nessun blocco o assumere posizioni compromettenti: questa è stata la costante linea direttiva della Turchia, culminata proprio in questo ultimo anno nelle due operazioni di prestito concluse da una parte con l'Inghilterra e dall'altra con la Germania, operazioni che avevano dimostrato i felici e tangibili risultati della politica di equilibrio. Che tuttavia sotto questa parvenza di neutralità si nascondesse una continua morbosa diffidenza verso l'Italia e un'attività politica tendenzialmente a noi contraria è cosa troppo nota perché occorra dilungarsi ad illustrarla. Basterà ricordare gli accordi mediterranei intervenuti con l'Inghilterra durante la guerra etiopica3 , le periodiche mobilitazioni provocate da immaginarie minaccie italiane, le preoccupazioni costantemente manifestate in relazione alle isole italiane dell'Egeo, la costituzione stessa dell'Intesa Balcanica, infine-elemento più importante di tutti-l'alleanza turco-greca4 e i relativi accordi militari 5 .

Questo stato d'animo non aveva comunque distolto la Turchia da una politica formale di neutralità fino al giorno in cui gli avvenimenti cecoslovacchi non hanno

2 Riferimento alla garanzia data, il 13 aprile precedente, da Francia e Gran Bretagna alla Grecia e alla Romania. Vedi D. 539.

1 Riferimento agli accordi conclusi tra il dicembre 1935 ed il gennaio 1936 da Gran Bretagna, Francia, Grecia, Jugoslavia e Turchia per garantirsi assistenza nel caso di un conflitto derivante dall'applicazione dell'art. 16 del Covenant nei confronti dell'Italia.

4 Trattato tra Grecia e Turchia del 27 aprile 1938 addizionale al Trattato di amicizia, neutralità, conciliazione ed arbitrato del30 ottobre 1930 e al Patto di intesa cordiale del 13 settembre 1933 (testo in MARTENS, vol. XXXVI, pp. 682-684).

5 Vedi serie ottava, vol. VII, D. 751.

lasciato intravedere la possibilità dell'arrivo in forza della Germania sul Mar Nero. «Il sospetto che la Germania, mirando a soddisfare i soli suoi interessi, attenti all'indipendenza, all'esistenza dei popoli liberi, ha impegnato le nazioni neutre, ma libere, ad uscire dalla neutralità» ( Cumhuriyet del 14 maggio). «Il tentativo di far aderire la Turchia al fronte della pace risale al tempo della garanzia data alla Grecia» ( Ulus -ufficioso-del 13 maggio). La Turchia ha in un primo tempo resistito alle pressioni britanniche tendenti ad associarla al fronte antitotalitario, ma successivamente gli avvenimenti albanesi hanno fornito nuovi argomenti e pretesti. mentre d'altra parte l'atteggiamento della Jugoslavia generava vieppiù in questi ambienti politici vive preoccupazioni e la sensazione che l 'Intesa Balcanica si andasse disgregando. Ho avuto l'onore di riferire a V.E. come un vera offensiva a base di notizie allarmistiche sia stata scatenata contro di noi in queste ultime settimane tanto da creare in Turchia una atmosfera di panico. Si andava dicendo che l'Italia non potesse essersi installata in Albania che per una ragione strategica e che ciò nascondesse chissà quali disegni aggressivi verso l'Egeo; lo stesso ministro degli Esteri ha avuto occasione di manifestarmi in modo esplicito i suoi timori al riguardo6 . Veniva anche diffusa la notizia che il contingente italiano in Albania, che era di 20.000 uomini ali 'inizio della campagna, era stato portato a 70.000; di riflesso, questo governo adottava importanti misure militari7; a parte il richiamo di riservisti e l 'invio -segnalato da varie fonti -di due divisioni in Tracia o per lo meno il rafforzamento delle guarnigioni di stanza in quella regione, era decisa -a quanto riferisce il R. Console Generale a Smirne -la costituzione di un nuovo Comando unico della costa anatolica da Scalanova fino alla zona prospiciente Castelrosso, Comando che si è dato affannosamente a porre in istato di efficiente difesa quel litorale mentre una grande attività era notata in tutta la regione e una guarnigione di 1.500 uomini veniva istituita a Scalanova.

Da questo insieme di circostanze ha preso nuova spinta l'azione franco-britannica. combinata con quella sovietica attraverso la visita ad Ankara di Potemkin8• riuscendo ad aver ragione della resistenza turca.

La portata dell'accordo turco-britannico non è ancora precisata. Nel suo discorso alla Grande Assemblea Nazionale9 , il presidente del Consiglio Refik Saydam ha detto che, nell'attesa di concludere un accordo formale, Turchia e Inghilterra si sono per ora scambiate l'assicurazione che «in caso di un atto di aggressione che conducesse ad una guerra nella regione mediterranea essi saranno pronti a cooperare effettivamente e ad accordarsi reciprocamente ogni aiuto e assistenza in loro potere».

La giustificazione dei motivi che Refik Saydam ha premesso alla lettura della dichiarazione, si può riassumere nel concetto che tutte le Potenze aventi

7 L'importanza delle misure militari prese dal governo di Ankara dopo l'azione dell'Italia in Albania era stato segnalato dall'ambasciatore De Peppo con T. per corriere 2149/045 del 16 aprile. Il documento era stato inviato in visione a Mussolini.

x Del 27 aprile-5 maggio. Si vedano in proposito i DD. 664, 709 e 711.

9 Per la presentazione ali' Assemblea della dichiarazione anglo-turca. Il testo del discorso è in Relazioni Internazionali, pp. 394-395.

interessi nel Mediterraneo debbano ispirarsi reciproca fiducia e che la Turchia ha giudicato che certi avvenimenti verificatisi nei Balcani abbiano messo in giuoco la sicurezza mediterranea e pertanto i propri interessi; che essa non poteva fare astrazione dai pericoli di una guerra e che pertanto ha deciso di prendere posto vicino alla Gran Bretagna in una «comunione di pace, difesa e sicurezza» che non è diretta contro nessuno.

Ad illustrare l'interpretazione ufficiale della decisione presa, gioverà citare alcune frasi tolte dai discorsi pronunciati alla Grande Assemblea Nazionale da tre oratori opportunamente scelti che hanno fatto eco alle parole del presidente del Consiglio per esprimergli il consenso unanime dell'Assemblea (Saffet Arikan, Pethy Okyar, ex ambasciatore a Londra, e Kiazim Ozalp). «La Germania ha esercitato una pressione, che ha il carattere di un ultimatum, sulla Romania, il che ha annientato in tutte le menti il benessere e la tranquillità ... mentre ... l'oc:: cupazione dell'alleata e debole Albania. dietro previo ultimatum. ha completamente turbato l'atmosfera di tranquillità e di pace ... Un grande Stato ha fatto sbarcare truppe nei Balcani che dovevano appartenere ai soli Paesi balcanici; lo stesso Stato occupa isole vicine ai nostri confini e vi sta erigendo delle fortificazioni .... La Turchia ha un lungo litorale nel Mediterraneo e ha confini in Tracia. Come la difesa di tali confini è indispensabile per la Turchia così l 'Inghilterra s'interessa della sicurezza dei confini della Turchia .... La Turchia dovrebbe indurre la Bulgaria a rinunziare alle sue rivendicazioni territoriali per ricondurla nel blocco balcanico .... ecc. ecc.».

A queste dichiarazioni che meglio di ogni commento chiariscono e definiscono la natura e le tendenze dell'attuale politica turca sarà utile far seguire la citazione di alcuni brani tolti dai numerosi articoli con i quali questa stampa -nel mettere naturalmente in gran rilievo il raggiunto accordo con l'Inghilterra-lo ha commentato. «Lo sviluppo degli avvenimenti politici e militari avutisi in Europa centrale ed estesisi poi ai Balcani, ha avvicinato il pericolo di guerra alle frontiere turche. Nella stampa di certi Paesi stranieri, che nutrono progetti di conquiste in Mediterraneo e nei Balcani, si era cominciato a parlare frequentemente di Mar Nero e degli Stretti» (Vakit, del 13 corrente). «L'occupazione dell'Albania non costituisce il primo passo su questa via: il primo passo è stato fatto con la fortificazione del Dodecaneso» (Tan, del 13 corrente). «Nessuno ignora che nel programma di prese di possesso del Fascismo figura la Turchia. Nel sogno della ricostituzione del grande Impero Romano è compresa la Turchia. La politica del Drang nach Osten della Germania mira alla Turchia. L'Italia ha per obiettivo l'occupazione effettiva della Turchia, la Germania l'esercizio della sua egemonia economica» (Tan del 15 corrente). «Sono i tedeschi che hanno spinto gli uomini di Stato turchi ali 'alleanza con l'Inghilterra; fino all'ultimo momento i turchi sono rimasti neutrali ma vigilanti nei riguardi d'una Germania che si sente allo stretto nelle sue frontiere nazionali attuali, che cerca intorno ad essa uno "spazio vitale"» (Yeni Sa bah del 15 corrente). «Noi turchi, ai quali gli Stati vittoriosi hanno voluto imporre un trattato simile a quello di Versaglia, abbiamo accolto con simpatia l'azione della Germania. L'annessione dell'Austria è stata ammessa come un passo avanti verso l'attuazione dell'unità nazionale tedesca. L'occupazione della regione sudetica è stata pure così spiegata. Ma la Germania e l'Italia, associandosi, hanno deciso di continuare la politica dei fatti compiuti. La Cecoslovacchia, contrariamente alla teoria nazista della razza, è stata un bel giorno annessa; l'indomani la Romania subiva una pressione, che ha minacciato anche la Polonia. Ma un "fatto compiuto" dell'Italia ha portato il pericolo fino ai nostri confini» (ufficioso Ulus del 13 corrente). Riferisco a parte più ampiamente circa i commenti stampa.

Si ha peraltro la sensazione che vi sia stata molta fretta da parte della Turchia a prendere posizione, ma che la natura degli accordi preannunciati e con l'Inghilterra, e con la Francia e-seppure in forma meno categorica-con i Sovieti sia per ora rimasta nel vago, come anche non è da escludersi che difficoltà maggiori di quelle che ora si prevedano possano sorgere all'atto pratico. Pertanto, vale la pena di elencare le varie questioni che la dichiarazione comune e il discorso del presidente del Consiglio hanno sollevato e che attendono di essere chiarite:

l) non sono ancora precisate le diverse condizioni nelle quali entrerà in funzione la garanzia reciproca: ciò sarà fatto durante i negoziati in corso e consacrato nell'accordo in preparazione;

2) è dichiarato che la sicurezza dovrà essere estesa ai Balcani, e che i due governi sono in consultazione per risolvere appena possibile questo problema. Su tale punto regna notevole incertezza e si pongono numerosi interrogativi. Si impegnerà la Turchia a garantire le frontiere extrabalcaniche, in particolare la frontiera ungaroromena? La Turchia ha sempre dimostrato una certa ripugnanza ad assumere nei Balcani impegni che vadano al di là di quelli inseriti nel Patto Balcanico; tuttavia l'annuncio ufficiale dato nella dichiarazione comune delle consultazioni in corso per assicurare la sicurezza nei Balcani lascerebbe prevedere un accordo di una certa estensione, che di riflesso toccherà la sicurezza nel Mar Nero;

3) a questo punto si inseriscono le trattative con i Sovieti e la questione dei Dardanelli. Circa le trattative con i Sovieti, Refik Saydam ha detto nel suo discorso che «continueremo i nostri contatti più immediati e più cordiali con la nostra grande vicina e amica, la Repubblica dei Sovieti; la comunanza delle nostre vedute e interessi ci mostra come sia chiara la via della collaborazione che si apre davanti a noi, e la visita del signor Potemkin ad Ankara ci ha permesso di riconoscere che siamo uniti da una somiglianza completa di vedute e di comprensione e che la nostra politica di domani è destinata a svilupparsi sulle stesse basi». È evidente che l'eventualità della conclusione di accordi turco-sovietici è subordinata all'andamento delle trattative anglosovietiche e si può quindi immaginare che per ora Ankara e Mosca siano in una situazione di attesa.

Frattanto. l'accordo anglo-turco e. domani. un eventuale accordo turco-sovietico pongono la questione della libertà di navigazione degli Stretti in tempo di guerra. La disposizione dell'art. 19, della Convenzione di Montreux, che prevede il caso di una guerra cui non parteciperà la Turchia e secondo la quale le navi dei belligeranti possono traversare gli Stretti se la Turchia sia legata ad essi da un patto di assistenza, non ha più valore pratico, dato che la Turchia si è ormai sostanzialmente impegnata ad entrare in guerra con l'Inghilterra in caso di necessità e che in tale eventualità, a norma dell'art. 20, essa rimane padrona di regolare a suo libito il passaggio delle navi negli Stretti. È evidente che, dal punto di vista strategico, l'interesse della situazione risiede tanto nella possibilità per la flotta sovietica di uscire nel Mediterraneo quanto nella possibilità per la flotta britannica di entrare nel Mar Nero in soccorso della Romania.

4) Refik Saydam ha annunciato che «per la conclusione di accordi analoghi a quello concluso con l'Inghilterra e a quello definitivo che seguirà. si svolgono ugualmente delle conversazioni amichevoli con il governo francese». Questo lato della questione si ricollega al problema dell'Hatay che costituisce la moneta di scambio. Si contenterà la Turchia dell 'Hatay, che virtualmente è già acquisito, o pretenderà altre concessioni nella zona di Aleppo? Non dovrà la Francia pagare con un nuovo scotto e un ulteriore indebolimento del suo prestigio in Oriente l 'acquisita alleanza turca? Sembra difficile che, dopo la campagna condotta con tanta insistenza dalla stampa turca per la regione di Aleppo, la Turchia si adatti ad abbandonare definitivamente le proprie rivendicazioni in quella zona. Tutt'al più, essa si contenterà per ora dell'Hatay con una formula che non pregiudichi l'avvenire.

5) È anche da esaminare il problema dei rapporti tra Turchia e Stati balcanici. Refik Saydam ha detto nel suo discorso di avere la speranza che le relazioni con gli alleati balcanici continueranno con la stessa cordialità del passato, aggiungendo che in seno all'Intesa la situazione della Turchia non è cambiata e facendo il voto che «questo blocco che difende i veri interessi balcanici possa trovare l'occasione di allargarsi maggiormente per poter fare opera più feconda». È evidente l'appello alla Bulgaria, mentre d'altra parte la dichiarazione di fede nell'Intesa Balcanica sembra meno ferma e risoluta che nel passato, ciò che facilmente si spiega tenendo presenti le preoccupazioni sorte in questo Paese nei riguardi della Jugoslavia che vieppiù si va affiancando ali'Asse.

6) Infine. si dice che l'Inghilterra concederà un forte prestito alla Turchia e si aggiunge che, essendo questo Paese assillato dal bisogno urgente di divise, l'offerta britannica sarebbe stata decisiva. Una parte del prestito sarebbe destinata alle fortificazioni degli Stretti. Si dice inoltre che la Gran Bretagna avrebbe assicurato alla Turchia una quota della produzione di petrolio di Mossul.

Non è qui il luogo di dare un giudizio sopra il valore di questa rete di accordi e contro-accordi che va tessendo l'Inghilterra, di queste garanzie che il Duce ha magistralmente bollato nel discorso di Torino 10 • Mi permetto tuttavia di esprimere una personale opinione e cioè che. in ultima analisi, l'accordo testé concluso con l'Inghilterra non apporterà un mutamento sensibile di fronte alla situazione anteriore.

Un giornalista turco ha scritto in questi giornali che l'atmosfera in favore della neutralità del Paese «era stata creata artificialmente» mentre l 'ufficioso Ulus sottolineava che «la collaborazione della Turchia con l'Inghilterra deve essere considerata continuazione naturale, secondo nuove condizioni, della politica di sicurezza che tutte e due le nazioni seguivano da molto tempo». Che infatti in caso di guerra la Turchia -così morbosamente diffidente verso di noi -potesse essere trascinata dalla Gran Bretagna è cosa che era facile supporre. L'attuale accordo sembra quindi consa

71210 Vedi D. 709, nota 8.

crare una situazione di fatto tendenzialmente preesistente: esso è una chiarificazione, né l'Italia ha in Turchia speciali interessi di altra natura che oggi possano essere compromessi. «Come prima, meglio di prima».

Vanno comunque esaminati i possibili effetti dell'alleanza turco-britannica. specie dal punto di vista strategico, e non è tanto da considerare, sotto questo aspetto, la circostanza che la Turchia si sia assicurata l'assistenza della Gran Bretagna quanto il contrario e cioè che la Gran Bretagna si sia assicurata l'assistenza della Turchia. con l'evidente intenzione di accaparrarsi gli Stretti e le basi navali lungo il litorale mediterraneo di questo Paese.

L'Inghilterra persegue lo scopo della creazione di una nuova via imperiale diretta alla Indie attraverso i territori sotto mandato, l'Arabia e il Golfo Persico: le migliori posizioni strategiche in questo settore sono, in gran parte, in mano o in dipendenza della Turchia. Scendendo dai Dardanelli, le stazioni navali di Smirne, Adalia e Mersina e i numerosi ancoraggi della costa anatolica specie intorno a Scalanova dove, come sopra è detto, si nota da qualche giorno una intensa attività militare; più a oriente, il Sangiaccato di Alessandretta, con la relativa importante base navale, destinata a diventare il complemento naturale di Cipro che le sta di fronte. È noto che già da qualche tempo una commissione di tecnici inglesi sta studiando la sistemazione del porto di Alessandretta. Questo Iato della questione deve essere attentamente seguito negli sviluppi che non mancherà certamente di avere dal punto di vista del rinforzamento degli armamenti esistenti, dell'impianto di nuovi e della sistemazione delle basi e stazioni navali ad uso della Gran Bretagna.

Conviene infine brevemente esaminare come si presenti la nuova situazione politica turca nei riguardi della Germania, per la quale l'intervenuto schieramento della Turchia a fianco delle Potenze democratiche crea un problema immediato. La spinta verso Bagdad passa attraverso l'Asia Minore; la Germania ha intrapreso in questo Paese una vasta azione di penetrazione, penetrazione economica è vero ma che ha bisogno, per svilupparsi, di un terreno politico se non addirittura favorevole per lo meno non manifestamente avverso. La Germania ha qui varie centinaia di tecnici e. con il prestito Funk 1l_ ha dato inizio ad una vasta operazione di credito che. almeno in parte. è destinato a rifornire la Turchia di materiale bellico. Quali ripercussioni avrà su questa azione la nuova situazione politica? Converrà al Reich continuare a rifornire la Turchia di armamenti destinati in definitiva contro l'Asse? Potrà il Rei c h correre il rischio di cedere a credito importanti forniture ad un Paese che si è schierato dal lato opposto della barricata? Questi vari interrogativi spiegano il pessimismo degli ambienti tedeschi segnalato dal R0 Ambasciatore a Berlino 12 nonché le ragioni per le quali questo Ambasciatore di Gennania ha lottato «ferocemente» -come egli stesso mi ha detto -per cercare di impedire la conclusione dell'accordo turco-britannico. Per la storia, va notato che forse la diplomazia tedesca ha commesso qualche errore di tattica: von Papen è arrivato troppo tardi, dopo oltre sei mesi di vacanza del posto di Ambasciatore di Germania ad Ankara; egli è stato in certo modo imposto ai turchi, che avevano fatto capire

12 Vedi D. 621.

di non gradirlo; anche l'articolo pubblicato all'ultima ora-come ho avuto l'onore di segnalare all'E.V. -sulla Politische Diplomatiche Korrespondez per incitare la Turchia alla neutralità è stato qui interpretato conte una intimidazione. Si dice per di più che il consigliere dell'ambasciata Kroll, parlando con il giornalista Esmer, noto avversario dell'Asse, gli abbia detto che «la Germania avrebbe fatto della Turchia una seconda Romania» e-conoscendo il Kroll-la cosa è del tutto verosimile. Naturalmente l 'Esmer è corso ad informare il governo turco.

La Turchia si è affrettata a fare approvare proprio in questi giorni dalla Grande Assemblea Nazionale il prestito tedesco, che rappresenta per essa un sicuro affare anche perché nessun altro Paese è in grado di assorbire, nella misura in cui può farlo la Germania, la produzione turca. D'altra parte, von Papen mi ha chiaramente espresso tutti i dubbi e le incertezze che derivano per il suo Paese dalla situazione attuale; egli ritiene tuttavia che. in linea di massima. la Germania debba perseverare nei suoi sforzi e non abbandonare le posizioni acquisite che le danno modo di controllare la vita economica del Paese, la sua organizzazione amministrativa e, quel che più conta, l'organizzazione militare turca, compreso lo Stato Maggiore. Per ora von Papen non ha impartito nessuna disposizione ai fornitori e ai tecnici tedeschi di mutare indirizzo: converrà che egli si concerti con il proprio governo e, a questo scopo, è partito ieri sera per Berlino 13 .

712 1 Riferimento alla dichiarazione anglo-turca del 12 maggio con cui i due governi, nell'attesa di concludere «un accordo definitivo a lungo termine di carattere reciproco nell'interesse della loro sicurezza nazionale», si impegnavano a darsi tutto l'aiuto in loro potere «nel caso di un atto di aggressione che avesse provocato una guerra nell'area mediterranea». La dichiarazione era stata letta da Chamberlain ai Comuni e da Refik Saydam all'Assemblea Nazionale (testo in Relazioni Internazionali, p. 394).

712 6 Vedi D. 677.

712 11 Si veda in proposito serie ottava, vol. X, D. 270.

713

LA DIREZIONE GENERALE AFFARI D'EUROPA E DEL MEDITERRANEO AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

APPUNTO. Roma, 16 maggio 1939.

L'Incaricato d'Affari di Germania, d'ordine del suo Governo, ha comunicato verbalmente che il Governo del Reich desidera dare conoscenza al Governo italiano del contenuto di un telegramma (qui Allegato) che il Ministero degli Esteri tedesco

Palazzo Chigi veniva allora in possesso, per via fiduciaria, anche di un documento del ministero degli Esteri turco (telegramma n. 28 per Atene datato 6 maggio, presumibilmente diramato a tutte le rappresentanze all'estero) in cui era esposto il nuovo orientamento della politica turca e le sue motivazioni. Il governo turco -vi si diceva --era stato indotto ad abbandonare la linea di neutralità, tradizionale della sua politica estera, da due avvenimenti, l'imposizione alla Romania dell'accordo economico del23 marzo con la Germania e l'occupazione italiana dell'Albania. Quegli avvenimenti facevano ritenere che ora la Turchia fosse minacciata direttamente con un'azione dal nord e dali' ovest le cui fasi potevano essere: indebolimento dell'Intesa Balcanica, appoggio alle richieste revisioniste della Bulgaria, allargamento dell'espansione economica germanica, per giungere alla fase finale, la trasformazione dell'influenza politicoeconomica in occupazione militare. In questa situazione -concludeva il documento -il governo della Turchia si vedeva obbligato ad aderire al fronte della sicurezza che si era formato e seguendo tale prospettiva aveva avviato delle trattative con la Gran Bretagna, di cui intendeva restare a fianco, e anche con la Francia, mentre stava accentuando la politica di amicizia verso l'U.R.S.S. Sul documento con cui era trasmesso a Palazzo Chigi il testo del documento turco vi è il visto di Mussolini e la seguente annotazione: «Fatto copia del teleg. n. 28 per l 'amb. di Germania 18/5/39».

ha testé inviato ai propri Rappresentanti a Belgrado, Bucarest e Atene, circa il Patto anglo-turco.

Ha aggiunto che il Governo del Reich propone che istruzioni analoghe siano inviate ai RR. Rappresentanti nelle capitali anzidette.

ALLEGATO

Dalla dichiarazione di Chamberlain nella Camera dei Comuni e la contemporanea dichiarazione del Presidente dei Ministri turco, risulta che l'Inghilterra e la Turchia hanno concordato di stipulare «nell'interesse della loro sicurezza nazionale» un accordo basato sulla reciprocità, chiaramente delimitato e di lunga durata. Il Governo Britannico e quello Turco dichiarano già adesso di essere disposti, fino alla stipulazione di tale accordo e nel caso di un atto di aggressione che conduca alla guerra nel bacino del Mediterraneo, di collaborare efficacemente e di concedersi reciprocamente ogni possibile aiuto ed assistenza. Ambedue i Governi riconoscono che determinate questioni, inclusa una più chiara definizione delle condizioni alle quali sorgerebbe l'impegno di assistenza reciproca, richiedono uno studio più dettagliato che verrebbe effettuato presentemente e che dovrebbe precedere la stipulazione dell'accordo. Ambedue i governi costatano che sarebbe inoltre necessario creare sicurezza nei Balcani e che si concertino a vicenda per raggiungere al più presto tale mèta; analoghi accordi franco-turchi sono in preparazione.

Da quanto precede risulta che per i Balcani sono presi in considerazione provvedimenti che toccano intimamente la Jugoslavia, la Romania e la Grecia. Se queste siano state informate prima che sia stata convenuta la dichiarazione anglo-turca e se si siano eventualmente dichiarate d'accordo con tali provvedimenti, non è dato di sapere. Da Belgrado si hanno notizie attendibili da fonte confidenziale che, comunque, lì una domanda in forma ufficiale non è stata fatta e che il Governo Jugoslavo si è posto in comunicazione con Bucarest ed Atene. Una partecipazione dei tre Governi alle trattative anglo-turche sarebbe incompatibile con il loro atteggiamento fin'ora seguito di evitare un agganciamento ad un gruppo di Potenze. Nei riguardi della Jugoslavia e della Romania devesi in ogni modo rilevare che una tale partecipazione sarebbe in contrasto con la dichiarazione fatta qui da Cincar Markovié e da Gafencu.

Vogliate, utilizzando quanto precede, accertare presso il Governo di costì la posizione presa in merito alla dichiarazione anglo-turca nei riguardi dei Balcani 1•

712 13 11 documento ha il visto di Mussolini.

713 1 Si veda per il seguito il D. 728.

714

L'AMBASCIATORE IN CINA, TALIANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. S.N.D. 2562/124 R. Shanghai, 17 maggio 1939, ore 14 (perv. ore 22,35).

È venuto a vedermi stamane segretario personale di Wang Ching-wei il quale mi ha trasmesso saluti di lui con l'assicurazione che sua nota ammirazione e fiducia per il governo italiano rimane immutata. Mi ha poi dichiarato che Wang Ching-wei è oggi deciso portare sul terreno pratico la sua opera di pace. A tale decisione era stato spinto dalla certezza che azione Chiang Kai-shek è ormai dominata da Mosca e che, come è risultato da indubbie prove, era stato lo stesso Chiang Kai-shek a tramare ultimo attentato contro di lui: nessuna ripresa dei rapporti era pertanto possibile.

Per poter agire con una certa libertà di fronte suoi seguaci e allo stesso tempo con le maggiori garanzie di sicurezza, Wang Ching-wei mi ha fatto pervenire vivo desiderio di stabilirsi nella concessione italiana in Tientsin.

Considerando i tanti vantaggi che dalla realizzazione di tale desiderio verrebbero a noi sia nei riguardi del Giappone che in quelli del futuro governo cinese, ho espresso parere favorevole di massima, subordinandolo all'avviso di V.E. che prego

V.E. di volermi manifestare.

Dati rapporti di intima collaborazione esistenti fra questa ambasciata e ambasciata del Giappone, in merito ho creduto utile e doveroso avvertire quest'ultima senza entrare in particolari sulle intenzioni Wang Ching-wei, ed ho chiesto conoscere suo parere.

Incaricato di affari del Giappone esprimendomi sua profonda gratitudine mi ha promesso farmi conoscere al più presto pensiero governo giapponese al quale subito telegrafava.

715

L'AMBASCIATORE PRESSO LA SANTA SEDE, PIGNATTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. S.N.D. PER CORRIERE 2554/90 R. Roma, 17 maggio 1939 (perv. stesso giorno). Mio telegramma per corriere n. 85 del 9 corrente 1•

Il Papa mi ha domandato se v'era ancora qualcosa da fare nel senso della nota iniziativa per la pace. Ho risposto che credevo di dovere dirgli con tutta franchezza non sembrarmi che fosse il caso di procedere oltre. La Sua iniziativa era stata apprezzata per l'eleva

to sentimento che l'aveva ispirata e aveva dato i suoi frutti. Secondo me, non si poteva andare più avanti senza esporsi a spiacevoli disillusioni. Il Santo Padre ha smentito l'intenzione che certa stampa Gli aveva attribuita, di riunire una conferenza in Vaticano. Non Gli era mai passato dalla mente una cosa simile.

Ne ho preso l'occasione per elevarmi contro l'atteggiamento della stampa francese. Ho detto al Papa che doveva essere persuaso che qualsiasi sana iniziativa era di proposito svisata dai giornali francesi, se non la trovavano di proprio gusto. I recenti colloqui dei Nunzi avevano dato pretesto a scrivere le cose più inverosimili. Il Santo Padre non ha replicato, ha solo osservato che il Temps era stato equanime.

Il Papa mi ha anche detto che nei ricevimenti collettivi giornalieri di pellegrini di nazionalità diverse, allorché Egli, finita l'udienza scende dal trono e si avvicina alla folla, Gli vengono rivolte, a gran voce, invocazioni di fare qualcosa per la pace. Direi che queste scene hanno impressionato fortemente il Pontefice. Egli si è dilungato a descrivermi il grido di questa gente, con il viso inondato di lacrime.

Dopo l'udienza papale ho fatto, con il personale dell'ambasciata, la visita di rigore al Cardinale Segretario di Stato. Ho ripetuto a lui quello che avevo dichiarato al Pontefice riguardo al ventilato proposito da parte della Santa Sede di promuovere una Conferenza e l'inconsulto atteggiamento della stampa francese. Con il cardinale Maglione che conosce l'ambiente francese, ho potuto essere più esplicito.

Il cardinale mi ha detto che dalla notizie ricevute, gli risultava che Bonnet è in massima favorevole ad un accomodamento con l'Italia, mentre Daladier si terrebbe su di una linea di intransigenza2 .

715 1 Vedi D. 672.

716

L'AMBASCIATORE PRESSO LA SANTA SEDE, PIGNATTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. S.N.D. PER CORRIERE 2601/91 R. Roma, 17 maggio 1939 Qoerv. stesso giorno).

Ho fatto stamane al Pontefice la comunicazione della quale VE. mi ha incaricato, il 9 corrente 1 . Ho insistito sui tre punti seguenti:

a) non si tratta di un passo;

b) il Rei eh non prenderà mai nessuna iniziativa;

c) il momento è giudicato favorevole.

Il Papa mi ha, in primo luogo, incaricato di ringraziare di cuore V.E.

Egli mi ha detto di avere scritto una lettera personale al Fiihrer per annunciarGli Sua elevazione al trono pontificale. Alla lettera latina era aggiunto il testo tedesco eh'era un'applicazione della lettera ufficiale.

716 1 Vedi D. 672. nota l.

La risposta del Fiihrer è pervenuta a Pio XII di questi giorni. È redatta in forma cortese ed è di contenuto soddisfacente in quanto che, replicando all'augurio formulato dal Pontefice, il signor Hitler esprime la speranza di buone relazioni con la Sede Apostolica.

Per quel che riguarda, invece, il Iato religioso non v'è nessun miglioramento, né in Germania, né in Austria. Il Papa ha tentato di fare sapere in via indiretta a Berlino di augurarsi che si stabilisca un periodo preliminare di tregua, lasciando le cose come sono in questo momento ed evitando di aggravare maggiormente la situazione.

Ho domandato al Santo Padre se I'E.V. avrebbe potuto, presentandosene l'occasione, fare conoscere al ministro degli Esteri del Reich, il Suo desiderio di una tregua. Il Pontefice mi ha risposto affermativamente, ringraziando.

Il Papa mi ha dichiarato che i cardinali tedeschi, con i quali si è intrattenuto lungamente prima e subito dopo il Conclave, Gli hanno dichiarato di essere favorevoli a un tentativo di pacificazione per quanto riponessero scarsa speranza nella riuscita.

Dal canto Suo, il Pontefice, subito dopo la Sua elezione, ha dato ordine a l'Osservatore Romano di evitare le polemiche e anche le critiche. Il Santo Padre ha avuto poi cura nei Suoi discorsi e nelle conversazioni di lasciare rigorosamente da parte le questioni politiche. Ha soggiunto confidenzialmente, che come Segretario di Stato aveva eseguito gli ordini di Pio XI, ma l'esperienza fatta in quel periodo Gli aveva suggerito di mutare atteggiamento e di tralasciare rigorosamente tutto ciò che potesse irritare.

Il Papa mi ha detto che, in seguito alle notizie che V. E. Gli aveva fatte comunicare, Egli rifletterebbe al da farsi. Come prima idea Egli pensava di prendere l'occasione portaGli dalla lettera del Fiihrer per rispondere accentuando il Suo desiderio di mettere fine al lungo dissidio e di ridare normalità alle relazioni fra la Santa Sede e il Reich.

Il Papa mi ha invitato, alla fine, di andarlo a visitare, precisando che mi avrebbe sempre visto volentieri. Da parte mia ho espresso il timore che le mie visite, se troppo frequenti fossero notate. Egli ha replicato che i problemi in corso di trattazione fra l'Italia e la Santa Sede sono così numerosi e importanti da giustificare la frequenza delle udienze dell'ambasciatore d'Italia. D'altra parte, ha concluso il Santo Padre, c'è sempre l'argomento dell'Azione Cattolica che può essere invocato per giustificare una domanda d'udienza2 .

715 2 Il documento fu inviato in visione a Musso lini.

717

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. S.N.D. PER CORRIERE 2572/071 R. Berlino, 17 maggio 1939 (perv. i/18).

Von Ribbentrop ha oggi visto il Nunzio Apostolico 1 al quale ha dichiarato che il FUhrer, pur apprezzando, e anzi ringraziando, per l'iniziativa del Santo Padre (Conferenza a Cinque), ritiene che essa in questo momento, data l'intransigenza della Polo

717 1 Sul colloquio si veda il rapporto di monsignor Orsenigo in ACTES, vol. l, D. 47.

nia, non avrebbe alcuna probabilità di successo. Nel corso della conversazione, von Ribbentrop ha detto che le ragioni dell'attitudine polacca vanno sopratutto ricercate nella garanzia «inglese».

La risposta di cui sopra era stata preceduta da un preavviso nello stesso senso dato a S.E. Orsenigo dal barone Weizsacker già da qualche giomo2 .

716 2 Il documento tu inviato in visione a Mussolini.

718

IL MINISTRO AD ATENE, GRAZZI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 2584/049 R. Atene, 17 maggio 1939 (perv. i/19).

Mio telespresso n. 3396/531 del 16 corrente'.

Parlandomi del recente accordo anglo-turco, il signor Mavrudis, spontaneamente, mi ha assicurato che esso non modifica in niente la posizione internazionale della Grecia, né impone a quest'ultima, neppure indirettamente, nessuna nuova obbligazione. La Grecia, ha detto Mavrudis, è certa che nessuno pensa di mettere in pericolo la sua integrità e indipendenza ed ha perciò l'obbligo di mantenersi rigorosamente neutrale, obbligo a cui intende strettamente attenersi a meno che non sia attaccata. Ha aggiunto che né da parte turca, né da parte inglese è stato rivolto alla Grecia nessun invito di aderire all'accordo anglo-turco o di concludere accordi analoghi coll'una o l'altra di queste due Potenze.

719

IL REGGENTE IL CONSOLATO A CHAMBERY, PLAJA, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, GUARIGLIA

RAPPORTO RISERVATO 4094/1239. Chambéry, 17 maggio 19 3 9 (perv. i/23) 1•

Come V.E. avrà potuto notare dai numerosi rapporti con cui questo Ufficio ha avuto a riferire su casi di espulsioni, di gravi minaccie, di aggressioni, di pressioni per naturalizzazioni, nonché sull'attività sempre più baldanzosa ed aggressiva delle associazioni estremiste sedicenti italiane, la situazione della parte sana di questa nostra collettività si è venuta notevolmente aggravando in questi ultimi tempi, particolarmente nella Savoia e nell'Alta Savoia.

7 I 7 2 Il 12 maggio. Vedi DDT, vol. VI, D. 372 e ACTES. vol. l, D. 42. 718 1 Non rintracciato. 719 1 Il documento fu inviato per conoscenza al Ministero, dove giunse il 23 maggio.

Specialmente in queste ultime settimane l'azione della Polizia francese (sia i Commissariati speciali, sia il servizio speciale per la difesa del territorio, 2me Bureau) intesa ad «epurare» dagli italiani «indesiderabili» queste regioni di frontiera è stata intensissima. Il fatto che questi «italiani indesiderabili» sono scelti nella quasi totalità con impressionante precisione tra connazionali notoriamente ligi alla Patria ed al Regime e frequentatori delle nostre istituzioni dimostra molto chiaramente in quale senso l'azione di epurazione sia intesa.

Tale azione non manca purtroppo, sia di raggiungere un certo effetto intimidatorio anche sui nostri migliori elementi, ai quali non può sfuggire il lampante fatto che oggi tutto quel che emana in qualsiasi maniera dal Consolato o dalle istituzioni da esso riconosciute è considerato dalle Autorità francesi perlomeno sospetto, sia di sempre più montare gli ambienti francesi, specie il ceto medio ed operaio, non solo contro detti nostri elementi ma anche contro le nostre istituzioni e contro questo stesso consolato. Della verità di quanto sopra affermato è prova il fatto che numerosi sono i connazionali, i quali, in questi ultimi tempi, avendo ricevuto per normali pratiche di ufficio corrispondenza da questo Consolato contenuta in buste intestate hanno pregato più o meno apertamente di voler, in altre simili occasioni, far loro pervenire la corrispondenza in buste senza intestazione. E la maggior parte di tali richieste è provenuta da commercianti che temono, sia l'espulsione, sia la fuga della loro clientela, ove fosse reso noto che essi sono in contatto con le «istituzioni fasciste».

Gli impiegati di questo Consolato che usavano le sere riunirsi a gruppi in uno dei pochi caffè frequentabili della città, ed ove quindi erano noti nella loro qualità, mi hanno detto che ora preferiscono non farlo più essendosi più volte trovati a disagio in un ambiente freddo, sospettoso e talvolta addirittura ostile.

Per quanto sia impossibile poter precisare fatti e dichiarazioni, è certo che più di una Autorità francese -e non solo di polizia -non esita a gettare con ogni mezzo discredito non solo sulle nostre istituzioni, ma anche su questo Consolato. E ciò accusandolo non solo di propaganda politica, ma anche e sopratutto di «spionaggio militare». Proprio ieri il legale di fiducia di questo Consolato in via assolutamente confidenziale ed incidentalmente mi accennava di aver egli stesso sentito affermazioni precise e convinte del genere dal Segretario Generale di questa Prefettura, signor Houques.

Tali accuse, appoggiate da una sempre più intensa campagna contro le istituzioni fasciste ed italiane condotta sistematicamente dagli organi della stampa estremista locale (quotidiano La Dépèche Dauphinoise, settimanale La Voix du Peuple) hanno, come è comprensibile, un eftètto ancor più intimidatorio sui nostri connazionali specie considerati i recenti casi di spionaggio sulle Alpi ed ai relativi processi cui questa stampa non ha mancato di dare il massimo rilievo.

Non posso qui enumerare tutte le manifestazioni di ostilità e di ostruzionismo che, anche nelle pratiche di minore importanza, fanno oramai le Autorità francesi agli elementi italiani noti per il loro attaccamento alla Patria. Cito a titolo di esempio come recentemente questa Prefettura abbia perfino rifiutato di apporre il visto per reingresso in Francia al passaporto del connazionale Gustavo Maciotta, impresario ai lavori pubblici, che può, in un certo senso, considerarsi l'elemento preminente della nostra collettività dell'Alta Savoia. Ciò allo scopo di impedirgli di recarsi troppo spesso in Italia, e ad evitare che così potesse riferire sui lavori stradali di interesse militare che, mancando elementi idonei francesi, malgrado l'attuale situazione, le Autorità francesi sono costrette ad affidargli!

Mi onoro, per finire, segnalare a V.E. che da qualche giorno a questa parte alcuni Commissariati di Polizia della circoscrizione (finora mi vengono segnalati con sicurezza quelli di Chambéry ed Annecy) hanno iniziato una nuova attività, sempre in tema di controllo di stranieri «indesiderabili». Essi convocano detti stranieri, ossia i nostri elementi, a presentarsi e, dopo lunghi interrogatori d'ogni genere, li invitano formalmente ad evitare ogni discussione politica, pena l'espulsione, e sembra consiglino anche di non frequentare la «Casa d'Italia» ove è loro convinzione che discussioni di tal genere siano di regola.

Durante tali interrogatori il passaporto del connazionale forma oggetto di attento esame e vengono controllati, per mezzo dei visti di entrata e di uscita su esso apposti alla frontiera, i viaggi compiuti in Italia.

Lo stato di fatto che ho l'onore di segnalare a V.E. nel presente rapporto produce, come è comprensibile, i più gravi effetti sul funzionamento delle nostre istituzioni che vengono disertate anche dai più assidui frequentatori. Dopolavoro, Doposcuola, Casa d'Italia che avevano ricominciato a funzionare normalmente dopo i torbidi giorni dello scorso settembre, sono ridotti ad esercitare una limitatissima attività.

La parte sana della nostra collettività così costretta in un'atmosfera di oppressione e di panico spera ora che il rapido attuarsi della politica dei rimpatrì le permetta di riprendere al più presto in Italia quella tranquillità di spirito e quella libertà di pensiero che la democraticissima e libera Repubblica francese non le concede.

720

L'AMBASCIATORE A PARIGI, GUARIGLIA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

LETTERA 3236/1388. Parigi, 17 maggio 1939 (perv. il 22 ?).

Avantieri, invitato a pranzo dal presidente del Consiglio municipale di Parigi, mi sono trovato accanto Bonnet che, come sai, non vedevo dal20 febbraio scorso'.

Dopo pranzo, mi ha preso da parte ed ha incominciato col lagnarsi perché io non avevo aderito agli inviti trasmessimi a mezzo dell'amico Vallet2 ed ero rimasto tanto tempo senza recarmi da lui. Gli ho risposto che non avevo mai avuto nulla di importante da dirgli e che perciò non avevo voluto, né prendergli il suo tempo, né far fare delle congetture ai giornalisti sui nostri incontri. «D'altra parte -ho aggiunto

2 Vedi D. 436.

François-Poncet è andato ora da S.E. Ciano3 e suppongo che il governo francese sia al corrente del pensiero del Governo Fascista sulle varie questioni». Bonnet mi ha risposto:

l) che infatti egli era lieto del ristabilimento dei contatti tra te e Poncet;

2) che aveva ricevuto buona impressione della esposizione da te fatta a Poncet delle rivendicazioni italiane:

3) che trovava agevole un accordo per Gibuti e Suez ma meno facile ricercare una formula per la Tunisia «trattandosi -egli disse -di fissare un limite di tempo alle convenzioni del 1896»4;

4) che egli doveva però trovare qualche contropartita che giustificasse innanzi all'opinione pubblica francese un accordo con l'Italia, e ciò tanto più dopo l'alleanza itala-germanica che non facilitava certo il suo compito nei riguardi della politica interna francese: ma che ad ogni modo egli voleva tu sapessi che era desiderio del governo francese di giungere al più presto ad un accordo con noi e che egli riteneva quanto tu avevi detto a Poncet potesse formare buona base di trattativa:

5) che egli si rendeva perfettamente conto che tali trattative si dovevano svolgere esclusivamente a Roma e che quindi le avrebbe continuate con te attraverso codesto ambasciatore di Francia nel massimo segreto possibile giacché «vi erano troppe persone interessate a fare andare tutto a monte».

Naturalmente ho detto a Bonnet che ti avrei riferito quanto precede e mi sono completamente astenuto dall'entrare nel merito di qualsiasi questione ribadendo solo presso di lui la necessità di svolgere tutto il negoziato direttamente con te a Roma.

Bonnet tuttavia mi ha detto che, come oramai il pubblico sapeva, tu avevi visto alcune volte François-Poncet, mentre io non ero più stato da lui. Egli avrebbe voluto che riprendessi anch'io i normali contatti col Quai d'Orsay, se non altro per parlare di diverse questioni di ordinaria amministrazione. Gli ho risposto che per il momento non avevo nulla di speciale da trattare, ma che alla prima occasione mi sarei recato da lui5 .

4 Vedi D. 365, nota 5.

5 Il documento ha il visto di Mussolini.

721.

L'AMBASCIATORE A V ARSAVIA, ARONE, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T.2575/131 R. Varsavia, 18 maggio 19 3 9, ore 15, 12 (perv. ore 17,45). Mio telegramma n. 125 del 12 corrente1 .

Mi risulta che questo ambasciatore del Giappone, ritornato da qualche giorno da Berlino, ha riportato impressione che situazione rapporti polacco-tedeschi sia tuttora talmente tesa che una opera di mediazione sarebbe destinata insuccesso. Con ciò, però, secondo opinione predetto ambasciatore, idea mediazione dovrebbe essere, più che scartata, rimessa a momento più opportuno. D'altra parte, opera di attesa è resa delicata dal fatto che, data tensione animi, si producono quasi inevitabili quotidiani incidenti tra polacchi e minoranze tedesche che costituiscono evidenti pericoli di complicazioni gravi. Comunque, va tenuto presente che sullo sviluppo dell'attuale situazione potrà influire orientamento politica sovietica.

Ieri, intanto, è stato qui di passaggio ambasciatore di Germania a Mosca che rientra in sede dopo aver conferito a Monaco. Egli che era assente dall'U.R.S.S. al momento dimissioni Litvinov, pur riservandosi di formare sul luogo una opinione più determinata, è propenso a ritenere che la politica di Mosca tende oggi all'isolazionismo, il Cremlino non desiderando assumere rischiosi impegni, data la disorganizzazione interna sovietica.

720 1 Vedi D. 214.

720 3 Il IO maggio, Ciano aveva avuto un colloquio con l'ambasciatore François-Poncet sul quale non si è trovata documentazione negli archivi italiani. Secondo quanto riferiva il diplomatico francese (vedi DDF, vol. XVI, D. 136), Ciano aveva dichiarato che, circa Gibuti, l'Italia desiderava avere una zona franca nel porto, poco interessando la formula giuridica impiegata; che circa la ferrovia GibutiAddis Abeba la situazione più semplice era dare all'Italia la possibilità di riscattare il tratto in territorio italiano; che quanto a Suez si desiderava avere solo due italiani nel Consiglio di amministrazione. I contrasti si erano avuti a proposito della Tunisia: la tesi sostenuta da Ciano che gli italiani di Tunisia dovevano poter restare italiani non aveva nessuna possibilità di essere accolta a Parigi, aveva replicato l'ambasciatore francese. Si era comunque rimasti d'accordo che quanto era stato detto rappresentava una informazione reciproca e non poteva essere considerato come la fase iniziale di una trattativa. A proposito di questo colloquio vi è nel Diario di Ciano questa annotazione sotto la data del l O maggio: «Colloquio, a sua richiesta, con Poncet. Viene a dirmi che il governo francese è lieto che noi si sia ancora disposti a negoziare sulla base delle proposte Baudouin. Ma nel sondaggio fatto cercava, more gallico, di sparagnare qualche cosa, specie per Tunisi. L'ho subito pregato di non tentar di cambiare le carte in tavola: ciò farebbe saltare ogni possibilità. E, abilmente, ha subito ritirato i remi in barca». Nel Diario di Ciano vi è poi, sotto la data del 12 maggio, quest'altra annotazione: «Stamani ho trovato il Duce in uno stato di nervosismo e di irrequietudine nei confronti della situazione internazionale. Credo che il discorso di Daladier, inutilmente intransigente, abbia contribuito a creare in lui questo stato d'animo: Mi ha detto che tale discorso rende vani i miei colloqui con Poncet e quindi di !asciarli perdere».

722

IL MINISTRO A BELGRADO, INDELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. PER CORRIERE 2592/024 R. Belgrado, 18 maggio 1939 (perv. il19).

A questa Ministero degli Esteri mi è stato detto che circa patto anglo-turco non si hanno ancora qui tutti gli elementi necessari per determinare un giudizio ed un atteggiamento precisi. Governo di Ankara si è per ora limitato ad informare Belgrado che speciali circostanze lo avevano indotto ad un mutamento delle direttive di neutralità che avevano finora costituito la base della politica dell'Intesa Balcanica nei riguardi europei e che stava, ciò stante, negoziando un'intesa con Londra.

Si è ora qui in attesa di conoscere esattamente, agli effetti della reale sussistenza del Patto de li 'Intesa e specialmente degli accordi ripetutamente intervenuti

circa la sua interpretazione ed applicazione, la portata del punto 6° dell'accordo anglo-turco che concerne la «consultazione» in materia balcanica. A Belgrado si è particolarmente attenti all'atteggiamento che verrà determinandosi in Bulgaria, verso la quale sembra probabile che si tenterà ora di esercitare, da parte angloturca, qualche energica pressione, data la posizione di forza che Sofia può rappresentare nella nuova situazione che va manifestandosi per gli Stati della Balcania danubiana. Qui si ha l'impressione che, di fronte alle reazioni provocate a Roma ed a Berlino dal patto anglo-turco, vi sia, in ultimo luogo, qualche esitazione, che potrà diminuirne il valore pratico, tanto ad Ankara quanto, e specialmente, ad Atene. Si pensa, poi, nei riguardi turchi, che ad Ankara si sia essenzialmente voluto non farsi sfuggire un'ottima occasione per assicurarsi da parte francese ed inglese, dei vantaggi in Siria ed in materia finanziaria. Comunque, a Belgrado, pur seguendo gli sviluppi della situazione con tutta la vigilanza che meritano, si è ben fermi sopra a delle posizioni politiche che, allo stato attuale delle cose, non potrebbero subire variazioni.

721 1 Vedi D. 687.

723

IL CONSOLE GENERALE A PRAGA, BORGA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. 1118/692. Praga, 18 maggio 1939 (perv. il 25?). Mio telespresso n. 1107/669 del 14 corrente1•

L'articolo apparso sul quotidiano Der Neue Tag e segnalato nel telespresso surriferito, col quale in sostanza si consigliava ai cechi di abbandonare ogni velleità combattiva e dedicare tutte le attività alle cure della propria esistenza ed ai propri figli-cioè al benessere individuale-ha sferzato la torpida sensibilità di questa gente, suscitando un coro di sommesse proteste nei circoli cechi ed una serie di articoli di stampa.

Il motivo dominante è che la conservazione della nazione è stata solennemente garantita dal Ftihrer e confermata dalle dichiarazioni del Reichsprotektor e quindi i cechi hanno il diritto di difendere la loro vita nazionale.

«Ouanto chiede il giornale tedesco Der neue Tag alla nazione ceca -scrive il Narodni Prace -non concorda con il decreto del Ftihrer. con le dichiarazioni del Protettore e coi diritti naturali di ogni nazione civile. La nazione ceca è laboriosa e diligente. ma ciò non significa che essa debba essere una Cenerentola. Il giornale tedesco di Praga dovrebbe comprendere maggiormente l'anima del nostro popolo e non imporre alla nostra nazione dei compiti contrastanti con l'orgoglio nazionale. con la coscienza nazionale. con l'onore nazionale».

«Tutti i cechi coscienti di sé-dice il Venkov-hanno un'ideale superiore alle semplici preoccupazioni per l'esistenza. Questo ideale è di conservare intatta la propria nazione». Anche la Comunità Nazionale è intervenuta contro l'articolo del Der neue Tag con una nota diramata dal suo servizio stampa. In tale nota fra l'altro si dice che le esortazioni rivolte dalla Comunità Nazionale alla popolazione ceca «di non prestar fede ai vari fogli volanti diffusi da sovversivi, provocatori o altra gente che tenta di sfruttare materialmente la nazione», non devono essere interpretate come dirette «contro coloro che non vogliono volontariamente entrare nella Comunità Nazionale», il cui compito è non solo di «lavorare per la tranquilla ed amichevole convivenza della nazione ceca col Reich e con tutti i suoi cittadini, ma anche di curare coerentemente e con tutte le forze il benessere della nazione in tutti i campi e in tutti i rami affidati, col decreto del Fiihrer, alla cura della nazione stessa».

Da detto articolo traspariscono le tendenze dello spirito ceco nei riguardi della Germania. tendenze che chiaramente si rivelavano nelle discussioni politiche alle quali immancabilmente i cechi si abbandonano nelle loro riunioni intime. Anche se gli organi ufficiali si affaticano a proclamare la necessità della cordiale collaborazione con i tedeschi e a dar prova di remissiva buona volontà di fronte alle autorità del Reich, la tendenza dello spirito ceco rimane profondamente avversa alla Germania ed al germanesimo. da cui sopratutto teme di essere soffocato. l cechi non hanno mai amato i tedeschi, non li amano e non li ameranno mai. Pur restringendo la contesa al campo della difesa della nazione, i Narodni Listy scrivono: «Conosciamo da troppo lungo tempo e troppo bene i tedeschi per andare gli uni accanto agli altri come alla passeggiata di una stazione balneare, con un sorriso sulle labbra e con uno scambio più o meno sincero di parole cortesi. Noi cechi e tedeschi non viviamo né vivremo in un idillio pastorale». Due mesi di Protettorato non sono valsi a convincere intimamente i cechi della possibilità di una sincera collaborazione con i tedeschi. Come al risorgere della potenza germanica si era temuta la perdita dell'indipendenza, si teme ora la perdita dell'autonomia e si incomincia a temere la snazionalizzazione. Il fantasma impaurisce, ma per impossibilità materiale e psicologica non si hanno e difficilmente si avranno per ora clamorose dimostrazioni intese ad allontanarlo. La costituzione del fronte unico della Comunità Nazionale-che del resto con la scissione dei fascisti di Moravia (mio telespresso n. 1106/668 del 13 corrente? incominciò apresentare qualche fessura -; un modesto imbandieramento di Praga nella festa germanica del primo maggio, cui poco dopo faceva riscontro un abbondante sfoggio di bandiere per il trasporto dei resti mortali del poeta nazionale Macha dalla zona sudetica a Praga; una o due bandiere rosse apparse a Brna il l o maggio e qualche tentativo di dimostrazioni in quella città nella stessa giornata; un memoriale contro i tedeschi che circola e si moltiplica clandestinamente, sono in questo periodo le manifestazioni più appariscenti della volontà del popolo ceco di conservare l'autonomia e la nazione e della sua disapprovazione pel nuovo regime.

Si parla della ricostituzione di una «mafia» analoga a quella che sotto il dominio asburgico aveva nell'interno del Paese preparato la via all'indipendenza. Non si hanno finora sicuri elementi in proposito, ma un vecchio funzionario della polizia

austriaca, che naturalmente conosce molto bene questo popolo, afferma che, se una «mafia» sarà ricostituita, essa non darà eccessivi fastidi alla Germania e che potrà spiegare una attività efficace solo quando -come è già avvenuto in Austria -la potenza dello Stato dominante dovesse dare segni di indebolimento.

Ritorna poi in discussione la politica di Bene8. Persone che dopo Monaco si dichiaravano sinceramente convinte degli errori commessi dall'ex-presidente, affermano ora -dopo il 15 marzo -che Benes nella sua politica antigermanica aveva ragione, e che il disastro è da imputarsi solo al tradimento delle Potenze occidentali, specialmente della Francia, perché, come i fatti hanno provato, Berlino non si sarebbe mai accontentata di soluzioni ragionevoli, ma tendeva ad un'unica, decisa mèta: l'annientamento della Repubblica.

Ben es intanto dali' estero lavora e deve aver trovato anche vie sotterranee per far qui giungere consigli ed incitamenti e svolgere una certa propaganda anche nei più modesti ceti della popolazione, che si dimostrano perfettamente al corrente dei movimenti e dell'azione dell'ex presidente3 .

723 1 Non rintracciato.

723 2 Non rintracciato.

724

IL CAPO DI GABINETTO, ANFUSO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

APPUNTO. Roma, 18 maggio 1939.

Roberto Suster, che è arrivato da Parigi in aeroplano oggi alle ore 17, è venuto a farmi le seguenti comunicazioni.

Il Suster prega, in relazione a quanto in appresso sarà riportato, di volergli far conoscere le eventuali istruzioni nella giornata di domani affinché egli possa regolarsi circa il suo ritorno in Francia.

«Il Capo di Gabinetto del Ministro degli Esteri Bonnet, signor Bressy, ricevendomi ieri, mi ha dichiarato che il Ministro Bonnet era rimasto molto soddisfatto della presa di contatto avvenuta fra il Ministro Ciano e l'Ambasciatore François Poncet 1 e che considerava tale presa di contatto come un buon auspicio per eventuali sviluppi di iniziative di compromessi tra Parigi e Roma.

Il signor Bressy mi ha aggiunto che sulla base degli elementi raccolti si considerava al Quai d'Orsay che i problemi italo-trancesi inerenti alla situazione in Abissinia avrebbero potuto essere favorevolmente risolti attraverso delle conversazioni, così come il problema inerente al traffico del Canale di Suez non dovrebbe presentare difficoltà per il raggiungimento di un accordo.

Il punto che ancora impediva pero al Governo francese di prendere una iniziativa ufficiale di avviare delle trattative con l 'Italia era quello delle rivendicazioni italiane a proposito della Tunisia.

724 1 Vedi D. 720, nota 3.

Il Governo francese non ritiene che sia possibile in forma e via ufficiale chiedere ancora delle precisazioni al Governo italiano ma, qualora in via extra-diplomatica esso potesse conoscere quali sono i limiti massimi delle richieste italiane in Tunisia, sarebbe disposto a prendere eventualmente quelle iniziative che fossero necessarie per avviare delle conversazioni ufficiali.

Il signor Bressy mi ha interessato in via amichevole a far conoscere questo punto di vista del suo Ministro, aggiungendo che, qualora io gli potessi fornire queste precisazioni, egli considererebbe favorevolmente la possibilità di una prossima distensione nelle relazioni franco-italiane»2 .

723 3 Il documento ha il visto di Musso lini.

725

L'AMBASCIATORE A TOKIO, AURITI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. RISERVATO 2595/337 R. Tokio, 19 maggio 1939, ore 7,50 (perv. ore 16).

Ministro della Marina non si mostra preoccupato da avvenimenti Amoyl. Dal pochissimo che fino ad oggi dice sembra potersi dedurre essere sua azione derivata da volontà non solo di non lasciar ancora una volta impuniti colpevoli di nuovi assassini politici ma anche e forse più di fare una prima prova per vedere quali effetti avrebbe una sua politica di forza diretta risolvere questione concessioni straniere in Cina. Reazione anglo-francese mi pare possa considerarsi come la prima di carattere deciso da quando si è iniziato conflitto e non so se però fosse attesa da Giappone. Essa può forse mettersi in rapporto con minore preoccupazione che situazione europea sembra ora suscitare in quei due Paesi.

Avvenimenti Amoy sono utili a provare al Giappone nesso con situazione europea e possibili svolgimenti sua politica in Estremo Oriente e come tali a fargli dedurre logiche conseguenze circa sua politica di solidarietà con Asse. È anche prevedibile che per ora giapponesi procedano oltre. Seguirò la questione. Comunicato Roma e Shanghai.

Un appunto in data 21 maggio preparato da Anfuso per Ciano (allora a Berlino) dice: «Circa la nota comunicazione di Suster, che ho fatto conoscere al Duce al suo ritorno, Egli mi ha risposto: "La cosa non mi interessa. Potete dire a Suster che non dia seguito". Ho scritto a Suster nel senso predetto».

724 2 Il documento ha il visto di Mussolini.

725 1 Si riferisce allo sbarco-il 12 maggio-di marinai giapponesi sull'isoletta di Kulangsu, dove era situato il sett!ement internazionale di Amoy, motivato dall'uccisione di un esponente locale notoriamente filo-nipponico. Nei giorni successivi, erano sbarcati a Kulangsu dei contingenti di marinai americani, francesi e britannici, mentre alcune navi da guerra dei tre Paesi occidentali gettavano l 'ancora nella rada di Amoy.

726

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. S.N.D. PER CORRIERE 2608/075 R. Berlino, 19 maggio 1939 (perv. il 20).

Come è stato già segnalato da qualche R. Legazione, effettivamente il governo del Reich ha chiamato a rapporto, per la metà del prossimo giugno, tutte le rappresentanze tedesche nell'America Latina. Oggetto: esame della situazione creatasi nei riguardi della Germania nazionalsocialista nei Paesi americani ed eventuale revisione della politica associativa tedesca all'estero.

Si realizza da più parti, sopratutto in seguito alle forti reazioni antigermaniche in molti Paesi americani, che la politica dei tedeschi all'estero quale è adesso praticata è tale da suscitare le più forti antipatie e resistenze. Associazioni vengono disciolte, scuole proibite, boicottaggi economici adombrati. Tuttociò perché i tedeschi all'estero sono sottoposti a disciplina ed esercitano attività ritenute incompatibili con l'altrui sovranità.

Tutto l' Auswartiges Amt-compreso Ribbentrop -sembra al riguardo animato da spirito di comprensione e moderazione. Lo stesso Bohle, Segretario di Stato per i tedeschi ali' estero, pare rendersi conto dell'effetto controproducente di molte delle manifestazioni di germanesimo all'estero (anche noi ne sappiamo qualche cosa) quali vengono ora praticate. Ma c'è di mezzo il Partito e tutta una particolare Weltanschauung del germanesimo ali' estero cui sembra particolarmente duro il rinunziare.

Gli elementi moderati non cessano dall'additare l'esempio dell'Italia. Ma tant'è, certe esperienze -mi diceva l'altro giorno un altissimo funzionario degli Esteri non si acquistano se non bruciandosi le dita.

Sta di fatto che questa assise generale dei rappresentanti tedeschi nelle Americhe ha una importanza di primo piano anche per l'Italia, che vede riflettere su se stessa gran parte delle antipatie che, con le sue intemperanze, si guadagna la Germania. E rimessamente credo che-avendone l'occasione-anche noi non dovremmo, nell'interesse comune, mancare di far giungere alla nostra Alleata una parola di moderazione e di misura anche in questo campo 1 .

726 1 Il documento fu inviato in visione a Mussolini.

727

L'AMBASCIATORE A V ARSAVIA, ARONE, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

RAPPORTO 2163. Varsavia, 19 maggio 1939 (perv. il 27?).

Come ho avuto l'onore di riferire a Vostra Eccellenza col mio telegramma odierno inviato a Roma!, pur non essendovi purtroppo da registrare un'attenuazione della recisa posizione assunta ufficialmente dalla Polonia nei riguardi delle note richieste tedesche, si comincia tuttavia ad avere qui la sensazione di un desiderio polacco di riprendere dei contatti con Berlino per uscire così dalla pericolosa situazione di reciproca totale «ignoranza», che perdura ormai da fine marzo: dal suo ritorno in sede (5 maggio) questo Ambasciatore di Germania non si è infatti recato al Ministero degli Esteri, né, a quanto mi risulta, l'Ambasciatore di Polonia a Berlino avrebbe avuto delle conversazioni all'Auswiirtiges Amt. Da ciò appunto, l'importanza (che, in se stessa, potrebbe sembrare ben poca) di un ritorno a qualche contatto diretto.

Intanto, questo governo ha cercato negli ultimi giorni di rendere un po' più respirabile l'atmosfera greve dei rapporti fra i due Paesi, annullando qualche provvedimento amministrativo di autorità locali contro elementi minoritari tedeschi, mentre poi si è fatto rispondere ai recenti articoli del Ministro Goebbels, che sembravano dover avere qui eco solo negativa, con un articolo pubblicato dalla Gazeta Polska in cui, partendo dalla osservazione fatta da parte tedesca che un conflitto in Europa non sarebbe vantaggioso per alcuno, si afferma che da entrambe le parti si appare convinti «non essere impossibile una ragionevole regolamentazione dei rapporti di buon vicinato tra i due Paesi, purché siano presi in considerazione gli interessi di tutte e due le parti».

Certo, in questi ultimi giorni, vi son dovuti essere vari tentativi per smuovere i rapporti tra Varsavia e Berlino dall'attuale punto morto, in attesa che un miglioramento della situazione possa consentire una mediazione, dalla quale si è ancora lontani. Ho riferito a Vostra Eccellenza l'interessamento dimostrato da questo Ambasciatore del Giappone2 , che è stato qui gradito. Non è da escludere che consigli siano qui giunti anche da Londra. Ma indubbiamente sul governo polacco ha provocato viva impressione il leale atteggiamento del Governo Fascista ed il convincente richiamo alla realtà fatto da Vostra Eccellenza all'Ambasciatore Wieniawa3 , non disgiunto, a quanto mi è stato qui assicurato, dalla espressione di benevole disposizioni dell'Eccellenza Vostra.

Se dunque qui l'atmosfera generale sembra oggi lievemente migliorata, nulla vi è però ancora di innovato nella nota posizione assunta da Beck col suo discorso del

2 Vedi D. 687.

1 Su questo colloquio non si è trovata documentazione negli archivi italiani ma nel Diario di Ciano vi è, sotto la data del 15 maggio, un'annotazione dalla quale risulta che Ciano confermò all'ambasciatore polacco la piena solidarietà dell'Italia verso la Germania in caso di conflitto e che, finita la conversazione ufficiale e parlando da amici, consigliò moderazione: la Polonia avrebbe pagato in ogni caso le spese del conflitto, assorbita dalla Germania se l'Asse avesse vinto, diventando «una provincia d eli' Internazionale bolscevica» se l'Asse fosse stata sconfitta, comunque ridotta ad un cumulo di macerie.

5 maggio4 . Detta posizione, come ho a suo tempo riferito, è senz'altro negativa per quanto riguarda la extraterritorialità chiesta dalla Germania per le sue comunicazioni colla Prussia Orientale attraverso il Corridoio o, come dicono i polacchi, Voivodato della Pomerania polacca. Vorrà intanto accontentarsi il Reich delle maggiori e più ampie facilitazioni di traffico che la Polonia è certo disposta ad accordare?

Quanto alla questione di Danzica, la Polonia si opporrà comunque nel modo più risoluto ad ogni soluzione che suoni annessione pura e semplice della Città Libera al Reich (anche sotto forma di un plebiscito). Pur riconoscendosi qui esplicitamente il carattere nazionale tedesco di quella popolazione, si è rigidamente abbarbicati alla considerazione che il porto di Gdynia, data la sua vicinanza territoriale (una diecina di chilometri) colla regione danzichese, ave quest'ultima passasse alla Germania, sarebbe praticamente alla mercé dei cannoni tedeschi, che potrebbero tagliare in qualsiasi momento, la Polonia dal suo sbocco al Baltico. A prova della intenzione tedesca di armare i suoi porti del Baltico si adduce l'esempio recente di Memel, mentre poi i polacchi citano abbondantemente una storica frase di Federico II di Prussia secondo la quale «il possessore di Danzica e quindi delle foci della Vistola è il vero arbitro (il re) della Polonia».

Come uscire da questo vicolo cieco, ave la Germania non si accontenti per il momento di una radicale revisione dello Statuto di Danzica, che conservi però a detto territorio la sua indipendenza? È vero che Beck nel suo discorso ha fatto vaghi accenni a «compensi» da accordarsi eventualmente alla Polonia dal Reich. Ma il Fiihrer è disposto a tanto?

Comunque, nella situazione odierna ed in attesa che il tempo consenta di rispondere a questi punti interrogativi e contribuisca a calmare l'eccitazione degli animi, sarebbe già da considerare come un primo elemento positivo il lievissimo miglioramento che oggi sembra profilarsi nell'atmosfera generale dei rapporti tra i due Paesi5•

727 1 T. 2596/132 R. del 19 maggio, non pubblicato. Il suo argomento è qui indicato.

728

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, AI MINISTRI AD ATENE, GRAZZI, A BELGRADO, INDELLI, E A BUCAREST, GHIGI

T. 351/c.R. Roma, 20 maggio 1939, ore 2.

(Per tutti) Con telegramma a parte1 invio V.S. contenuto telegramma istruzioni inviate da governo tedesco ai suoi rappresentanti ad Atene, Belgrado, Bucarest2 . Governo tedesco ha suggerito che istruzioni analoghe fossero inviate anche da Regio Governo. Ho risposto che ero d'accordo.

5 Sul documento vi è l'annotazione: «Visto da S.E. il ministro».

2 Vedi D. 713.

(Solo per Atene) V.S., tenendo presente dichiarazioni fatte da governo italiano a codesto governo e contenuto telegramma governo tedesco, nonché seguito che vi avrà dato codesto ministro Germania, parli opportunamente costi per accertare intenzioni codesto governo, con cui governo i tal i ano intende mantenere migliori rapporti, mentre trattative anglo-turche non si ispirano certo a sensi di amicizia verso l'Asse.

(Solo per Belgrado) Devo escludere che codesto governo pensi in alcun modo a partecipare alle trattative anglo-turche. Mi riferisco alle esplicite dichiarazioni fattemi da codesto ministro degli Esteri a Venezia3 e in occasione visita Principe Paolo4 . Mi riferisco anche alla segnalazione di cui al mio telegramma per corriere n. 9043 del 17 maggio5 circa atteggiamento codesto governo in proposito.

V.S. tenendo presente quanto precede, nonché contenuto telegramma governo tedesco e seguito che vi avrà dato ministro di Germania, voglia comunque trovar modo parlare opportunamente costì per farsi confermare intenzioni codesto governo.

(Solo per Bucarest) V.S. tenendo presente scambio di vedute da me avuto con Gafencu6 e contenuto telegramma governo tedesco e seguito che vi avrà dato codesto ministro Germania, trovi modo parlare costì per farsi confermare che codesto governo non intende mutare atteggiamento e non si propone quindi partecipare trattative angloturche, che non sono certo ispirate a sentimenti di amicizia verso l'Asse 7 .

727 4 Vedi D. 651.

728 1 T. 350 c. R. del 19 maggio.

729

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 2600/324 R. Berlino, 20 maggio 1939, ore 14,09 (perv. ore 15,25).

Secondo informazioni questo ministero degli Affari Esteri, ambasciatore di Germania Mosca dovrebbe vedere -oggi o domani -Molotov. Egli è stato incaricato di domandare consenso Cremlino ripresa negoziati commerciali già sospesi mesi or sono. In caso di risposta affermativa, governo tedesco invierebbe a Mosca per trattative stessi esperti già inviati altra volta. Null'altro per ora 1•

4 Deli0-14 maggio. Vedi D. 705.

5 Ritrasmetteva il D. 689.

6 Durante la visita a Roma del ministro degli Esteri romeno. Vedi D. 636.

7 Per le risposte si vedano i DD. 730 (da Belgrado), 732 (da Bucarest) e 734 (da Atene), nota l.

730.

IL MINISTRO A BELGRADO, INDELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 2604/105 R. Belgrado, 20 maggio 1939, ore 15,20 (perv. ore 17,15).

Telegrammi di V.E. nn. 350/c. 1 e 351/c. 2• Mio telegramma n. 1023•

Ho veduto ieri Markovié che mi ha messo al corrente del passo compiuto giovedì scorso da questo mio collega tedesco e della risposta datagli. In sostanza: Belgrado non è stata tenuta al corrente dei negoziati per l'accordo anglo-turco, né ha potuto avere ancora elementi sufficienti di giudizio. Il che è contrario agli impegni che risultano dal Patto dell'Intesa Balcanica. L'abbandono della neutralità e l'adesione ad una qualsiasi specie di blocco extra-balcanico da parte Turchia sarebbe in contrasto colle deliberazioni prese in occasione ultima riunione del Consiglio del! 'Intesa a Bucarest4 . In questa situazione ed in ispecie per quanto intesa anglo-turca possa concernere i Balcani, lo stesso Gafencu ha desiderato concertarsi con Markovié che incontrerà domani prima di recarsi Ankara5 . Markovié si è quindi riservato di comunicarmi risultato colloquio e linea di condotta concertata. Ad ogni modo ha dichiarato tanto al mio collega tedesco che a me che rimanevano e comunque rimarranno integre le comunicazioni fatte tanto a Roma che a Berlino quanto a posizione di neutralità che Jugoslavia assumerebbe in caso di conflitto. La tendenza sarebbe qui di giungere ad una sistemazione Belgrado-Bucarest-Sofia. Sulle difficoltà che presenta la situazione ungaro-romena Markovié mi dice di aver intrattenuto personalmente a Roma il Duce e V.E.6 .

2 Vedi D. 728.

3 T. 2593/102 R. del 19 maggio. Riferiva che Cincar-Markovié attendeva di ricevere, come gli era stato promesso, le notizie raccolte da parte italiana circa l 'atteggiamento della Bulgaria nei riguardi dell'accordo anglo-turco, atteggiamento al quale Belgrado assegnava un'importanza particolare.

4 Del 20-22 febbraio.

5 Circa l'incontro tra Gafencu e Cincar-Markovié del 21 maggio a Tumu Severin si veda serie

ottava, vol. XII, DD. 20 e 21. 6 Durante la visita del principe Paolo e di Cincar-Markovié in Italia del 10-14 maggio precedenti. Vedi D. 705.

728 3 Nell'incontro del 22-23 aprile. Vedi D. 593.

729 1 Il giorno successivo l'ambasciatore Rosso telegrafava che i primi approcci compiuti da von Schulenburg non avevano portato a gran cosa perché il Cremlino si mostrava «diffidentissimo». Era stato quindi sospeso l'invio a Mosca della missione commerciale tedesca (T. 2617/325 R. del 21 maggio).

730 1 Vedi D. 728, note l e 2.

731

L'AMBASCIATORE A LONDRA, GRANDI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

LETTERA 2363. Londra, 20 maggio 1939 (perv. il 26).

Ti mando questi ritagli di stampa, i quali possono darTi un'idea abbastanza esatta dell'impressione profonda che l'annuncio del Patto di Milano 1 ha fatto in Inghilterra. La parola d'ordine data dal governo per orientare il pubblico è stata la seguente: «Nulla di nuovo nei rapporti italo-tedeschi. L'Alleanza militare che prima esisteva de facto è oggi diventata de jure». Ma è troppo, fin troppo palese, lo sforzo con cui questi circoli ufficiali cercano di nascondere dietro un'ostentata indifferenza, il loro disappunto e la loro inquietudine.

L'Alleanza militare italo-tedesca è infatti il colpo più grosso che poteva essere inferto alla politica delle democrazie e apre nuove e vaste possibilità alla Tua azione diplomatica non solo in direzione di Berlino, ma anche in direzione di Londra.

Nonostante le apparenze, che possono dare l'impressione del contrario, sono convinto che qui a Londra c'è e vi sarà molto da fare, come sviluppo della politica del Duce e da Te fissata a Milano. Le impressioni che io ho avuto in questi giorni me lo confermano. È tutto un lavoro nuovo e interessante da svolgere nei confronti degli inglesi, lavoro di dettaglio quotidiano che io ho già iniziato, in attesa di quelle che saranno le Tue istruzioni, per continuarlo nei prossimi mesi.

Dirksen, non appena rientrato da Berlino, è venuto a trovarmi. Stiamo organizzando le linee del nostro lavoro comune quali rappresentanti delle due grandi Potenze Fasciste Alleate. Ciò è stato fatto sempre, ma ancora più deve essere fatto nel futuro. Gli inglesi debbono avere la sensazione «fisica» nei dettagli minuti di servizio, non meno che nelle grandi linee generali, del «monobloccm> italo-tedesco. Con Dirksen abbiamo stabilito che d'ora in avanti noi due, personalmente o attraverso i nostri funzionari, ci metteremo quotidianamente in contatto per lo scambio utile delle impressioni e informazioni della giornata.

Giovedì sono stato a colazione da Halifax, e ieri sera ho incontrato dopo pranzo Chamberlain. Con Halifax mi sono trattenuto a lungo; con Chamberlain non ho scambiato che poche parole. Da quanto l'uno e l'altro mi hanno detto, ho tratto conferma alle mie impressioni di questi ultimi giorni: non vi è dubbio che l 'Inghilterra sta preparandosi. e seriamente questa volta. alla guerra. Il popolo minuto mostra finalmente di essere convinto che difficilmente esso potrà evadere, presto o tardi, questa tragica necessità, e che deve prepararsi, non solo nelle armi ma altresì nello spirito, ad affrontarla. La calma con cui il popolo inglese ha accettato il provvedimento della coscrizione (l'opposizione laburista alla coscrizione non è se non una superficiale commedia), varato e presentato dal governo come un provvedimento e in un'atmosfera tuttora perdurante di semi-mobilitazione, lo dimostra.

Le garanzie date dali 'Inghilterra alla Polonia, alla Romania, alla Grecia e alla Turchia hanno, sotto tale riguardo, un aspetto di politica interna, oltreché internazionale, che merita essere sottolineato. Le «garanzie» rappresentano, per questa mentalità anglo-sassone paradossale e complicata, la base «moralistica» indispensabile perché un qualsiasi governo britannico possa -quando il momento sia giunto -muovere e trascinare alla guerra, invocando impegni solenni precostituiti nei quali è coinvolto «l'onore» e la «parola» britannica, la pesante e riluttante anima quacchera di questa razza. Siamo insomma esattamente al vecchio gioco e alle posizioni inglesi del 1914, alla cosiddetta garanzia del Belgio, neutralità violata, ecc.: il falso trucco puritano al quale l 'Inghilterra ha sempre ricorso quando ha voluto o dovuto fare la guerra.

Ciò nonostante è mia convinzione che l'Inghilterra, pur preparandosi febbrilmente alla guerra, cercherà fino all'ultimo di evitarla.

Il Patto di Milano ha fatto cadere definitivamente le ultime e pur tuttavia fino a ieri persistenti illusioni su quella che avrebbe potuto essere allo scoppio del conflitto l'attitudine dell'Italia Fascista.

Vi era indubbiamente sino a ieri, nei francesi e negli inglesi uno stato d'animo, al formarsi del quale purtroppo certi italiani, antiassisti perché antifascisti, hanno indirettamente contribuito, e cioè la grottesca ma radicata persuasione che la nostra cosiddetta «libertà d'azione» nei confronti della Germania costituisse per se stessa un tale vitale e permanente interesse e una tale necessità sine qua non per l'Italia, da costringerci un giorno o l'altro a invocare noi stessi l'aiuto delle democrazie per salvare (?!) nei confronti della Germania questa cosiddetta libertà. Malgrado tutte le ostentate dichiarazioni pubbliche in senso contrario, Francia e Inghilterra hanno basato la loro politica nei riguardi dell'Italia sopra questo calcolo, il quale dimostra ancora una volta come il vecchio gioco della «libertà d'azione» non avrebbe dovuto servire nelle previsioni del Quai d'Orsay e del Foreign Office se non a indebolire la nostra azione diplomatica, politica e militare, sia nei confronti della Germania, sia nei confronti della Francia e Inghilterra.

Il Patto di Milano ci fa più forti a Londra e più forti a Berlino, accresce le nostre possibilità di azione nel campo internazionale e fa dell'Italia Fascista l'arbitra vuoi della pace, vuoi della guerra.

Infatti, l'esperienza dell'anno 1914 è troppo viva, sia a Londra, sia a Berlino, per indurre l'uno o l'altro a ripetere l'errore, fatto allora da ambedue-e non si trattava allora che della piccola Italia disarmata e democratica! -di sottovalutare il «peso» militare determinante dell'Italia Fascista.

Il Patto di Milano serve alla guerra, ma serve anche alla pace. Il suo effetto salutare si fa del resto già sentire. La diplomazia britannica durante le scorse settimane ha consigliato la Polonia ad essere conciliante e prudente. Ad Halifax, che mi domandava le mie impressioni, ho risposto semplicemente che a mio avviso, la posizione dell'Inghilterra è diventata analoga a quella della Russia del 1914. Garantendo la Serbia, Pietroburgo consegnò nelle mani di Belgrado la miccia della guerra europea: garantendo la Polonia, Londra ha dato in mano a Varsavia la miccia della guerra europea. L'Inghilterra ha contemporaneamente perduto l'iniziativa della pace e l'iniziativa della guerra.

Chamberlain, che ho trovato preoccupato, non mi ha parlato del Patto di Milano, ma soltanto mi ha domandato se avevo notizie di Tuoi eventuali colloqui con François-Poncet. Poi, dopo un po' di silenzio, mi ha domandato se io credevo che il Duce, verificandosi un'altra crisi analoga a quella dello scorso settembre, sarebbe stato disposto ad intervenire e salvare la pace del mondo. Al che io ho ovviamente replicato che non potevo dare risposte a questo genere di domande.

Tutto ciò soltanto per confermarTi, nel quadro di un Inghilterra certamente assai più risoluta alla guerra di quello che ieri non fosse, le permanenti «zone» di contraddizione, e parimenti il «peso» che l'Italia militarmente alleata della Germania ha per i nostri nemici.

Tu mi darai eventualmente quelle istruzioni che riterrai opportune per orientamento e norma di condotta2 .

731 1 Si riferisce all'annuncio della prossima conclusione dell'alleanza italo-tedesca dato 1'8 maggio.

732

IL MINISTRO A BUCAREST, GHIGI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 2614/175 R. Bucarest, 21 maggio 1939, ore 14,15 (perv. ore 15,35). Telegramma di VE. n. 351/c. 1 .

Questo ministro Germania mi ha informato essersi espresso giovedì scorso con questo ministro degli Affari Esteri nel senso di cui al telegramma di VE. 3502 .

Gafencu ha risposto assicurando che governo romeno intende restare fedele nota linea di condotta recentemente chiarita a Berlino al Ftihrer3 ed a Roma al Duce ed a V.E. 4 ed ha aggiunto: che il governo turco lo ha informato dell'accordo deciso con il governo britannico5 chiarendo che esso riguarda Mediterraneo orientale e che ha carattere difensivo nei confronti dell'Italia cui occupazione Albania ha provocato grave apprensione a Istanbul; che ministro degli Affari Esteri Jugoslavia si è rivolto a lui Gafencu, quale presidente in carica Intesa Balcanica, per fargli rilevare che accordo turco-britannico contrasta con nota decisione neutralità Intesa Balcanica: che in vista tale divergenza d'opinione si sarebbe incontrato oggi con ministro Affari Esteri Jugoslavia e si sarebbe recato dopo 8 giugno Ankara per opportune consultazioni.

Mi riservo esprimermi nel senso prescritto dal telegramma di V.E. in riferimento al ritorno di Gafencu da Turnu Severin.

733.

IL CAPO DEL GOVERNO, MUSSOLINI, AL CAPO DI STATO MAGGIORE DEL C.T.V., GAMBARA

T. UFF. SPAGNA SEGRETO l 046 1 . Roma, 21 maggio 1939, ore 21,30.

Mentre Vi elogio per il comportamento dei legionari alla rivista di Madrid, intendo che entro il mese facciano ritorno in Patria. Trasporto e sbarco a Genova devono avvenire al completo.

Fate sapere dove devo dirigere i vapori per l 'imbarco et comunicate quanto sopra al Generalissimo. Assicuratemi immediatamente.

731 2 Il documento ha il visto di Mussolini.

732 1 Vedi D. 728. 2 Vedi D. 728, nota l e 2. 3 Sulla visita del ministro Gafencu a Berlino del 18-19 aprile si vedano i DD. 577 e 579. 4 Durante la visita del 30 aprile-3 maggio. Vedi D. 636. 5 Vedi D. 712, nota l.

734

IL MINISTRO AD ATENE, GRAZZI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. 2629/64 R. Atene, 22 maggio 1939, ore 15,10 (perv. ore 16,20). Mio telegramma n. 63 1 .

Mavrudis mi ha confermato nella maniera più netta quanto già mi aveva detto nel nostro precedente colloquio (mio telegramma posta n. 49f ed ha aggiunto che è ferma intenzione del governo greco di non, ripeto non, assumere atteggiamento che possa agganciarsi ad uno piuttosto che ad un altro gruppo di Potenze, desiderio greco essendo unicamente conservare più stretta neutralità, e che a tutt'oggi nessuna richiesta è qui pervenuta di partecipare a trattative anglo-turche, né Turchia ha preso contatto alcuno con questo governo in merito alle trattative stesse. Mio collega tedesco ed io concordiamo nel ritenere pure che desiderio di questo governo mantenere linea neutralità sia integrale e che governo greco sia assai malcontento che la Turchia abbia creduto opportuno di assumere impegni verso Gran Bretagna.

2 Vedi D. 718.

735.

PATTO DI AMICIZIA E DI ALLEANZA FRA L'ITALIA E LA GERMANIA

Berlino, 22 maggio 1939.

Sua Maestà il Re d'Italia e di Albania, Imperatore d'Etiopia ed il Cancelliere del Reich tedesco ritengono giunto il momento di confermare con un Patto solenne gli stretti legami di amicizia e solidarietà che esistono fra l'Italia fascista e la Germania nazionalsocialista.

Considerato che, con le frontiere comuni, fissate per sempre, è stata creata fra l'Italia e la Germania la base sicura per un reciproco aiuto ed appoggio, i due Governi riconfermano la politica, che è stata già da loro precedentemente concordata nelle sue fondamenta e nei suoi obbiettivi e che si è dimostrata altamente proficua tanto per lo sviluppo degli interessi dei due Paesi quanto per la sicurezza della pace in Europa.

Il Popolo italiano ed il Popolo tedesco, strettamente legati fra loro dalla profonda affinità delle loro concezioni di vita e dalla completa solidarietà dei loro interessi, sono decisi a procedere anche in avvenire, l'uno a fianco dell'altro e con le loro forze unite, per la sicurezza del loro spazio vitale e per il mantenimento della pace.

Su questa via indicata dalla storia, l'Italia e la Germania intendono, in mezzo ad un mondo inquieto ed in dissoluzione, adempiere al loro compito di assicurare le basi della civiltà europea.

Allo scopo di fissare, a mezzo di un Patto, questi principi, hanno nominato loro Plenipotenziari:

Sua Maestà il Re d'Italia e di Albania, Imperatore d'Etiopia: il Ministro degli Affari Esteri Conte Galeazzo Ciano di Cortellazzo; il Cancelliere del Reich tedesco: il Ministro degli Affari Esteri signor Joachim von Ribbentrop,

i quali, dopo essersi scambiati i loro Pieni Poteri, trovati in buona e debita forma, hanno convenuto i seguenti articoli:

Articolo I

Le Parti Contraenti si manterranno permanentemente in contatto allo scopo di intendersi su tutte le questioni relative ai loro interessi comuni o alla situazione generale europea.

Articolo II

Qualora gli interessi comuni delle Parti Contraenti dovessero essere messi in pericolo da avvenimenti internazionali di qualsiasi natura, Esse entreranno senza indugio in consultazione sulle misure da adottare per la tutela di questi loro interessi.

Qualora la sicurezza o altri interessi vitali di una delle Parti Contraenti dovessero essere minacciati dall'esterno, l'altra Parte Contraente darà alla Parte minacciata il suo pieno appoggio politico e diplomatico allo scopo di eliminare questa minaccia.

Articolo III

Se, malgrado i desideri e le speranze delle Parti Contraenti, dovesse accadere che una di Esse venisse ad essere impegnata in complicazioni belliche con un'altra o con altre Potenze, l'altra Parte Contraente si porrà immediatamente come Alleato al suo fianco e la sosterrà con tutte le sue forze militari per terra, per mare e nell'aria.

Articolo IV

Allo scopo di assicurare, per il caso previsto, la rapida applicazione degli obblighi di alleanza assunti con l'articolo III, i Governi delle due Parti Contraenti approfondiranno maggiormente la loro collaborazione nel campo militare e nel campo dell'economia di guerra.

Analogamente i due Governi si terranno costantemente in contatto per l'adozione delle altre misure necessarie all'applicazione pratica delle disposizioni del presente Patto.

I due Governi costituiranno, agli scopi indicati nei summenzionati paragrafi l e 2, Commissioni permanenti, che saranno poste sotto la direzione dei due Ministri degli Aftàri Esteri.

Articolo V

Le Parti Contraenti si obbligano fin da adesso, nel caso di una guerra condotta insieme, a non concludere armistizio e pace se non di pieno accordo fra loro.

Articolo VI

Le due Parti Contraenti, consapevoli dell'importanza delle loro relazioni comuni con le Potenze loro amiche, sono decise a mantenere e a sviluppare di comune accordo, anche in avvenire, queste relazioni in armonia con gli interessi concordanti che le legano a queste Potenze.

Articolo VII

Questo Patto entra in vigore immediatamente al momento della firma. Le due Parti Contraenti sono d'accordo nello stabilire a dieci anni il primo periodo della sua validità. Esse prenderanno accordi in tempo opportuno, prima della scadenza di questo termine, circa il prolungamento della validità del Patto.

In fede di che, i Plenipotenziari hanno firmato il presente Patto e vi hanno apposto i loro sigilli. Fatto in doppio originale, in lingua italiana e in lingua tedesca, i due testi facendo egualmente fede.

ALLEGATO

PROTOCOLLO SEGRETO AGGIUNTO AL PATTO DI AMICIZIA E DI ALLEANZA FRA L'ITALIA E LA GERMANIA

Berlino, 22 maggio 1939.

Al momento della firma del Patto di amicizia e di alleanza le Parti si sono accordate sui punti seguenti:

l. I due Ministri degli Esteri si metteranno d'accordo, al più presto possibile, circa l'organizzazione, la sede e i metodi di lavoro delle Commissioni per le questioni militari e per quelle relative all'economia di guerra sottoposte alla loro direzione, secondo è previsto all'articolo IV del Patto.

2. In esecuzione dell'articolo IV, paragrafo 2 del Patto, i due Ministri degli Esteri prenderanno, al più presto possibile, le misure necessarie ad assicurare una collaborazione permanente, corrispondente allo spirito ed agli scopi del Patto, nel campo della stampa, delle informazioni e della propaganda.

In particolare ciascuno dei due Ministri degli Esteri assegnerà, a tale scopo, ali' Ambasciata del proprio Paese ne li 'altra Capitale uno o più esperti specialmente qualificati, i quali, in diretta collaborazione col Ministero degli Esteri del luogo, si consulteranno costantemente sulle misure opportune a favorire la politica de li' Asse ed a controbattere la politica delle Potenze avversarie nel campo della stampa, delle informazioni e della propaganda 1•

Durante la sua visita a Berlino per la firma del trattato, Ciano ebbe diversi colloqui. Su di essi non è stata trovata documentazione negli archivi italiani ma nel Diario di Ciano vi sono queste annotazioni sotto la data del 21-23 maggio: «Primo colloquio con Ribbentrop. Niente di mutato nei confronti di quanto fu detto e deciso a Milano. Ripete l'intenzione e l'interesse della Germania ad assicurarsi un lungo-almeno tre anni-periodo di pace. Insiste molto sull'opportunità di avvincere al nostro sistema anche il Giappone. Egli ritiene che la Russia sia debole e che non possa dare grande aiuto alle democrazie occidentali, anche se finirà col prendere posizione con loro.

Parla anche della situazione turca. È stato suggestionato da quelleggerone di von Papen e ritiene quindi che l'atteggiamento turco sia stato detenninato dalla paura dell'Italia. Gli provo con documenti originali turchi, intercettati dal nostro servizio infonnazioni, che l'ostilità ottomana è diretta anche contro la Gennania.

Infine parlo della Jugoslavia. Dico che i colloqui di Roma non sono stati sostanzialmente soddisfacenti, anche se formalmente sono apparsi tali. Dichiaro che noi non prenderemo iniziative antijugoslave fino a quando Belgrado farà una politica corretta verso l'Asse ma che rivedremo subito il nostro atteggiamento se Belgrado inclinerà verso le democrazie. Aggiungo che un movimento interno dei Croati non può !asciarci indifferenti. Ribbentrop approva ma vedo che fondamentalmente preferirebbe il mantenimento dello statu qua jugoslavo.

Himmler, invece, mi dice nettamente che noi dobbiamo tàr presto a stabilire il nostro protettorato sulla Croazia.

Col Fiihrer ripetiamo più o meno gli stessi discorsi. Si dichiara molto lieto del Patto e conferma che la politica mediterranea sarà diretta dall'Italia. Si interessa dell'Albania ed è entusiasta del nostro programma di fame una roccaforte che domini inesorabilmente i Balcani.

Himmler ha parlato a lungo delle relazioni con la Chiesa. V'è simpatia per il nuovo Pontefice e si ritiene possibile un modus vivendi. L'ho incoraggiato su questa strada dicendo che anche ai fini della popolarità de li'Asse un accordo tra Rei c h e Vaticano sarà utile».

Secondo un promemoria di Kordt (in DDT, vol. VI, D. 431 ), Ciano nel corso di questi contatti affermò che, stando ad alcune infonnazioni confidenziali, l 'atteggiamento del governo jugoslavo non era così irreprensibile come si voleva far credere e suggerì che in occasione della prossima visita del principe Paolo e di Cincar-Markovié a Berlino si parlasse agli jugoslavi in modo energico. Per quanto concerneva la Turchia, Ciano dichiarò che il governo italiano aveva già dato assicurazioni di non avere aspirazioni territoriali nei suoi confronti e che non poteva fare altro per migliorare i rapporti italo-turchi.

733 1 Minuta autografa.

734 1 T. 2615/63 R. del 21 maggio. Riferiva che il sottosegretario Mavrudis aveva dato al ministro di Germania le stesse assicurazioni che aveva dato a lui circa l'atteggiamento della Grecia nei riguardi dell'accordo tra Gran Bretagna e Turchia.

735 1 Il testo del trattato fu reso subito pubblico ma senza il protocollo addizionale.

<
APPENDICI

APPENDICE!

DOCUMENTI RELATIVI ALLA SERIE VIII

1.

IL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MUSSO LINI, ALL'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO

LETTERA. Roma, 6 aprile 1936.

Le accoglienze molto cordiali tributate a Frank a Roma 1 possono essere utilizzate ai tini della solidarietà dei due regimi. Su questa bisogna insistere specialmente negli ambienti del Partito, per controbilanciare l'anglofilia di altri ambienti.

Tale anglofilia subirà un grave colpo, quando saranno conosciuti i veri sentimenti di Eden nei confronti della Germania, attraverso un documento a firma dello stesso Eden e alcuni rapporti di Phipps2 .

La solidarietà di regime dovrebbe farsi particolarmente visibile, quando verremo allo «scontro» colla G.B. la quale non ha cambiato di una linea il suo atteggiamento di ostilità ali' Italia.

Poiché l'atmosfera è migliorata si può agire con maggiore efficacia.

l 1 Il ministro Frank era stato in visita a Roma nei giorni immediatamente precedenti e il 3 aprile era stato ricevuto da Mussolini. Si veda serie ottava, vol. Ili, D. 589 e DDT, serie C, vol. V, D. 255.

2 Si riferisce ai documenti riuniti nel «dossier Eden>> (vedi serie ottava, vol. V, D. 277, nota l) di cui il Servizio Informazioni Militare italiano (S.l.M.) era venuto in possesso. Nel fascicolo che contiene questa lettera di Suvich vi è anche la traduzione italiana del telegramma n. 74 dell'Il marzo 1936 inviato al Foreign Ofiice dall'allora ambasciatore di Gran Bretagna a Berlino. Sir E. Phipps. È questo il documento che, consegnato insieme al «dossier Eden» da Ciano a Hitler nel colloquio del 24 ottobre 1936 a Berchtesgaden, provocò «la violenta reazione» del Cancelliere tedesco registrata da Ciano nel suo appunto sul colloquio (serie ottava, vol. V, D. 277). Il telegramma dell'ambasciatore Phipps cui si fa riferimento, è pubblicato in BD, serie Il, vol. XVI, D. 65.

la.

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH, ALL'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO

LETTERA 493 7. Roma, 7 aprile 1936.

Nell'azione che svolgerà conformemente alle istruzioni contenute nella lettera del Capo del governo che Le invio 1 , sarà bene che Ella non accenni per ora ai documenti da cui risulta quali sono i veri sentimenti di Eden e del governo britannico nei riguardi della Germania2 .

Potrà tuttavia ricordare e confermare quello che da varie fonti viene da tempo concordemente e insistentemente segnalato e a cui non sembra essersi prestato costà il credito e l'attenzione che merita: che cioè l'indulgenza e lo spirito conciliante che sembrano animare la politica britannica nei riguardi della Germania non sono che la maschera di una profonda avversione ideologica e politica che non aspetta che l'occasione propizia per manifestarsi e mira intanto a addormentare e tenere a bada l'avversario.

Il programma di Eden è quello di eliminare il pericolo italiano per poi, in un secondo tempo, affrontare separatamente e risolutamente il pericolo tedesco.

È questo un tasto sul quale non bisogna stancarsi di battere.

Secondo l'occasione e l'interlocutore, V.E. potrà per ora solo genericamente accennare all'esistenza di documenti salvo a valersene, se necessario, quando Le saranno noti.

l b.

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ATTOLICO, AL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, SUVICH

LETTERA PERSONALE 1378. Berlino, 9 aprile 19361•

Ho ricevuto la tua ufficiale, accompagnante la missiva del Capo in data 6 corrente2. Puoi immaginare se e con quale ardore io mi metterò all'opera. Ma per ora almeno, niente da fare, perché tutti sono fuori.

Però, anche quando il momento sia venuto, non potrò fare niente senza i documenti. Qui hanno preso animo da quando hanno constatato che, contrariamente a quanto venivo ripetendo io sulla fede delle ripetute informazioni nostre da Londra, fra Inghilterra e Francia non c'era alcun impegno definito.

Evidentemente, avevano ragione loro. E che abbiano motivo di continuare a fidarsi dell'Inghilterra è dimostrato non fosse altro che dal contegno filo-germanico di quasi tutta la stampa inglese di fronte alle proposte di Hitler. Non bisogna dimenticare,

l a 1 Vedi Appendice l, D. l. 2 Vedi Appendice I, D. l, nota 2. lb 1 Manca l'indicazione della data di arrivo. 2 Vedi Appendice l, DD. l e la.

infatti, che la Germania si fa forte non tanto del governo, quanto della opinione pubblica inglese, di cui lo stesso governo ha mostrato di essere, in definitiva, prigioniero.

Ad incidere perciò, utilmente e a fondo, su questa situazione, difficilmente basteranno delle semplici affermazioni mie, a meno che non possa dimostrarle appoggiate a prove e documenti.

Del resto, puoi star sicuro che «l'oggi a me, domani a te» costituisce una delle «costanti» della mia azione qui e che io anche nel passato non ho mai mancato di valorizzare a quel fine ogni elemento a mia disposizione. La informazione, ad esempio che tu mi desti con telespresso del 16 ottobre n. 324 fu da me portata a conoscenza personale di Neurath e da lui fatta pervenire anche più in su.

Altrettanto e assai più farò adesso se e quando sarò provveduto di elementi nuovi.

Nell'occasione, permettomi però di attirare la tua attenzione sopra l'inopportunità che, in contraddizione con la «solidarietà» che si ha in mira di stabilire, i nostri esponenti alla S.d.N. continuino a far uso ed abuso di argomenti tendenzialmente anti-tedcschi come questi:

«Perdere l'Inghilterra era per la Francia l'aspetto negativo del problema essendovene uno positivo consistente nel guadagnare alla causa francese l 'Italia, Potenza continentale, munita di un formidabile apparato di guerra, etc.»;

Oppure:

«Hodcn ha riconosciuto con me gli errori commessi dalla politica sanzionista c la necessità di porre fine a tale politica nell'interesse stesso dei Paesi come la Francia che hanno bisogno di contare sull'Italia per la propria sicurezza».

Di espressioni simili -che non mancano di essere regolarmente riferite al Console Generale di Germania a Ginevra -tu troverai cosparsi tutti i rapporti al Ministero di fonte ginevrina.

Mi dispiace molto che non mi sia stato concesso di venire per Pasqua. Comunque, non potendo augurarti la buona Pasqua di persona, te la auguro per lettera.

2.

RELAZIONE DEL GENERALE VALLE SULLA SUA VISITA IN GERMANIA DEL 24-28 GIUGNO 19361

La relazione così concludeva:

«La conclusione delle visite compiute porta alla considerazione che al principio del '38 la Germania possedcrà la più forte armata aerea d'Europa, tutta indirizzata a scopo esclusivamente offensivo; che tutto l'orientamento della nazione è volto ad una disperata valorizzazionc dell'immenso sforzo compiuto; che la potenza aerea tedesca costituisce un fattore di formidabile peso, che è desiderabile avere amico anziché avversario».

2 1 Estratto. In proposito si veda serie ottava, vol. IV, D. 375.

3.

L'AMBASCIATORE AD ANKARA, GALLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

LETTERA PERSONALE. Jstanbul, 15/uglio 19361•

Il corriere di stamani mi ha portato, con la Sua lettera n. 8933 del 4 corrente, il documento segreto che mi affretto a restituirle2 .

Le sono oltremodo grato di questa comunicazione, come di ogni altra analoga che V.E. crederà di farmi. Essa vale a controllare e meglio comprendere la azione di questo governo e specialmente la personale di Aras. Si conferma così quanto già mi fu fatto comunicare tempo addietro da S.E. il Capo del governo e che valse appunto a controllare e meglio comprendere quello che riferii telegraficamente e con rapporto il 29 maggio u.s. 3 cioè: il desiderio di Aras di vedere continuati i patti di garanzia mediterranea, di impedire ali 'Inghilterra qualsiasi libertà di discutere con noi e soltanto con noi problemi mediterranei. L'Inghilterra ha acceduto a questa richiesta di Aras con eccessiva e soverchia fretta, quasi a fare credere che l'aiuto turco le fosse indispensabile per la sua posizione mediterranea. Il che ha inorgoglito ed insuperbito e gonfiato questi turchi oltre ogni dire.

Ma è anche prova del costante maneggio dit1ìdente ed ostile di Aras nei nostri riguardi. Quale sia la posizione ed il sentimento turco nei nostri riguardi VE. conosce bene dai miei rapporti anche recenti; la centuplicata energia italiana potrà un giorno rivolgere i suoi obiettivi sull'Anatolia.

E V. E. sa anche quale sia il mio pensiero su questa possibilità storica.

È ovvio che dal giorno del mio arrivo, e via via sempre più quanto più tale timore si è fatto acuto e preciso, ho fatto ogni mio possibile sforzo per dissipare paure, sopire sospetti, addormentare e narcotizzare inquietudini. Vi ero anzi bene riuscito fino al novembre '35, e se non fosse stato l'intervento di Aras che con la sua azione muove ogni possibile intrigo per alimentare questo innato stato d'animo dei suoi turchi, alla fine di settembre si era presa una via così buona con lsmet Inonii e Chukru Kaia, che se fosse seguitata avrebbe creato una durevole eccellente situazione fra l'Italia e Turchia e certo sarebbe stata ostacolo a quelle prospettive storiche che qui tanto si temono.

3 1 Manca l'indicazione della data di arrivo.

2 Il documento consisteva in una «informazione di fonte sicura» relativo ad un colloquio avvenuto qualche giorno prima a Ginevra tra Eden e il ministro degli Esteri turco, Rustii Aras. Quest'ultimo aveva espresso viva preoccupazione per la possibilità che, tolte le sanzioni nei confronti dell'Italia, diminuisse l'interesse della Gran Bretagna per la situazione nel Mediterraneo ed aveva manifestato grande soddisfazione quando Eden gli aveva assicurato che la Gran Bretagna intendeva continuare a collaborare con quegli Stati mediterranei con i quali erano stati conclusi gli accordi del dicembre 1935 per metterli al riparo da possibili ritorsioni dell'Italia per la loro partecipazione alle sanzioni e che comunque l'Ammiragliato britannico intendeva lasciare delle forze rilevanti nel Mediterraneo.

L'infom1azione si basava, in realtà, su un telegramma inviato da Eden al Foreign Office il 28 giugno precedente di cui il S.l.M. era venuto in possesso. Il documento è pubblicato in BD. serie seconda, vol. XVI, D. 389.

3 Vedi serie ottava, vol. IV, D. 136.

Continuo ancora con ogni mio mezzo per questa via, ma con scarsa fiducia di risultato durevole e certo. Qui ci si sentirà realmente sicuri solo se un patto mediterraneo sia o prima o poi concluso, mentre ogni fatto od ogni combinazione politica che dimostri la nostra nuova forza e l'accresciuta funzione internazionale dell'Italia, è guardata con geloso e timoroso sospetto. Si speculò fino al gennaio del corrente anno sul dissidio italo-francese, al quale si è sostituito l'itaio-inglese. Ora il riavvicinamento con la Germania è anche mal ricevuto per le ripercussioni dirette sulla P.I. [Piccola Intesa] ed indirette sulla I.B. [Intesa Balcanica], poi anche per il riflesso che ciò può avere sul gioco che la Turchia, dove è immensa l'influenza economica e culturale germanica, si è sempre ripromessa di fare anche per questa via se future esigenze politiche lo consentiranno. Ecco perché si è creduto e voluto che le intese con l'Inghilterra del dicembre '35 durassero oltre le sanzioni, cioè fino a che non fossero sostituite da un patto mediterraneo. Quando anche le dichiarazioni unilaterali britanniche cesseranno, se non si passerà presto a questa garanzia collettiva mediterranea potremo forse assistere ad un vero e proprio panico.

Parto adesso per Ankara per cercare di agguantare colà questi Ministri turchi e dar seguito alle istruzioni del telegramma 32634 arrivato ieri nel tardo pomeriggio sicché non mi fu possibile partire ieri sera stessa.

4.

L'ADDETTO MILITARE A PARIGI, BARBA SETTI, AL CAPO DI STATO MAGGIORE GENERALE, BADOGLIO

FOGLIO 600 R.P. Parigi, 14 agosto 19361•

La mattina dell'S corrente, mentre noi addetti militari esteri assistevamo da St. Julien en Provence alle operazioni della seconda giornata delle grandi manovre del sud-est, il generale Gamelin mi ha chiamato in disparte e mi ha comunicato il suo desiderio di mettere al corrente V.E. dei risultati da lui raggiunti nel suo recente viaggio in Polonia. Mi ha incaricato di comunicarLe, personalmente e confidenzialmente quanto segue, che io trascrivo nell'ordine con cui mi è stato riferito e cercando di essere quanto più, possibile fedele:

l) rcontatti da lui avuti in Polonia gli consentono di affermare che-se le condizioni esistenti l'anno scorso, dopo i colloquì di lui con V.E., sussistono tuttora--ci si deve sentire sicuri;

2) con detti contatti non soltanto si è ottenuto il senso della sicurezza, ma si è messa altresì la Germania nella condizione di non poter agire, in quanto l'alleanza tra Francia, Inghilterra, Polonia e Italia (ammessa sempre-per quest'ultima-la

3 4 Vedi serie ottava, vol. IV, D. 520. 4 1 Manca !"indicazione della data di arrivo.

continuità di validità degli accordi dell'anno scorso )2 costituisce un blocco contro cui la Germania certamente non cercherà di tentare la prova;

3) lo Stato maggiore francese non intende approfittare di un tale stato favorevole di cose per dichiarare la guerra o per spingere comunque ad essa; la Francia ha in cima a tutti i suoi pensieri la conservazione della pace;

4) tutto quanto sopra è frutto di sole considerazioni e accordi militari, in quanto il generale Gamelin non può garantire che cosa faranno le mutevoli autorità politiche.

Io ho voluto particolarmente insistere sul punto ~alquanto incerto finora ~ della collaborazione polacca, ed ho chiesto se, in conclusione, il generale Gamelin era oramai sicuro di una tale collaborazione e se io avessi dovuto confermarla a V.E.; al che il generale mi ha risposto più volte affermativamente.

Il generale mi ha poi chiesto notizie sulla salute di V.E.; gli ho risposto che le continue visite che Ella fa, anche in volo, in ogni parte d'Italia ne costituiscono il migliore collaudo.

Dal comandante Petibon, segretario del generale e che Ella ha conosciuto a Rio de Janeiro, in un momento nel quale si discuteva sulla linea di condotta del governo social-comunista francese di fronte ai governi fascisti, ho avuto la confidenza che è stato lo stesso governo francese, di sua iniziativa, il quale ha spinto il generale Gamelin a rinsaldare i vincoli militari della Francia con la Polonia, nonostante che quest'ultima abbia un governo non di sinistra.

Nel corso della conversazione il Petibon mi ha anche fatto osservare che le manovre cui assistevamo entrano nel quadro degli accordi stipulati con V.E.3 , in quanto le truppe del XIV e XV corpo d'armata, anziché essere addestrate sull'alta montagna a ridosso della frontiera italiana, come sarebbe stato opportuno se fosse intenzione di destinarle contro l'Italia, eseguivano le loro esercitazioni d'insieme in una zona arretrata di colline, simile a quella della frontiera nord-est.

Nei colloqui col generale Gamelin e col suo segretario io ho riportato l'impressione, Eccellenza, che il generale conti sempre sinceramente sui vecchi accordi con l'Italia e ne desideri assai vivamente la continuità; ma anche nutra un'ombra di incertezza o di dubbio sulle nostre intenzioni. Il desiderio vivissimo della collaborazione italiana esiste, del resto, in tutte le alte autorità militari francesi, membri del Consiglio dell'Esercito, che mi hanno intrattenuto durante le grandi manovre. Certo, tale desiderio è promosso da interesse personale francese, consolidato dalla prova schiacciante deii'A.O. [Africa Orientale] e dalla convinzione, profondamente radicata in tutte le autorità militari francesi, che la preparazione spirituale fisica e tecnica delle Forze Armate italiane ne fanno uno strumento di primo piano in Europa4 .

4 2 Riferimento agli accordi Mussolini-Laval del gennaio 1935. Vedi serie settima, vol. XVI, D. 403. 3 Riferimento agli accordi Badoglio-Gamelin del 27 giugno 1935. Vedi serie ottava, vol. l,

D. 480 e DDF, serie l, vol. Xl, D. 179. 4 Sulla prima pagina del documento Musso lini ha scritto: «importante».

5.

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, ALL'INCARICATO D'AFFARI AD ATENE, JANNELLI

T. S.N.D. PER CORRIERE 15903 P.R. Roma, 11 ottobre 1937, ore 9,30.

Questo Ministero ha appreso da Parigi 1 che il governo ellenico ha fatto un passo presso governo inglese circa le rotte assegnate alla sorveglianza italiana dalla recente Conferenza degli esperti navali in Parigi 2 .

Riferendosi particolarmente alle rotte Otranto-Zante e Chio-Creta, codesto governo ha dichiarato intollerabile un'attività italiana nelle acque delle Isole Ionie ed Egee ed aggiunto che si sarebbe rifiutato di permettere lo stabilimento eventuale di qualsiasi base sul suo territorio.

La S.V. vorrà intrattenere in proposito codesto ministero degli Esteri facendo presente che tale notizia è stata qui appresa con viva sorpresa e che il passo in questione è in evidente contrasto con i rapporti cosiddetti amichevoli esistenti fra l 'Italia e la Grecia.

Resto in attesa di sue comunicazioni al riguardo 3 .

Sa.

L'INCARICATO D'AFFARI AD ATENE, JANNELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

T. S.N.D. PER CORRIERE 12893/084 P.R. Atene, 15 ottobre 19 3 7 (perv. i/19).

Telegramma di V.E. n. 15903 1• Ho fatto oggi a questo presidente del Consiglio e ministro degli Affari Esteri la comunicazione prescrittami da V.E. Il generale Metaxas, visibilmente sorpreso che il

R. Governo fosse al corrente del passo greco, mi ha sulle prime risposto che riteneva il R. Governo fosse stato inesattamente informato poiché il passo greco non concerneva direttamente l'Italia ma in generale la questione delle basi navali in Grecia e tutte e tre le Potenze interessate, Italia, Francia ed Inghilterra. Ho obiettato che il R. Governo non poteva non pensare che il passo greco non fosse diretto esclusivamente

5 1 In realtà, l'informazione era stata tratta da un telegramma (n. 140 del S ottobre) che la legazione di Gran Bretagna ad Atene aveva inviato all'ambasciata a Roma e di cui il S.l.M. era venuto in possesso.

2 Riferimento alla Conferenza degli esperti navali francesi, britannici e italiani che il 27 settembre precedente aveva concordato i termini per la partecipazione dell'Italia alle misure stabilite dalla Conferenza di Nyon per la tutela della navigazione commerciale nel Mediterraneo.

3 Vedi Appendice I, D. Sa.

Sa 1 Vedi Appendice l, D. S.

contro l'Italia, dato che per quanto riguardava la Francia e l'Inghilterra la questione era stata già risolta a Nyon con accordi che la Grecia aveva pure sottoscritti e in base ai quali aveva anche consentito all'Inghilterra di servirsi della base navale di Lemno.

Ho aggiunto che il compito della conferenza degli esperti di Parigi essendo solo quello di preparare un progetto che consentisse la partecipazione dell'Italia alle misure disposte dagli accordi di Nyon, il R. Governo non poteva non trovare inamichevole che la Grecia rifiutasse pregiudizialmente di riconoscere all'Italia quello che, in base agli accordi stessi, aveva accordato alle altre Potenze.

Evitando di rispondere direttamente all'obiezione, il presidente del Consiglio ha rilevato l'accenno alla base di Lemno per dire che, proprio a Nyon sulla stessa questione, la Grecia aveva manifestato una decisa opposizione, non intendendo essa consentire l'uso delle acque territoriali e del territorio greco a nessuna Potenza straniera, per alcuna ragione e che si era indotta poi a cedere, solo per dimostrare il suo desiderio di cooperare alla pacificazione nel Mediterraneo e perché persuasa della necessità che l 'Inghilterra, cui era affidata la sorveglianza della zona nord orientale del Mediterraneo, potesse disporre di una base in quelle acque essendo troppo lontane le sue basi di Caifa, Cipro, Alessandria. L'Italia-ha aggiunto-ha una propria base vicina -Lero -e quindi, per quanto riguarda la rotta Chio-Creta, non ha bisogno di altre, mentre per le rotte Otranto-Zante ha la vicina base di Brindisi. Del resto, ha aggiunto il generale Metaxas, se l'Italia avesse bisogno dell'uso di un porto greco per le necessità della sorveglianza, essa non avrebbe che a chiederlo e noi saremmo pronti ad accedere alla sua richiesta. Ciò che è d'altronde negli usi internazionali, aprescindere dagli accordi di Nyon e con la sola pregiudiziale della preventiva richiesta di autorizzazione. Ma la Grecia, pur volendo offrire la più ampia ospitalità nei suoi porti alle navi di tutti i Paesi amici, desidera che il suo territorio, sia pure per zone minime e per tempo limitato, non sia oggetto di occupazione da parte straniera, ciò che offenderebbe il sentimento nazionale col ricordo di tempi e di circostanze ancora troppo vicini per non urtare la suscettibilità greca. «E infatti, proprio in questi giorni -ha proseguito il generale Metaxas -abbiamo dato una netta risposta negativa agli inglesi che chiedevano l'autorizzazione di sbarcare un contingente a Lemno a scopo di esercitazione».

Ho attirato l'attenzione del presidente del Consiglio sul fatto che la questione delle basi navali esulava dal campo della specifica circostanza sulla quale il R. Governo mi aveva dato istruzioni d'intrattenerlo e che, a mio modo di vedere, non poteva al R. Governo non apparire ugualmente in contrasto con i rapporti amichevoli fra la Grecia e l'Italia il fatto che il governo greco, credendo pregiudicati i suoi interessi o avendo comunque delle riserve e delle obbiezioni da formulare nei riguardi del progetto elaborato dai periti navali a Parigi, non avesse chiesto chiarimenti anche direttamente a Roma, ugualmente interessata nella questione, allo stesso titolo delle altre due Potenze e avesse formulato invece specifiche obiezioni ed opposizioni, prima ancora che alcuna richiesta concreta circa l'uso di basi navali fosse avanzata dall'Italia, per la quale pertanto la presa di posizione greca all'insaputa della Potenza interessata non poteva assumere che un significato inamichevole.

Evitando ancora una risposta concreta, il generale Metaxas, si è dilungato sugli accordi di Nyon e sulla disinvoltura con la quale, a suo dire, le grandi Potenze avevano trattato le piccole: «Hanno fatto quello che hanno voluto! Anzi, tengo a questo proposito a far rilevare che siamo stati proprio noi a Nyon -ha aggiunto il generale Metaxas -a chiedere che fosse assicurata la partecipazione dell'Italia alla sorveglianza del Mediterraneo e questo dovrebbe dimostrare che noi non possiamo avere alcuna obiezione contro la presenza dell'Italia in queste acque ... Poi ci hanno fatto firmare gli accordi di Nyon ... Ma prima ancora che questi accordi di Nyon entrassero in vigore, le tre Potenze si sono messe d'accordo per una conferenza di periti chiamata a modificare gli accordi stessi. Nessuna comunicazione è stata fatta ai "piccoli Stati". Nessuna consultazione si è creduta necessaria. Noi non sapevamo cosa si "tramasse" a Parigi. E d'altra parte noi abbiamo il dovere e la necessità di tenere conto della suscettibilità nazionale che non soffre di sentir parlare del territorio greco o delle acque territoriali greche come di oggetti geografici a piena e totale disposizione delle grandi Potenze. Questo noi abbiamo voluto affermare col nostro passo a Londra. E, posso aggiungere, -sono sempre parole del generale Metaxas -noi siamo in ciò perfettamente d'accordo con la Turchia, la quale ha l'uguale ferma intenzione di opporsi categoricamente all'uso di basi navali nel suo territorio, da parte di qualunque altra Potenza. È una questione che interessa la nostra dignità e anche la nostra sicurezza. Chi ci garantisce che domani non saremmo costretti a prestare delle basi anche alla Russia Sovietica? La nostra attitudine non è quindi in nessun modo diretta contro l 'Italia, per la quale tengo a ripetere che la Grecia non nutre che i sentimenti più amichevoli, ciò di cui vorrei -ha concluso il presidente del Consiglio -che il governo italiano fosse pienamente assicurato»2•

6.

L'ADDETTO ALL'UFFICIO DI GABINETTO, CARACCIOLO DI MELITO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

APPUNTO. Roma, 20 dicembre 1937.

(Pubblicato in serie ottava, vol. VII, D. 741).

Il documento al quale si fa riferimento nella nota l era costituito, in realtà, da un plico contenente la copia di quattro documenti britannici di cui il S.l.M. era venuto in possesso. l) T. 138 del 10 dicembre 1937 del ministro di Gran Bretagna a Belgrado, Campbell. Riferiva che anche se da parte italiana si cercava con ogni mezzo di ampliare il significato

Sa 2 Per le persistenti ripercussioni negative sui rapporti italo-greci provocate dali' atteggiamento tenuto dal governo di Atene di fronte all'assegnazione all'Italia della sorveglianza delle rotte prossime alle coste greche, si veda serie ottava, vol. X, D. 481.

Sull'andamento dei rapporti italo-greci doveva poi influire anche la conoscenza da parte del governo italiano di alcune dichiarazioni fatte da Re Giorgio a Eden in un colloquio avvenuto a Londra e che risultavano da un telegramma inviato da Eden all'ambasciata a Roma (n. 73 del 9 dicembre 1937) di cui il S.l.M. era venuto in possesso (la traduzione italiana del documento è conservata nelle carte di Gabinetto). Nel colloquio, Re Giorgio aveva sottolineato a più riprese il desiderio di uniformare il più strettamente possibile la politica estera del suo Paese a quella del governo britannico ed aveva espresso la speranza -comune, diceva, a tutti i piccoli Stati del Mediterraneo -che un giorno la Gran Bretagna avrebbe «messo a posto» gli italiani.

della recente visita a Roma di Stojadinovié, in realtà il governo jugoslavo non era disposto ad andare al di là con gli impegni presi con il trattato del 25 marzo precedente e Stojadinovié si poteva ritenere sincero quando affermava che non era sua intenzione vincolare politicamente il suo Paese all'Italia. Il documento è pubblicato in BD, serie seconda, vol. XIX, D. 383.

2) T. 139 del 14 dicembre 1937 del ministro Campbell. Riferiva che, secondo le istruzioni ricevute, aveva manifestato al Principe Paolo la preoccupazione del governo britannico per l'importanza assegnata alla visita di Stojadinovié a Roma. Il Principe aveva risposto di sentirsi offeso perché lo si riteneva capace di legare le sorti del suo Paese a quelle dell'Italia «che aveva avuto la responsabilità dell'assassinio di Re Alessandro, che per anni era stata il più acerrimo nemico della Jugoslavia e verso la quale ogni jugoslavo seguitava a nutrire sospetti».

3) T. 104 del 14 dicembre 1937 di Eden al ministro Campbell. Rispondendo al T. 138 di Campbell esprimeva «grandissimi sospetti» su Stojadinovié, specie dopo la sua visita a Roma dove, osservava Eden, secondo le notizie di stampa erano state fatte alla Jugoslavia delle concessioni sostanziali che non potevano essere senza contropartita da parte di Belgrado. Per questo documento si veda BD, serie seconda, vol. XIX, D. 383, nota 5.

4) T. 140 del 14 dicembre 1937 del ministro Campbell. Riferiva che, secondo quanto gli aveva detto Delbos, allora in visita a Belgrado, sia il Principe Paolo, sia Stojadinovié avevano dichiarato al ministro degli Esteri francese che nell'ora del bisogno l'esercito jugoslavo sarebbe stato a disposizione della Francia.

7.

IL MINISTRO A LISBONA, MAMELI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

RAPPORTO RISERVATISSIMO 1741/9051 . Lisbona, 4 ottobre 1938 (perv. i/14).

Ho l'onore di far seguito al mio telespresso 1706/892 in data 4 corrente2•

L'udienza del presidente Salazar -da me domandata domenica, non appena in possesso del telegramma di VE. n. l 06 in data l o corrente3 -mi è stata accordata per oggi, con una rapidità inconsueta, nei sistemi portoghesi. Il presidente del Consiglio si è fatto scusare ed ha poi ripetuto la frase egli stesso, di non potermi ricevere né al Ministero degli Affari Esteri né alla Presidenza del Consiglio, e mi ha pregato di recarmi alla sua abitazione privata. È sempre difficile giudicare delle ragioni portoghesi quando si imbarcano -e lo fanno così volentieri -in sottigliezze protocollari. Sta di fatto tuttavia che essere ricevuti da Salazar in casa sua è cosa talmente rara che passa in Lisbona per una grandissima distinzione. Non è quindi da escludere che data la ragione del

7 1 Vedi serie ottava, vol. X, D. 181, nota 5.

è Riferiva di avere presentato a Salazar i ringraziamenti di Mussolini per il telegramma di felicitazioni inviatogli dal presidente del Consiglio portoghese per il suo intervento alla conferenza di Monaco.

3 T. 775/106 R. del l o ottobre che incaricava il ministro Mameli di ringraziare Salazar per l 'invio del telegramma di cui alla nota precedente.

colloquio Salazar abbia voluto marcare un gesto di particolare cordialità, così come durante la conversazione ha sempre tenuto a mostrarsi un ospite affabilissimo.

Non sono entrato senza una naturale curiosità nella casa del «Dittatore involontario», ove non ero mai stato. La casa è nuova e credo che meriti qualche parola di illustrazione, non foss'altro per l'interesse ed i commenti che ha recentemente suscitato in Lisbona. Salazar era stato persuaso, dopo non poche difficoltà, a lasciare il vecchio e modestissimo appartamento che abitava in città, che presentava non pochi inconvenienti, specie dal lato della sicurezza. Dopo l'attentato dell'anno scorso fu decisa la costruzione di una casa a spese dello Stato, in un terreno immediatamente adiacente al Palazzo dell' Assemblea Nazionale. La casa-una grande villa quadrata di sobrio gusto moderno in cui si è cercato di introdurre elementi di stile portoghese -sorge isolata in un largo piazzale cintato da alte mura, al margine di un parco di piante tropicali come ve ne sono molti in Lisbona. La scelta del terreno è stata criticata. Si trova in uno dei centri affollati di Lisbona, nel cuore della città, ed ha due sole vie di accesso obbligate. Sorge su un declivio, completamente dominata da un giardino pubblico che si trova sulla sommità della collina. Le decorazioni interne e l'arredamento erano stati affidati ad una commissione di cui era pars magna un noto banchiere di Lisbona che ha collezioni di molto valore e passa per intenditore d'arte. Risponde al nome piuttosto inconsueto di Espirito Santo, ma nonostante tale nome è, manco a dirlo, di origine ebraica. Durante la gloriosa conquista dell'Impero ebbe contegno nettamente antitaliano. Come non pochi portoghesi della sua specie mutò colore allo scoppio della guerra civile di Spagna, divenne italofilo, e germanofilo, sostenne Franco anche finanziariamente, e concluse ottimi affari. Ad un certo momento Salazar ebbe sentore che Espirito Santo, sotto colore di ornare ed arredare la casa con uno splendore che fra l'altro non è nei suoi gusti, stava traendo con alcuni amici larghi profitti. Con tratto caratteristico dell'uomo li sospese immediatamente dalle loro funzioni, dette ordine che ogni cosa fosse finita il più economicamente possibile, ma non procedette in alcun modo contro i colpevoli.

L'interno della casa manifesta chiaramente tale origine; marmi, stoffe e arazzi pregevoli stanno accanto a cose rapidamente ed economicamente finite. Mobili moderni contrastano con altri di delicato barocco portoghese. Si sente che la mano prodiga ed interessata del collezionista ha lottato con le idee dei burocrati, e che tutto è stato di colpo arrestato dalla ferma volontà del padrone di casa.

Lo studio di Salazar è una camera molto ampia a pianterreno, è sobriamente arredata di stoffa grigio o scuro, ha mobili moderni privi di ogni ricercatezza e anche di ogni comodità, e tutto l 'ambiente ben risponde alla linea rimasta quasi ascetica dell'uomo che per molti anni pensò di dedicarsi agli ordini sacri.

Il visitatore vi cerca quasi ansiosamente un tratto personale e rivelatore. Lo trova subito. e. se è italiano. gli fa battere il cuore. Sul tavolo poco ampio ed alquanto ingombro più di libri che di carte. vi è una sola fotografia. Quella del Duce. grande con dedica autogratà. Era stato sovente raccontato questo fatto. Ma le persone che arrivano sino alla camera da lavoro di Salazar in casa sua sono rarissime. Da molti veniva insistentemente ed ardentemente affermato, da altri posto in dubbio. L'ammirazione personale di Salazar per il Duce è notissima. Ma per chi conosce il carattere di quest'uomo. per chi ne deve studiare da vicino l'opera negli alterni contrasti, pochi omaggi potrebbero apparire più alti e commoventi. come questo. costantemente reso da Salazar. dal tavolo stesso del suo più geloso lavoro, alla grandezza del Duce dell'Italia Fascista.

Ho trasmesso a Salazar il messaggio di ringraziamento del Duce per il telegramma inviatoGli, con le parole prescrittemi da V.E. Salazar lo ha accolto con evidente visibilissima soddisfazione ed ha esaltato con parole calorose l'opera «decisiva» del Duce durante tutta la crisi e per il convegno di Monaco. Come già nel gennaio scorso mi ha ricordato che egli segue con profonda attenzione l'opera del Duce e l'ascesa dell'Italia Fascista. Ha aggiunto «avete vinto. e una delle cose più notevoli è che la Russia sovietica è stata esclusa»: con un sorriso ha continuato «il patto a quattro applicato d'urgenza». Salazar irriducibilmente anticomunista si rivelava in pieno ancora una volta. Ma ha anche detto che era stato commesso, come per la guerra etiopica, lo stesso errore. Quello di non contare con la volontà del Duce e con la potenza dell'Italia. Ha concluso: «Quando il vostro Capo dice che vi è ancora gente che non vi conosce o non vuole conoscervi ha ben ragione». Pensava Salazar all'opera svolta dagli inglesi per persuaderlo che in caso di conflitto l'Italia sarebbe rimasta «perlomeno» neutrale?

È quindi passato egli stesso ad esaminare la situazione attuale per rivelare che mercé il decisivo intervento del Duce l'immediato conflitto è stato evitato, ma che, come il Duce. egli non crede che ci si possa abbandonare a soverchio ottimismo. Ha precisato che nella sua idea il pericolo di conflitto non è soppresso, ma semplicemente allontanato per il momento. Le precise parole sono state: «È partita rinviata». Gliene ho domandato le ragioni.

Salazar ha chinato un istante gli occhi su un libro aperto e ripiegato che era sul tavolo, e ha spostato con un gesto breve gli occhiali cerchiati d'oro che vi aveva posto sopra. Un gesto che ricordava irresistibilmente il professore di Coimbra. Ha cominciato la sua esposizione con un argomento che dimostra dov'è ancora diretto il suo pensiero, anche se il seguito della conversazione ha dimostrato che non è la sua vera preoccupazione o perlomeno la più grave. Ha rammentato che Hitler ha affermato che non reclamerà altre rivendicazioni territoriali in Europa. Rinuncerà allora ai tedeschi in Alto Adige. ali' Alsazia Lorena. ai tedeschi nel Belgio?

Per l'Alto Adige ho subito ricordato al presidente del Consiglio portoghese che nei problemi vi sono proporzioni che occorre tener presenti, e che vi è l'impegno solenne pronunciato dal Fiihrer a Roma; che per l'Alsazia Lorena vi sono le sue parole nel discorso del 27 settembre, e quanto ai tedeschi del Belgio quali sono le ragioni per portarli alla ribalta? Dubitare dell'affermazione pubblicamente fatta da Hitler, che non ha altre rivendicazioni territoriali in Europa, è il peggiore principio, così come non è certo la via della pace. Salazar lo ha concesso e ha ricordato la campagna scatenata dalla stampa delle varie democrazie, che ha così nefastamente influito nell'ultima crisi. Altro pericolo vedeva nella Russia sovietica e nella questione di Spagna. Ad uno ad uno sceglieva egli stesso gli argomenti della sua tesi e li scartava diminuiti. Occorre tener sempre presente il pericolo comunista; politicamente vi è tuttavia da sperare che l'U.R.S.S. sia mantenuta isolata. Per la Spagna vedeva già delinearsi una possibilità di accordo che tolga alla lunga e pericolosa vicenda almeno una gran parte della sua portata internazionale. Pareva insomma diviso tra l'irresistibile desiderio che il conflitto generale europeo sia evitato, ed il timore che scendendo realmente i problemi europei dalla fase acuta, succeda loro il numero già annunciato del programma tedesco, vale a dire le rivendicazione coloniali, la costante ossessione portoghese. Ho lasciato che vi arrivasse da solo, e vi è arrivato di colpo. Ha ricordato l'affermazione di Hitler che la questione sarà risolta senza guerra. Come? Si è domandato. Ma invece di rispondere ha ancora ricordato che la Germania vuole precisamente le sue antiche colonie. A parte le ripetute affermazioni, alcune delle quali sono dichiarazioni solenni, vi sono ragioni, specialmente psicologiche, che inducono i tedeschi a tale atteggiamento, e le ha minutamente esaminate. Aveva tutta l'aria di chi vuoi convincere se stesso. Ma il fondo del suo pensiero era chiaro. Il dramma era nella domanda cui non rispondeva. Come? Se non vi sarà conflitto armato vi saranno negoziati. E allora Salazar ecclesiastico pensa con la maggior parte dei portoghesi: «Quis custodiet custodes?». Nessuno persuaderà questo Paese che se si arriva ai negoziati la «grande alleata» piuttosto che restituire le colonie ex-tedesche che detiene, con molto rincrescimento, e con l'invocazione dei consueti superiori principì, non vorrà persuadere il Portogallo a rinunciare alle proprie. È superfluo ricordare che i precedenti in proposito sono tutt'altro che incoraggianti per i portoghesi, s'intende.

Salazar, parlando della questione spagnola, ha indicato che aveva seguito con attenzione la mossa Del Vayo a Ginevra per i volontari rossi, senza ancora intendere dove miri e che cosa significhi la strana procedura. Nella commissione politica dell'Assemblea la mozione era stata respinta su vari voti contrari, fra cui quello del Portogallo. HConsiglio aveva allora avocato a sé la mozione e deciso di accettarla con la nomina di una commissione di sorveglianza -ha notato sarcasticamente -composta di un inglese, un francese, ed un rappresentante ... dell'Iran. Il Consiglio non può farsi illusione che l'Assemblea approvi. È ciò legale nella complicata e sfuggente procedura societaria? Quale sarà la situazione della Commissione e della S.d.N. nei riguardi del Comitato di non intervento? Salazar ha concluso che ritiene che la Francia abbia voluto esautorare quest'ultimo. Aveva in ogni caso ripetuto istruzioni ali' Ambasciatore portoghese in Londra di tenersi a contatto anche su questo punto con i suoi colleghi di Italia e di Germania.

L'ultima parte della conversazione è stata molto interessante, per quanto abbia soltanto un valore di conferma, e gli avvenimenti le abbiano tolto per ora il carattere immediato. Aveva tratto all'atteggiamento che il Portogallo avrebbe assunto in caso di conflitto. Salazar ha ricordato le mie conversazioni con Sampayo ed ha precisato ancora una volta il suo pensiero. Ha detto che l'alleanza con l'Inghilterra ha carattere generale difensivo ma che non obbliga il Portogallo ad intervenire in ogni conflitto in cui l'Inghilterra sia impegnata. Nel conflitto come si delineava egli era risoluto a mantenere il Portogallo neutrale il più a lungo possibile anche se fosse stata necessaria una «neutralità benevola verso l'alleata».

Salazar ha ricordato l'attitudine paradossale in cui, in caso contrario, il Portogallo si sarebbe venuto a trovare sottolineando che per ideologia, per forma di governo è portato al Fascismo e non alle democrazie, grandi o piccole che siano. Ha rilevato la propria situazione di fronte alla Spagna. Ha detto: «Mi sono preoccupato che Franco non rimanesse scoperto alle spalle. Franco era allarmato che allo scoppio delle ostilità i francesi attaccassero immediatamente sulla frontiera con la Spagna Nazionalista per impadronirsi di tutta la catena dei Pirenei e congiungersi con i rossi. Non credo che ciò fosse probabile ma Franco ne sembrava convinto. Ho fatto uno sforzo per cercare di arrivare alla neutralità della Spagna specialmente nei nostri riguardi». Non mi ha ripetuto la domanda di Sampayo circa il nostro pensiero sulla neutralità spagnola; non deve aver dubbi in proposito. Senza precisare il particolare della garanzia della frontiera ispano-lusitana (trattative Salazar-Nicohis Franco, di cui ai miei telegrammi per corriere n. 245/061 e 246/062 in data del 27 e 29 settembre u.s.)4 , ha parlato della neutralità reciproca. Gli ho domandato come pensava che avrebbe potuto essere mantenuta nel caso in cui il Portogallo avesse dovuto concedere basi all'alleata. Ha risposto che da un punto di vista giuridico vi era il precedente storico di Gibilterra. Ma poi preoccupato certo da tale precedente che è fra i più temibili che un portoghese possa invocare ha aggiunto che le possibilità di fatto erano molte e che non vi era vantaggio a cercare di individuarle sin d'ora. Il suo principio era la neutralità il più a lungo possibile.

Ancora una volta non dubito della volontà né della sincerità di Salazar. Del resto da fonte attendibile sono stato informato in questi giorni che di tale tenore è stata la risposta alle ripetute pressioni di Londra nei giorni acuti della crisi. Ma dubito delle reali possibilità di Salazar di mantenere tale atteggiamento in caso di conflitto.

Salazar mi ha trattenuto a colloquio per quasi un'ora. Appariva questa volta più tranquillo, benché fosse lontano dall'essere tornato a quella serenità quasi mistica ch'era nel suo carattere. Fisicamente appariva sempre depresso.

Quando ho preso congedo mi ha riaccompagnato egli stesso sino alla gradinata d'ingresso. Nella sera che scendeva la gran casa silenziosa sembrava ancora più solitaria. Ho visto ancora una volta Salazar rimasto sulla soglia per rispondere cortesemente al mio saluto.

Ma nel mio spirito è rimasto il ricordo della grande stanza grigia verso cui si frange e spesso non arriva il dramma di questo Paese e di questo popolo, in cui il «Dittatore involontario» lotta solo e lontano contro le difficoltà dell'ora, contro le incertezze degli uomini e delle cose che lo circondano, e con il suo stesso spirito teoretico.

Ho ripensato all'uomo solitario ed alla grande immagine, la sola che ha posto sul suo tavolo da lavoro, nel centro della sua solitudine5 .

8.

L'ADDETTO NAVALE A TOKIO, GIORGIS, AL SOTTOSEGRETARIO DI STATO ALLA MARINA, CAVAGNARI

RAPPORTO 6 s/s. Tokio, 30 maggio 19391•

In questi ultimi tempi il Presidente del Consiglio ed i Ministri della Guerra, della Marina e delle Finanze e degli Esteri, hanno avuto una serie di riunioni durante le quali è stata discussa la portata politica e militare che dovrebbe avere il patto militare italo-tedesco-nipponico.

L'atmosfera, per così dire pubblica, nella quale si svolgono tali riunioni è quella indicata nel mio rapporto n. O19 in data 28 maggio u.s. (pag. 8-14)2 .

7 4 Vedi serie ottava, vol. X, DD. 156 e 187.

5 Il documento ha il visto di Mussolini.

8 1 Copia di questo rapporto fu rimessa lo stesso giorno all'ambasciatore Auriti che ne riferì in modo sintetico per telegramma (vedi serie ottava, vol. XII, D. 57) e trasmise poi il documento al Ministero inviandolo via mare.

2 Vedi serie ottava, vol. XII, D. 49.

Da queste discussioni è emersa una divergenza di idee specialmente tra il Ministro della Guerra e quello della Marina. Ieri, il Comandante Hanaoca (che aveva preso parte alle nostre conversazioni relative allo schema del patto) ha desiderato, di sua iniziativa, avere con me in proposito una conversazione in casa mia durante la quale mi ha detto:

l) La causa delle divergenze tra Esercito e Marina non è tanto nell'apprezzamento fondamentale della situazione quanto nella portata degli impegni che nel momento attuale sarebbe per il Giappone conveniente prendere. La Marina è convinta quanto gli altri della necessità di rafforzamento militare dei legami anti-russi ed anti-inglesi. Solo qualche vecchio elemento dell'ambiente della Casa Imperiale può ancora illudersi sulla possibilità di poter venire ad un accordo con l'Inghilterra.

II) L'Esercito però vorrebbe impegnarsi più decisamente, la Marina meno. Ciò è anche dovuto al fatto che i capi dell'Esercito sono influenzati e praticamente diretti da una cricca di elementi giovani e quindi meno ponderati, mentre la Marina, più disciplinata, ha un maggior senso delle responsabilità.

Inoltre, l'Esercito si arroga il diritto di condurre la politica estera e interna della nazione senza tener conto delle idee e delle tendenze delle varie correnti politiche. La Marina è più rispettosa della volontà del Paese: ciò che essa dice ha perciò in sostanza maggior valore.

III) Non è affatto vero che la Marina al momento di concludere il Patto si sia tirata indietro. La Marina mantiene esattamente fede a quanto vi è stato detto e vi è stato anche comunicato per iscritto3 (l'infinità di volte che il mio interlocutore mi ha ripetuto tale dichiarazione mi ha convinto che questo fosse lo scopo della conversazione da lui provocata forse per consiglio dei suoi superiori).

Sono invece gli altri, e cioè l'Esercito, che sono andati troppo avanti. Anche i nostri rappresentanti a Roma e con essi Hiraide (che deve aver ricevuto in proposito qualche rimostranza) sono andati troppo avanti.

Conversando poi di questioni generali di politica internazionale, il comandante Hanaoca mi ha detto essere sua impressione (e probabilmente anche degli ambienti della Marina) che l'alleanza italo-tedesca sia troppo vincolante e forse voluta tale più dalla Germania che non dall'Italia. «È sempre la Germania» ha aggiunto «che spinge troppo avanti le cose».

Qualunque sia l'avvenire e la lettera del progettato Patto ritengo che sarà prudente tener conto di questo spirito prudenziale della Marina che data l'indipendenza che godono le Forze Armate in questo Paese si rifletterà all'atto pratico non solo sulla portata delle operazioni militari della Marina, ma anche sull'indirizzo che essa darà alle sue predisposizioni belliche ed ai programmi di armamento.

8 3 Nota del documento: «Trattasi dello schema di Patto trasmesso con mio foglio n. 3 S/S in data 21 dicembre 1938».

9.

IL CAPO DI GABINETTO, ANFUSO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

Roma, 16 giugno 1939.

Il Duce ha chiesto un esemplare del Patto di alleanza con la Germania e ne ha [ ................. ]ticol[.]. Egli ha detto che la Spagna può entrare a far parte del sistema de Il'Asse e che è Sua intenzione farla aderire al Patto analogo conchiuso con la Germania.

[Il Duce ha] peraltro osservato che nei riguardi della Spagna l'automaticità che è implicita nell'art. 3 del Patto italo-tedesco deve essere edulcorata essendo da prevedere che la Spagna non accetterebbe di stipulare un'alleanza concepita in tale senso.

Togliendo l'automaticità di cui all'art. 3-ha aggiunto il Duce-si dovrebbe, in un certo senso, riservare alla Spagna la decisione di un eventuale intervento.

Il Duce ha pertanto ordinato di far studiare e preparare dai competenti uffici di questo Ministero un progetto di trattato in cui si dovrebbe prevedere per ora la sola modifica dell'art. 32 .

10.

L'ADDETTO NAVALE A TOKIO, GIORGIS, AL MINISTERO DELLA MARINA

RAPPORTO SEGRETO 035. Tokio, 17 agosto 19391•

Faccio seguito al mio rapporto n. 019/S del 27 maggio 1939.XVII2 .

In questo ultimo mese le vie di Tokio si sono andate tappezzando di grandi cartelli incitanti all'alleanza con la Germania e l'Italia. Non pochi stranieri insinuano che quei cartelli sono stati esposti per ordine del governo che vuole con quello spauracchio intimidire gli Inglesi con i quali sta trattando per la questione di Tientsin. Anche le manifestazioni anti-britanniche, verificatesi recentemente in varie città giapponesi, sarebbero state, secondo loro, «montate» dal governo. E che ciò abbia un fondamento di verità può essere senz'altro ammesso, se si tiene conto che in questo Paese la massa si guarda bene di arrogarsi il diritto di dire, di sua iniziativa, la propria opinione. Ma comunque, non è tutta la verità.

9 1 Il documento è danneggiato dall'umidità.

2 Da un'annotazione sul documento risulta che il 17 giugno questo appunto fu inviato alla Direzione Generale Affari di Europa e del Mediterraneo «per i seguiti del caso». Non sono stati trovati altri documenti concernenti direttamente la questione.

l O 1 L'ambasciatore Auri ti trasmise il documento al Ministero inviando lo via mare il22 agosto.

2 Vedi serie ottava, vol. XII, D. 49.

Il movimento a favore di una alleanza con l'Italia e la Germania ha realmente radici in molti ambienti politici ed è anteriore all'attuale crisi acuta dei rapporti anglo-nipponici.

Più volte per il passato il problema è stato dibattuto nella stampa ed in assemblee politiche, ed ha dato motivo, anche recentemente, ad una serie di riunioni dei cinque principali Ministri (Presidente del Consiglio, Guerra, Marina, Finanze, Esteri). Anzi, circa due mesi fa, ai primi di giugno u.s., i cinque Ministri arrivarono ad una conclusione in merito alla linea politica del Giappone nei confronti europei, conclusione che fu sottoposta all'Imperatore e da Questi approvata. Ma le riunioni dei Ministri ciò nonostante continuano ancora allo scopo di derivare e concretare, da quella linea programmatica, i provvedimenti esecutivi. E pare che i Ministri non siano affatto d'accordo. Tutto ciò dicono i giornali, e quelli esteri della vicina Cina aggiungono anche, più esplicitamente, che, mentre il Ministro della Guerra sarebbe per una stretta alleanza con le Potenze dell'Asse, gli altri quattro, pur non escludendo tale Patto politico, vorrebbero più prudentemente adottare una fonnula meno impegnativa. Le continue modificazioni che avvengono nel campo politico internazionale, sia in Europa che in Oriente, rendono poi ancora più difficile giungere ad una conclusione, spostando continuamente i termini del problema.

Per quanto non si sappia con precisione quali siano realmente i punti in discussione, non è difficile rendersi conto, per induzione logica, delle linee essenziali del problema.

-I-

Lo scopo verso il quale puntano tutte le energie giapponesi, è la costituzione del «nuovo ordine in Estremo Oriente». È fuor di dubbio che tale nuovo ordine consista, nei riguardi dell'Europa, essenzialmente, nell'esclusione di qualsiasi ingerenza politica di Potenze europee (ed americane). Nella migliore delle ipotesi, potrà essere ad esse consentita una attività economica commerciale, nei campi non contrastanti con gli interessi del blocco dello Yen. A questo atteggiamento negativo nei riguardi dei Paesi di razza bianca che hanno interessi in E.O., non può essere contrapposto nessun atteggiamento positivo. Il Giappone, a causa della sua civiltà, della sua religione e della sua concezione etica dello Stato, non sente nessun vincolo, neppure ideologico, con nessuna razza bianca. Gli ordinamenti politici e l'industrializzazione che ha adottati su modelli occidentali non hanno affatto intaccato l'essenza del suo spirito.

Ne consegue che il Giappone guarda ai problemi europei con perfetta indipendenza di spirito e cioè con assoluto egoismo3 .

l O 3 Nota del documento: «Il Patto Anti-Comintem che lega il Giappone alla Germania ed all'Italia, sembra basato, come si vedrà meglio in seguito, più su necessità politico-militari, che ideologiche. Anche l'innegabile orientamento fascista che già si delinea ed ancor più si affermerà in futuro nella politica interna giapponese, ha le sue radici nel concetto prettamente giapponese dello Stato-Famiglia, ed è spinto avanti dalle necessità contingenti. L'esempio italiano quindi suscita innegabilmente interesse, ma sarebbe imprudente fondare su questo elemento più concrete deduzioni».

-II-

Ogni giapponese realizza che la condizione sine qua non per l'attuazione del suo programma espansionista in E.O. è il permanere di uno stato di antagonismo, meglio, di un pericolo di guerra, tra le Potenze occidentali.

Il fatto che questo programma d'espansione urti contro gli interessi precostituiti Anglo-Franco-Americani e leda invece poco o nulla gli interessi Italo-Tedeschi, porta poi naturalmente il Giappone a fianco delle Potenze del!' Asse, alle Potenze cioè che avanzano pretese contro le grandi Democrazie (e relative «Lega delle Nazioni», Conferenze per il Disarmo, etc.), che posseggono e non vogliono dare.

Ma per giungere da questo affiancamento, che è naturale conseguenza dei fatti, ali' Alleanza con le Potenze dell'Asse, i passi da fare sono diversi.

-III-

Il più facile di questi passi è certo quello anti-russo. Per frenare l'espansione russa verso l 'Estremo Oriente, non è bastata la guerra del 1904, né la costituzione del Manchukuò: occorre assolutamente non solo strappare la Cina dalla influenza bolscevica in marcia attraverso la Mongolia esterna, ma anche ricacciarla dal mare, dalla Provincia Marittima da dove minaccia con i suoi aerei e con i suoi sommergibili il Giappone stesso e le sue linee di comunicazione con il Continente. Ciò potrà essere conseguito solo attraverso una guerra. Ma i Giapponesi, pur rendendosi conto di questa fatale futura necessità, dimostrano con i fatti di non desiderare in questo momento la guerra con la Russia, pur non temendone affatto l'eventualità. L'Armata del K wantung è pronta in Manchukuò ed ha forze e mezzi sufficienti: nei vari incidenti (o meglio, battaglie) di frontiera, quell'Armata ha anche dimostrato di essere perfettamente pronta. Ma fino che la guerra in Cina continua, sembra ai giapponesi conveniente di non mettere troppa carne al fuoco. Però può darsi che questa guerra scoppi sia per volontà dei russi, per appoggiare più decisamente Chiang-Kai-shek, sia per il fatale inacerbirsi delle numerose ragioni di conflitto (Sakhalin, pesca, etc.). Sarebbe evidentemente utile per i giapponesi avere allora il contrappeso tedesco (ed italiano) all'altra estremità della Transiberiana, ed una Alleanza antirussa con Italia e Germania, che garantisse tale intervento, giocherebbe in tal caso a tutto loro vantaggio.

Di conseguenza, da circa un anno, non si lasciava passare occasione (pranzo, brindisi, discorso patriottico o politico) nel quale non si inneggiasse al «rafforzamento del Patto Anti-Comintern». Ma la Germania, la più direttamente interessata delle due Potenze dell'Asse, che non erano allora ancora legate da Il' Alleanza, pareva facesse orecchi da mercante. La Russia non mostrava intenzioni offensive in Europa e di conseguenza la Germania non aveva alcun interesse a dare al Giappone quella garanzia, anzi paventava che il Giappone, sentendosi spalleggiato, precipitasse dannosamente gli eventi.

Oggi i termini della questione si sono un poco spostati. La contropartita nell'alleanza an ti russa comporterebbe naturalmente per il Giappone l'obbligo di agire contro la Russia nel caso che questa si schierasse, in una guerra europea, contro Italia e Germania. Questa eventualità, che appariva piuttosto remota un anno fa, è ora tutt'altro che improbabile, data la politica dell'accerchiamento seguita dall'Inghilterra, che tenta di aggiogare anche la Russia al suo carro. E questa contropartita è alquanto sfavorevole al Giappone, dato che lo obbligherebbe ad allargare il campo delle ostilità dalla Cina alla Russia, in conseguenza di un conflitto lontano.

Vero è che l'occasione per regolare con la Russia, una volta per sempre, la situazione in Estremo Oriente, mentre essa fosse impegnata in Europa, sarebbe certo molto propizia e tale forse da non !asciarsela sfuggire anche a costo di forti sacrifici; e vero è anche che l'Esercito giapponese, il più direttamente interessato nella questione, si sente sicuro di poter liquidare la doppia partita.

Se ne potrebbe quindi arguire che l'idea di una stretta alleanza italo-nippo-tedesca con funzione antirussa, anche se suscita qualche riserva da parte dei più prudenti dei cinque Ministri in consiglio, non deve apparire ad essi neppure oggi inaccettabile.

-IV-

Meno semplice è il problema nei riguardi di una alleanza italo-nippo-tedesca contro Inghilterra e Francia. Il Giappone infatti si trova di fronte ad Inghilterra (ed America) in una strana situazione. Mentre la sua politica espansionistica in Cina lo porta ad agire contro i loro interessi, ha invece bisogno, nel campo economico, di conservare con essi buone relazioni. E ciò non per assicurare al Paese superflue fonti di ricchezze commerciali, ma per avere le materie prime che sono indispensabili sia per la guerra in Cina, sia per gli armamenti, sia per il suo piano industriale di espansione sul continente e di attrezzamento autarchico del Paese4 . Da qui la necessità di una prudente politica che non porti a nessun urto irreparabile, fin che è possibile, con l'Inghilterra e i suoi Domini e, più specialmente, con gli Stati Uniti d'America.

D'altra parte l'Inghilterra sta facendo lo stesso gioco. Minacciata nei suoi interessi sia nello scacchiere E.O. che in Europa, ha ormai nettamente dimostrato di voler essere intransigente in Europa (politica dell'accerchiamento) e di conseguenza di non voler arrivare ad un urto con il Giappone (conferenza di Tientsin). Il Giappone ne approfitta avanzando passo passo sulla iniziativa della pressione antinglese, forzando l'Inghilterra a cedere sempre più terreno nella sua politica di sostegno a Chiang-Kai-shek.

Anche per questa prudente linea politica è però comunque indispensabile per il Giappone che la tensione tra grandi democrazie e le Potenze dell'Asse, non diminuisca in Europa. E siccome del futuro non si può mai essere certi, si potrebbe anche concludere che, per assicurarsi tale beneficio, il Giappone possa avere interesse di legarsi con Italia e Germania con un patto che garantisca reciprocamente non solo la neutralità benevola automatica in caso di guerra, ma anche un attivo reciproco appoggio politico-militare, tale da impedire all'Inghilterra, facendo in caso il viso dell'arme, la

l O 4 Nota del documento: «Vedi in proposito il rapporto n. 1189/o del 15 agosto 1939.XVII: "Il grado autarchico del Giappone"». Non pubblicato.

libertà di movimento che gli consentirebbe di far massa con tutte le sue forze in E.O. o in Europa, cosa che farebbe certamente se si sentisse sicura dall'altra parte.

Un patto di tal genere, debbono pensare i giapponesi, sarebbe utile anche ad Italia (e Germania) e quindi probabilmente ottenibile. Anche su questo punto, verosimilmente i cinque Ministri debbono essersi trovati d'accordo.

-V-

Ma se la guerra scoppiasse in Europa tra l'Asse e le Democrazie, quale sarebbe l'interesse giapponese? Entrare in campo a fianco dell'Italia e della Germania oppure no? È questo certamente il punto più discutibile e che quindi deve aver dato luogo alle maggiori divergenze.

I fautori della astensione dal conflitto debbono press'a poco aver portate le seguenti ragioni a sostegno della loro tesi.

In caso di guerra europea, tutte le risorse belliche e politiche non solo dell'Inghilterra e della Francia, ma anche dell'America, verrebbero evidentemente assorbite dalla dura lotta con le Potenze de li'Asse. In Estremo Oriente noi (giapponesi) avremo mano libera. Potremmo con la minaccia di entrata in guerra premere ancor più contro l'Inghilterra (con il che avremo anche l'aria di pagare i nostri impegni, se ne avremo presi di tal genere, verso le Potenze d eli'Asse), obbligando! a in modo definitivo a lasciare Chiang-Kai-shek alla nostra mercé. Con i Domini Inglesi, con l'Australia e con l'America, potremo continuare a mantenere gli indispensabili scambi economici.

Il nuovo ordine in Estremo Oriente ci verrebbe così automaticamente enormemente facilitato.

Né c'è da aver paura per il redde rationem alla fine della guerra europea. Anche nella deprecata ipotesi che Inghilterra e Francia vincessero, la loro vittoria sarà duramente pagata e prima che, insieme con l'America, ritrovino tanta energia da venirci ad attaccare in Estremo Oriente, passeranno degli anni. E quando si presenteranno ci troveranno ormai così radicati nel continente, così armati ed autarchici da non avere nessuna probabilità di riuscita.

Se invece ci legassimo con un Trattato di Alleanza con le Potenze Totalitarie, ci tireremmo addosso, fin da ora, tutti i sospetti «democratici» degli Stati Uniti d'America che molto probabilmente ci renderebbero la vita economicamente difficile e, qualora la guerra scoppiasse, tutte le nostre linee di comunicazione sia con l'America che attraverso Singapore, coll'Oceano Indiano, sarebbero immediatamente interrotte. Ci troveremmo a dover fronteggiare (con le sole riserve per alcune materie prime quali i combustibili liquidi, etc.), la guerra terrestre in Cina (e forse anche contro la Russia) e quella marittima contro le forze Anglo-Francesi (e forse anche Americane). Ed a questa guerra non potremmo neppure portare un peso risolutivo: a meno di non immaginare l'attacco e la presa di Singapore con conseguente possibilità di portare la nostra offesa nell'Oceano Indiano, dovremo !imitarci a risolvere il nostro problema locale Estremo-Orientale. La guerra forse sarebbe lunga e per noi, non sufficentemente autarchici, particolarmente sfibrante.

Perché dunque impegnarci fin da ora a seguire questa ardua via? Ci sarà sempre tempo, in caso, a farlo in qualsiasi momento in cui ciò ci sembrerà opportuno. Solo se prevedessimo fin da ora di dover dichiarare la guerra all'Inghilterra o di essere da questa attaccati in Estremo Oriente, ci converrebbe firmare una alleanza impegnativa per poter usufruire della contropartita. Ora no. L'Inghilterra non ha nessuna intenzione di attaccarci.

Non si può negare che il ragionamento sia logico, ma argomenti convincenti non mancano neppure per i sostenitori dell'alleanza.

Rimanendo così in attesa, possono ribattere questi, noi (giapponesi) facciamo in fin dei conti il gioco dell'Inghilterra che, sempre in malafede, cede un po' in Europa (Patto Italo-Inglese, Monaco), un po' in Estremo Oriente (conferenza di Tientsin), per impedirci di unire le nostre forze in un solo fascio, e per prendere così tempo per i suoi armamenti e per la sua politica di accerchiamento non solo in Europa, ma anche in Pacifico (Stati Uniti). Una stretta alleanza con Italia e Germania comporta certo dei rischi, ma ci darà anche il vantaggio di poter seguire fin da ora in E.O. una politica ben più decisa e redditizia nei riguardi dell'Inghilterra. Potremo subito e nettamente metterla con le spalle al muro. Ogni suo tentativo di resistenza o di rappresaglie economiche potrà essere stroncato dalla minaccia di guerra. Italia e Germania non hanno già dimostrato praticamente con le loro successive «pacifiche» conquiste quanto sia utile questo sistema intimidatorio? Con l'equilibrismo politico non giungeremo a capo di nulla.

D'altra parte, se la guerra scoppierà, saremo ugualmente costretti per il nostro interesse di intervenire subito a fianco dell'Italia e della Germania. Se la guerra europea si conchiudesse infatti con la vittoria Anglo-Francese, se non subito ed in linea militare, certo dopo qualche anno ed in linea politica ed economica, ci troveremmo contro tutto il mondo assoggettato una volta di più alla Grandi Democrazie. Non solo, ma se la guerra si prolungasse in modo da portare l'Europa alla definitiva rovina, ci sarebbe il pericolo di un dilagare del bolscevismo con un enorme aumento di potenza e di prestigio della Russia, cosa questa che sarebbe per noi quanto mai pericolosa.

In caso di guerra europea è per noi indispensabile la rapida decisiva vittoria delle Potenze dell'Asse che sola può garantire la possibilità di un nuovo ordine non solo in Occidente, ma anche in Estremo Oriente.

Tanto vale quindi non aspettare l'ultimo momento e scegliere fin da ora la soluzione completa, l'alleanza italo-nippo-tedesca, cominciando così a goderne fin da ora, in tempo di pace, i vantaggi politici, per risolvere con azione più decisa il problema cinese ed i nostri contrasti con i russi ed inglesi.

Queste due tesi in contrasto, sono, verosimilmente, quelle che tengono i cinque ministri divisi in due campi. E la naturale tendenza spirituale nipponica che ripugna dalla sensazione di sentirsi ineluttabilmente legati, in politica estera, ad un piano prestabilito di cui essi non abbiano esclusivamente il controllo, aiuta a rimandare sempre la decisione alla prossima riunione, tanto più che molti dati del problema (Conferenza di Tientsin-Atteggiamento Americano-Alleanza Franco-Anglo-Russa-Questione di Danzica, etc.), sono in continua evoluzione.

Resta poi a vedere, quando avranno deciso, cosa ne penseranno le altre presupposte Parti contraenti.

PS. del 22 agosto 1939.XVJJ: A proposito dell'atteggiamento delle «altre presupposte Parti Contraenti» giunge oggi improvvisamente (e cioè dopo la compilazione del presente rapporto) la notizia della firma del Trattato di commercio e di non aggressione tra Germania e U.R.S.S. La notizia, che dà un duro colpo a tutte le previsioni ed alla tergiversante politica estera fin qui seguita dal Gabinetto, ha destato la più profonda impressione.

APPENDICE II

DOCUMENTI RELATIVI ALLA QUESTIONE CROATA

(23 maggio I939-2 settembre I939)

1.

VERBALE DEL COLLOQUIO TRA IL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO, E L'INGEGNERE CARNELUTTI

Roma, 26 maggio 1939.

Il giorno 26 maggio 1939-XVII dell'Era Fascista, fra S.E. il Ministro degli Affari Esteri, conte Galeazzo Ciano e l'ingegner Amedeo Camelutti, delegato del dottor Vladimiro Macek, Presidente del Partito Croato dei Contadini, è stato convenuto quanto segue, alla presenza del R. Ministro Plenipotenziario dottor Anfuso, che ha redatto il presente verbale:

l) Perché il partito croato possa raggiungere gli scopi che si prefigge il dottor Macek, occorre uno spazio di tempo presumibilmente da quattro a sei mesi. Il dottor Macek tiene a precisare per il tramite dell'ingegner Carnelutti, che, in caso di conflagrazione, il Partito Croato dei Contadini chiederà l 'immediata occupazione militare dei territori croati da parte delle truppe nazionali italiane.

2) Al termine della preparazione che deve condurre al moto interno contro Belgrado, il dottor Macek farà appello all'Italia per un intervento militare. Sulle misure che verranno adottate al riguardo, il dottor Macek è disposto ad incontrarsi col nostro Stato Maggiore.

3) Immediatamente dopo l'occupazione militare italiana, verrà costituito un governo sotto la Presidenza del dottor Macek e con un Luogotenente italiano (Protettore).

4) La Croazia diventerà Stato libero federato a Roma.

5) I Ministeri degli Esteri e delle Forze Armate saranno in comune con l'Italia.

6) L'Italia manterrà le sue truppe e stabilirà il suo Luogotenente nello Stato libero di Croazia.

7) In un tempo successivo all'occupazione militare italiana ed in un'epoca da determinarsi si deciderà sulla possibilità o meno deli'unione personale della Croazia alla Dinastia italiana.

8) Il R. Governo accorda al dottor Macek un prestito di 20 (venti) milioni di dinari al cambio di oggi uguali a 2 (due) milioni di franchi svizzeri. Tale prestito sarà corrisposto in due versamenti: il primo, nella prossima settimana, il secondo due settimane dopo. La somma predetta verrà versata all'ingegner Carnelutti.

F.to Anfuso. Visto dall'ingegner Camelutti che lo sottoscrive'.

2.

IL MARCHESE DE BOMBELLES AL DOTTOR PAVELié

LETTERA. ... , 26 maggio 19391•

Qui acclusa troverete una lettera di Mauk. Vi scriverò in breve e il più importante:

Con Mile ho parlato due volte. L'ho informato circa la posizione e l'ho informato anche che ora siamo tutti nella stessa linea. Gli ho spiegato anche la situazione e le opinioni di qui. Dice che si orienterà secondo quello che gli ho detto. Non s'è riuscito a metterlo d'accordo con Mauk e non ne conosco le cause.

Gato2 ha deciso di interrompere definitivamente con Belgrado e di chiedere qui la protezione e tutto ciò dovrà avvenire entro sei mesi. Per l'appunto ora è in ballo la decisione e il mio compagno che è qui con me e che è un suo inviato porta con sé il trattato per sottoporlo alla firma di Gato. La questione si risolverà esattamente così come vi avevo già riferito a voce.

Il Conte3 ha ottenuto a Berlino che noi siamo soltanto una sua sfera di interesse e in questo senso è stato anche firmato un accordo segreto. E così oggi stiamo insieme con la Slovenia.

Questi qua ora non avranno più tanti riguardi con Belgrado ed io sono del parere che dovreste personalmente e al più presto possibile cercare contatti con questi. Il popolo da noi è tutto con Voi. Voi siete diventato un fenomeno e nelle stesse file di Gato si pronuncierà sempre più il Vostro nome. Non permettete che questo fatale momento per tutto il nostro avvenire si svolga senza di Voi!

Qui si riconosce Gato quale dirigente, ma ciò non toglie che per molteplici ragioni vi è necessarissima la Vostra presenza.

Ho l'intenzione di ritornare qui nuovamente la settimana prossima ed allora cercherò di vedervi per dirvi come stanno le cose. Questa volta non posso farlo perché non sono solo.

l 1 A proposito di questo verbale vi è nel Diario di Ciano la seguente annotazione (alla data corrispondente): «Il Duce ha letto il verbale ed approvato. Desidera però che venga contrassegnato da Macek. Pertanto l'ho inviato a Zagabria con mezzo sicuro. In settimana prossima cominceremo i versamenti a Zurigo. Mussolini è tutto preso dall'idea di frantumare la Jugoslavia e di annettere il Regno di Croazia. Giudica l'impresa abbastanza facile e allo stato degli atti credo che abbia ragione. Frattanto penso di organizzare meglio gli albanesi del Kossovo che possono rappresentare un pugnale nel fianco di Belgrado».

2 1 Sulla prima pagina del documento vi è questa annotazione: «lettera diretta da Bombelles a Pavelié ed inoltrata allo stesso per il tramite di Conti».

2 Pseudonimo di Macek.

3 Ciano.

Come s'è sfasciato il così detto accordo Vi è noto, perciò non· occorre che ve ne parli. Che i Serbi non lo vogliono è chiaro come il sole. Gato s'è comportato magnificamente e li ha abilmente smascherati.

Ora ho sempre la possibilità di poter scrivere al Conte per tramite del suo collegamento ufficiale lettere chiuse, e di questo me ne servo più che posso, così almeno hanno informazioni dirette.

Non ho letto la lettera di Mauk, ma posso immaginare quello che scrive. Non so se Mile è all'altezza del compito di rappresentarvi solo da noi, ad ogni modo spero che queste brevi ma esatte informazioni vi serviranno perché anche Voi entriate attivamente nella causa comune.

Sono molto breve per mancanza di tempo, ma spero che la settimana entrante potrò raccontarvi tutto a voce. Vi prego di scrivermi un biglietto firmato Anica indirizzato a Zagabria (mio vero nome) Gajeva ul 2.A, così potrò sapere che avete ricevuto la lettera con gli allegati. Vi saluto molto cordialmente e guardo con Voi verso il miglior avvenire con costante speranza di avervi a casa per Natale.

3.

IL MARCHESE DE BOMBELLES AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

LETTERA. Zagabria, 29 maggio 1939 1•

Prego di voler avermi per iscusato che in occasione del mio recente soggiorno a Roma, ove accompagnai l'ing. Carnelutti, non mi sono presentato all'Eccellenza Vostra, perché seguito dall'istinto, promotore del mio atteggiamento, non mi sembrava opportuno di immischiarmi in quella missione.

A vive richieste lo accompagnai a Roma perché voleva consigliarsi con me e poi perché avrei dovuto agevolare la introduzione degli eventuali fondi che sperava di ottenere dall'Eccellenza Vostra. Egli non aveva la possibilità di mettere in esecuzione e senza rischi la transazione, mentre io dispongo dei rispettivi canali per svolgere con garanzia tale operazione, come ebbi l'onore di informare già prima l'Eccellenza Vostra.

Sabato siamo arrivati qui, alla domenica abbiamo tradotto il Verbale del 26 u.s. 2 che ho dovuto dattilografare, non sapendo Carnelutti scrivere a macchina. Dipoi ci siamo recati a Rohitsch ove Macek attualmente soggiorna per cura.

Attesi al caffè fino che l'ing. Carnelutti avesse terminata la sua missione presso Macek. Dopo alcun tempo Carnelutti mi raggiunse mogio mogio, perché gli fu rifiu

3 1 Come risulta da un 'annotazione del Diario di Ciano, la lettera, inviata per il tramite del console generale a Zagabria Gobbi, fu ricevuta da Ciano il 31 maggio. 2 Vedi Appendice II, D. l.

tata la firma del Verbale o qualsiasi lettera, con la motivazione che ciò sarebbe prematuro, che Macek non avrebbe interrotto ogni relazione con Belgrado ecc. Ciò che costernò maggiormente Carnelutti era la maniera grossolana con cui Macek lo aveva trattato, la menomazione della questione in genere, come Macek leggesse l'atto con malnascosto disinteressamento ed indifferenza e come chiudesse la questione con poche parole.

Nonostante che anch'io a voce e per iscritto avevo riferito all'Eccellenza Vostra che di Macek non [ci] si potesse mai fidare completamente, era grandemente sorpreso di tale atteggiamento.

Senza dubbio l'ing. Carnelutti avrà sorpassato i limiti del suo mandato presso l 'Eccellenza Vostra e sarà andato troppo in là con richieste e promesse, ma ritengo che avesse ciò fatto optima fide, fiducioso di ricevere, poi, il benestare da Macek. Io stesso ritenevo ciò possibile presumendo che Macek prenderebbe una eroica decisione sotto l'impressione della più vasta incontrezza del R. Governo d'Italia.

Durante la impartizione delle istruzioni a Carnelutti io non ero presente, per cui -sebbene fossi esattamente informato sulle linee principali -non sono in grado di giudicare in che spirito e con che sottigliezza tali istruzioni furono date.

Non m'è ancora noto come Carnelutti riferirà il caso alla Eccellenza Vostra, forse vorrà raddolcire la amara verità, tuttavia posso assicurare che ciò ch'io qui scrivo è la pura e più assoluta verità, la di cui informazione è per me un dovere verso l'Eccellenza Vostra, anche perché ritengo che essendo Voi bene informato potrete più facile giovarci.

Dall'atteggiamento sembra oramai chiaro che Macek non si sia deciso a battere la via tracciata nel Verbale. Da lungo tempo egli è dominato dai massoni e dal giudaismo internazionale, ma ritenevo che l'andamento degli avvenimenti lo avrebbero ridotto a migliori consigli; come si vede ciò non sembra ancora il caso.

Se ora sotto tale impressione ripenso a certi sintomi nel passato, che battono con l'attuale situazione, si risveglia in me una certa sfiducia istintiva, che non mi azzardo ancora di vergare sulla carta ma nella prossima occasione riferirò a voce all'Eccellenza Vostra al riguardo.

Come croato sono sconcertato e rivoltato profondamente per il comportamento di Macek. L'Italia ci stende amichevolmente la mano, ci promette di liberarci dall'attuale servaggio e di aiutarci ad eriggere lo Stato indipendente, ed il nostro delegato ha l'ardire per non dire la sfrontatezza d'essere tanto accecato a respingere la mano tesa. Posso assicurare l'Eccellenza Vostra che se fosse possibile di pubblicare il caso, ciò sarebbe l'assoluta e repentina morte politica della popolarità di Macek, possibilmente anche quella fisica.

La grande maggioranza della popolazione croata risente oggidì con me e mantiene relazioni con Macek soltanto e fino a tanto che fa una politica di redenzione dalla tirannia di Belgrado. La maggioranza dei croati è nel cuore orientata in senso radicale e fascista per Pavelié e segue spesso con mal nascosta impazienza, anche con sfiducia, la evoluzione temporeggiatrice di Macek verso Belgrado.

Lo sfavorevole accoglimento dell'accordo di un mese fa fra Macek e Belgrado nei vasti strati del popolo croato, conferma tale premessa. Dovunque si udivano le esclamazioni «Noi non vogliamo alcun accordo con Belgrado, vogliamo la redenzione, evviva Pavelié». Nel mio ultimo rapporto avevo già accennato a ciò.

Dall'atto del 26 u.s, e dalle informazioni dell'Eccellenza Vostra a Carnelutti, spero di poter dedurre, che il R. Governo d'Italia stia attualmente sulla ferma convinzione che una Croazia indipendente fosse nel proprio e più urgente interesse e nell 'interesse di tutta la politica dell'Asse.

Ripetutamente mi sono permesso di additare ai grandi utili politici, militari ed economici che potrebbero risultare da una Croazia indipendente. Qualora la mia speranza fossa fondata e la mia premessa esatta, che cioè il R. Governo d'Italia desidera uno sviluppo delle cose come accennato nel Verbale del 26 u.s. e si è deciso di metterlo da sé in esecuzione, prego di voler accogliere la mia seguente ben ponderata assicurazione:

Non è indispensabile la collaborazione di Macek per la attuazione del su riferito programma.

Le organizzazioni di Pavelié che si fanno di giorno in giorno più forti in Paese, possono raggiungere lo stesso, col medesimo effetto e nella forma specialmente voluta dell'appello all'Italia, invocante aiuto in nome di tutta la Croazia.

Dette organizzazioni avevano sempre il mandato di votare obbedienti per Macek. Esse sono per numero e potrei dire per il loro Fascismo dinamico senz'altro in grado di esercitare una pressione su Macek e sulla mèta della sua politica, dinnanzi cui Macek dovrà capitolare.

Esse sarebbero facilmente, di buon grado e presto nella possibilità di promuovere una insurrezione in Croazia e di pregare dali 'Italia aiuto ed intervenzione, qualora l'Eccellenza Vostra non tenesse incondizionatamente fermo sull'appello di aiuto e di intervenzione da parte del Tribuno eletto nel dicembre 1938.

Se pure tale circostanza non ha gran significato, riconosco che per le democrazie occidentali essa potrebbe dire qualche cosa.

I nazionalisti della Croazia, orientati in senso fascista, stanno sotto la direzione -per ora ancora segreta -del dottor Emanuele Gagliardi, oriundo italiano, naturalizzato croato, vecchio collaboratore di Pavelié, noto personalmente al Duce, il quale con le sue informazioni sventò l'attentato in occasione dell'apertura della Esposizione di Bari nell'anno 1934 ordito contro il Duce. È ugualmente noto anche al Console Rochira.

Io, da parte mia, sono sempre fermamente disposto a collaborare e combattere con tutte le mie forze alla riscossione della Croazia per garantirle un posto al fianco deIl' Italia.

Nel momento attuale sarebbero ancora ben altre cose da comunicare all'Eccellenza Vostra, che però sorpassano l'orbita di una relazione epistolare. Qualora l'Eccellenza Vostra mi volesse prossimamente ricevere prego una informazione telegrafica per il tramite del locale Consolato, affinché io non giunga in un tempo inopportuno. 48 ore dopo ricevuto il telegramma potrei annunziarmi in udienza all'Eccellenza Vostra di cui mi professo con ossequi.

4.

L'INGEGNERE CARNELUTTI AL CAPO DI GABINETTO, ANFUSO

LETTERA. Zagabria, 30 maggio 1939 1•

Il plico convenuto2 mi fu debitamente rimesso domenica mattina.

Dopo fatta la traduzione in croato, mi sono recato dal dottor Macek il quale si trova in Slovenia per cura d'acque.

Presentatogli il documento il dottor Macek lo studiò accuratamente, rimanendo estremamente impressionato.

Dopo lunga discussione e chiarificazione egli mi dichiarò quanto segue:

l. visto che nel frattempo aveva ricevuto un messaggio da Belgrado, che lo pregava di attendere un prolungamento delle discussioni sul patto croatoserbo a dopo il ritorno del Principe Paolo da Berlino;

2. -avendo aderito a questa richiesta ed essendo suo principio di non legarsi con firma ad una seconda parte, quando con la prima le trattative non erano definitivamente rotte; 3. -poiché questi punti così precisati sono di tale portata da dover domandare un consiglio di intimi collaboratori, anche se gli erano stati accordati i pieni poteri, non si sentiva in grado di affrontare tanta responsabilità senza un più maturo esame. Ha pregato perciò di concedergli alcune settimane di tempo per la decisione.

Circa i singoli punti, il dottor Macek ha fatto due obiezioni principali, che riguardano:

l. la Luogotenenza, circa la quale disse di non intenderne chiaramente la necessità;

2. la comunità del Ministero delle Forze Armate. Su questo punto, egli desidera la formazione di un'Armata Nazionale croata, sia pure sotto comando supremo italiano. Per quanto riguarda il Ministero comune degli Esteri egli è pienamente d'accordo.

Ha pure accennato alla convenienza di una unione doganale.

In relazione a quanto sopra non posso far altro che pregare V.E. di acconsentire al su accennato rinvio, pregando nel contempo che il previsto incontro a Zurigo venga rinviato.

Mi permetto ancora esprimere la mia opinione personale: ebbi purtroppo la prova del dubbio già espresso a V.E., che il dottor Macek, conoscendolo da più di vent'anni, non aveva per il momento il coraggio di assumere, anche con la firma, le responsabilità precisate.

4 1 Da un'annotazione sul Diario di Ciano, risulta che la lettera, inviata tramite il console generale a Zagabria Gobbi, giunse a Roma il 31 maggio. 2 Contenente il D. l di questa Appendice II.

Non appena il dottor Macek mi avrà informato delle decisioni prese mi riservo di presentarmi nuovamente a V.E. Restituisco intanto, come d'accordo, il verbale, di cui ho tratto copia e traduzione3 .

5.

IL MARCHESE DE BOMBELLES AL DOTTOR PAVELié

LETTERA. Trieste, 9 giugno 19391•

Prima di tutto Vi ringrazio della Vostra lettera con la quale mi avete tranquillizzato assicurandomi che avete ricevuta la mia con gli allegati. La mia lettera è stata in certo qual modo di stile telegrafico perché, per scriverle, ho dovuto approfittare del momento in cui ero incontrollato dal mio compagno di viaggio l'ingegnere C. 2 del quale Vi ho parlato a voce. Ma questa volta sono venuto qui in forma straordinaria, e da solo, per scriverVi la presente e mandarvi l'acclusa lettera scritta dai nostri forzati, e perché Voi possiate leggere tutto questo con maggiore facilità, ho portato la macchina da scrivere.

Quello che è accaduto da noi in questi ultimi tempi Vi è sicuramente noto. L'accordo è stato rotto. Gato 3 stesso mi ha dettato quello che ne devo comunicare al Conte4 , al quale posso scrivere soltanto ora e per giro di posta, e mi ha fatto conoscere i suoi punti di vista presentati alla riunione, pare che abbia avuto luogo 1'8 maggio, e qui ha confermato certo letteralmente quello che mi aveva detto già precedentemente. Il suo discorso e la risoluzione l'abbiamo mandate al Conte in traduzione. In quel momento pareva di spirito molto combattivo e malcontento verso Belgrado. I suoi rappresentanti erano in molte cose ancora più radicali di lui e in quella seduta il Vostro nome è stato pronunciato più di una volta. Il contegno di Gato giustificava la speranza che si sarebbe finalmente deciso per quello che il Conte aveva più volte chiesto e cioè che provochi il movimento interno, interrompa con Belgrado e chiami l'Italia in aiuto perché crei lo Stato libero ed indipendente. Dal comportamento di Belgrado anche il più ignorante poteva dedurre che essi non molleranno dal loro potere nemmeno un centesimo e che per quello che concerne la Bosnia non potranno mai mettersi d'accordo.

4 3 A proposito di questo documento vi è nel Diario di Ciano questa annotazione (sotto la data del31 maggio): «Il Duce, cui mostro la lettera di Camelutti, è d'avviso di attendere i risultati della visita del Principe Paolo a Berlino. Poi pensa che si possono fare alcune concessioni sullo stato futuro della Croazia, contentandosi di avere il Ministero degli Esteri in comune e l'esercito sotto il nostro controllo».

5 1 La lettera fu fatta pervenire tramite l 'ispettore di Pubblica Sicurezza Conti, incaricato della sorveglianza di Pavelié, che prima di consegnarla dietro istruzioni di Anfuso, ne fece fare la traduzione che qui si pubblica.

2 Amedeo Camelutti.

3 Pseudonimo di Macek.

4 Ciano.

Forse non conoscete questo interessantissimo dettaglio delle trattative e cioè come è stato accettato il plebiscito per la Bosnia e Srijen. Cvetkovié disse che non poteva cedere a Gato i Serbi di Lika e di Banjaluka senza almeno interpellarli prima e allora Gato ha risposto abilmente: ma io sono d'accordo con Voi perché li interpellate, però in caso dovreste interpellare tutti. E così s'è arrivati all'idea del plebiscito che è stato, come pare, anche il maggior ostacolo per la realizzazione dell'accordo.

L'amico Ingegnere Amedeo mi ha comunicato questi giorni che ha intenzione di andare nuovamente dal Conte, forse gli riuscirebbe ad accelerare la cosa. È andato da Gato e gli ha detto che aveva avuto l'invito divenirci, ma non era il caso poiché vi era andato di propria iniziativa. Ha avuto due lunghe conferenze con Gato e Kosutié ma purtroppo conosco soltanto in linea generale quei colloqui e non nei loro particolari. Ad ogni modo dopo questi colloqui andò laggiù e il 18 maggio partì5 col Conte il quale gli disse che per il momento non aveva tempo disponibile perché doveva partire per Berlino e che ritorni il 25 maggio. Si presenta quale rappresentante di Gato e pare che anche qui abbia alquanto oltrepassato la verità. In una lettera6 avevo preannunciato al Conte il suo arrivo dicendo, e ho ripetuto la sua affermazione, che veniva per concludere definitivamente l'accettazione di Gato con l'Italia. Ma poiché ero per un istinto scettico in questa faccenda, mettevo sempre riserve per la mia persona e per i miei principi e così ora passo certamente per un lungimirante. In principio non volevo avere i legami troppo intimi con questa azione, e questo lo avevo accennato anche al Conte, nella mia sub-coscienza c'era qualche cosa che mi diceva: «Bada a quello che fai». Tuttavia il 25 maggio venni a Roma con lui e il 26 lo attesi dalle 10 alle 13, il tempo che egli sedeva al Palazzo Chigi. Io, grazie a Dio, ero soltanto osservatore e mai attore.

1126 maggio il Conte e l'ingegnere s'erano già quasi accordati7 , e il Conte voleva già perfino dare il denaro per Gato quando disse che prima doveva però andare a chiedere il consenso di Muso Kesedzija8 . Ritornò dopo mezz'ora con l'incarico di comporre un verbale che doveva poi essere firmato da Gato, dopodiché la cosa sarebbe stata perfetta. Di questo in linea generale Vi avevo parlato nella mia ultima. Il detto verbale9 conteneva otto articoli. Conosco perfettamente il suo contenuto perché l 'ho tradotto a Zagabria per Gato. È naturale che non ho potuto portar m eco il suo esatto testo, ma comunque cercherò di ricostruirvelo in base a degli appunti.

Il testo si componeva dell'introduzione delle tre persone che hanno formulato i loro scopi fondamentali. Il terzo di dette persone è l'aiutante del Conte il quale ha anche compilato il testo:

l) Gato provocherà entro 4-6 mesi il movimento interno e proclamerà la separazione dalla Serbia perché l'Italia possa operare; 2) Eseguiti i preparativi Gato invierà l'invito all'Italia chiedendole l'aiuto contro Belgrado;

5 5 Sic. Leggasi: «parlò». Su questo colloquio si veda il D. 706, nota 3.

6 Vedi D. 706.

7 Vedi Appendice Il, D. l.

8 Pseudonimo di Mussolini.

9 Vedi nota 7.

3) Subito dopo si formerà il governo croato sotto la presidenza di Gato;

4) La Croazia diventa Stato completamente libero;

5) Il Ministero degli Esteri e il Ministero della Guerra sarà in comune con quello Italiano; 6) L'Italia terrà nello Stato Croato libero le truppe di occupazione e il Luogotenente; 7) La questione se può o non insediare sul tronco croato la dinastia di S. (Savoia) si risolverà più tardi; 8) A Gato si dà un imprestito di 20 milioni di dinari allo scopo di incominciare con le azioni preparatorie.

Nell'articolo 5 e 6 non era chiaro se questo vale solo per il primo momento, cosa che sarebbe naturale, oppure si sottointendeva per sempre, cosa che è quasi incomprensibile. Purtroppo il nostro ingegnere non è sufficientemente politicante per poter schiarire questo punto, ma trattava altre questioni meno importanti.

Oltre a ciò, il Conte ha detto altre due cose di massima importanza. Prima che in occasione del suo soggiorno in Germania ha concluso col Capo del Reich, oltre il già noto accordo, un patto segreto col quale la Germania rinuncia a qualsiasi influenza politica ed economica entro le frontiere dell'attuale Jugoslavia e che riconosce nella più completa sfera degli interessi italiani tutta la Slovenia, Maribor, ecc. Ora è chiarissimo perché il Fiihrer del Reich ha dichiarato che le frontiere jugoslave gli sono sacre ed inviolabili. E in verità lo sono, ma non nei riguardi del nostro principe reggente, bensì nei riguardi di Muso Kesedzija col quale si era già messo d'accordo in questo senso. Dunque su questo punto di vista sappiamo come dobbiamo regolarci.

Anche la seconda dichiarazione è molto interessante poiché ha detto che all' Asse è indifferente se le Potenze occidentali concludano o non l'accordo con la Russia perché l'Asse metterà in effetto il suo programma senza riguardo a quello che gli altri faranno, e la guerra, almeno per il momento non si farà.

Con questo abbozzo dell'accordo siamo dunque ritornati a casa, cioè il medesimo è stato portato in una busta sigillata da un corriere speciale che ha avuto l'ordine di aspettare a Zagabria fino che l'Ingegnere non ricevesse la risposta di Gato.

Il giorno di Pentecoste siamo andati nuovamente insieme, io sempre come osservatore e consigliere, a Rogaska Slatina dove soggiornava Gato. Questi nel primo momento non si è lasciato disturbare nel suo giuoco a carte e poi dopo pochi minuti il nostro Ingegnere è stato già sbrigato e licenziato. Ha appena letto il verbale bagatellizzando tutto e ha detto che non vuoi firmarlo perché non è il momento adatto, che spera ancora di accordarsi con Belgrado, ecc.

Appena saputo questo, ho capito che si trattava di affari inetti e ringraziavo Dio e il destino di non essermi assunto la responsabilità di enorme smacco.

Il lunedì di Pentecoste comunicai al Conte a mezzo del porta-voce ordinario la più pura verità, mentre l'ingegnere il giorno successivo comunicò al Conte la verità un po' falsificata e mitigata, ignorando naturalmente la mia lettera.

Io subito dopo questo fatto incominciai a raccogliere gli indizi e sintomi che potrebbe interpretare il contegno di Gato e riandai spiritualmente a tutti i colloqui che si sono svolti tra lui e i suoi collaboratori e così giunsi alla seguente convinzione. Gato non s'è mai deciso di seguire la via che noi gli abbiamo proposto e che ora ha preso la decisione di seguire sulla via opposta. Lui e i suoi seguaci hanno ricevuto molto denaro dagli inglesi, cosa che si vede in molti posti, e poi sono inclinati alla democrazia e contrari al fascismo. Per schiarire meglio la situazione il 6 corrente mese sono andato da lui e così ne ho sentite di crude e di cotte. Grazia a Dio egli ignorava che io conoscevo il contenuto del verbale e per conseguenza ha potuto parlare con maggiore libertà.

Sono più di dieci anni che difendo il popolo croato dai due estremi: comunismo e fascismo, e lo guido sulla via della democrazia. Se Belgrado aderirà nettamente all'Inghilterra, cosa che farà senz'altro, poiché l'oro della Banca nazionale è stato mandato là, perché la visita del principe a Berlino è stata una visita di congedo, e perché stiamo costruendo enormi fortificazioni lungo la frontiera italiana, ecc., e questo accadesse prima che si venga ad un accordo tra me e Belgrado, allora io non potrei più avere la possibilità di impedire al popolo croato di aderire totalmente ali' Asse. Inoltre, l'Inghilterra non vuole garantire la Jugoslavia finché non si sarà risolta la questione croata perché non vuole difendere uno Stato che non si difende da sé. Dobbiamo metterei d'accordo per ottenere anche noi la garanzia. Io non posso permettere che il popolo croato si metta dalla parte del più debole perché l'Inghilterra prima o dopo ne ricaverà il di più. Ha detto inoltre: Io ho eccellenti contatti con l'Occidente per mezzo di Krnjevié ecc. Inoltre quando ritornerà il principe riprenderemo le trattative e sono certo che io e Cvetkovié la vinceremo, perché così desidera l'Inghilterra ecc.

Se non fossi stato preparato a sentire qualche cosa di simile, mi avrebbe preso un colpo. Così opportunamente mascherato sono riuscito a conoscere la verità ed ora possiamo regolarci secondo essa.

Dunque Gato conduce una politica totalmente inglese e vuole conservare l 'unione con la Serbia e con lo Stato iugoslavo il quale dovrà mettersi sotto la protezione dell'Occidente. È evidente che il denaro inglese ha molto contribuito a questa decisione. La Gospoderska Sloga (Cooperativa) la quale fino a poco tempo fa non disponeva nemmeno di un migliaio di dinari, ora può spendere milioni con la massima facilità. Kosutié comperava e pagava in contanti tutte le azioni del Hrvatski Dnevnik, ha investito milioni nella tipografia ecc. Così pure Scholl col Zagrebacki List (giornale) che fabbrica articoli come se il suo direttore fosse un inglese.

Questo orientamento è naturalmente nascosto al popolo per timore che abbandoni tutto in massa Gato e aderisca a Voi.

Subotié ha tenuto 14 giorni or sono un discorso in Dalmazia dove fra l'altro ha detto che i croati saliranno il Golgota insieme ai serbi e cioè in guerra contro l'Italia e questo passo è stato riportato solo dai giornali belgradesi, mentre quelli di Zagabria l 'hanno omesso.

Io non so come Roma reagirà quando saprà cosa le sta preparando. Finora stava sul punto cioè di non voler intervenire che sul nostro esplicito invito cioè di Gato. Ma quando vedrà che Belgrado e Gato marciano unitamente, allora forse si deciderà di muoversi e condurre la cosa con noi cioè con Voi e senza Gato e che del resto sarebbe meglio così.

Ho chiamato oggi da qui il Ministro degli Esteri a Roma per evitare troppo lunghe attese quando sarei venuto laggiù, ma purtroppo il Capo Gabinetto Anfuso parte stasera e ritornerà soltanto mercoledì, cosicché domani tornerò a casa, prima però gli devo scrivere una lettera chiedendogli se il Conte mi potrà ricevere.

Se tutto andrà bene, questo potrà avvenire verso la fine della settimana, dal 15 al 18 corrente. Io allora avrò cura di procurarmi nuovamente il permesso di potervi vedere e sono molto curioso di sapere che razza di paese solitario ci sceglierà questa volta il nostro vecchio amico. Molte cose che ora non posso dire per iscritto, ve le racconterò a voce e per di più allora sapremo anche cosa dice il Conte su tutto questo.

Qualche volta mi incontro coi Vostri fedeli forzati, per loro Voi siete un Dio. Forse Voi stesso non siete conscio di quale autorità godete oggi in Croazia. Cerovski ha composto l'acclusa lettera che è conosciuta anche da Glad, Herzeg e naturalmente anche da Manko. Tutti desidererebbero un Vostro messaggio diretto e una più forte influenza direttiva. Mile è da tutti sospettato come democratico ed antifascista, sebbene alcune sue dichiarazioni hanno smentito tutto questo, ma essi sono fervidissimi fascisti. Sono stato anche con Mile. Egli non dichiara molte cose, ma io non dubito della sua buona volontà, sebbene non so se abbia disposizioni naturali di un Capo o del suo sostituto. Potrete riavvicinarvi ancora all'Italia Ufficiale. Questo ora sarebbe certamente necessario. Questo potremo forse esaminare meglio quando ci incontreremo.

Post scriptum.

Quando ho finito la lettera ho avuto una telefonata del nostro amico di Pisa10 il quale mi ha promesso che Vi trasmetterà la lettera.

Se avete la possibilità di poter comunicare con Mile, sarebbe bene che sollecitiate la sua riconciliazione con Manko che del resto non vi sono motivi di contrarietà e dall'altra parte non è che un ostacolo per una attività concorde.

La risposta all'acclusa lettera potete indirizzarla a Cerovski o a Manko e se non avrete l'occasione prima, potrei portarla io quando verrò in Italia.

Vi prego per un biglietto come l'altra volta, perché possa sapere se avete ricevuto la presente. «Saluti» significa che avete ricevuto la lettera, «cordiali» significa che risponderete e «molti» significa che desiderate ulteriori notizie con lo stesso mezzo che Vi porterei la prossima volta.

6.

IL CONSOLE GENERALE A ZAGABRIA, GOBBI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

TELESPR. RISERVATO 3403/351. Zagabria, 21 giugno 19391•

Il signor Jean Martin, redattore capo del Journal de Genève, che un mese addietro si trovava in Jugoslavia per un giro giornalistico, unitamente ad un gruppo di corrispondenti di giornali di Paesi, così detti, neutri, è ritornato nella scorsa settimana per svolgere le interviste che nel corso del precedente viaggio non aveva

510 L'ispettore generale Conti. 6 1 Manca l'indicazione della data di arrivo.

potuto effettuare. Egli infatti aveva chiesto di essere ricevuto dal Principe Paolo, ma non aveva potuto avvicinarlo; neppure in occasione della nuova venuta, a quanto mi risulta, ha avuto udienza.

È stato ricevuto dal Presidente Cvetkovié. Parlando sulla questione croata il signor Cvetkovié disse a Martin essere sua convinzione che l'accordo si sarebbe raggiunto, tanto più che il Principe Paolo si manifestava attualmente in favore dell'accordo stesso. Aggiunse che nel corso delle trattative non si erano previste, perché l'iniziativa pareva accompagnata da un generico assentimento dei principali elementi politici, le difficoltà sorte al momento conclusivo a causa dell'atteggiamento dei circoli militari e di altri fattori meno in evidenza. Il signor Cvetkovié aggiungeva ancora essere sua profonda convinzione che l'accordo gioverebbe al consolidamento della situazione interna e che da parte sua nulla si sarebbe tralasciato agli effetti del raggiungimento di una intesa.

Il signor Martin ha avuto poi a Kupinec (podere del dottor Macek) una lunga conversazione con il Capo Croato. Accompagnava il dottor Martin questo Vice Console di Svizzera ed assisteva pure al colloquio il deputato croato dottor Andres, persona di fiducia di Macek. Questi, interpellato in merito all'accordo col governo di Belgrado, disse che da parte sua, malgrado le resistenze manifestatesi anche in seno al proprio partito, era stato fatto tutto il possibile per raggiungere una equa soluzione, che si riteneva fosse anche nel particolare interesse jugoslavo e che a mezzo dei suoi organi politici e di stampa continuava a perorare in favore dell'accordo. Doveva aggiungere però che, nel suo intimo, aveva ormai forti dubbi che i fattori di Belgrado, indipendentemente dalla buona volontà del signor Cvetkovié e dalle concilianti disposizioni che sembravano animare il Principe Paolo, volessero seriamente pervenire all'intesa. Il contrasto contro l'accordo si manifestava con ogni specie di motivi defatigatori e con continui ritorni a tentativi di riesame delle basi già concretate. Il dottor Macek asserì di essersi lasciato giuocare in precedenza, quando, malgrado le più insistenti richieste da ogni parte della Croazia che si manifestava ostilissima, egli impose che si rispondesse lealmente alla parziale mobilitazione allora effettuata. Soltanto la paura che emergessero lo scandalo e le conseguenze derivanti dall'attitudine generale della popolazione ha costretto allora i poteri di Belgrado a mostrarsi proclivi a condurre innanzi le trattative. Qualora una seconda fase delicata dovesse ripetersi, e l'accordo non fosse concluso, nessun assentimento sarebbe dato ed anzi il contrasto croato si sarebbe manifestato in pieno nei riguardi delle necessità militari.

Indi il dottor Macek aggiunse che. comunque. dopo qualche po' di ulteriore attesa. ove nulla fosse stato concretato. egli avrebbe senz'altro fatto appello alla Germania e questo caso doveva segnare la fine della Jugoslavia.

Il dottor Macek si manifestava nella conversazione con un non celato senso d'ira e con espressioni così decise, tanto che il signor Martin ne uscì assai impressionato. Egli disse, a chi lo accompagnava, che se non avesse dovuto restringere la materia alla misura giornalistica la pubblicazione delle cose ascoltate avrebbe prodotto molto senso.

Quanto sopra corrisponde all'essenziale del rapporto inviato da questo Vice Console di Svizzera al proprio governo, rapporto che è stato dato in cognizione ad un mio amico, persona di tutta serietà, ed a cui il signor Martin teneva a far conoscere il contenuto delle sue conversazioni con le personalità jugoslave.

Per quanto riguarda il contenuto delle dichiarazioni del signor Cvetkovié non vi è molto da rilevare, essendo le cose, nei termini stessi, risapute. Dalle dichiarazioni di Macek si rileva un abbondante senso di sfiducia relativamente alle intenzioni di Belgrado. Il desiderio del dottor Macek di giungere all'accordo è, senza dubbio, assai accentuato. Egli si trova nella situazione di chi deve necessariamente arrivare ad una conclusione a scanso di perdere il suo prestigio di fronte ai croati. dando adito al prevalere delle correnti nazionaliste più radicali. genericamente cioè dell'ideologia frankiana e concretamente del seguito paveliciano. il quale costituisce. il punto nero di molti elementi del Partito Rurale e probabilmente di Macek stesso. È mia impressione che il dottor Macek sarebbe disposto a negoziare ancora, facendo qualche concessione ulteriore rispetto alle basi già concretate con il Presidente Cvetkovié, ma che ne è trattenuto dal pensiero di fare il giuoco dei circoli di Belgrado miranti a togliere contenuto all'accordo ed esautorare il capo croato. Il filo che mantiene Macek nella situazione pseudo ottimista che traspare da qualche comunicato o dichiarazione giornalistica, è dato dai contatti mantenuti col Presidente Cvetkotié, dai continuati affidamenti di quest'ultimo, dall'attitudine che il governo sembra abbia preso contro l 'interpellanza Stojadinovié relativa alle trattative con i croati e dalle raccomandazioni attribuite al Principe Paolo. Come si vede si tratta di modesti spunti sedativi, che potrebbero anche essere troncati da un momento all'altro, con o senza una crisi ministeriale.

L'asserzione più manifestamente importante della conversazione di Macek con il signor Martin è quella che riguarda il proposito, in difetto dell'accordo con Belgrado, di fare appello alla Germania con la conseguenza della dissoluzione jugoslava. Questo, unitamente al tono vibrato delle espressioni di Macek, profila essenzialmente un aspetto impressionistico che Macek ha voluto dare alla sua intervista. Credo che Martin sia piuttosto legato con gli inglesi ed è perciò ovvio che egli riporti la impressione ricevuta agli esponenti britannici di Ginevra (in uno dei suoi articoli chiama Macek il T iso jugoslavo). Macek certamente presume che la manifestata presa di posizione a favore della Germania, produca un certo senso a Londra e ne consegua quindi una pressione inglese a Belgrado in favore dell'effettuazione dell'accordo. Questa ipotesi è avvalorata dal fatto della presenza al colloquio del deputato dottor Andres, il quale è testé partito per la Francia. L' Andres è in ottime relazioni con Marchandau ed è quindi probabile che anche al governo francese venga richiamata la testimonianza di Jean Martin.

Di concreto vi è da notare, come conclusione, che all'infuori dell'impegno, pei motivi già accennati che Macek mette nel tentare l'accordo, le possibilità dello stesso apparirebbero, salvo circostanze speciali, dilazionate ovvero un po' meno favorevoli rispetto alla sostanza prevista in precedenza. Ritengo inoltre che Macek si manifesti sinora soltanto a parole, circa la eventualità di cambiamento di sua direttiva2 .

6 2 Il documento reca il timbro «Visto del Duce».

7.

IL CONSOLE GENERALE A ZAGABRIA, GOBBI, AL CAPO DI GABINETTO, ANFUSO

LETTERA 1 . Zagabria, 22 giugno 1939 (perv. il 26).

Ho accennato nel mio telespresso 3403/351 2 , trasmesso con pari corriere, e che si riferisce a circostanze dei primi giorni della scorsa settimana, come il dottor Macek, a costo di addivenire ancora a rinunzie su quanto concordato fra lui ed il Presidente Cvetkovié, tenesse in modo assoluto a raggiungere una intesa, per il timore di perdere il suo potere.

Mi risulta. al momento di chiudere il corriere. che. a mezzo di un fiduciario. Macek ha concertato di trovarsi domani o dopodomani a Brdo in colloquio col Principe Paolo. in seguito. però ad aver egli rinunziato ad ogni pretesa per quel che concerne le richieste di assegnazione o di plebiscito circa la Bosnia ed il Sirmio. Detta questione era quella che ha fatto sorgere le maggiori difficoltà per l'accettazione del protocollo di intesa Cvetkovié-Macek.

Pare inoltre che il Principe Paolo insisterà decisamente a far recedere Macek da un altro importante punto già fissato, cioè quello dell'effettuazione, da parte dei croati, del servizio militare nell'ambito del proprio territorio autonomo.

Sono questi i principali punti, l'uno già acquisito e l'altro in discussione, dai quali si otterrebbe la rinunzia da parte di Macek. In queste condizioni. salvo difficoltà all'ultimo momento. è quasi certo che l'accordo si faccia.

Tanto a Belgrado che su Macek si sarebbe esercitata in questi ultimi giorni una insistente azione inglese. Per quello che riguarda Macek, mi viene detto, nel momento, che il noto Krnjevié da Ginevra ha fatto le insistenze più impellenti e decise per persuadere il capo croato ad accedere ad un accordo qualsiasi, affer[ mando] che questo è il pensiero dei circoli britannici e che ciò corrisponde all'interesse sicuro dei croati, in quantoché la situazione politica e militare generale si presenta del tutto vantaggiosa per l'intesa delle democrazie.

Il Krnjevié affermava inoltre, sempre in base alle sue intelligenze con i detti circoli britannici, che, dopo la soluzione delle grosse soluzioni [leggasi: questioni] internazionali pendenti o dopo l'eventuale conflitto, l'Inghilterra sarebbe certamente venuta in aiuto ai croati per far loro ottenere altri gradi verso la loro piena libertà ed avrebbe altresì accordato i mezzi finanziari interessandosi allo sviluppo croato. L'importanza in atto, secondo Krnjevié, era di consolidare la situazione jugoslava, per comuni e sicuri vantaggi presso l'intesa democratica.

Quanta parte l'azione del Krnjevié sia valsa [su] Macek per indurlo a recedere dalle posizioni che parevano, s[ul]le di lui ripetute dichiarazioni, il limite ultimo per

7 1 Il documento è stato danneggiato dall'umidità. 2 Vedi Appendice II, D. 6.

il suo [con]sentimento all'accordo, non potrei dire. Data la struttura dell'uomo e il localizzato suo ambito politico, mi pare che i suoi attua[li] piegamenti siano piuttosto conseguenza della sua difficile posizione locale.

Mi risulta che egli ha fatto partire ieri sera, probabilmente per una missione a Roma, il deputato Berkovié.

È ritenuto che la nuova situazione di autonomia croata, per i due Banati della Sava e della Dalmazia fino a Ragusa, dovrebbe stabilirsi nei suoi termini principali entro il corrente me[ se] e che, se però la cosa non avesse ancora effetto, si passerebbe ad [una] soluzione prettamente centralizzata con tenore militare3 .

8.

IL CONSOLE GENERALE A ZAGABRIA, GOBBI, AL CAPO DI GABINETTO, ANFUSO

LETTERA. Zagabria, 26 giugno l 9391•

I reciproci sondaggi belgradesi e macekiani in relazione al progetto di definizione della questione croata, il quale era rimasto arenato, hanno potuto soltanto dimostrare che da parte del dottor Macek vi è una certa pieghevolezza, che però non arriva ad accogliere i criteri dell'altra parte. Quindi, subito dopo un generale ottimismo lanciato da Belgrado ed accettato anche da ambienti vicini a Macek, la cosa è caduta con una smentita in pieno dell'organo macekiano. Si è trattato certamente di un intento dimostrativo, non convinto né serio.

La fase rimane sempre quella riassunta nel mio rapporto in data 21 corrente n. 34032 .

La questione ha tutta la probabilità di trascinarsi, salvo circostanze specialissime, anche se si aggiunge una azione persuasiva dal di fuori, piuttosto alla lunga, se pure ne uscirà qualche cosa3•

9.

IL DOTTOR PAVELié AL CAPO DI GABINETTO, ANFUSO

PROMEMORIA. [Siena], 3 luglio 1939.

La situazione politica jugoslava, come si presenta oggi, è stata illustrata concisamente dal signor Due Croci 1 nei suoi memoriali, particolarmente quello del 26 giugno. La politica di strettissima alleanza con gli Stati delle democrazie Occiden

7 3 Il documento ha il visto di Mussolini.

8 1 Manca l'indicazione della data di arrivo.

2 Vedi Appendice II, D. 6.

3 Il documento ha il visto di Mussolini.

9 1 Pseudonimo di de Bombelles.

tali è tradizionale. Perciò la Jugoslavia si schiererà a fianco di questi Stati in qualunque momento decisivo. Tale politica estera è dettata non soltanto dai vecchi legami di tutti i regimi della vecchia Serbia con queste na[zi]oni, ma sopratutto dall'atteggiamento e dalla disposizione dell'intero popolo serbo, particolarmente dei circoli intellettuali, dei circoli militari e dell'influentissimo clero serbo-ortodosso. È noto l'attaccamento del popolo serbo ai suoi «grandi alleati» che in Serbia è diventato già proverbiale.

Non esiste nessuna personalità, non ci sarà mai un partito o un governo che potrebbe imporre al popolo serbo una politica estera diversa da questa, né potrebbe schierarlo contro queste Potenze. Ma per di più la Jugoslavia in un eventuale conflitto non potrebbe rimanere neanche neutrale quando si tratti di quelle nazioni, per la volontà delle quali è stata essa stessa creata sotto l'egemonia serba a danno dell'Italia.

Per poter ritornare anche formalmente su questa linea di politica estera, il governo belgradese si è trovato costretto a tentare la soluzione della questione croata, la quale presentava finora l'unico ostacolo al riguardo. Da tutte le dichiarazioni fatte finora da parte di tutti quelli che lavorano su questa soluzione, risulta indubbiamente, che si tratti soltanto di questioni di politica estera, cioè, al cospetto degli avvenimenti internazionali il governo di Belgrado deve avere la possibilità e la libertà di schierarsi apertamente a fianco delle democrazie, che non può fare senza grave pericolo, fino a tanto che non sia raggiunto un accordo con i Croati. Nelle concessioni ai Croati questo accordo andrà incontro ai desideri del popolo soltanto in tale misura, per quanto sia necessario di giustificare i suoi fautori, e dare a loro la possibilità di presentarsi al popolo con qualsiasi successo, ma tuttavia non andrà mai tanto lontano da poter danneggiare l'unità statale o per di più indebolire la forza militare dello Stato. L'accordo con i Croati deve servire al governo di Belgrado, in realtà unicamente contro l'Italia, perché non avrebbe nessun altro risultato positivo salvo quello di agevolare la presa di posizione avversa alle mire imperiali di politica fascista.

L'attuale governo di Belgrado, venuto al potere esclusivamente con questo incarico, tratta la soluzione della questione croata sulla base dell' «accordo» con il dottor Macek, capo del partito contadino. Ma questo partito rappresenta il popolo croato soltanto [f)ormalmente. Il popolo partecipa alle manifestazioni del partito perché per ora non ha nessuna altra possibilità di manifestare la sua compattezza e perché i capi gli dicono che tutto quello che si fa avviene in completo accordo con il dottor Pavelié e che abbia a servire soltanto per imbrogliare il governo serbo. Qualsiasi accordo col governo belgradese è contrario alle vere intenzioni del popolo croato, e significherebbe un maggiore pericolo per le nostre aspirazioni nazionali. La creazione dello Stato indipendente di Croazia è la questione vitale del popolo croato, ed è necessario che il suo ristabilimento avvenga appunto con l'aiuto dell'Italia fascista. Questo è l'interesse del nostro popolo, interesse che noi consideriamo identico agli interessi del popolo italiano, col quale dividiamo confini comuni, una stessa religione, dal quale abbiamo ricevuta la cultura e la civiltà, e col quale ci legano indissolubili legami di interessi economici.

Con tutto ciò, che dalla parte dei capi del partito contadino si sia dimostrata l'incomprensione di questi assiomi, e che a loro manchi ogni coraggio per iniziare una azione per la separazione dai Serbi, il nostro movimento è capace di eseguire da sé nella patria tutto quello che è necessario per iniziare l'azione concreta e creare in dato momento tale situazione, che possa provocare e giustificare l'intervento d'Italia.

L'atteggiamento dei capi del partito contadino non rappresenta nessun ostacolo. Il nostro movimento lo abbiamo cominciato nel 1928 non soltanto senza questi capi sebbene contro di loro, trovandosi questi allora ancora sulla linea di collaborazione con i Serbi in via parlamentare. Con tutto ciò non soltanto non potevano impedirci, ma dovevano anzi assecondarci fino al rovescio della dittatura belgradese.

Oltre i sentimenti generali del popolo, aderiscono completamente e persino apertamente al nostro movimento:

l. la massima parte degli intellettuali;

2. -l'intiero clero; 3. -quasi intiera borghesia delle città minori e maggiori; 4. -la grande maggioranza della gioventù compresa quella studentesca.

Quello che riguarda i contadini, aderisce al movimento la maggioranza di tutte le province cosiddette stokavite, cioè nella Zagora (retroterra) di Dalmazia, Bosnia ed Hercegovina, Lika e Slavonia. Ultimamente è cambiata anche la situazione nel Zagorje (regione a nord di Zagabria), giacché anche qui il popolo si dichiara apertamente per il nostro movimento, malgrado che là il partito radiciano era sempre forte.

Appena si vedrebbero i primi segni della attività del nostro movimento e che la azione avesse l'appoggio dell'Italia, allora la grande maggioranza del popolo si schiererebbe nelle nostre file anche formalmente, e parteciperebbe attivamente alla azione.

Il piano particolare, che corrisponderebbe alle nuove circostanze bisogna elaborarlo in comune e si potrebbe passare in brevissimo tempo anche alla sua esecuzione. Per stabilire i dettagli del piano, e per poter decidere che cosa si debba realmente e particolarmente eseguire, bisogna mettersi in contatto con alcune persone, che a suo tempo saranno designate a capeggiare particolari azioni nel riguardo territoriale e nel riguardo delle diverse specie del lavoro.

Preventivamente, finché si metta in moto questo lavoro, sarebbe necessario appoggiare il lavoro di preparazione generale in Patria, che consisterebbe in propaganda clandestina e organizzatoria all'uopo di una preparazione generale per l'azione, mantenendo però in un primo tempo la segretezza degli scopi.

Il nostro movimento con l'azione liberatrice vuole conseguire:

l. la separazione delle terre croate dalla Serbia per ristabilire lo Stato croato;

2. -la strettissima collaborazione di questo Stato con l'Italia nel campo politico, economico ed internazionale; 3. -introduzione in questo Stato di un ordine politico e sociale basato sulle idee di dottrina fascista, per quanto di più si possa applicarle alle circostanze della nazione, poiché secondo la nostra convinzione, questo è indispensabile per la conservazione del nostro popolo.

10.

IL CAPO DI GABINETTO, ANFUSO, AL CONSOLE GENERALE A ZAGABRIA, GOBBI

LETTERA 5549. Roma, 6 agosto 1939.

Ti prego di convocare Bombelles e di dirgli, in relazione alle recenti conversazioni che egli ha avuto qui a Roma, che non è possibile -per il momento -aderire alle sue richieste e che tutto deve restar fermo.

Puoi aggiungere che egli non sarà dimenticato e che ci si riserva di fargli conoscere, a suo tempo, quanto sarà necessario. Attendo un tuo cenno di assicurazione e ti invio molti cordiali saluti 1 .

11.

IL CAPO DI GABINETTO, ANFUSO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

APPUNTO. Roma, 22 agosto 1939.

Il Marchese Bombelles mi ha detto:

l) che le trattative di Macek col governo jugoslavo sono destinate questa volta ad andare in porto. Esse non hanno lo stesso contenuto delle precedenti e i serbi le hanno volute concludere a tutti i costi. Nonostante tale accordo la popolazione croata continua a desiderare l'indipendenza e Macek ha scontentato in maniera definitiva la Croazia;

2) che tutti i punti esposti nei precedenti promemoria rimessi a V.E. vengono confermati nel senso che Pavelié è in grado di poter condurre, anche servendosi dei croati attualmente in Italia, un'insurrezione destinata ad allontanare per sempre i serbi dalla Croazia;

3) che tale insurrezione può essere effettuata con un preavviso di due settimane e mettendo a disposizione di Pavelié una somma che Bombelles non può precisare ma che fa ascendere approssimativamente ad uno o a due milioni di franchi svizzeri;

4) che un'azione condotta da Pavelié ha le garanzie del successo poiché, a parte l'immensa popolarità che egli gode in Croazia, i serbi non possono essere in nessun modo in grado di far fronte all'insurrezione;

5) che è evidente che, compiuta la prima fase della agitazione in Croazia a base terroristica, i croati aspettano in un secondo tempo le truppe italiane, così come era

l O 1 Il console Gobbi rispondeva con lettera de li'8 agosto di avere fatto la comunicazione e di avere avuto l'assicurazione nel senso desiderato.

stato fissato nel promemoria che a suo tempo venne rimesso all'ing. Camelutti e che Bombelles stavolta si impegna ad eseguire come piano di azione mentre si dichiara disposto ad accettare tutti i successivi suggerimenti che V.E. volesse comunicargli nell'udienza che ha l'onore di chiedere per mio tramite.

12.

IL CAPO DI GABINETTO, ANFUSO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, CIANO

APPUNT01 . Roma, 24 agosto 1939.

Ante Pavelié, col quale ho avuto un lungo colloquio ieri a Siena, mi ha confermato le disposizioni e le informazioni di Bombelles circa la possibilità di una insurrezione in Croazia.

Ho esaminato con lui tutti i punti relativi alla impostazioni di una sedizione tanto in Croazia che in Dalmazia in Bosnia e in Slavonia, sedizione che consenta, in un secondo tempo, la chiamata delle truppe italiane in quelle regioni e la instaurazione di un regime che, come lo stesso Pavelié ha detto, permetta alla Croazia di essere materialmente unita all'Italia se[ppu]re f[ormal]mente in possesso di una certa autonomia.

l. [Ho de]tto in primo luogo a Pavelié che quello che p[reoccupa] è l'azione del Partito contadino di Macek e [sopratutt]o il timore che Macek, massone, notoriamente attratto dall'influenza delle Potenze occidentali e adesso sul punto di firmare un patto con Belgrado, possa seriamente ostacolare il movimento capeggiato da Pavelié.

Pavelié dice che il Partito contadino rappresenta soltanto di nome il popolo croato e che esso deve la sua esistenza al fatto che i croati non hanno nessuna possibilità di manifestare i propri sentimenti di indipendenza al di fuori di esso. Pavelié è d'avviso che occorra immediatamente smontare la presunta popolarità di Macek con un'efficace azione di propaganda orale e a mezzo di stampati, propaganda che potrebbe essere iniziata subito e della quale egli si assumerà la direzione. Pavelié ha continuato ripetendo quanto del resto aveva fatto noto in una precedente comunicazione, che l'accordo di Macek con Belgrado non può, cioè, significare assolutamente nulla. Esso è contrario alle intenzioni del popolo croato il quale aspira alla creazione di uno Stato indipendente. Il popolo croato identifica i suoi interessi con quelli del popolo italiano [co]l quale [c]ond[ivi]de [r]eligione e ideali e del quale vuole seguire [il destino. Ha] aggiunto che il suo Partito è nato nel '28 [contro il Par]tito di Macek che collaborava allora con i serbi [nella Scu]pcina. Il popolo croato sa questo, come egli constata dai rapporti che intrattiene con la Croazia e vuole liberarsi dei serbi e lo farà in ogni modo. Oggi l'occasione si presenta più propizia che mai ed il movimento da lui creato

12 1 Il documento è stato danneggiato dall'umidità.

aderisce completamente alle sue istruzioni. Pavelié ripete che il ceto intellettuale è con lui e con lui sono l'intero clero, la borghesia di tutte le città della Croazia, la maggioranza della gioventù nonché i contadini del retroterra di Dalmazia, Bosnia, Erzegovina, Lika e Slavonia. Macek recluta la massima parte dei suoi aderenti nel Zagabrese, ma anche in quella regione i contadini si sono avvicinati al suo movimento.

Richiestogli quale sorte possa essere riservata a Macek e ai suoi aderenti in caso di un'insurrezione e successivamente nella eventualità della entrata delle nostre truppe, Pavelié mi ha risposto: «Macek perderà tutto il suo seguito se i croati sanno che devono la loro indipendenza all'Italia. Comunque, sarà mia cura, al primo momento, rendere innocui tanto lui che i suoi amici». Com'è noto, Pavelié ha una concezione politica tutt'altro che romantica.

2. Pavelié afferma che se è necessario dar subito il seg[no della riv]olta in Croazia, anche senza il predetto lavoro [di propagandJa anti-macekiano, la cosa potrebbe subito esse[re att]uata. Anche recentemente gli «ustasci» dietro suo [ordine] hanno compiuto con successo degli atti di sabotaggio. È indispensabile però che, appena la rivolta è scoppiata in tutte le regioni della Croazia, le truppe italiane intervengano immediatamente poiché le popolazioni disarmate non potrebbero opporre una seria resistenza alle truppe serbe adesso praticamente mobilitate. Sarebbe preferibile che la rivolta succeda ad una energica azione di propaganda la cui durata dovrebbe essere soltanto di due o tre settimane. Circa i dettagli dell'insurrezione, essa dovrebbe svolgersi nei seguenti termini che Pavelié ha già tracciato precedentemente:

l) contemporanea esecuzione di atti di sabotaggio in diverse località;

2) contemporanea scesa «in piazza» del popolo con dimostrazioni rivoluzionarie;

3) esecuzione da parte di rivoluzionari di atti [di violen]za contro le istituzioni e rappresentanze dello [Stato] jugoslavo; 4) interruzione di comunicazioni con la Serbia [ed] eventualmente con l'Ungheria e la Germania;

5) co[ ntempo]ranea consegna ai Rappresentanti esteri di comunicazione della decisione del popolo croato del distacco co[mpl]et[o da]lla Serbia, e della ricostituzione del millenario Stato [Cr]oato;

6) un app[ell]o all'Italia fascista rivolto al Duce a nome di già costituito Potere rivoluzionario ed a nome dell'intero popolo per chiedere l'intervento.

3. Sull'assetto futuro della Croazia, dopo la entrata delle truppe italiane, Pavelié non è entrato in precisazioni. Si ricorderà che precedentemente egli aveva fatto sapere che si sarebbe potuto instaurare uno Stato libero croato innalzando al trono un Principe di Casa Savoia come fondatore di una nuova Dinastia Croata col titolo storico di «Re di Croazia e di Dalmazia», specificato «Re di Croazia, Slavonia, Dalmazia, Bosnia, Hum, Usora e Soli». Ricordò allora che sul trono croato sono già stati due Regnanti che, seppure angioini, erano regnanti italiani, cioè Carlo Roberto e Carlo Martello di Napoli ed aggiunse che nella stori[a croat]a molta menzione è fatta del Principe Eugenio di S[avoia] cantato nelle poesie serbe sotto il nome di Eugen Savojski. In questa occasione, Pavelié si è limitato a dire che sarebbe importante soprattutto la formazione di un esercito nazionale croato (Domobranstvo) cioè di quello che gli austriaci denominavano Landwehr e gli ungheresi [ ...... ].

Pe[r questo] io gli ho accennato a quanto era stato tracciato n[ el pro]memoria che venne a suo tempo consegnato a Camelutti [e che Pa]velié non conosceva.

Pavelié [si è di]chiarato d'accordo. Ha detto anzi che la rappresentanza estera dovrà senz'altro passare all'Italia, per quanto egli vedrebbe con soddisfazione un solo rappresentante diplomatico dello Stato Croato: quello in Italia. Circa le frontiere del nuovo Stato ha aggiunto che esse andrebbero dalle attuali alla linea che passa dalla Bocca di Cattaro lungo il fiume Drina fino alla confluenza del Danubio.

Non potevo naturalmente entrare anch'io in dettagli e mi sono limitato ad ascoltare Pavelié il quale ha ribattuto il concetto della necessità di una autonomia formale e di una unione pratica in tutti i campi, cogliendo l'occasione per accennare alle enormi ricchezze di cereali, di legname, di minerali di ferro e di rame delle regioni croate. Pavelié si è [dich]iarato convinto che se l'azione di liberazione sarà appoggiata dall'Italia Fascista è certamente destinata al successo; che ogni politica di accordo con Belgrado è destinata al fallimento; che in ogni modo la conclusione di qualsiasi rivolgimento europeo sarà la nascita d eli 'indipendenza croata, anche senza l 'aiuto di una Poten[za strani]era.

In [relazione a] quanto ho esposto siamo rimasti d'accordo che i [punti] su cui gli avrei dato una immediata risposta sono i se[guen]ti:

a) au[torizzazi]one di una presa di contatto fra Pavelié e quei croati emigrati in Italia che egli dovesse prescegliere per iniziare l'azione di propaganda; b) autorizzazione, mediante sue comunicazioni verbali e scritte ai croati attualmente in Italia, di tenersi pronti per penetrare in Croazia; c) eventuale concentramento dei croati attualmente nel Regno in prossimità della frontiera itala-jugoslava;

d) corresponsione sollecita per l'effettuazione del movimento di una somma di un milione di franchi svizzeri, sulla cui introduzione in Jugoslavia sarebbero stati presi [acca]rdi preventivi coi fiduciari croati;

e) nomina di un nostro fiduciario che prenda subito contatto con Pavelié per stabilire tutte le modalità dell'azione, per armare i croati e possibilmente per introdursi in Jugoslavia insieme ad essi per preparare il terreno. Tale fiduciario dovrebbe essere un ufficiale dell'Esercito, o un funzionario [po/it]ico della Croazia. Ad esso dovrebbero essere aggregate [quelle] persone che centralizzino il movimento;

f) [autori]zzazione di informare Bombelles della messa in moto del [movime]nto, allo scopo di prevenire tutti gli aderenti al mo[vimento di] Pavelié in Croazia;

g) c[onsegna d]i esplosivi e di armi agli incaricati di Pavelié;

h) au[torizzaz]ione per la riproduzione immediata di manifesti da [distribui]re in Croazia e istallazione radio per una propaganda [nel] Paese; i) invio di Bombelles a Siena per stabilire i punti predetti con Pavelié.

Pavelié ha prospettato anche la possibilità di conferire direttamente con V. E. Gli ho detto che avrei fatto presente la cosa e mi sono riservato di fargli avere risposta per tutte le questioni innanzi dette.

APPENDICE III

UFFICI DEL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI

(1° gennaio-22 maggio 1939)

MINISTRO CIANO m CoRTELLAZZO Galeazzo, ambasciatore.

SOTTOSEGRETARIO DI STATO BASTIAKINI Giuseppe, ambasciatore.

SOTTOSEGRETARIO DI STATO PER GLI AFFARI ALBANESI1 BENIN! Zenone, consigliere nazionale.

GABINETTO

Coordinamento generale -Affari confidenziali -Ricerche e studi in relazione al lavoro del ministro -Rapporti con la Rea! Casa, con la Presidenza del Consiglio e col PN.F -Relazioni del ministro col Senato, la Camera dei Fasci e delle Corporazioni e col Corpo diplomatico -Udienze -Tribuna Diplomatica.

Capo di gabinetto: ANFUSO Filippo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario di 2• classe.

Vice capo di gabinetto: CARUSO Casto, console di 2• classe (dal 15 gennaio primo segretario di 23 classe).

Capo della segreteria particolare del ministro: NATALI Umberto, console generale di

3

classe.

1 Istituito con R. D. 18 aprile 1939, n. 624.

Ufficio del Gabinetto: CASERTANO Raffaele, console di 2a classe (dal 15 gennaio primo segretario di 23 classe); SETTI Giuseppe, LANZA D'AJETA Blasco, consoli di 3a classe (dal 15 gennaio consoli di 2a classe); MoscATO Niccolò, console di 3a classe; DE FERRARIIS SALZANO Carlo, vice console di l a classe (dal 15 gennaio console di 3a classe); LUCIOLLI Mario, vice console di l a classe; DE NovELLIS Gennaro, vice console di l 0 classe, dal 23 gennaio; SPINOLA Luigi, vice segretario; FARACE Alessandro, addetto consolare (dal 15 gennaio vice console di 2a classe); MoRozzo DELLA RoccA Antonino, volontario (dal 15 gennaio addetto consolare).

Ufficio della segreteria: NICHETTI Carlo, console di 2a classe, fino al 17 marzo; SANFELICE Antonio, vice console di la classe (dal 15 gennaio console di 3a classe), fino al l o febbraio; BELLIA Franco, vice console di la classe (dal 15 gennaio console di 3a classe); MARIENI Alessandro, vice console di 2a classe (dal 15 gennaio vice console di la classe).

Capo della segreteria particolare del sottosegretario: ASSETTATI Augusto, console di 2• classe.

Ufficio della segreteria: PURI PURINI Giuseppe, vice console di 2a classe (dal 15 gennaio vice console di l a classe).

Capo della segreteria particolare del sottosegretario per gli affari albanesi: SoARDI Carlo Andrea, primo segretario di 2a classe, dal 24 aprile.

Ufficio della segreteria: MACCAFERRI Franco, addetto consolare.

UFFICIO SPAGNA

Capo ufficio: PIETROMARCHI Luca, inviato straordinario e ministro plenipotenziario di 2a classe.

Segretari: ALOISI DE LARDEREL Folco, vice console di l a classe (dal 15 gennaio console di 3• classe); CONTARINI Giuseppe, vice console di 2a classe.

UFFICIO DEL CERIMONIALE

Regole del cerimoniale -Lettere reali -Credenziali -Lettere di richiamo -Pieni poteri -Privilegi ed immunità degli agenti diplomatici e consolari -Franchigie in materia doganale ai regi agenti al! 'estero e agli agenti stranieri in Italia -Massimario -Visite e passaggi di capi di Stato, principi e autorità estere -Decorazioni nazionali ed estere.

Capo ufficio: CORTINI Claudio, inviato straordinario e ministro plenipotenziario di 2a classe, fino al 28 aprile; GEISSER CELESIA DI VIGLIASCO Andrea, inviato straordinario e ministro plenipotenziario di 2a classe, dal 29 aprile.

Segretari: DEL DRAGO Marcello, primo segretario di l a classe, dal 2 febbraio; SALLIER DE LA TouR CORIO Paolo, primo segretario di 2a classe; EMO CAPODILISTA Gabriele, vice console di l a classe.

UFFICIO DI INTENDENZA

Archivio storico -Biblioteca -Pubblicazioni di carattere amministrativo -Custodia e manutenzione della sede del Ministero -Servizi automobilistici e telefonici Disciplina del personale di servizio.

Capo ufficio: TOSCANI Angelo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario di la classe.

Addetto all'ufficio: N.N.

Archivio storico

Direttore: N.N.

Biblioteca

Bibliotecario: PIRONE Raffaele.

DIREZIONE GENERALE DEGLI AFFARI DI EUROPA E DEL MEDITERRANEO

Direttore generale: BuTI Gino, ambasciatore.

Vice direttore generale: GUARNASCHELLI Giovanni Battista, console generale di l a classe.

Addetti alla direzione generale: GALLI Guido, console generale di 2 classe; SIOTTO PINTOR Aureliano, volontario (dal 15 gennaio addetto consolare).

UFFICIO I

Belgio -Danimarca -Francia -Germania -Gran Bretagna -Lussemburgo -Paesi Bassi -Polonia -Portogallo -Stati Baltici -Stati Scandinavi -Svizzera -Unione delle Repubbliche Sovietiche Socialiste.

Capo ufficio: DEL BALZO DI PRESENZANO Giulio, console di 2a classe (dal 15 gennaio primo segretario di 2a classe), fino al 7 marzo; GIUSTINIANI Raimondo, primo segretario di 2a classe, dall'8 marzo.

Segretari: CASTELLANI Augusto, console di 3a classe (dal 15 gennaio console di 2a classe); GuASTONE BELCREDI Enrico, vice console di l a classe (dal 15 gennaio console di 3a classe); MACCAFERRI Franco, volontario (dal 15 gennaio addetto consolare), fino al 17 aprile.

UFFICIO II

Bulgaria -Cecoslovacchia -Grecia -Jugoslavia -Romania -Turchia -Ungheria Affari concernenti le isole italiane del/ 'Egeo.

Capo ufficio: DE PAOLIS Pietro, primo segretario di l a classe.

Segretari: ScAGLIONE Roberto, console di 2a classe (dal 15 gennaio primo segretario di 2a classe).

UFFICIO III

Mediterraneo -Paesi del Mediterraneo e del Mar Rosso -Africa Orientale Italiana

Capo ufficio: GUARNASCHELLI Giovanni Battista, predetto.

Segretari: ZoPPI Vittorio, consigliere; ARCHI Pio Antonio, NAVARRINI Guido, consoli di 3a classe (dal 15 gennaio consoli di 2a classe).

UFFICIO IV2

Albania

Capo ufficio: STRANEO Carlo Alberto, primo segretario di l a classe, fino al 17 aprile.

Segretari: CAPPELLANI DELLA FORMICA Raffaele, console di 3a classe, fino al 19 aprile; CATALANO Felice, volontario (dal 15 gennaio addetto consolare).

2 Trasferito alle dirette dipendenze del Sottosegretariato per gli Affari Albanesi di nuova istituzione (vedi nota l).

UFFICIO V3

Affari con la Santa Sede

Capo ufficio: GUGLIELMINETTI Giuseppe, consigliere. Segretario: N.N.

DIREZIONE GENERALE DEGLI AFFARI TRANSOCEANICI

Direttore generale: GRAZZI Emanuele, inviato straordinario e ministro plenipotenziario di 2a classe, fino al 5 marzo; PRUNAS Renato, inviato straordinario e ministro plenipotenziario di 23 classe, dal 6 marzo.

Vice direttore generale: BONARELLI DI CASTELBOMPIANO Vittorio Emanuele, inviato straordinario e ministro plenipotenziario di 23 classe.

UFFICIO l

Africa (eccetto i Paesi di competenza di altri uffici).

Capo uftìcio: N.N. Segretario: N.N.

UFFICIO Il Asia (eccetto i Paesi di competenza di altri uffici) -Oceania. Capo ufficio: BONARELLI DI CASTELBOMPIANO Vittorio Emanuele, predetto. Segretario: MACCHI DI CELLERE Francesco, console di 33 classe (dal 15 gennaio console di 23 classe).

UFFICIO III

America del Nord.

Capo ufficio: N.N. Segretario: FERRERO Andrea, console di 33 classe.

3 Ufficio IV, con la soppressione dell'Ufficio Albania.

UFFICIO IV

America latina.

Capo ufficio: CONFALONIERI Giuseppe Vitaliano, primo segretario di 2a classe.

Segretari: MENGARINI Bruno, console di 3a classe; BoccHINI Marcello, volontario (dal 15 gennaio addetto consolare).

DIREZIONE GENERALE DEGLI AFFARI GENERALI Direttore generale: VITETTI Leonardo, inviato straordinario e ministro plenipotenzia

rio di l a classe. Vice direttore generale: VmAu Luigi, console generale di l a classe. Addetto alla direzione generale: MACCOTTA Giuseppe, volontario (dal 15 gennaio

addetto consolare).

UFFICIO I

Istituti internazionali-Conferenze e congressi internazionali Coordinamento culturale.

Capo ufficio: GRAZZI Umberto, primo segretario di l a classe, fino al 29 gennaio; DE Asns Giovanni, consigliere, dal 30 gennaio.

Segretario: CAMPANELLA Francesco Paolo, vice console di l a classe.

UFFICIO II

Coordinamento militare, navale ed aeronautico -Missioni militariCommissione suprema di difesa -Materiali di guerra. Capo ufficio: GALLINA Vitale, console di 2a classe, dal l o maggio. Segretario: N.N.

UFFICIO III

Trattati ed atti.

Capo ufficio: LANZARA Giuseppe, console di l a classe.

Segretario: LANZETTA Umberto, console di 2a classe (dal 15 gennaio console di l a classe).

UFFICIO IV

Affari riservati.

Capo ufficio: VIDAU Luigi, predetto.

Segretari: GALLINA Vitale, console di 2a classe, fino al 30 aprile; GuLLI Vincenzo, console di 3a classe; MARTINA Gian Luigi, vice console di l a classe; DAINELLl Luca, volontario (dal 15 gennaio addetto consolare); CoRSI Fernando, ispettore.

UFFICIO V

Storico-diplomatico. Ricerche e studi su materie storiche e questioni internazionali -Schedari -Rubriche

Pubblicazioni di carattere storico-diplomatico -Sezione geografica. Capo uftìcio: MONACO Adriano, consigliere. Segretari: BIANCONI Alberto, console di l a classe; WIEL Ferdinando, console di 2a

classe (dal 15 gennaio console di l a classe).

DIREZIONE GENERALE DEGLI AFFARI COMMERCIALI

Direttore generale: GIANNINI Amedeo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario onorario con rango di l a classe, consigliere di Stato, senatore.

Vice direttore generale: CALISSE Alberto, console generale di 2a classe, fino al 28 gennaw.

UFFICIO I

Affari generali-Comunicazioni aeree, terrestri e marittime Fiere, congressi, esposizioni.

Capo ufficio: MoscA Bernardo, consigliere. Segretario: BERTUCCIOLI Romolo, console di l a classe.

UFFICIO Il

Commercio coi Paesi d'Europa e del Mediterraneo.

Capo ufficio: CALISSE Alberto, predetto, fino al 28 gennaio.

Segretari: FORMICHELLA Giovanni, console di 2• classe (dal 15 gennaio console di l a classe); SENSI Federico, addetto consolare (dal 15 gennaio vice console di 2a classe).

UFFICIO III

Commercio transoceanico.

Capo ufficio: BENZONI Giorgio, console di l a classe.

Segretari: SIMONE Nicola, console di 3a classe, fino al 28 febbraio; VINCI Piero, volontario.

DIREZIONE GENERALE DEGLI ITALIANI ALL'ESTERO Direttore generale: DE Cieco Attilio, inviato straordinario e ministro plenipotenziario

di 2a classe. Vice direttore generale: RULLI Guglielmo, primo segretario di l a classe. Addetti alla direzione generale: CUNEO Giovanni Battista, console di l a classe, fino al

15 febbraio; BARILLARI Michele, ispettore superiore; DINI Ottavio, vice ispettore.

UFFICIO I

Case d'Italia-Dopolavoro all'estero-Propaganda e Assistenza.

Capo ufficio: NoBILI VITELLESCHI Pietro, console di l a classe.

Segretari: PINNA CABONI Mario, vice console di l a classe; SIMONIS Giuseppe Casimiro, volontario (dal 15 gennaio addetto consolare); TEDESCO Pietro Paolo, ispettore; FLAMINI Pietro, vice ispettore; Lo BALSAMO Michele, vice segretario.

UFFICIO II

Affari privati.

Capo ufficio: MENZINGER DI PREISENTHAL Enrico, consigliere.

Segretari: TORNIELLI DI CRESTVOLANT Carlo Cesare, console di l a classe; BARBARISI Guglielmo, console di 2a classe; EYNARD Carlo, console di 3 classe; SEBASTIANI Lucio, volontario (dal 15 gennaio addetto consolare), fino al 23 febbraio; TRIONFI Riccardo, volontario (dal 15 gennaio addetto consolare), fino al 20 marzo.

UFFICIO III

Scuole al/ 'estero -Attività culturali -Istituti di Cultura.

Capo ufficio: CAROSI Mario, console di l a classe.

Segretari: PARENTI Francesco, console di 2a classe; PERRONE CAPANO Carlo, volontario (dal 15 gennaio addetto consolare), fino al 19 marzo.

UFFICIO IV

Lavoro Italiano al/ 'estero.

Capo ufficio: GERBASI Francesco, ispettore generale capo.

Segretari: MASI Corrado, MARONE Vincenzo, ispettori superiori; MANCA Elio, ispettore capo; BEVILACQUA Michele, CANNONE Nicolò, ispettori; VACCHELLI Alessandro, vice ispettore.

DIREZIONE GENERALE DEL PERSONALE E DELL'AMMINISTRAZIONE INTERNA

Direttore generale: LEQUIO Francesco, inviato straordinario e ministro plenipotenziario di l a classe.

Addetti alla direzione generale: MARZIANI Luigi, ispettore generale capo; GRANDINETTI Eugenio, ispettore superiore; EMILIANI Luigi, primo commissario consolare.

UFFICIO I

Personale di gruppo A delle carriere dipendenti dal Ministero degli affari esteri Personale consolare di seconda categoria -Uffici diplomatici e consolari al!' estero -Ispezioni degli uffici all'estero -Questioni che si riferiscono all'ordinamento del Ministero e delle carriere diplomatica, consolare e degli interpreti Concorsi, nomine ed ammissioni, commissioni di avanzamento, consigli, commissioni e comitati presso l 'Amministrazione centrale -Addetti militari, navali, aeronautici, commerciali, per la stampa e loro uffici -Personale e uffici diplomatici e consolari esteri in Italia -Bollettini del personale -Passaporti diplomatici, di servizio e ordinari, libretti e richieste ferroviarie per il personale -Rapporti con il PN.F, la M V.S.N. e le Amministrazioni dello Stato, per quanto riguarda il personale dipendente dal Ministero degli affari esteri.

Capo ufficio: DEL BALZO DI PRESENZANO Giulio, primo segretario di 2a classe, dali' 8 marzo.

Segretari: SILJ Francesco, console di 2a classe, fino all'8 marzo; CASTRONUOVO Manlio, console di 3 classe (dal 15 gennaio console di 2a classe); P AVERI FoNTANA Alberto, console di 3a classe, dal28 aprile; PAscucci RIGHI Giulio, volontario (dal 15 gennaio addetto consolare); FERRINI Guglielmo, ispettore capo.

UFFICIO II

Personale dei gruppi B e C e personale subalterno delle carriere dipendenti dal Ministero degli affari esteri, escluso il personale delle scuole italiane all'estero. Concorsi, nomine e ammissioni -Commissione di avanzamento e consigli del Ministero, ed in generale tutte le questioni relative alla carriera e all'ordinamento del personale suddetto -Bollettini che si riferiscono al personale stesso -Personale di ogni gruppo appartenente ad altre Amministrazioni e comandato presso il Ministero degli affari esteri -Personale avventizio in servizio presso l 'Amministrazione centrale e gli uffici dell'emigrazione nel Regno -Personale locale in servizio presso le Regie Rappresentanze diplomatiche e consolari.

Capo ufficio: SERPI Giuseppe, console generale di 2a classe.

Segretari: BoBBA Franco, volontario (dall5 gennaio addetto consolare).

UFFICIO III

Edifici demaniali.

Gestione di tutti gli stabili e locali adibiti ad uso d eli 'Amministrazione centrale e dei RR. Uffici ali 'estero -Acquisto, vendita, affitto, permuta, manutenzione ordinaria e straordinaria, miglioramento e arredamento -Assicurazioni, inventari e contratti -Locazioni di immobili e locali per uso dei RR. Uffici -Ufficio del consegnatario -Deposito e distribuzione marche consolari e passaporti.

Capo ufficio: ASSERETO Tommaso, inviato straordinario e ministro plenipotenziario di 2a classe.

Segretario: FossATI Mario, vice segretario.

UFFICIO IV

Servizi amministrativi.

Capo ufficio: MONTESI Giuseppe, console generale di 2a classe.

Segretari: AGOSTEO Cesare, capo divisione dei commissari consolari; LIVINALI Alessandro, capo sezione dei commissari consolari; CERACCHI Giuseppe, capo sezione dei commissari consolari; FERME Antonio, primo commissario consolare, fino al 24 gennaio; PISANI Salvatore, commissario consolare.

Addetti all'ufficio: BLANDI Silvio, RENGANESCHI Vittorio, ispettori capo; PIRODDI Mario, vice ispettore.

Cassa

BoNAVINO Arturo, capo divisione dei commissari consolari.

UFFICIO V

Corrispondenza e archivi-Tipografia riservata. Organizzazione, sorveglianza degli archivi -Corrispondenza in arrivo e in partenza: accettazione, registrazione, spedizione ecc. -Controllo del carteggio degli uffici in relazione alla corrispondenza in arrivo -Archivi correnti -Servizio dei corrieri.

Capo ufficio: GROSSARDI Antonio, console generale di la classe.

Segretario: Busi Gino, console di 2a classe, fino al 31 gennaio.

Tipografia riservata

Direttore: BERNI Fedele.

UFFICIO VI

Cifra.

Capo uftìcio: PERVAN Edoardo, console generale di 2a classe.

Segretari: DI ROVASENDA Vittorio, consigliere; CANNICCI Achille Angelo, console di la classe; Buzzi GRADENIGO Cesare Pier Alberto, console di 2a classe (dall5 gennaio console di laclasse); LAORCA Orazio, console di 3a classe; SAVINA Paolo, vice ispettore.

APPENDICE IV

AMBASCIATE E LEGAZIONI ITALIANE ALL'ESTERO

(/ 0 gennaio-22 maggio 1939)

AFGHANISTAN

Kabul -QUARONI Pietro, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; ANZILOTTI Enrico, primo segretario.

ALBANIA

Tirana -JACOMONI Francesco, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; BABUSCIO Rizzo Francesco, primo segretario; PRATO Eugenio, secondo segretario; SOLARI Pietro, terzo segretario; GABRIELLI Manlio, colonnello di fanteria, addetto militare e aeronautico.

ARABO-SAUDIANO (Regno)

Gedda -SrLLITTI Luigi, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; PAVERI FoNTANA Alberto, primo segretario, fino al 27 aprile.

ARGENTINA

Buenos Aires -PREZIOSI Gabriele, ambasciatore, dal 24 marzo; SERENA DI LAPIGIO Ottavio, consigliere; BARBARICH Alberto, primo segretario; MAJOLI Mario, secondo segretario; FIORI Romeo, consigliere dell'emigrazione; MARIANI Erminio, consigliere commerciale; LONGO Ulisse, generale di brigata aerea, addetto aeronautico (residente a Rio de Janeiro); MARCATILI Michele, capitano di fregata, addetto navale (residente a Rio de Janeiro); CABALZAR Ferruccio Guido, addetto stampa.

BELGIO

Bruxelles -LOJACONO Vincenzo, ambasciatore, dal gennaio; SILENZI Renato, consigliere; PANSA Mario, primo segretario; BoNELLI Aldo, tenente colonnello di Stato Maggiore, addetto militare; MARGOTTINI Carlo, capitano di vascello, addetto navale (residente a Parigi); GAGLIANI Luigi, tenente colonnello dell'aeronautica, addetto aeronautico, sostituito da ERCOLE Ercole, colonnello deli'aeronautica, addetto aeronautico (residente a Parigi).

BOLIVIA

La Paz -MARIANI Luigi, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; LONGO Ulisse, generale di brigata aerea, addetto aeronautico (residente a Rio de Janeiro ).

BRASILE

Rio de Janeiro-SOLA Ugo, ambasciatore, dal marzo; CASSINIS Angiolo, consigliere, fino all'8 marzo; GRAZZI Umberto, consigliere, dal 9 marzo; TELESIO Giuseppe, primo segretario; ANTINORI Orazio, secondo segretario; MANCINI Tommaso, addetto commerciale; LONGO Ulisse, generale di brigata aerea, addetto aeronautico; MARCATILI Michele, capitano di fregata, addetto navale.

BULGARIA

Sofia-TALAMO ATENOLFI Giuseppe, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; DANEO Silvio, primo segretario; PAULUCCI Mario, secondo segretario; LIBRANDO Gaetano, addetto commerciale; SovERA Tullio, tenente colonnello di Stato Maggiore, addetto militare e aeronautico; PERRERO ROGNONI Raul, capitano di vascello, addetto navale (residente ad Ankara).

CECOSLOVACCHIA

Praga -FRANSONI Francesco, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; BORGA Guido, primo segretario; SILVESTRELLI Luigi, secondo segretario, fino al 24 febbraio; ZECCHIN Guido, secondo segretario; ENEA Giuseppe, reggente l'ufficio commerciale; BONFATTI Luigi, tenente colonnello di Stato Maggiore, addetto militare; PALOTTA Natale, colonnello dell'aeronautica, addetto aeronautico (residente a Budapest).

CILE

Santiago -MARCHI Giovanni, ambasciatore, fino al 9 gennaio; OTTAVIANI Luigi, consigliere, incaricato d'affari ad interim; GRAZIANI Orazio, secondo segretario; TRONCELLITI Francesco, reggente l 'ufficio commerciale; LoNGO Ulisse, generale di brigata aerea, addetto aeronautico (residente a Rio de Janeiro); MARCATILI Michele, capitano di fregata, addetto navale (residente a Rio de Janeiro ).

CINA

Pechino -TALIANI DE MARCHIO Francesco, ambasciatore; ALESSANDRINI Adolfo, consigliere; ROSSET DESANDRÈ Antonio, primo segretario; GIUSTI DEL GIARDINO Justo, secondo segretario, fino all5 gennaio; APOLLONI Fabrizio Maria, addetto stampa; Ros Erberto, interprete; VINCENTI MARERI Francesco, interprete; PRINCIPINI Omero, tenente colonnello di Stato Maggiore, addetto militare ed aeronautico; RUTA Mario, tenente di vascello, comandante la guardia dell'ambasciata, con funzioni di addetto navale.

COLOMBIA

Bogotà -CANTONI MARCA Antonio, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; LoNGO Ulisse, generale di brigata aerea, addetto aeronautico (residente a Rio de Janeiro).

COSTARICA

S. José -SCADUTO MENDOLA Gioacchino, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; LONGO Ulisse, generale di brigata aerea, addetto aeronautico (residente a Rio de Janeiro ).

CUBA

L 'Avana -PERSICO Giovanni, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; SPINELLI Pier Pasquale, primo segretario; LONGO Ulisse, generale di brigata aerea, addetto aeronautico (residente a Rio de Janeiro).

DANIMARCA

Copenaghen -SAPUPPO Giuseppe, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; LA TERZA Pierluigi, primo segretario; Luz1 Renato, addetto commerciale; MARRAS Efisio, generale di brigata, addetto militare (residente a Berlino); PECORI GIRALO! Corso, capitano di fregata, addetto navale (residente a Berlino); PONZA DI SAN MARTINO Cesare, capitano per le armi navali, addetto navale aggiunto (residente a Berlino); GAGLIANI Luigi, tenente colonnello dell'aeronautica, addetto aeronautico (residente a Bruxelles).

DOMINICANA (Repubblica)

Ciudad Trujillo -PORTA Mario, inviato straordinario e ministro plenipotenziario (residente a Porto Principe); LONGO Ulisse, generale di brigata aerea, addetto aeronautico (residente a Rio de Janeiro ).

EGITTO

Cairo -MAZZOLINI Serafino, inviato straordinario e ministro plenipotenziario ; BALDONI Corrado, primo segretario; FARACE Ruggero, secondo segretario; DE CLEMENTI Alberto, terzo segretario; SPERANZA Vincenzo, console interprete; PIZZIRANI Guglielmo, primo segretario di governo; BuFFONI Decio, reggente la delegazione commerciale.

EL SALVADOR (Repubblica di)

San Salvador -BoMBIERI Enrico, inviato straordinario e ministro plenipotenziario (residente a Guatemala); LoNGO Ulisse, generale di brigata aerea, addetto aeronautico (residente a Rio de Janeiro).

EQUATORE

Quito -AMADORI Giovanni, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; LONGO Ulisse, generale di brigata aerea, addetto aeronautico (residente a Rio de Janeiro).

ESTONIA

Tallinn -CICCONARDI Vincenzo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; FERRETTI Raffaele, primo segretario; ROERO DI CoRTANZE Giuseppe, tenente colonnello di cavalleria, addetto militare (residente a Varsavia).

FINLANDIA

Helsinki -KocH Ottaviano Armando, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; COPPINI Maurilio, primo segretario; RoERO DI CoRTANZE Giuseppe, tenente colonnello di cavalleria, addetto militare (residente a Varsavia); LIOTTA Aurelio, generale di squadra aerea, addetto aeronautico (residente a Berlino).

FRANCIA

Parigi -GUARIGLIA Raffaele, ambasciatore; CAPRANICA DEL GRILLO Giuliano, consigliere, dal 9 febbraio; LANDINI Amedeo, console generale; DELLA PoRTA Francesco, primo segretario; CoRRIAS Angelino, secondo segretario; DEL BoNO Giorgio, terzo segretario; THEODOLI Livio, quarto segretario; ToMMASINI Mario, consigliere dell'emigrazione; SALLIER DE LA TouR Carlo, vice consigliere dell'emigrazione; BOLASCO Vincenzo, addetto stampa; VISCONTI PRASCA Sebastiano, generale di divisione, addetto militare; ROSATI Ulisse, maggiore di artiglieria, addetto militare aggiunto; MARGOTTINI Carlo, capitano di vascello, addetto navale; ERCOLE Ercole, colonnello dell'aeronautica, addetto aeronautico.

GERMANIA

Berlino -Anouco Bernardo, ambasciatore; MAGISTRATI Massimo, consigliere; ZAMBONI Guelfo, primo segretario; VENTURINI Antonio, secondo segretario; o'AQUINO DJ CARAMANICO Alfonso, terzo segretario; RICCIARDJ Adelchi, consigliere commerciale; RIDOMI Cristiano, ANTINORI Francesco, addetti stampa; MARRAS Efisio, generale di brigata, addetto militare; BADJNI Damiano, tenente colonnello di artiglieria, addetto militare aggiunto; PECORI GIRALDI Corso, capitano di fregata, addetto navale; PONZA DJ SAN MARTINO Cesare, capitano per le armi navali, addetto navale aggiunto; LIOTTA Aurelio, generale di squadra aerea, addetto aeronautico; GASPERI Mario, capitano, addetto aeronautico aggiunto.

GIAPPONE

Tokio -AuRITI Giacinto, ambasciatore; SCAMMACCA Michele, consigliere; MACCHI DI CELLERE Pio, primo segretario; BouNous Franco, secondo segretario; ANGELONE Romolo, addetto commerciale; ARDEMAGNI Mirko, addetto stampa; MELKAY Almo, interprete; BERTONI Guido, tenente colonnello di Stato Maggiore, addetto militare; GIORGIS Giorgio, capitano di vascello, addetto navale; BRUNETTI Nerio, tenente colonnello dell'aeronautica, addetto aeronautico; FEDERICI Riccardo, capitano dell'aeronautica, addetto aeronautico aggiunto.

GRAN BRETAGNA

Londra -GRANDI Dino, ambasciatore; CROLLA Guido, consigliere; FRACASSI RATTI MENTONE Cristoforo, primo segretario; CASARDI Aubrey, secondo segretario; Gozzi Giorgio, terzo segretario; ORTONA Egidio, quarto segretario; DE FACCI NEGRATI Gaetano, addetto; CECCATO Giovanni Battista, consigliere commerciale; PARESCE Gabriele, addetto stampa; RuGGERI LADERCHI Cesare, tenente colonnello di Stato Maggiore, addetto militare; BRIVONESI Bruno, contrammiraglio, addetto navale; TRENCHI Ernesto, capitano del genio navale, addetto navale aggiunto; CALDERARA Attilio, colonnello de li'aeronautica, addetto aeronautico.

GRECIA

Atene -BosCARELLI Raffaele, inviato straordinario e ministro plenipotenziario, fino al 15 marzo; GRAZZI Emanuele, inviato straordinario e ministro plenipotenziario, dal 19 aprile; JANNELLI Pasquale, primo segretario, fino al 25 febbraio; FORNARI Giovanni, primo segretario, dal 22 febbraio; SERAFINI Giorgio, secondo segretario; ANFuso Francesco, addetto stampa; DE SANTO Demetrio, interprete; MoNDINI Luigi, tenente colonnello di Stato Maggiore, addetto militare; MoRIN Sebastiano, capitano di vascello, addetto navale e aeronautico.

GUATEMALA

Guatemala -BOMBIERI Enrico, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; Muzi FALCONI Filippo, primo segretario; LONGO Ulisse, generale di brigata aerea, addetto aeronautico (residente a Rio de Janeiro ).

HAITI

Porto Principe -PoRTA Mario, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; LONGO Ulisse, generale di brigata aerea, addetto aeronautico (residente a Rio de Janeiro).

HONDURAS

Tegucigalpa -BOMBIERI Enrico, inviato straordinario e ministro plenipotenziario (residente a Guatemala); LONGO Ulisse, generale di brigata aerea, addetto aeronautico (residente a Rio de Janeiro).

IRAN

Teheran -PETRUCCI Luigi, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; GIARDINI Renato, primo segretario; MoLÀ Luigi, capitano di corvetta, assistente addetto navale; PENNACCHIO Luigi, interprete.

IRAQ

Bagdad-GABBRIELLI Luigi, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; DAYIK David, interprete, dal l Oaprile; POLLICI Dante, interprete, fino al 22 aprile.

IRLANDA

Dublino -BERARDIS Vincenzo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; MALASPINA Folchetto, primo segretario; RuGGERI LADERCHI Cesare, tenente colonnello di Stato Maggiore, addetto militare (residente a Londra); BRIVONESI Bruno, contrammiraglio, addetto navale (residente a Londra); CALDERARA Attilio, colonnello dell'aeronautica, addetto aeronautico (residente a Londra).

JUGOSLAVIA

Belgrado -INDELLI Mario, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; CAPRANICA DEL GRILLO Giuliano, primo segretario, fino all'8 febbraio; GumoTTI Gastone, primo segretario; BAISTROCCHI Ettore, secondo segretario; ScADUTO MENDOLA Antonio, terzo segretario; BENEDETTI Giovanni Paolo, addetto commerciale; PATUELLI Raffaele, addetto stampa; CoRONATI Emilio, colonnello d'artiglieria, addetto militare; ANGELINI Renato, capitano di fanteria, addetto militare aggiunto; MoRIN Sebastiano, capitano di vascello, addetto navale (residente ad Atene); PIRODDI Mario, addetto aeronautico.

LETTONIA

Riga -ROGERI DI VILLANOVA Delfino, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; RICCIO Luigi, primo segretario; ROERO DI CORTANZE Giuseppe, tenente colonnello di cavalleria, addetto militare (residente a Varsavia).

LITUANIA

Kaunas -Dr GIURA Giovanni, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; CIPPIco Tristram Alvise, primo segretario; MARRAS Efisio, generale di brigata, addetto militare (residente a Berlino); LIOTTA Aurelio, generale di squadra aerea, addetto aeronautico (residente a Berlino).

LUSSEMBURGO

Lussemburgo -TAMBURINI Antonio, inviato straordinario e ministro plenipotenziario.

MANCIUKUÒ

Hsin King-CoRTESE Luigi, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; GUADAGNINI Piero, vice console.

MESSICO

Messico -MARCHETTI DI MURIAGLIO Alberto, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; CATTANI Attilio, primo segretario; LoNGO Ulisse, generale di brigata aerea, addetto aeronautico (residente a Rio de Janeiro).

NICARAGUA

Managua -ScADUTO MENDOLA Gioacchino, inviato straordinario e ministro plenipotenziario (residente a S. José di Costarica); LoNGO Ulisse, generale di brigata aerea, addetto aeronautico (residente a Rio de Janeiro).

NORVEGIA

Osio -Loor FÉ Romano, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; STAFFETTI Pier Carlo, primo segretario; LuZJ Renato, addetto commerciale (residente a Copenaghen); PECORI GrRALDI Corso, capitano di fregata, addetto navale (residente a Berlino); PONZA or SAN MARTINO Cesare, capitano per le armi navali, addetto navale aggiunto (residente a Berlino); GAGLIANI Luigi, tenente colonnello dell 'aeronautica, addetto aeronautico (residente a Bruxelles).

PAESI BASSI

L 'Aja -DIANA Pasquale, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; DE VERA o'ARAGONA Carlo Alberto, primo segretario, fino all' 8 marzo; AMBROSETTI Gino, primo segretario, dal 9 marzo; NOTARANGELI Tommaso, addetto commerciale; BONELLI Aldo, tenente colonnello di Stato Maggiore, addetto militare (residente a Bruxelles); PECORI GrRALDI Corso, capitano di fregata, addetto navale (residente a Berlino); PONZA DI SAN MARTINO Cesare, capitano per le armi navali, addetto navale aggiunto (residente a Berlino); GAGLIANI Luigi, tenente colonnello dell'aeronautica, addetto aeronautico (residente a Bruxelles).

P AN AMA

Panama -CAPANNI Italo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; LoNGO Ulisse, generale di brigata aerea, addetto aeronautico (residente a Rio de Janeiro).

PARAGUAY

Assunzione -TONI Piero, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; LONGO Ulisse, generale di brigata aerea, addetto aeronautico (residente a Rio de Janeiro ).

PERÙ

Lima -FARALLI Iginio Ugo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; GARBACCIO Livio, primo segretario; LONGO Ulisse, generale di brigata aerea, addetto aeronautico (residente a Rio de Janeiro); MARCATILI Michele, capitano di fregata, addetto navale (residente a Rio de Janeiro); FuscoNt Alcide, tenente colonnello dell'aeronautica, addetto aeronautico aggiunto.

POLONIA

Varsavia -ARONE DI VALENTINO Pietro, ambasciatore; CARISSIMO Agostino, consigliere; DI STEFANO Mario, primo segretario; SoRo Giovanni Vincenzo, secondo segretario; PtETRABISSA Francesco, addetto commerciale; ROERO DI CoRTANZE Giuseppe, tenente colonnello di cavalleria, addetto militare, navale e aeronautico.

PORTOGALLO

Lisbona -MAMELI Francesco Giorgio, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; GERBORE Pietro, primo segretario; RALLO Pietro, consigliere commerciale; MONICO Umberto, capitano di vascello, addetto navale (residente a Salamanca); FERRARIN Francesco, tenente colonnello dell'aeronautica, addetto aeronautico e militare.

ROMANIA

Bucarest -GHIGI Pellegrino, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; CAPECE GALEOTA Giuseppe, primo segretario; DALLA RosA PRATI Rolando, secondo segretario; MIZZAN Ezio, terzo segretario; OLIVIERI Giovanni Battista, reggente l'ufficio commerciale; RoccHI Cesare, archivista interprete; DELLA PORTA RODIANI CARRARA Guglielmo, maggiore di Stato Maggiore, addetto militare e aeronautico, fino al 28 febbraio; CosENTINI Giuseppe, tenente colonnello di cavalleria, addetto militare e aeronautico, dal 1 ° marzo; FERRERO ROGNONI Raul, capitano di vascello, addetto navale (residente ad Ankara).

SANTA SEDE

Roma -PIGNATTI MORANO DI CUSTOZA Bonifacio, ambasciatore; FECJA DI COSSATO Carlo, consigliere; GIUSTINIANI Raimondo, primo segretario, fino al 7 marzo; Stu DI S. ANDREA D'ussiTA, Francesco, primo segretario, dal 9 marzo.

SIAM

Bangkok-UMILTÀ Carlo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; GIORGIS Giorgio, capitano di vascello, addetto navale (residente a Tokio ).

SPAGNA

Salamanca-VIOLA Guido, ambasciatore; RoNCALLI Guido, consigliere; V ANNI o'ARCHIRAFI Francesco Paolo, primo segretario; GAETANI DELL'AQUILA D'ARAGONA Massimo, secondo segretario, fino al l o marzo; CAVALLETTI Francesco, secondo segretario, dal 16 gennaio; RALLO Pietro, addetto commerciale; BAVAJ Amor, addetto stampa; MoNICO Umberto, capitano di vascello, addetto navale; FERRARIN Francesco, tenente colonnello dell'aeronautica, addetto aeronautico.

STATI UNITI D'AMERICA

Washington -SuviCH Fulvio, ambasciatore, fino al l O gennaio; COLONNA Ascanio, ambasciatore, dal 22 marzo; CosMELLI Giuseppe, consigliere; DEL DRAGO Marcello, primo segretario, fino al l o febbraio; CAPOMAZZA Benedetto, secondo segretario; NICHETTI Carlo, segretario, dal 18 marzo; ROBERTI Guerino, terzo segretario; BoNARDELLI Eugenio, consigliere dell'emigrazione; BIFULCO Vittorio, vice consigliere dell'emigrazione; BALLERINI Elisio, consigliere commerciale; CuGIA DI SANT'ORSOLA Umberto, capitano di vascello, addetto navale; CoPPOLA Vincenzo, colonnello dell'aeronautica, addetto aeronautico e militare.

SUD AFRICA

Pretoria-CoRTESE Paolo, incaricato d'affari; STRIGARI Vittorio, primo segretario.

SVEZIA

Stacco/ma-MELI LUPI DI SoRAGNA TARASCONJ Antonio, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; SPALAZZI Giorgio, primo segretario; BASILE Vittorio, reggente l'ufficio commerciale; MARRAS Efisio, generale di brigata, addetto militare (residente a Berlino); PECORI GIRALDI Corso, capitano di fregata, addetto navale (residente a Berlino); PONZA DI SAN MARTINO Cesare, capitano per le armi navali, addetto navale aggiunto (residente a Berlino); GAGLIANI Luigi, tenente colonnello dell'aeronautica, addetto aeronautico (residente a Bruxelles).

SVIZZERA

Berna-TAMARO Attilio, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; CITTADINI Pier Adolfo, primo segretario; PESCATORI Federico, secondo segretario; PAZZAGLIA Gino, consigliere dell'emigrazione; PELLEGRINI Vincenzo, addetto commerciale; DE MANDATO Mario, addetto stampa; BIANCHI Tancredi, colonnello di artiglieria di Stato Maggiore, addetto militare; ERCOLE Ercole, colonnello dell'aeronautica, addetto aeronautico (residente a Parigi).

TURCHIA

Ankara -DE PEPPO Ottavio, ambasciatore; BERlO Alberto, consigliere; JANNELLI Pasquale, primo segretario, dal 26 febbraio; CARACCIOLO Filippo, secondo segretario; BARIGIANI Andrea, addetto commerciale; SCELDIA Antonio, interprete; BOGLIONE Gabriele, colonnello d'artiglieria di Stato Maggiore, addetto militare ed aeronautico; PERRERO RoGNONI Raul, capitano di vascello, addetto navale; MoLÀ Luigi, capitano di corvetta, assistente addetto navale (residente a Teheran).

UNGHERIA

Budapest -VINCI GIGLIUCCI Luigi Orazio, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; FORMENTINI Omero, primo segretario; REVEDIN DI SAN MARTINO Giovanni, secondo segretario; CLEMENTI Raffaele, terzo segretario; CACCIALUPI Emilio, reggente l'ufficio commerciale; SERTOLI Mario, addetto stampa; GARIGIOLI Arnaldo, tenente colonnello di Stato Maggiore, addetto militare; PALOTTA Natale, colonnello, addetto aeronautico.

UNIONE DELLE REPUBBLICHE SOCIALISTE SOVIETICHE

Mosca -Rosso Augusto, ambasciatore; MASCIA Luciano, consigliere; MIGONE Bartolomeo, primo segretario; DE FRANCHIS Carlo, secondo segretario; RELLI Guido, interprete; VALFRÈ DI BONZO Corrado, tenente colonnello di Stato Maggiore, addetto militare, navale ed aeronautico.

URUGUAY

Montevideo -BELLARDI RICCI Alberto, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; SILVESTRELLI Luigi, primo segretario, dal 25 febbraio; LONGO Ulisse, generale di brigata aerea, addetto aeronautico (residente a Rio de Janeiro).

VENEZUELA

Caracas -CAFFARELLI Filippo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; LoNGO Ulisse, generale di brigata aerea, addetto aeronautico (residente a Rio de Janeiro).

APPENDICE V

AMBASCIATE E LEGAZIONI ESTERE IN ITALIA

(JD gennaio-22 maggio 1939)

Afghanistan -SAMAD Abdul Khan, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; RASSOUL Mohammed Khan, segretario.

Albania -BERATTI Dimetrio, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; L!soHOVA Assaf, secondo segretario; KoKALARI Hamit, terzo segretario.

Arabo-Saudiano (Regno)-N.N., inviato straordinario e ministro plenipotenziario.

Argentina -MALBRAN Manuel E., ambasciatore; ONETO ASTENGO Oscar, consigliere; RoDRIGUEZ ARAYA Raul, primo segretario; COMOLLI Guido, addetto commerciale; ZucAL Virginio, tenente colonnello di Stato Maggiore, addetto militare ed aeronautico.

Belgio -DE KERCHOVE DE DENTERGHEM André, ambasciatore; DU CHASTEL DE LA HowARDERIE Ferdinand, consigliere; DE MEEUS Hadelin, primo segretario; LAMY Léon, addetto; CARLIER Georges, addetto.

Bolivia -CAMPERO ARCE Antonio, ministro plenipotenziario, incaricato d'affari ad interim; CESPEDES RIVERA Guillermo, segretario; TovAR VILLA Raul, maggiore, addetto militare; OLMOS Secundino, generale, addetto alla legazione come capo della missione militare.

Brasile -GUERRA DUVAL Adalberto, ambasciatore; DE SouzA QUARTIM Adriano, consigliere; SPARANO Luiz, consigliere commerciale; LATOUR Jorge, secondo segretario; DE SOUZA GOMES Henrique, secondo segretario; LICINIO CARDOSO Leontina, console, dal 14 gennaio.

Bulgaria -POMENOV Svétoslav, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; KARA.NDJULOV Anton, primo segretario; RADEV Ivan, terzo segretario; BoYADJEV Constantin, addetto stampa; TONTCHEV Petr, maggiore di Stato Maggiore, addetto militare, aeronautico e navale; BLASKOV Simeon, consigliere commerciale.

Cecoslovacchia -CERMAK Vlastienil, inviato straordinario e ministro plenipotenziario, dal l Ogennaio; BRAUNER Vladimir, consigliere; HERMAN Frantisek, consigliere; STANE Vojtech, primo segretario; KusKA Theodor, consigliere per la stampa; KLECANDA Vladimir, generale di divisione, addetto militare e aeronautico.

Cile -CARIOLA MAFFEI Luis Alberto, ambasciatore; CUEVAS IRARRAZAVAL Heman, consigliere; BARRTGA ERAZURRIZ Jorge, consigliere commerciale; INFANTE BIGGS Raul, primo segretario; FIRMANI René, addetto commerciale; TRONCOSO PALACIOS Guillermo, capitano di vascello, addetto navale; Nu:NEZ MORGADO E., comandante, addetto aeronautico.

Cina-Lru VoN-TAO, ambasciatore (assente); HsO DAU-LTN, consigliere, incaricato d'affari ad interim; CHU YIN, primo segretario; HwANG TA-CHUNG, secondo segretario; TcHANG KTEN, secondo segretario; YoH LuN, terzo segretario; Lru TSIEN, terzo segretario; MAO CHI-KENG, addetto; CHANG Augusta, addetta; TcHENG CHAO-TSHENG, colonnello, addetto militare.

Colombia-RESTREPO don Satumino, incaricato d'affari ad interim; FAILLACE Carlos A., addetto.

Cuba-ZAYAS YRurz Enrique, inviato straordinario e ministro plenipotenziario (assente); TABERNILLA Y DoLz Carlos, consigliere, incaricato d'affari ad interim; CRUZ Y FERNANDEZ Americo, secondo segretario; FIGUEROA YMIRANDA Miguel, terzo segretario.

Danimarca -KRUSE Johan Christian Westergaard, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; WICHFELD Hubert, consigliere.

Dominicana (Repubblica) -N.N., inviato straordinario e ministro plenipotenziario; CALDERÒN Telésforo R., primo segretario, incaricato d'affari ad interim; TRUJILLO MoLINA Anibal, generale di brigata, addetto militare (assente).

Egitto -EL-SADEK Mostafà, Bey, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; OMAR Mohamed Osni, primo segretario; CHOUKRI FANOUS C., addetto.

El Salvador (Repubblica di)-N.N., inviato straordinario e ministro plenipotenziario.

Equatore -PE:NA-HERRERA Luis Antonio, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; GuzMAN ASPIAZU Carlos, consigliere commerciale; RIBADENEIRA Josè E., generale, addetto militare e aeronautico; ALOMIA LORREA Antonio, tenente colonnello, addetto militare aggiunto.

Estonia -LEPPIK Johan, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; JANSON David, primo segretario.

Finlandia -JARNEFELT Eero, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; SAIKKU Olavi, addetto; SuNDMAN Victor Alonzo, colonnello di Stato Maggiore, addetto militare ed aeronautico (residente a Berlino).

Francia -FRANçOis-PoNCET André, ambasciatore; GUERIN Hubert, consigliere; GARNIER Jean-Paul, primo segretario; BÉRARD Armand, secondo segretario; DE MARGERIE Christian, addetto; SANGUINETTI Joseph, console generale, consigliere commerciale; MINGALON André, addetto commerciale aggiunto; ToussAINT Jean, generale di brigata, addetto militare; DE LAFOND Gervais, capitano di vascello, addetto navale; PouPON Roger, colonnello, addetto aeronautico; DONATI Louis, maggiore di Stato Maggiore, addetto militare aggiunto.

Germania-VON MACKENSEN Hans Georg, ambasciatore; VON PLESSEN Johann, consigliere; VON STRAUTZ Felix, consigliere; ETTEL Erwin, consigliere; PFEIFFER Peter, consigliere; SPAKLER Wolfgang, consigliere governativo; RITTER VON REICHERT Hans Joachim, segretario; BERGER Karl, segretario; WITTE Alexander, addetto; GRAEFF Friedrich, addetto commerciale; KOEHLER Fritz, addetto per l'agricoltura, fino al 3 gennaio; WEBER W. H., addetto per l'agricoltura, dal 4 gennaio; MOLLIER Hans, addetto stampa; VON RINTELEN Enno, colonnello di Stato Maggiore, addetto militare; PRETZELL Gerhard, tenente colonnello, addetto militare aggiunto; LANGE Wemer, capitano di vascello, addetto navale, fino al 12 gennaio: LbWISCH, capitano di vascello, addetto navale, dal 13 gennaio; VON BOLOW Hilmar, generale dell'arma aeronautica, addetto aeronautico; BADER Karl, tenente colonnello, addetto aeronautico aggiunto.

Giappone -HOTTA Massa-aki, ambasciatore, fino al 9 gennaio; SHIRATORI Toshio, ambasciatore, dal l O gennaio; SAKAMOTO Tamao, primo segretario; HARA Kaoru, terzo segretario; EIJIRO Mihara, terzo segretario; YoSHIURA Morizumi, segretario interprete di seconda classe; NAGAI Mikizo, addetto; KABAYAMA Sukehide, addetto; ARISUE Seizo, colonnello di aeronautica di Stato Maggiore, addetto militare ed aeronautico per l'esercito; HIRAIDE Hideo, capitano di vascello, addetto navale ed aeronautico per la marina; TAMURA Kyuzo, capitano di fregata, addetto navale aggiunto; FUZIMATU Tatuzi, capitano di fregata, addetto aeronautico per la marina aggiunto; ToKI Hokoji, tenente colonnello di artiglieria, addetto militare ed aeronautico aggiunto per l'esercito, KAWABE Tyuzaburo, maggiore di aeronautica, addetto aeronautico per l'esercito aggiunto; NAKAJIMA Yoshio, maggiore di fanteria di Stato Maggiore, addetto militare aggiunto.

Gran Bretagna -PERTH sir Eric DRUMMOND, ambasciatore, fino ad aprile; LORAINE sir PERCY LYHAM, ambasciatore, dal maggio; CHARLES sir Noel, consigliere; NoswoRTHY Richard Lysle, consigliere per gli affari commerciali; Mc CLURE sir William, addetto stampa con rango di consigliere; YENCKEN A. F., primo segretario; DIXON Pierson John, secondo segretario; GREY P.F., secondo segretario; EDWARDS R. P. F., segretario per gli affari commerciali, dal 30 gennaio; LAVER W.S., assistente del consigliere commerciale; SHARP G.R., addetto onorario; LYLE A.M., addetto onorario; BURROWS M.B., colonnello, addetto militare; BEVAN R.H., capitano di vascello, addetto navale, fino al 26 gennaio; BowYERSMYTH sir Philip W., capitano di vascello, addetto navale, dal 27 gennaio; MEDHURST C.E., colonnello, addetto aeronautico; BARCLAY Walter P., maggiore, addetto militare aggiunto; HEARSON G., comandante, addetto navale aggiunto (residente a Berlino).

Grecia -METAXAS Petros, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; ROMANOS Johannes, consigliere; ASSIMACOPOULOS Aleksandros, colonnello di Stato Maggiore, addetto militare, navale ed aeronautico.

Guatemala -DURAN MoLLINEDO Victor, generale, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; DuRAN Y FTGUEROS J. Ramiro, segretario.

Haiti -LARAQUE Enrico Alfonso, inviato straordinario e ministro plenipotenziario.

Iran -ADLE Mustafà, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; SAMSAMI Gholam-Ali, primo segretario; KHosROVI Abdullah, addetto.

Iraq -AL-PACHACHI Muzahim, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; SULAIMAN Alì Haidar, terzo segretario; AL-PACHACHI Taher, addetto.

Irlanda -MAc WHITE Michael, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; DEVLIN Denis, segretario.

Jugoslavia-CHRISTié Bochko, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; BELJANSKI Pavle, consigliere; CHETCHEROVIé Voukachine, primo segretario; PLAMENAC Ilia, addetto; TROJANOVIé Radmilo, maggiore di Stato Maggiore, addetto militare, navale ed aeronautico; JUNGié Dragoslav, maggiore di aeronautica, addetto militare, navale ed aeronautico aggiunto.

Lettonia -SPEKKE Amolds, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; RIEKSTINS Janis, primo segretario.

Lituania -LOZORAITIS Stasys, inviato straordinario e ministro plenipotenziario (assente); GAURILIUS Juozas, segretario, incaricato d'affari ad interim; NASTOPKA Jaroslavas, addetto.

Manciukuo -Hsu SHAO-CHING, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; AKIO MISHIRO, consigliere; Yu HSIAO-LAN, primo segretario; ATSUSHI ITOGA, secondo segretario.

Messico -N.N., inviato straordinario e ministro plenipotenziario; MAPLES ARCE Manuel, consigliere, incaricato d'affari ad interim; RENNOW German, terzo segretario; ALAMILLO FLORES Luis, tenente colonnello di cavalleria, addetto militare (residente a Parigi).

Monaco -CouGET Femand, inviato straordinario e ministro plenipotenziario.

Nicaragua -MEDINA Tomas Francisco, inviato straordinario e ministro plenipotenziario.

Norvegia-IRGENS Johannes, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; VANGENSTEN Ove C.L., primo segretario; BAKKE Amold, consigliere commerciale (residente a Bema).

Paesi Bassi-HuBRECHT Jan, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; VAN DE WEEDE Mare W., primo segretario.

Panama -BRIN Ernesto, inviato straordinario e ministro plenipotenziario.

Paraguay -N.N., inviato straordinario e ministro plenipotenziario; NoGUES Carlos, incaricato d'affari ad interim; DI PAOLA Nuncio, segretario.

Perù -MANZANILLA José Matias, inviato straordinario e ministro plenipotenziario (assente); LANATA CouoY Luis F., primo segretario, incaricato d'affari ad interim; CHOCANO Jorge E., addetto commerciale (residente a Genova); VARGAS Jorge, colonnello di Stato Maggiore, addetto militare.

Polonia-WIENIAWA DLUGOSZOWSKI Boleslav, generale, ambasciatore; ZAWISZA Aleksander, consigliere; MAZURKIEWICZ Roman, consigliere commerciale; SzELISKI Jan, addetto; LASOCKI Jerzy, addetto; MIKULSKI Boleslaw, addetto onorario; MICHALOWSKI Jozef, addetto onorario; ROMEYKO Mariano, tenente colonnello, addetto militare, navale ed aeronautico.

Portogallo -LOBO o'AVILA LIMA José, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; VAZ SARAFANA José Eduardo, primo segretario.

Romania -ZAMFIRESCU Alexandru Duiliu, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; SOLACOLU Nicolae, consigliere; DAIANU Joachim, primo segretario; PoRN Eugen, consigliere commerciale; ADAMIU Aureliano, addetto; KIRITZESCU Alexandru, consigliere per la stampa; FUNDATZEANU Preda, capitano di vascello, addetto militare; STAFANESCU Mihail, tenente colonnello, addetto navale e aeronautico.

Santa Sede -BORGONGINI DucA Francesco, monsignore, nunzio apostolico; MISURACA Giuseppe, consigliere.

Siam -N.N., inviato straordinario e ministro plenipotenziario; VISUTRA VIRAJJADES Luang, incaricato d'affari ad interim.

Spagna -GARCIA CoNDE Pedro, ambasciatore; FORNS Rafael, primo segretario; JORRO Jaime, secondo segretario; JosÉ DEL CASTILLO Francisco, secondo segretario; MERRY DEL VAL Alfonso, secondo segretario; MARTINEZ-MERELLO Luis, segretario aggiunto; BERMEJO José Maria, segretario aggiunto; MosQUERA Antonio, addetto commerciale; MONTESINOS Gregorio, addetto per gli affari economici; GIMÉNEZARNAU José Antonio, addetto stampa dal 22 marzo; CARRASCO Manuel, addetto onorario (residente a Bologna); VILLEGAS GARDOQUI Manuel, tenente colonnello di Stato Maggiore, addetto militare ed aeronautico; GENOVA Arturo, capitano di fregata, addetto navale, sostituito da REGALADO Francisco, capitano di fregata, addetto navale; ESPINOSA Manuel, capitano di corvetta, addetto navale aggiunto, fino all'Il gennaio; DE URZAIZ Mariano, tenente di vascello, addetto navale aggiunto dal 12 gennaio.

Stati Uniti d'America -PHILLIPS William, ambasciatore; REED Edward L., consigliere; RoGERS Alan S., secondo segretario; REBER Samuel, secondo segretario; DowuNG Walter C., terzo segretario; LIVENGOOD Charles A., addetto commerciale; HooPER Malcom P., addetto commerciale aggiunto; PAINE George Harris, colonnello di artiglieria, addetto militare ed aeronautico per l'esercito; HooGSON

Jack Clemens, maggiore dell'arma aeronautica, addetto militare ed aeronautico aggiunto; KINKAID Thomas, capitano di vascello, addetto navale e aeronautico per la marina; NELSON Gordon W., capitano del genio navale, addetto navale aggiunto (residente a Londra); THORNTON Proctor M., capitano di corvetta, addetto navale aggiunto; CASSADY John Howard, capitano di corvetta, addetto navale ed aeronautico aggiunto per la marina; DE KAY Charles, tenente di commissariato, addetto navale aggiunto (residente a Parigi).

Sud Africa (Unione del) -HEYMANS Albert, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; KIRSTEN Robert, segretario in funzione; GELDENHUYS Frans Eduard, consigliere commerciale; BRUCE J.E., addetto.

Svezia -AF WIRSEN Cari Einar Thure, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; STACKELBERG, primo segretario; MALLING Jens Henrik, addetto; WESTER Harry, maggiore di artiglieria, addetto militare e aeronautico; HAMMARGREN O.H.L., tenente di vascello, addetto navale ed aeronautico per la marina; HOLMSTROM, tenente del genio, addetto militare aggiunto.

Svizzera -RUEGGER Pau!, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; MICHELI Louis H., consigliere; FUMASOLI Mario, primo segretario; MALLET Bernard, secondo segretario; SEIFERT Otto, addetto; DE WATTEVILLE Charles, colonnello, comandante di brigata, addetto militare ed aeronautico.

Turchia -BAYDUR Huseyin Ragip, ambasciatore; ARBEL Bedi, consigliere; GoRK Haydar, primo segretario; BELBEZ Nejdet Tahir, secondo segretario; KURAL ADNAN, secondo segretario; FUAT lnal, addetto commerciale; OLGUN Raif, addetto commerciale aggiunto; HAYIROGLU Mahmut Nedim, addetto stampa; KoMUT Ziya, capitano di Stato Maggiore, addetto militare ed aeronautico aggiunto; ARNOM Refet, capitano di corvetta di Stato Maggiore, addetto navale.

Ungheria -VILLANI Frigyes, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; NAGY DE GALANTHA Laszlo, consigliere; DE HERTELENDY L:iszl6, segretario; DE MARFFYMANTUANO Tamas, segretario; BETHLEN Gabor, segretario; HuszKA lstvan, addetto stampa; SzAB6 Laszl6, tenente colonnello di Stato Maggiore, addetto militare; DE PuY Jeno, comandante, addetto militare aggiunto.

Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche -STEIN Boris, ambasciatore; HELFAND Lev, consigliere; KULAJENKOV Anatolij, secondo segretario; IAKOVLEV Dimitrij, addetto; POPOV Ivan, rappresentante commerciale aggiunto; CERNAIEV Nikifor, ingegnere, addetto militare ed aeronautico aggiunto.

Uruguay-GRONWALDT CuESTAS Federico, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; FABREGAT Gilberto Caetano, segretario; GRIMOLDI Americo, addetto; MORELLI Vicente, addetto; GOMENSORO Domingo, capitano di vascello, addetto navale.

Venezuela -KEY AYALA Santiago, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; CASAS BRICENO J.M., consigliere; PERAZZO Nicolas, addetto.